PROPOSTA DI LEGGE DI OUTSIDER – Partito degli Esclusi
PROPOSTA DI LEGGE DI OUTSIDER – Partito degli Esclusi
“UN MERCATO PER IL LAVORO: CONTRATTO UNICO, PIU' FLESSIBILITA' PER I GARANTITI, PIU' WELFARE DELLE OPPORTUNITA' PER I PRECARI”
Italia, Natale 2011 – Una proposta legislativa di OUTSIDER – Partito degli Esclusi (xxx.xxxxxxxxxxxxxxxxxxxx.xx): malgrado il nome, non un partito ma un movimento trasversale “della seconda tessera”, che raccoglie giovani, donne, italiani all'estero e stranieri di seconda generazione in Italia. Un disegno di legge fatto trovare sotto l'albero di Natale al Governo e, in particolare, alla Ministra Xxxx Xxxxxxx e al Vice-Ministro Xxxxxx Xxxxxxx.
E' un testo modellato sull'idea di contratto unico di Xxxxxx Xxxxxx, ma con diverse peculiarità. Innanzitutto, dopo un periodo transitorio di alcuni anni, il contratto unico a tempo indeterminato si dovrà applicare a tutti i contratti e non solo a quelli nuovi: questo è necessario e opportuno per non passare dalla “padella” del dualismo orizzontale del mercato del lavoro, tra iper- garantiti e iper-precari, alla “brace” di un dualismo verticale e anagrafico, tra vecchi e giovani lavoratori. In secondo luogo, restano esclusi dall'applicazione dell'indennizzo i licenziamenti per giusta causa e responsabilità del lavoratore: questo criterio, insieme alla regola per cui la maggior parte dell'indennizzo sarà pagato dall'istituto di previdenza e non dall'azienda, riduce i costi che, altrimenti, renderebbero eccessivamente onerosa la riforma a carico delle imprese.
Dettagli della proposta
La presente proposta di legge ha l’obiettivo di riformare gli assetti di tutela sociale oggi presenti nel mercato del lavoro italiano. L’attuale struttura normativa, infatti, riconosce forti garanzie ad alcuni soggetti a discapito di altri che, con grande difficoltà, cercano di inserirsi nel mercato del lavoro. Questo squilibrio di tutele determina un effetto sociale paradossale: da una parte, ci sono lavoratori che vengono difesi rigidamente con misure conservative “estreme” del rapporto di lavoro, come nel caso dell’art. 18 dello Statuto dei Lavoratori, che prevede la reintegrazione del lavoratore illegittimamente licenziato, oppure con strumenti di ammortizzazione sociale come la Cassa integrazione ordinaria o straordinaria. Dall’altra, ci sono lavoratori privi di quelle giuste e minime tutele che attutiscano l’impatto sociale nel caso di perdita del posto di lavoro.
L’eccessiva rigidità di tale sistema conservativo ha spinto il mercato del lavoro a destrutturarsi disordinatamente, favorendo la creazione di sacche di sommerso, precarietà, ingiustizia sociale e atrofia delle strutture imprenditoriali (che hanno
tutto l'interesse a restare piccole, sotto i 15 dipendenti, e ad instaurare contratti a termine o con forme atipiche per non immobilizzarsi). I costi di un licenziamento o di una causa giudiziale derivante da esso sono difficilmente quantificabili e, in ragione delle tempistiche eccessivamente lunghe del giudizio di condanna alla reintegrazione, le imprese si trovano ad affrontare costi eccessivi che le possono mettere in seria difficoltà finanziaria. Il precariato ha poi portato le aziende a non investire sulle professionalità dei loro lavoratori e allo stesso tempo ha svilito il ruolo del lavoratore nell'ambito aziendale, divenuto oggi una risorsa da sfruttare anziché un capitale sul quale investire.
Nel 2009 i lavoratori che lavoravano in nero ammontavano a 2 milioni e 600 mila (dati Istat del 14.04.2010). Molti di questi lavoratori svolgevano più di un lavoro in nero, oppure svolgevano una quantità di ore lavorate superiore alle 40 settimanali. Pertanto, i posti di lavoro irregolari (che l'Istat chiama "unità di lavoro") sono in realtà molti di più: quasi 3 milioni nel 2009. Guardando al dato storico: nel 1991 avevamo poco più di 3 milioni di lavoratori in nero, nel 2010 la stima si è attestata intorno a 2 milioni e 600 mila. Anche se il dato evidenzia una flessione, questa non è sufficiente e richiederebbe tempi biblici per portarci a livelli di normalità.
Da questi dati si rileva che il lieve miglioramento ottenuto in questi anni viene vanificato in quanto dal 1991 il lavoro irregolare sembra seguire inesorabilmente l'andamento dell'occupazione regolare. Anche se il mercato del lavoro mostra miglioramenti, questi in realtà sono da imputare ad andamenti ciclici del sistema produttivo nazionale, come ad esempio la flessione che ha seguito la crisi del 2001.
