Linee di indirizzo per la contrattazione dello smart working
Area Contrattazione e Mercato del Lavoro
Linee di indirizzo per la contrattazione dello smart working
Premessa e avvertenze di lettura
L’emergenza sanitaria e le conseguenti misure di contrasto adottate dal Governo per contenere la diffusione del virus Sars- Covid19 hanno impresso una forte accelerazione al ricorso del lavoro agile aprendo una discussione all’interno del paese rispetto a limiti e opportunità di questa trasformazione organizzativa che si avvia a divenire strutturale. Quello sperimentato durante il lockdown non può certo essere definito “smart working” essendosi trattato di una sorta di telelavoro obbligato a domicilio, senza regole, che si è scaricato soprattutto sulle donne su cui è gravato anche il peso della gestione di carichi e incombenze famigliari non prevedibili.
La contrattazione collettiva di primo e secondo livello ha iniziato a confrontandosi con questo nuovo scenario di riferimento attraverso la definizione di intese che provano a misurarsi con le sfide di un futuro ormai prossimo.
Se prima del marzo 2020 la nostra azione negoziale in materia era stata finalizzata a normare l’accesso a una opportunità gradita e rivendicata dalle lavoratrici e dai lavoratori definendo esperienze significative ma limitate nella portata e nell’estensione, ora siamo chiamati a ragionare di una esigenza spesso propugnata dall’impresa che intravede nello smart working un nuovo modello di organizzazione del lavoro capace di coniugare obbiettivi diversi quali: riduzione e abbattimento del rischio di contagio, aumento della produttività, riduzione dei costi indiretti, risposta alle mutate esigenze di conciliazione dei lavoratori (a partire dalla componente femminile).
Tutto ciò sta avvenendo in un quadro di riferimenti normativi confuso, caratterizzato da deroghe temporanee alla legge istitutiva dello strumento (Legge 81/2017) volte a facilitare, in un acclarato stato di emergenza collettiva, la diffusione del lavoro da remoto.
Con queste “linee di indirizzo”, elaborate col contributo dell’Ufficio 4.0, e dell’Area Welfare (Dipartimento Salute e Sicurezza), intendiamo fornire indicazioni a tutte le strutture della nostra Confederazione nel rispetto della autonomia negoziale di ognuna di loro; ci proponiamo cioè di sostenere l’azione contrattuale delle categorie fornendo loro orientamenti coerenti, spunti di riflessione e di problematizzazione.
Il contesto normativo: legislazione di riferimento e legislazione di emergenza
Lo smart working in Italia è stato introdotto dalla legge 81/2017 che ha sancito in sostanza l’evoluzione del vecchio telelavoro adattandolo ad un contesto produttivo in rapida mutazione per effetto delle impetuose trasformazioni tecnologiche in atto.
Questa legge si propone non solo di offrire su base volontaria ai lavoratori (e soprattutto alle lavoratrici) la possibilità di effettuare parte della propria prestazione lavorativa in un luogo diverso (non necessariamente il domicilio) dalla abituale sede, ma mira ad individuare anche una diversa modalità della prestazione che valorizzi autonomia e autorganizzazione, pur rimanendo nel solco della subordinazione. Xxxx, cicli, obbiettivi si devono sostituire, secondo il legislatore, alla mera esecuzione di ordini: tale nuova concezione del lavoro subordinato dovrebbe portare con sé una nuova concezione del tempo di lavoro nel suo rapporto al tempo di vita.
La legge demanda all’accordo individuale fra lavoratore e datore una serie di importanti contenuti che devono regolare la concreta attuazione dello smart working, tra cui: il diritto alla disconnessione, i limiti dell’esercizio del potere di controllo e disciplinare datoriale, l’attuazione di tutele minime riguardo alla salute e sicurezza, le caratteristiche della dotazione strumentale fornita al lavoratore per poter lavorare fuori sede, e le regole per la sua manutenzione.
Sempre la normativa stabilisce preavvisi e modalità di recesso dall’accordo che variano a seconda che lo stesso riguardi lavoratori a tempo indeterminato, determinato o lavoratori affetti da disabilità.
Esiste un riferimento chiaro alla contrattazione collettiva nazionale laddove il legislatore esplicita che l’orario di lavoro giornaliero e/o settimanale non può superare quanto previsto dal CCNL applicato dalla impresa.
