Obbligazioni
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RECENSIONI E PRESENTAZIONI
Allegazione e prova nelle eccezioni ex art. 1227 c.c. e in presenza di clausola di irresolubilità per inadempimento*
Xxxxxxxxx Xxxxxxx**
Sommario: 1. Metodo dogmatico e metodo casistico nello studio del diritto dei contratti. – 2. Due temi letti sotto la lente del regime probatorio: l’art. 1227 c.c. e la clausola di irresolubilità. – 3. L’art. 1227 c.c.: la fattispecie o le fattispecie? – 4. Oneri di allegazione e oneri di prova. – 5. Per una revisione critica della distinzione tra mera difesa ed eccezione in senso stretto. – 6. Evento dannoso iniziale, conseguenze dannose ulteriori e sfere soggettive dei contraenti. – 7. Onere di allegazione e prova in presenza di clausola di irresolubilità per inadempimento.
1. Metodo dogmatico e metodo casistico nello studio del diritto dei contratti.
Da tempo il pendolo, nel metodo di studio del con- tratto, si è volto dalla dogmatica (1) a quello casisti- co: il libro di Sacco sul contratto (2), concepito negli anni 70 del secolo scorso, ne preconizzava il corso, in scia della avanguardia aperta da Xxxx Xxxxx con l’ope- ra, con lo stesso titolo, del 1955 (3).
La fascinazione più recente enfatizza lo studio dei “ri- medi”, piuttosto che dei diritti, in una mimesi, talvol- ta ingenua, dell’approccio di common law, anche se spesso dimentica che la nostra tradizione romanistica affonda le sue radici nelle legis actiones e poi nelle formulae del Praetor, che altro non erano che i no- velli ed anglofoni remedies (taluni, in common law e, altri, apprestati dall’equity).
L’attenzione al dato operativo del diritto (e qui parlia- mo più in dettaglio del diritto civile, e in particolare del diritto dei contratti) è benefica, assottiglia la diver- genza tra “accademia” (se ne esiste ancora una: Sac- co distingueva tra esponenti dell’“accademia” e meri
* Il presente scritto, con l’aggiunta dell’apparato critico, riproduce la relazione svolta al Convegno La prova nella responsabilità da inadempimento, di presentazione del volume Il regime probato- rio nel giudizio sulla responsabilità da inadempimento, a cura di Xxxxxxxx Xxxxxxxx, tenutosi il 17 maggio 2022 nell’aula Nievo dell’Università di Padova.
** Professore ordinario di Diritto privato, Università Statale di Mi- lano, xxxxxxxxx.xxxxxxx@xxxxx.xx.
(1) Ovvero dommatica, con lezione che ne sottintende una criti- ca di metodo.
(2) SACCO, Il contratto, in Tratt. dir. civ. it. Vassalli, Utet, 1975.
(3) GORLA, Il contratto. Corso di diritto privato svolto secondo il metodo comparativo e casistico, Xxxxxxx, 1955.
“epitomatori”) e xxxxxx, promuove il dialogo tra stu- diosi e pratici, impone la necessaria attenzione al dato diacronico del diritto, nella dialettica del processo.
Ecco, dunque, che ciò che appariva inverosimile negli anni ’80 del secolo scorso, diventa ora realtà: il civilista abbandona lo sguardo statico agli istituti e si occupa e ricostruisce i medesimi nella dialettica del processo e dunque anche movendo dalla ripartizione del rischio della prova: ne è testimonianza il libro che oggi presen- tiamo, curato ed ideato da Xxxxxxxx Xxxxxxxx.
2. Due temi letti sotto la lente del regime probatorio: l’art. 1227 c.c. e la clausola di irresolubilità.
Due temi affronterò quanto al regime probatorio, nell’ambito della responsabilità contrattuale: uno muovendo da una fattispecie codificata, l’altro – an- che se non annunciato quando è stato stilato il pro- gramma della nostra giornata di festeggiamento
– frutto della autonomia privata e perché ritengo di esser debitore di alcuni cenni su di esso, avendolo col- tivato in passato sotto il profilo sostanziale.
Il primo, dunque: quello del regime probatorio nelle fattispecie di concorso del creditore di cui all’art. 1227 c.c.; il secondo: quello del regime probatorio in pre- senza di clausola di irresolubilità per inadempimento, in deroga all’art. 1453 c.c.
3. L’art. 1227 c.c.: la fattispecie o le fattispecie?
È massima ripetuta, nella giurisprudenza di legittimi- tà, quella che contrappone in distinte ed opposte fat- tispecie i due commi dell’art. 1227 c.c., con importanti conseguenze quanto a presupposti, strategia proces- suale e disciplina:
«In tema di risarcimento del danno, l’ipotesi del fatto colposo del creditore che abbia concorso al verificarsi dell’evento dannoso (di cui al primo comma dell’art. 1227 c.c.) va distinta da quella (disciplinata dal secon- do comma della medesima norma) riferibile ad un contegno dello stesso danneggiato che abbia prodot- to il solo aggravamento del danno senza contribui- re alla sua causazione, giacché – mentre nel primo caso il giudice deve procedere d’ufficio all’indagine in ordine al concorso di colpa del danneggiato, sempre che risultino prospettati gli elementi di fatto dai quali sia ricavabile la colpa concorrente, sul piano causa- le, dello stesso – la seconda di tali situazioni forma oggetto di un’eccezione in senso stretto, in quanto il dedotto comportamento del creditore costituisce un autonomo dovere giuridico, posto a suo carico dalla legge quale espressione dell’obbligo di comportarsi secondo buona fede» (Xxxx., ord. 19 luglio 2018, n. 19218; in precedenza, ex multis, nel medesimo senso, Cass., 25 maggio 2010, n. 12714) (enfasi aggiunta).
