COLLEGIO DI COORDINAMENTO
COLLEGIO DI COORDINAMENTO
composto dai signori:
(CO) MASSERA Presidente
(CO) LAPERTOSA Membro designato dalla Banca d'Italia
(CO) MARINARI Membro designato dalla Banca d'Italia
(CO) RUPERTO Membro designato da Associazione rappresentativa degli intermediari
(CO) XXXX Membro designato da Associazione rappresentativa dei clienti
Relatore XXXX
Nella seduta del 12/10/2016
- il ricorso e la documentazione allegata
- le controdeduzioni dell’intermediario e la relativa documentazione
- la relazione della Segreteria tecnica
FATTO
Con ricorso pervenuto il 24 giugno 2015 la ricorrente espone di avere stipulato, il 9 maggio 2011, con l’intermediario resistente un contratto di finanziamento con cessione del quinto dello stipendio, per un ammontare lordo di Euro 10.080,00, da rimborsare in n. 84 rate da Euro 120,00 ciascuna. Nell’aprile 2014 la ricorrente estingueva anticipatamente il finanziamento, dopo il pagamento della rata n. 34, a fronte del rimborso, oltre agli interessi, dell’importo di Euro 124,50, quale parte delle commissioni mandatario e intermediario finanziario e, per quanto concerne ciò di cui si ha certezza, Euro 39,16 per oneri assicurativi.
La ricorrente contesta il conteggio estintivo e chiede che le siano corrisposti Euro 1.125,07 a titolo di commissioni e quote di premi assicurativi per il periodo di finanziamento non goduto. Chiede anche che le siano rimborsate, con determinazione in via equitativa, le spese affrontate per l’assistenza professionale.
Con le proprie controdeduzioni, l’intermediario sostiene di non essere legittimato passivo per la pretesa degli oneri assicurativi, che comunque sono stati rimborsati dalle compagnie, nella misura, rispettivamente, di Euro 39,16 e Euro 168,18, e, per il resto, chiede il rigetto del ricorso perché infondato nel merito, in quanto nel contratto erano
chiaramente distinti i costi recurring e quelli up front.
DIRITTO
La controversia sottoposta all’esame del Collegio verte sulla ormai nota questione del mancato rimborso da parte dell’intermediario dell’importo della quota non maturata delle commissioni bancarie e finanziarie nonché degli oneri assicurativi corrisposti in occasione della stipulazione di un contratto di finanziamento contro cessione del quinto dello stipendio (o con delegazione di pagamento), a seguito dell’estinzione anticipata dello stesso.
Secondo il consolidato orientamento dell’ABF, confermato dal Collegio di Coordinamento (decisione n. 6167/2014), nel caso di estinzione anticipata del finanziamento deve essere rimborsata la quota delle commissioni e dei costi assicurativi non maturati nel tempo, dovendosi ritenere contrarie alla normativa di riferimento le condizioni contrattuali che stabiliscano la non ripetibilità tout court delle commissioni e dei costi applicati al contratto nel caso di estinzione anticipata dello stesso (cfr. art. 125-sexies TUB; Accordo ABI-Ania del 22 ottobre 2008; Comunicazione della Banca d’Italia 10 novembre 2009; Comunicazione della Banca d’Italia 7 aprile 2011; art. 49 del Regolamento Isvap n. 35/2010; art. 22, comma 15-quater d.l. n. 179/2012; lettera al mercato congiunta di Banca d’Italia e Ivass del 26 agosto 2015).
Sulla base di tale orientamento: (1) nella formulazione dei contratti, gli intermediari sono tenuti ad esporre in modo chiaro e agevolmente comprensibile quali oneri e costi siano imputabili a prestazioni concernenti la fase delle trattative e della formazione del contratto (costi up front, non ripetibili) e quali oneri e costi maturino nel corso dell’intero svolgimento del rapporto negoziale (costi recurring, rimborsabili pro quota); (2) in assenza di una chiara ripartizione nel contratto tra oneri up front e recurring, anche in applicazione dell’art. 1370
c.c. e, più in particolare, dell’art. 35, comma 2 d.lgs. n. 206 del 2005 (secondo cui, in caso di dubbio sull’interpretazione di una clausola, prevale quella più favorevole al consumatore), l’intero importo di ciascuna delle suddette voci deve essere preso in considerazione al fine della individuazione della quota parte da rimborsare (risultano, pertanto, privi di rilievo i richiami dell’intermediario resistente ad un «indebito connotato punitivo» della qualificazione recurring di tutti i costi derivante dall’opacità delle relative clausole); (3) l’importo da rimborsare deve essere determinato, com’è noto, secondo un criterio proporzionale, tale per cui l’importo di ciascuna delle suddette voci viene moltiplicato per la percentuale del finanziamento estinto anticipatamente, risultante (se le rate sono di eguale importo) dal rapporto fra il numero complessivo delle rate e il numero delle rate residue; (4) altri metodi alternativi di computo non possono considerarsi conformi alla disciplina vigente (Collegio di Coordinamento, decisione n. 6167/2014).
È principio anch’esso consolidato che siano rimborsabili, per la parte non maturata, non
solo le commissioni bancarie, finanziarie e di intermediazione, ma anche i costi assicurativi relativi alla parte di finanziamento non goduta (art. 49 del Reg. Isvap n. 35/2010; art. 22, comma 15-quater, d.l. n. 179/2012). Principio su cui questo Collegio si è già ampiamente pronunciato e che in questa sede non può che essere confermato (decisione n. 6167/2014).
Come correttamente evidenziato dall’ordinanza di rimessione al Collegio di Coordinamento, con riguardo ai costi assicurativi, se c’è ormai consenso tra i Collegi territoriali (anche sulla scorta della posizione espressa dal Collegio di Coordinamento nella decisione n. 6167/2014) sul fatto che obbligato al rimborso (in via solidale) sia (anche) l’intermediario mutuante, il quale non può eccepire la propria carenza di legittimazione passiva (atteso il rapporto di accessorietà del contratto assicurativo rispetto al rapporto di
finanziamento, nonché il pagamento del premio assicurativo per tramite dello stesso intermediario mutuante), sussiste ancora incertezza circa i criteri da seguire per la quantificazione dell’importo da rimborsare e, più in particolare, circa la valutazione di conformità delle previsioni negoziali contenute nella polizza assicurativa (e richiamate dal contratto di finanziamento) alle disposizioni normative di riferimento (art. 49 del Reg. Isvap
n. 35/2010; art. 22, comma 15-quater e quinquies, d.l. n. 179/2012), xxxxx restando la necessità che il criterio di calcolo sia comunque chiarito ex ante (decisione n. 6167/2014). In relazione agli indicati esiti della elaborazione giurisprudenziale dei Collegi ABF, in xxx xxxxxxxxxxx xx rendono, peraltro, opportune alcune considerazioni e precisazioni di rilievo generale con riguardo agli spazi che la legge riserva all’autonomia contrattuale nel determinare l’ammontare dei costi del finanziamento retrocedibili nel caso di sua anticipata estinzione, segnatamente circa la possibilità per le parti di definire il criterio di determinazione del rimborso dovuto ai sensi dell’art. 125-sexies, primo comma, TUB e, più in particolare, circa la possibilità di derogare al criterio pro rata temporis.
