Obbligazioni
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SAGGI
Prescrizione, Verwirkung e buona fede, tra certezza del diritto e prospettive di riforma*
Xxxxxxxx Xxxxx Xxxxx**
Sommario: 1. La Verwirkung in un recente intervento della Suprema Corte: uso (ed abuso) delle clausole generali e ricerca «ad ogni costo» della «giustizia del caso concreto». – 2. Prescrizione, Verwirkung, buona fede e figure ad essa «collegate»: esigenza di «ordine» e di inquadramento sistematico degli istituti, in ossequio all’ineludibile certezza dei rapporti giuridici. – 3. La riforma della prescrizione in Germania ed in Francia, anche in relazione ai PECL ed al Draft Common Frame of Reference. – 4. La giurisprudenza evolutiva delle Corti europee in materia di prescrizione. – 5. Considerazioni conclusive.
L’a. analizza l’istituto tedesco della Verwirkung, la cui applicazione nel nostro ordinamento è stata, di recente, ammessa da una pronuncia della Suprema Corte. Tale sentenza, che costitu- isce uno spunto per l’analisi degli istituti coinvolti, viene criticata, per un uso improprio delle clausole generali, con particolare riferimento alla buona fede e all’abuso del diritto. Dopo una rigorosa analisi della funzione e della ratio degli istituti coinvolti, l’a. rileva che, anche alla luce – da un lato – delle riforme della prescrizione in ordinamenti stranieri tradizionalmente conside- rati «vicini al nostro» (e dei Principi di Soft Law in materia di prescrizione) e – dall’altro – della giurisprudenza delle Corti europee, la sentenza, da cui è partita l’indagine, sembra illustrare un “disagio” dell’interprete che, attraverso un utilizzo erroneo delle clausole generali, tenta una “modernizzazione” degli istituti tradizionali, al fine di «superare» le rigidità della prescrizio- ne, con un’affannosa ricerca della giustizia del caso concreto «a tutti i costi». Più opportuno e coerente con il sistema giuridico sembra invece prospettare una riforma dell’istituto della pre- scrizione, in linea con le esigenze contemporanee, ma anche nel pieno rispetto dell’ineludibile principio della certezza del diritto, anche al fine di un’armonizzazione comunitaria.
The author analyzes the German institution of the Verwirkung, whose application in our legal system was recently admitted by a ruling by the Supreme Court. This sentence, which constitutes a starting point for the analysis of the institutions involved, is criticized for im- proper use of the general clauses, with particular reference to good faith and abuse of law. After a rigorous analysis of the function and rationale of the institutions involved, the au- thor notes that, also in the light - on the one hand - of the reforms of the statute of limitations in traditional foreign legal systems considered “close to ours” (and of the Soft Law Princi- ples in the matter of prescription) and - on the other - of the jurisprudence of the European Courts, the sentence, from which the investigation started, seems to illustrate an “unease” of the interpreter who, through an erroneous use of the general clauses, try a “modernization” of traditional institutions, in order to “overcome” the rigidities of the prescription, with a frantic search for justice in the specific case “at all costs”. More appropriate and consistent with the legal system, on the other hand, it seems to envisage a reform of the statute of limitations, in line with contemporary needs, but also in compliance with the inescapable principle of legal certainty, also for the purpose of EU harmonization.
Parole chiave: Prescrizione - Verwirkung - Buona fede - Abuso del diritto - Prospettiva comunitaria - Limitation period - Verwirkung - Good faith - Abuse of law - EU perspective
* Contributo pubblicato all’esito di valutazione.
** Professore ordinario di Diritto privato, Università di Bari, xxxxxxxxxxxxx.xxxxx@xxxxx.xx.
1. La Verwirkung in un recente intervento della Suprema Corte: uso (ed abuso) delle clausole generali e ricerca «ad ogni costo» della «giustizia del caso concreto».
L’istituto della prescrizione, pur essendo una figura “classica” del nostro ordinamento (1), specie per la sua funzione di garanzia della certezza dei rapporti giu- ridici, non ha tradizionalmente interessato in modo particolare la dottrina civilistica, nonostante la sua ri- levanza ed il copioso numero di norme in cui la nozio- ne di tempo acquista rilevanza, sia nel codice civile, sia nelle leggi speciali. Come si vedrà più oltre, tuttavia, recentemente l’istituto ha ripreso la sua vitalità ed ha suscitato (e continua a suscitare) sempre maggiore in- teresse, soprattutto a seguito delle note riforme della sua disciplina nel diritto tedesco e francese.
Nonostante ciò, il legislatore italiano si è finora mo- strato quasi “indifferente” a queste rilevanti novità, testimoniate anche da una ricca ed interessante giu- risprudenza di matrice europea (2), sicché l’istituto è rimasto tutt’ora invariato, mostrandosi ormai ine- vitabilmente obsoleto, rispetto alla evoluzione e mo- dernizzazione dei rapporti giuridici (3), sempre più veloci e dinamici ed, in special modo, particolarmente attenti alla protezione di valori legati alle situazioni soggettive, più che alle logiche “proprietarie”, a cui è
(1) Senza alcuna pretesa di completezza, in merito agli interventi della dottrina tradizionale, cfr. PUGLIESE, La prescrizione nel dirit- to civile, II, La prescrizione estintiva, Utet, 1924, passim; XXXXXXX XXXXXXXXXX, Prescrizione e decadenza, in Riv. dir. civ., 1926, 556 ss.; XXXXXXXX, Decadenza e prescrizione, Xxxxxxxxxxxx, 1943, pas- sim; ID., Appunti sulla prescrizione, in Riv. dir. civ., 1957, 424 ss.; XXXXXXXX e XXXXXXXXX, Della prescrizione e della decadenza, in Comm. c.c. Scialoja e Branca, a cura di Xxxxxxx, Zanichelli-Il Foro italiano, 1964, 203 ss.; D’AVANZO, Della prescrizione, in Comm. X’Xxxxxx e Xxxxx, VI, Della tutela dei diritti, Barbera, 1943, 947 ss.; BRANCA, Non uso e prescrizione, in Scritti in onore di C. Fer- rini, I, Vita e pensiero, 1947, 169 ss.; TEDESCHI, Lineamenti della distinzione tra prescrizione estintiva e decadenza, Xxxxxxx, 1948; XXXXXXX, Decadenza e prescrizione, in Temi, 1950, I ss.; P. TRI- MARCHI, Prescrizione e decadenza, in Jus, 1956, 218 ss.; XXXXXXX, Prescrizione e decadenza, in Giur. sist. civ. comm., diretta da BI- GIAVI, Utet, 1968; X. XXXXXX, Sulla distinzione tra prescrizione e decadenza, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1970, 886 ss.; XXXXXXXX, Della prescrizione e della decadenza, in Comm. cod. civ. a cura di Xxxxxxxxx Xxxx, Xxxxxxxx e Xxxxxxxx, Della tutela dei diritti, VI, 4, Utet, 1964, 519 ss.; ID, Prescrizione estintiva (Diritto civile), in Noviss. dig. it., I, XIII, Utet, 1966, 642 ss.
(2) V. il successivo par. 3.
(3) In tema, cfr. MAGRI, La prescrizione. Ricodificazione degli ordinamenti giuridici e prospettive di modernizzazione del dirit- to italiano, Esi, 2019, passim; LEPORE, Prospettive di riforma in tema di prescrizione, in Foro nap., 2016, 371 ss.; XXXXXX, La nuova disciplina della prescrizione nel codice civile tedesco: spunti per una riforma italiana, in Corr. giur., 2006, 1321 ss.
tradizionalmente legato l’istituto della prescrizione estintiva.
Fatta questa premessa, una recente sentenza della Suprema Corte (4), pur non essendosi occupata della prescrizione vera e propria, ha prospettato l’applica- bilità, nel nostro ordinamento giuridico, di un noto istituto di origine germanica, la Verwirkung (5), in qualche modo “assimilabile” alla prescrizione, specie per gli effetti che da esso derivano (6). Più precisa- mente, tale figura giuridica, di matrice pretoria, com- porta la “perdita” del diritto soggettivo per inerzia o inattività del titolare del diritto, protrattasi per un pe- riodo di tempo non predeterminato a priori, ma suffi- cientemente lungo, e tale da ingenerare un legittimo affidamento meritevole di tutela nel debitore, sì da fargli ritenere ormai inesistente il diritto del credito- re, che ha tenuto una condotta contraria a buona fede. La sentenza della Suprema Corte, che – è bene antici- parlo fin d’ora – non si ritiene condivisibile in alcuna
(4) Cass. 14 giugno 2021, n. 16743, in Ced Cass. civ., rv. 661638- 01; la sentenza è oggetto di una Discussione sul Discutibile ap- proccio della Verwirkung nella giurisprudenza di legittimità, in Nuova giur. civ. comm., 2021, 1164 ss., con i contributi di X’XXXXX, Xxxxx fede ed estinzione (parziale) del credito; di XXXXXXX, Fat- tispecie estintiva e buona fede nell’esercizio tardivo del diritto di credito; di ORLANDI, Ermeneutica del silenzio; di X. XXXXXXXXXXXX, La Verwirkung (ed i suoi limiti) innanzi alla Corte di Cassazio- ne; in Imm. propr., 2021, 465, con nota di MONEGAT, La richiesta repentina di pagamento del canone dopo sette anni di mancata corresponsione costituisce abuso del diritto perché contraria ai principi di buona fede e correttezza nell’esecuzione del contratto.
(5) Sulla figura della Verwirkung, in generale, cfr., ex multis, X. XXXXX, Verwirkung, in Dig. disc. priv - Sez. civ., XIX, Utet, 1999, 722 ss., al quale si rinvia per gli ampi riferimenti alla bibliografia tedesca; ID., Profili della tolleranza nel diritto privato, Jovene, 1978, 101 ss.; più recentemente, ID., Tempo, prescrizione e Xxxxxx- kung, Xxxxxx, 2020, 54 ss.; XXXXXXX, Rinuncia tacita e Verwirkung, Cedam, 1971, passim; MAGRI, La prescrizione, cit., 76 ss.; XXXXX, La negozialità degli atti di rinuncia, Xxxxxxx, 2008, 196 ss.; RINAL- DI, Verwirkung, ritardato esercizio del diritto e giudizio di buona fede, in Nuova giur. civ. comm., 2005, I, 448 ss.; XXXXXXX, Ritar- do sleale nell’esercizio del diritto (verwirkung): tra buona fede, abuso del diritto e prescrizione, in Giust. civ., 2005, I, 2182 ss.;
X. XXXXXX, Ritardo nell’esercizio del credito, Verwirkung e buona fede, in Riv. dir. civ., 2005, II, 603 ss.; XXXXX, Le nuove frontiere della prescrizione: Verwirkung, abuso del diritto e buona fede, in Corr. giur., 1998, 928 ss.; BONA, Accessione, comunione e Verwir- kung, in Foro it., 2018, I, 1214 ss.; VALLEBONA, Divieto di venire contra factum proprium, Verwirkung e abuso del diritto: l’azione tardiva contro il licenziamento, in Mass. giur. lav., 2010, 921 ss.;
X. XXXXX, Profili di rilevanza della verwirkung nel rapporto di la- voro: l’inerzia del lavoratore alla luce dei principi di correttezza e buona fede, in Riv. it. dir. lav., 2010, II, 595 ss.
(6) Nel senso che entrambi gli istituti comportano l’estinzione del diritto. Tuttavia, in merito alle differenze tra le figure, v. oltre, par. 2 e cfr., per il momento, X. XXXXX, Verwirkung, cit., 724.
delle sue «nebulose» argomentazioni, costituisce però un’occasione stimolante per ripensare l’istituto della prescrizione e per cogliere un certo senso di «frustra- zione» nell’interprete contemporaneo, costretto tra le maglie dello strictum jus e di certezza del diritto, da un lato, e da esigenze «di giustizia del caso concreto» (7), dall’altro. Ciò ha determinato, tuttavia, almeno in relazione alla sentenza che offre lo spunto a que- ste riflessioni, una confusione tra istituti e tecniche di tutela, attraverso un uso alquanto arbitrario delle clausole generali, con particolare riferimento a quel- la di buona fede (e figure ad essa vicine, come quella dell’abuso del diritto) (8).
Nel caso di specie, una srl di tipo familiare, per quan- to pare di potersi comprendere originariamente co- stituita da due coniugi, ha agito in via monitoria per il recupero del credito relativo a canoni di locazione, tutti scaduti e mai corrisposti dal figlio, conduttore di un immobile della società. Il contratto era posto in essere nel 2004: i canoni di locazione non erano stati né mai pagati dal conduttore, nel frattempo divenu- to socio per successione nella quota materna, né mai richiesti dalla società, rimasta del tutto inerte, fino al momento del divorzio tra il locatario e la moglie, av- venuto nel 2007. Solo a seguito del divorzio, la società ha inviato lettera di disdetta della locazione, seguita da sfratto per morosità, intimato nel 2011, ma mai iscritto a ruolo. Nel 2014 veniva infine instaurata la controversia relativa al recupero crediti: va sottoli- neato che la domanda aveva ad oggetto una somma consistente, pari ad euro 242.413,28, comprensiva di canoni e spese, fino a quel momento accumulatisi, che veniva pertanto richiesta in unica soluzione e solo dopo un lungo periodo di inerzia (9).
In primo grado, il Tribunale ha accolto quasi integral- mente la richiesta della società, mentre la Corte di Appello ha optato per una diversa soluzione. Infatti, dopo aver escluso che il contratto di locazione potes- se considerarsi gratuito, come invece sostenuto dalla controparte, per la presenza di regolare contabilizza- zione della voce relativa al «pagamento degli affitti», ha tuttavia ritenuto non dovuti i canoni maturati dal 2004 fino alla data della prima richiesta da parte della società (29 giugno 2011), mentre ha considerato esigi- bili quelli sorti successivamente a tale momento, fino al rilascio dell’immobile, avvenuto nel dicembre 2013. La motivazione è però piuttosto ambigua e scarsamen- te condivisibile, basandosi sulla «circostanza che nel corso del rapporto fosse stata per lungo tempo omessa ogni richiesta di pagamento del corrispettivo per nu- merosi anni (…), in ciò richiamando il principio di buo- na fede nell’esecuzione dei contratti che si ricollega a un generale dovere di solidarietà, che impone alle parti di comportarsi appunto in buona fede in modo da pre- servare l’interesse dell’altro contraente» (10).