Il pratico si sofferma sui corollari processuali di tale prospettato duplice e differenziato inquadramento di fattispecie: quella descritta dal primo comma della norma è eccezione in senso lato, cioè è mera difesa e come tale può essere sollevata in tutto il corso del giudizio (anche in appello) e rilevata d’ufficio; quel- la prevista dal secondo comma è eccezione in senso stretto, soggetta alle preclusioni relative alle ecce- zioni: in buona sostanza, deve essere formulata nella comparsa di costituzione (art. 167, comma 2, c.p.c.) o, al più tardi, nella prima memoria istruttoria ex art. 183, comma 6, c.p.c. (se si ritiene rientrare tra le “precisazioni e modificazioni” ivi consentite), né è
sprudenza di merito, si indica quale termine ultimo di decadenza anche per le allegazioni – la c.d. attività assertiva della parte – la medesima prima memoria istruttoria xx xxx. 000, xxxxx 0, x.x.x. xxx xxxxxxx che, ancorché le allegazioni non siano menzionate in tale norma, esse sono il retroterra necessario per le do- mande, eccezioni e conclusioni, ivi contemplate; la giurisprudenza di legittimità, quanto ai c.d. fatti se- condari, dedotti per dimostrare quelli principali, è più liberale e sposta la preclusione al secondo termine istruttorio (ex art. 183, comma 6, n. 2, c.p.c.) (4).
La distinzione tra allegazione e prova si è caricata di ulteriore rilievo pratico con la novella (del 2009) dell’art. 115 c.p.c., perché anche la (mera) allegazione può portare all’assolvimento de facto dell’onere della prova, qualora non vi sia specifica contestazione della controparte. Il che apre alla considerazione, che non ho trovato ancora enunciata ex professo in giurispru- denza, che l’art. 115 cit. pone un onere di contestazio- ne tempestiva e specifica solo quanto ad allegazioni in fatto, ma non certo delle tesi difensive – talvolta le più balzane – prospettate dalla controparte, che non vengono certo convalidate e date per ammesse per ciò solo che non vengano tempestivamente confutate (5)! Sotto il profilo dell’onere di allegazione, allora, la di- stinzione operativa tra i due commi dell’art. 1227 c.c. scolora, perché il principio dispositivo che regge il giudizio civile (artt. 112 e 115 c.p.c.) impone al debi- tore che intende invocare l’art. 1227 c.c., sia quanto al primo, sia quanto al secondo comma, di allegare i fatti su cui fonda le proprie prospettazioni giuridiche: sic- ché, anche fermandosi alla distinzione giurispruden-
rilevabile d’ufficio o proponibile in appello (art. 345,
comma 2, c.p.c.).
Si tratta di una esegesi della norma da cui, con meto- do dogmatico (qualificazione della fattispecie tramite la sua classificazione nelle tradizionali categorie giu- ridiche, anche processualistiche – eccezione in sen- so lato o in senso tecnico), si fanno conseguire effetti pratici dirompenti, nel processo.
Per tale motivo meritano di essere maggiormente analizzati sia la ricostruzione della o delle fattispecie, sia gli oneri a carico di attore e convenuto sul piano processuale (contraente fedele/danneggiato ed ina- dempiente su quello sostanziale).
4. Oneri di allegazione e oneri di prova.
In primo luogo, non sempre si riflette e si distingue tra allegazione e prova, anche se ormai di recente la consapevolezza della distinzione tra le due attivi- tà processuali è aumentata; talvolta, anche in giuri-
(4) Cass., 6 maggio 2020, n. 8525, in DeJure, secondo cui «in tema di preclusioni processuali, occorre distinguere tra fatti prin- cipali, posti a fondamento della domanda, e fatti secondari, de- dotti per dimostrare i primi, l’allegazione dei quali non è soggetta alle preclusioni dettate per i fatti principali, ma trova il suo ultimo termine preclusivo in quello eventualmente concesso ex art. 183, comma 6, n. 2, c.p.c., anche se richiesto ai soli fini dell’indicazione dei mezzi di prova o delle produzioni documentali». Nella dottrina processualistica più recente, una posizione assai liberale, e condi- visibile, sui termini preclusivi delle allegazioni si legge nella rela- zione di Xxxxxxxx Xxxxxxxx tenuta al XXXII Convegno di Messina, del settembre 2019, dell’Associazione Italiana fra gli Studiosi del Processo Civile (GIU. MICCOLIS, L’accertamento dei fatti nel proces- so di primo e secondo grado, pubblicata in xxx.xxxxxxxx.xx, 27 settembre 2019).
(5) La distinzione tra allegazione (o alligazione) e difesa è nozio- ne di teoria generale: «L’alligazione si riferisce immediatamente ai fatti […] la difesa, invece si riferisce più propriamente alla inter- pretazione e applicazione delle norme di diritto […]» (PUGLIATTI, voce Eccezione (teorie generale), in Enc. dir., XIV, Xxxxxxx, 1965, 156).
ziale soprariportata dei due commi dell’art. 1227 c.c., che consente al giudice il rilievo d’ufficio del solo con- corso di cui al primo comma dell’art. 1227 c.c., il debi- tore dovrà comunque aver assolto al proprio onere di allegazione, per potersi giovare di tale rilievo d’ufficio. Infine, va considerato che, assolto all’onere di allega- zione (o di formulazione di rituale eccezione, se di ciò si tratta) al più tardi entro il primo termine istruttorio dell’art. 183 c.p.c., la prova potrà essere proposta o offerta documentalmente nel successivo termine ex art. 183, comma 6, n. 2, c.p.c. (e finanche nel terzo termine, se si tratti di «prova contraria»).