Da quanto esposto sin qui non emergono i cosiddetti “lavoratori grigi”, che vengono però rilevati nell’indagine conoscitiva della XI Commissione Lavoro della Camera dei Deputati su “Taluni fenomeni distorsivi del mercato del lavoro:
lavoro nero, caporalato e sfruttamento della manodopera straniera” del 29 aprile 2010. In questa indagine, che riprende e analizza i dati Istat del 2009, emerge che la tipologia prevalente di lavoro irregolare è quella di lavoro “grigio” (lavoratori con contratti regolari, ma trattamenti di fatto irregolari), anche se continua a rimanere elevato il lavoro nero in imprese regolari, specie nei servizi tradizionali. Xxxxxxx, invece, è il lavoro nero in imprese totalmente sommerse. Da questa indagine, tuttavia, emerge un dato ancora più importante che riguarda il trend dei soggetti maggiormente esposti al lavoro nero: essi sono i giovani in ingresso nel mercato del lavoro.
Il lavoro irregolare, peraltro, determina meccanismi di auto-riproduzione del fenomeno. In particolare in alcuni settori e in alcune aree geografiche si creano situazioni di asimmetria grave e di sfruttamento. Questo vale in generale per il Mezzogiorno, ma, in un momento di crisi come quella che stiamo attraversando, si impone una visione più ampia: i modestissimi tassi di occupazione e la forte concentrazione di povertà determinano situazioni di massiccio ricorso al lavoro non regolare nel settore privato in tutto il Paese. L'effetto di concentrazione in settori a elevata intensità di manodopera ha finito per determinare fenomeni di concorrenza sleale che hanno, per così dire, “costretto” interi comparti ad adeguarsi a più bassi livelli salariali e a condizioni di lavoro più gravose e meno tutelate. Un altro esempio di segmentazione e concentrazione è dato dalla situazione dei lavoratori stranieri non regolari: la loro condizione forzatamente irregolare ha causato il costituirsi di sacche, anche territorialmente confinate, di lavoro “a qualsiasi costo”, che ha prodotto sia sostituzione della residua offerta locale, sia livellamento in basso delle condizioni di lavoro, come nel caso del lavoro domestico o dell’agricoltura. Il lavoro nero finisce, quindi, per configurarsi come l’ambito del mercato del lavoro cui si riferisce l’area dell’esclusione sociale e che contribuisce alla sua riproduzione.
I dati Istat sopra illustrati mostrano un mercato del lavoro, che poco ha a che vedere con uno Stato moderno e attento alla comparazione con le esperienze offerte dei Paesi stranieri ed in particolare da quelli nord-europei, dove un simile fenomeno non si manifesta o si manifesta in misura enormemente inferiore.
Tale situazione impone riforme o cambiamenti avverso una perpetuazione dell’attuale modello duale di mercato del lavoro. Un mercato del lavoro sano dovrebbe essere un terreno fertile per la crescita economica, spinta da una sana concorrenza, mentre l’attuale mercato espone gli imprenditori virtuosi alla concorrenza differenziale di quelli più spregiudicati che utilizzano manodopera irregolare.
La necessità di una riforma di questo tipo diventa ancora più evidente in un momento di profonda crisi come quella attuale, dove viene chiesto al nostro paese di allinearsi quanto prima ai mercati del lavoro moderni di tutti gli altri Stati
europei. Proprio in un periodo di crisi economica infatti le imprese sono più riluttanti a compiere nuove assunzioni con garanzie rigide di stabilità; proprio in questo periodo, dunque, è indispensabile trovare il modo di coniugare la flessibilità di cui le imprese hanno bisogno con una nuova forma di protezione della stabilità del lavoro e del reddito dei lavoratori ed evitare che si allarghi l’area del lavoro precario.
La proposta di legge riportata di seguito si propone di rispondere a questa esigenza di cambiamento, adottando però una strategia di riforma e una tecnica normativa in parte nuove nel panorama delle politiche del lavoro già sperimentate nel nostro Paese. Il cambiamento potrà essere raggiunto non con un improvviso – e improbabile - mutamento drastico della disciplina del mercato del lavoro e dei servizi in esso disponibili, bensì innescando un processo di superamento graduale del vecchio regime. Viene infatti previsto di istituire un nuovo ordinamento applicabile immediatamente soltanto ai rapporti di lavoro che verranno costituiti da un dato momento in poi. Viene inoltre inserita un’apposita regolamentazione riguardante il periodo transitorio durante il quale i vecchi contratti di lavoro rimangono regolati con il vecchio ordinamento. Al fine, però, di evitare una forbice sociale verticale, che determinerebbe una breccia generazionale pericolosa, si prevede che, decorso un determinato periodo, la riforma dovrà essere applicata a tutti i rapporti di lavoro (costituendi e costituiti).