Senza farne espresso riferimento, pertanto, la Corte di Appello ha chiaramente dato ingresso ed applica- zione, nel caso di specie, all’istituto della Verwirkung, fondato sull’assunta violazione, da parte della società, del dovere di buona fede in executivis, per non esser- si mai attivata al fine di ottenere l’adempimento dei canoni, salvo poi «farsi viva» solo dopo sette anni ed a seguito di eventi legati alle mutate situazioni fami- liari. Ciò senza considerare che la protratta inerzia della società avrebbe determinato, nel frattempo, nella controparte debitrice, un legittimo affidamento nell’estinzione del debito, o comunque nel nulla do- vere alla parte creditrice che, invece, ha proceduto,
(7) In merito, v. le riflessioni di X. XXXXXX, Xxxxxxx nell’esercizio del credito, Verwirkung e buona fede, cit., 20630, in cui sottolinea i risultati insoddisfacenti a cui è giunta la giurisprudenza, laddove abbia condotto una tale operazione ermeneutica
(8) Conf., in senso assai critico in relazione alle motivazioni della sentenza della Suprema Corte, cfr. X. XXXXXXXXXXXX, La Verwirkung (ed i suoi limiti) innanzi alla Corte di Cassazione, cit., 1189, il qua- le, correttamente richiamando MENGONI, Spunti per una teoria delle clausole generali, in AA.VV., Il principio di buona fede (giornata di studio – Pisa 14 giugno 1985), Xxxxxxx, 1987, 8, sottolinea che «la pre- scrizione non può mai decidere sulla vigenza di un rapporto obbliga- torio»; ugualmente critico è X’XXXXX, Buona fede ed estinzione (par- ziale) del diritto di credito, cit., 1169; XXXXXXX, Fattispecie estintiva e buona fede nell’esercizio tardivo del diritto di credito, cit., 1177.
(9) A ciò si aggiunga incidentalmente che il conduttore ha nel tempo perso sia la disponibilità dell’immobile, successivamente assegnato alla ex moglie, che delle quote sociali, prima oggetto di esproprio sempre da parte dell’ex coniuge e successivamente ri- scattate dalla seconda moglie del padre.
(10) X’XXXXX, Xxxxx fede ed estinzione (parziale) del diritto di credito, cit., 1168, rileva che le due principali proposizioni della motivazione della Corte di Appello siano «alquanto discutibili»: da un lato, infatti, si afferma che dalla buona fede deriverebbe una sorta di «obbligo solidaristico di non richiedere la prestazione do- vuta dal debitore, se questo serva a salvaguardare» un presunto eccessivo sacrificio a carico del creditore, mentre, dall’altro, si so- stiene che l’asserito abuso, in violazione della condotta di buona fede, non consisterebbe (tanto) nel chiedere l’adempimento tardi- vo, cosa che dovrebbe perciò ritenersi legittima, «quanto piuttosto nel pretenderlo in un’unica soluzione» (corsivo dell’a.); ugual- mente critico, sempre in relazione alla Corte di Appello, è ORLANDI, Ermeneutica del silenzio, cit., 1184, laddove, con una certa condi- visibile ironia, rileva correttamente che la Corte di secondo grado, forse per un «lapsus», parla di «obbligo», e non (più correttamen- te) di onere, del creditore di esigere tempestivamente le prestazio- ni continuative, per «non accumulare un credito eccessivo», che quindi graverebbe eccessivamente sul debitore, evidenziando una pretesa condotta contraria a buona fede.
in modo contrario a buona fede, ad una «repentina richiesta in blocco» di tutti i canoni arretrati, così im- ponendo un sacrificio eccessivo al debitore.
La Suprema Corte, per così dire, riprende ed approfon- disce la teorizzazione del Giudice di secondo grado, so- stenendo che, nel caso di specie, può farsi riferimento all’istituto della Verwirkung tedesca, che sarebbe ido- neo a «venire in gioco anche nel nostro ordinamento» (11). Per dimostrare questo assunto, la Suprema Corte, dopo aver richiamato alcuni «precedenti», che – a dire il vero – sia per caratteristiche delle fattispecie, sia per risultati e motivazioni, divergono non poco dal caso di specie (12), non solo afferma anch’essa che la pro- lungata inerzia del creditore nel richiedere i canoni di locazione determinerebbero un oggettivo affidamento, che porterebbe ad una «stabilizzazione favorevole» al debitore, in «violazione del dovere di solidarietà», ma si spinge oltre, sostenendo che la società sarebbe incor-
(11) La Suprema Corte giunge, pertanto, a conclusioni opposte a quella della ben più lineare Cass., 15 marzo 2004, n. 5240, in Nuova giur. civ. comm., 20005, 448 ss.; in Foro it., 2004, 1397, con nota di richiami di XXXXXXXXX; in Giust. civ., 2005, I, 2182 ss. La sentenza è ampiamente commentata da XXXXXX, Ritardo nell’esercizio del cre- dito, Verwirkung e buona fede, cit., 603 ss. V, peraltro, già in prece- denza, in senso conf., Cass., 9 agosto 1997, n. 7450, in Rep. Foro. it., voce Contratti pubblici (lavori, servizi e forniture) e obbligazioni della pubblica amministrazione, 1997, n. 527, anche pubblicata in Rass. avv. Stato, 1997, I, 157, in cui si afferma che «la Verwirkung non costituisce un principio recepito dal nostro ordinamento, sicché non può essere utilizzato per derogare lo ius scriptum».
(12) Conf., XXXXXXX, Fattispecie estintiva e buona fede nell’eserci- zio tardivo del diritto di credito, cit., 1175. Gli altri precedenti sareb- bero costituiti da Cass., 15 marzo 2004, n. 5240, cit., che – come si è visto, giunge a conclusioni esattamente opposte da quelle della sen- tenza n. 16743/2021; e da Cass., 15 ottobre 0000, x 00000, in Rep. Foro it., 2013, voce Contratti bancari, n. 46, in materia di recesso da un contratto bancario, effettuato da parte della banca, che così ha agito, dopo aver tollerato numerosi «sconfinamenti» del correntista (peraltro, anch’essa riteneva legittimo il recesso, senza dar alcun
sa in un comportamento qualificabile come «abuso del diritto», che peraltro, a dire della Corte, sarebbe insito e caratteristico della stessa Verwirkung.
A tale proposito, si sente immediatamente l’esigenza di precisare che, come è stato acutamente sottolineato da una parte della dottrina (13), buona fede ed abuso del diritto non sono figure coincidenti, ma – anzi – occu- pano ciascuna uno spazio diverso. Infatti, non potendo concordare con chi ha ritenuto che l’abuso del diritto sarebbe solo un «concetto superfluo», o una «superfe- tazione» (14), i due istituti presentano caratteristiche e rationes diverse. Infatti, l’abuso del diritto presuppone che il titolare del diritto agisca per conseguire, princi- palmente o esclusivamente, scopi diversi ed ulteriori, rispetto a quelli che l’ordinamento gli attribuisce (15). In sostanza, l’abusante è titolare di diritti, garantitigli dall’ordinamento, ma agisce per scopi diversi ed ulte- riori, con animus nocendi, rispetto alla controparte. In- vece, nella condotta contraria a buona fede, non rileva lo scopo perseguito dal soggetto titolare del diritto, ma le modalità con cui lo ha conseguito: ad esempio, un recesso potrebbe essere considerato contrario a buona fede, non in sé, ma per come è stato posto in essere (ad esempio, recesso improvviso ed inatteso).
Si comprende così l’inopportunità e l’intrinseca con- traddittorietà delle motivazioni della Suprema Corte. In primo luogo, esse appaiono criticabili perché basa- te sulla discutibile convinzione della diretta applica- bilità, nel nostro ordinamento, di un istituto tedesco, peraltro di matrice giurisprudenziale, che non sembra avere appigli normativi nel nostro sistema giuridico e che, anzi, contrasta profondamente con l’istituto del- la prescrizione, da sempre pilastro della certezza dei rapporti giuridici e per il quale, giustamente, il diritto non può ritenersi “estinto”, fino a che non sia decorso
ingresso alla Verwirkung); e da Cass., 28 gennaio 2020, n. 1888,
in Dir. prat. lav., 2020, 628 ss., con nota di XXXXXXXX, Illegittimi- tà del licenziamento e mancata reintegra: tuttavia, anche in tale preteso «precedente», peraltro riguardante un ambito specialistico come quello del diritto del lavoro, si è affermato che «il mero ritardo nell’esercizio del diritto, pur imputabile al titolare ed idoneo a far ritenere al debitore che il diritto non sarà più esercitato, non costitu- isce violazione della buona fede e non può essere causa di esclusione della tutela giudiziaria, salvo che dal ritardo possa desumersi una rinunzia tacita». In merito al licenziamento «ingiustificato», laddo- ve avvenuto per ragioni e con modalità «pretestuose, arbitrarie o, comunque contrarie a buona fede», cfr. le brillanti riflessioni di X. XXXXXXXXXXXX, Il nuovo diritto dei contratti: buona fede e recesso dal contratto, in Eur. dir. priv., 2003, 809 ss. il quale correttamente sottolinea (p. 811) che l’obbligo di comportarsi secondo buona fede
«non pone capo ad una tutela in termini di inefficacia/irricevibilità dell’atto contrario» ad essa, ma solo ad eventuale responsabilità di tipo risarcitorio.
(13) X’XXXXX, Recesso ad nutum, buona fede e abuso del diritto, in Contratti, 2010, 11 ss.; ID., Ancora su buona fede e abuso del diritto. Una replica a Xxxxxxx, ivi, 2011, 653 ss., X. XXXXXXXXXXXX, Abuso del diritto, buona fede, ragionevolezza (verso una risco- perta della pretesa funzione correttiva del contratti)?, in Nuova giur. civ. comm., 2010, 811 ss.
(14) Il riferimento è a SACCO, Il diritto soggettivo. L’esercizio e l’abuso del diritto, in Tratt. dir. civ. Xxxxx, Utet, 2001, 373. Sul problema, non può mancare il riferimento al contributo di RESCI- GNO, L’abuso del diritto, in Riv. dir. civ., 1965, 225 ss.
(15) Così, ad esempio, nel recesso ad nutum, non viene riprova- to dall’ordinamento il fatto di recedere all’improvviso, ma il voler conseguire, attraverso il recesso stesso, utilità diverse ed ulteriori, come ad esempio, un nuovo rapporto maggiormente vantaggioso da rinegoziare con la controparte, o qualsiasi altra utilità: in tal senso, D’AMICO, Recesso ad nutum, buona fede e abuso del diritto, cit., 21.
il termine stabilito dalla legge (16) (salvo che non sia intervenuta altra causa di estinzione dell’obbligazione, espressamente prevista dalla legge, come una rinuncia tacita, in base ad un inequivoco comportamento con- cludente). Né pare corretta l’estensione del principio di buona fede in executivis, direttamente applicabile, che condurrebbe addirittura all’estinzione/consumazione del diritto (17), pur in palese contrasto con norme di diritto positivo, caratterizzate da natura inderogabile, anche perché dirette a tutelare la certezza dei rapporti giuridici. Se non può che guardarsi con favore all’am- pio e sempre più frequente impiego delle clausole ge- nerali (18), da parte del Giudice di Legittimità, ciò va
(16) Di avviso contrario, è XXXXX, Le nuove frontiere della pre- scrizione: Verwirkung, buona fede e abuso del diritto, cit., 933, la quale, con un ragionamento un po’ ambiguo ed una certa so- vrapposizione dei concetti di abuso del diritto e buona fede, dopo aver sostenuto che «il concetto di abuso sarebbe facilmente indi- viduabile anche in tema di prescrizione», ritiene che non potreb- be «negarsi che sia contrario al canone della lealtà e correttezza il comportamento di colui il quale abbia mostrato per un notevole arco temporale totale disinteresse a far valere una pretesa credito- ria, ma poi ci ripensi». Contra, cfr. X. XXXXXX, Xxxxxxx nell’esercizio del diritto, Verwirkung e buona fede, cit., 608, il quale ritiene che la buona fede non possa interferire con quella della prescrizione, potendo «l’effetto preclusivo all’esercizio del diritto derivare» esclusivamente dalla prescrizione stessa.
(17) XXXXXXX, Spunti per una teoria delle clausole generali, cit., 8; diverso è l’atteggiamento di DI MAJO, Sub art. 1175. Delle obbligazioni in generale. Artt. 1173-1176, in Comm. c.c. Scialoja e Xxxxxx a cura di Xxxxxxx, Zanichelli-Il Foro italiano, 1988, 334, il quale afferma che, esprimendo la buona fede una funzione di limite ed una di controllo, essa «si manifesterà tendenzialmente attraverso il diniego di effetti al
fatto nel pieno rispetto delle norme codicistiche; né il “desiderio” del giudice di perseguire una sorta di giu- stizia del caso concreto “ad ogni costo” sembra poter legittimare interpretazioni scarsamente compatibili con il sistema ordinamentale complessivo.
Certo, non può negarsi che, nel caso di specie, per quel- lo che può ipotizzarsi in base alla lettura della sentenza, verosimilmente tra le parti era stato in origine stipula- to un contratto di comodato gratuito, dissimulato dal contratto di locazione (probabilmente per aggirare la norma che vieta al socio di servirsi delle cose appar- tenenti al patrimonio sociale, per fini estranei alla so- cietà, senza il consenso degli altri soci) (19); né può mancarsi di osservare che la società abbia deciso di recuperare i propri crediti, solo dopo che la compagine familiare era entrata in crisi, a seguito di eventi mera- mente personali. Ciò, tuttavia, non autorizza in alcun modo l’interprete a cercare una soluzione, forzando la natura e la ratio degli istituti giuridici, né assegnando alla buona fede un ruolo che non le compete, né “smi- nuendo” (anzi, ignorando del tutto) l’istituto della pre- scrizione che, se non si è ancora compiuta, legittima anche in limine il titolare del diritto a farlo valere (20). Inoltre, come se tutto questo non fosse sufficiente, la Suprema Corte, anziché avvalersi della “sola” clausola di buona fede (che si assume violata ed ingenerante un legittimo affidamento nel venir meno del diritto), “chiama in causa” anche l’abuso del diritto che, come si è dimostrato, nulla ha a che vedere con il caso di specie.
comportamento (ritenuto) scorretto e/o attraverso il congelamento di regulae iuris [...] o attraverso (la facoltà di) eccezioni riconosciu-
te alla parte in bonis»; cfr., inoltre, CATTANEO, Buona fede obiettiva e abuso del diritto, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1971, I, 638 ss., il quale, interrogandosi sull’ammissibilità della figura dell’exceptio doli gene- ralis, sostiene correttamente che sembra più opportuno utilizzare il
«canone della lealtà reciproca». D’altronde, come esattamente affer- mato da XXXXXXXX, L’abuso del diritto, cit., 205 ss., l’eccessiva esten- sione della figura dell’abuso del diritto, può costituire una pericolosa minaccia al principio della certezza del diritto.