Ritorna, dunque, prepotente la dialettica del processo e il rinnovato interesse per i rimedi, mostrato dalla civilistica attuale, rende ormai superati l’antico sus- siego e l’altezzosa superiorità con cui alcuno della generazione dei nostri Xxxxxxx, in passato, guardava ai colleghi… che osavano coniugare all’insegnamento universitario l’attività professionale in giudizio.
5. Per una revisione critica della distinzione tra mera difesa ed eccezione in senso stretto.
La distinzione – praticata dalla massima giurispru- denziale ricordata in apertura – tra mera difesa (com- ma 1, art. 1227) ed eccezione in senso stretto (comma 2, stessa norma) è tranquillizzante, ma semplificato- ria, perché affida alla avvenuta proposizione, o non, di una eccezione formale, la possibilità per il giudice di pronunciarsi (anche) sul secondo comma dell’art. 1227 c.c. (6).
A ben vedere, poi, neppure la giurisprudenza è tetra- gona e monolitica nel mantenevi fede.
Una posizione più complessa ed articolata, che distin- gue tra potere di allegazione e opere di rilevazione, è infatti espressa da Xxxx., sez. un., 3 febbraio 1998,
(6) Secondo Xxxx., sez. un., 27 luglio 2005, n. 15661: «il giudice non può rilevare d’ufficio i fatti impeditivi, estintivi e modificati- vi del diritto vantato dall’attore ogniqualvolta il convenuto, se li deducesse in via di azione, dovrebbe proporre una domanda co- stitutiva. Il giudice può rilevare d’ufficio i fatti impeditivi, estintivi e modificativi del diritto vantato dall’attore ogniqualvolta il con- venuto, che li deducesse in via di azione, proporrebbe domanda dichiarativa». Tale criterio ha il pregio di incrementare la certezza e prevedibilità della decisione, come osservato da E.F. XXXXX, Xxx poteri ufficiosi del giudice in tema di interruzione della prescri- zione e di riduzione della penale, in Riv. dir. proc., 2006, 729. Nel nostro caso, tale criterio porterebbe alle conseguenze qui caldeg- giate, della rilevabilità d’ufficio anche di fatti rientranti nel secon- do comma dell’art. 1227 c.c., se si ritiene che anche in tale ipotesi si tratti di determinare l’estensione del danno risarcibile, perché anche in tale caso il convenuto, se agisse in via di azione, chiede- rebbe un accertamento (riduttivo) della estensione dei danni a sé imputabili e non già una pronuncia costitutiva.
n. 1099 (in tema di contratto di lavoro), secondo cui:
«In relazione all’opzione difensiva del convenuto con- sistente nel contrapporre alla pretesa attorea fatti ai quali la legge attribuisce autonoma idoneità modifi- cativa, impeditiva o estintiva degli effetti del rapporto sul quale la predetta pretesa si fonda, occorre distin- guere il potere di allegazione da quello di rilevazione, posto che il primo compete esclusivamente alla parte e va esercitato nei tempi e nei modi previsti dal rito in concreto applicabile (pertanto sempre soggiacendo alle relative preclusioni e decadenze), mentre il se- condo compete alla parte (e soggiace perciò alle pre- clusioni previste per le attività di parte) solo nei casi in cui la manifestazione della volontà della parte sia strutturalmente prevista quale elemento integrativo della fattispecie difensiva (come nel caso di eccezioni corrispondenti alla titolarità di un’azione costitutiva), ovvero quando singole disposizioni espressamente prevedano come indispensabile l’iniziativa di parte, dovendosi in ogni altro caso ritenere la rilevabilità d’ufficio dei fatti modificativi, impeditivi o estintivi risultanti dal materiale probatorio legittimamente acquisito, senza che, peraltro, ciò comporti un supe- ramento del divieto di scienza privata del giudice o delle preclusioni e decadenze previste, atteso che il generale potere-dovere di rilievo d’ufficio delle ecce- zioni facente capo al giudice si traduce solo nell’attri- buzione di rilevanza, ai fini della decisione di meri- to, a determinati fatti, sempre che la richiesta della parte in tal senso non sia strutturalmente necessaria o espressamente prevista, essendo però in entrambi i casi necessario che i predetti fatti modificativi, im- peditivi o estintivi risultino legittimamente acquisiti al processo e provati alla stregua della specifica di- sciplina processuale in concreto applicabile» (enfasi aggiunta) (7).
Non stupisce che tale sentenza sia relativa alla re- sponsabilità contrattuale derivante dal contratto di lavoro, perché è in tale settore che si è affermato il principio giurisprudenziale dell’aliunde perceptum vel percipiendum (poi generalizzato in quello della
c.d. compensatio lucri cum damno), regola pretoria
(7) La decisione pare in sintonia con quella pur risalente dot- trina processualcivilistica secondo cui il riferimento, che si legge nell’art. 112 c.p.c., alle “eccezioni che possono essere proposte soltanto dalle parti” sarebbe nel senso della necessità di espressa riserva per limitare alle parti tale legittimazione, con possibilità negli altri casi, per converso, di rilievo d’ufficio (così X. XXXXXX, La pronuncia d’ufficio, Xxxxxxx, 1967, 315; ID., Dei poteri del giudice, in Comm. c.p.c. Xxxxxxx, I, Utet, 1973, 1272). Nel medesimo senso, nella dottrina civilistica, C.M. BIANCA, Diritto civile, 5, La respon- sabilità, 3ª ed., Xxxxxxx, 2021, 158.
connessa e rientrante nella più ampia formulazione dell’art. 1227, comma 2, e ciononostante ritenuta rile- vabile d’ufficio dalle Sezioni Unite, a fronte di un av- venuto esercizio dell’attività asseriva di allegazione, ovvero della acquisizione al processo del materiale probatorio sui fatti fondativi della difesa.
