Edizione di lunedì 26 giugno 2017
Edizione di lunedì 26 giugno 2017
IMPOSTE SUL REDDITO
Il contratto di locazione turistica
di Xxxxx Xxxxxxxxx
ISTITUTI DEFLATTIVI
Definizione liti pendenti estesa ai ricorsi notificati sino al 24 aprile
di Xxxxxx Xxxxx
FISCALITÀ INTERNAZIONALE
Margini infragruppo inferiori giustificati dalle grandi quantità
di Xxxxx Xxxxxxxx
IMU E TRIBUTI LOCALI
Pertinenze esenti ai fini IMU e TASI
di Xxxxx Xxxxxxx
ADEMPIMENTI
730 precompilato: modalità di accesso diretto alla dichiarazione
di Dottryna
IMPOSTE SUL REDDITO
Il contratto di locazione turistica
di Xxxxx Xxxxxxxxx
Le locazioni brevi sono oggi al centro dell’attenzione a seguito delle importanti novità introdotte, in materia fiscale, con la c.d. Manovra correttiva convertita nella L. 96/2017 nel Supplemento ordinario n. 31/L alla Gazzetta Ufficiale n. 144/2017 dello scorso 23 giugno.
La rinnovata attenzione alla disciplina tributaria non può però farci ignorare la disciplina civilistica applicabile nel caso in cui sia stipulato un contratto di locazione breve.
Concentrandoci sui contratti stipulati per finalità turistiche, giova richiamare il D.Lgs.79/2011, ancora oggi in vigore, nonostante l’intervenuta sentenza della Corte Costituzionale n. 80 del 5 aprile 2012, la quale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale di molti articoli della citata disposizione.
Il decreto legislativo in oggetto si concentra sulle “locazioni turistiche”, sancendo l’applicabilità delle disposizioni codicistiche in tema di locazione.
Pertanto, il locatore dovrà consegnare la cosa locata in buono stato di manutenzione, mantenendola in stato da servire all’uso e garantendone il pacifico godimento durante la locazione (articolo 1575 cod. civ.). Il locatore dovrà altresì provvedere alle riparazioni necessarie, tranne quelle di piccola manutenzione che sono a carico del conduttore (articolo 1576 cod. civ.).
È inoltre espressamente previsto che, se al momento della consegna della cosa locata, sono riscontrabili vizi che ne diminuiscono in modo apprezzabile l’idoneità all’uso, il conduttore può domandare la risoluzione del contratto o la riduzione del corrispettivo; il locatore è inoltre tenuto a risarcire al conduttore i danni derivanti da vizi della cosa.
Dal suo canto, il conduttore dovrà servirsi della cose locata per l’uso stabilito nel contratto (o, comunque, desumibile dalle circostanze), osservando la diligenza del buon padre di famiglia.
Con specifico riferimento alla forma, l’articolo 1, comma 4, L. 431/1998, prevede la forma scritta per tutti i contratti di locazione, senza alcuna specifica esclusione: deve quindi ritenersi che, anche con riferimento ai contratti di locazione turistica ricorra l’obbligo della forma scritta, sebbene la registrazione sia richiesta solo nel caso in cui la durata sia superiore a 30 giorni.
Se il contratto non è soggetto a registrazione si rende necessario comunicare alla Questura
competente i dati dei soggetti ospitati.
Un aspetto sul quale si rende necessario soffermare l’attenzione riguarda, infine, i servizi accessori.
In linea di massima, deve ritenersi che la mera locazione turistica non preveda alcun tipo di servizi accessori (come, ad esempio, pulizia dei locali e cambi di biancheria).
Sul punto è opportuno richiamare l’Ordinanza della Corte di Cassazione n. 6502 del 20.03.2014, la quale, in ambito Iva, ha precisato che “nell’ipotesi di concessione in godimento di un immobile arredato accompagnata dalla prestazione di servizi non direttamente inerenti al godimento della res locata (come la climatizzazione o la somministrazione di acqua, luce e gas), ma di carattere personale (come le pulizie od il cambio della biancheria) – il rapporto, specialmente se si inserisca in un attività avente ad oggetto la cessione di una pluralità di immobili, non è qualificabile come locazione immobiliare”.