La presente proposta di legge guarda alle logiche di flexsecurity già presenti nell’area nord-europea, che vedono coinvolti non solo l’impegno di risorse pubbliche, ma anche la capacità sussidiaria della società civile. La proposta prevede che le parti sociali, così come i singoli individui, possano determinare le forme di ricollocazione e di sostegno al reddito, coinvolgendo in questo modo tutti gli interessi sociali e andando a determinare minori oneri per la collettività. Questa proposta mira, inoltre, non tanto ad un’evoluzione dell’efficienza dei servizi pubblici di formazione e collocamento al lavoro, quanto soprattutto all’attivazione da parte delle imprese stesse di nuove strutture di servizi o all’utilizzo di servizi di somministrazione, selezione e formazione privati anche già esistenti.
La relazione tra “contratto di sussidiarietà” e il suo costo per l’impresa è l’elemento di causa che deve innescare le performance di questo nuovo sistema sociale di ammortizzazione: in tal senso, se da una parte le imprese si dovranno caricare parzialmente l’onere di ricollocare il lavoratore licenziato, dall’altra viene riconosciuto il diritto di poter licenziare un lavoratore senza dover avere il timore dell’applicazione dell’art. 18 legge n. 300/1970. La reintegra, tuttavia, non viene cancellata dall’ordinamento, ma è sostituita dalla facoltà concessa ad entrambe le parti o ad una sola di esse, di scegliere tra l’applicazione della reintegra o
dell’indennizzo. La reintegra, così come regolata dal vecchio ordinamento, rimane applicabile solo nel caso di licenziamento discriminatorio.
Il contratto di sussidiarietà avrà come obiettivo finale la riqualificazione del lavoratore dipendente e il suo reinserimento nel mercato del lavoro, aiutando nel frattempo il lavoratore attraverso un sussidio il cui onere sarà in parte sostenuto dal datore di lavoro e in parte dall’istituto previdenziale. L’indennizzo derivante dal contratto di sussidiarietà sarà dovuto in caso di licenziamento al lavoratore con più di un anno di anzianità di servizio, e potrà avere durata massima pari a 36 mesi. Per il primo anno, l’indennizzo sarà totalmente corrisposto dall’istituto previdenziale, per un ammontare pari all’80 per cento della retribuzione che il dipendente avrebbe percepito se non fosse stato licenziato, nel rispetto, però, di un massimale mensile pari ad euro 2.500,00; per il secondo anno, il trattamento corrisposto dall’istituto viene ridotto al 60 per cento e la differenza sarà corrisposta dal datore di lavoro, per un ammontare pari al 20 per cento, nel rispetto del massimale complessivo mensile pari ad euro 2.500,00; per il terzo anno, l’indennità erogata dall’istituto si riduce al 40 per cento e la differenza sarà corrisposta dal datore di lavoro per un ammontare pari al 40 per cento, nel rispetto del massimale complessivo mensile pari ad euro 2.500,00. Nella peggiore delle ipotesi, nella quale il lavoratore rimanesse disoccupato per tutto il triennio, il trattamento complessivo di sussidiarietà ammonterebbe dunque al (80 per cento + 80 per cento + 80 per cento=) 240 per cento dell’ultima retribuzione annua lorda, cioè a quasi due annualità e mezzo suddivise in tre anni. Il costo per l’impresa, invece, ammonterebbe soltanto al 20 per cento per il secondo anno e al 40 per cento per i successivi 12 mesi; dal momento che sul trattamento complementare erogato dall’azienda non graverebbe la contribuzione previdenziale, il costo complessivo che ne conseguirebbe a carico dell’impresa, nell’ipotesi peggiore in cui lo stato di disoccupazione duri tre anni, sarebbe pari a poco più di sette mesi di costo aziendale del rapporto.
L’ulteriore aspetto riformatore della nostra proposta di legge riguarda la riformulazione della definizione di lavoro subordinato. L’operazione risulta necessaria al fine di garantire maggiore efficacia alla riconfigurazione di alcune tipologie di rapporti di lavoro già tipizzate nel nostro ordinamento, ma che sino ad oggi sono state utilizzate in modo distorsivo ed elusivo. In particolare, rientrano in queste ipotesi i contratti a progetto o mini xx.xx.xx, così come le associazioni in partecipazione. Si è pertanto ripresa la preziosa definizione dell’art. 2094 c.c. e poi, con un procedimento di assimilazione che definisce una presunzione di legge, vengono ricomprese nel lavoro subordinato anche le attività di lavoro in forma di collaborazione coordinata a progetto di cui al comma 1° dell’art.del D.Lgs. n.276/2003 per le quali sussista un rapporto di monocommittenza e per le quali si percepisca un compenso annuo inferiore a euro 30.000,00, nonché
quelle attività per le quali si operi in forma associata ai sensi dell’art. 2549 del codice civile senza che sia prevista, oltre all’apporto dell’opera da parte dell’associato, anche una quota di capitale non inferiore a 5.000,00 euro, e, ancora, le prestazioni di lavoro svolte in regime di mono-committenza anche se in forma autonoma o con l’attribuzione della partita IVA per le quali venga previsto un compenso annuo inferiore a euro 30.000,00. La proposta non preclude in assoluto la stipula di questi rapporti, ma, al fine di superare la presunzione legale di subordinazione, li vincola alla certificazione, così come regolata ai sensi degli artt. 75 e seguenti del D.Lgs. n. 276/2003 e degli artt. 30 e 31 della legge n. 183/2010.
