L’ASSOCIAZIONE IN PARTECIPAZIONE*
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L’ASSOCIAZIONE IN PARTECIPAZIONE*
1. Definizione
Il contratto di associazione in partecipazione è disciplinato dal codice civile agli articoli 2549 e seguenti. Mediante tale fattispecie negoziale una parte, l’associante, attribuisce ad un’altra, l’associato, una partecipazione agli utili della sua impresa o di uno o più affari verso il corrispettivo di un certo apporto, che può consistere nel conferimento di una somma di dena- ro, di un diritto reale di godimento o in una prestazione di opera e/o servizi resa senza vincolo di subordinazione.
Trattasi di contratto:
– consensuale perché si perfeziona con il semplice consenso manifestato dalle parti;
– aleatorio poiché il corrispettivo dell’apporto dipende dall’eventuale realiz- zazione di utili o dall’esito dell’affare;
– a prestazione corrispettive in virtù del rapporto che intercorre tra l’appor- to dell’associato e l’attribuzione di una partecipazione agli utili dell’impre- sa o di uno o più affari;
– bilaterale poiché, anche nell’ipotesi di più associati alla stessa impresa o affare, non si determina alcun rapporto giuridico tra i vari associati, ma una pluralità di rapporti bilaterali autonomi;
– a forma libera, poiché non è previsto alcun particolare requisito di forma ad substantiam o ad probationem, tranne nell’ipotesi in cui si voglia con- ferire il godimento di beni immobili o di altri diritti reali immobiliari (art. 1350, n. 9 c.c.) poiché in tal caso è richiesta la forma dell’atto pubblico ai fini della trascrizione ex articolo 2643 n. 10 codice civile. Nella pratica, tuttavia, i contratti di associazione in partecipazione vengono comunque redatti in forma scritta, sia per definire con maggior chiarezza diritti e ob- blighi delle parti, sia per costituire un mezzo di prova nei confronti dei ter- zi.
* Dagli atti del Convegno Nazionale degli Economi – Chianciano 16-18 marzo 2009.
2. Diritti e doveri dell’associante
L’articolo 2549 del codice civile non chiarisce se l’associante debba necessariamente essere un imprenditore; l’espressione «partecipazione agli utili della sua impresa o di uno o più affari», non precisando se gli affari siano da realizzarsi nell’ambito dell’impresa, potrebbe indurci a ritenere che il soggetto associante possa anche non essere un imprenditore. Sicura- mente, in virtù del richiamo agli utili, è da escludere che il professionista ex articolo 2222 del codice civile possa rivestire la veste di associante, consi- derato che lo stesso non consegue un utile.
L’associante deve:
– gestire autonomamente l’impresa o l’affare oggetto del contratto di asso- ciazione in partecipazione (art. 2552, c. 1 c.c.);
– essere l’unico e solo responsabile di fronte ai terzi, non essendo tenuto a chiedere pareri né approvazione all’associato;
– acquisire il previo consenso dei precedenti associati qualora intenda sti- pulare altri contratti di associazione in partecipazione per la stessa im- presa o il medesimo affare; viene pertanto riconosciuto un vero e proprio diritto di veto in capo all’associato a tutela delle sue aspettative economi- che, contro possibili abusi dell’associante;
– predisporre il rendiconto dell’attività svolta o quello annuale della gestio- ne, se questa si protrae per più di un anno (art. 2552, c. 3 c.c.): è sulla base del rendiconto che viene quantificato l’utile. Generalmente ha for- ma libera, tranne nel caso di apporto di lavoro, poiché in tale ipotesi l’ar- ticolo 2102 del codice civile statuisce che «… la partecipazione agli utili spettante al prestatore di lavoro è determinata in base agli utili netti del- l’impresa e, per le imprese soggette alla pubblicazione del bilancio, in base agli utili netti risultanti dal bilancio regolarmente approvato e pubbli- cato». Le parti potrebbero teoricamente anche prevedere la partecipa- zione ai ricavi anziché agli utili: sebbene la giurisprudenza