Tuttavia, la recente Manovra correttiva è intervenuta sul punto:
da un lato, espressamente ricomprendendo tra le attività non svolte in regime di impresa i servizi di fornitura di biancheria e di pulizia dei locali,
dall’altro, affidando ad un apposito regolamento da emanare entro novanta giorni dal 23 giugno 2017 (data di entrata in vigore della L. 96/2917 di conversione del D.L. 50/2017), il compito di individuare i casi in cui l’attività di locazione si presume svolta in forma imprenditoriale, in coerenza con l’articolo 2082 del codice civile e con la disciplina delle imposte sui redditi. Il regolamento in esame, nel fornire la disciplina di dettaglio, dovrà tener conto anche del numero delle unità immobiliari locate e della durata delle locazioni in un anno solare.
ISTITUTI DEFLATTIVI
Definizione liti pendenti estesa ai ricorsi notificati sino al 24 aprile
di Xxxxxx Xxxxx
L’articolo 11 del D.L. 50/2017 (cd. Manovra correttiva) ha introdotto la definizione agevolata delle liti fiscali, al fine di deflazionare il contenzioso tributario in cui è parte l’Agenzia delle Entrate.
Com’è noto, previa domanda del soggetto che ha proposto l’atto introduttivo del giudizio o di chi vi è subentrato o ne ha la legittimazione, le controversie:
attribuite alla giurisdizione tributaria in cui è parte l’Agenzia delle Entrate,
pendenti in ogni stato e grado del giudizio, compreso quello in Cassazione ed anche a seguito di rinvio,
possono essere definite con il pagamento di tutti gli importi di cui all’atto impugnato che hanno formato oggetto di contestazione in primo grado e degli interessi da ritardata iscrizione a ruolo, calcolati fino al 60° giorno successivo alla notifica dell’atto, esclusi gli interessi di xxxx e le sanzioni collegate al tributo.
L’istituto è stato interessato da una importante novità, introdotta dalla L. 96/2017 di conversione del D.L. 50/2017, pubblicata sul Supplemento ordinario n. 31/L alla Gazzetta Ufficiale n. 144/2017, il cui effetto è molto consistente: è stato spostato in avanti il requisito temporale per poter definire la lite.
Mentre il testo previgente della norma prevedeva che doveva trattarsi di liti fiscali in cui è controparte l’Agenzia delle Entrate relativamente alle quali la costituzione in giudizio in primo grado del ricorrente era avvenuta entro il 31 dicembre 2016, la modifica muta tale condizione, dando rilevanza alla data di notifica del ricorso alla controparte, che deve essere avvenuta non già entro il 31 dicembre 2016, ma entro la data di entrata in vigore del D.L. 50/2017, quindi entro il 24 aprile 2017.
Posto che per il notificante gli effetti della notifica si hanno al momento della spedizione o di consegna dell’atto all’ente impositore o all’ufficiale giudiziario, la lite dovrebbe essere definibile se il ricorso è stato spedito, al massimo, il 24 aprile 2017.
Sembrerebbe altresì che la norma si riferisca al ricorso introduttivo del giudizio di primo grado, con la conseguenza che, se il processo è già pendente nei gradi successivi al primo, non
dovrebbero esserci problemi sulla definizione agevolata della lite.
Per il resto, tutto immutato. Quindi, per poter accedere al beneficio il contribuente dovrà presentare – entro il 30 settembre 2017 – una specifica domanda (distintamente per ciascuna procedura oggetto di definizione agevolata) esente dall’imposta di bollo, secondo il modello che sarà approvato con provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle Entrate, ed effettuare un separato versamento mediante modello F24, utilizzando gli appositi codici tributo.
Per ciascuna controversia può essere effettuato il pagamento degli importi dovuti, purché non inferiori a euro 2.000, in un massimo di 3 rate, secondo le seguenti scadenze e percentuali:
entro il 30 settembre 2017, la prima rata pari al 40% del totale delle somme dovute (o l’intero importo);
entro il 30 novembre 2017, la seconda rata pari all’ulteriore 40% del totale delle somme dovute;
entro il 30 giugno 2018, la terza rata pari al residuo 20% del totale delle somme dovute.