(18) Sul problema, ex multis, cfr. spec. X. XXXXXXXXXXXX, Regole di validità e regole di comportamento: i principi e i rimedi, in Eur. dir. priv., 2008, 599 ss.; ID., Il nuovo diritto dei contratti, cit., 803 ss.; ID., Principi generali, clausole generali e nuove tecniche di controllo dell’autonomia privata, in Annuario del contratto, 2010, 17 ss.; X. XXXXX, Xxxxxxxx, clausole generali e norme specifi- che nell’applicazione giurisprudenziale, in Giust. civ., 2016, 241 ss.; ID., L’interpretazione delle clausole generali, in Riv. dir. civ., 2013, 263 ss.; X’XXXXX, Xxxxxxxx e clausole generali nell’evoluzio- ne dell’ordinamento giuridico, Xxxxxxx, 2017, passim; XXXXXXXXX, Clausole generali, norme di principio, norme a contenuto inde- terminato. Una proposta di distinzione, in Riv. crit. dir. priv., 2011, 345 ss. XXXXXXXX, Appunti sulle «clausole generali», in Riv. dir. comm., 1998, I, 1 ss.; XXXXXX, Il tempo delle clausole generali, in Riv. crit. dir. priv., 1987, 709 ss.; XXXXXXXXXX, L’avventura delle
clausole generali, ivi, 1986, 21 ss.; XXXXXXX, Spunti per una teoria
delle clausole generali, ivi, 1986, 5 ss.
(19) Conf., X’XXXXX, Xxxxx fede ed estinzione (parziale) del dirit- to di credito, cit., 1166 e 1167, il quale precisa che l’accordo xxxx- xxxxxxx sarebbe stato stipulato tra il padre ed il figlio e non tra la società ed il conduttore dell’immobile: non risulterebbe però chia- ro se il padre si fosse semplicemente impegnato a non chiedere il pagamento di alcun canone, ovvero «sobbarcandosi ogni onere e spesa» e, dunque, costituendo «una sorta di accollo» interno tra padre e figlio. Rileva la possibile natura di contratto in frode alla legge nel caso di specie, per contrasto con la norma di cui all’art. 2256 c.c., X. XXXXXXXXXXXX, La Verwirkung (ed i suoi limiti) innanzi alla Corte di Cassazione, cit., 1191, il quale tuttavia precisa cor- rettamente che non è possibile un’indagine corretta e completa in relazione a tale stipulazione, che ha dato origine al caso di specie, sulla scarna base della motivazione della sentenza.
(20) Conf., X. XXXXXXXXXXXX, op. ult. cit., spec. 1192, laddove si affer- ma che, in presenza di un costante orientamento giurisprudenziale, contrario all’applicabilità della Verwirkung nel nostro ordinamen- to, oltre che per le «incongruenze argomentative nelle quali si avvol- ge la motivazione della sentenza», sembra «preferibile accantonare senz’altro l’istituto» della Verwirkung, anche perché si rileva di
«scarsa utilità»; XXXXXXX, Ermeneutica del silenzio, cit., 1184.
Sarebbe stato legittimo attendersi un’operazione er- meneutica di tipo diverso, diretta a verificare la pre- senza, nel caso di specie, di una eventuale rinuncia tacita al diritto di credito (21), da parte della società, argomentabile da eventuali comportamenti conclu- denti. Ma tale corretta operazione interpretativa non solo non viene privilegiata, ma anzi viene esclusa, perché in più passaggi della motivazione, a dire il vero assai nebulosi (22), si nega che il lungo silenzio della società possa configurare una volontà tacita di rinun- ziare al proprio credito. Pertanto, anziché ritenere che, tra l’inerzia (che può portare solo a prescrizione) e la rinuncia tacita, tertium non datur (23), la Supre- ma Corte opta invece per «un’apparenza remittente» che porterebbe ad un legittimo affidamento e ad una
«situazione di maturato affidamento della sua inter- venuta abdicazione». Il tutto è peraltro «condito» da una costante ed irrisolta ambiguità (24) in merito alla figura della rinuncia tacita (che si assume inesistente, ma che “aleggia” continuamente nella motivazione in modo piuttosto confuso), oltre che all’impiego ad abundantiam di riferimenti non pertinenti, ad esem- pio, alla proporzionalità, che sussisterebbe (peraltro) sia in relazione allo «sproporzionato ed ingiustificato sacrificio della controparte», sia riguardo alla condot- ta «abusante» del creditore, che sarebbe caratteriz- zata – appunto – da mancata proporzione tra «mezzi usati ed interessi regolamentati».
Di fronte ad una simile «esuberanza argomentativa» (25), si impone quindi una nuova indagine, diretta
(21) X’XXXXX, Xxxxx fede ed estinzione (parziale) del credito, cit., 1170, il quale, dopo una serrata critica alle argomentazioni del- la Suprema Corte del 2021, ritiene che dovrebbe essere ripresa la linea interpretativa della Suprema Corte del 2004, che corretta-
a chiarire meglio la figura della Verwirkung, il suo rapporto con la prescrizione, fino a tentare di cogliere le motivazioni forse sottese a questo intervento della Suprema Corte, che tuttavia, sia per la soluzione scel- ta che perle argomentazioni utilizzate, non può essere condivisa.
2. Prescrizione, Verwirkung, buona fede e figure ad essa «collegate»: esigenza di
«ordine» e di inquadramento sistematico degli istituti, in ossequio all’ineludibile certezza dei rapporti giuridici.
È giunto il momento di chiarire le differenze struttu- rali e funzionali tra l’istituto della prescrizione e quel- lo della Verwirkung: si è infatti prima detto che le due figure giuridiche porterebbero alla stessa conseguen- za dell’estinzione del diritto, a seguito di un compor- tamento omissivo da parte del suo titolare, tenuto per un periodo di tempo più o meno lungo (determinato, nel primo caso, ed indeterminato nel secondo) (26). Tuttavia, come è stato correttamente sottolineato, se da un lato la Verwirkung ha luogo «anche prima del decorso del termine prescrizionale», costituendo, così «una sorta di anticipazione della prescrizione e dei suoi effetti», dall’altro la stessa prescrizione co- stituirebbe «l’ostacolo maggiore alla sua utilizzazione nel nostro ordinamento» (27). Le differenze tra i due istituti sono molto chiare: se, da un lato, in entrambe le ipotesi è richiesta una condotta “inerte” (rectius: passiva-omissiva), nella prescrizione è necessario che il tempo dell’inerzia sia determinato esattamente dalla legge, mentre nella Verwirkung, non è xxxxxx- sto un tempo predeterminato, ma semplicemente che l’inattività si sia protratta per un periodo di una cer- ta rilevanza (28). Inoltre, mentre i presupposti della
mente aveva escluso, come si è visto in precedenza, l’ingresso della
Verwirkung nel nostro ordinamento, affermando al contempo che il giudice dovesse, più opportunamente, verificare se, nel caso di specie, l’inerzia del creditore configurasse o meno un atto di rinun- zia tacita, dal quale solo potrebbe derivare l’estinzione del diritto; X. XXXXXXXXXXXX, La Verwirkung (ed i suoi limiti) innanzi alla Corte di Cassazione, cit., 1192: secondo l’a., dalla motivazione della sentenza della Suprema Corte si argomenterebbe «comunque la possibilità di ravvisare, alla base dell’inerzia, una manifestazione di autonomia incompatibile [...] con l’esercizio della pretesa creditoria».
(22) Sottolinea in modo molto accurato le contraddizioni presenti nella motivazione della Suprema Corte, X. XXXXXXXXXXXX, op. ult. cit., 1193.
(23) Conf., con ampiezza di argomentazioni, ORLANDI, Ermeneuti- ca del silenzio, cit., 1183 ss.
(24) Si esprime così, X’XXXXX, Xxxxx fede ed estinzione (parziale) del credito, cit., 1171.
(25) La efficace espressione è di X. XXXXXXXXXXXX, La Verwirkung
(ed i suoi limiti) innanzi alla Corte di Cassazione, cit., 1194.
(26) Sottolineano la scarsa condivisibilità della sentenza della Su- prema Corte anche in relazione alla indeterminatezza del tempo, necessario a far sorgere «l’affidamento qualificato», ORLANDI, Er- meneutica del silenzio, cit., 1181; X’XXXXX, Xxxxx fede ed estinzio- ne (parziale) del credito, cit., 1169, il quale rileva che, laddove la Suprema Corte avesse seguito l’impostazione tradizionale (come fatto nel 2004), verificando quindi se fosse o meno presente, nel caso di specie, una rinuncia tacita, avrebbe evitato notevoli pro- blemi, come – ad esempio - quello di doversi chiedere «per quanti anni (uno, due, cinque, etc.?) debba protrarsi l’inerzia nell’eserci- zio del diritto per legittimare il sorgere dell’affidamento», con un interrogativo che giustamente l’a. qualifica «imbarazzante».
(27) Così, testualmente, XXXXXXX, Verwirkung, ritardato esercizio del diritto e giudizio di buona fede, cit., 451.
(28) X. XXXXX, Verwirkung, cit., 724, che rileva che la Zeitmoment (inattività protrattasi per un certo periodo di tempo), costituisce solo uno degli elementi della figura; ID., Tempo, prescrizione e Verwirkung, cit., 57; XXXXX, La negozialità degli atti di rinuncia,
prescrizione sono semplicemente l’inerzia ed il de- corso del tempo, nella Verwirkung è necessario che l’inattività del titolare del diritto abbia determinato, in base alla concorrenza di circostanze concrete (29), il sorgere nel debitore di un legittimo affidamento, meritevole di tutela, tale da comportare la perdita del diritto da parte del creditore, in base alla sua condotta contraria a buona fede.
È importante sottolineare che originariamente, nel di- ritto tedesco, il termine ordinario di prescrizione era pari a trent’anni, sicché l’istituto della Verwirkung è nato, nella giurisprudenza germanica, proprio per superare le “barriere”, rappresentate dalla prescrizio- ne, che lasciava per un tempo eccessivamente lungo il debitore sguarnito di tutela ed esposto all’incertez- za della propria situazione, a fronte dell’altrui inerzia (30). Xxxxxxx già queste semplici considerazioni per comprendere le ulteriori, profonde differenze tra gli istituti: se, da un lato, la prescrizione mira a garantire la certezza dei rapporti, fissando nel tempo l’esistenza di un diritto, nonostante l’inerzia del suo titolare, la Verwirkung, dall’altro, risponde ad un’esigenza del
La figura elaborata dai giudici tedeschi ha perciò una spiccata funzione equitativa (31); non a caso, per la sua teorizzazione, si è fatto ricorso, in un primo mo- mento, alla figura del buon costume (32) e, successi- vamente, all’applicazione del par. 242 BGB, relativo alla buona fede (33). Da un lato, pertanto, vi è la forza dello strictum jus e della certezza dei rapporti giuridi- ci; dall’altro, l’elasticità e la dinamicità della clausola generale, a tutela di ragioni squisitamente equitative. Senza potersi addentrare, per ovvi limiti di spazio, nell’analisi della Verwirkung, va tuttavia aggiunto che essa ha incontrato, da un lato, qualche critica, anche da una parte della dottrina tedesca, che ha evidenziato che essa costituirebbe un «comodo» escamotage per disapplicare una norma imperativa (34), oltre a dar luogo ad un ampio dibattito sulla sua natura giuridica e sulla differenziazione di tale figura da altre «vicine» al principio di buona fede (35) (abuso del diritto e veni- re contra factum proprium). Tali precisazioni servono ad evidenziare le problematiche che, indubbiamente, derivano da un istituto fatto discendere direttamente
tutto diversa, costituita dalla necessità, avvertita dal
giudice, di garantire «la giustizia del caso concreto».
(31) Dottrina concorde: cfr., in merito, XXXXXXX, Rinuncia tacita e Verwirkung, cit, 4, laddove correttamente l’a. sottolinea come
non sia «un caso che gli orientamenti equitativi, che i tribunali
cit., 198; di periodo «congruo» parla XXXXXXX, Verwirkung, ritar- dato esercizio del diritto e giudizio di buona fede, cit., 449.
(29) Rileva come la Verwirkung non rappresenti un’eccezione al principio, tipico della prescrizione, per cui solo dall’inerzia pro- trattasi per il tempo stabilito dalla legge deriva l’estinzione del diritto, S. PATTI, Verwirkung , cit., 724, il quale aggiunge che la consunzione del diritto deriva invece da «un certo atteggiamento del titolare del diritto che assume una precisa rilevanza alla luce delle circostanze» (Umstandsmoment). L’a. correttamente pre- cisa, inoltre, che la conoscenza dell’esistenza del proprio diritto non costituisce un ulteriore elemento costitutivo della figura della Verwirkung; ID., Tempo, prescrizione e Verwirkung, cit., 57. Tut- tavia, una parte della dottrina tedesca è di diverso avviso: cfr. FLU- ME, Das Rechtsgeschäft und das rechtlich relevante Verhalten, in Archiv für die civilistiche Praxis, 161, (1962), 75. La giurispruden- za tedesca considera invece tale elemento normalmente presente: cfr. BGH, 27 giugno 1957, in Entscheidungen des Bundesgericht- shofs in Zivilsachen, 25, 1958, 47 ss.
(30) I primi casi concreti, in cui la giurisprudenza tedesca ha ap- plicato la Verwirkung, risalgono al periodo successivo alla prima guerra mondiale, a seguito del crollo del valore del marco, che determinò l’abbandono del principio nominalistico, in favore di quello della rivalutazione del credito. Si affermò che, laddove i cre- ditori fossero rimasti inerti, non richiedendo la rivalutazione dei propri crediti, sì da indurre i debitori a ritenere che non lo avreb- bero più fatto, ciò avrebbe determinato un’estinzione della pretesa creditoria: cfr. X. XXXXX, Verwirkung, cit., 723; XXXXX, La negozialità degli atti di rinuncia, cit., 198; XXXXXXX, L’exceptio doli generalis e il divieto di venire contra factum proprium, in X. XXXXXXXX, L’ecce- zione di dolo generale. Applicazioni giurisprudenziali e teoriche dottrinali, Cedam, 2006, 106 ss.
tedeschi hanno seguito sotto l’egida dell’abuso del diritto, abbiano avuto […] un particolare sviluppo», proprio nelle materie relati- ve a prescrizione e decadenza; S. PATTI, Verwirkung, cit., 725; ID., Tempo, prescrizione e Verwirkung, cit., 58 e 59. Proprio lo stretto legame tra la Verwirkung e l’equità costituirebbe uno degli aspet- ti più problematici, in relazione all’ammissibilità di tale istituto nel nostro ordinamento, in considerazione del ruolo «residuale» dell’equità stessa, secondo XXXXX, La negozialità degli atti di ri- nuncia, cit., 218.
(32) Ciò è avvenuto nel noto «caso Xxxxxxx», analizzato da RANIE- RI, Rinuncia tacita e Verwirkung, cit., 18 ss.; v., inoltre, X. XXXXX, Verwirkung, cit., 723. Tanto è vero che, nella Verwirkung, non è richiesta l’esistenza di una illoyale Verspätung, e quindi un’inten- zionalità nel comportamento del titolare del diritto: cfr. XXXXXX, Lehrbuch des Schuldrechts, Xxxx, 1987, 132 ss. Sul problema, v. ampiamente, X. XXXXX, op. ult. cit., 728 e 729.
