CONTRATTI
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Sito web e commercio elettronico: la normativa di riferimento
di Xxxxxxx Xxxxx | 3 MAGGIO 2018
Nel momento in cui un operatore apre un sito web, sia semplicemente “vetrina” ovvero “pubblicitario” ovvero di “commercio elettronico”, dovrà prestare molta attenzione ai dati minimi che il sito deve contenere dal punto di vista normativo. Tutto ciò allo scopo di evitare eventuali sanzioni da parte dell’Amministrazione finanziaria.
SOMMARIO:
NOME DI DOMINIO E TLD DEL SITO WEB
COMMERCIO ELETTRONICO: NORMATIVA DI RIFERIMENTO CONTRATTO DI COMMERCIO ELETTRONICO: DEFINIZIONI
GLI OBBLIGHI INFORMATIVI PER IL CONTRATTO DI COMMERCIO ELETTRONICO
Nome di dominio e TLD del sito web
Prima di aprire un sito web (sia esso “pubblicitario” ovvero di “commercio elettronico”) si dovrà prestare molta attenzione alla scelta e all’individuazione del nome di dominio.
La regola basilare - anche di marketing - consiste nella semplicità del nome: quanto più semplice e facile da memorizzare, maggiore potrà essere l’afflusso di utenti del web.
Approfondimento
Il nome di dominio (ovvero domain name ovvero host name) è l’indirizzo di un sito in formato alfabetico (ad esempio, xxx.xxxxxxxxxx.xx), dunque potenzialmente assai semplice da ricordare, al contrario dell’indirizzo IP (IP Address), che è espresso in forma numerica. Invece, il marchio può consistere tanto in un emblema (c.d. marchio emblematico), quanto in una denominazione o in un segno, purché presenti carattere distintivo. Esso è tradizionalmente considerato il segno distintivo più importante, in quanto contraddistingue prodotti e servizi, e consente le scelte di mercato mediante la differenziazione e la individuazione dei prodotti.
Da un punto di vista giuridico, possono sorgere delle controversie qualora la registrazione di un nome di dominio coincida con un marchio, soprattutto se tale marchio è molto conosciuto. Tutto ciò in considerazione del fatto che ad oggi, il principio base della registrazione di un nome di dominio è consistito nella tempestività della registrazione, risultando di proprietà di chi per primo lo ha registrato (first come - first served). In altri termini, l’essere proprietario di un marchio non è ragione sufficiente per essere parimenti proprietario del nome di dominio corrispondente.
Attenzione
Tuttavia, il titolare dei diritti di uso esclusivo del segno tipico può inibire a terzi l’uso di quest’ultimo come nome di dominio.
La giurisprudenza ritiene che la registrazione di un nome di dominio che riproduce o contiene il marchio altrui
costituisce una contra"azione del marchio poiché permette di ricollegare l’attività a quella del titolare del marchio, sfruttando la notorietà del segno e traendone, quindi, un indebito vantaggio.
Sulla base di quanto precede prima di utilizzare un nome di dominio, il soggetto che voglia aprire un sito web dovrà fare una verifica (due diligence) che tale nome di dominio non sia già in uso ovvero contenga un marchio già registrato.
Altro aspetto da tenere in considerazione è la scelta del Top Level Domain (c.d. TLD), per meglio dire desinenze che si trovano alla fine del nome a dominio quali ad esempio .com, .it, .org, .net, e via dicendo. In Italia, generalmente, viene utilizzato il TLD .it. Tale TLD attiene i domini registrati in Italia, quindi, sottoposti alla giurisdizione italiana o alla procedura arbitrale dei Prestatori del Servizio di Risoluzione delle Dispute.
Attenzione
Ancorché la registrazione di un nome a dominio .it consenta una migliore gestione delle eventuali controversie che dovessero sorgere sul nome a dominio, vi è il pericolo che tale TLD non abbia abbastanza visibilità su scala globale. Conseguentemente molte società utilizzano diversi TLD ovvero più in generale adottano un TLD di tipo .com.