Si ricorda che dagli importi dovuti si scomputano quelli già versati per effetto delle disposizioni vigenti in materia di riscossione in pendenza di giudizio, nonché quelli dovuti per la definizione agevolata delle cartelle. In ogni caso, la definizione non dà luogo alla restituzione delle somme già versate, ancorché eccedenti quanto dovuto per la definizione stessa.
Infine, appare utile sottolineare che il perfezionamento della definizione avviene con l’effettivo pagamento degli importi dovuti e, solo in assenza di questi ultimi, con la presentazione della domanda.
FISCALITÀ INTERNAZIONALE
Margini infragruppo inferiori giustificati dalle grandi quantità
di Xxxxx Xxxxxxxx
La Commissione Tributaria Provinciale di Milano, con sentenza n. 7499 del 3 ottobre 2016, ha affrontato un interessante caso di contestazione in materia di prezzi di trasferimento. La società italiana oggetto di controllo vendeva a proprie consociate estere realizzando apparentemente in queste transazioni dei margini di profitto inferiori rispetto a quelli che realizzava nelle vendite compiute con soggetti terzi. Attraverso un confronto interno (cd. “CUP
– “Controlled Uncomparable Price”) dei prezzi applicati, i verificatori hanno quindi contestato alla società l’omessa tassazione di proventi eccependo che le transazioni infragruppo avvenivano a valori che si discostavano ingiustificatamente da quelli formati in condizioni di libera concorrenza. Perché è interessante la motivazione elaborata dai Giudici milanesi con cui gli stessi accolgono le doglianze della società ricorrente annullando l’accertamento?
L’interesse per questo caso giurisprudenziale sta nel fatto che i Giudici hanno correttamente approcciato la questione in chiave aziendalistica, ovvero verificando se prezzi unitari apparentemente più bassi praticati alle consociate estere dell’impresa fossero o meno giustificati sotto il profilo economico aziendale; ebbene, questi i risultati che si traggono dalla parte motiva della sentenza.
La società oggetto del controllo, prima di tutto, ha adottato una politica di prezzi con sconti crescenti in modo proporzionale alle quantità acquistate dal cliente; quindi, come è usuale nelle transazioni commerciali, al cliente che acquista con regolarità quantità maggiori del prodotto, vengono accordati sconti percentuali maggiori. Ovvio che, aritmeticamente, il prezzo unitario del prodotto scende per i clienti maggiori, ma ciò non significa che, per il semplice fatto che tali maggiori clienti fossero proprio le consociate estere, si determinasse necessariamente una pratica di prezzi di trasferimento non lecita.
Che il comportamento adottato dalla società fosse economicamente giustificato è stato dimostrato dal fatto che, considerando la media delle operazioni di vendita realizzate, le percentuali di sconto applicate ai maggiori clienti consociati erano allineate a quelle applicate ai maggiori clienti terzi.
Il termine di paragone, quindi, non doveva essere compiuto sul singolo prodotto, quanto invece sulla media delle varie transazioni compiute per ciascun cliente, e con riferimento ad esse con riguardo alla media degli sconti applicati per quantità omogenee acquistate, così da evitare di essere fuorviati da dati riferiti invece a singole operazioni su singoli prodotti.
I Giudici non hanno quindi condiviso l’approccio dei verificatori che era stato diretto ad
effettuare una analitica comparazione delle transazioni dei singoli prodotti, peraltro molto eterogenea anche per mercati e dimensioni, in quanto così si era finiti con il comparare prezzi riferiti a vendite di grandi quantità con prezzi relativi a cessioni aventi per oggetto poche unità di prodotto; l’analisi ha quindi perso di significatività.
Il confronto, poi, non deve prescindere dal considerare la diversa incidenza dei costi relativi alle vendite a terzi rispetto a quelle rivolte alle consociate; ad esempio, è stato dimostrato che nella vendita a terzi la società sostiene maggiori costi di trasporto e di vendita.
