REPUBBLICA ITALIANA
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
IL TRIBUNALE ORDINARIO di AVELLINO SEZIONE PRIMA CIVILE
In composizione monocratica e in persona del dottor Xxxxxxxx Xxxxxxxxxx ha emesso la seguente
SENTENZA
nella causa civile iscritta al n. 704 del Ruolo Generale degli Affari Civili Contenziosi dell’anno 2006 R.G.
Oggetto: Contratti bancari
vertente tra
XXXXX X. DI XXXXXXXX X. E C. S.A.S. , in persona del legale
rappresentante pro-tempore, con il patrocinio dell’avv. omissis
parte attrice
e
BANCA DELLA CAMPANIA S.P.A., in persona del legale rappresentante pro-tempore, con il patrocinio dell’avv. omissis
, giusta mandato a margine della comparsa di costituzione e risposta
parte convenuta
Conclusioni delle parti: all’udienza del 15 dicembre 2016 le parti hanno precisato le conclusioni di seguito trascritte:
parte attrice: “si riporta al proprio atto difensivo nonché ai verbali di causa e conclude per l’accoglimento delle domande ivi formulate, nello specifico per la condanna della Banca della Campania al pagamento di quanto quantificato dalla CTU oltre interessi , spese e competenze da distrarre in favore dei procuratori antistatari ”;
parte convenuta: “si riporta ai propri atti difensivi e nelle cui conclusioni insiste. Impugna e contesta le deduzioni, eccezioni, domande e conclusioni di controparte e ne chiede il rigetto. Vinte le spese e competenze del giudizio”
ESPOSIZIONE DELLE RAGIONI DELLA DECISIONE
La società Xxxxx G. di Xxxxxxxx X. e C. s.a.s. ha convenuto in giudizio, innanzi al Tribunale di Napoli, la Banca della Campania per sentir accertare la nullità, anche parziale, dei vari contratti bancari bancari intrattenuti con il predetto istituto “ in relazione all’anatocismo trimestrale, agli interessi ultralegali determinati con rinvio agli usi, alle valute cc.dd. virtuali e alle cc.dd. commissioni di massimo scoperto”, con conseguente condanna della parte convenuta alla ripetizione delle somme indebitamente riscosse per effetto degli addebiti derivanti dall’illegittimità delle predette clausole.
Si è costituita la società resistente eccependo in via preliminare il difetto di competenza, nonché la prescrizione del credito fatto valere dal
correntista per addebiti e movimentazioni anteriori al decennio dalla data della domanda; nel merito l’istituto ha chiesto il rigetto delle domande proposte perché genericamente formulate e comunque prive di fondatezza.
Dichiarata l’incompetenza territoriale, su adesione della parte attrice, la causa è stata tempestivamente riassunta e quindi istruita mediante produzioni documentali ed espletamento di c.t.u. contabile, con successive integrazioni.
Precisate le conclusioni in epigrafe trascritte, nella comparsa conclusionale la società attrice ha per la prima volta chiesto accertarsi la nullità del contratto di conto corrente n. 4071/33 per difetto di forma scritta, rilevando che la lettera contratto versata in atti da Banca della Campania recava la sola sottoscrizione del correntista.
Risultano agli atti di causa due contratti bancari: il c/c di corrispondenza
n. 4071/33 ed il conto anticipi su fatture n. 4072/13. Il nominato ausiliario ha chiarito che il n. 4072/13 è stato utilizzato come conto transitorio, i cui saldi, già comprensivi di interessi passivi e spese, sono confluiti sul conto n. 4071.
La banca convenuta ha prodotto la lettera contratto del c/c n. 4071/33 in data 22 aprile 1994, recante la sottoscrizione del solo correntista, una richiesta di apertura di credito in data 23 novembre 2003 (sovvenzione bancaria) e gli estratti dei conti correnti sopra indicati. Il nominato ausiliario ha inoltre evidenziato la mancanza di estratti conto continui del rapporto n. 4071/33 fino al 30/06/1996, desumendone la possibilità di eseguire i calcoli richiesti nei singoli quesiti solo a partire da questa data.