Un altro riferimento alla sfera della rappresentanza collettiva è l’obbligo per il datore di lavoro di fornire con cadenza almeno annuale all’ RLS una informativa riguardante i lavoratori da remoto presenti in azienda.
A seguito dell’esplosione dell’emergenza sanitaria, il Governo è intervenuto a più riprese sulla legge 81/2017 per facilitarne l’applicazione con finalità variabili dalla prosecuzione dell’attività lavorativa in sicurezza evitando contatti sociali e spostamenti, alla opportunità di rispondere al grande bisogno di conciliazione causato dalla chiusura di scuole, centri di assistenza per soggetti affetti da disabilità e centri diurni per anziani.
il Presidente del Consiglio dei Ministri ha emanato il 1° marzo 2020 un Decreto che interviene sulle modalità di accesso allo smart working, abolendo l’obbligo dell’accordo individuale.
Per effetto del Decreto legge del 17 marzo 2020, n. 18, Decreto Cura Italia, convertito in legge
n. 27 del 24 aprile 2020 viene inoltre stabilito che, sino alla fine dello stato di emergenza, i lavoratori dipendenti disabili o che abbiano nel proprio nucleo familiare una persona con disabilità, hanno diritto a svolgere la prestazione di lavoro in modalità agile, a condizione essa sia compatibile con le caratteristiche della prestazione medesima.
Ai lavoratori del settore privato con ridotta capacità lavorativa è poi riconosciuta la priorità nell'accoglimento delle istanze di svolgimento delle prestazioni lavorative in modalità agile.
Con il DPCM del 26 aprile 2020 viene raccomandato il massimo utilizzo della modalità di lavoro agile per le attività che possono essere svolte al proprio domicilio o in modalità a distanza.
Ai sensi del Decreto legge del 19 maggio 2020, n. 34, Decreto Rilancio, i genitori lavoratori dipendenti del settore privato, con almeno un figlio a carico minore di 14 anni, hanno diritto al lavoro agile a condizione che tale modalità sia compatibile con le caratteristiche della prestazione e che nel nucleo familiare non vi sia altro genitore beneficiario di strumenti di sostegno al reddito, nei casi di sospensione o cessazione dell'attività lavorativa, o che non vi sia un genitore non lavoratore. In sede di conversione del decreto nella legge 77 del 17 luglio 2020, viene introdotto il diritto al lavoro agile per i lavoratori cosiddetti “fragili” ossia che, per pregresse patologie documentabili, siano particolarmente esposti al contagio.
È bene sottolineare che questa possibilità non si estende al lavoro pubblico che, per effetto dell’articolo 263 del DL “Rilancio”, può accedere al lavoro agile in regime differente. Infatti, dopo l’ampio utilizzo del lavoro da remoto sperimentato nel pubblico impiego durante la fase di lockdown (ricordiamo che è divenuto, in fase emergenziale: “modalità ordinaria di lavoro”), dal 15 settembre le Amministrazioni possono utilizzare questa modalità per il 50% del personale che svolge una prestazione che può essere resa da remoto, fino alla fine dell’anno. Con il prossimo anno il legislatore porta al 60% la suddetta percentuale in una logica che all’oggi esclude un ruolo attivo del confronto negoziale, logica che noi abbiamo fin da subito criticato.
Agli “smart workers” viene garantita la parità di trattamento - economico e normativo - rispetto ai loro colleghi che eseguono la prestazione con modalità ordinarie. È prevista la loro tutela in caso di infortuni e malattie professionali, secondo le modalità illustrate dall'INAIL nella Circolare n. 48/2017.
Da questo sintetico excursus si evince che la contrattazione collettiva non ha un quadro di riferimento normativo certo cui appoggiarsi. Pertanto, nel rapporto con le leggi citate, si può agire cercando di introdurre il ripristino di tutele temporaneamente sospese dalla legiferazione di emergenza, a partire dall’obbligo dell’accordo individuale o alla necessità che le imprese forniscano i devices (pc, smart, tablet) per l’effettuazione della prestazione da remoto, evitando l’utilizzo improprio di strumenti personali del lavoratore.
Riteniamo che una eventuale modifica della Legge 81/2017, da più parti invocata, possa comportare diversi rischi tra cui quello di riaprire una discussione pericolosa rispetto a ciò che caratterizza come autonomo il lavoro prestato in modalità agile rispetto alle garanzie della subordinazione attualmente vigenti.
E’ altresì chiaro che l’attuale assenza di potere di intervento della contrattazione collettiva vada superata, o attraverso un intervento limitato e circoscritto del legislatore, o attraverso un accordo quadro nazionale a livello interconfederale.