Di più, il confronto non può mai prescindere dalla valutazione di omogeneità di rischi assunti e funzioni svolte dal soggetto nella specifica transazione; in particolare, nella relazione con soggetti terzi la società assumeva un rischio di credito e di cambio, che non era presente nelle vendite alle consociate.
I Giudici hanno quindi concluso per ritenere uniforme, fra soggetti consociati e soggetti terzi, la politica di prezzo applicata dalla società; peraltro, non hanno perso l’occasione per sottolineare che la valutazione del valore normale è pur sempre un processo di stima, che comporta inevitabilmente l’uso di modelli statistici che si accompagnano ad una spiccata discrezionalità; di conseguenza, un limitato scostamento in termini percentuali non è statisticamente rilevante e deve perciò trovare giustificazione senza indurre di per se stesso ad accertamenti di materia imponibile.
IMU E TRIBUTI LOCALI
Pertinenze esenti ai fini IMU e TASI
di Xxxxx Xxxxxxx
Al pari degli immobili adibiti ad abitazione principale del contribuente (a destinazione abitativa censiti in categorie catastali diverse da A/1, A/8 e A/9) sono esenti sia da IMU che da TASI anche le relative pertinenze. È però necessario definire con precisione quali e quanti fabbricati possono ottenere l’esonero dal prelievo.
La definizione di pertinenza
Ai fini ICI la definizione di pertinenza era demandata alle scelte del singolo Comune, che poteva introdurre a proprio piacimento nel proprio regolamento limitazioni quantitative e qualitative; in assenza di specifiche previsioni regolamentari, tutti gli immobili asserviti all’abitazione potevano beneficiare del medesimo trattamento, senza vincoli di numero e tipologia.
Al contrario, con l’introduzione dell’IMU, si è assistito ad una definizione univoca del concetto di pertinenza: l’articolo 8, comma 3, del D.Lgs. 23/2011 prevede infatti che “per pertinenze dell’abitazione principale si intendono esclusivamente quelle classificate nelle categorie catastali C/2, C/6 e C/7, nella misura massima di un’unità pertinenziale per ciascuna delle categorie catastali indicate, anche se iscritte in catasto unitamente all’unità ad uso abitativo.”
L’esenzione è quindi limitata sotto il profilo numerico (solo a 3 immobili, in aggiunta all’abitazione, possono essere esentati), ma in particolare va verificata la categoria catastale di detti immobili.
Nel caso di più immobili censiti nella stessa categoria catastale, il contribuente avrà diritto a scegliere quale considerare pertinenza; evidentemente egli avrà vantaggio a designare come tale quella che presenta la rendita maggiore, assoggettando quindi a tassazione quella con rendita inferiore.
Congiunto accatastamento
L’aspetto più delicato è la locuzione a chiusura della disposizione richiamata: le pertinenze vanno considerate “… anche se iscritte in catasto unitamente all’unità ad uso abitativo.”
In altre parole viene prescritto che, nella verifica da condurre relativamente alle pertinenze, occorre controllare se è presente qualche locale a destinazione pertinenziale (tipicamente la cantina o la soffitta) accatastato congiuntamente all’abitazione, la cui rendita, quindi,
comprende anche quella teoricamente imputabile a tale pertinenza.
Al verificarsi di tale evenienza, il contribuente è tenuto ad applicare le agevolazioni previste per tale fattispecie solo ad altre due pertinenze di categoria catastale diversa da C/2 (ossia la categoria catastale nella quale ricadrebbe la cantina o la soffitta se fosse accatastata separatamente).
È di tutta evidenza che tale valutazione è difficilmente realizzabile se non si ha perfetta conoscenza della reale ed effettiva situazione immobiliare, posto che dalla semplice visura catastale non è apprezzabile la presenza nell’abitazione di locali di deposito destinati appunto ad uso soffitta o cantina.
