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Debhorah Di roSa
il contratto Di aSSociazione in partecipazione con apporto Di Solo lavoro
Sintesi
Il contratto di associazione in partecipazione con apporto di solo lavoro è il negozio giuridico con cui l’associante attribuisce all’associato una quota degli utili della propria impresa in cambio di un determinato apporto di lavoro. L’apporto dell’associa- to deve avere carattere strumentale per lo svolgimento dell’attività d’impresa, di cui l’associante mantiene la gestione e il diritto agli utili, salvo l’obbligo di liquidare all’associato la quota spettante per contratto.
IL QUADRO NORMATIVO
Codice Civile artt. 2549 - 2554 Decreto Legislativo n. 276/2003 Legge n. 326/2003
ORIENTAMENTI GIURISPRUDENZIALI
Xxxxx xx Xxxxxxxxxx x. 000 del 23 gennaio 1996
Corte di Cassazione n. 1420 del 4 febbraio 2002
Xxxxx xx Xxxxxxxxxx x. 00000 del 10 giugno 2005
Corte di Cassazione n. 3894 del 18 febbraio 2009
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PRASSI
Circolare INPS n. 13/2004 Circolare INPS n. 57/2004 Circolare INPS n. 30/2005 Circolare INPS n. 90/2005
Interpello Ministero del lavoro n. 49/2009 Interpello Ministero del Lavoro n. 67/2009
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Caratteri distintivi e qualificanti del genuino rapporto di associazione
Alla luce della controversa dinamica di valutazione della genuinità di questo tipo di rapporto di lavoro, quanto mai delica- ta, risulta di fondamentale importanza
l’individuazione degli elementi che ne rendono evidente la natura.
Elementi distintivi del contratto di associazione in partecipazione
• Aleatorietà del compenso
• Mancanza del potere disciplinare
• Potere di controllo dell’associato
1. Aleatorietà del compenso. L’asso- ciante, imprenditore o società commer- ciale, è colui che risponde nei confronti dei terzi con tutti i suoi beni, ma l’as- sociato, partecipa comunque al rischio d’impresa, in quanto non può avere la certezza di ottenere una retribuzione: il carattere aleatorio del contratto in- fatti fa sì che egli, pur avendo l’obbligo della prestazione , abbia diritto agli utili dell’impresa solo se prodotti.
2. Mancanza del potere disciplinare. Un associato in partecipazione, seppu- re non soggetto, in quanto parasubor- dinato, al potere disciplinare in quanto tale, può essere comunque tenuto ad un coordinamento organizzativo, per- sino con esplicitazione di direttive e istruzioni, che si rendano indispensa- bili alla corretta esecuzione dell’impre- sa.
3. Potere di controllo dell’associato. Altra caratteristica del contratto di as- sociazione è la sussistenza dell’obbligo del rendiconto periodico dell’associan- te, che rappresenta quella forma mini- ma di partecipazione che può tuttavia essere ulteriormente allargata in via negoziale dalle parti.
Il rendiconto è, allo stesso tempo, sia re- quisito essenziale ai fini del controllo, sia requisito sostanziale ai fini della corretta qualificazione e valutazione degli ele- menti che distinguono l’associazione in partecipazione dal lavoro subordinato.
Il Legislatore, se da un lato è stato risoluto nell’affermare l’obbligatorietà e la indero- gabilità del diritto al rendiconto, dall’altro non ha fornito elementi sull’estensione del suo contenuto e sulle conseguenze derivanti da eventuali inosservanze: ai fini dell’esercizio del controllo in sede ispettiva non pare essere sufficiente, nella fattispecie di impresa associante in regi- me di contabilità semplificata, il solo pro- spetto contabile, in quanto esso mostra i risultati dell’esercizio con una rappresen- tazione sintetica e non sostanziale; Al fine di garantire il carattere essenziale voluto dal legislatore, e cioè l’effettivo esercizio del controllo, occorrerebbe dunque por- re a disposizione dell’associato:
• un conteggio analitico;
• una relazione contenente la descrizio- ne dei fatti rilevanti ai fini del risultato dell’attività;
• l’accesso alla documentazione fiscale;
• il diritto ad ulteriori chiarimenti.
Tale esigenza, spesso sorta in sede di con- trolli ispettivi, pare tuttavia in parte con- trastante con la mancanza di un vero e proprio potere decisionale dell’associato in ambito di gestione.
Nella fattispecie poi di imprese associanti in contabilità ordinaria, premesso che i normali costi e ricavi della gestione carat- teristica dell’esercizio non pongono par- ticolari problemi, si riscontrano perples- sità in merito ad alcune specifiche voci contabili, quali ad esempio le quote da destinare ai fondi per rischi ed oneri, le quote destinate ai fondi accesi per immo- bilizzazioni e tutte quelle poste la cui valu- tazione è lasciata alla “stima prudenziale” dell’imprenditore. E’ opportuno dunque che in sede contrattuale si proceda con la massima prudenza e con la precisa indi- cazione di tutti quei parametri necessari a valutare la effettiva partecipazione e la giusta erogazione.