Un possibile scenario da esplorare, che potrebbe costituire anche un terreno di confronto con le controparti datoriali a partire da Confindustria, è quello di allargare la discussione su scala europea, investendo del tema il dialogo sociale tramite un accordo quadro delle parti sociali, per poi addivenire ad una direttiva votata dal Parlamento e successivamente recepita dagli ordinamenti degli stati membri.
Linee di indirizzo
Contrattazione collettiva e accordo individuale
Il principale vulnus del quadro normativo che regola il ricorso al lavoro agile dal 2017 ad oggi, è quello di non offrire alcun spazio alla contrattazione collettiva. Nonostante questo non secondario ostacolo, non sono mancate e continuano a prodursi esperienze di contrattazione di primo come di secondo livello.
Uno dei più naturali obbiettivi di una rivendicazione collettiva rispetto ad un istituto che per legge è esclusivamente delegato alla contrattazione individuale è quello di predeterminare e condividere in anticipo i contenuti dei singoli accordi individuali che verranno sottoscritti.
Se cioè la legge individua nel patto datore di lavoro–lavoratore la fonte principale della regolazione del lavoro agile, i contenuti di quel patto debbono essere negoziati dalle Organizzazioni Sindacali per tutti, di modo che le successive pattuizioni individuali abbiano contenuti omogenei e quindi più facilmente verificabili e sorvegliabili all’atto della applicazione. Uno degli elementi che più è stato condizionato dall’assenza di una regolamentazione collettiva è stata la stessa definizione dell’istituto che spesso, in fase emergenziale, ha risposto più alle caratteristiche del telelavoro che a quelle dello smart working. Questa stagione può essere l’occasione per definire i confini tra le due modalità, consapevoli che molti istituti contrattuali, in funzione di una differente organizzazione del lavoro, possono subire declinazioni differenti.
La legge affida all’accordo individuale:
❖ la definizione dei tempi di riposo;
❖ l’individuazione degli strumenti utilizzati dal lavoratore;
❖ le modalità di garanzia del diritto alla disconnessione;
❖ le forme di esercizio del potere direttivo e di controllo del datore di lavoro nel rispetto di quanto previsto dall’articolo 4 legge 300/70;
❖ il recesso;
❖ il diritto all’apprendimento permanente e alla certificazione delle competenze.
Tutti questi temi debbono divenire oggetto di negoziazione fra Organizzazioni Sindacali e Impresa assieme alla individuazione preventiva delle platee di lavoratori che possono ricorrere allo smart working per evitare che sia solo l’impresa a scegliere gli “aventi diritto” mettendo in atto comportamenti discriminatori. In tale prospettiva di ragionamento si potrebbe prevedere un diritto minimo generalizzato per tutte le attività remotizzabili fruibile da tutti i lavoratori interessati indipendentemente dalla previsione di una motivazione di richiesta.
A queste materie se ne possono aggiungere altre che attengono, ad esempio, la sicurezza delle reti, la conservazione dei dati, la tutela della privacy, la salute e sicurezza, la accessibilità e la fruizione ai diritti sindacali, il coinvolgimento nel raggiungimento degli obbiettivi cui sono legate le erogazioni dei premi di risultato, il riconoscimento, in termini di inquadramento, dell’accrescimento delle professionalità.
Orario di lavoro e tempi di lavoro
Uno degli aspetti sicuramente più innovativi della Legge 81/2017 è lo stimolo che essa fornisce ad un profondo ripensamento del tempo trascorso lavorando.
Accanto alla delocalizzazione della prestazione assistiamo infatti ad una sua trasformazione in termini di autonomia e responsabilizzazione che porta lo smart worker a operare per “fasi, cicli, obbiettivi” entro “i soli limiti di durata massima dell'orario di lavoro giornaliero e settimanale, derivanti dalla legge e dalla contrattazione collettiva”.
L’intento del Legislatore è chiaro: fornire il massimo della flessibilità possibile al lavoratore per quanto concerne l’esecuzione della sua attività, imponendo solo il rispetto di quanto previsto dal DL 66/2003 e dalla contrattazione collettiva nazionale.
E’ altrettanto chiaro che i vincoli stabiliti dalla norma possono spesso non rappresentare una tutela efficace e sufficiente per il lavoratore.
