CCNL Commercio: nel periodo di comporto anche le assenze per infortunio
CCNL Commercio: nel periodo di comporto anche le assenze per infortunio
Renzo La Costa
La contrattazione collettiva ha facoltà di disciplinare autonomamente la disciplina del comporto, con modalità e criteri di calcolo anche differenti: ai fini del calcolo del periodo di comporto – ovvero del periodo di tollerabilità delle assenze per malattia del lavoratore – il ccnl commercio include in tale periodo anche le assenze per infortunio, superato il quale è legittimo il licenziamento del dipendente. Secondo infatti la regola generale, le assenze per infortunio non vanno conteggiate solo in presenza di infortunio addebitabile manifestatamente a negligenza del datore di lavoro. Così si è pronunciata in sintesi la Xxxxx xx Xxxxxxxxxx xxx xxxxxxxx xx. 00000 pubblicata il 19/10/2018.
Fatti di causa
La Corte d'appello aveva respinto il reclamo di una lavoratrice avverso la sentenza di primo grado che aveva confermato l'ordinanza di rigetto dell'impugnativa del licenziamento intimato dalla società per superamento del periodo di comporto, per assenze protratte oltre 180 giorni a causa di infortunio. La Corte territoriale argomentava che le assenze per infortunio sul lavoro o malattia professionale rientravano nella disciplina di cui all'art. 2110 c.c. e erano computabili nel periodo di conservazione del posto di lavoro, la cui determinazione è rimessa, dalla citata disposizione, alla legge, alle norme collettive, agli usi o all'equità. Rilevava come il c.c.n.l. fissava, per la disciplina di conservazione del posto in caso di infortunio sul lavoro o malattia professionale, il periodo di comporto in 180 giorni. Escludeva anche che l'infortunio occorso alla lavoratrice avesse avuto origine in fattori di nocività insiti nelle modalità di esercizio delle mansioni o comunque presenti nell'ambiente di lavoro oppure in inadempienze del datore di lavoro agli obblighi imposti dall'art. 2087 c.c..
Ragioni della decisione
Nel ricorrere per Cassazione, la lavoratrice censurava la sentenza impugnata per aver ritenuto computabili nel periodo di comporto anche le assenze dovute a infortunio sul lavoro o malattia professionale e le stesse accomunate, nella
disciplina contrattuale, alle assenze per malattia comune ai fini del periodo di conservazione del posto di lavoro.
Ha premesso la suprema Corte di aver più volte statuito come la fattispecie di recesso del datore di lavoro in caso di assenze determinate da malattia del lavoratore si inquadri nello schema previsto e sia soggetta alle regole dettate dall'art. 2110 c.c., che prevalgono, per la loro specialità, sia sulla disciplina generale della risoluzione del contratto per sopravvenuta impossibilità parziale della prestazione lavorativa, sia sulla disciplina limitativa dei licenziamenti individuali, con la conseguenza che, in dipendenza di tale specialità e del contenuto derogatorio delle suddette regole, il datore di lavoro, da un lato, non può unilateralmente recedere o, comunque, far cessare il rapporto di lavoro prima del superamento del limite di tollerabilità dell'assenza (cosiddetto periodo di comporto), predeterminato per legge, dalla disciplina collettiva o dagli usi, oppure, in difetto di tali fonti, determinato dal giudice in via equitativa, e, dall'altro, che il superamento di quel limite è condizione sufficiente di legittimità del recesso, nel senso che non è all'uopo necessaria la prova del giustificato motivo oggettivo ne' della sopravvenuta impossibilità della prestazione lavorativa, ne' della correlata impossibilità di adibire il lavoratore a mansioni diverse, senza che ne risultino violati disposizioni o principi costituzionali .
Le assenze del lavoratore dovute ad infortunio sul lavoro o a malattia professionale, in quanto riconducibili alla generale nozione di infortunio o malattia contenuta nell'art. 2110 c.c., sono normalmente computabili nel previsto periodo di conservazione del posto, mentre, affinché l'assenza per malattia possa essere detratta dal periodo di comporto, non è sufficiente che la stessa abbia un'origine professionale, ossia meramente connessa alla prestazione lavorativa, ma è necessario che, in relazione ad essa ed alla sua genesi, sussista una responsabilità del datore di lavoro ex art. 2087 c.c.