abbia finora escluso detta possibilità, ritenendo che i ricavi non costituiscano un dato significativo con riferimento al risultato economico dell’attività d’impresa (cf Cass. Lavoro 4.2.2002, n. 1420 «Nel contratto di associazione in par- tecipazione è elemento costitutivo essenziale la pattuizione a favore del- l’associato di una prestazione correlata agli utili dell’impresa, come previ- sto dall’art. 2549 c.c., ne segue che l’eventuale partecipazione ai ricavi dell’impresa non consente di ravvisare un contratto di associazione in partecipazione, posto che i ricavi rappresentano un dato non significativo circa il risultato economico effettivo dell’attività di impresa…»), una re- cente sentenza ne ha invece ammesso la possibilità (cf Cass. Lavoro 18.2.2009, n. 3894 «… essendo le parti libere di determinare la parteci- pazione economica dell’associato, questa può ben essere commisurata ai soli ricavi, perchè anche in tal caso l’associato, da un lato, corre sicu- ramente il rischio di impresa, e, dall’altro, non viene meno quella omoge- neità di interessi tra le parti contraenti che la contraddistingue e la diffe-
renzia dal rapporto di lavoro subordinato, non essendovi dubbio che, an- che con la partecipazione, ai ricavi, sussiste pur sempre un diretto coin- volgimento dell’associato nelle fortune dell’impresa»).
La dottrina, inoltre, ritiene sussistano in capo all’associante ulteriori li- miti quali:
– obbligo di svolgere l’impresa o l’affare o di darvi inizio, al fine di soddisfa- re l’aspettativa dell’associato alla redditività;
– divieto di cessare l’impresa prima della scadenza del contratto o di ridur- re il capitale fisso aziendale;
– obbligo di investire l’apporto dell’associato nell’impresa o nell’affare con- siderati.
3. Diritti e doveri dell’associato
L’associato può essere sia un’impresa, in forma societaria o indivi- duale, sia una persona fisica non imprenditore. L’obbligo principale a suo carico è dato dall’apporto, che può essere di vario genere compresa la pre- stazione di attività lavorativa. Qualunque sia il tipo di apporto, esso deve es- sere strumentale all’impresa, in termini di utilità per la stessa, e determinato nel contratto, o quantomeno determinabile in virtù dei criteri fissati dalle par- ti nel contratto stesso, non essendo ammissibile un’indicazione generica.
Diritto fondamentale dell’associato è costituito dalla sua partecipazio- ne agli utili: non è certamente ammissibile un patto che ne preveda l’esclu- sione, poiché la stessa costituisce il corrispettivo dell’apporto dell’associato. Qualora la quota di utili spettante all’associato non sia stata determinata in sede contrattuale, va considerato il valore dell’apporto dell’associato rispet- to al valore complessivo dell’impresa o dell’affare (cf Cass. Civ. 9.3.1982, n. 1476: «Qualora il contratto di associazione in partecipazione non determini la quota degli utili spettanti all’associato, la quota medesima va quantificata in proporzione del valore dell’apporto dell’associato, rispetto al valore del- l’impresa, ovvero dell’affare o degli affari rispetto ai quali l’associazione è pattuita…»).
Di norma, la misura della partecipazione agli utili indica anche la mi- sura della partecipazione alle perdite, salvo patto contrario, così come pre- visto dall’articolo 2553 del codice civile: in tal caso, il Legislatore ha previsto che venga meno il diritto di veto riconosciuto all’associato nell’ipotesi di plu- ralità di associazioni. Si tenga presente che, in ogni caso, le perdite che col- piscono l’associato non possono superare il valore del suo apporto.
L’associato, inoltre, ha diritto al rendiconto dell’affare compiuto o a quello annuale della gestione: le parti possono peraltro stabilire un maggior controllo sull’impresa o sullo svolgimento dell’affare da parte dell’associato, il che implica sostanzialmente la possibilità di acquisire specifiche informa- zioni o esprimere punti di vista.