Questa proposta di legge, in conclusione, vuole posare il primo mattone di un mercato per il lavoro, nel quale lo sforzo più significativo non sia quello di tutelare il posto di lavoro in quanto tale, bensì quello di creare nuove opportunità di lavoro. Un mercato capace di sviluppare competenza, un mercato che metta al primo posto l’uomo e quindi rivoluzioni la visione del lavoro, da risorsa da sfruttare a prezioso capitale sul quale investire.
PROPOSTA DI LEGGE OUTSIDER UN MERCATO PER IL LAVORO:
CONTRATTO UNICO, PIU' FLESSIBILITA' PER I GARANTITI, PIU' WELFARE DELLE OPPORTUNITA' PER I PRECARI
Disciplina del rapporto di lavoro subordinato e del licenziamento individuale
Articolo 1
Definizione di lavoro subordinato
1. Il prestatore di lavoro subordinato è chi si obbliga mediante retribuzione a collaborare nell’impresa, prestando il proprio lavoro intellettuale o manuale alle dipendenze e sotto la direzione diretta dell’impresa. Viene considerato lavoratore subordinato anche chi svolge un’attività di lavoro in forma di collaborazione coordinata a progetto di cui comma 1° dell’art.61 del D.Lgs. n.276/2003, caratterizzato da un rapporto di monocommittenza dietro corresponsione di un compenso annuo inferiore a euro 30.000,00, ovvero chiunque svolga un’attività di lavoro in forma associata ai sensi dell’art. 2549 del codice civile, che non preveda, oltre all’apporto dell’opera da parte dell’associato, anche una quota di capitale non inferiore a 5.000,00 euro.
2. Il criterio di qualificazione stabilito al precedente comma 1 si applica anche al rapporto di lavoro, ulteriore rispetto al rapporto sociale, tra socio lavoratore e cooperativa di lavoro.
3. Le disposizioni di cui al precedente comma 1 si applicano anche alle prestazioni di lavoro svolte in regime di monocommittenza, anche se in forma autonoma ovvero con l’attribuzione della partita iva, per il quale venga previsto un compenso annuo inferiore a euro 30.000,00.
4. Le disposizioni di cui al comma 1 e 3 non si applicano ai contratti certificati ai sensi degli artt. 75 e seguenti del D.Lgs. n. 276/2003 e degli artt. 30 e 31 della legge n. 183/2010.
Articolo 2
Lavoro occasionale
1. Devono essere considerate escluse dalle disposizioni del precedente articolo 1 le prestazioni occasionali così definite dall’art. 70, del D.Lgs n.276/2003, anche quando queste vengono svolte in favore di terzi come nel caso dell'appalto di cui all' art. 29 del D.Lgs. n.276/2003 e all’art. 1655 c.c.. Viene escluso che si possano reclutare e retribuire lavoratori con la
forma occasionale per svolgere prestazioni di somministrazione di cui alla lettera a) art. 2 e art. 20 del D.Lgs. n.276/2003.
2. Il lavoro occasionale di cui al comma precedente non potrà avere una durata superiore a 30 giorni di effettivo lavoro nell'anno solare ovvero, nell'ambito dei servizi di cura e assistenza alla persona, non superiore a
240 ore, con lo stesso committente. In ogni caso il compenso complessivamente percepito dal lavoratore da un medesimo committente nell’anno solare non dovrà essere superiore a 5 mila euro.
Articolo 3
Lavoro a termine ed intermittente
1. Al contratto di lavoro subordinato di cui all’articolo 1 potrà essere posto il termine con le stesse modalità contenute nel D.Lgs. n.368/2001, solo nel caso in cui il datore di lavoro svolga la propria attività lavorativa in regime di stagionalità ovvero il termine al contratto venga posto per motivi sostitutivi con le medesime modalità previste dal D.Lgs. n.368/2001.
2. Oltre che nei casi di cui al precedente comma 1, si potrà porre il termine al contratto di lavoro subordinato, con le medesime modalità, nelle ipotesi previste dai contratti collettivi di lavoro, sottoscritti a livello aziendale o territoriale, da associazioni dei lavoratori comparativamente più rappresentative sul piano nazionale o territoriale ovvero, dalle loro rappresentanze sindacali operanti in azienda, comunque per un periodo comprensivo a quello di una eventuale proroga non superiore ai 12 mesi con lo stesso datore di lavoro.