L’art. 125-sexies TUB stabilisce che il consumatore ha il diritto di rimborsare anticipatamente in qualsiasi momento il finanziamento ottenuto e che, in tale ipotesi, ha anche il diritto a ricevere «una riduzione del costo totale del credito» (come definito dall’art 121, secondo comma, lett. e), TUB). Lo stesso art. 125-sexies TUB individua il criterio di determinazione di tale riduzione, che, per quanto qui ora rileva, deve essere «pari all’importo (…) dei costi dovuti per la vita residua del contratto» e non ad una parte soltanto di tali costi. La norma, in sé autosufficiente, enuncia quindi la regola che il criterio e la base di calcolo degli importi da retrocedere devono essere determinati e applicati oggettivamente e non secondo riferimenti soggettivi (anche) fondati su un accordo tra le parti.
Una limitazione dell’importo dovuto al consumatore, attraverso la previsione di un criterio di rimborso difforme da quello della competenza economica esplicitato dall’art. 125-sexies, primo comma, TUB, oltre a contrastare con il diritto così riconosciuto al consumatore è, inoltre, preclusa (o comunque circoscritta) dalla lettera del secondo comma dello stesso art. 125-sexies TUB, il quale ha cura di disciplinare e delimitare il titulus retentionis dell’intermediario, ossia il diritto di ritenere somme in ragione del pregiudizio economico sofferto per l’estinzione anticipata del finanziamento: «In caso di rimborso anticipato il finanziatore ha diritto ad un indennizzo equo ed oggettivamente giustificato per eventuali costi direttamente collegati al rimborso anticipato del credito. L’indennizzo non può superare l’1 per cento dell’importo rimborsato in anticipo, se la vita residua del contratto è superiore a un anno, ovvero lo 0,5 per cento del medesimo importo, se la vita residua del contratto è pari o inferiore a un anno. In ogni caso, l’indennizzo non può superare l’importo degli interessi che il consumatore avrebbe pagato per la vita residua del contratto» (art. 125-sexies, secondo comma, TUB). Tale disposizione impone alla parte di qualificare la causa dell’attribuzione patrimoniale quale «equo indennizzo» per l’estinzione anticipata, predeterminandone l’importo massimo al fine di remunerare i costi direttamente collegati al rimborso anticipato del finanziamento.
E’ chiaro il nesso tra le due previsioni normative dell’art. 125-sexies TUB, per il quale non
è possibile che, attraverso una artificiosa indicazione negoziale dei criteri di rimborso, si possa sforare l’ammontare massimo dell’«equo indennizzo» (peraltro non sempre dovuto, art. 125-sexies, terzo comma, TUB), così vulnerando il diritto del consumatore alla riduzione del costo del credito «pari» ai costi dovuti per la vita residua del contratto.
L’autonomia delle parti si ferma alla determinazione dell’oggetto del rapporto e, segnatamente, delle prestazioni recurring e dei relativi corrispettivi. Una volta stabilito tale sinallagma, l’estinzione anticipata implica l’automatico effetto della restituzione degli importi corrispondenti ai servizi non resi, per i quali viene, quindi, a mancare ogni ragione
(titolo) dell’apprensione da parte dell’intermediario. Su questa linea, la misura dell’indebito discende automaticamente dalla corretta determinazione dell’oggetto, recata in contratto: anche in assenza dell’art. 125-sexies TUB, il consumatore avrebbe comunque il diritto alla ripetizione delle somme indebitamente trattenute dall’intermediario, secondo la disciplina generale dell’art. 2033 c.c., di cui l’art. 125-sexies, primo comma, TUB è chiaramente espressione.
Del resto, se il contratto prevedesse, in luogo del pagamento totale anticipato dei costi accessori, un pagamento posticipato rispetto alle corrispondenti prestazioni recurring, una volta estinto il rapporto anticipatamente, non sussisterebbe alcun dubbio che l’intermediario non potrebbe pretendere il pagamento di prestazioni non rese, ossia delle prestazioni successive alla estinzione. Se il cliente pagasse, egli avrebbe per definizione diritto alla ripetizione dell’indebito. Del tutto analoga è – deve essere – la situazione in cui viene a trovarsi il consumatore qualora i costi e gli oneri accessori del finanziamento siano interamente sostenuti al momento della conclusione del contratto.
Deve, quindi, concludersi che le parti non sono contrattualmente libere di determinare l’entità del rimborso dei costi recurring in misura inferiore a quella prevista dalla legge; più chiaramente, il ricorso all’autonomia negoziale non può spingersi fino ad escludere ex ante
– attraverso la negoziazione di un criterio di rimborso alternativo a quello pro rata temporis
– il rimborso di costi versati dal cliente e dovuti per attività o prestazioni non erogate per effetto dell’estinzione anticipata del finanziamento. Eventuali previsioni in tal senso non possono che ritenersi nulle per violazione di norma imperativa (art. 1418, primo comma, c.c.), quale deve ritenersi sia l’art. 125-sexies TUB, in ragione della sua funzione di tutela del contraente debole, testualmente confermata dall’art. 127, primo comma, TUB; sia l’art. 2033 c.c., che nell’art. 125-sexies, primo comma, trova una delle sue declinazioni.
Le conclusioni sinora raggiunte, se consentono di escludere la qualificazione del criterio pro rata temporis (competenza economica) quale criterio meramente residuale – e quindi astrattamente derogabile dalle parti – per il calcolo della quota parte oggetto di rimborso delle commissioni finanziarie e accessorie, non precludono, tuttavia, che il rimborso dovuto in caso di estinzione anticipata del contratto e «pari all’importo (…) dei costi dovuti per la vita residua del contratto» possa avere uno sviluppo non strettamente lineare o proporzionale (come normalmente avviene).
Ferma restando la necessaria individuazione dei costi recurring (su cui v. amplius infra), se il contratto non prevede e chiarisce anticipatamente quali costi saranno di volta in volta sostenuti dall’intermediario e quindi addebitati al cliente (e di conseguenza, se non ancora maturati per effetto della estinzione anticipata, ripetibili dal finanziato), il criterio di rimborso deve – e non può che essere – esattamente proporzionale, dimodochè l’importo complessivo delle voci recurring viene suddiviso per il numero complessivo delle rate e poi moltiplicato per il numero delle rate residue. In altri termini, in difetto di una precisa e scadenzata preventivazione contrattuale dei costi (come avviene invece per gli interessi corrispettivi) deve ritenersi che le commissioni bancarie/finanziarie pagate anticipatamente per remunerare costi continuativi siano state quantificate in un ammontare globale in ragione della durata normale del rapporto e secondo un criterio rigidamente proporzionale con riguardo a ciascuna rata: in mancanza di una diversa indicazione, deve, infatti, presumersi che i costi recurring abbiano un andamento (sviluppo) «costante in pendenza di rapporto», in quanto normalmente «il tempo e le energie dedicate al loro svolgimento è indipendente dall’ammontare delle somme amministrate ed è piuttosto correlato alle complicazioni della normativa che si deve applicare, sicché anche diminuendo l’ammontare complessivo del prestito amministrato i costi recurring non variano e non ha alcun senso imputare diversamente nel tempo il loro ammontare» (Collegio di Coordinamento, decisione n. 6167/2014). Di conseguenza, in mancanza di diverse
previsioni di legge e di specifiche indicazioni negoziali sulla maturazione dei costi nel corso del rapporto, tali da consentire una distinzione tra le attività effettivamente prestate e quelle ancora da prestare, l’estinzione anticipata del contratto deve consentire al consumatore di ottenere il rimborso dei costi secondo un criterio rigorosamente proporzionale e non secondo diverse formule (ancorché concordate contrattualmente) che abbiano l’effetto di far conseguire al consumatore una restituzione inferiore a quella che gli spetterebbe secondo il criterio lineare.