(33) La dottrina è, sul punto, concorde. V. per tutti, X. XXXXX, op. ult. cit., 723 e 726 e XXXXXXX, Rinuncia tacita e Verwirkung, cit., 4 ss.
(34) WIELING, Venire contra factum proprium und Verschulden gegen sich selbst, in Archiv für die civilistiche Praxis, (1976), 340.
(35) In merito al collegamento tra Verwirkung e abuso del dirit- to, cfr., nel diritto germanico, spec. KEGEL, Verwirkung, Vertrag und Vertrauen, Xxxxxxx, 1993, 10; in relazione al principio del venire contra factum proprium, cfr. X. XXXXX, Verwirkung, cit., 726 e 727, ove ampi riferimenti bibliografici sulla dottrina tedesca; tra gli aa. italiani, un simile accostamento è svolto da XXXXXXXX, Abuso del diritto, cit., 279; MAGRI, La prescrizione, cit., 76. Sul rapporto tra Verwirkung ed abuso del diritto, v. le osservazioni critiche di XXXXXXX, Verwirkung, ritardato esercizio del diritto e giudizio di buona fede, cit., 453 ss.; in senso adesivo, v. invece, XXXXX, Le nuo- ve frontiere della prescrizione, cit., 932.
dall’applicazione di una clausola generale: la stessa dottrina italiana che ha accolto favorevolmente la figu- ra della Verwirkung, prospettando la sua applicabilità, anche nel nostro ordinamento, sia pure in via indiretta (36), ha correttamente sottolineato che l’applicazione di tale istituto, implicando un’ampia discrezionalità da parte del giudice potrebbe portare «ad una pericolosa svalutazione delle certezze del diritto quando, indul- gendo a malintese esigenze equitative, non si manten- ga il riconoscimento della preclusione in limiti rigorosi e coerenti» (37).
Fatte queste premesse, è giunto il momento per chia- rire definitivamente se la Verwirkung possa o meno trovare ingresso nel nostro ordinamento. La più chiara risposta a tale quesito si rinviene nella lucida motiva- zione della sentenza n. 5240 del 2004 della Suprema Corte, in cui espressamente (e chiaramente) si affer- ma che «il semplice ritardo nell’esercizio del diritto, per quanto imputabile al titolare dello stesso e tale da generare nel debitore un ragionevole affidamento che il diritto non verrà più esercitato, non comporta una violazione del principio di buona fede nell’esecuzione del contratto e non può costituire motivo per negare la tutela giudiziaria del diritto, salvo che tale ritardo sia la conseguenza di un’inequivoca rinuncia» (38).
(36) Il riferimento è a XXXXXXX, Rinuncia tacita e Verwirkung, cit.,
Lucidamente la Suprema Corte ha riassunto il proble- ma: non vi è possibilità alcuna, nel nostro ordinamen- to, di una terza soluzione, che «superi», da un lato, l’estinzione del diritto soggettivo a seguito di prescri- zione, per lo scadere del tempo previsto per la durata dell’inerzia e, dall’altro, quella dovuta ad una mani- festazione di volontà, rappresentata da una rinunzia, anche se espressa per facta concludentia.
In tal senso, non pare possibile sostenere che, nel no- stro ordinamento, esista «una ipotetica estinzione per abuso» (39), o derivante dalla pretesa violazione del dovere di buona fede, determinante un assunto «affi- damento nell’apparenza remittente» (40), così come invece tenta di dimostrare la recente sentenza della Suprema Corte, che ha costituito occasione di queste riflessioni.
Non va poi sottaciuto che la stessa dottrina, che si mostra apertamente favorevole all’ingresso della Verwirkung nel nostro ordinamento giuridico, ten- de ad incorrere in alcune contraddizioni di fondo: ad esempio, in relazione ai presupposti dell’istituto, tal- volta afferma che il primo di essi sarebbe costituito dall’«inattività» del titolare, talaltra distinguerebbe l’inerzia dalla «tolleranza» (41). Operando tale dif- ferenziazione, afferma che, sebbene la tolleranza e l’inerzia siano accomunate dalla mancata reazione del titolare del diritto, di fronte ad una condotta ina-
passim. In questo lavoro monografico, l’a. ha analizzato la pras- si tedesca e quella italiana in parallelo (oltre a quella francese),
giungendo alla conclusione che, nonostante la giurisprudenza italiana abbia «formalmente» negato ingresso alla Verwirkung nel proprio ordinamento, essa, in concreto, sarebbe giunta a ri- sultati assai simili a quelli tedeschi, attraverso un escamotage, e cioè riscontrando, di volta in volta, nei casi concreti, una volontà tacita di rinunzia, che costituirebbe, tuttavia, una mera fictio juris. Peraltro, qualcosa di simile sarebbe avvenuto anche nella giuri- sprudenza tedesca, perché essa avrebbe applicato la Verwirkung solo a casi concreti in cui sarebbe possibile individuare, nell’atteg- giamento del titolare del diritto, una vera e propria rinunzia tacita. Sicché, conclusivamente, vi sarebbe una «sostanziale coincidenza nel diritto applicato» (p. 121) in ambedue gli ordinamenti. Per una serrata critica a tale tesi, cfr. X. XXXXX, Verwirkung, cit., 729 e 730.
(37) Così, testualmente, XXXXXXX, Rinuncia tacita e Verwirkung, cit., 126; conf., X. XXXXXX, Xxxxxxx nell’esercizio del diritto, Verwir- kung, e buona fede, cit., 612, il quale afferma che l’utilizzo, da par- te del giudice, di clausole generali nelle materie di stretto diritto implica ovviamente una notevole discrezionalità, sicché, laddove la motivazione non sia «coerente con il sistema del diritto positi- vo», potrebbe portare a risultati insoddisfacenti, anche quando la soluzione sia astrattamente condivisibile.
(38) Si precisa che questa massima è pubblicata sul Foro it., 2004, 1397. La massima ufficiale è invece la seguente: «La clausola gene- rale di buona fede nell’esecuzione del contratto impone a ciascuna delle parti del rapporto obbligatorio il dovere di agire in modo da preservare gli interessi dell’altra, a prescindere dall’esistenza di specifici obblighi contrattuali e da quanto espressamente stabilito
da singole norme di legge; in virtù di tale principio ciascuna parte
è tenuta da un lato ad adeguare il proprio comportamento in modo da salvaguardare l’utilità della controparte, e, dall’altro, a tollerare anche l’inadempimento della controparte che non pregiudichi in modo apprezzabile il proprio interesse. A tale riguardo, il semplice ritardo di una parte nell’esercizio di un diritto (nel caso di specie, diritto di agire per far valere l’inadempimento della controparte) può dar luogo ad una violazione del principio di buona fede nell’e- secuzione soltanto se, non rispondendo esso ad alcun interesse del suo titolare, correlato ai limiti e alle finalità del contratto, si tradu- ca in un danno per la controparte»
(39) La felice ed efficace espressione è di ORLANDI, Ermeneutica del silenzio, cit., 1184.
(40) Conf., X’XXXXX, Xxxxx fede ed estinzione (parziale) del di- ritto di credito, cit., 1168 ss.; X. XXXXXXXXXXXX, La Verwirkung (ed i suoi limiti) innanzi alla Corte di Cassazione, cit., 1194.
(41) Il riferimento è a X. XXXXX, Verwirkung, cit., 724, che parla, in tale ambito, di «inattività» del titolare del diritto, mentre in al- tra sede (cfr. ID., Profili della tolleranza nel diritto privato, cit., passim, ma 241 ss., ricollega la Verwirkung, appunto alla tolleran- za. Sull’istituto della tolleranza, cfr. X. XXXXXXXXX, La regola del- la tolleranza, in Riv. dir. priv., 2019, 75 ss. In merito, v., inoltre, BISEGNA, Tolleranza (Atti di), in Noviss. dig. it., Utet, 1957, 400 ss.; X. XXXXX, Il principio di tolleranza nel diritto civile, in Contr. e impr., 2017, 403 ss.; X. XXXXX, Xxxxxxxxxx (atti di), in Enc. dir., XLIV, Xxxxxxx, 1992, 701 ss.; XXXXXXXXX, Xxxxxxxxxx, in Dig. disc. priv. - Sez. civ., XIX, Utet, 1999, 373 ss.
dempiente e lesiva del debitore, esse avrebbero «dif- ferente significato sociale». In tal senso, la tolleranza indicherebbe «un atteggiamento di pazienza del cre- ditore, che può essere motivato anche da scarso inte- resse [...] ma che non coincide con la trascuratezza ed il completo disinteresse che esprime invece il concetto di inerzia»; conseguentemente, solo la prima potreb- be «far sorgere in capo al debitore l’affidamento che la prestazione non sarà richiesta», mentre l’inerzia, in quanto atteggiamento meramente inespressivo, non potrebbe «suscitare e giustificare alcun affidamento» nel debitore stesso (42). In merito, può rilevarsi in primis che la differenza tra inerzia e tolleranza non sia (sempre) così definita; inoltre, come è stato corretta- mente rilevato in dottrina, collegare la tolleranza alla conoscibilità, da parte del creditore, della condotta le- siva del debitore, in ciò distinguendo tale figura dalla mera inerzia, significherebbe «non limitarsi affatto ad un giudizio “oggettivato”, ma anzi ricondurre il feno- meno della tolleranza proprio nell’area della volontà, dalla quale si era tentato di estraniarlo» (43).
Sembra giunto il momento di trarre alcune conclusio- ni; anzitutto, l’istituto della Verwirkung non sembra applicabile al nostro ordinamento che, in caso di inat- tività del creditore, non prevede alcuna “sanzione” a suo carico, nell’ipotesi di mancato esercizio del dirit- to, né tantomeno determina un affidamento legittimo nel debitore, tale da poter giungere all’estinzione del diritto (ovvero ad una sua limitazione). Inoltre, l’in- dagine ermeneutica più corretta e rispettosa del no- stro sistema giuridico impone – più semplicemente
– che il giudice verifichi se, nel caso concreto, il com- portamento inattivo ed omissivo del creditore non implichi, in realtà, una vera e propria rinuncia tacita al suo credito, dalla quale soltanto può discendere l’e- stinzione del diritto, per comportamento concludente dello stesso titolare (44).
Giunti a questo punto della riflessione, ci si potreb- be anche fermare, non nascondendosi, tuttavia, una certa insoddisfazione per i risultati finora ottenuti. Non può negarsi, infatti, che la realtà contemporanea sia divenuta ben diversa da quella originariamente
(42) Così, testualmente, X. XXXXX, Profili della tolleranza nel dirit- to privato, cit., 55.
(43) XXXXX, La negozialità degli atti di rinuncia, cit., 213 e 214.
(44) Conf., X. XXXXXXXXXXXX, La Verwirkung (ed i suoi limiti) in- nanzi alla Corte di Cassazione, cit., 1193 ss.; X’XXXXX, Buona fede ed estinzione (parziale) del diritto di credito, cit., 1171 ss.; OR- XXXXX, Ermeneutica del silenzio, cit., 1183; sebbene in modo più sfumato, v., inoltre, XXXXXXX, Fattispecie estintiva e buona fede nell’esercizio tardivo del diritto di credito, cit., 1176.
delineata dal nostro codice civile: essa, da un lato, è sempre più dinamica e veloce, ed in questo senso “confligge” sovente con la rigidità e la “certezza” delle regole di stretto diritto, in primis con la prescrizione (45). Inoltre, la sempre più frequente applicazione di clausole generali deriva indiscutibilmente da “nuo- ve esigenze del diritto”, in cui rilevano sempre più i valori costituzionali legati alla persona, sicché pare che il diritto soggettivo, come è stato correttamente sottolineato, non possa più ritenersi «totalmente libe- ro» ed «egoistico», ma possa essere soggetto a regole nuove, che implichino «il corretto uso sociale» del di- ritto stesso (46). Tale “tensione equitativa”, peraltro, sembra trovare conferma, da un lato, in alcune re- centi riforme in materia di prescrizione (che trovano corrispondenza nei Principles of European Contract Law e nel Draft Common Frame of Reference (47)) e, dall’altro, nella normativa e giurisprudenza di ma- trice comunitaria, a cui pare opportuno fare qualche riferimento, prima di giungere a opportune conside- razioni conclusive sull’intera problematica.
3. La riforma della prescrizione in Germania ed in Francia, anche in relazione ai PECL ed al Draft Common Frame of Reference.
Si è in precedenza evidenziato come la Verwirkung si sia affermata, nella dottrina e giurisprudenza tedesca, principalmente per motivazioni di natura pratica: in- fatti, originariamente il par. 195 BGB prevedeva un termine ordinario di prescrizione di trent’anni, che si mostrava sempre meno adeguato a rispondere alle esigenze di modernizzazione della società ed a garan- tire effettività di tutela (48). Peraltro, l’ordinamento tedesco, oltre a prevedere un termine ordinario di prescrizione così lungo, ne prevedeva moltissimi altri
(45) Sul problema della modernizzazione del diritto civile, in re- lazione all’istituto della prescrizione, cfr. MAGRI, La prescrizione, cit., passim, ma spec. 439 ss.; TRAVAGLINO, Le stagioni della pre- scrizione estintiva, in Quest. giust., 2017, 48 ss.
(46) Le parole tra virgolette sono di XXXXXXX, Verwirkung, ritarda- to esercizio del diritto e giudizio di buona fede, cit., 450.
(47) V. il successivo par. 4.
(48) X. XXXXX, Verwirkung, cit., 725, il quale aggiunge che, attraver- so la Verwirkung la giurisprudenza tedesca ha, di fatto, consentito lo «svuotamento di alcune norme in tema di prescrizione»; ID., Tempo, prescrizione e Verwirkung, cit., 58; XXXXX, La negozialità degli atti di rinuncia, cit., 200, la quale non manca di sottolineare quanto abbiano inciso, nell’affermazione della Verwirkung, anche
«le strettoie che il BGB poneva e pone all’utilizzo della rinuncia tacita e, soprattutto, unilaterale» (p. 199).
(49) di più breve durata: ciò determinava problemi di coordinamento sistematico e di interpretazione, per la oggettiva difficoltà che si riscontrava, nell’ambito del giudizio, di inquadrare la giusta norma da appli- care (50). Conseguentemente, la prescrizione, anzi- ché garantire certezza dei rapporti giuridici, finiva per renderli più problematici, aumentando in modo cospicuo il relativo contenzioso.