E’ importante quindi durante la negoziazione definire ulteriori fasce in cui è possibile prestare l’attività e altre in cui la stessa è inibita. Si può, ad esempio, stabilire una sorta di “nastro orario” massimo in cui il lavoratore è libero di articolare la sua attività con autonomia, rispettando l’orario massimo contrattuale, e con l’unico vincolo di non superarlo.
In luogo di un unico nastro, si possono ipotizzare più nastri o fasce che il lavoratore può scegliere confrontandosi, nella logica del team, con altri lavoratori. Nella definizione dell’orario è necessario valutare l’introduzione della possibilità di fruire di pause, soprattutto per quelle attività che, pur esercitabili fuori dai locali aziendali, continuano a prevedere reperibilità o rigidità nell’articolazione del tempo di lavoro.
Sempre sul piano della rivendicazione sindacale, va chiarito il funzionamento del ricorso/ riconoscimento allo straordinario e affermato il divieto di lavoro notturno, nonché ribaditi gli obblighi inerenti il riposo giornaliero e settimanale.
Essendo il richiamo che la legge opera in favore della contrattazione nazionale assai blando, è utile che la stessa sia puntualmente ripresa per ciò che concerne l’orario di lavoro, soprattutto laddove ha previsto condizioni di miglior favore anche in termini economici, ovviamente nel rapporto con la tipologia di attività remotizzata. Negoziare l’orario di lavoro è condizione per assicurare quelle “misure organizzative” che il Legislatore indica come utili per “assicurare la disconnessione del lavoratore”.
Il diritto alla disconnessione è previsto dalla normativa ma affidato, come molti altri aspetti, all’accordo individuale e non è immediatamente esigibile se non si chiariscono le modalità in cui esercitarlo. Alcune di queste possono essere mutuate da esperienze contrattuali già in vigore, laddove ad esempio si prevede il divieto di risposta alle mail dopo un certo orario; tale disposizione libera il lavoratore dalla facoltà individuale di rispondere sempre e comunque. Si tratta di soluzioni che responsabilizzano massimamente il datore di lavoro e che sono già praticate per legge in altri paesi europei.
Se da un lato quindi circoscrivere i periodi in cui si lavora e quelli in cui non si può lavorare è una prima via seppur indiretta per rendere attuabile il diritto alla disconnessione, dall’altro è necessario
che il datore di lavoro assuma l’impegno formale, anche attraverso l’adozione di “misure tecnologiche” adeguate perché il rischio del “sempre connesso” venga evitato.
Come avremo modo di vedere anche in seguito la disconnessione è anche tema che attiene la creazione di una nuova cultura attorno a questa modalità di lavoro e pertanto necessita di interventi formativi rivolti all’impresa, ai suoi preposti e quadri intermedi e, ovviamente, ai lavoratori.
Organizzazione del Lavoro e spazi di lavoro
Il lockdown ci ha consegnato un report abbastanza fedele di quanto il lavorare da remoto possa essere pericoloso e stressante. La stragrande maggioranza delle lavoratrici e dei lavoratori è stata catapultata in una dimensione sconosciuta seppur necessitata dalla fase emergenziale, che ha azzerato tutti gli aspetti potenzialmente positivi dell’istituto, esaltandone le negatività.
Da qua però è utile ripartire per evidenziare come quanto stiamo utilmente sperimentando sia molto lontano dal nostro obbiettivo negoziale, ma anche dalla volontà iniziale degli estensori della norma.
Nei mesi di marzo e aprile, la casa, una casa spesso particolarmente affollata, si è sostituita in toto alla tradizionale postazione di lavoro.
Ciò ha comportato il primo cortocircuito cui occorre fin da subito porre rimedio: lo smart working non può essere la modalità esclusiva in cui si presta la propria attività.
Bisogna pertanto prevedere negli accordi una costante alternanza fra presenza fisica in sede e lavoro agile. Bisogna evitare che chi lavora da remoto perda il contatto con la sua realtà lavorativa consueta, coi suoi rituali, con i colleghi, andando a costituire una appendice distaccata, lontana, “remota” appunto e pertanto facilmente removibile.
La sede di lavoro alternativa a quella abituale può essere l’abitazione, ma anche qualsiasi altro posto purché idoneo a consentire lo svolgimento della mansione. Si può lavorare in spazio comuni dotati di connessione gratuita, ma anche variare la propria postazione a seconda dei propri fisiologici spostamenti.