Una volta ottenuto il nome di dominio (prestando attenzione a quanto sopra) la norma italiana stabilisce che il sito web (in qualsiasi sua forma, quindi, potrebbe essere anche semplicisticamente un sito “vetrina”) deve contenere le seguenti informazioni minime:
il numero di partita IVA (art. 35, 1° comma del D.P.R. n. 633/1972): tale informazione deve essere riportata nell’home page del sito web, oltre che in ogni atto e corrispondenza, quindi, anche all’interno dei testi delle e-mail che sono generate o, comunque attribuibili, al sito. Sul punto l’Agenzia delle Entrate con la Risoluzione n. 60/E del 16 maggio 2006 ha precisato che tale obbligo torna applicabile nel caso in cui un soggetto passivo IVA disponga di un sito web relativo all’attività esercitata, ancorché a mero titolo istituzionale (come ad es. sito “vetrina” ovvero “pubblicitario”);
ulteriori informazioni con riferimento alle società di capitali (art. 2250, 7° comma del c.c.) e più nel dettaglio:
sede legale della società;
ufficio del registro delle imprese ove è iscritto e relativo numero di iscrizione; capitale effettivamente versato ed esistente dall’ultimo bilancio;
lo stato di eventuale liquidazione della società a seguito dello scioglimento;
lo stato di società con eventuale unico socio, c.d. società di capitali unipersonali.
La sanzione comminata per la mancata indicazione del numero di partita IVA varia da euro 250 ad euro 2. 000 (art. 11, comma 1, lett. a) del D.Lgs. n. 471/1997). Invece, se mancano le ulteriori informazioni per le società di capitali sopra indicate, è applicabile una sanzione da euro 206 ad euro 2.065 per ciascun componente dell’organo di amministrazione (art. 2630, 1° comma c.c.).
Commercio elettronico: normativa di riferimento
La disciplina di riferimento in materia di commercio elettronico (inclusi gli aspetti contrattuali) è contenuta sia in norme comunitarie che in quelle nazionali e nello specifico:
Convenzione di Vienna del 1980 (che è stata ratificata dall’Italia con la Legge n. 765 del 1985): tale convenzione riguarda la vendita internazionale dei beni mobili.
Direttiva n. 2000/31/CE: Direttiva Europea sul Commercio Elettronico.
D.Lgs. n. 70/2003: attuazione della Direttiva 2000/31/CE relativa a taluni aspetti giuridici dei servizi della società dell’informazione nel mercato interno, con particolare riferimento al commercio elettronico. Tale D.Lgs. ha definito in termini pressoché identici i precetti posti dalla direttiva di riferimento.
D.Lgs. n. 206/2005: c.d. Codice del Consumo.
D.Lgs. n. 82/2005: Codice dell’amministrazione digitale.
D.Lgs n. 196/2003: Codice in materia di protezione dei dati personali - c.d. Codice della privacy (da ultimo modificato dal D.L. n. 7/2015, convertito, con modificazioni, dalla Legge n. 43/2015 e, successivamente, dal D.Lgs. n. 151/2015). Tale decreto ha anche apportato integrazioni nonché correzioni al Codice dell’amministrazione digitale (D.Lgs. n. 82/2005).
Direttiva n. 2011/83/UE: Direttiva sui diritti dei consumatori recante modifica delle Direttive 93/13/CEE e 1999/44/CE e che abroga le Direttive 85/577/CEE e 97/7/CE.
D.Lgs. n. 21/2014: Decreto che ha recepito la Direttiva n. 2011/83/UE. Con tale Decreto è stato modificato il precedente D.Lgs. n. 206/2005 (c.d. Codice del Consumo). Il Decreto in esame è entrato in vigore il 13 giugno 2014: pertanto, i contratti stipulati dopo tale data saranno disciplinati dal Codice del Consumo come
modificato dal D.Lgs. n. 21/2014.
Guardare alla matrice comunitaria di norme di diritto nazionale è di centrale importanza non solo in quanto consente di meglio comprendere la ratio sottesa alle disposizioni in esse contenute ma anche perché la giurisprudenza comunitaria ha ormai da tempo riconosciuto il diritto dei singoli cittadini europei ad un corretto recepimento da parte dello Stato membro e ad una correlata tutela risarcitoria in caso di violazioni del diritto comunitario da parte di esso.
Informativa precontrattuale: gli obblighi di informativa precontrattuale per tutti i contratti con i consumatori sono stati rafforzati;
diritto di recesso: il diritto di recesso del consumatore, per i contratti a distanza e per quelli negoziati fuori dai locali commerciali, è sottoposto ad un termine più ampio (14 giorni solari) e può essere esercitato attraverso modalità semplificate; obbligo di pagamento: nei contratti a distanza conclusi con mezzi elettronici, devono essere rese evidenti le ipotesi in cui il contratto impone un obbligo di pagamento;
modalità dell’accettazione dei contratti: per i contratti conclusi per via telefonica (ad es. telemarketing ovvero teleselling) l’accettazione del consumatore deve avvenire per iscritto;
forniture non richieste e prestazioni corrispettive: per tutti i contratti (a distanza, negoziati fuori dai locali commerciali o diversi) è ribadito il divieto di chiedere prestazioni corrispettive in caso di forniture non richieste;
consegna dei beni e passaggio del rischio: sono chiariti i diritti dei consumatori alla tempestiva consegna dei beni (entro un termine massimo di 30 giorni) e le modalità del passaggio del rischio nel caso in cui i beni vengano spediti;
tariffe telefoniche: non possono essere imposti, in capo al consumatore che utilizza le linee telefoniche dedicate ai contatti tra venditore e consumatore, mezzi di pagamento e tariffe superiori alla tariffa base; il consumatore deve pagare solo quanto normalmente dovuto secondo le tariffe del suo operatore; servizi aggiuntivi: il consenso alla prestazione di servizi aggiuntivi deve essere obbligatoriamente acquisito, mediante la “spunta” di caselle preselezionate nei moduli di adesione.