Più esattamente, la computabilità delle assenze del lavoratore dovute ad infortunio sul lavoro o a malattia professionale nel periodo di comporto non si verifica nelle ipotesi in cui l'infortunio sul lavoro o la malattia professionale non solo abbiano avuto origine in fattori di nocività insiti nelle modalità di esercizio delle mansioni e comunque presenti nell'ambiente di lavoro, e siano pertanto collegate allo svolgimento dell'attività lavorativa, ma altresì quando il datore di lavoro sia responsabile di tale situazione nociva e dannosa, per essere egli inadempiente all'obbligazione contrattuale a lui facente carico ai sensi dell'art. 2087 c.c., norma che gli impone di porre in essere le misure necessarie - secondo la particolarità del lavoro, l'esperienza e la tecnica - per la tutela dell'integrità fisica e della personalità morale del lavoratore, atteso che in tali ipotesi l'impossibilità della prestazione lavorativa è imputabile al comportamento della stessa parte cui detta prestazione è destinata .
Si è anche sottolineato come nessuna norma imperativa vieti che disposizioni collettive escludano dal computo delle assenze ai fini del cosiddetto periodo di comporto, cui fa riferimento l'articolo 2110 c.c., quelle dovute a infortuni sul lavoro, ne' tale esclusione - che è ragionevole e conforme al principio di non porre a carico del lavoratore le conseguenze del pregiudizio da lui subito a causa dell'attività lavorativa espletata - incontra limiti nella stessa disposizione, che, come lascia ampia libertà all'autonomia delle parti nella determinazione di tale periodo, così non può intendersi preclusiva di una delle forme di uso di tale
libertà, quale è quella di delineare la sfera di rilevanza delle malattie secondo il loro genere e la loro genesi
La stessa Corte (Cass. n. 26005 del 2015) ha già chiarito, proprio in relazione al
c.c.n.l. del settore terziario, come l'art. 175 c.c.n.l. preveda che il lavoratore durante la malattia abbia diritto alla conservazione del posto di lavoro per un periodo massimo di 180 giorni in un anno solare, trascorso il quale, perdurando la malattia, il datore di lavoro potrà procede al licenziamento; che l'art. 177 dello stesso c.c.n.l. prevede a sua volta, con riferimento all'ipotesi di infortunio, che per la conservazione del posto di lavoro valgono le stesse norme di cui all'art. 175; che la dichiarazione a verbale che segue l'art. 177 c.c.n.l. citato precisa che i periodi di comporto per malattia e per infortunio agli effetti del raggiungimento del termine massimo di conservazione del posto di lavoro sono distinti e hanno la durata di centottanta giorni cadauno.
Nel caso di specie, la Corte di merito, nel ritenere le assenze conseguenti all'infortunio sul lavoro occorso alla dipendente computabili ai fini del comporto, ha correttamente interpretato e applicato la disciplina collettiva, cui l'art. 2110
x.x. xxxxxx, in coerenza con i principi sopra richiamati.
Ne è conseguito il rigetto del ricorso.