La domiciliazione coatta registrata nella fase più acuta della pandemia deve essere progressivamente superata e, salvo casi eccezionali e comunque limitati nel tempo, non può coincidere con l’ordinaria esecuzione della prestazione in modalità agile che, come si è accennato, deve prevedere una costante alternanza con la modalità tradizionale.
Lo spazio di lavoro non è però solamente quello nuovo che si va a colmare allontanandosi dall’ufficio ma anche quello che si lascia vuoto individuando un’altra postazione.
E’ necessario pertanto comprendere come vengono ridisegnati gli spazi aziendali in quelle imprese che decidono di puntare massicciamente sullo smart working: possono essere riorganizzazioni positive che ripensano i locali e le postazioni in modo da poter garantire il rispetto del distanziamento fisico e impedire il formarsi di assembramenti, ma possono essere anche operazioni di trasformazione le cui ripercussioni si scaricano su altri lavoratori dell’impresa o del
sito, quelli che fino a ieri, ad esempio, si occupavano della ristorazione, delle pulizie, della vigilanza.
L’impatto di una scelta così importante sull’organizzazione del lavoro non è neutro e non riguarda solo i lavoratori a cui si rivolge. Diventa pertanto necessario sul piano politico, in ossequio ad un principio di inclusività cui tutti siamo affezionati, porsi fin dall’apertura del confronto il problema delle conseguenze che un tale cambiamento comporta in termini di qualità e quantità della occupazione a vario titolo interessata dalla innovazione di paradigma organizzativo. Sarebbe poi interessante aprire il confronto alla possibilità di individuare spazi condivisi che offrano ai lavoratori servizi differenti anche nell’ottica del recupero di aree urbane dismesse. Il tema dell’utilizzo di spazi come questi può anche essere garantito nell’ambito dell’offerta del welfare contrattuale, magari come intreccio virtuoso con le politiche del territorio e con l’ausilio della bilateralità.
Xxxxxxxx affermare che dal 2017 al 23 febbraio 2020 lo smart working ha rappresentato più un opportunità che veniva concessa al singolo lavoratore a fronte di esigenze di conciliazione che una scelta strategica dell’impresa. La sperimentazione di massa avvenuta fra marzo e maggio di quest’anno ha dimostrato che parti sempre più consistenti di attività possono essere svolte da remoto, senza cali di produttività e con indiscutibili vantaggi in termini di contenimento dei costi.
Riguardo a questo ultimo punto è utile soffermarsi sulla ricorrente problematica del riconoscimento del ticket mensa.
Essendo quest’ultimo un emolumento negli ultimi anni divenuto una forma spuria di riconoscimento di salario non necessariamente legata alla fruizione del pasto è necessario preservarlo anche per le lavoratrici e i lavoratori che operano da remoto. Questo è un orientamento da condividere e assumere in xxx xxxxxxxx, xxxxx restando il fatto che ogni negoziazione è chiamata in piena autonomia a individuare equilibri che possono garantirne il riconoscimento come sancirne il superamento a fronte di scambi ritenuti appropriati.
In una fase in cui le vertenze su questo specifico aspetto non sono ancora tali, per numero e esito, da poter sorreggere per via legale la nostra interpretazione “estensiva”, ci limitiamo a evidenziare come laddove il riconoscimento del buono pasto sia più slegato alla effettiva fruizione dello stesso, sarà più agevole sostenere che lo stesso debba essere conservato indipendentemente dalla presenza del lavoratore in azienda.
Dato per acquisito il principio di non discriminazione salariale, in generale e aldilà del riconoscimento del buono pasto, è evidente che occorrerà definire, nell’ambito del lavoro agile, gli effetti di alcuni istituti che si basano sulla prestazione oraria. Dai premi di risultato basati anche sulla presenza a tutto il sistema di maturazione dei permessi è bene che l’azione negoziale faciliti una corretta estensione di tutele e riconoscimenti economici anche a chi svolge la propria prestazione in assenza di un ordinario vincolo orario.
In conclusione: lo smart working va negoziato ora in quanto parte strutturale di una organizzazione del lavoro in via di ridefinizione, e non più, come in un recente passato, in quanto diritto individuale utile e gradito ad una categoria precisa di lavoratori.
Ciò impone da parte nostra il mantenimento di una visione ampia e una responsabilità costante all’atto di effettuare scelte negoziali che, come si è detto, comportano effetti a medio e lungo termine e su platee estese di lavoratori.