Qualora, invece, le parti, nell’esercizio della loro autonomia, abbiano previsto costi continuativi (recurring) in misura differenziata per ogni frazione di tempo della durata complessiva del rapporto, il criterio di recupero degli esborsi sopportati per remunerare tali costi a seguito della estinzione anticipata del finanziamento, ancorché non esattamente proporzionale, sarebbe sempre conforme al criterio di competenza economica (pro rata temporis), dato che il rimborso avverrebbe comunque secondo la quota dei costi «dovuti» tempo per tempo maturati.
In conclusione, le parti sono libere di determinare i futuri costi recurring e la loro distribuzione nel corso del tempo, ma non la quota di quei costi oggetto di rimborso in caso di estinzione anticipata del finanziamento, la cui determinazione è, in ogni caso, regolata dal principio di competenza economica, da intendersi quale criterio legale di rimborso ex art. 125-sexies TUB (cfr. la Comunicazione della Banca d’Italia n. 304921/11 del 7 aprile 2011 («è necessario sia applicato correttamente il principio di competenza economica nella rilevazione delle commissioni percepite in relazione all’operatività in CQS, distinguendo quelle che maturano in ragione del tempo (c.d. recurring), da rilevare pro quota temporis, dalle altre, da rilevare quando percepite»).
Così inteso, il criterio pro rata temporis non è solo il più «logico», ma trova sempre necessaria applicazione indipendentemente dalla sua integrazione con norme secondarie; solo il principio di stretta proporzionalità che vi è normalmente sotteso può essere contrattualmente derogato, nel caso in cui sia anticipatamente concordata e stabilita la quota (differenziata nel tempo) di commissioni recurring in maturazione riferibili ad ogni rata, dovendo sempre applicarsi la regola che tutte le commissioni continuative, pagate in anticipo al momento di conclusione del contratto, devono poi essere rimborsate al consumatore per le quote imputabili alla rate non maturate (competenza economica).
Ciò chiarito, ancorché l’ordinanza di rimessione sottoponga al Collegio unicamente la questione relativa alla quantificazione della quota parte dei premi assicurativi dovuta al cliente in caso di estinzione anticipata del contratto di finanziamento, paiono utili alcune ulteriori considerazioni anche con riferimento al rimborso delle commissioni finanziarie e accessorie, in ragione, in particolare, delle specificità presentate dal contratto di finanziamento oggetto del ricorso e sulle quali il Collegio di Coordinamento non ha avuto modo, quanto meno direttamente, di pronunciarsi.
La descrizione delle voci di costo del finanziamento e delle relative condizioni di rimborso risulta la seguente:
In merito, l’orientamento dei Collegi territoriali – pur non essendo mancate posizioni difformi (v. infra) – è ormai costante nel ritenere tali previsioni insufficienti: le «attività destinate a esaurirsi nella fase istruttoria del rapporto devono essere esplicitamente descritte nei documenti relativi alle trattative e nel contratto in modo chiaro e comprensibile (…) e corrispondere a prestazioni effettivamente compiute per le quali sussista un rapporto causale fra opera prestata e corrispettivo, risultando ingiustificata e contraria alle regole di trasparenza la pretesa di individuarne l’ammontare in base a improbabili criteri percentuali» (v. Collegio di Roma, decisioni n. 5657/2014; n. 7547/2015; conformi tra le molte Collegio di Milano, decisioni n. 9129/2015; n. 8182/2015; Collegio di Napoli, decisione 6840/2015).
Contrariamente a quanto ritenuto dai Collegi territoriali, l’intermediario resistente contesta che il contratto di finanziamento distingua, in realtà, chiaramente tra i costi sostenuti dal cliente la quota up front da quella recurring, considerato che la disciplina in materia di trasparenza non vieta che tale distinzione venga realizzata per tramite dell’indicazione di una quota percentuale dei costi totali, non richiedendo «alcuna descrizione dettagliata delle singole attività, tanto più ove si tratti di attività finanche normativamente tipizzate», richiamando, infine, a supporto una decisione del Collegio di Milano – rimasta isolata tra le decisioni dello stesso Collegio territoriale intervenute sul tema – secondo cui «il testo del contratto [è] sufficientemente chiaro nel distinguere quale quota-parte degli oneri debba reputarsi up-front e quale recurring. Le clausole, inoltre, non sembrano avere finalità elusive del precetto di legge che impone la restituzione degli oneri non goduti (finalità elusiva che si avrebbe nel caso in cui le clausole cercassero di camuffare come up-front costi che sono all’evidenza recurring)» (decisione n. 7112/2014).
Questo Xxxxxxxx non ritiene di condividere tale posizione.
La chiara distinzione tra costi c.d. up front e recurring risponde, anzitutto, ad una esigenza di trasparenza delle disposizioni negoziali prescritta dalla normativa di riferimento (Disposizioni di Vigilanza del 29 luglio 2009 e s.m.i. – Trasparenza delle operazioni e dei servizi bancari e finanziari. Correttezza delle relazioni tra intermediario e clienti) e, prima ancora, alla necessità che le prestazioni oggetto del contratto e il relativo titolo siano determinati o determinabili (art. 1346 c.c.). Se le parti sono certamente libere di stabilire la misura del corrispettivo per le prestazioni rese (nonché la ripartizione e distribuzione del corrispettivo pattuito fra le diverse attività prestate) senza la possibilità di alcun sindacato ab externo da parte del giudice, esse hanno, tuttavia, l’onere di stabilire ex ante l’oggetto del contratto – e, quindi, le rispettive prestazioni e obbligazioni – e, segnatamente per quanto qui più rileva, l’esatta corrispondenza tra prestazione pecuniaria e controprestazione bancaria: il nesso tra prestazione pecuniaria e controprestazione bancaria assume, di fatti, rilevanza causale, sicché ogni attribuzione pecuniaria (interessi e costi del finanziamento) trova causa nella corrispondente controprestazione bancaria, ossia nel servizio (complessivamente) reso dall’intermediario. Così come avviene per gli interessi corrispettivi, i costi del finanziamento – sia quelli addebitati per la conclusione del contratto (up front), sia quelli dovuti alla successiva esecuzione del contratto (recurring) – devono essere esattamente indicati al momento della conclusione del contratto (art. 1346 c.c.).