3. Il contratto di lavoro a chiamata anche detto intermittente, di cui agli articoli da 33 a 40 del D.Lgs. n. 276/2003 e all’articolo 1 commi da 47 a 30 della legge n. 247/2007, potrà essere stipulato solo con l’apposizione del termine e per un periodo complessivo non superiore a 12 mesi con lo stesso datore di lavoro.
4. Al fine del computo del periodo complessivo di cui ai precedenti commi 2 e
3 vanno considerate tutte le prestazioni di ogni tipologia di lavoro, comprese quelle svolte a titolo occasionale ovvero in forma somministrata.
Articolo 4
Licenziamento individuale
1. Il datore di lavoro deve comunicare per iscritto il licenziamento al lavoratore, indicando i motivi del recesso. La mancata comunicazione per iscritto del recesso o dei motivi ne determina l'inefficacia.
2. Il patto di prova è l'atto con il quale lavoratore e datore di lavoro concordano volontariamente in forma scritta, a pena di nullità dello stesso accordo, che la definitiva instaurazione del rapporto di lavoro sia condizionata al previo esperimento di un periodo di prova. Durante detto periodo, ciascuna delle parti può recedere dal contratto, senza obbligo di preavviso né di pagamento della connessa indennità.
3. Decorso il periodo di prova, il datore di lavoro può legittimamente recedere dal rapporto di lavoro:
a) per motivi oggettivi cosi come disciplinato dal successivo articolo 5;
b) per motivi soggettivi di cui al successivo articolo 6;
c) per giusta causa ovvero a seguito di licenziamento disciplinare così come regolato dal successivo articolo 7.
4. Nel caso del licenziamento disciplinare o per giusta causa, sul datore di lavoro incombe l’onere della prova afferente l’inadempimento e/o omissione grave da parte del lavoratore. Qualora il licenziamento disciplinare sia viziato da difetto procedurale o da difetto di giustificazione, il giudice, valutate le circostanze, la natura del vizio e il comportamento delle parti, condanna il datore di lavoro discrezionalmente, in vi alternativa o concomitante, al risarcimento del danno nei confronti del lavoratore oppure alla ricostituzione del rapporto di lavoro. Quando vi sia condanna alla reintegrazione, il risarcimento del danno non può essere inferiore a 6 mensilità più una per ciascun anno di anzianità di servizio. Quando il risarcimento si accompagni alla reintegrazione, esso non può essere superiore all’importo della retribuzione perduta dal lavoratore nel periodo compreso tra il licenziamento e la reintegrazione, dedotti i redditi di lavoro di altra fonte ovvero non può essere superiore ad un importo pari a 24 mesi di retribuzione che il lavoratore avrebbe percepito se non fosse stato illegittimamente licenziato.
5. Nel caso di condanna alla ricostituzione del rapporto di lavoro, ciascuna delle parti ha la facoltà di scegliere, in alternativa per il pagamento a carico del datore di lavoro di un indennizzo sostitutivo pari a 12 mensilità dell’ultima retribuzione.
6. Nelle organizzazioni di tendenza, a carattere non imprenditoriale, che svolgono senza fini di lucro attività di natura politica, religiosa, sindacale, culturale o di istruzione, e nelle unità produttive autonome di dimensioni inferiori ai 16 dipendenti, nonché nelle unità produttive autonome di dimensioni inferiori ai 16 dipendenti, appartenenti ad aziende di dimensioni complessive inferiori ai 61 dipendenti, non può essere disposta la ricostituzione del rapporto di lavoro.
7. Il risarcimento di cui ai precedenti commi 4 e 5 vengono ridotti nei seguenti limiti:
a) di due terzi quando i datori di lavoro, imprenditori e non, occupino complessivamente meno di 10 dipendenti;
b) della metà quando i datori di lavoro, imprenditori e non, nella sede, stabilimento, filiale nella quale ha avuto luogo il licenziamento, occupino meno di 16 dipendenti e complessivamente occupino meno di 61 dipendenti;
c) di un terzo quando i datori di lavoro, imprenditori e non, nella sede, stabilimento, filiale nella quale ha avuto luogo il licenziamento, occupino più di 16 dipendenti e complessivamente occupino meno di 121 dipendenti;
d) di un quarto quando i datori di lavoro, imprenditori e non, nella sede, stabilimento, filiale nella quale ha avuto luogo il licenziamento, occupino più di 16 dipendenti e complessivamente occupino meno di 250 dipendenti.
8. Nel caso di licenziamento illegittimo per violazione di un divieto di discriminazione, non si applicano le disposizioni di cui al precedente comma 7 e il giudice dispone la reintegrazione del lavoratore e il risarcimento del danno. Solo il lavoratore può esercitare la facoltà di cui al comma 5.