Tali questioni avevano dato origine ad un ampio di- battito nella dottrina, che sollecitava una nuova disci- plina dell’istituto della prescrizione: ciò è avvenuto, com’è noto, nell’ambito della più generale riforma del diritto delle obbligazioni, con la l. del 26 novembre 2001, entrata in vigore il 1gennaio 2002 (51). É utile riepilogare brevemente i principali aspetti della rifor- ma della prescrizione tedesca: in primo luogo, è stato previsto un temine ordinario particolarmente breve, di 3 anni, procedendo parallelamente all’abrogazione di un gran numero di norme che individuavano ter- mini differenti. Accanto a tale termine breve, ve ne sono due più lunghi, rispettivamente disciplinati dai parr. 196 e 197: il primo prevede un termine di 10 anni, in relazione ai diritti in materia di trasferimento di proprietà di immobili, ovvero alle vicende relati- ve ai diritti reali sui beni immobili stessi; il secondo prevede, invece, un termine di trent’anni, in materia di reivindicatio, nelle materie di famiglia e successio- ni, oltre che in quelle derivanti da sentenza passata in giudicato o nascenti da transazioni o atti esecutivi.
del diritto di credito e della persona del debitore, op- pure avrebbe potuto averne con un comportamento non caratterizzato da colpa grave. Com’è evidente, il legislatore tedesco ha introdotto, accanto ad una disciplina basata su elementi oggettivi, anche un cri- terio soggettivo, legato alla conoscibilità, e diretto a tutelare esigenze di giustizia, che quindi si affiancano ora a quelle di certezza.
Il sistema è efficacemente costruito, pertanto, preve- dendo, da un lato, il termine breve ordinario (il cui dies a quo è legato anche ad elementi oggettivi), ed un temine “massimo” più lungo, basato su criteri ogget- tivi, in modo da contemperare, da un lato, le esigenze del creditore e, dall’altro, quelle del debitore, che non può essere esposto tendenzialmente all’infinito al ri- schio di un giudizio (52).
Di grande rilievo è anche la previsione di un aumen- to dell’autonomia privata, in materia di prescrizione: mentre originariamente era prevista la nullità di ogni pattuizione privata in deroga alle norme sulla pre- scrizione, dopo la riforma le parti possono, nei limiti stabiliti dalla legge, prevedere termini più brevi o più lunghi di prescrizione (53) (p. 51 patti, la riforma ri- guarda la visione stessa dell’ist.).
La riforma della prescrizione in Germania è stata cer- tamente di «ispirazione» per la nuova disciplina della prescrizione in Francia, posta in essere con la legge n. 581 del 2008 (54): anche in Francia erano presenti,
Ulteriore innovazione di grande rilievo è rappresenta-
ta dal dies a quo della prescrizione ordinaria, che ini- zia a decorrere entro la fine dell’anno nel quale è sorto il diritto, ovvero in cui il creditore ha avuto cognizione
(49) Secondo X. XXXXX, Tempo, prescrizione e Verwirkung, cit., 46, nel diritto tedesco, prima della riforma del 2001, si contavano circa 2700 norme di legge, contenenti termini di prescrizione dif- ferenti.
(50) Cfr. DELLE MONACHE, Profili dell’attuale normativa del codi- ce tedesco in tema di prescrizione, in Riv. dir. civ., 2003, I, 180, laddove l’a. riporta il caso dell’aliud pro alio: se il giudice avesse inquadrato la fattispecie concreta come aliud pro alio, la prescri- zione era di trent’anni mentre, laddove il bene non conforme a quanto previsto in contratto non fosse stato inquadrato in questo istituto, il compratore avrebbe potuto eccepire i vizi della cosa ven- duta nel solo termine di sei mesi.
(51) In generale, sulla riforma della prescrizione in Germania, cfr. XXXXXXX, La nuova disciplina della prescrizione, in DIURNI e KIND- LER, Il codice tedesco «modernizzato», Xxxxxxxxxxxx, 2004, 69 ss.; DELLE MONACHE, Profili dell’attuale normativa del codice tedesco in tema di prescrizione, cit., 179 ss.; X. XXXXXX, La nuova disci- plina della prescrizione nel codice civile tedesco: spunti per una riforma italiana, in Corr. giur., 2006, 1321 ss.; XXXXX, La prescri- zione, cit., 60 ss.
(52) Va aggiunto che il legislatore tedesco ha anche trasformato alcune cause di interruzione della prescrizione in cause di sospen- sione, che non comportano una decorrenza ex novo dei termini. Nuove cause di sospensione sono, ad esempio, l’età inferiore a 21 anni e la convivenza nel caso di molestie sessuali, ovvero le tratta- tive in corso tra debitore e creditore (in merito, cfr. X. XXXXX, Tem- po, prescrizione e Verwirkung, cit., 48 ss.); inoltre, la forza mag- giore, pur essendo sempre prevista come causa di sospensione, ha una nuova disciplina, per così dire «ridotta» prevista dal par. 206 BGB, in quanto il termine resta sospeso, solo se la causa di forza maggiore si sia verificata nei sei mesi antecedenti alla scadenza del termine di prescrizione. Per il resto, è interessante sottolineare che la riforma ha optato per la natura giuridica sostanziale della prescrizione e per il cd. effetto debole della prescrizione stessa, ri- messa alla eccezione di parte.
(53) X. XXXXX, Tempo, prescrizione e Verwirkung, cit., 51, il qua- le sottolinea opportunamente che tale aspetto della riforma ha riguardato non «soltanto la disciplina ma la stessa visione dell’i- stituto»; ciò in quanto i limiti all’autonomia privata hanno tradi- zionalmente rappresentato uno strumento di tutela dell’ordine pubblico, o comunque di interessi di tipo generale.
(54) In merito, cfr. XXXXX, La prescrizione, cit., 68, a cui si rinvia per i riferimenti bibliografici; X. XXXXX, Tempo, prescrizione e Verwirkung, cit., 38 ss. La riforma del 2008 è stata preceduta da un Avant-project de Rèforme du droit des obligations et du droit de la presciption: il progetto, per quanto riguardava la parte relativa alle obbligazioni, era
prima di tale riforma, problemi analoghi a quelli già visti in Germania (temine di prescrizione ordinaria troppo lungo, pari a trent’anni; contrasti dottrinali e giurisprudenziali in materia di dies a quo, mancato riconoscimento dell’autonomia delle parti, eccessivo contenzioso in materia di prescrizione).
La riforma francese riprende numerosi aspetti di quella tedesca: in primo luogo, anche qui è infatti in- trodotto il sistema del doppio termine (délai butoir) (55). Accanto al termine breve di 5 anni, frutto di un contemperamento tra le due argomentazioni princi- pali, che spingevano, da un lato, per l’adozione di un termine triennale e, dall’altro, per un più lungo ter- mine di dieci anni, è stato infatti previsto un secondo termine di prescrizione, che concorre con quello ordi- nario breve. Ai sensi dell’art. 2232 c.c., il dies a quo, la sospensione o l’interruzione della prescrizione non possono prolungare la prescrizione stessa oltre venti anni dalla nascita del diritto. Tale ulteriore termine non è, inoltre, soggetto a sospensione o interruzione. Per esigenze di giustizia, è poi previsto che tale ter- mine non si applichi, nelle ipotesi di risarcimento dei danni alla persona, torture o atti di barbarie, o mole-
La veloce disamina di queste riforme non sarebbe completa, se non si specificasse che esse si ispirano e si inquadrano nel più ampio progetto di unificazione ed armonizzazione del diritto civile europeo, come di- sciplinata sia nei PECL, che nel DCFR (57). In merito ai principi Xxxxx (58), essi hanno previsto infatti un termine ordinario di prescrizione di tre anni; inoltre, è stabilita una durata massima della prescrizione (dieci anni, che divengono trenta se si tratta di risarcimen- to dei danni alla persona). Va sottolineato che, in tali Principi, non è previsto il sistema del doppio termine; il termine di prescrizione è unico, e la sua decorrenza è legata ad elementi oggettivi. Tuttavia, i Principles prevedono alcune cause di sospensione della prescri- zione, tra cui la più rilevante è rappresentata dalla conoscibilità del titolare. Pertanto, a differenza del sistema tedesco e francese, nei PECL la conoscenza/ conoscibilità del titolare del diritto non è legata alla decorrenza della prescrizione, ma è considerata una causa di sospensione della stessa. Analoga scelta è stata fatta nell’ambito del Draft Common Frame of Reference (59), all’art. 7:301.
stie sessuali nei confronti di minori, laddove il titola-
re del diritto non sia ancora venuto a conoscenza del diritto stesso, per evitare che resti privo di tutela: per tali materie, il dies a quo è individuato in modo sog- gettivo ed inizia a decorrere dal giorno in cui il titolare del diritto conosce o avrebbe dovuto conoscere i fatti lesivi, che gli consentono di agire in giudizio.
Inoltre, anche nella riforma francese del 2008, è stata ampliata l’autonomia contrattuale delle parti, che pos- sono prevedere termini di prescrizione più brevi o più lunghi, ovviamente nei limiti stabiliti dalla legge (56).
curato dal xxxx. Xxxxxx, mentre, relativamente alla prescrizione, dal xxxx. Xxxxxxxx: cfr. G. B. XXXXX, SPADA, CATALA e CORNU, L’avant-projet Catala, a cura di G. B. Xxxxx e Xxxxx, Xxxxxxx, 2008.
(55) X. XXXXX, op. ult. cit., 36 ss., che si sofferma sull’importanza del termine «glissant» o «flottant», caratteristico, come vedremo, anche dei Principi Lando e del DCFR. Pertanto, da un lato sono state ampliate le cause di sospensione e si è dato sempre maggiore rilievo al principio contra non valentem agere non currit prae- scriptio (cfr. XXXXXXXXX, De la règle «contra non valentem agere non currit praescriptio» et de ses applications en materie civile, Xxxxxxxx, 1901; CARBONNIER, La règle contra non valentem agere non currit praescriptio, in Revue trimestrielle de droit civil, 1935, 163 ss.) e, dall’altro, per evidenti motivi di certezza del diritto, è stato previsto che, in nessun caso, sia possibile andare oltre un termine massimo.
(56) I limiti previsti dal legislatore francese della riforma sono, an- zitutto, di natura temporale, in quanto il termine previsto dalle parti non può essere inferiore ad un anno e superiore a dieci anni. Inoltre, sono previsti limiti relativi a determinate materie, in cui è esclusa
l’autonomia delle parti: ciò accede, ad esempio, nell’ambito del codice del consumo, in cui è vietato alle parti apportare modifiche al termine previsto dalla legge, ovviamente per la debolezza strutturale di una delle parti. Analogamente, nel BGB, sono previsti limiti all’autonomia delle parti, anzitutto temporali. Infatti, il par. 202 BGB (Unzuläss- igkeit von Vereinbarungen über die Verjährung) prevede espressa- mente che: «1) Die Verjährung kann bei Haftung wegen Vorsatzes nicht im Voraus durch Rechtsgeschäft erleichtert werden.2) Die Verjährung kann durch Rechtsgeschäft nicht über eine Verjährung- sfrist von 30 Jahren ab dem gesetzlichen Verjährungsbeginn hi- naus erschwert werden». Simili limiti in materia di contratti con i consumatori sono previsti anche nell’ordinamento tedesco post-ri- forma: cfr. X. XXXXX, Tempo, prescrizione e Verwirkung, cit., 53 e 54. Sull’autonomia delle parti in materia di prescrizione nelle legislazioni europee, cfr. ID., Xxxxxxxx e giustizia nel diritto della prescrizione in Europa, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2010, 27 ss.
(57) Cfr. GUÉGAN, La nouvelle durée de la prescription: unité ou pluralité, in AA. VV., La réforme de la prescription en matière ci- vile, a cura di Xxxxxx e Xxxxxx, Xxxxxx, 2010, 15.
(58) In merito ai Principles of European Contract Law, cfr. CA- STRONOVO, Principi di Diritto Europeo dei Contratti, Parte I e II, Xxxxxxx, 2001; ID., Commissione per il diritto europeo dei con- tratti, Principi di diritto europeo dei contratti, Parte III, Xxxxxxx, 2005. In merito, cfr. XXXXXXXXXX, Lo ius commune e i principi di diritto europeo dei contratti: rivisitazione moderna di un’antica idea, in Contr. e impr./Eur., 2009, 101 ss.; XXXXXXXXXX, «I principi di diritto europeo dei contratti» come ipotesi di codificazione pos- sibile, in Vita not., 2002, 1202 ss.; XXXXXXXXX, I principi di diritto europeo dei contratti nel canone di Xxxxx Xxxxxxxxxx, in Eur. dir. priv., 2002, 847 ss.
(59) Cfr. X. XXXXX, Tempo, prescrizione e Vervirkung, cit., 48, giu- stamente considera «innovativa» tale causa di sospensione. Essa è prevista sia nei PECL, che all’art. 7:301 del Draft Common Frame
Sempre in merito al DCFR, è anche qui previsto il ter- mine di prescrizione ordinario di tre anni, stabilito in maniera oggettiva, salvo cause di sospensione espres- samente previste, che possono allungare il termine fin ad un massimo di dieci o di trent’anni (in caso di danno alla persona). Ugualmente, anche tali Principi accolgo- no la natura sostanziale della prescrizione ed il suo cd. effetto debole, oltre a prevedere maggiori poteri delle parti, in ordine alla possibilità di individuare termini più brevi o più lunghi, pur nei limiti di legge.
Conclusivamente, può evidenziarsi che la riforma te- desca e francese indicano una tendenza simile, diretta alla semplificazione e modernizzazione dell’istituto della prescrizione, in cui siano tutelate, da un lato, le impre- scindibili esigenze di certezza del diritto ma, dall’altro, anche finalità di tipo solidaristico, tese a raggiungere lo scopo pratico di una maggiore giustizia del caso concre- to, soprattutto in materia di diritti della persona (60).
4. La giurisprudenza evolutiva delle Corti europee in materia di prescrizione.
L’analisi che si sta svolgendo, diretta – da un lato – a tentare di dare una “spiegazione” alle motivazioni sot- tese ed a quell’atteggiamento di “tensione affannosa” della giurisprudenza nostrana che, in alcuni casi, ha
– come si è visto in precedenza – forzato oltre misura gli istituti fondanti del nostro ordinamento giuridico, attraverso un improprio ricorso alle clausole generali (specialmente alla buona fede), al fine di garantire la “giustizia del caso concreto” e, dall’altro, ad una rico- struzione sistematica della figura della prescrizione in chiave più moderna, non può prescindere dall’anali- si della giurisprudenza della Corte di Strasburgo e di quella della Corte di Giustizia in materia.
of Reference: «The running of the period of prescription is su- spended as long as the creditor does not know of: (a) the identity of the debtor; or (b) the facts giving rise to the right including, in the case of a right to damage, the type of damage». Sulla prescri- zione nell’ambito del DCFR, cfr. MAGRI, La prescrizione, cit., 82 ss.