Abbiamo allora qui un caso in cui la parte speciale del diritto dei contratti – nel nostro caso il contratto di lavoro, oggetto da tempo di un sottosistema specia- listico – viene in soccorso e a migliore intellegibilità della parte generale sul contratto (o sulle obbligazio- ni: il nostro art. 1227 c.c.), confermando la lettura an- titetica a quella di Messineo, suggerita in passato da De Nova (8).
Ancora, sull’espresso richiamo di tale decisione a Se- zioni unite, si è posta, più di recente, Cass., 14 febbra- io 2001 n. 2154, decidendo che: «In tema di azione per il risarcimento del danno, stabilire se i danni la- mentati da chi ne domanda il risarcimento siano stati tutti e solo conseguenza della condotta altrui o non potessero essere evitati dal danneggiato, in tutto o in parte, costituisce per il giudice esercizio del suo po- tere di decidere sulla domanda secondo diritto e non richiede un’eccezione del convenuto (S.U. 3 febbraio 1998 n. 1099)» (enfasi aggiunta).
Il caso deciso muoveva dalla responsabilità precon- trattuale ex art. 1337 c.c. e aveva ad oggetto l’onere per il danneggiato, che aveva visto sfumare la conclu- sione del contratto ad opera del danneggiante, di li- mitare il danno provvedendo a ricercare un contratto di rimpiazzo rispetto a quello non concluso.
La sentenza è di importanza per il nostro tema perché accomuna, nel regime del rilievo giudiziario, il primo ed il secondo comma dell’art. 1227 c.c. E non impor- ta che le norme sostanziali invocate dal danneggiato fossero sia l’art. 1337 sia l’art. 2056 c.c., perché il ri- chiamo fu fatto evidentemente per tuziorismo, ade- rendo alla vecchia tesi che l’art. 1337 c.c. configuri una responsabilità aquiliana, mentre oggi un condivisibile e più meditato approccio considera configurabile una responsabilità precontrattuale anche a contratto con- cluso: dunque, il precedente qui in questione non può considerarsi estraneo al capitolo anche della respon- sabilità contrattuale.
6. Evento dannoso iniziale, conseguenze dannose ulteriori e sfere soggettive dei contraenti.
La dottrina che più di recente – e scevra da ogni apri- oristica impostazione dogmatica – ha rimeditato la responsabilità contrattuale alla luce dei rimedi con- cessi al contraente fedele, ha sottolineato che il primo comma dell’art. 1227 c.c. si riferisce all’«evento dan- noso inziale», mentre il secondo comma guarda alle
«conseguenze dannose ulteriori», sicché quest’ultimo
«s’inquadra tra le regole dettate per determinare la misura del danno risarcibile: essa ci dice, in sostanza, che la conseguenza dannosa evitabile non è un danno in senso giuridico» (9).
Per vero, può essere arbitrario o talvolta ontologica- mente difficile distinguere tra “evento dannoso ini- ziale” (1° comma) e “conseguenze dannose ulteriori” (2° comma): ciò quantomeno tutte le volte che la serie causale messa in moto dalla condotta di inadempi- mento si presenta come un continuum.
Assegnare un diverso contenuto descrittivo alle due ipotesi prospettate dall’art. 1227 cit. può allora risul- tare più agevole se si ragiona sul piano qualitativo e giuridico dei due commi: se si rileva, cioè, che l’appli- cazione del secondo comma della norma, a differenza del primo, impone di identificare, in capo al danneg- giato, un dovere giuridico di agire (in concreto ina- dempiuto).
In altre parole, mentre il primo comma dell’art. 1227
x.x. xxxxx xxx xxxxx xxx xxxxx xx xxxxxxxxx, xxxx xx di un giudizio fattuale – prevedendo una deroga alla generale irrilevanza delle concause predicata, per il diritto penale, dal primo comma dell’art. 41 c.p. (10), mentre la norma civilistica assegna rilievo li- mitante del risarcimento alle concause costituite da “condotte colpose del creditore” –, il secondo com- ma dell’art. 1227 c.c. introduce un giudizio ipotetico, volto a respingere dall’area del danno risarcibile, tali “conseguenze dannose ulteriori” a condizione che si rinvenga – di fronte all’inerzia del creditore – un suo positivo obbligo di attivarsi.
E la principale ragione di politica del diritto del se- condo comma è rinvenibile nella condivisibile consi- derazione che «per lo più, solo il creditore ha la pos-
(8) DE NOVA, Sul rapporto tra disciplina generale dei contratti e disciplina dei singoli contratti, in Contr. e impr., 1988, 327 ss.
(9) X. XXXXXXXXX, Il contratto: inadempimento e rimedi, Xxxxxxx, 2010, 197 s.
(10) Secondo cui: «Il concorso di cause preesistenti o simultanee o sopravvenute, anche se indipendenti dall’azione od omissione del colpevole, non esclude il rapporto di causalità fra l’azione od omissione e l’evento».
sibilità di fermare gli sviluppi dannosi, poiché questi normalmente si verificano all’interno della sua sfera, alla quale il debitore inadempiente non ha, o non ha più, accesso» (11).
Anche qui, lo sguardo alla parte generale del diritto penale – suggerita da un principio generale di unita- rietà dell’ordinamento giuridico – può essere chiari- ficatore, perché il codice penale si pone ed enuncia con maggiore evidenza il problema di selezionare, di fronte alle varie condotte di inerzia – le c.d. “inazioni”
– quelle che siano rilevanti per il diritto.
L’art. 40, comma 2, c.p. prevede, come è noto, che
«non impedire un evento, che si ha l’obbligo giuridico di impedire, equivale a cagionarlo». Da tale formula- zione origina il lavorio della dottrina penalistica nel trovare un criterio di selezione di tali “obblighi giuri- dici” capaci di equiparare la “inazione” all’azione pe- nalmente rilevante: dalla teoria del “trifoglio”, quanto alla genesi dell’obbligo di agire (12), alla distinzione funzionale delle posizioni di garanzia, che le distingue a seconda che siano volte (i) alla protezione di speci- fici beni giuridici, (ii) al controllo di fonti di pericolo,
(iii) all’impedimento di altrui illeciti (13).