Si ricordi, infine, che l’associato risponde unicamente nei confronti
dell’associante e non verso i terzi che, ex articolo 2551 codice civile, «…ac- quistano diritti e assumono obbligazioni soltanto verso l’associante».
4. Scioglimento del contratto
Il contratto di associazione in partecipazione può essere stipulato a tempo determinato o indeterminato, fatto salvo il diritto di recesso unilatera- le ex articolo 1373 codice civile, nonché la possibilità di ottenere la risolu- zione in caso di inadempimento della controparte ex articolo 1453 codice ci- vile o per impossibilità sopravvenuta ex articolo 1463 codice civile.
Altre possibili cause di scioglimento sono:
– fallimento dell’associante, ex articolo 77 della Legge Fallimentare (R.D. 267/1942); in tal caso l’associato ha diritto di far valere nel passivo il cre- dito per quella parte dei conferimenti non assorbita dalle perdite a suo eventuale carico; se l’associato non ha ancora effettuato il pagamento integrale dell’apporto, dovrà invece versare al fallimento la parte restante nei limiti delle perdite a suo carico;
– mutamenti della persona dell’associante tali da menomare il rapporto di fiducia tra le parti (es. interdizione o inabilitazione dell’associante);
– morte dell’associante, qualora il contratto sia stato concluso intuitus per- sonae; non invece morte dell’associato, poiché gli eredi subentrano nella posizione di destinatari degli utili ed hanno diritto al rimborso di quanto apportato (si tenga presente che in caso di apporto di solo lavoro, la mor- te dell’associato comporta lo scioglimento del contratto, fatto salvo even- tuali diritti degli eredi).
5. Associazione in partecipazione con apporto di lavoro e lavoro subordinato
L’associazione in partecipazione può prevedere, come già detto, l’ap- porto di prestazione lavorativa: in tal caso, potrebbe tradursi in un facile strumento per eludere le norme inderogabili poste a tutela del lavoro subor- dinato. Risulta pertanto fondamentale individuare la vera natura del contrat- to a partire dalle effettive modalità di svolgimento del rapporto.
L’associazione in partecipazione presenta, per sua natura, specifici requisiti di fatto estranei al rapporto di lavoro subordinato che la avvicinano piuttosto al lavoro autonomo e cioè:
– assenza di subordinazione al potere gerarchico, organizzativo e discipli- nare tipico del datore di lavoro; l’associante può solo impartire direttive ed istruzioni;
– partecipazione agli utili e quindi al rischio d’impresa da parte dell’asso- ciato (Cass. Civ. 19.12.2003, n. 19475: «In tema di distinzione fra con- tratto di associazione in partecipazione con apporto di prestazione lavo-
rativa da parte dell’associato e contratto di lavoro subordinato con retri- buzione collegata agli utili dell’impresa, l’elemento differenziale tra le due fattispecie risiede nel contesto regolamentare pattizio in cui si inserisce l’apporto della prestazione lavorativa dovendosi verificare l’autenticità del rapporto di associazione, che ha come elemento essenziale, conno- tante la causa, la partecipazione dell’associato al rischio di impresa, do- vendo egli partecipare sia agli utili che alle perdite») che potrebbe teori- camente anche non percepire alcuna somma a titolo di ripartizione di uti- li, venendo così meno il principio della retribuzione sufficiente di cui al- l’articolo 36 della Costituzione;
– obbligo di rendicontazione dell’associante nei confronti dell’associato.
Significative risultano alcune sentenze della Suprema Corte che han- no definito con chiarezza le differenze esistenti fra l’associazione in parteci- pazione e il lavoro subordinato; fra le tante si segnalano:
⮚ Cassazione Civile 8 gennaio 1980, n. 149
«… nell’associazione in partecipazione l’apporto dell’associato può es- sere costituito anche da una prestazione di attività lavorativa ed in tal ca- so il rapporto si distingue da quello di lavoro subordinato perché manca il vincolo di dipendenza e la garanzia di un guadagno che sono propri del rapporto di lavoro».