Come già evidenziato da questo Collegio (decisione n. 6167/2014), le disposizioni di
vigilanza in materia di trasparenza chiariscono, in particolare, che «Nei contratti di credito con cessione del quinto dello stipendio o della pensione e nelle fattispecie assimilate, le modalità di calcolo della riduzione del costo totale del credito a cui il consumatore ha diritto in caso di estinzione includono l’indicazione degli oneri che maturano nel corso del rapporto e che devono quindi essere restituiti per la parte non maturata, dal finanziatore o da terzi, al consumatore se questi li ha corrisposti anticipatamente al finanziatore» (sez. VII, § 5.2.1, nota 1). La trasparenza richiesta per l’indicazione delle commissioni finanziarie e accessorie e per la definizione della corrispondente natura (up front o recurring) non si limita, tuttavia, semplicemente alla sola individuazione dell’importo riconosciuto al cliente in sede di estinzione anticipata ai sensi dell’art. 125-sexies TUB. E’, infatti, agevole osservare che se la finalità perseguita dal legislatore fosse unicamente quella di chiarire ex ante l’importo oggetto di eventuale rimborso in favore del cliente, dovrebbero ritenersi, per coerenza, valide ed efficaci anche quelle previsioni contrattuali che – con altrettanta chiarezza e trasparenza – stabiliscono che in caso di estinzione anticipata nulla è dovuto al cliente. Clausole il cui contrasto con il dettato dell’art. 125- sexies TUB è pacifico – come più volte ribadito dai Collegi – e che non può certamente essere messo nuovamente in discussione in questa sede.
Al riguardo, giova, del resto, osservare che le ‘Disposizioni di carattere generale’ della
disciplina sulla trasparenza bancaria richiedono che le previsioni negoziali siano redatte secondo modalità e criteri che rispettino, comunque, i principi di «correttezza»,
«completezza» e «comprensibilità delle informazioni», diretti a «consentire al cliente di capire le caratteristiche e i costi del servizio, confrontare con facilità i prodotti, adottare decisioni ponderate e consapevoli» (Disposizioni di Vigilanza, Sez. I, § 1.3); principi più recentemente richiamati – proprio con riferimento a «prodotti composti» come quello ora in esame (v. ancora Disposizioni di Xxxxxxxxx, Sez. I, § 1.1) – nella lettera congiunta al mercato di Banca d’Italia e Ivass del 26 agosto 2015 (‘Polizze abbinate a finanziamenti. PPI – Payment Protection Insurance. Misure a tutela dei clienti’: «le politiche commerciali relative all’offerta contestuale, accanto a un contratto di finanziamento, di altri contratti, devono essere accompagnate da una serie di cautele particolari, adottando procedure organizzative e di controllo interno che assicurino, tra l’altro, nel continuo: la
comprensibilità per i clienti della struttura, delle caratteristiche e dei rischi tipicamente connessi con la combinazione dei prodotti offerti contestualmente; la corretta indicazione dei costi; il rispetto nelle procedure di commercializzazione dei principi di trasparenza e correttezza») e che inducono ad una valutazione e ad una applicazione della normativa in materia di trasparenza funzionale e strumentale agli interessi di volta in volta presidiati e tutelati.
La chiara distinzione tra costi up front e costi recurring non può, pertanto, ritenersi funzionale unicamente a consentire al cliente di avere contezza dell’importo dovutogli quale rimborso, rispetto al complesso dei costi sostenuti in sede di conclusione del contratto, in caso di estinzione anticipata del finanziamento; ma, come peraltro già puntualizzato da questo Collegio, è anche – e soprattutto – finalizzata a garantire allo stesso cliente di comprendere «quale sia l’esatta attività svolta dall’agente-mediatore [o, evidentemente, anche da altro soggetto intervenuto nell’operazione] e se essa abbia carattere esclusivamente preliminare o se essa si svolga continuativamente» (decisione n. 6167/2014).
Prima ancora che da ragioni di trasparenza, la necessità di una chiara descrizione dei costi preliminari e di quelli maturati nel corso della vita del rapporto discende, quindi, proprio dal diritto al rimborso delle prestazioni non maturate per la vita residua del contratto ai sensi dell’art. 125-sexies TUB. Il pieno ed effettivo esercizio del diritto all’estinzione anticipata del finanziamento e alla «riduzione del costo totale del credito, pari all’importo degli interessi e dei costi dovuti per la vita residua del contratto» (art. 125- sexies TUB) presuppone, infatti, la preventiva e distinta indicazione dei costi sopportati dal cliente per le attività preliminari alla conclusione del contratto (up front) e per la successiva gestione del contratto (recurring), con modalità tali da consentire al consumatore (e al giudice) di verificare ex ante l’effettiva corrispondenza tra le attività prestate (e che saranno prestate) dall’intermediario (e dagli altri soggetti solitamente coinvolti nell’operazione di finanziamento), da un lato, e la natura alle stesse attribuita nel contratto, dall’altro lato. Occorre, pertanto, che la distinzione tra costi up front e costi recurring si accompagni necessariamente ad una, seppur sintetica, indicazione delle caratteristiche oggettive delle voci di costo, tale da consentire al cliente (e al giudice) di individuare (e, nel caso, riqualificare) la natura dei costi indicati, indipendentemente dal nomen juris impiegato. La mancanza di alcuna indicazione sulle caratteristiche obiettive delle attività corrispondenti alle voci di costo impedisce, infatti, ogni verifica sulla effettiva natura dei costi anticipatamente sostenuti dal cliente, precludendo anche quel controllo sulla eventuale «finalità elusiva che si avrebbe nel caso in cui le clausole cercassero di camuffare come up-front costi che sono all’evidenza recurring», confermato dalla stessa decisione richiamata dall’intermediario resistente (Collegio di Milano decisione n. 7112/2014). L’impossibilità oggettiva di procedere ad alcuna verifica sulla natura e la tipologia delle attività prestate non consente di escludere, in definitiva, l’eventualità che, per effetto di una indicazione non adeguata e, pertanto, opaca delle voci di costo, possano essere trattenuti corrispettivi di servizi e attività, in realtà, non erogati, in violazione di quanto previsto dall’art. 125-sexies TUB, che attribuisce al consumatore il diritto di ricevere, in ogni caso, una riduzione del costo totale del credito «pari all’importo (…) dei costi dovuti per la vita residua del contratto».
Venendo, nello specifico, alla valutazione del contratto di finanziamento concluso dalla
ricorrente sulla base dei principi sin qui delineati, la descrizione delle commissioni oggetto di contestazione presente nel medesimo contratto – che si limita, in realtà, ad indicare unicamente il soggetto percettore delle relative commissioni – appare del tutto generica, senza alcun elemento idoneo per una differenziazione tra costi up front e recurring; fatta eccezione per la quota percentuale unilateralmente indicata dall’intermediario, che, invero,
nulla dice sulla natura dei costi corrispondenti, escludendo, quindi, ogni possibilità di verifica da parte del cliente anche sulla stessa effettiva erogazione delle attività corrispondenti ai costi sostenuti. L’indicazione di una misura percentuale in base alla quale calcolare poi, secondo il criterio pro rata temporis, l’importo dovuto al cliente in sede di estinzione anticipata ai sensi dell’art. 125-sexies TUB nulla dice, infatti, sulle caratteristiche obiettive delle attività prestate e sulla corrispondente natura (up front o recurring), potendo al più costituire un criterio di ripartizione e di distribuzione dei costi complessivamente sostenuti dal cliente, sulla base, tuttavia, di una preliminare distinzione tra le diverse voci di costo (up front e recurring). Più chiaramente: se, in assenza di ulteriori indicazioni, il ricorso a criteri percentuali non è di per sé solo sufficiente a delineare e individuare il «rapporto causale fra opera prestata e corrispettivo» (v. le già richiamate decisioni dei Collegi territoriali), ciò non esclude, tuttavia, che, laddove in una medesima voce di costo siano raggruppate più attività chiaramente e oggettivamente individuate come up front e recurring, la ripartizione del costo complessivo secondo una misura percentuale possa integrare e consentire una distinzione tra le diverse attività, pur accomunate nella stessa voce, da ritenersi altrimenti opaca.