Peraltro il ministero, nella circolare 3/DF/2012, considera anche il caso di due pertinenze accatastate unitamente all’unità ad uso abitativo: questo significa che la rendita attribuita all’abitazione ricomprende anche la redditività di tali porzioni immobiliari non connesse. Pertanto, poiché dette pertinenze, se fossero accatastate separatamente, sarebbero classificate entrambe in categoria C/2, la conseguenza sarà che il contribuente al massimo potrà usufruire delle agevolazioni per l’abitazione principale, oltre che per uno dei due C/2, anche per altre due pertinenze se classificate, una, in C/6 e, l’altra, in C/7.
ADEMPIMENTI
730 precompilato: modalità di accesso diretto alla dichiarazione
di Dottryna
I lavoratori dipendenti e i pensionati sono tenuti a presentare il modello 730 precompilato entro il prossimo 24 luglio, se provvedono “direttamente” all’invio, ovvero entro il 7 luglio se si rivolgono al sostituto, a un CAF o a un professionista abilitato.
Al fine di approfondire i diversi aspetti della materia, è stata pubblicata in Dottryna, nella sezione “Adempimenti”, la relativa Scheda di studio.
Nel presente contributo sono trattate le disposizioni relative alle modalità di accesso “diretto” e di invio della dichiarazione precompilata.
I lavoratori dipendenti e i pensionati (in possesso di determinati redditi) possono presentare la dichiarazione dei redditi utilizzando il modello 730 precompilato.
Riguardo la tempistica si rammenta che tale dichiarazione va presentata:
entro il 24 luglio, nel caso di presentazione “diretta” alle Entrate;
entro il 7 luglio, nel caso di presentazione al sostituto d’imposta, al CAF ovvero ad un professionista (commercialista, esperto contabile o consulente del lavoro).
Il termine del 7 luglio è valido anche nel caso in cui il contribuente sia privo del sostituto d’imposta.
Si segnala che, per effetto dell’articolo 7-quater del D.L. 193/2016, i CAF-dipendenti e i professionisti abilitati possono provvedere entro il prossimo 24 luglio (il 23 luglio cade di domenica):
alla consegna al contribuente di copia del 730 e del relativo prospetto di liquidazione 730-3;
all’invio telematico dei 730 predisposti comprensivi dei modelli 730-4;
a condizione che entro il 7 luglio abbiano inviato all’Agenzia delle Entrate almeno l’80% delle dichiarazioni prese in carico.
Ciò detto, si fa presente che le novità di quest’anno hanno interessato, tra gli altri, le modalità di accesso “diretto” alla precompilata; il contribuente potrà accedere alla dichiarazione, alternativamente:
mediante le credenziali rilasciate per i servizi telematici dell’Agenzia delle Entrate, che possono essere richieste tramite il relativo sito internet, gli uffici territoriali delle Entrate o mediante l’App dell’Agenzia; per i possessori di Smart Card o della Carta nazionale dei servizi (CNS), basta inserire la carta nel lettore e, previa registrazione, il sistema fornisce immediatamente il PIN e la password di accesso a Fisconline;
con il PIN “dispositivo” fornito dall’INPS;
mediante il nuovo Sistema Pubblico di Identità Digitale (SPID);
mediante le credenziali di NoiPA, per i dipendenti PA che hanno aderito al sistema.
Una volta effettuato l’accesso, utilizzando una delle modalità su indicate, nella sezione dedicata del sito dell’Agenzia delle Entrate, è possibile visualizzare:
il modello 730 precompilato;
un prospetto con l’indicazione sintetica dei redditi e delle spese presenti nel 730 precompilato e delle principali fonti utilizzate per l’elaborazione della dichiarazione (ad esempio i dati del sostituto d’imposta oppure i dati della banca che ha comunicato gli interessi passivi sul mutuo). Se le informazioni in possesso dell’Agenzia risultano “incomplete”, queste non vengono inserite direttamente nella dichiarazione ma sono esposte nell’apposito prospetto per consentire al contribuente di verificarle ed eventualmente indicarle nel 730 precompilato. Ad esempio, dall’Anagrafe tributaria può risultare l’atto di acquisto di un fabbricato, di cui però non si conosce la destinazione (sfitto, dato in comodato, ecc.). Nello stesso prospetto sono evidenziate anche le informazioni che risultano “incongruenti” e che, quindi, richiedono una “verifica”;