⮚ Cassazione Civile Lavoro 24 febbraio 2001, n. 2693
«In tema di distinzione tra contratto di associazione in partecipazione con apporto di prestazione lavorativa da parte dell’associato e contratto di lavo- ro subordinato con retribuzione collegata agli utili dell’impresa, la ricondu- cibilità del rapporto all’uno o all’altro degli schemi predetti esige un’indagi- ne del giudice di merito volta a cogliere la prevalenza, alla stregua delle modalità di attuazione del concreto rapporto, degli elementi che caratteriz- zano i due contratti, tenendo conto, in particolare, che, mentre il primo im- plica l’obbligo del rendiconto periodico dell’associante e l’esistenza per l’associato di un rischio di impresa, il rapporto di lavoro subordinato implica un effettivo vincolo di subordinazione più ampio del generico potere del- l’associante di impartire direttive e istruzioni al cointeressato, con assog- gettamento al potere gerarchico e disciplinare della persona o dell’organo che assume le scelte di fondo dell’organizzazione dell’azienda».
⮚ Cassazione Civile 12 gennaio 2000, n. 290
«In tema di distinzione fra contratto di associazione in partecipazione con apporto di prestazione lavorativa da parte dell’associato e contratto di lavoro subordinato con retribuzione collegata agli utili dell’impresa, la riconducibilità del rapporto all’uno o all’altro degli schemi predetti esige un’indagine del giudice del merito (il cui accertamento, se adeguatamen- te e correttamente motivato, non è censurabile in sede di legittimità) vol- ta a cogliere la prevalenza, alla stregua delle modalità di attuazione del
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concreto rapporto, degli elementi che caratterizzano i due contratti, te- nendo conto, in particolare, che, mentre il primo implica l’obbligo del ren- diconto periodico dell’associante in relazione al potere dell’associato di controllo sulla gestione economica dell’impresa, e l’esistenza per que- st’ultimo di un rischio di impresa, il rapporto di lavoro subordinato implica un effettivo vincolo di subordinazione, più ampio del generico potere del- l’associante d’impartire direttive ed istruzioni al cointeressato, oltre alla salvezza del diritto alla retribuzione minima proporzionata alla quantità e qualità del lavoro prestato».
Il Giudice, quindi, deve rifarsi al criterio di prevalenza, che esige un’ap- profondita indagine sulle concrete modalità di attuazione del rapporto, volta a cogliere la prevalenza degli elementi caratterizzanti l’uno o l’altro contratto: il nomen iuris, cioè la qualificazione del rapporto data dalle parti, non può es- sere vincolante per il Giudice, ma è solo uno degli elementi da considerare per verificare la genuinità del contratto, poiché il successivo comportamento concretamente tenuto dalle parti potrebbe aver manifestato una diversa vo- lontà o un successivo mutamento della originaria volontà contrattuale.
L’effetto sanzionatorio della non genuinità del contratto di associazio- ne in partecipazione con apporto di lavoro è quello della ricostruzione in ca- po all’associato di un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato fin dall’inizio dell’attività lavorativa: ne derivano, ovviamente, l’applicazione delle conseguenti sanzioni pecuniarie amministrative nonché i recuperi con- tributivi e retributivi.
In questo contesto è intervenuta la Legge Biagi che, con finalità evi- dentemente antifraudolenta, ha escluso la configurabilità di un’associazione in partecipazione laddove manchi un’effettiva partecipazione dell’associato lavoratore e questi non consegua adeguate prestazioni.