Assume carattere preliminare la questione di nullità per difetto di forma del contratto di conto corrente sollevata dalla società attrice con la comparsa conclusionale.
Ed infatti l’accoglimento della stessa determinerebbe la necessità di eseguire un nuovo calcolo del saldo finale del rapporto di conto corrente mediante riordino delle movimentazioni secondo la data di effettiva esecuzione delle stesse ed espunzione di ogni spesa, commissione ed interesse.
In caso di nullità assoluta del rapporto contrattuale, infatti, non potrebbero operare le clausole sostitutive automatiche previste dall’art.
117 del T.U.B., né con riferimento agli interessi né alle altre spese eventualmente pubblicizzate dalla banca.
Le Sezioni Unite della Cassazione, componendo un contrasto giurisprudenziale, hanno ritenuto che la nullità totale può essere rilevata d’ufficio ed anche dichiarata su richiesta di parte, benché l’originaria domanda fosse volta alla declaratoria di nullità parziale, con la precisazione che, nel solo caso di rilievo da parte del giudicante, la questione dovrà essere sottoposta alle parti, ex art. 101 co. 2 c.p.c., onde consentire la modifica del petitum, intesa come mera emendatio libelli (Cass. S.U. 12 dicembre 2014, n. 26242).
Essendo stata nel caso in esame espressamente formulata domanda di nullità per vizio di forma non occorre dunque applicare il meccanismo processuale di cui all’art. 101 co. 2 c.p.c., ma pronunciarsi direttamente sul punto.
Non ha la banca convenuta chiesto nelle repliche la rimessione in termini per la produzione del contratto a firma di un proprio delegato, ragion per cui la decisione deve basarsi sugli elementi già acquisiti agli atti
Nella consapevolezza sul punto di orientamenti discordanti, occorre considerare che la nullità per difetto di sottoscrizione dei contratti bancari è senza dubbio volta alla tutela del contraente debole, mirando a garantire a quest’ultimo la piena trasparenza delle condizioni economiche e normative del rapporto (c.d. nullità di protezione).
La ratio della norma sulla forma del contratto è dunque pienamente rispettata nel caso in cui le clausole negoziali siano recepite in documento scritto recante la firma del correntista, sicché quest’ultimo non può dolersi dell’assenza di sottoscrizione anche da parte del c.d. contraente forte, esorbitando una siffatta regola formale dagli scopi di protezione perseguiti dal legislatore.
IL XXXX.xx
Sul punto va richiamata la recente pronuncia della Cassazione che fa riferimento al concetto di “pluralismo di formalismi”, evidenziando come il concetto di forma dell’atto non è monolitico, ma si collega alle finalità che il legislatore intende di volta in volta perseguire, chiarendo che, nel caso in cui il requisito è volto a rendere comprensibile l’oggetto del rapporto a colui che aderisce a contratti redatti mediante moduli e formulari, esso deve intendersi rispettato anche con la sola apposizione unilaterale della sottoscrizione da parte del cliente (cfr. Cass. 27 aprile 2017, n. 10447 che ha rimesso la questione alle Sezioni Unite).
La domanda va dunque respinta.
Passando ad esaminare le ragioni di nullità parziale proposte, deve ritenersi pienamente fondata quella relativa alla capitalizzazione infrannuale degli interessi passivi.
Si osserva al riguardo che la prassi negoziale consistita nella capitalizzazione infrannuale degli interessi è da considerarsi non integrante un uso normativo, come tale idoneo a derogare al disposto della citata norma imperativa, sicché solo a partire dall’entrata in vigore del criterio legale della pari capitalizzazione, introdotto dall’art. 25 co. 2 , d.lgs. 342/1999, è consentito agli istituti bancari, senza alcun effetto retroattivo, trasformare in capitale gli interessi debitori tempo per tempo maturati (Cass. S.U. 4 novembre 2004, n. 21095; Cass. 19 maggio 2005, n. 10599).
Va aggiunto che, per i contratti già in essere alla data dell’entrata in vigore della delibera CICR 8 febbraio 2000, attuativa del disposto normativo sopra richiamato, la sanatoria delle clausole anatocistiche non è stata automatica, ma ha imposto alle banche il rispetto delle regole di adeguamento stabilite dall’organo di alta vigilanza (art. 7, co. 2) ed in particolare un doppio onere: a) la pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale dell’avvenuto adeguamento entro il 30 giugno 2000; b) la notizia di tale adeguamento alla clientela entro il 31 dicembre 2000.