Novità introdotte dal D.Lgs. n. 21/2014 che ha integrato/modificato il D.Lgs. n.
206/2005 – Codice del consumo
(per i contratti stipulati dopo il 13 giugno 2014)
Contratto di commercio elettronico: definizioni
Contratto di commercio elettronico | Qualunque contratto avente per oggetto beni e servizi stipulato tra un fornitore e un consumatore nell’ambito di un sistema di vendita o di prestazioni di servizi a distanza (quindi, senza la simultanea presenza della parti coinvolte), organizzato dal fornitore, che per tale contratto impieghi esclusivamente una o più tecniche di comunicazione telematiche. |
Tecniche di comunicazione telematiche | Qualunque mezzo elettronico che, senza la presenza fisica e simultanea del fornitore e del consumatore, può essere utilizzato per la conclusione del contratto. Tali caratteristiche vengono comunque meno nel caso in cui anche un solo atto del procedimento formativo del contratto si svolga con la presenza fisica e simultanea di fornitore e consumatore. |
Per commercio elettronico si deve intendere, pertanto, lo svolgimento a distanza e per via elettronica di transazioni aventi per oggetto la vendita o messa a disposizione di beni, sia fisici che digitali, ovvero la fornitura di servizi, o lo svolgimento di trattative dirette alla possibile ma non certa conclusione di un contratto avente tale oggetto, a richiesta individuale di almeno un destinatario determinato.
Gli obblighi informativi per il contratto di commercio elettronico
In merito agli obblighi informativi da fornire ai consumatori, in fase precontrattuale e contrattuale, si devono prendere a riferimento (oltre ai contenuti minimi del sito web richiamati precedentemente):
le prescrizioni contenute nel D.Lgs. n. 70/2003. Tali disposizioni tornano applicabili unicamente ai rapporti contrattuali del tipo B2B ovvero B2C, conseguentemente rimangono esclusi quelli di tipo C2C (Consumer to Consumer). Inoltre, l’art. 11 del D.Lgs. n. 70/2003 stabilisce che tale decreto non torna applicabile ai:
contratti che istituiscono o trasferiscono diritti relativi a beni immobili, diversi da quelli in materia di locazione;
contratti che richiedono per legge l’intervento di organi giurisdizionali, pubblici poteri o professioni che implicano l’esercizio di pubblici poteri;
contratti di fideiussione o di garanzie prestate da persone che agiscono a fini che esulano dalle loro attività commerciali, imprenditoriali o professionali;
contratti disciplinati dal diritto di famiglia o di successione;
all’elenco di informazioni obbligatorie, di cui al punto precedente, devono essere aggiunte le ulteriori informazioni contenute nel Codice del Consumo come modificato ad opera del D.Lgs. n. 21/2014 nei casi in cui la controparte sia un “consumatore”,ossia la persona fisica che agisce per scopi estranei all’attività imprenditoriale, commerciale, artigianale o professionale eventualmente svolta (così come stabilito dall’art. 3 del Codice del Consumo). Conseguentemente quanto previsto dal Codice del Consumo non è obbligatorio qualora il rapporto contrattuale sia di tipo B2B.
Devono essere sempre rispettati i principi di buona fede e correttezza di cui agli artt. 1337 e 1375 c.c.. Rientra nel paradigma tipico di mancanza di buona fede in un rapporto telematico l’omissione su informazioni idonee a condizionare il comportamento economico del potenziale acquirente, come ad esempio l’indicazione sul proprio sito web di un prezzo apparentemente conveniente senza la specificazione del costo di consegna ed imposte correlate.
Riferimenti normativi:
D.Lgs. 9 aprile 2003 n. 70; Direttiva n. 2000/31/CE;
D.Lgs. 6 settembre 2005 n. 206; Direttiva n. 2011/83/UE;
D.Lgs. 21 febbraio 2014 n. 21.
DOCUMENTI SUGGERITI
elettronico:
Commercio
criticità in tema di
imposte dirette
16 MAGGIO 2017
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