Articolo 5
Licenziamento individuale per giustificato motivo oggettivo
1. In presenza di un giustificato motivo, il datore di lavoro può licenziare con preavviso il lavoratore. Il giustificato motivo oggettivo di licenziamento consiste in ragioni inerenti all'attività produttiva, all'organizzazione del lavoro e al regolare funzionamento di essa. Il trasferimento di azienda non costituisce motivo di licenziamento. Il giudice tiene conto anche delle tipizzazioni di giustificato motivo presenti nei contratti collettivi di lavoro sottoscritti a livello aziendale o territoriale da associazioni dei lavoratori comparativamente più rappresentative sul piano nazionale o territoriale ovvero dalle loro rappresentanze sindacali operanti in azienda ovvero nei contratti individuali di lavoro ove stipulati con l'assistenza e la consulenza delle commissioni di certificazione di cui D.Lgs. 276/2003, artt. 75 e seguenti, legge n.183/2010, artt. 30 e 31.
2. Il datore di lavoro all'atto del licenziamento per giustificato motivo ha l'obbligo a norma dell'art. 2118, cod. civ. di dare un periodo di preavviso.
Tale periodo per i lavoratori con anzianità aziendale fino a 36 mesi non potrà essere inferiore a sei mesi. Per i lavoratori con un'anzianità superiore a 36 mesi sarà riconosciuto, oltre al periodo minimo di sei mesi, un ulteriore periodo pari a tanti mesi quanti sono gli anni di anzianità di servizio aziendale del lavoratore, sino ad un massimo di dodici mesi, fatto salvo diversa disposizione contenuta nei contratti collettivi di lavoro sottoscritti a livello aziendale o territoriale da associazioni dei lavoratori comparativamente più rappresentative sul piano nazionale o territoriale ovvero dalle loro rappresentanze sindacali operanti in azienda. La durata del periodo di preavviso può essere regolata anche da pattuizioni individuali che prevedano periodi di preavviso di maggior favore nei confronti del lavoratore.
3. Il computo del periodo di preavviso deve avvenire in base ai giorni di calendario e non in relazione alle effettive giornate di lavoro.
4. Dalla data di ricevimento della comunicazione di licenziamento e per tutto il periodo di preavviso, previa comunicazione da far pervenire al datore di lavoro almeno 30 giorni prima, il lavoratore avrà la facoltà di cessare immediatamente il rapporto di lavoro con il conseguente diritto alla corresponsione dell’indennità sostitutiva non lavorata, salvo che l’azienda o lo stabilimento o il reparto in cui era adibito abbia cessato del tutto la sua attività. Decorsi sei mesi dalla comunicazione di licenziamento, previo preavviso di 15 giorni, il datore ha in ogni caso la facoltà di esonerare il lavoratore dalla prestazione, corrispondendogli il relativo preavviso non lavorato. Solo nel caso di licenziamento per giustificato motivo oggettivo legittimo, in caso di erogazione dell’indennità sostitutiva di preavviso, la contribuzione previdenziale a carico dell’azienda dovrà essere ridotta di un terzo, non costituendo anche imponibile ai fini dell’assicurazione sociale obbligatoria e ai fini fiscali dovrà essere assoggettata al trattamento previsto per gli emolumenti di cui alla lettera a) dell’articolo 17 del D.P.R. n.917/1986.
5. L’indennità di licenziamento e il termine di preavviso minimo di cui al comma 2, si riducono:
a) di due terzi quando i datori di lavoro, imprenditori e non, occupino complessivamente meno di 10 dipendenti;
b) della metà quando i datori di lavoro, imprenditori e non, nella sede, stabilimento, filiale nella quale ha avuto luogo il licenziamento, occupino meno di 16 dipendenti e complessivamente occupino meno di 61 dipendenti;
c) di un terzo quando i datori di lavoro, imprenditori e non, nella sede, stabilimento, filiale nella quale ha avuto luogo il licenziamento, occupino più di 16 dipendenti e complessivamente occupino meno di 121 dipendenti;
d) di un quarto quando i datori di lavoro, imprenditori e non, nella sede, stabilimento, filiale nella quale ha avuto luogo il licenziamento, occupino più di 16 dipendenti e complessivamente occupino meno di 250 dipendenti.
6. L’indennità di licenziamento di cui al comma 2 è ridotta a un quarto di una mensilità per ogni anno di anzianità di servizio, con un massimo di due mensilità, nel caso di licenziamento di lavoratore che alla data della comunicazione del licenziamento abbia raggiunto i requisiti per il pensionamento di vecchiaia.
7. Le esigenze economiche, l’attività produttiva, l'organizzazione del lavoro e il regolare funzionamento dell’azienda, che motivino il licenziamento, non sono soggette a sindacato giudiziale, salvo il controllo della loro effettiva sussistenza, quando il lavoratore ne faccia specifica istanza ovvero impugni il licenziamento illegittimo per motivi discriminatori.
8. In deroga ai limiti di cui al comma 5, quando il lavoratore abbia maturato venti anni di anzianità di servizio e non abbia ancora maturato il diritto al pensionamento di vecchiaia, l’indennità di licenziamento di cui al comma 2 è maggiorata di un importo pari ad un’ulteriore mensilità di retribuzione per ciascun anno di anzianità successivo al ventesimo, sino ad un massimo di 12 mensilità.