lavoratore dipendente e associato in partecipazione
Ai fini della distinzione tra contratto di as-
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sociazione in partecipazione con apporto di prestazione lavorativa da parte dell’as- sociato e contratto di lavoro subordinato, i principali indici di valutazione, più volte richiamati dalla giurisprudenza e in dot- trina, sono i seguenti:
• Presenza del rischio d’impresa
• Intensità e modalità del vincolo gerar- chico-funzionale che lega l’associato all’associante
• L’obbligo di rendiconto periodico e la facoltà di verifica dei libri contabili
• La natura dell’oggetto della prestazio- ne
• L’osservanza di un orario
• L’eventuale partecipazione alla perdita In particolare la sentenza n. 9264/2007 della sezione lavoro della Corte di Cas- sazione ha espresso i seguenti principi:
• Bisogna tenere conto dell’eventuale presenza di un contratto quale chiara manifestazione di volontà iniziale delle parti;
• E’ ammissibile la pattuizione di un cor- rispettivo che preveda, oltre alla com- partecipazione agli utili, anche una quota fissa dei ricavi da riconoscere in ogni caso all’associato.
Sembrerebbe ad oggi possibile dar corso, tra la medesima impresa e il medesimo soggetto, ad un’associazione in partecipa- zione di uno o più affari contestualmente ad un rapporto di lavoro subordinato. L’esistenza di uno o più affari contempo- raneamente, dovrebbe essere utile alla determinazione di una linea di confine tra le due fattispecie e, pertanto, permet- tere di distinguere le prestazioni riferibili al rapporto di lavoro subordinato da quel- le che nascono nell’area del contratto di associazione in partecipazione.
Resta chiaro che, si può dar luogo ad un’associazione in partecipazione agli utili in un’impresa diversa da quella cui
si è dipendenti (fermo restando, in capo all’associato nei confronti del suo origi- nario datore di lavoro, il rispetto delle disposizioni di contratto e di legge che re- golano il rapporto di lavoro subordinato, con particolare riferimento all’obbligo di fedeltà di cui all’articolo 2105 del codice civile e salvo specifica autorizzazione del datore di lavoro). Nell’intento di evitare fenomeni elusivi, vale a dire contratti di associazione in partecipazione che simu- lano in realtà rapporti di lavoro subor- dinato, l’art. 86, comma 2, del D.Lgs. n. 276/2003 ha disposto che l’associazione in partecipazione resa senza una effettiva partecipazione ed una adeguata eroga- zione dei compensi, comporta il diritto per il prestatore d’opera al trattamento economico, normativo e contributivo previsto dalla legge e dal c.c.n.l. per i lavoratori subordinati che svolgono la medesima attività nello stesso settore. Il datore di lavoro o committente può sot- trarsi da tale onere soltanto producendo idonea documentazione attestante che la prestazione rientra in una delle tipologie di lavoro disciplinate dallo stesso decreto
n. 276, ovvero in un contratto di lavoro subordinato speciale, o con particolare disciplina, o in un contratto nominato di lavoro autonomo, o in altro contratto espressamente previsto nell’ordinamen- to. In particolare, ove in un contratto di associazione in partecipazione venisse escluso ogni potere di controllo in capo all’associato, o diversamente fosse previ- sto per l’associato l’esonero da qualsiasi rischio di impresa, tali condizioni unite ad un inserimento organico del prestato- re di lavoro nell’organizzazione azienda- le, possono ritenersi sintomatiche di una effettiva natura subordinata del rapporto di lavoro (Corte di Cassazione 4 febbraio 2002 n. 1420).
La stessa Corte si è espressa nuovamen- te in tal senso, con la sentenza 10 giugno 2005 n. 12261, asserendo che in un’as- sociazione in partecipazione la mancan- za di elementi quali l’esposizione dell’as- sociato al rischio d’impresa ed il diritto ad un rendiconto periodico comporta il riconoscimento di un rapporto di lavoro subordinato; la Corte, dopo aver rilevato che l’osservanza di orari di lavoro e l’as- soggettamento alle direttive dell’impren- ditore possono assumere (anche) nel rap- porto di lavoro subordinato “sfumature molto attenuate a seconda degli aspetti del concreto rapporto di lavoro, come la natura intellettuale delle mansioni ed il livello (ricoperto dal lavoratore) nell’am- bito dell’azienda”, ha stabilito che “ai fini della differenziazione con l’associazione in partecipazione assumono rilievo deter- minante” elementi quali il diritto dell’as- sociato al rendiconto periodico e la sua esposizione al rischio di impresa.
Invero bisogna rimarcare, che la mancan- za di un rischio di impresa in capo all’as- sociato, fa venir meno la caratteristica dell’aleatorietà che, come detto, è tipica del contratto di associazione in parteci- pazione; oltre a ciò, nel caso in cui l’asso- ciante non assolva all’obbligo di presen- tazione del rendiconto, e di conseguenza l’associato non partecipi né alla gestione economica né prenda visione del bilan- cio, viene di fatto a mancare l’esercizio di quello specifico diritto previsto in fa- vore dell’associato, evidenziandosi così un ulteriore possibile elemento utile al riconoscimento di un rapporto di lavoro subordinato.
Nella sostanza il contratto di associazione in partecipazione con apporto di solo la- voro risulta essere una dinamica e flessi- bile forma di collaborazione, tanto valida quanto delicata da impostare e gestire.
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