Nel campo del diritto civile patrimoniale, la ricerca della fonte di tale obbligo di agire, rilevante ex art. 1227, comma 2, c.c., involge minore cautela, data la minor importanza dei beni incisi (denaro e non già libertà personale): è dunque comprensibile che la giurisprudenza possa fare semplice rinvio al canone di buona fede (14) (clausola generale che certo non potrebbe essere invocata a tal fine in campo penalisti- co, informato ai principi di tassatività e tipicità della fattispecie di reato).
Tornando dunque al diritto dei contratti, possiamo ora fissare alcuni punti e frammenti di disciplina della fattispecie dell’art. 1227, comma 2, c.c.:
i) come si è condivisibilmente rilevato, «il presuppo- sto per l’applicabilità del secondo comma [dell’art. 1227] è che il creditore si sia reso conto dell’inadem- pimento: solo a questa condizione si può considerare iniziata la seconda fase, che è sotto il suo controllo così da giustificare che la sopportazione di ulteriori
sviluppi dannosi, evitabili con l’ordinaria diligenza, sia posta interamente a suo carico» (enfasi aggiunta) (15);
ii) a tale situazione sarà equiparata la preventiva di- chiarazione di non volere adempiere da parte del de- bitore (16) o la consapevolezza, in capo al creditore, della impotenza del debitore ad adempiere;
iii) anche nel diritto civile patrimoniale potranno poi operare – come avviene per le esimenti espressamen- te previste nel codice penale – cause di giustificazio- ne, seppur nel codice civile non enunciate esplicita- mente e con sistematicità: la norma (art. 1453 c.c.) che concede la scelta tra risoluzione e manutenzione contrattuale, addirittura con una limitata mutatio li- belli (comma 2), ne è un esempio (17) e al contraen- te fedele danneggiato non si potrà imputare, ex art. 1227, comma 2, c.c., il fatto che se avesse optato per il rimedio processuale in concreto non esperito (18) avrebbe ridotto il danno;
iv) l’onere del debitore di attivarsi non potrà avere ad oggetto attività straordinarie, sia in relazione ai pro- pri mezzi ed all’operazione economica concreta, sia alla qualità dei valori ed interessi in gioco (ad esem- pio, se il potenziale intervento limitativo del danno possa incidere sulla incolumità o integrità personali: e ciò in tal caso a prescindere da ogni valutazione eco- nomica del danno economico evitando e dei costi per evitarlo);
v) l’onere del creditore sarà adempiuto – e questi avrà diritto al rimborso delle relative spese – con il com- pimento della condotta che, ex ante, appaia ragione- volmente idonea ad evitare le “conseguenze dannose ulteriori” anche se, ex post, il risultato sperato non sia stato raggiunto: ciò che mi pare possa dirsi argomen- tando dalla medesima regola prevista per la negotio- rum gestio (art. 2031, comma 1, c.c.).
Ecco allora che le ipotesi previste nei due commi dell’art. 1227 c.c. non paiono differenziabili qualifi- cando la prima quale “mera difesa processuale” e la seconda come “eccezione in senso tecnico”.
La distinzione è, invece, di tipo qualitativo: da un lato, il primo comma è relativo al nesso di causalità e – in deroga all’art. 41, comma 1, c.p., come detto sopra –
(11) X. XXXXXXXXX, op. cit., 201.
(12) La c.d. teoria del “trifoglio”: legge, contratto, fare pericoloso precedente (cfr. ANTOLISEI, L’obbligo di impedire l’evento, in Scritti di diritto penale, Xxxxxxx, 1955, 311).
(13) Per la considerazione delle prime due categorie, FIANDACA, Il reato commissivo mediante omissione, Xxxxxxx, 1979, che si rifà ad
X. Xxxxxxxx; autonomo rilievo alla terza categoria in X. XXXXXX, Il reato omissivo improprio, Xxxxxxx, 1983, 293.
(14) Da ultimo Cass., ord. 19 luglio 2018, n. 19218, cit.
(15) X. XXXXXXXXX, op. cit., 198.
(16) Cfr. art. 1219, comma 2, n. 2, c.c.
(17) Così, sostanzialmente, X. XXXXXXXXX, op. cit., 200.
(18) Se avesse agito in manutenzione anziché in risoluzione, o vi- ceversa (ad es. perché l’aver agito per l’esecuzione ha escluso che ricercasse un contratto sostitutivo, come avrebbe fatto se avesse chiesto in giudizio la risoluzione).
dà rilievo mitigante del danno alle concause riferibi- li al fatto colposo del creditore; dall’altro, il secondo comma impone di ricostruire un obbligo di azione del creditore che valga a dar rilievo alle sue omissioni.
È pertanto il thema probandum et alligandum a va- riare ed essere più ampio nel secondo comma: il dan- neggiante dovrà provare «la sussistenza dello speci- fico dovere del danneggiato di evitare il danno: ciò attraverso la prova delle circostanze che consentivano e reclamavano l’intervento di tale soggetto. Occorre inoltre che provi la certa o probabile utile incidenza che l’intervento avrebbe avuto nel senso di limitare la produzione del danno» (19).
La giurisprudenza, che parla di obbligo piuttosto che di onere, lo riferisce, come si è detto, al canone di buo- na fede (più volte evocato dal codice nel diritto dei contratti e delle obbligazioni: artt. 1175, 1366 e 1375 c.c.) e, in un’epoca che da qualche tempo vede ormai con favore le clausole generali (20), ciò significa as- senza di dubbi sul fondamento dell’obbligo e discre- zionalità del giudice nella ricostruzione della regola di condotta che il canone oggettivo di buona fede impo- ne nel caso concreto.