Può, pertanto, ritenersi valida la quantificazione negoziale dei costi recurring addebitati al
cliente in una percentuale del costo globale delle commissioni, a condizione, però, che nel contratto siano chiaramente indicate, sia pure in forma sintetica, le prestazioni continuative correlate a quella percentuale, con modalità e termini tali da consentire al cliente di verificarne l’effettiva natura preliminare o continuativa.
Diversamente da quanto eccepito dall’intermediario resistente, a sostegno della adeguata descrizione e distinzione delle voci di costo oggetto di contestazione non depone la circostanza che alcune delle commissioni ora in esame si riferiscono a soggetti (l’«agente» o l’intermediario del credito ex art. 121, primo comma, lett. h), TUB) che tipicamente svolgerebbero attività di natura normalmente up front; e ciò non soltanto per la evidente considerazione per cui agli intermediari del credito, così come anche agli altri soggetti della rete distributiva che solitamente intervengono nelle operazioni qui in discussione (mediatori/agenti), non è precluso l’esercizio anche di attività c.d. recurring, quanto, soprattutto, perché, nel caso di specie, è lo stesso contratto di finanziamento a confermare la natura recurring di parte delle attività così svolte e, di conseguenza, la necessità – non soltanto di quantificare i relativi costi, ma anche – di definire quali siano le attività up front e quelle recurring.
Né, per converso, potrebbe concludersi – come ancora prospettato dall’intermediario
resistente – per la natura interamente up front dei costi (genericamente) indicati nel contratto (costi «tutti up front»), con la conseguenza di valutare il rimborso operato sulla base della misura percentuale indicata come un «trattamento di maggior favore» per il cliente (come pacificamente consentito dall’art. 127, secondo comma, TUB). E ciò sia perché, in assenza di chiare e precise indicazioni, una simile lettura contrasterebbe frontalmente con le previsioni di cui agli artt. 1370 c.c. e 35, secondo xxxxx, cod. cons., che non consentono che uno stato di (oggettiva) incertezza sulla interpretazione delle disposizioni contrattuali possa tradursi in un trattamento (anche solo potenzialmente) più sfavorevole per il cliente-consumatore (che potrebbe non vedersi riconosciuto il rimborso di parte dei costi indebitamente trattenuti dall’intermediario); sia perché è, in realtà, lo stesso intermediario resistente a riconoscere l’effettiva natura recurring di parte delle voci di costo indicate («risulta distintivamente indicata l’effettiva quota recurring per ciascuna di tali voci di costo»), anche di quelle svolte dall’«agente/intermediario», così contraddicendo l’esclusiva natura up front delle stesse.
Inoltre, aderendo all’impostazione propugnata dall’intermediario resistente, per cui la natura delle attività svolte sarebbe desumibile dalla qualificazione del soggetto percettore
delle relative commissioni, non sarebbe, del resto, possibile distinguere, in ogni caso, le attività prestate dall’«agente/intermediario» da quelle, invece, prestate dall’«intermediario incaricato dal Cessionario», entrambe ritenute dall’intermediario tipicamente up front. Prima ancora che un problema di corretta e completa trasparenza, la generica formulazione delle voci di commissioni contestate, tale da rendere le stesse inidonee ad esprimere la propria funzione, porrebbe, pertanto, un problema di titolo (causa) degli importi corrispondenti alle stesse commissioni, come talora già segnalato proprio con riferimento al modello negoziale ora in esame dai Collegi territoriali, sulla base di considerazioni qui integralmente condivise: «Con specifico riguardo alle commissioni previste in favore dell’agente/intermediario, inoltre, non vi è prova di un’effettiva attività di intermediazione svolta da altro soggetto, ulteriore rispetto a quella svolta dall’intermediario convenuto» (Collegio Roma, decisioni n. 7547/2015; n. 5657/2014). La mancata descrizione, anche solo sintetica, delle prestazioni remunerate dalle commissioni «dovute [all’ausiliario del finanziatore], quale intermediario incaricato dal Cessionario» e di quelle remunerate, invece, dalle «Provvigioni all’agente / intermediario ex Art. 106 TUB» comporta la possibilità di una (totale o parziale) sovrapposizione delle attività prestate e corrispondenti alle stesse voci (che possono venire così a remunerare, in tutto o in parte, le medesime attività), con la conseguenza di determinare l’illegittimità di entrambe le spese. E ciò sia nell’ipotesi in cui le attività corrispondenti siano state eseguite da uno soltanto dei due soggetti, risultando comunque priva di giustificazione una delle due relative attribuzioni patrimoniali; sia nell’ipotesi in cui le attività siano state effettuate da entrambi i soggetti, dovendosi ritenere immeritevoli le clausole negoziali che pongano a carico del cliente una ingiustificata e non necessaria duplicazione di costi. Illegittimità che, tuttavia, nel caso in esame non viene in rilievo ai fini del decidere, considerati la causa petendi e il petitum delle richieste formulate dalla ricorrente, limitati ad un rimborso pro quota, secondo il criterio pro rata temporis, dei costi corrispondenti alle commissioni oggetto di contestazione.
Conformemente all’orientamento costante dei Collegi territoriali, in assenza di una chiara
ripartizione nel contratto tra oneri up front e recurring non può che essere preso in considerazione l’intero importo di ciascuna delle voci di costo oggetto di contestazione al fine della individuazione della quota parte oggetto di rimborso in caso di estinzione anticipata del finanziamento, dovendosi, conseguentemente, ritenere nulle e prive di effetti quelle clausole che limitano il rimborso pro quota delle commissioni e degli oneri accessori (recurring) alla sola percentuale indicata, in violazione di quanto previsto dall’art. 125- sexies TUB, – secondo cui l’importo dovuto è «pari» ai «costi dovuti per la vita residua del contratto» – della cui natura imperativa, ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 1418, primo comma, c.c., non è possibile dubitare (come chiaramente confermato anche dall’art. 127, secondo xxxxx, TUB).