(60) XXXXXX, Verso un regime uniforme di prescrizione per i con- tratti commerciali internazionali?, in Eur. dir. priv., 2003, 773 ss., in cui già si enucleavano i principi «guida» tipici della prescri- zione, in ambito internazionale: «termini di prescrizione uguali per tutti i diritti di credito, quanto meno in materia contrattuale; un termine di prescrizione “generale” piuttosto breve (3 o 4 anni al massimo), che decorre dal momento in cui il creditore sapeva o avrebbe potuto avere conoscenza dell’esistenza del proprio diritto; un termine “massimo” o assoluto di prescrizione (normalmente 10 anni), che decorre dal momento in cui il diritto viene ad esisten- za, e decorso il quale il diritto è in ogni caso prescritto; infine, un ampio potere di autonomia riconosciuto alle parti di modificare consensualmente il regime di prescrizione».
È bene partire dalla disamina della giurisprudenza della Corte EDU (61), anche perché essa tende ad in- fluenzare sempre più non solo il legislatore nazionale, ma anche direttamente la nostra giurisprudenza, spe- cie per la “costituzionalizzazione” (62) della CEDU, a seguito dell’emanazione del Trattato sull’Unione eu- ropea, che l’ha così equiparata, per gli effetti, alle nor- me di rango comunitario, con conseguente diretta ap- plicabilità negli ordinamenti dei singoli Stati membri. La CEDU si è occupata espressamente di prescrizio- ne in alcune sentenze, che si cercherà di riepilogare velocemente. In premessa, può rilevarsi che, nei vari ricorsi proposti, la Corte EDU si è essenzialmente in- terrogata sulla compatibilità del diritto nazionale, in materia di prescrizione, con il diritto di accesso alla giustizia, disciplinato dall’art. 6 della Convenzione (63). In merito al rapporto tra prescrizione ed acces-
(61) MAGRI, La prescrizione, cit., 119 ss.; XXXXXXX, Nomofilachia della Corte Edu, con particolare riguardo alla prescrizione estin- tiva, in La Corte di Strasburgo, a cura di Buffa e Ciminini, IV, in Questione di giustizia-Gli speciali, aprile 2019, 403 ss.; BONA, Appunti sulla giurisprudenza comunitaria e Cedu in materia di prescrizione e decadenza: il parametro della «ragionevolezza», in Resp. civ. e prev., 2007, 1709 ss. Sottolinea l’importanza dell’a- nalisi della giurisprudenza delle Corti europee anche nella mate- ria della prescrizione, CALZOLAIO, La riforma della prescrizione in Francia nella prospettiva del diritto privato europeo, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2011, 1087 ss.
(62) Sul problema, cfr. GUAZZAROTTI, La costituzionalizzazione della Cedu e della sua Corte: la (dis)illusione di un’Unione sem- pre più stretta, in Giur. cost., 2016, 381 ss.; ID., La parabola della costituzionalizzazione delle tutele della Cedu: rapida ma anche inarrestabile?, in AA.VV., La Corte europea dei diritti dell’uomo. Quarto grado di giudizio o seconda Corte costituzionale?, Es, 2016, 15 ss.; REPETTO, Argomenti comparativi e diritti fonda- mentali in Europa. Teorie dell’interpretazione e giurisprudenza sovranazionale, Jovene, 2011, passim; XXXXXXXX, La costituziona- lizzazione del diritto privato attraverso il diritto europeo. Il right to respect for the home ai sensi dell’art. 8 Cedu, in Eur. dir. priv., 2019, 51 ss.; D’ATENA, Costituzionalismo moderno e tutela dei diritti fondamentali, in AA.VV., Tutela dei diritti fondamentali e costituzionalismo multilivello a cura di D’Atena e Xxxxxx, Xxxxxxx, 2004, 32 ss.
(63) L’art. 6, comma 1, della Convenzione europea dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, prevede che: «Ogni persona ha diritto a che la sua causa sia esaminata equamente, pubblicamen- te ed entro un termine ragionevole da un tribunale indipendente e imparziale, costituito per legge, il quale sia chiamato a pronunciarsi sulle controversie sui suoi diritti e doveri di carattere civile o sulla fondatezza di ogni accusa penale formulata nei suoi confronti. La sentenza deve essere resa pubblicamente, ma l’accesso alla sala d’u- dienza può essere vietato alla stampa e al pubblico durante tutto o parte del processo nell’interesse della morale, dell’ordine pubblico o della sicurezza nazionale in una società democratica, quando lo esi- gono gli interessi dei minori o la protezione della vita privata delle parti in causa, o, nella misura giudicata strettamente necessaria dal tribunale, quando in circostanze speciali la pubblicità possa portare
so alla giustizia, la Corte ha fino ad ora escluso che possa esservi contrasto o incompatibilità tra tali fi- gure, soprattutto in considerazione della natura giu- ridica della prescrizione, che mira a garantire la cer- tezza del diritto (64), impedendo che possano essere oggetto di giudizio questioni eccessivamente risalenti nel tempo, in cui risulterebbe assai difficile fornire la prova (65). In sostanza, la Corte ha verificato se, nei singoli diritti nazionali, sussistano barriere (tra cui vi è anche la prescrizione), che in qualche modo impedi- scano o rendano eccessivamente difficile la possibilità di far valere i propri diritti in giudizio; a tal propo- sito, è bene ribadire che la Corte stessa non ha mai sostenuto l’illegittimità della prescrizione, specifican- do, anzi, che il diritto di accedere alla giustizia (right to a Court) non abbia carattere assoluto, essendo quest’ultimo sottoposto, per la sua stessa natura, ad alcune limitazioni (66). Una di esse è certamente rap- presentata dalla prescrizione che, garantendo certez- za dei rapporti giuridici, non si pone automaticamen- te e necessariamente in contrasto con l’art. 6 CEDU. Xxxx, in un famoso caso di specie (67), si afferma che
gli Stati abbiano un potere discrezionale, nel prevede- re termini di prescrizione; tuttavia, questi ultimi non possono rendere impossibile o eccessivamente diffi- cile la tutela in giudizio; sicché la valutazione della Corte non riguarda tanto la legittimità o meno della prescrizione, ma la congruità dei termini previsti, al fine di poter garantire un equo processo (bilancia- mento tra principio della certezza del diritto e diritto al giusto processo). Ciò premesso, nel caso di specie, il termine (di sei anni) previsto non è stato conside- rato eccessivamente breve, né può ritenersi, secondo la Corte, che fosse erroneo far decorrere l’exordium praescriptionis dal momento del verificarsi del fatto, e non da quello della effettiva conoscibilità, in quanto
«entrambi i modelli sono comunemente accettati» ed utilizzati nei vari Stati (68).
Successivamente, in un altro caso di specie, la Corte eu- ropea ha invece riconosciuta «sproporzionata» e, quin- di, inidonea a garantire il diritto ad un processo equo, la legge nazionale maltese, in relazione ai termini di prescrizione ivi previsti (69). In particolare, la Corte, dopo aver affermato che la prescrizione consiste esclusi- vamente in un istituto processuale, inidoneo come tale
ad incidere sull’esistenza o meno del diritto, ha rilevato
pregiudizio agli interessi della giustizia». Contenuto assai simile ha l’art 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, che disciplina il Diritto a un ricorso effettivo e a un giudice imparziale.
(64) Cfr. X. XXXXXXXXXXXX, La Verwirkung (ed i suoi limiti) innanzi alla Corte di Cassazione, cit., 1187, il quale rileva opportunamente che la Verwirkung non «pare porsi in sintonia l’una né l’altra delle idee di fondo che si contendono il campo nel più recente sviluppo del dibattito sulla prescrizione», in relazione, cioè, alla certezza dei diritti, da un lato, ed all’effettività di tutela, dall’altro.
(65) Cfr. MAGRI, La prescrizione, cit., 120.
(66) Nelle varie motivazioni in materia, si afferma infatti espres- samente che «The “right to a court” and the right of access are not absolute. They may be subject to limitations, but these must not restrict or reduce the access left to the individual in such a way or to such an extent that the very essence of the right is im- paired»: cfr. C. EDU, 17 gennaio 2012, causa Stanev c. Bulgaria, n. 36760/06, 2012, par. 229; C. EDU, 23 giugno 2016, causa Baka c. Ungheria, n. 20261/12, 2016, par. 120; X. XXX, 00 xxxxx0000, xxxxx Xxxx-Xxxxx x. Xxxxxxxx, n. 51357/07, 2018, par. 113, in Riv. dir. int., 2018, 888 ss.; C. EDU, 16 dicembre 0000, xxxxx Xx Xx- xxxxxx xx xx Xxxxxxxx x. Xxxxxxx, n. 12964/87, 1992, par. 28). Le sentenze della Corte Edu sono leggibili sul sito ufficiale della Cor- te: xxx.xxxxx.xxxx.xxx.xxx.
(67) C. EDU, 22 ottobre 1996, n. 22083/93 e n. 22095/93, causa Xxxxxxxxx e a. c. Regno Unito: nel caso di specie, la Sig. ra Stub- bings ed altre ricorrenti ritenevano che fosse stato violato il loro diritto di accesso alla giustizia, ex art. 6 CEDU, in quanto il ter- mine di prescrizione di sei anni dal compimento della maggiore età, previsto per l’esperimento dell’azione di risarcimento danni, come stabilito dal Limitation Act del 1980 del Regno Unito, era troppo breve. Ciò perché la signora Xxxxxxxxx aveva subito mole- stie sessuali in famiglia, durante l’infanzia, con gravi danni psico- logici, anche a distanza di anni. Tuttavia, non le era stato possibile
che, sulla base dell’originaria formulazione della legge maltese, il ricorrente aveva certamente scarse possibilità di ricevere idonea tutela. Essa, inoltre, ha aggiunto che,
chiedere il risarcimento dei danni relativi, avendo appreso del nesso causale tra i propri disturbi mentali e le molestie subite solo durante la psicoterapia presso uno psichiatra. Simili erano i casi prospettati delle altre ricorrenti. In merito, v. le riflessioni di MA- GRI, La prescrizione, cit., 120 ss., e di XXXXXXX, Nomofilachia della Corte Edu, cit., 412.
(68) Si noti, tuttavia, che la sentenza reca due dissenting opinions, di cui la più rilevante è quella del Giudice Xxxxxxx il quale, pur rite- nendo astrattamente ragionevole il termine di sei anni, ha rilevato che effettivamente la prescrizione potesse inesorabilmente com- piersi prima della conoscenza, da parte della vittima, dei fatti cau- sativi del danno, oltre che dell’autore del fatto illecito. Conseguen- temente, alla sig. ra Xxxxxxxxx ed alle altre parti ricorrenti era stato concretamente reso impossibile il ricorso alla giustizia, non potendo questo essere intrapreso prima di tale conoscenza/conoscibilità.
(69) C. EDU, 12 gennaio 2006, causa Mizzi c. Malta, n. 26111/02: nel caso di specie si rivolgeva alla Corte di Strasburgo un ricor- rente, affermando di non aver potuto in concreto esercitare il suo diritto a chiedere il disconoscimento di paternità, davanti alle Corti nazionali. In merito, va rilevato che la legge maltese, origi- nariamente, prevedeva un termine di prescrizione di soli tre mesi dalla nascita, ovvero di tre mesi dalla scoperta, nell’ipotesi di oc- cultamento della nascita stessa. Successivamente, la legge maltese ha portato a sei mesi il detto termine. La Corte Edu, da un lato, ha sottolineato il termine originariamente molto breve (3 mesi), rile- vando però l’esistenza di un termine glissant per agire in giudizio, nell’ipotesi di occultamento della nascita.
sebbene il principio dettato dall’art. 6 CEDU non abbia valore assoluto, dovendosi tenere in considerazione le limitazioni, anche temporali, fissate dalla legge statale per esigenze di certezza, ha tuttavia accolto il ricorso, in quanto il ricorrente non aveva mai avuto, in concreto, possibilità di far valere efficacemente il suo diritto (70). Altrettanto rilevante è il caso Moor ed a. c. Svizzera (71): in merito la Corte di Strasburgo, accogliendo il ricorso, ha sostenuto che il termine di prescrizione, previsto dalla legge nazionale, debba essere congruo e non tale da rendere impossibile o eccessivamente difficile l’accesso alla giustizia, così violando l’art. 6 CEDU ed il relativo principio dell’effettività del giu- dizio: invece, nel caso di specie, la legge svizzera ed i tempi di prescrizione ivi previsti avevano concreta- mente impedito alla parte interessata (ed ai suoi ere- di) di agire, prima che la patologia ed il danno lun- golatente potessero essere concretamente percepiti, con conseguente violazione del diritto ad un processo equo ed effettivo (72).
Riassumendo sinteticamente, la disamina della giu- risprudenza della Corte di Strasburgo si mostra assai interessante, in quanto essa, da un lato, ha riconosciu- to la piena discrezionalità degli Stati nel prevedere termini di prescrizione, istituto di cui va riconosciuta la rilevanza, per la sua tipica funzione di garantire la certezza del diritto; dall’altro, ha tuttavia previsto li- miti (73) di congruenza e compatibilità della prescri- zione con l’art. 6 CEDU, che devono in ogni caso con- sentire la concreta possibilità di ottenere un giudizio equo ed effettivo. In sostanza, la Corte ha proposto una soluzione dinamica che, attraverso un bilancia- mento di interessi, possa giungere ad una soluzione
«giusta» ed equa, sia valutando la concreta possibilità della parte di ottenere tutela, in base alle singole leggi nazionali, sia con soluzioni più incisive, ad esempio con una rimodulazione dell’exordium praescriptio- nis, in relazione a elementi soggettivi di conoscibilità. Di pari rilevo si mostra la disamina della giurispru- denza della Corte di Giustizia, che ha orientato la pro- pria linea interpretativa al fine di verificare, di volta
in volta e quindi non ex ante in astratto, il rispetto dei
(70) In tal senso, cfr., inoltre, C. EDU, 25 giugno 2009, causa Zou- boulidis c. Grecia, n. 36963/06: nel caso di specie, un dipendente pubblico agiva per non aver potuto percepire parte della sua retri- buzione dallo Stato geco, in quanto la relativa azione, trattandosi di crediti contro lo Stato, era soggetta alla prescrizione di due anni. La Corte, dopo aver ribadito che l’esistenza di un termine di pre- scrizione non si pone per ciò solo contro la Convenzione, mirando l’ordinamento statale a garantire la certezza dei rapporti giuridici, ha precisato però che lo scopo di tutelare le casse dello Stato con un termine di prescrizione breve non «costituisce una giustificazione idonea per pregiudicare il diritto di proprietà» dei privati cittadini.