Si ritiene che tale notizia doveva essere necessariamente fornita in forma individuale al correntista, onde consentire l’operatività del meccanismo di approvazione tacita della clausola anatocistica, tramite la forma del mancato recesso consentita dall’art. 118 T.U.B.
Non si dubita infatti che la variazione contrattuale consistente nell’introduzione della pari capitalizzazione deve intendersi peggiorativa
rispetto alle precedenti previsioni negoziali, le quali non consentivano, alla luce del generale divieto previsto dall’art. 1283 c.c., alcun anatocismo sugli interessi debitori.
Nella specie non vi è prova alcuna che la banca convenuta si sia attenuta agli oneri formali sopra descritti, atteso che, per un verso ha solo allegato ma non documentato la pubblicazione per estratto sulla Gazzetta Ufficiale delle nuove condizioni, e per altro verso non ha fornito alcuna dimostrazione della comunicazione resa individualmente alla società attrice.
La capitalizzazione dei tassi debitori, praticata dalla banca nel corso del rapporto, deve ritenersi pertanto nulla e priva di effetti per l’intera durata del rapporto negoziale.
La conseguenza del superiore rilievo è l’esclusione di ogni forma anatocismo, compresa quella annuale, non ravvisandosi alcun uso normativo che, almeno con riferimento agli interessi passivi, prevedesse fino all’entrata in vigore delle nuove norme una simile criterio temporale di capitalizzazione ( cfr. sul punto Cass. S.U. 2 dicembre 2010 n. 24418).
Del pari meritevole di accoglimento è la contestazione di nullità della clausola che ha previsto l’applicazione di una commissione di massimo scoperto pari allo 0,250%.
IL XXXX.xx
Il costo in esame può essere variamente concepito dalla banca, andando a costituire, a seconda dei casi, remunerazione di un affidamento in quanto tale, eventualmente al netto dell’utilizzo (c.d. commissione di mancato utilizzo), ovvero remunerazione aggiuntiva sulla parte del fido utilizzata per un certo arco temporale o anche per un solo giorno (c.d. commissione di massimo scoperto intrafido), nonché essere praticata per i soli scoperti in senso tecnico, vale a dire gli utilizzi superiori all’affidamento o gli sconfinamenti su conti non affidati (cfr. sul punto Cass. 18 gennaio 2006, n. 870 e Cass. 6 agosto 2002 n. 11722);
Si esige dunque la specifica pattuizione delle modalità applicative della commissione in questione, essendo ciò indispensabile, a fronte della pluralità di fattispecie rientranti in questa definizione nella prassi bancaria, ai fini della determinatezza dell’oggetto e del rispetto delle regole di trasparenza sancite dall’art. 117 TUB (Tribunale di Monza, 12 dicembre 2006; Tribunale di Milano, 4 luglio 2002).
Nel caso in esame le condizioni economiche del contratto di conto corrente prevedevano genericamente la dicitura “ commissione di massimo scoperto 0,250 %”, senza specificare né il saldo di periodo su cui la percentuale andava applicata, né la durata dell’esposizione passiva che avrebbe giustificato un siffatto addebito.
Va soggiunto che non essendovi prova di affidamenti almeno fino al 20 novembre 2003, l’addebito della commissione doveva ritenersi anche privo di qualsivoglia fondamento causale, non potendo dirsi raggiunta la prova della messa a disposizione di fondi in assenza di formale apertura di credito.
Il conto corrente in esame è stato dunque correttamente “depurato” tanto dell’effetto della capitalizzazione, quanto dei costi aggiuntivi determinati dall’applicazione della c.m.s..
Non va invece accolta l’eccezione di nullità del saggio di interesse ultralegale, essendo essa fondata sull’indimostrato presupposto che l’istituto ha fatto applicazione del rinvio agli “usi su piazza”.