Articolo 6
Licenziamento individuale per giustificato motivo soggettivo
1. Il datore di lavoro può recedere unilateralmente dal rapporto di lavoro di cui all’articolo 1 quando si verifica un inadempimento degli obblighi contrattuali da parte del prestatore di lavoro.
2. Deve essere considerato come inadempimento del contratto di lavoro, anche lo scarso rendimento del prestatore di lavoro. Perché sia valido lo scarso rendimento deve essere provato dal datore di lavoro, il quale deve dimostrare, con specifico riguardo alla natura dell'attività esercitata, il mancato raggiungimento del risultato atteso o la sua oggettiva esigibilità, oltre che tale situazione sia dovuta anche ad una condotta colpevole del lavoratore.
3. Per quanto concerne i termini di preavviso si rinvia alle disposizioni contenute nel precedente articolo 5.
Articolo 7
Licenziamento per giusta causa o licenziamento disciplinare
1. Il datore di lavoro può licenziare il lavoratore per giusta causa quando la motivazione, per la sua gravità, non consenta la prosecuzione, neppure in via provvisoria, del rapporto ovvero per fatto o comportamento, anche diverso dall'inadempimento contrattuale, idoneo a far venir meno il vincolo fiduciario tra datore di lavoro e lavoratore che costituisce il presupposto essenziale della collaborazione e, quindi, della sussistenza del rapporto di lavoro subordinato. Nel valutare le motivazioni poste a base del licenziamento, il giudice tiene conto anche delle tipizzazioni di giusta causa presenti nei contratti collettivi di lavoro sottoscritti a livello aziendale o territoriale da associazioni dei lavoratori comparativamente più rappresentative sul piano nazionale o territoriale ovvero dalle loro rappresentanze sindacali operanti in azienda ovvero nei contratti individuali di lavoro ove stipulati con l'assistenza e la consulenza delle commissioni di certificazione di cui D.Lgs. 276/2003, artt. 75 e seguenti, legge n.183/2010, artt. 30 e 31.
2. Ogni licenziamento per giusta causa deve essere considerato quale licenziamento disciplinare, e, pertanto, il recesso deve essere assoggettato alle garanzie procedimentali previste dai commi 2 e 3 dall'art. 7 della legge n. 300/1970.
3. Nel caso di licenziamento per giusta causa non si dovranno rispettare i termini di preavviso di cui al precedente articolo 5.
Articolo 8
Sussidiarietà del mercato del lavoro.
1. Quando il lavoratore dipendente abbia superato complessivamente il primo anno di anzianità aziendale di servizio e abbia perso il posto di lavoro in conseguenza di un licenziamento di cui ai precedenti articoli 5, 6 e 7, e pertanto non abbia fatto seguito la reintegrazione, tra istituto previdenziale, datore di lavoro e lavoratore si instaura di fatto un contratto di sussidiarietà, finalizzato alla riqualificazione e all’inserimento del lavoratore dipendente nel mercato del lavoro. Il contratto di sussidiarietà potrà essere regolato dai contratti collettivi di lavoro sottoscritti a livello aziendale o territoriale da associazioni dei lavoratori comparativamente più
rappresentative sul piano nazionale o territoriale ovvero dalle loro rappresentanze sindacali operanti in azienda.
2. L’istituto previdenziale si obbliga a garantire al lavoratore, in stato di disoccupazione effettiva e involontaria, per una durata minima pari alla durata dell’ultimo rapporto di lavoro ridotta di un anno e con il limite di 36 mesi,riconoscendo al lavoratore un sussidio di disoccupazione che prevederà:
a) l’erogazione per i primi 12 mesi di disoccupazione effettiva e involontaria di un trattamento complementare nella misura dell'80% della retribuzione globale, che sarebbe spettata per le ore di lavoro svolte. Il sussidio complessivamente non può superare il massimale mensile, pari ad euro 2.500,00 che dovrà essere rapportato al periodo di effettiva disoccupazione;
b) nel caso il lavoratore ne avesse diritto, l’erogazione per i successivi 12 mesi di disoccupazione effettiva e involontaria di un trattamento complementare nella misura del 60% della retribuzione globale, che sarebbe spettata per le ore di lavoro svolte. Detto sussidio complessivamente non può superare il massimale mensile, pari ad euro 1.666,67, che dovrà essere rapportato al periodo di effettiva disoccupazione;
c) nel caso il lavoratore ne avesse diritto, l’erogazione per i successivi 12 mesi di disoccupazione effettiva e involontaria di un trattamento complementare nella misura del 40% della retribuzione globale, che sarebbe spettata per le ore di lavoro svolte. Detto sussidio complessivamente non può superare il massimale mensile, pari ad euro 1.250,00, che dovrà essere rapportato al periodo di effettiva disoccupazione.