Tornando, invece, alla questione più specificamente sottoposta all’esame del Collegio dall’ordinanza di rimessione e relativa alla determinazione della quota parte del premio assicurativo oggetto di rimborso, a tale proposito, sulla base della constatazione che la quota di premi assicurativi imputabile alle rate di mutuo non ancora scadute risente dell’andamento decrescente nel tempo del rischio assicurato (o, più correttamente, della significatività dell’evento negativo connesso al rischio, tipicamente il rischio vita e il rischio perdita dell’impiego), il Collegio di Coordinamento con la ricordata decisione n. 6167/2014 ha osservato che «In riferimento al premio assicurativo può quindi darsi rilevanza all’ammontare del rischio assunto dall’assicuratore, che è variabile nel tempo, mano a mano che procede l’esecuzione del piano di rimborso. Di per sé quindi non sarebbe illegittimo, né irrazionale, ponderare il rimborso della quota parte del premio anche in funzione del capitale residuo assicurato [come espressamente richiesto sia dall’art. art. 49
del Reg. Isvap n. 35/2010, sia dall’art. 22, comma 15-quater, d.l. n. 179/2012], che nel caso di finanziamenti assistiti da piano di ammortamento è normalmente decrescente, purché il criterio di calcolo sia chiarito ex ante».
Per quanto qui rileva, le clausole contrattuali predisposte dall’intermediario resistente espressamente stabiliscono per la polizza vita un importo massimo ristorabile al cliente pari al 70% della quota parte del premio versato, calcolata secondo il criterio pro rata temporis: «70% di PN x (Rt – Rg) / Rt» (dove «PN è il premio netto, Rg è il numero di rate già versate, Rt è il numero di rate totali»); formula sostanzialmente corrispondente a quella riprodotta nelle «Condizioni di assicurazione» del fascicolo informativo («P x [ (N – K) / N] x 0,70», dove «P: premio imponibile anticipato corrisposto»; «N: durata originaria della copertura assicurativa espressa in mesi interi»; «K: durata del periodo di copertura assicurativa goduta espressa in mesi interi»), con una decurtazione, quindi, nella misura del 30% della quota parte oggetto del rimborso, come evidenziato anche nell’ordinanza di rimessione («laddove il cliente provvedesse al rimborso anticipato del finanziamento il giorno stesso in cui gli è stato erogato, subirebbe la perdita secca del 30% del premio assicurativo anticipatamente corrisposto»).
Con riferimento, invece, alla polizza rischio impiego, le condizioni generali di polizza
xxxxxxxxx che – quali «spese amministrative effettivamente sostenute per l’emissione del contratto e per il rimborso del premio» (art. 22, comma 15-quinquies, d.l. n. 179/2012) –
«Restano acquisite dalla Società le spese di rimborso del Premio non Goduto per un importo pari a Euro 50,00 oltre all’importo delle spese di emissione della Polizza indicate nella Proposta e nella Polizza», che ammontano a Euro 60,00.
Per il rimborso del premio assicurativo, mentre per la quota parte dei caricamenti – individuata nella misura del 30% del premio – è indicato un criterio di rimborso pro rata temporis del tutto conforme a quanto richiesto dall’art. 49 del Reg. Isvap n. 35/2010, per la quota parte del premio puro è previsto, invece, un correttivo al criterio pro rata temporis, per effetto del quale il rimborso è ponderato per il seguente rapporto: «[T x (T+1)] / [N x (N+1)]» (dove T è il numero di rate residue del piano di ammortamento, mentre N è il numero di quelle complessive).
Sulla legittimità delle previsioni negoziali ora richiamate (o di previsioni comunque analoghe) l’orientamento dei Collegi territoriali non è uniforme.
Ponendo l’accento sulla necessità della (sola) predeterminazione ex ante del criterio di calcolo della quota parte del premio assicurativo oggetto di rimborso, il Collegio di Napoli ha in più occasioni chiarito, «a tale riguardo, che il criterio proporzionale è mero criterio di default (o suppletivo) al quale fare riferimento in assenza di diversa metodologia di calcolo; che la questione sul merito del criterio adottato sfugge alla competenza di questo Collegio per riguardare la intrinseca legittimità o no di clausole del contratto di assicurazione; che la decisione del Collegio di coordinamento n. 6167/2014 ha precisato che la determinazione dell’importo offerto in restituzione a opera dell’impresa di assicurazioni in applicazione di un criterio diverso da quello proporzionale è legittima a condizione che il criterio di calcolo sia chiarito ex ante» (si vedano, tra le molte, decisioni n. 451/2016; n. 4920/2015; n. 6838/2015; n. 4920/2015).
Difforme è, invece, la posizione assunta dal Collegio di Milano che non si sottrae ad una valutazione di merito e di conformità delle previsioni negoziali ai criteri dettati dall’art. 49 del Reg. Isvap n. 35/2010 e dall’art. 22, comma 15-quater e quinquies, d.l. n. 179/2012. Sulla base dei principi espressi dal Collegio di Coordinamento (decisione n. 6167/2014),
«il Collegio non può che evidenziare come: i) la formula indicata nella polizza assicurativa e richiamata dall’intermediario resistente non sia sufficientemente chiara e, quindi, idonea a garantirne la corrispondenza al dato normativo sopra richiamato e soddisfare l’esigenza di trasparenza segnalata dal Collegio di Coordinamento; trasparenza che non può essere
meramente formale, ma effettiva ovvero idonea a consentirne al contraente una piena e adeguata comprensione delle condizioni negoziali; ii) le ‘spese amministrative’ detratte secondo la formula richiamata non paiano soddisfare i requisiti richiesti dall’art. 22, comma 15-quinquies, d.l. n. 179/2012. La determinazione secondo una misura percentuale (30%) del ‘Premio Netto’, da un lato, mette, infatti, in discussione che tali spese possano considerarsi ‘spese amministrative effettivamente sostenute per l'emissione del contratto e per il rimborso del premio’; dall’altro lato, la determinazione ex post delle stesse spese in ragione del momento dell’estinzione anticipata del rapporto e in misura variabile, non può ritenersi certamente idonea a garantire l’indicazione delle spese ex ante richiesta dalla normativa sopra richiamata e in misura tale da non ‘costituire un limite alla portabilità dei mutui/finanziamenti ovvero un onere ingiustificato in caso di rimborso’ (22, comma 15- quinquies d.l. n. 179/2012). In riferimento, invece, alla polizza relativa al rischio perdita di impiego, il Collegio rileva, anzitutto, come il contratto sottoscritto dal ricorrente preveda, conformemente alle previsioni sopra richiamate dell’art. 22, comma 15-quinquies, d.l. n. 179/2012, l’indicazione delle spese amministrative trattenute dall’impresa assicurativa in caso di estinzione anticipata, quantificate in Euro 50,00. Per quanto riguarda, invece, le modalità di calcolo della quota parte del premio assicurativo oggetto di rimborso in caso di estinzione anticipata, sulla base della documentazione contrattuale prodotta dallo stesso intermediario risulta evidente come l’indicazione della formula menzionata dall’intermediario resistente (‘RI = 70% di PN x [Rr x (Rr+1)]/[Rt x (Rt+1)]’) nel prospetto di sintesi del contratto di finanziamento sia parziale, riferendosi soltanto alla quota parte del rimborso relativa al ‘premio puro’ (‘PN x 0,70’). Dalla lettura del contratto di assicurazione prodotto dall’intermediario, emerge, infatti, che la residua quota del 30% relativa ai caricamenti (‘PN x 0,30’) è oggetto di rimborso secondo la seguente formula: ‘(PN x 0,30) / N x T’, dove N rappresenta il numero di rate mensili totali del piano di ammortamento e T il numero di rate residue.