Per contro è emerso dalla documentazione agli atti non solo la specifica pattuizione delle condizioni economiche iniziali in relazione al saggio di interessi passivi, ma altresì la previsione del c.d. jus variandi e la successiva comunicazione dei tassi modificati mediante invio al cliente degli estratti conto.
Analoghe conclusioni vanno tratte con riferimento alle condizioni contrattuali relative alle valute sui versamenti ed i prelevamenti, essendo anch’esse specificamente previste.
Il c.t.u. ha dunque eseguito il calcolo tenendo correttamente conto di clausole validamente pattuite.
E’ stata posta l’ulteriore questione dell’applicabilità alla fattispecie in esame del criterio di ricalcolo basato sul c.d. saldo zero, atteso che la mancanza di estratti conto relativi alla prima fase del rapporto è stata dal
c.t.u. in un’ipotesi considerata giustificativa dell’azzeramento del primo saldo disponibile ed in altra ipotesi non giustificativa di una simile operazione, dovendo tenersi conto invece del valore negativo di quel saldo (lire – 48.448.345).
IL XXXX.xx
Le due modalità di rideterminazione del saldo finale del rapporto di conto corrente generano risultati assai diversi, posto che nel primo caso il credito della società attrice ammonterebbe ad € 49.617,74 (relazione del 4.10.2012) e nel secondo caso ad € 12.490,00 (relazione del 28.04.2014).
Deve condividersi quest’ultimo risultato.
Ed infatti la domanda volta ad ottenere, previo accertamento della nullità parziale del contratto, la restituzione di somme indebitamente versate alla banca è qualificabile come ripetizione di indebito ai sensi e per gli effetti dell’art. 2033 c.c.
Pertanto sia il pagamento delle somme, che l’assenza di un titolo giustificativo idoneo, quali elementi costitutivi della fattispecie de qua, vanno provati dall’attore, e ciò in ossequio al principio generale di ripartizione dell’onere probatorio sancito dall’art. 2697, co. 1, c.c. (cfr. sul punto Cass. 13 novembre 2003 n. 17146 e Cass. 21 luglio 2000, n. 9604).
Nel caso dei rapporti di conto corrente bancario, spetta dunque al correntista non solo allegare i fatti costitutivi del suo diritto, ma altresì provare l’esistenza delle clausole contrattuali nulle (mediante produzione del contratto che le contiene) e l’esecuzione dei versamenti non dovuti (mediante versamento degli estratti conto recanti le movimentazioni poste in essere nel corso del rapporto contrattuale).
La disposizione dell’art. 119, co. 4, TUB, richiamata da parte attrice, la quale impone all’istituto di credito di fornire al cliente che ne abbia fatto richiesta copia della documentazione inerente a singole operazioni poste in essere negli ultimi dieci anni, è norma dalla quale non è dato desumere un’inversione delle regole di distribuzione dell’onere probatorio, limitandosi invece ad integrare il rapporto negoziale esistente fra le parti con l’introduzione di un preciso obbligo ostensivo, peraltro limitato temporalmente, a carico della banca.
Ne consegue che essendo nella piena facoltà del correntista invocare la predetta norma per ottenere la documentazione necessaria prima di agire in giudizio, lo stesso non può per converso pretendere di avvalersi in via sostitutiva dell’ordine di esibizione giudiziale sancito dall’art. 210 c.p.c.
Secondo una costante giurisprudenza, infatti, tale potere officioso non può essere esercitato al fine di sopperire ad una mancanza probatoria imputabile alla parte (Cass. 2 settembre 1993, n. 12782; Tribunale di Pescara 4 ottobre 2007, n. 1288). Inoltre, essendo nella specie mancanti estratti risalenti ad epoca anteriore al decennio dalla data di proposizione della domanda non ricorre neppure l’ulteriore condizione per l’accoglimento della domanda ex art. 210 c.p.c., vale a dire la prova che la parte richiesta sia in possesso di tale documentazione.
Precipitato di tale orientamento è l’inapplicabilità alla fattispecie in esame della teoria nota come del saldo zero.