(71) C. EDU, 11 marzo 2014, causa Xxxxxx Xxxx e a. c. Svizzera, nn. 52067/10 e 41072/11: nel caso di specie i ricorrenti, parenti di un lavoratore, morto per aver contratto un mesotelioma pleurico, in conseguenza della prolungata esposizione a polveri di asbesto, il quale aveva ottenuto in vita solo un indennizzo pecuniario, da parte dell’Ente di previdenza, agivano in giudizio davanti alle Cor- ti svizzere, chiedendo il risarcimento del danno non patrimonia- le, in merito al quale, tuttavia, era ormai prescritto il termine di prescrizione. Gli eredi del lavoratore hanno così proposto ricorso alla Corte di Strasburgo, sostenendo il contrasto con l’art. 6 CEDU della legislazione svizzera, che faceva coincidere l’exordium prae- scriptionis con il verificarsi del fatto lesivo e non già con il momen- to in cui il soggetto abbia concreta possibilità di percepire il danno stesso.
(72) Secondo l’orientamento ormai costante dei Giudici di legitti- mità, il termine di prescrizione, in tali tipologie di danni, decorre non dal giorno in cui «il terzo determina la modificazione che pro- duce il danno altrui o dal momento in cui la malattia si manifesta all’esterno, ma dal momento in cui viene percepita o può essere per- cepita», tenuto conto «dell’ordinaria diligenza» e «della diffusione delle conoscenze scientifiche» dell’epoca: cfr. Cass., 24 marzo 1979,
n. 1716, in Resp. civ. e prev., 1980, 90 ss., ed in Foro it., 1980, I, 1115 ss.; Cass., 24 febbraio 1983, n. 1442, in Resp. civ. e prev., 1983, 627 ss.; Cass., 12 agosto 1995, n. 8845, in Rep. Xxxx xx., 0000, xxxx Xxxxxxxxxxxx x xxxxxxxxx, x. 00; Cass., 9 maggio 2000, n. 5913, in
canoni di adeguatezza, ragionevolezza (74) ed effetti- vità (75) nel caso concreto. A titolo esemplificativo, in uno dei primi casi, la Corte ha affermato un principio di diritto, destinato a divenire costante nel tempo, so- stenendo che «le condizioni, in particolare relative ai termini, stabilite dalle legislazioni nazionali [...], non possono essere congegnate in modo da rendere pra- ticamente impossibile o eccessivamente difficile otte- nere il risarcimento (principio di effettività)», sicché la fissazione di termini «ragionevoli» (76) costituisce l’applicazione del fondamentale principio di certezza del diritto. Ancora una volta, da un lato, si sottolinea la rilevanza e l’importanza della ratio della prescrizio- ne, che tutela la certezza dei rapporti giuridici (ed è
Dir. econ. ass., 2000, 1226 ss.; Cass., 8 maggio 2006, n. 10493, in
Rep. Xxxx xx., 0000, xxxx xxx., x. 00; Cass., 27 luglio 2007, n. 16658, ivi, 2007, voce cit., n. 168. Sia consentito, inoltre, il rinvio a NANNA, Esposizione professionale ad amianto e tutela integrale del danno alla persona, in Resp. civ. e prev., 2017, 634 ss.
(73) Conf., MAGRI, La prescrizione, cit., 132.
(74) BONA, Appunti sulla giurisprudenza comunitaria e Cedu in materia di prescrizione e decadenza, cit., 1709 ss.; TESAURO, La ragionevolezza nella giurisprudenza comunitaria, Es, 2012.
(75) XXXXXXXX, Effettività delle tutele e diritto europeo a cura di Ia- xxxxxx, Es, 2020; LIBERTINI, Le nuove declinazioni del principio di effettività, in Europa dir. priv., 2018, 1071 ss.; XXXXXXXXX, Il princi- pio di effettività ed il diritto vivente, in Giur. it., 1995, IV, 263.
(76) X. xxxxx., 10 luglio 1997, causa C-261/1995, Palmisani, c. Inps, in Foro it. 1998, IV, 215; in Raccolta, 1997, I, 4025 ss.; in Riv. crit. dir. lav., 1998, 311 ss.
perciò anch’esso, un «principio fondamentale» per le Corti europee) ma, dall’altro, si sostiene la «necessi- tà» di una soluzione più dinamica e moderna, diretta a garantire la giustizia del caso concreto, in relazione ai principi generali di adeguatezza ed effettività.
Il più delle volte la Corte di Giustizia ha prospetta- to una soluzione a “due livelli” diretta, da un lato, a valutare la ragionevolezza del termine di prescrizione previsto dagli Stati membri, nel senso che non deve essere eccessivamente breve e, dall’altro, alla sua decorrenza, che deve preferibilmente coincidere col momento in cui il titolare sia effettivamente venuto a conoscenza del duo diritto, ovvero sia stato nella con- creta possibilità di conoscerlo (77).
In relazione al principio di effettività, può ricordarsi una sentenza in cui la Corte di Giustizia ha rigettato il ricorso, ritenendo congrui i termini stabiliti dal le- gislatore nazionale (78). Ancora, in un altro caso, in cui la legge nazionale operava retroattivamente, con conseguente abbreviazione dell’originario termine di prescrizione, la Corte di Giustizia, dopo aver nuova- mente precisato che spetta al legislatore nazionale fis- sare i termini e le condizioni processuali per far valere il diritto in giudizio, ha ribadito il rilievo del principio di effettività, nel senso che se, in astratto, una norma che abbrevia retroattivamente il termine di prescri- zione sia idonea a ledere il principio di effettività, va tuttavia verificato se, in concreto, specie per la previ- sione normativa di un regime transitorio, il termine appaia comunque ugualmente ragionevole (79).
(77) Cfr. MAGRI, La prescrizione, cit., 88.
(78) X. xxxxx., 18 marzo 2010, cause C-317/08, C-318/08, C-319/08 e C-320/08, Xxxxxxxx e a. c. Telecom Italia Spa e a., in Raccolta, 2010, I, 2223 ss.: il caso di specie aveva ad oggetto l’i- nadempimento di contratti aventi ad oggetto la fornitura di servizi telefonici, nei confronti delle società fornitrici dei servizi stessi. Nel corso del giudizio era stata sollevata l’improcedibilità dei ri- corsi, non avendo le ricorrenti esperito il tentativo obbligatorio di conciliazione previsto nel regolamento. Tuttavia, la Corte ha os- servato che tale procedura doveva svolgersi in un tempo massimo di un mese, quindi piuttosto breve; inoltre, il termine di prescri- zione restava sospeso durante lo svolgimento del tentativo di con- ciliazione. Conseguentemente, il diritto delle parti all’effettività di tutela non risultava compromesso.
(79) X. xxxxx., 12 dicembre 2013, causa C-362/12, Test Claiman- ts in The Franked Income Group Litigation c. Commissioner of Inland Rvenue e Commissioners for her Majesty’s Revenue and Customs, in Raccolta, 2013, I, 4589 ss., laddove si afferma espressamente che «il principio di effettività non vieta nemmeno in assoluto un’applicazione retroattiva di un nuovo termine di ri- corso più breve e, eventualmente, più restrittivo per il contribuen- te del termine precedentemente applicabile, là dove una siffatta applicazione riguardi le azioni di ripetizione di imposte nazionali incompatibili con il diritto dell’Unione non ancora proposte al
In conclusione, può ritenersi che le due Corti esamina- te seguano un’impostazione ermeneutica abbastanza simile: entrambe ribadiscono il rilievo del principio di certezza del diritto, assicurato dalla prescrizione e considerato quale “valore generale”; dall’altro, però, propongono un’interpretazione favorevole ad una visione per così dire meno rigida della prescrizione stessa, che sia soprattutto diretta a garantire effetti- vità e giustizia del caso concreto, attraverso un bilan- ciamento degli interessi contrapposti.
5. Considerazioni conclusive.
Dall’analisi finora svolta si è chiaramente evidenziato che l’istituto della prescrizione, considerato uno dei più «tradizionali» del nostro ordinamento, specie per la sua classica funzione di «presidio» della certezza dei rapporti giuridici, sembra mostrare una nuova
«vitalità» (80), nell’ambito di ordinamenti da sem- pre considerati «vicini» al nostro ed alla luce della giurisprudenza delle Corti europee; tale nuova disci- plina e funzione della prescrizione non ha però tro- vato, almeno fino ad ora, alcuna corrispondenza nel legislatore italiano in nessun disegno di legge (81). Una certa tendenza “innovatrice” si è avuta, in giuri- sprudenza, come si è visto relativamente ai quali, in
momento dell’entrata in vigore del nuovo termine, ma vertenti su importi versati quando vigeva il vecchio termine»(punto n.35) , purché tale «eventuale applicazione retroattiva non comprometta il rispetto del principio di effettività»(punto n. 36). Conf., cfr. X. xxxxx., 17 novembre 1998, causa C-228/96, Aprile srl, in Raccolta, I, 7141 ss.; X. xxxxx., 24 settembre 2002, causa C-255/00, Grundig Italiana, in Raccolta, I, 8003 ss.
(80) TRAVAGLINO, Le stagioni della prescrizione estintiva, cit., 49, il quale correttamente rileva che «un’indagine condotta su di un istituto (apparentemente) “classico” come la prescrizione, (appa- rente) presidio di una ineffabile “certezza del diritto”, (apparente- mente) solido proprio come
un tempio greco potrebbe svelare profili di sorprendente attua- lità»; XXXXX, Prescrizione e certezza: ragioni del debitore e del creditore a confronto, in Pers. e mercato, 2017, 181, secondo cui la prescrizione, ormai «svincolata dalla sua matrice strettamente pubblicistica, in nome del principio di effettività», è stata «rimo- dulata e costruita intorno a quelli che sono gli interessi che hanno le parti in uno specifico rapporto giuridico». Parla di «enorme in- cremento del dinamismo», che rende ormai «irragionevolmente lungo» anche il nostro termine ordinario di prescrizione, C. SCO- GNAMIGLIO, La Verwirkung (ed i suoi limiti) innanzi alla Corte di Cassazione, cit., 1192.
(81) Tanto è vero che, come ricorda opportunamente MAGRI, La prescrizione, cit., 454, il recente Disegno di legge recante delega al Governo per la revisione del codice civile, del 28 febbraio 2019, non «fa alcun cenno alla necessità di riformare la disciplina della prescrizione»; il che sarebbe dovuto anche all’attenzione massima del legislatore, in questo momento storico, alla sola prescrizione in ambito penale.
merito al problema del dies a quo nei cd. danni lungo- latenti, relativamente a cui la giurisprudenza ha colto l’esigenza di garantire effettività di tutela in situazioni in cui il danneggiato non avrebbe più alcuna possibi- lità di far valere il proprio diritto.
Va poi sottolineato che il “nuovo” diritto civile (e, quindi, gli ordinamenti giuridici nazionali e comu- nitari), parallelamente alla modernizzazione della società, manifestano un interesse sempre crescente verso i diritti del “soggetto debole”, o verso problemi di “giustizia contrattuale” ed eventuali poteri corret- tivi-integrativi del giudice rispetto al contratto (82), così come si segnala una sempre maggiore «prevalen- za» di interessi squisitamente privatistici, rispetto a quelli di ordine pubblico (83). In questa prospettiva, la riforma tedesca e quella francese della prescrizione rispondono perfettamente a queste moderne tenden- ze (84), avendo dotato un istituto tipico della tradi- zione dei codici ottocenteschi di nuovi scopi e di una considerevole flessibilità, idonea a garantire il con- temperamento degli interessi delle parti, più che la tutela dell’ordine pubblico.
D’altronde, nonostante le chiare intenzioni del legisla- tore del 1942, esplicitate nella Relazione al codice civile, secondo cui l’istituto della prescrizione mirava a tutelare
«finalità di ordine pubblico» (85), la dottrina si è ampia- mente divisa sulla ratio e gli scopi di tale figura giuridica, tra chi ha ritenuto che lo scopo fosse quello di garanti- re «esigenze di certezza» (86), e chi quello di tutelare la
«pace sociale» (87), ovvero di consentire «l’adeguamen- to tra la situazione di diritto a quella di fatto» (88), o di prevedere una «sanzione per l’inerzia protratta» ecces-
sivamente (89), o ancora di ritenere che fosse tutelato l’interesse del debitore di non rimanere troppo a lungo in una situazione di incertezza (90). In sostanza, già la dottrina “tradizionale” percepiva le numerose problema- tiche e le insidie tipiche dell’istituto della prescrizione: basti pensare, a titolo esemplificativo, alla nota discus- sione tra natura sostanziale o processuale dell’istituto (91), con le numerose conseguenze da essa derivanti.
Non è quindi difficile comprendere che questo istituto, così suggestivo, perché caratterizzato dal fatto di essere
«una specie di miracolo, per cui il diritto diventa non diritto e viceversa», ed attraverso cui «si rende mani- festo che anche il diritto, come un essere vivente, nasce e muore» (92), possa nel tempo dar vita, nella prassi giurisprudenziale, ad una tendenza interpretativa più
«moderna» e «flessibile» (93), specie per l’indolenza del legislatore, attualmente piuttosto restio a cogliere le innovazioni, pur cospicue, sull’istituto. Si è non a caso rilevato che, in merito alla prescrizione, a segui- to delle influenze comparatistiche e di quelle derivanti dalla giurisprudenza delle Corti europee «inevitabil- mente gli itinerari della giurisprudenza nazionale, se- gnatamente di legittimità, saranno sempre più perme- ati delle indicazioni e dei modelli comunitari» (94).
A questo punto, c’è da chiedersi se la sentenza della Su- prema Corte, che ha offerto lo spunto alle riflessioni di queste pagine, non costituisca un esempio (pur erroneo e non condivisibile, sulla base delle motivazioni già illu-
(89) Cfr. MESSINEO, Manuale di diritto civile e commerciale, Giuf- frè, 1959, I, 187.
(90) XXXXXXXXX, Appunti sulla prescrizione, Jovene, 1971, 39 ss. In merito, v. le riflessioni di X. XXXXX, Tempo, prescrizione e Xxxxxx- kung, cit., 20, il quale rileva che, se da un lato «l’istituto della prescrizione potrebbe essere considerato ingiusto […], scorgen-
dosi perfino […] un’usurpazione a danno del titolare del diritto e,
(82) In merito, cfr. XXXXX, Eterointegrazione del contratto e po- tere correttivo del giudice, Cedam, 2010, 72 ss.
(83) XXXXX, La prescrizione, cit., 452, il quale ritiene che sia ormai
«sbiadita» la funzione di ordine pubblico della prescrizione.
(84) TRAVAGLINO, Le stagioni della prescrizione estintiva, cit., 53.
(85) Nella Relazione del Ministro Guardasigilli Xxxx Xxxxxx al Codice civile del 4 aprile 1942, si afferma, infatti, espressamente che è stata prevista la nullità dei patti diretti a derogare ai termini di prescrizione, «coerentemente alla finalità d’ordine pubblico che informa l’istituto della prescrizione».