Xxxx, allora, che se l’impiego di una clausola genera- le – la buona fede – potrà rendere meno “calcolabi- le” la decisione, tuttavia il pratico potrà consolarsi, perché il superamento della dicotomia “mera difesa” (comma 1) – “eccezione” (comma 2) potrà quantome- no portare ad una semplificazione della invocazione dell’art. 1227 c.c.
Seguendo quella giurisprudenza che svaluta la di- stinzione e di cui si è dato conto supra, e accogliendo spunti che da tempo parte della dottrina aveva pro- spettato (21), il giudice, anche nel caso del secondo
comma dell’art. 1227 c.c. potrà dunque rilevare d’uffi- cio l’esistenza dei costituenti della fattispecie, purché essi siano stati allegati tempestivamente dalla parte, ovvero siano acquisiti al materiale probatorio della causa.
Si può allora concludere, come si è di recente scritto, che «non vi è ragione, in relazione a questo problema, di distinguere fra le ipotesi previste dal primo e dal secondo comma dell’articolo 1227 cod. civ. (come in- vece si è incomprensibilmente ritenuto in giurispru- denza)» (22).
7. Onere di allegazione e prova in presenza di clausola di irresolubilità per inadempimento.
E veniamo ad alcune notazioni sul regime probatorio in presenza di clausola di irresolubilità per inadem- pimento.
Nella tesi di dottorato concluso nel 1993 prospettavo
– contro l’opinione tradizionale, pur sinteticamente espressa anche da Xxxxxxx Xxxxx – la validità della deroga pattizia all’art. 1453 c.c., che limitasse o esclu- desse il rimedio risolutorio per inadempimento, pur- ché il sinallagma contrattuale restasse salvaguardato dalle azioni di manutenzione e di risarcimento e nei limiti indicati dal diritto positivo con l’art. 1229 c.c., rientrando anche l’azione di risoluzione nel lemma “responsabilità”, impiegato in quest’ultima norma.
A taluno della commissione di dottorato l’argomento indagato con la tesi non parve, all’epoca, di immedia- to rilevo pratico – malgrado la prassi dei contratti di project financing, o di engineering, sollecitasse, già in allora, tale esercizio dell’autonomia privata –; altri, pur autorevolmente, aveva sostenuto ed ha ribadito la tesi dell’estraneità dell’art. 1229 c.c. rispetto al pro- blema (23).
(19) C.M. XXXXXX, Dell’inadempimento delle obbligazioni, in Comm. c.c. Scialoja e Branca, 2ª ed., Zanichelli-Il Foro italiano, 1979, 449.
(20) Sul punto, mi permetto di rinviare a DELFINI, Causa ed auto- nomia privata nella giurisprudenza di legittimità e di merito: dai contratti di viaggio ai derivati sul rischio di credito, in Studi in onore di Xxxxxxx Xx Xxxx, II, Xxxxxxx, 2015, 977 ss.
(21) XXXXXXXXX, op. cit., 156: «Intesa l’alligazione come comporta- mento relativo alla quaestio facti, si può parlare di onere in senso tecnico in ordine al processo civile. […] All’onere dell’alligazione di codesti fatti si collega l’onere della prova. Tuttavia si deve te- ner presente che, ove tali fatti, anche non alligati e non provati dalla parte che vi ha interesse, risultino acquisiti al processo (per esempio per ammissione della controparte o dai documenti da essa prodotti), il giudice ne deve tener conto, sempre che non vi sia espressa limitazione del suo potere di iniziativa e accertamento di ufficio»; C.M. XXXXXX, ult. op. cit., 449: «Come fatto modifica- tivo della pretesa avanzata in giudizio, la violazione del dovere di intervento del danneggiato può essere rilevata anche d’ufficio, se
l’esistenza di tale fatto risulti acquisita agli atti del processo. La soluzione si giustifica nella mancanza di dati normativi che depon- gono per la qualificazione del fatto come riservato alle eccezioni di parte». Più di recente X. XXXXXXXXX, op. cit., 202: «L’onere di provare il concorso del fatto colposo del creditore incombe sul debitore inadempiente. In ogni caso, però, se il fatto colposo del creditore risulta in causa dagli elementi ritualmente acquisiti, il giudice o l’arbitro può e deve tenerne conto d’ufficio: la questione non è infatti oggetto di eccezione in senso proprio, la quale è rav- visabile solo quando si tratti di una contropretesa, o di eccezione corrispondente all’esercizio di un diritto potestativo, o quando sia così disposto espressamente dalla legge» (enfasi aggiunta).
(22) X. XXXXXXXXX, op. cit., 202, nt. 114.
(23) CARNEVALI, La risoluzione per inadempimento, in Comm.
c.c. Scialoja e Branca, a cura di Xxxxxxx, Della risoluzione per inadempimento, I.1, Zanichelli - Il Foro Italiano, 1990, 110; più di recente, CARNEVALI, La risoluzione, in Tratt. dir. priv. Bessone, XIII, Il contratto in generale, VIII, La risoluzione, Xxxxxxxxxxxx,
Oggi, a quasi trent’anni di distanza, è stata confer- mata la lungimiranza di Xxxxxxx Xx Xxxx, mio tutor nel dottorato diretto da Xxxxx, che nei primi anni ’90 mi aveva affidato tale tema, perché l’esigenza pratica sottostante alla clausola è indiscutibilmente attestata dalla attuale ricorrenza, nella contrattazione d’impre- sa, di clausole come quella di exclusive o sole remedy che, appunto, limitano o escludono la risolubilità per inadempimento del contratto.