Salute e Sicurezza
Particolarmente debole e pertanto da approfondire ai tavoli di confronto con associazioni e imprese è la partita riguardante la tutela della salute e sicurezza dei luoghi di lavoro anche in relazione alle diverse forme di espletamento della prestazione da remoto.
Il Legislatore, infatti, all’articolo 22 del Dl 81/2017 stabilisce che il datore di lavoro “garantisce la salute e sicurezza del lavoratore che svolge la prestazione in modalità di lavoro agile.” Questo obbligo viene assolto attraverso la consegna, al lavoratore e all’RLS, con cadenza almeno annuale, di un’informativa scritta contenente l’individuazione dei rischi generici e specifici connessi alla particolare modalità di esecuzione della prestazione lavorativa. E’ ovvio che la sola consegna dell’informativa non può essere a nostro avviso l’unica azione di tutela e prevenzione applicabile.
L’articolo in questione si chiude con un obbligo alla cooperazione in capo al lavoratore nell’attuazione delle misure di prevenzione predisposte dal datore di lavoro per fronteggiare i rischi connessi all’esecuzione della prestazione all’esterno dei locali aziendali, ma non specifica come questa cooperazione, in termini pratici e con riferimenti precisi, si possa attuare e quale sia l’effettivo ruolo del datore di lavoro su questo piano.
Queste previsioni eccessivamente lacunose dell’ordinamento andrebbero rinforzate e rese maggiormente efficaci dalla contrattazione nazionale e decentrata, raccordando quanto rivisto dalla più larga produzione normativa alle situazioni reali e concrete che esistono nelle prestazioni del lavoratore e della lavoratrice, nell’ottica del miglioramento continuo.
Riteniamo si debba a questo proposito dotare gli RLS di un ruolo più incisivo, ampliare le loro agibilità (anche in un’ottica di sito e/o filiera) rafforzandone ruolo e figura per permettere loro di acquisire prima di tutto gli indispensabili elementi di conoscenza per monitorare effettivamente come e in che condizioni viene svolta l’attività da remoto ed avanzare le necessarie proposte di miglioramento per prevenire malattie professionali e infortuni.
Il principio della cooperazione diretta del lavoratore alla salvaguardia delle proprie condizioni di salute può comportare una pericolosa de-responsabilizzazione da parte dell’impresa, che va evitata attraverso previsioni contrattuali apposite.
Particolare attenzione va dedicata alla rilevazione e al contrasto dello stress da lavoro correlato, alla valutazione dei rischi psico-sociali ed alle misure atte al contenimento di quest’ultimi; va infine previsto accanto alla informazione un intervento formativo vero e proprio verso i lavoratori che effettuano lavoro agile, per renderli edotti su tutta una serie di necessari accorgimenti da adottare in merito all’ergonomia, al microclima, alla illuminazione, alla presenza al videoterminale. Pur nella diversità delle articolazioni delle modalità contrattuali, è utile statuire un’uniformità, almeno a livello di principio, per quanto riguarda la sicurezza e la prevenzione, per far sì che ci sia un diritto individuale all’inclusione nei sistemi aziendali di prevenzione e protezione a valere per tutti i lavoratori.
Dotazioni strumentali, sicurezza delle reti e controllo a distanza
Per far sì che il lavoratore possa operare al di fuori dei locali aziendali deve essere munito di strumenti adeguati. Per strumenti intendiamo sia i dispositivi che le reti di connessione.
In termini di dotazione tecnologica infatti quella standard per consentire il lavoro agile generalmente si compone di PC portatile o altro dispositivo, VPN, connessione, software aziendali e servizi di social collaboration.
I dispositivi tramite cui è possibile effettuare smart working dovrebbero essere aziendali.
In fase di programmazione delle future attività riteniamo dunque prioritario richiedere la debita fornitura a tutti i dipendenti dei dispositivi necessari a svolgere la prestazione.
Siamo consapevoli che, in fase emergenziale, una larga parte dei datori ha autorizzato lo smart working con l’utilizzo del proprio device personale e che le condizioni, ad oggi, potrebbero non essere mutate.
Il Bring Your Own Device (BYOD), che un tempo era avversato in azienda, è infatti diventato attualmente uno dei driver principali del lavoro agile.
Non è infatti vietato ma questo comporta la ulteriore verifica, in termini di mera sicurezza, di una serie di garanzie accessorie.
In primo luogo, sia che si tratti di device proprio che di device aziendale, devono essere fornite garanzie rispetto all’utilizzo dei dati ed al controllo della prestazione del singolo.