Al riguardo, se la formula relativa al rimborso della quota parte relativa ai caricamenti
risulta in linea con il principio pro rata temporis e con i criteri dettati dal d.l. n. 179/2012 (e dal Regolamento ISVAP n. 35/2010), non altrettanto può dirsi per la formula relativa al premio puro», che «determina una non comprensibile ulteriore decurtazione della quota parte oggetto di rimborso, per effetto della moltiplicazione del denominatore di riferimento di un valore corrispondente al numero totale delle rate del piano di ammortamento (‘Rt’) incrementate di una unità, il cui effetto è solo in minima parte bilanciato dalla moltiplicazione del numeratore di riferimento per il numero totale delle rate residue del piano di ammortamento (‘Rr’) incrementate di un’unità» (decisioni n. 8182/2015; n. 9129/2015).
In termini analoghi pare porsi anche il Collegio di Roma. Sebbene il Collegio non si sia espressamente pronunciato sulla competenza dell’Arbitro a valutare la conformità del criterio negoziale al quadro normativo di riferimento, limitandosi a confermare la natura residuale del criterio pro rata temporis per il rimborso della quota parte del premio assicurativo e la necessità che l’eventuale differente criterio deve «essere chiarito ex ante» (decisioni n. 7547/2015; n. 8137/2015), l’ordinanza di rimessione dello stesso Collegio territoriale mostra, tuttavia, di aderire «integralmente» alle considerazioni del Collegio di Milano sopra richiamate: «tali clausole contrattuali stabiliscono surrettiziamente una penale di anticipata estinzione del finanziamento, la quale è indubbiamente contraria a quanto statuito dall’art. 125-sexies, 1° comma, t.u.b., il quale impone anzi di assicurare al cliente ‘una riduzione del costo totale del credito’. D’altro canto, la quantificazione di un importo massimo del 70% rimborsabile al cliente e sul quale applicare il suddetto criterio non ha nulla a che vedere con quel ‘rimborso della quota parte del premio anche in funzione del capitale residuo assicurato’, che era stato indicato nella suddetta decisione
del Collegio di coordinamento come alternativo al criterio c.d. pro rata temporis. (…) Quindi, la parte di premio assicurativo che è imputabile a un rischio non più sussistente deve essere senz’altro restituita al cliente che l’abbia anticipatamente corrisposta all’intermediario. Xxxx è che, secondo quanto deciso dal Collegio di coordinamento, tale parte di premio assicurativo può essere quantificata secondo il criterio pro rata temporis ovvero in proporzione del capitale residuo assicurato, ma ciò deve avvenire partendo dall’intero importo a tale titolo pagato dal cliente».
Sulla base del quadro così riassunto, il contrasto tra le posizioni assunte dai Collegi territoriali non appare assoluto, ma circoscritto alla sola possibilità (competenza) dell’Arbitro di valutare la conformità delle previsioni negoziali relative alla determinazione del rimborso al quadro normativo di riferimento. Più chiaramente, non emerge un contrasto diretto in merito alla valutazione dei criteri di determinazione della quota parte del premio assicurativo oggetto di rimborso previsti dalle condizioni di polizza; valutazione, di fatto, assente nelle decisioni del Collegio di Napoli sopra richiamate.
Ciò detto, paiono utili alcune ulteriori considerazioni. L’art. 22, comma 15-quater, d.lgs. 179/2012 sopra richiamato – che riprende parte delle previsioni del precedente art. 49 del Reg. Isvap n. 35/2010 – introduce, limitatamente al premio puro, un correttivo al criterio pro rata temporis (nella sua applicazione strettamente proporzionale) «in funzione (…) del capitale assicurato residuo», così individuando un criterio di rimborso del premio assicurativo che, pur sempre conforme al principio della competenza economica impiegato per la definizione della quota di rimborso delle commissioni e degli oneri accessori, risulta declinato secondo le specificità proprie del prodotto assicurativo. Il comma 15-septies del medesimo articolo – a differenza del precedente Reg. Isvap n. 35/2010 (art. 56) – estende l’applicazione del criterio sopra individuato «a tutti i contratti, compresi quelli commercializzati precedentemente alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto». Ancorché l’applicazione retroattiva sia circoscritta al solo premio puro (art. 22, comma 15-septies, d.lgs. 179/2012), il quadro normativo di riferimento resta comunque quello definito già dall’art. 49 del Reg. Isvap n. 35/2010 (come confermato anche dal successivo Reg. Isvap n. 40/2012, art. 1, lett. l), non potendosi dubitare dell’applicazione del criterio pro rata temporis (rigidamente proporzionale) ai caricamenti, quale applicazione, appunto, del più generale principio di competenza economica.
Alla luce del quadro normativo brevemente delineato, può pertanto concludersi che,
indipendentemente dal momento in cui il contratto di assicurazione sia stato concluso, in termini generali il contraente/assicurato non può pretendere un rimborso secondo il criterio pro rata temporis rigidamente proporzionale (fatta eccezione per i caricamenti), ma sulla base del criterio indicato dall’art. 22, comma 15-quater d.lgs. n. 179/2012, per tutti «tutti i contratti» ancora in essere; fermo restando che, in assenza delle condizioni oggettive per l’applicazione del criterio di legge così individuato (i.e., una chiara distinzione tra premio puro e caricamenti), non potrà che trovare applicazione, in via residuale, il criterio pro rata temporis strettamente lineare.
Prevedendo una riduzione (ponderazione) dell’importo oggetto di rimborso in funzione del rapporto tra capitale (debito) assicurato residuo e capitale (debito) assicurato iniziale, l’art. 22, comma 15-quater d.lgs. n. 179/2012 conferma, esplicitandolo, il rilievo che è (naturalmente) riconosciuto all’andamento del rischio assicurato (e, quindi, della controprestazione assicurativa) nel corso del rapporto (come chiarito anche dagli artt. 122, terzo comma, 171, lett. a), e 177, terzo comma, c.a.p.), delineando i principi ai quali le imprese assicurative devono attenersi nel precisare (nell’esercizio dell’autonomia contrattuale loro riconosciuta) le condizioni contrattuali e «i criteri e le modalità per la definizione del rimborso» (art. 49 Reg. 35/2010; art. 22, comma 15-quinquies d.lgs. n. 179/2012). Al fine di tenere conto anche degli altri fattori idonei ad incidere sul rischio
assicurato e, in definitiva, sulla distribuzione del premio assicurativo nel corso dell’intera vita del contratto, le imprese assicurative possono così prevedere sia l’individuazione della unità temporale utilizzata per il calcolo della «frazione di anno», che, in ipotesi, può differire da quella mensile presa a riferimento dai Collegi nella applicazione del criterio pro rata temporis; sia, soprattutto, esplicitare l’applicazione di eventuali correttivi di ponderazione/distribuzione del rischio assicurato, con particolare riferimento al rischio vita che nel corso del rapporto è, evidentemente, destinato ad aumentare (fermo restando che, nel suo ammontare complessivo, l’andamento del debito residuo assicurato – ovvero la significatività del rischio assicurato – è chiaramente legato al piano di ammortamento del contratto di finanziamento).