Si potrà discutere, poi, se il limite soggettivo su cui gioca l’art. 1229 c.c. rechi una disciplina efficiente e idonea per la clausola di irresolubilità, ma si deve tut- tavia avere consapevolezza che ciò costituisce l’impre- scindibile dato normativo domestico, da applicare. E il ruolo dell’art. 1229 c.c., nel nostro patto, è stato puntualmente confermato dalla (scarna) giurispru- denza sul punto: Cass., 9 maggio 2012, n. 7054 (24), seppur con obiter dictum, ha appunto indicato l’art. 1229 c.c. quale limite alla validità del patto di irreso- lubilità.
La ammissibilità del patto di irresolubilità è oggi non solo presupposta dai pratici, nella redazione dei con- tratti di impresa, ma è da tempo stata avallata dal- la dottrina, a cominciare dallo stesso Xxxxxxx Xxxxx: nella terza edizione del Contratto, del 2004, avvertiva che «l’attuale edizione della presente opera segna un mutamento rispetto alle edizioni precedenti, orienta- te all’indisponibilità del rimedio» (25), onorandomi per essere stato la genesi, con la monografia che se- guiva la tesi di dottorato (26), di tale ripensamento. Ed anche la stessa dottrina che guarda al notariato, ceto tradizionalmente custode della ortodossia giuri- dica, se ne occupa, muovendo dalla validità ed am- missibilità del patto (27).
Xxxx può dirsi dunque qui, in chiusura, quanto all’o- nere della prova ed allegazione, in presenza di tale clausola?
2011, 28. Per una ricognizione della dottrina più recente, SICCHIE- RO, La risoluzione per inadempimento, in Comm. c.c. Xxxxxxxxxxx, diretto da Xxxxxxxx, Xxxxxxx, 2007, 391 ss. e, da ultimo, XXXXXXX, Sulla validità di una clausola di irresolubilità del contratto per inadempimento, in Nuova giur. civ. comm., 2013, II, 536 ss.
(24) Cass., 9 maggio 2012, n. 7054, in DeJure, in Guida dir., 2012, 32, 79 (massima) e in Xxxx.xx., 2012, 2255, con nota critica di SIC-
CHIERO.
(25) SACCO, in ID. e DE NOVA, Il contratto, II, in Tratt. dir. civ. Sac- co, 3ª ed., Utet, 2004, 617, nt. 3
(26) XXXXXXX, I patti sulla risoluzione per inadempimento, Xxxxxx-Xxxxx, 0000, richiamata come «riflessione esaustiva sul tema» da SACCO, op. ult. cit., 617, nt. 4
(27) Cfr. l’articolato ed analitico studio n. 160 – 202 C del Consi- glio Nazionale del Notariato, ad opera di XXXXXX.
Mi pare possano fissarsi i seguenti sintetici punti, nel- la dialettica processuale.
L’attore in risoluzione allegherà l’inadempimento del convenuto; questi, verosimilmente, si professerà adempiente ma, in via subordinata, eccepirà l’esisten- za della clausola di irresolubilità.
La clausola potrebbe menzionare esplicitamente gli inadempimenti non dovuti a colpa grave o dolo (nel rispetto dei limiti di cui all’art. 1229 c.c.); a tale ipotesi potrebbe accostarsi anche quella in cui la clausola non connoti soggettivamente l’inadempimento e tuttavia, per l’operare del principio ermeneutico di conserva- zione del contratto (art. 1367 c.c.) debba interpretarsi come relativa ai soli inadempimenti colposi.
Eccepita dal convenuto l’irresolubilità convenziona- le del contratto, per la presenza della clausola, mi pare stia al contraente fedele, attore in risoluzione, di dover allegare e provare che la clausola non opera perché l’inadempimento contestato deve qualificarsi come doloso o gravemente colposo: si tratta, infatti, di circostanza impeditiva dell’eccezione di irresolu- bilità formulata dal convenuto e dunque riterrei più fondata la tesi dell’onere della prova in capo all’attore, cui viene opposta la clausola (28).
Le fonti “persuasive” sovranazionali distinguono poi implicitamente il piano della validità del patto di ir- resolubilità da quello della sua efficacia, dando per scontata la prima e concentrandosi sulla seconda. L’art. 8:109, rubricato «Clausola di esclusione o di limitazione delle tutele» dei Principi di diritto euro- peo dei contratti, pubblicati nel 2000 prevede, infatti, che: «Le tutele per l’inadempimento possono essere escluse o limitate salvo che far valere tale esclusione o limitazione risulti contrario alla buona fede e alla correttezza» (29).
(28) Autorevolmente – seppur non con specifico riferimento al patto di irresolubilità – si prospetta diversamente, con onere della prova a carico del debitore che dovrebbe provare l’assenza di pro- prio dolo o colpa grave, perché sarebbe irragionevole onerare il creditore della prova del dolo o colpa grave della controparte, date le difficoltà probatorie che costui potrebbe incontrare (P. TRIMAR- CHI, op. cit., 211): mi pare tuttavia non sufficientemente dimostrato che il creditore sarebbe in gravi difficoltà probatorie, soprattutto perché il caso più frequente, quello dell’inadempimento grave- mente colposo (e non già quello doloso, difficilmente ricorrente nella prassi) si compendia in manifestazioni oggettive della con- dotta che la rendono grave, ingiustificabile, etc. già esteriormente, senza necessità di inferenze psicologiche.