3. Il datore di lavoro si obbliga a svolgere attività di formazione o riconversione ovvero di outplacement nei confronti del lavoratore dipendente, anche mediante la stipula di un contratto o una convenzione con un'agenzia di lavoro pubblica o privata abilitata alla ricollocazione, formazione, intermediazione e somministrazione del personale, al fine di coadiuvare l’inserimento del lavoratore licenziato nel mercato del lavoro. Il datore di lavoro al fine di adempiere all’obbligo della formazione o riconversione ovvero di outplacement nei confronti del lavoratore dipendente, potrà regolare detto rapporto mediante la sottoscrizione di contratti collettivi di lavoro sottoscritti a livello aziendale o territoriale da associazioni dei lavoratori comparativamente più rappresentative sul piano nazionale o territoriale ovvero dalle loro rappresentanze sindacali
operanti in azienda. Nei limiti delle risorse finanziarie disponibili, nel caso di sottoscrizione di accordi collettivi che regolano il contratto di sussidiarietà, al datore di lavoro sarà riconosciuto un’agevolazione contributiva che dovrà essere regolamentata da apposito Decreto Ministeriale.
4. Decorsi 12 mesi dal termine del rapporto di lavoro, il datore di lavoro si obbliga a garantire al lavoratore, in stato di disoccupazione effettiva e involontaria, per una durata minima pari alla durata dell’ultimo rapporto di lavoro ridotta di un anno e con il limite di 24 mesi, a riconoscere al lavoratore un sussidio di disoccupazione che prevederà:
a) l’erogazione per i primi 12 mesi di disoccupazione effettiva e involontaria, di un trattamento complementare che integri il sussidio erogato dall’istituto previdenziale nella misura del 20% della retribuzione globale, che sarebbe spettata per le ore di lavoro svolte. L’integrazione complessivamente non può superare il massimale mensile, pari ad euro 1.666,67, che dovrà essere rapportato al periodo di effettiva disoccupazione;
b) nel caso il lavoratore ne avesse diritto, l’erogazione per i successivi 12 mesi di disoccupazione effettiva e involontaria, di un trattamento complementare che integri il sussidio erogato dall’istituto previdenziale nella misura del 40% della retribuzione globale, che sarebbe spettata per le ore di lavoro svolte. L’integrazione complessivamente non può superare il massimale mensile, pari ad euro 1.250,00, che dovrà essere rapportato al periodo di effettiva disoccupazione.
5. Il lavoratore dipendente si obbliga:
a) a porsi a disposizione del datore di lavoro ovvero dell’ente incaricato dallo stesso per le iniziative di cui al precedente comma 3 secondo un orario settimanale corrispondente all’orario di lavoro praticato in azienda prima del licenziamento;
b) a sottoporsi nella ricerca della nuova occupazione al potere direttivo e di controllo da parte del datore di lavoro o dei suoi delegati, i quali lo esercitano di regola attraverso un tutor cui il lavoratore viene affidato.
6. Il lavoratore è libero di recedere dal contratto di outplacement e sussidiarietà, anche senza preavviso. Il datore di lavoro e l’istituto previdenziale possono recedere dal medesimo contratto soltanto quando sia cessato lo stato di disoccupazione del lavoratore, oppure nel caso in cui il lavoratore abbia rifiutato senza giustificato motivo un’opportunità di lavoro o un’iniziativa di formazione o riqualificazione professionale che gli
siano state offerte, oppure il lavoratore abbia commesso un grave inadempimento degli obblighi di cui al precedente comma 5.
7. Le controversie relative all’esecuzione e cessazione del contratto di ricollocazione sono di competenza del giudice del lavoro, secondo il rito di cui agli articoli 409 e seguenti del codice di procedura civile.
Articolo 9
Finanziamento del sussidio previdenziale.
1. Il sussidio di cui al precedente comma 2 dell’articolo 8 sarà finanziato sia dall’attuale contribuzione dovuta dai datori di lavoro per il finanziamento dell’indennità di disoccupazione sia dalla contribuzione erogata dalle regioni per l’erogazione della mobilità in deroga.
2. La riqualificazione del lavoratore dipendente ai sensi del precedente articolo 8 potrà essere svolta anche mediante l’utilizzo di fondi interprofessionali ai quali il datore di lavoro abbia aderito almeno 12 mesi prima del licenziamento del lavoratore.
Articolo 10
Soggetti esclusi
1. Sono esclusi dalla regolamentazione di cui al precedente articolo 7 i datori di lavoro oggetto di una procedura concorsuale.
Articolo 11
Norme transitorie
1. Ai rapporti di lavoro instaurati sino alla data di entrata in vigore della nuova regolamentazione, sarà applicato per un periodo di 36 mesi, una clausola di salvaguardia che garantisca l’applicazione delle precedenti disposizioni normative e previdenziali. Al termine di detto periodo si applicheranno a tutti i rapporti di lavoro di cui all’articolo 1 le disposizioni contenute nel presente testo.