(86) Sul punto la dottrina, anche se da punti di vista diversi, è concorde: cfr., ex multis, per tutti, X. XXXXXX, Prescrizione (dir. priv.), in Enc. dir., XXXX, Xxxxxxx, 1986, 57; XXXXXXXX e SCARPELLO, Prescrizione e decadenza, cit., 203.
(87) Cfr. C.M. XXXXXX, Diritto civile, VII, Le garanzie reali, la prescri- zione, Xxxxxxx, 2012, 511 ss., ove ulteriori riferimenti bibliografici.
(88) XXXXXXX XXXXXXXXXX, Dottrine generali del diritto civile, Jove- ne, 1977, 114.
corrispondentemente, un ingiusto arricchimento», esso esprime, invece, un bilanciamento di interessi tra le ragioni del creditore e quelle del debitore, che ha diritto a non restare in una situazione di incertezza per un tempo indeterminato ed eccessivamente lungo Proprio in questo, d’altronde, consisterebbe la salvaguardia della certezza dei rapporti, tipica della prescrizione.
(91) In merito alla questione, cfr., per tutti, l’efficace sintesi svolta da TRAVAGLINO, Le stagioni della prescrizione estintiva, cit., 55 ss., al quale si rinvia per i riferimenti bibliografici.
(92) Così, testualmente, CARNELUTTI, Appunti sulla prescrizione, in Xxx. xxx. xxxx. xxx., 0000, X, 00.
(93) XXXXX, La prescrizione, cit., 455. Xxxxxx, inoltre che, grazie all’intervento della giurisprudenza, specie con il richiamo al requi- sito della conoscenza/conoscibilità ed «alla disponibilità degli ef- fetti», si è evidenziato il passaggio da «una visione statica dell’isti- tuto» della prescrizione ad «una dinamica, che si concentra sugli interessi ed i comportamenti delle parti», XXXXX, Prescrizione e certezza: ragioni del debitore e del creditore a confronto, cit., 182.
(94) TRAVAGLINO, Le stagioni della prescrizione estintiva, cit., 74
strate) di questa “nuova tendenza”, diretta ad una “mo- dernizzazione” dell’istituto, attraverso l’utilizzo della clausola di buona fede ed il rinvio alle tecniche utilizzate dalla prassi tedesca, al fine di “superare” le rigidità della prescrizione. Tra le righe di una motivazione, come si è visto, piuttosto «confusa» e caotica, sembra potersi leg- xxxx quasi un «disagio» dell’interprete che, di fronte a situazioni di evidente iniquità, sembra volersi affranca- re dalle strettoie delle norme imperative per garantire la
«giustizia del caso concreto» (95), in nome di un «nuo- vo giusnaturalismo, ove l’interprete è sovente chiama- to» a giudicare secondo buona fede (96).
Tuttavia, una qualsivoglia “forza creativa” della giu- risprudenza, consapevole o meno dei problemi in precedenza evidenziati, non pare potersi mai spin- xxxx ad un utilizzo improprio delle clausole generali che, se da un lato possono senza dubbio garantire una modernizzazione ed un “adattamento” del diritto ad esigenze nuove, per la loro caratteristica flessibilità, dall’altro devono essere impiegate in armonia siste- matica con tutti gli istituti fondamentali del diritto, dando altrimenti luogo, inevitabilmente, ad una rela- tivizzazione dell’istituto della prescrizione e, soprat- tutto, ad una grave e pericolosa svalutazione del prin- cipio della certezza dei rapporti giuridici (97).
Secondo la Suprema Corte, come si è visto in prece- denza, sarebbe possibile ritenere operante, nel nostro ordinamento, un istituto simile alla Verwirkung te- desca, in base a cui la prolungata inerzia del creditore farebbe sorgere nel debitore, in presenza di circostan- ze concrete, un legittimo affidamento nell’estinzione/
essere esposto ad una richiesta di adempimento «in un’unica soluzione», che graverebbe in modo eccessi- vo (ed «ingiusto») sul debitore stesso.
Per giungere a considerazioni conclusive, resta da chie- dersi, per dimostrare definitivamente la mancanza di un fondamento teorico e normativo di tale tesi, se una mera inerzia possa mai ingenerare un legittimo affida- mento nella controparte. A tale affermazione non sem- bra possibile dare una risposta affermativa: l’inerzia, infatti, in quanto mancato esercizio del diritto, non è
– come pure una dottrina autorevole ha sostenuto – un atto giuridico, consistente in un «comportamento giuridico permanente, destinato a durare normalmen- te per dieci lunghi anni», in cui dovrebbe darsi rilie- vo, se non alla volontà, «almeno alla intenzionalità del comportamento» stesso (99) ed aggiungi: essa è, invece, un mero fatto giuridico, dal cui protrarsi per il tempo stabilito dalla legge discende l’effetto giuridico dell’estinzione del diritto (100). Né, tantomeno, pare potersi condividere l’interpretazione dell’inerzia come un «comportamento concludente nei confronti della controparte», che diverrebbe rilevante «solo quando le circostanze oggettive siano idonee a qualificare nei confronti di tutti, e naturalmente della controparte, il comportamento come vera inerzia» (101). Tale teoria, che avrebbe potuto costituire una buona base per giu- stificare l’ingresso nel nostro diritto della Verwirkung (102), è sostanzialmente rimasta isolata, nonostante sia successivamente stata ripresa da chi ha affermato che si assisterebbe ad un «progressivo affermarsi di
consunzione dell’altrui diritto; ciò in conseguenza
della (presunta) violazione della buona fede in exe- cutivis, che imporrebbe al creditore di salvaguardare l’altrui interesse (98), cioè (nel caso di specie) a non
(95) Sul problema, cfr. le riflessioni di X. XXXXXX, Ritardo nell’e- sercizio del credito, Verwirkung e buona fede, cit., 607 ss.
(96) Le parole tra virgolette sono di TRAVAGLINO, op. ult. cit., 71, il quale aggiunge che non finirebbe «di agitarsi quella antica e mai sopita tensione tra equità e certezza che, calata nella dimensione del tempo […] sempre più spesso trova risposta sul piano concre- to-applicativo».
(97) Il grave rischio veniva evidenziato finanche da quella dot- trina che ha prospettato l’ingresso, nel nostro ordinamento, della Verwirkung, sostenendo che la giurisprudenza italiana l’avesse ammessa, in concreto, attraverso la fictio iuris della rinunzia ta- cita, che veniva individuata, di volta in volta, per «giustificare» la perdita del diritto, da parte del suo titolare: cfr. XXXXXXX, Rinuncia tacita e Verwirkung, cit., 126; conf., X. XXXXXX, Xxxxxxx nell’eserci- zio del credito, Verwirkung e buona fede, cit., 608.
(98) Opportunamente, ORLANDI, Ermeneutica del silenzio, cit., 1185, sottolinea che la sentenza ritiene che il debitore sia auto-
maticamente e necessariamente danneggiato per il fatto di dover attendere di pagare i canoni dovuti, mentre «il debitore parrebbe semmai avvantaggiato dalla perdurante liquidità», sembrando perciò contrario a buona fede che «egli fruisca della liquidità tem- poranea come se il proprio debito fosse estinto o ridotto», gravan- do su di lui - al contrario - il dovere di conservare la provvista di denaro, in favore del creditore, fino all’estinzione dell’obbligazio- ne. Rileva, correttamente che, se si seguisse l’orientamento della Suprema Corte del 2021, sarebbero realmente danneggiati nel loro legittimo affidamento i terzi creditori della società, i quali vedreb- bero travolti i propri diritto, nonostante la regolare contabilizza- zione nei libri sociali dei canoni di locazione: cfr. X’XXXXX, Buona fede ed estinzione (parziale) del diritto di credito, cit., 1169.
(99) Il riferimento è alla nota tesi di XXXXXXXXX, Appunti sulla pre- scrizione, cit., 17 ss., del quale sono le parole tra virgolette.
(100) Cfr. X. XXXXX, Xxxxx, prescrizione e Verwirkung, cit., 28 ss., il quale critica, con osservazioni assai puntuali e condivisibili, la suindicata tesi di Xxxxxxxxx. Cfr., nello stesso senso, ID., Xxxxxxx e prescrizione nel pensiero di Xxxxxxx Xxxxxxxxx, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2019, 154 ss.
(101) XXXXXXXXX, Appunti sulla prescrizione, cit., 25.
(102) Lo rileva opportunamente X. XXXXXXXXXXXX, La Verwirkung
(ed i suoi limiti) innanzi alla Corte di Cassazione, cit., 1192.
un modello di inerzia, che presenta molte analogie con quello elaborato nella prassi e nella dottrina tedesca della Verwirkung, incentrato sull’idea dell’individua- zione del contegno omissivo alla stregua del generale canone della buona fede oggettiva» (103). Anche que- sta tesi non risulta essere stata seguita dalla dottrina o dalla giurisprudenza, specie perché essenzialmente basata sul recupero della natura processuale della pre- scrizione (104).
Peraltro, dalla disamina del dettato normativo, si evin- ce molto chiaramente che al legislatore non interessa in alcun modo il “significato” esterno dell’inerzia e, soprat- tutto, che non è richiesta la sussistenza di alcun elemen- to di tipo soggettivo: l’inerzia è semplicemente non uso del diritto, un mero fatto che, se si protrae nel tempo, porta all’estinzione del diritto. Tanto è vero che, laddove sia invece necessaria una volontà, il legislatore la richie- de espressamente, come avviene ad esempio in materia di interruzione della prescrizione (105), ex art. 2943 c.c. Ed allora, conclusivamente può ritenersi che “l’inerzia è solo inerzia” e che da essa non sia legittimo dedurre alcuna “volontà” del titolare del diritto: il suo protrarsi porterà, pertanto, solo ed esclusivamente all’estinzione del diritto (106), mentre mai potrebbe determinare il sorgere di un preteso “legittimo affidamento”.
(103) Così, testualmente, X. XXXXX, Prescrizione, in Dig. disc. priv. - Sez. civ., XIV, Utet, 1006, 230.
(104) La tesi di X. XXXXX, Contributo allo studio della prescrizio- ne, Jovene, 1984, 19 ss., pur essendo in parte condivisa da B. GRAS- SO, Prescrizione, cit., 63, nota n. 37, in relazione al collegamento tra buona fede oggettiva ed inerzia, quale comportamento conclu- dente, è stata dallo stesso aspramente criticata, laddove (p. 64 ss.) essa mira a sostenere «che l’inerzia non coincide con il mancato esercizio del diritto, bensì con il mancato esercizio dell’interesse ad agire». Infatti, tale affermazione, secondo l’a., potrebbe essere condivisa solo se l’interesse fosse «suscettibile di esercizio. Ma si esercita una facoltà, un potere, non un interesse del quale si può predicare solo la realizzazione o il soddisfacimento». Il contrasto
Pertanto, de jure condito, non può ritenersi che trovi ingresso, nel nostro ordinamento giuridico, un isti- tuto assimilabile a quello della Verwirkung tedesca: ogni “sforzo interpretativo” in tal senso non pare con- divisibile. L’impiego della clausola generale di buona fede, d’altronde, necessita di appigli sicuri e precisi ed essa non può essere «invocata» come una sorta di
«lasciapassare», diretto a forzare la norma giuridica, per dar vita ad una «prescrizione di fatto» nel nome di «malintese esigenze equitative» (107). Il rischio, nemmeno così ipotetico, è quello di una pericolosa svalutazione della certezza dei rapporti giuridici, che può «produrre inconvenienti socialmente più danno- si di quelli che si vogliono evitare» (108).
Sembra invece assai opportuno riconoscere che siano ormai maturi i tempi per una riforma della prescrizione (109); per quanto si è detto in precedenza, l’istituto, a li- vello europeo, ha progressivamente assunto una diversa funzione, più in armonia con la realtà sociale contem- poranea e con le nuove esigenze di protezione, derivanti dalla sempre maggiore velocità nei rapporti. In tal sen- so, la previsione di un doppio termine di prescrizione, una rimodulazione del dies a quo, con un’estensione dell’autonomia privata, pur in limiti ed ambiti stabiliti per legge, similmente a quanto avvenuto nell’ordina- mento tedesco e francese, sembrano essere auspicabili, nell’ambito di una riforma quanto mai urgente ed op- portuna, diretta, da un lato, a garantire il fondamenta- le valore della certezza dei rapporti e, dall’altro, a con- temperare le esigenze delle parti contrapposte in modo più equo. Ciò anche al fine di una progressiva e sempre maggiore armonizzazione (110) del diritto privato euro- peo, che possa assicurare non solo speditezza dei traf- fici all’interno dell’Unione, ma anche parità di tutela e, quindi, maggiore giustizia sociale.
tra i due aa. riflette, appunto, quello tra la natura processuale della
prescrizione, sostenuta dal Panza, e quella sostanziale, sostenuta dal Grasso. Per una replica alle critiche di Xxxxxx, cfr. PANZA, Pre- scrizione, cit., 231, nota n. 33 e passim.
(105) Cfr. X. XXXXX, Tempo, prescrizione e Verwirkung, cit., 29 ss., il quale correttamente aggiunge che voler individuare necessaria- mente nell’inerzia un elemento di tipo soggettivo e «volontaristi- co» sembra ricordare quelle «risalenti spiegazioni della prescrizio- ne in termini negoziali, precisamente di rinunzia tacita al diritto» (p. 30). Per un analogo atteggiamento della più antica dottrina tedesca che, per giustificare la Verwirkung, individuò la necessità di «un’intenzione maliziosa» di ritardare l’esercizio del proprio di- ritto, cfr. ID., Verwirkung, cit., 723.
(106) Conf., XXXXXXX, Ermeneutica del silenzio, cit., 1183, il quale correttamente precisa che l’inerzia è pura o mera e, in questo caso,
«non significa nulla prima del tempo»; solo se ad essa «si accom-
xxxxx un altro elemento significante», il silenzio potrà essere qua- lificato come vera e propria rinunzia tacita.
(107) Le parole tra virgolette sono di XXXXXXX, Rinuncia tacita e
Verwirkung, cit., 126.
(108) XXXXXXX, op. ult. cit., 127.
(109) Conf., XXXXX, La prescrizione, cit., 455; XXXXX, Prescrizio- ne e certezza, cit., 182; v. anche, se pur indirettamente, TRAVAGLI- NO, Le stagioni della prescrizione estintiva, cit., 74 e 75.
(110) Sottolinea l’importanza dell’armonizzazione dell’istituto della prescrizione a livello comunitario, MAGRI, La prescrizione, cit., 457; ritiene necessario, nell’ambito di un eventuale progetto di riforma, che il legislatore italiano valuti «se le soluzioni apportate da altri ordinamenti di tradizione vicina alla nostra siano efficienti ed im- portabili», XXXXX, op. ult. cit., 182.