I dati personali devono infatti essere trattati e protetti secondo la normativa generale GDPR.
E’ necessario il richiamo all’art. 4 legge 300 per il quale è obbligatorio un accordo sindacale o una autorizzazione amministrativa ITL.
In ogni caso è d’uopo parimenti ricordare che non si possono utilizzare software in grado di monitorare l’attività lavorativa con modalità non percepibili dal lavoratore ed in modo indipendente dall’attività svolta (Garante Privacy Luglio 2016 Provv. 303).
Il datore cioè non può monitorare sistematicamente l’attività del lavoratore, pertanto è vietato il ricorso a software, webcam e le altre tecnologie digitali direttamente mirate a conoscere se lo smart worker stia lavorando oppure facendo altro.
Rimane necessaria la consegna al lavoratore di adeguata informativa che indichi, da un lato, le modalità d’uso degli strumenti e ai controlli che possono essere effettuati e, dall’altro, tutte le informazioni connesse al trattamento di dati personali previste dalla normativa vigente .
Il datore di lavoro deve spiegare poi al lavoratore sia come deve utilizzare gli strumenti assegnati, per quali fini e con quali limiti, sia in quali forme e per quali finalità potrà esercitare forme di controllo grazie a tali strumenti.
Sia che il device appartenga al datore del lavoro o al lavoratore va effettuata una valutazione di impatto.
Il Garante Privacy nel Provvedimento n. 467/2018 ha incluso nell’elenco dei trattamenti da assoggettare a DPIA ( Valutazione di impatto) i “Trattamenti effettuati nell’ambito del rapporto di
lavoro mediante sistemi tecnologici (anche con riguardo ai sistemi di videosorveglianza e di geolocalizzazione) dai quali derivi la possibilità di effettuare un controllo a distanza dell’attività dei dipendenti”.
Dovremmo dunque richiedere:
− che sia fornito il device al lavoratore;
− che sia valutata la tecnologia in uso e la sua conformità allo Statuto dei Lavoratori;
− che sia effettuata un DPIA sui trattamenti che possono generare attività di controllo per valutarne la liceità e la rispondenza ai principi di minimizzazione, proporzionalità, e progressività;
− che i lavoratori siano informati puntualmente sul funzionamento della tecnologia, su ogni possibile implementazione o modifica, sulle modalità di controllo e su obblighi in capo al datore e in capo al dipendente.
Tra gli altri aspetti è opportuno che il datore indichi in apposita policy al personale in smart working le istruzioni e le procedure in tema di trattamento e tenuta in sicurezza dei dati personali. Tali istruzioni debbono prevedere il vincolo di:
− non violare il segreto e la riservatezza delle informazioni trattate;
− proteggere i dati contro i rischi di distruzione o perdita, di accesso non autorizzato o di trattamento non consentito;
− rispettare e applicare le misure di sicurezza fisiche, informatiche, organizzative, logistiche e procedurali, di cui deve fornire indicazione specifica.
E’ evidente che tutto questo può agevolarci nella contrattazione della fornitura necessaria di dispositivi di sicurezza in caso di dispositivo non aziendale. Senza implementazione delle necessarie misure di sicurezza infatti si impedisce al dipendente di adempiere a specifici obblighi.
Se il dispositivo è personale il datore che implementi una qualche applicazione che ne permetta il controllo, deve inibirne la capacità di accesso a partizioni del dispositivo che si presume vengano utilizzate esclusivamente per scopi privati (ad es., la cartella immagini o la rubrica) ed informarne debitamente il lavoratore.
In aggiunta è necessario che si richieda al datore di lavoro di dotare il dispositivo di sistema operativo aggiornato, misure di protezione adeguate quali antivirus, antimalware, e firewall, indicando i tools ed assumendosi gli oneri di costo.
Se lo strumento è aziendale la regolamentazione, oltre agli obblighi generali di riservatezza e le misure di sicurezza della postazione, sarà probabilmente indicata una disciplina specifica di buon utilizzo che comprende le indicazioni sulla protezione del dispositivo aziendale (che in questo caso devono essere già predisposte sul dispositivo stesso).
E’ evidente che poter avere una policy chiara che informi correttamente i lavoratori sulle modalità di utilizzo dei dispositivi, chiarisce doveri e responsabilità reciproci.
Tra gli elementi di sicurezza vi sono poi le connessioni.