Sui distinti periodi di comporto del CCNL Commercio
Il contratto collettivo del commercio offre una speciale disciplina in materia di calcolo del periodo di comporto, stabilito in 180 giorni : il periodo di assenza del dipendente per infortunio deve essere ben distinto dal periodo di assenza per malattia, e le due ipotesi non sono sovrapponibili. Lo spiegava la Corte di Cassazione con la recente sentenza nr. 26005/2015. Il dipendente di un’azienda era rimasto assente dal lavoro per 185 giorni, a causa di un infortunio sul lavoro. Questi era stato licenziato per superamento del periodo di comporto, provvedendo conseguentemente ad impugnare il provvedimento espulsivo richiedendo la riassunzione ed il risarcimento del danno. Nell’accogliere la domanda del lavoratore, la Corte d’Xxxxxxx aveva verificato che tre mesi circa dopo l’infortunio, l’Inail aveva comunicato che l'assenza non era imputabile all'infortunio suddetto e che quindi doveva essere considerata dovuta a comune malattia. Tale circostanza è stata ritenuta decisiva, per la Corte di merito, per escludere il superamento del periodo di comporto previsto nello specifico settore, atteso che, sulla base di quanto previsto dalla contrattazione collettiva applicabile al rapporto, la prosecuzione dell'assenza a partire doveva imputarsi ad un distinto periodo di comporto previsto per la malattia. In definitiva, sulla base delle suddette considerazioni, il periodo di comporto per infortunio non poteva ritenersi superato né risultava superato il periodo di comporto per malattia. A tale statuizione ricorreva l’azienda. Hanno premesso i giudici di Cassazione che l’'art. 175 c.c.n.l. del settore terziario, pacificamente applicabile al rapporto di lavoro in esame, prevede che il lavoratore durante la malattia ha diritto alla conservazione del posto di lavoro per un periodo massimo di 180 giorni in un anno solare, trascorso il quale, perdurando la malattia, il datore di lavoro potrà procede al licenziamento; l'art. 177 dello stesso c.c.n.l. prevede a sua volta, con riferimento all'ipotesi di infortunio, che per la conservazione del posto di lavoro valgono le stesse norme di cui all'art. 167. La dichiarazione a verbale che segue l'art. 177 c.c.n.l. citato precisa che i periodi di comporto per malattia e per infortunio agli effetti del raggiungimento del termine massimo di conservazione del posto di lavoro sono distinti e hanno la durata di centottanta giorni cadauno.
La Corte territoriale ha quindi esattamente rilevato che le disposizioni contrattuali sopra citate non autorizzano a ritenere che i periodi di 180 giorni di comporto previsti per la malattia e per l'infortunio possano operare solo nell'ipotesi in cui nell'anno solare si verifichino eventi morbigeni o infortunistici diversi e del tutto scollegati anche temporalmente fra loro. Ed infatti il tenore letterale della dichiarazione a verbale sopra riportata, che si limita a stabilire che, ai fini del comporto, i due periodi sono distinti, non prevede affatto il requisito, invocato dalla ricorrente, della mancanza di collegamento, anche temporale, fra evento infortunistico ed evento morbigeno.
L'uso del termine distinti riferito ai periodi di comporto per malattia e per infortunio induce a ritenere che le parti contraenti abbiano stabilito unicamente che i suddetti periodi non sono sovrapponibili e che pertanto, agli effetti del raggiungimento del termine massimo di conservazione del posto di lavoro pari a 180 giorni per ciascun periodo, ciascun termine opera a decorrere dalla data di inizio dell'evento di riferimento (malattia o infortunio). In sostanza, nel caso di assenza per infortunio, opera il termine di 180 giorni previsto dalla norma collettiva; nel caso in cui all'infortunio succeda, anche senza alcuna soluzione di continuità, come nel caso in esame, un periodo di assenza per malattia, scatterà, al momento dell'insorgenza della malattia, un distinto termine di 180 giorni; con la conseguenza che, ove al verificarsi dell 'assenza per malattia il termine di comporto di 180 giorni previsto per l'infortunio nell 'anno solare non sia decorso, non potrà procedersi al licenziamento per superamento del periodo di comporto se non quando sarà decorso il periodo di comporto per assenza per malattia che, si ripete, avrà inizio solo al momento dell'insorgenza della malattia.
Stabilito pertanto che l'interpretazione data dalla sentenza impugnata alle disposizioni contrattuali che regolano la fattispecie deve ritenersi del tutto corretta, devono considerarsi corrette anche le relative conclusioni secondo cui al momento del licenziamento non si era verificato il superamento del periodo di comporto né con riferimento all'infortunio, né con riferimento alla malattia.
A tutto quanto sopra esposto, è conseguito il rigetto del ricorso.