Sulla base delle considerazioni che precedono e come peraltro già segnalato da questo Collegio (decisione 6167/2014), emerge evidente che il rilievo riconosciuto all’ammontare del capitale assicurato – e, più in generale, all’andamento del rischio nel corso del rapporto – nella determinazione della quota parte del premio assicurativo oggetto di rimborso impone valutazioni e calcoli di complessità tale da poterne mettere in dubbio l’efficienza; e ciò soprattutto per la copertura relativa al rischio vita, laddove il naturale incremento del rischio assicurato produce un effetto inverso a quello della progressiva riduzione del capitale assicurato nel corso del tempo. Al riguardo, è significativo che proprio per l’ipotesi della polizza vita, in cui la corretta individuazione dell’andamento del rischio e della sua distribuzione nel corso del tempo risulta più complessa in quanto l’effetto dovuto alla progressiva riduzione della significatività dell’evento negativo associato al rischio assicurato (i.e. il capitale/debito assicurato residuo) è controbilanciato da quello derivante dall’aumento dello stesso rischio assicurato (i.e. il rischio vita), il contratto preveda – fatta salva la decurtazione di una aliquota del 30% – l’applicazione del criterio pro rata temporis, così superando i possibili problemi in termini di efficienza sopra segnalati.
Anche in considerazione dei margini di discrezionalità concessi alle imprese assicurative
nella previsione dei criteri di misurazione del rimborso dovuto (che si traducono, di fatto, nella diversa ponderazione e distribuzione del rischio assicurato anche sulla base della sua evoluzione nel corso del tempo e della durata del rapporto contrattuale), l’accertamento della conformità ai criteri indicati dall’art 22, comma 15-quater d.l. n. 179/2012 e dall’art. 49 del Reg. Isvap n. 35/2010 richiede, pertanto, valutazioni e verifiche che, in quanto incentrate sulla definizione di una delle prestazioni comunque oggetto del contratto di assicurazione (pur collegato a quello di finanziamento) e, conseguentemente, sulla sua corretta interpretazione ed esecuzione, attengono a profili strettamente assicurativi, sottratti, in quanto tali, alla competenza dell’Arbitro, come definita dalle Disposizioni sui sistemi di risoluzione stragiudiziale delle controversie in materia di operazioni e servizi bancari e finanziari di Banca d’Italia (Sez. I, § 4).
Mentre la mancata indicazione tout court di alcun criterio di calcolo, alternativo a quello pro rata temporis, pone un problema di trasparenza delle condizioni contrattuali e, in particolare, di quelle relative ad uno dei costi del contratto di finanziamento, così rientrando nei confini della competenza per materia propria dell’Arbitro; la valutazione della congruità del criterio di calcolo indicato e chiarito ex ante nel contratto di assicurazione attiene, diversamente, all’interpretazione e all’applicazione di una disciplina
– l’art. 22 della Sezione VIII del d.l. n. 179/2015 («Assicurazioni, mutualità e mercato finanziario») e, prima ancora, l’art. 49 del Regolamento ISVAP n. 35/2010 – propria di un settore, quello assicurativo, che si pone oltre i confini della competenza di questo Collegio. La determinazione della correttezza del criterio di calcolo comunque individuato e chiarito ex ante in contratto implica lo sviluppo e l’elaborazione di verifiche che (come evidenziato) non possono prescindere dall’applicazione e dall’impiego di strumenti e principi di tecnica
e diritto delle assicurazioni; strumenti e principi che si pongono al di là della competenza propria dell’Arbitro. E’ del resto ormai consolidato tra i Collegi territoriali l’orientamento per cui se il rapporto di accessorietà che può intercorrere, come nel caso in esame, tra un contratto di assicurazione ed un contratto di finanziamento consente al Collegio una valutazione di merito, per converso la circostanza che ai fini della risoluzione della controversia sia necessario “entrare nel merito dei contenuti di una clausola contrattuale di natura assicurativa” esclude la competenza dell’Arbitro Bancario Finanziario (cfr. tra le molte Collegio di Milano, decisioni n. 1117/2011; n. 427/2012; n. 550/2014; n. 2723/2014; Collegio di Napoli, decisione n. 7616/2015).
Sulla base del principio così delineato e fatto già proprio da parte dei Collegi territoriali (Collegio di Napoli, decisioni n. 451/2016; n. 4920/2015; n. 6838/2015; n. 4920/2015), questo Collegio, accertata l’indicazione ex ante del criterio di calcolo alternativo a quello pro rata temporis, non può che limitarsi a verificare la corrispondenza degli importi calcolati dalle imprese assicurative a quelli dovuti secondo il medesimo criterio. Nel caso in esame, mentre l’importo confermato dall’intermediario resistente quale liquidazione della quota parte del premio della polizza perdita di impiego appare in linea con le indicazioni di polizza (essendo, anzi, riconosciuto alla ricorrente un importo di Euro 168,18 maggiore di quello dovuto), per quanto riguarda, invece, la determinazione della quota parte del premio della polizza vita sussiste un chiaro errore di calcolo, derivante dall’errato computo, da parte della impresa assicurativa, delle rate scadute pari a n. 34, anziché a n. 37; con la conseguenza che il rimborso dovuto alla ricorrente ammonta non a Euro 39,16 (come liquidato e versato dall’impresa assicurativa), ma a Euro 41,67 (= 100 x [(84 – 34) / 84] x 0,70). Non risultando in atti prova dell’avvenuto versamento da parte dell’impresa assicurativa dell’importo riconosciuto (Euro 168,18) per la polizza perdita di impiego, residua in favore della ricorrente un importo di Euro 170,69 (= 168,18 + 41,67 – 39,16).
Per quanto attiene, invece, alle commissioni dovute all’intermediario incaricato dal
cessionario (Euro 473,76) e alle provvigioni all’agente / intermediario ex Art. 106 TUB (Euro 205,60) oggetto di contestazione e da intendersi, per le ragioni sopra esaminate, integralmente quali costi recurring, l’importo dovuto secondo il criterio pro rata temporis risulta pari a Euro 702,00, da cui detrarre Euro 124,50, già rimborsati dall’intermediario resistente nel conteggio estintivo, per un importo residuo, quindi, pari a Euro 577,50.
Di conseguenza, l’importo complessivamente ancora dovuto alla ricorrente ammonta a Euro 748,19 (577,50 + 170,69), oltre interessi al tasso legale dal reclamo al saldo. Non può, invece, trovare accoglimento la richiesta di rifusione delle spese legali formulata dalla ricorrente, in assenza dei requisiti individuati dal Collegio di Coordinamento (decisione n. 3498 del 26 ottobre 2012), non risultando, tra l’altro, in atti prova dell’effettivo sostenimento del corrispondente onere da parte della ricorrente.
PER QUESTI MOTIVI
Il Collegio dispone che l’intermediario corrisponda alla parte ricorrente la somma di euro 748,19, oltre interessi legali dalla data del reclamo al saldo. Respinge nel resto. Dispone, inoltre, ai sensi della vigente normativa, che l’intermediario corrisponda alla Banca d’Italia la somma di Euro 200,00 (duecento/00) quale contributo alle spese della procedura e alla parte ricorrente quella di Euro 20,00 (venti/00) quale rimborso della somma versata alla presentazione del ricorso.
firma 1
IL PRESIDENTE