Di certo sarebbe indispensabile l’accesso a connessioni Wi-Fi adeguatamente protette.
Un elemento necessario è la VPN (virtual private networks), che aiuta soprattutto a mantenere privata la navigazione sul web consentendo di creare una rete privata virtuale che garantisce privacy, anonimato e sicurezza dei dati attraverso un canale di comunicazione riservato tra dispositivi.
La VPN, che è una rete protetta, deve essere fornita dal datore di lavoro.
E’ opportuno infine, oltre alla fornitura di dispositivi, chiedere che vi sia un riconoscimento dell’onere economico della connessione domestica, totale o almeno parziale, in capo al datore di lavoro. Va poi precisato che eventuali ritardi, o interruzioni di servizio indipendenti dalla volontà del lavoratore e imputabili a problemi di connessione, non influiscano sulla valutazione della performance.
Formazione
Fra le materie che devono trovare cittadinanza nelle future intese c’è sicuramente la formazione da somministrare non solo ai lavoratori interessati, ma anche ai loro responsabili e ai preposti aziendali.
Se infatti lo smart working deve determinare una modalità innovativa di spendere la propria professionalità, valorizzando autonomia e responsabilizzazione individuale e offrendo nel contempo nuove chance di costruire un più stabile equilibrio fra tempi di vita e lavoro, è necessario che i lavoratori siano dotati di tutti gli strumenti per affrontare questo cambiamento.
Anche chi ricopre funzioni intermedie e apicali, deve essere chiamato a sostituire la parola “ordine” con “delega” e la parola “comando” con “affidamento”.
Gestione e organizzazione del tempo e dello spazio di lavoro, educazione al lavoro in team anche da distanza, selezione delle attività prioritarie e di quelle secondarie, sono solo alcuni dei focus su cui dovrà essere costruita una proposta formativa ad hoc.
Altro aspetto da non trascurare e da evitare è che la mancata presenza in sede/ufficio comporti una sorta di discriminazione indiretta rispetto alla possibilità di fruire dell’offerta prevista dall’annuale piano formativo predisposto per tutti i dipendenti.
Rappresentare il lavoro agile
La remotizzazione del lavoro ha fra i suoi pericoli più concreti quello di “individualizzare” il lavoro rendendolo difficile da rappresentare sul piano collettivo.
La sola garanzia dell’estensione di tutti i diritti e delle tutele previste dal lavoro subordinato che la legge offre, non basta, ad esempio, a fare sì che tutti questi diritti possano essere pienamente esercitati a partire da quelli sindacali.
Bisogna cioè fare sì che gli “smart workers” possano partecipare alle assemblee, possano accedere alle informazioni sindacali, possano eleggere i propri rappresentanti e che il sindacato possa mantenere / creare un canale comunicativo costante con loro.
Sicuramente il fatto di prevedere come principio base una strutturale alternanza fra presenza fisica e lavoro da remoto può risolvere parte di questa problematica, ma è anche opportuno negoziare agibilità e strumenti/spazi virtuali che consentano di coinvolgere e raggiungere queste lavoratrici e questi lavoratori a distanza.
Bacheche sindacali on line, dotate di un sistema di notifica che avvisa via mail i lavoratori ogniqualvolta ne vengono aggiornati i contenuti, piattaforme per effettuare assemblee e consultazioni, sono solo alcune delle innovazioni che, anche facendo tesoro di quanto giocoforza sperimentato durante il lockdown, dovrebbero entrare nelle nostre rivendicazioni oltre che nel nostro uso.
Rischi e Opportunità
Da queste linee di indirizzo dovrebbe emergere chiaramente che lo smart working va interpretato come uno strumento neutro che può assumere valenza positiva e negativa a seconda dell’utilizzo che se ne fa.
E’ ormai abbastanza consolidata la convinzione che non siamo di fronte ad un passaggio transitorio, a una “moda del momento”, bensì ad un elemento destinato a divenire organico ad un nuovo modello di organizzazione del lavoro che potrebbe assumere caratteri di strutturalità nella confusa e per certi versi caotica stagione di trasformazioni che ci apprestiamo a vivere e che dobbiamo governare anche attraverso la nostra pratica negoziale.
Corso d’Italia, 25 – 00000 Xxxx Affiliata alla Confederazione
Telefono 06/8476372 Europea dei Sindacati (CES)
xxxx://xxx.xxxx.xx e alla Confederazione Internazionale
dei Sindacati (ITUC)