(29) Art. 8:109 nel testo pubblicato in Principi di diritto europeo dei contratti, Parte I e II, a cura di Xxxxxxxxxx, Xxxxxxx, 2000, 433; una formulazione in parte diversa si legge nel testo pubblicato da ALPA, I “Principles of European Contract Law” predisposti dalla Commissione Lando, in Riv. crit. dir. priv., 2000, 483 ss., ove si
Ed anche la giurisprudenza francese, in un caso del 2011, ha richiamato il controllo di buona fede sull’in- vocazione giudiziale della clausola. Nel caso deciso nel novembre 2011 dalla Cour de Cassation (30) si trattava di clausola di rinuncia preventiva alla risolu- zione per inadempimento di pagamenti dovuti a titolo di prezzo, all’interno di un contratto di compravendi- ta immobiliare. La Cassazione francese ha deciso, da un lato, che l’art. 1184 Code civil (accostabile al nostro art. 1453 c.c. (31)) non è qualificabile come norma di ordine pubblico e come tale può essere validamente derogato dall’autonomia negoziale e, dall’altro, ha incidentalmente considerato sindacabile secondo il canone di buona fede l’invocazione in giudizio della clausola di irresolubilità (ancorché in concreto non abbia dato ingresso a tale scrutinio, perché ha con- siderato come nuova e tardiva l’eccezione di abusiva [mauvaise foi] invocazione del patto di irresolubilità in giudizio) (32).
La validità della clausola andrà dunque misurata, nella sua genesi, sul rispetto dell’art. 1229 c.c. e sul mantenimento degli alternativi rimedi dell’azione di manutenzione e di risarcimento. Ma qualora, nella fase attuativa del rapporto, il riequilibrio del sinallag- ma sui piani dell’esatta esecuzione o del risarcimento non sia concretamente attuabile – o per il persistente rifiuto dell’obbligato (che dunque non consentirà di qualificare come semplicemente colposo l’inadem- pimento), ovvero per l’impraticabilità dell’azione di manutenzione avente ad oggetto un facere infungibile (o dell’azione di risarcimento, per incapienza del pa- trimonio dell’obbligato) – si potrà concludere per la inefficacia della clausola, per violazione del precetto di buona fede nell’esecuzione del contratto (art. 1375
c.c.) ovvero con le tecniche succedanee dell’abuso del diritto o dell’exceptio doli (33).
Le opzioni difensive dell’attore in risoluzione si ar- ricchiscono, dunque: all’eccezione di irresolubilità convenzionale del contratto, opposta dal convenuto, l’attore potrà replicare – con onere probatorio a pro- prio carico, come si è detto – che l’inadempimento è gravemente colposo (o doloso); in via subordinata, potrà altresì eccepire che, anche qualora l’inadempi- mento fosse coperto dalla clausola, perché meramen- te colposo, la invocazione della medesima è contraria a buona fede perché l’inadempimento, pur colposo, non può essere rimediato – e dunque l’azione alter- nativa di manutenzione non è fruttuosa – e perché il sinallagma non può mantenersi per equivalente tra- mite l’azione di risoluzione, per incapienza del patri- monio dell’inadempiente.
avverte che «La versione in italiano, qui di seguito pubblicata, è stata predisposta dal Ministero della Giustizia» ed ove la formu- lazione dell’art. 8:109 è la seguente: «I rimedi in caso di inadem- pimento possono essere esclusi o limitati a meno che ciò non sia contrario ai principi della buna fede e della correttezza».
(30) Cour de Cassation, Troisième chambre civil, 3 novembre 2011, n. 10-26203. La si può reperire in Internet all’indirizzo xxxx://xxx.xxxxxxxxxx.xxxx.xx/xxxxxxXxxxXxxx.xx?xxxXxxxxxxxx- ch JuriJudi&idTexte=JURITEXT 000024761210 &fa- stReqId=413419489&fastPos=1.
(31) Art. 1184 Code civil: «La partie envers laquelle l’engagement n’a point été exécuté, a le choix ou de forcer l’autre à l’exécution de la convention lorsqu’elle est possible, ou d’en demander la résolut- xxx avec dommages et intérêts».
(32) Sul punto, amplius, mi permetto di rinviare a DELFINI, Au- tonomia privata e risoluzione del contratto per inadempimento (relazione tenuta al Convegno presso l’Università di Torino del 12 marzo 2014 sul tema «L’inadempimento contrattuale tra risolu- zione e recesso»), in Nuove leggi civ. comm., 2014, 573 ss.
(33) Gli indici in tal senso non mancano nella disciplina della ri- soluzione: cfr. gli artt. 1460, comma 2, e 1462, comma 2, c.c. Nella più recente giurisprudenza è frequente il richiamo della clausola generale di buona fede per sottoporre l’esercizio di diritti potesta- tivi ad un sindacato giudiziale, che parrebbe incompatibile con la stessa loro natura e con la stessa autonomia privata: è il caso del controllo ex fide bona del recesso ad nutum, inaugurato da Cass., 18 settembre 2009, n. 20106, in Rep. Foro It., 2010, voce Con- tratto in genere, 829, n. 433, cui di recente si è aggiunto l’obiter dictum di Cass., sez. un., 3 giugno 2013, n. 13905 [est. Rordorf], in xxx.xxxxxx.xx, ove le Sezioni Unite si occupavano di nullità ex art. 30, comma 7, t.u.f. del contratto di collocamento fuori sede di stru- menti finanziari o gestione di portafogli per mancata menzione della facoltà di recesso penitenziale ex art. 30, comma 6, del me- desimo t.u.f. Il richiamo dell’abuso del diritto è poi oggi frequente, come è noto, in materia tributaria (cfr., ex multis, Cass., sez. trib., 7 novembre 2012, n. 19234, in Rep. Foro It., 2012, voce Tributi in genere, 1863, n. 1187; il fondamento costituzionale dell’orienta- mento antielusivo è rinvenuto nell’art. 53 Cost. da Cass., sez. trib., 28 giugno 2012, n. 10807, in Rep. Foro It., 2012, voce Tributi in genere, 1863, n. 1188).