L’articolo 86, comma 2 del decreto legislativo 276/2003 prevede infat- ti che:
«Al fine di evitare fenomeni elusivi della disciplina di legge e contratto collettivo, in caso di rapporti di associazione in partecipazione resi senza una effettiva partecipazione e adeguate erogazioni a chi lavora, il lavoratore ha diritto ai trattamenti contributivi, economici e normativi stabiliti dalla leg- ge e dai contratti collettivi per il lavoro subordinato svolto nella posizione corrispondente del medesimo settore di attività, o in mancanza di contratto collettivo, in una corrispondente posizione secondo il contratto di settore analogo, a meno che il datore di lavoro, o committente, o altrimenti utilizza- tore non comprovi, con idonee attestazioni o documentazioni, che la presta- zione rientra in una delle tipologie di lavoro disciplinate nel presente decre- to ovvero in un contratto di lavoro subordinato speciale o con particolare di- sciplina, o in un contratto nominato di lavoro autonomo, o in altro contratto espressamente previsto nell’ordinamento».
In particolare:
a) «l’effettiva partecipazione dell’associato» è da intendersi come garanzia
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di partecipazione agli utili dell’impresa, diritto al rendiconto, diritto di veto all’ingresso di altri associati, nonché altre eventuali forme di controllo se previste dal contratto; qualora la partecipazione fosse solo “simulata”, e dunque mancassero i suddetti elementi, sarebbe legittimo presumere che l’associazione in partecipazione sia solo uno strumento per nascon- dere un rapporto di lavoro subordinato;
b) «le adeguate erogazioni» vanno interpretate compatibilmente con quanto previsto dal codice civile in materia di associazione in partecipazione e te- nendo conto del consolidato orientamento giurisprudenziale che proprio nella misura fissa della retribuzione ravvisa un indice rivelatore della sub- ordinazione. Prendendo le mosse dallo spirito della norma, cioè quello di evitare elusioni, l’ipotesi in cui l’associato percepisca una partecipazione agli utili inferiore a quanto gli spetterebbe in qualità di lavoratore dipen- dente fa scattare una presunzione iuris tantum dell’esistenza di lavoro subordinato: la norma dispone pertanto l’inversione dell’onere della prova per cui è l’associante a dover dimostrare con idonee attestazioni o docu- mentazioni l’effettiva sussistenza dell’associazione in partecipazione.
Si consideri inoltre che, a parere di chi scrive, il giudizio in ordine alla adeguatezza delle erogazioni deve essere effettuato tenendo conto della situazione economica esistente o comunque prevedibile all’epoca della stipula del contratto: infatti appare sufficiente verificare se fin dall’inizio i contraenti fossero consapevoli della prevedibile esiguità della quota di partecipazione agli utili attribuita all’associato, tanto da far presumere un uso pretestuoso e simulato del contratto de quo. Al contrario, non pare corretto infierire sull’associante che, pur avendo previsto in buona fede un’adeguata partecipazione agli utili, a seguito di un’annata particolar- mente negativa abbia visto una significativa riduzione degli utili e quindi anche della quota attribuita all’associato: tale eventualità rientra infatti nell’alea tipica dell’associazione in partecipazione.
Al fine di risolvere le complesse questioni qualificatorie relative a fatti- specie contrattuali elastiche che si collocano al confine tra lavoro autonomo e subordinato, il decreto legislativo 276/2003 all’articolo 75 ha peraltro intro- dotto la figura della certificazione. L’intentio legis dichiarata è quella di defla- zionare il contenzioso in materia di qualificazione del rapporto relativamente a ben individuate tipologie contrattuali, tra le quali è ricompresa anche l’as- sociazione in partecipazione. La procedura di certificazione prende l’avvio da una richiesta effettuata da entrambe le parti e rivolta alla apposita Commis- sione di certificazione e si conclude con la redazione di un atto motivato che produce effetti non solo tra le parti ma anche nei confronti dei terzi; le parti con tale atto vengono a disporre di una sorta di documento avente fede privi- legiata, esplicante effetti soprattutto sul piano fiscale e contributivo.
L’articolo integra quanto riportato in
“La gestione e l’amministrazione della parrocchia” al capitolo 8.
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