Essa consiste infatti nell’azzeramento del saldo portato dal più risalente estratto conto disponibile agli atti nell’ipotesi in cui la banca non abbia provveduto a depositare l’intera documentazione contabile relativa al rapporto controverso. Ebbene tale criterio è sicuramente condivisibile qualora sia la banca ad agire per il recupero del proprio credito, essendo, ai sensi dell’art. 1218 c.c., suo onere dimostrare l’esistenza delle singole operazioni regolate in conto corrente (Cass. 25 novembre 2010, n. 23974).
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Nell’azione di ripetizione d’indebito la situazione processuale è inversa, dovendo il cliente provare che, sin dalla prima movimentazione del conto, l’istituto di credito ha fatto applicazione di clausole contrattuali nulle mediante addebito di somme non dovute.
Ove ciò non avvenga, nel rispetto dei principi sanciti dall’art. 2697 c.c., occorrerà fare riferimento al primo estratto conto disponibile pure se recante un saldo sfavorevole al correntista, non potendo ritenersi assolto l’onere sul medesimo gravante di provare, anche per il periodo anteriore, l’assenza di un valido titolo giustificativo delle somme fino a quel momento dovute alla banca (così Tribunale di Mantova 2 febbraio 2009).
Poiché il primo di una serie continua di estratti conto disponibili è quello relativo al terzo trimestre dell’1996, il ricalcolo delle operazioni dovrà partire dal saldo iniziale ivi indicato (pari a “meno 48.448.345 Lire”).
Tutte le considerazioni che precedono portano a ritenere sussistente un credito della parte attrice pari alla somma di € 12.490,00, debito di valuta su cui vanno calcolati i soli interessi, al saggio legale, dalla data di estinzione del conto (4 agosto 2004) fino all’effettivo soddisfo.
Tenuto conto della data a partire dalla quale si è proceduto al ricalcolo, resta assorbita l’eccezione di prescrizione sollevata tempestivamente da Banca della Campania, la quale chiedeva di limitare la verifica degli addebiti illegittimi al solo periodo posteriore al 23 maggio 1995, invocando l’irripetibilità delle somme riscosse dall’istituto oltre un decennio prima della notifica della citazione.
Le spese di lite seguono la soccombenza e sono dunque poste a carico della parte convenuta, tenuto conto, quanto al valore della controversia, delle somme effettivamente riconosciute in favore del correntista nonché, quanto agli ulteriori indici, della rilevante importanza delle questioni trattate e delle complesse attività processuali svolte.
I costi della c.t.u., liquidati con separato decreto in data odierna, sono posti a carico di Banca della Campania.
P.Q.M.
Il Tribunale di Avellino, in composizione monocratica e in persona del xxxx. Xxxxxxxx Xxxxxxxxxx, definitivamente pronunciando, ogni diversa domanda disattesa e respinta:
a) Accerta e dichiara la nullità delle seguenti clausole del contratto di conto corrente concluso fra le parti in data 22 aprile 1994: clausola di anatocismo contenuta nell’art. 7 delle condizioni generali e clausola di commissione massimo scoperto allo 0,250 % e successive modifiche contenuta nel medesimo art. 7;
b) Condanna BANCA DELLA CAMPANIA S.P.A., in persona del legale rappresentante pro-tempore, a restituire alla XXXXX X. DI XXXXXXXX X. E C. S.A.S., in persona del legale rappresentante pro- tempore, la somma di € 12.490,00, oltre interessi al saggio legale dal 4 agosto 2004 fino all’effettivo soddisfo;
IL XXXX.xx
c) Condanna BANCA DELLA CAMPANIA, in persona del legale rappresentante pro-tempore, a rifondere alla XXXXX X. DI XXXXXXXX X. E C. S.A.S., in persona del legale rappresentante pro- tempore, le spese di lite, che liquida in € 3.500,00 per compenso professionale, € 348,00 per esborsi, oltre rimborso forfetario al 15%, IVA e C.p.a. come per legge, con distrazione in favore degli Avv.ti * dichiaratisi antistatari;
d) Pone le spese di c.t.u., liquidate con decreto in data odierna, interamente a carico di BANCA DELLA CAMPANIA.
Così deciso in Avellino il 25/05/2017
il giudice
(xxxx. Xxxxxxxx Xxxxxxxxxx )