Conversione in legge del decreto-legge 18 aprile 2019, n. 32, recante disposizioni urgenti per il rilancio del settore dei contratti pubblici, per l'accelerazione degli interventi infrastrutturali, di rigenerazione urbana e di ricostruzione a seguito...
Audizione
dell’ALLEANZA DELLE COOPERATIVE ITALIANE nell’ambito
dell’esame del
Conversione in legge del decreto-legge 18 aprile 2019, n. 32, recante disposizioni urgenti per il rilancio del settore dei contratti pubblici, per l'accelerazione degli interventi infrastrutturali, di rigenerazione urbana e di ricostruzione a seguito di eventi sismici
Commissioni 8a e 13a del Senato della Repubblica
6 maggio 2019
L’ALLEANZA DELLE COOPERATIVE ITALIANE unisce AGCI, CONFCOOPERATIVE e LEGACOOP, le più rappresentative Associazioni giuridicamente riconosciute del movimento cooperativo italiano. Costituisce il più avanzato esperimento di integrazione delle associazioni di rappresentanza nella storia del Paese. Rappresenta il 90% della cooperazione italiana la quale, nel suo complesso, incide per l’8% sul PIL. Le imprese di Alleanza occupano 1.150.000 persone, producono 150 miliardi di fatturato e associano 12 milioni di soci. Ha sede in Roma, presso il Xxxxxxx xxxxx Xxxxxxxxxxxx xx Xxx Xxxxxx x. 000.
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L’obiettivo dichiarato del Decreto sblocca cantieri è in linea con quanto le parti sociali sostenevano da tempo per recuperare il differenziale di crescita con il resto dell’Unione Europea: rilanciare gli investimenti pubblici in Italia.
La trasformazione in misure concrete rischia però di non raggiungere appieno i risultati sperati ovvero di produrne di indesiderati, se nel corso dell’iter di conversione non si prenderanno adeguati correttivi.
1. Aspetti positivi
Valutiamo positivamente alcune misure che mirano ad eliminare alcune delle maggiori complicazioni introdotte con il nuovo Codice dei Contratti Pubblici del 2016 quali:
1. L’eccessivo limite all’utilizzo del subappalto (seppure riteniamo la disposizione
migliorabile) e l’inutile obbligo di indicazione di una terna di subappaltatori;
2. Il divieto assoluto di affidamento congiunto di progettazione ed esecuzione, che in alcuni casi può rappresentare una velocizzazione della realizzazione di un’opera pubblica;
3. La frammentaria normativa di attuazione, suddivisa tra linee guida e regolamenti ministeriali di varia provenienza e natura, attraverso il primo passo per un ritorno al Regolamento di esecuzione. La proposta risponde anche alle esigenze di certezza delle imprese le quali in questi mesi hanno vieppiù denunciato complicazioni e incertezze sull’interpretazione e l’applicazione delle norme. È altresì condivisibile la tecnica utilizzata di rinvio analitico al regolamento con riferimento a materie specifiche, mantenendo in vigore le linee guida e i decreti attuativi già emanati. Xxxxxxxxx si ritiene che, sempre in coerenza con lo spirito dell’intervento, vada chiarito che la reintroduzione di un regolamento debba essere circoscritta ai soli lavori. Xxxxxxxxx, riflessioni più ampie sull’impostazione del codice e sulle fonti del diritto dei contratti pubblici, dovranno essere affrontate e – si auspica – definitivamente risolte in sede di riforma complessiva del codice, in occasione dell’esame del ddl di delega AS
1162, Delega al Governo per la semplificazione, la razionalizzazione, il riordino, il coordinamento e l'integrazione della normativa in materia di contratti pubblici.
A queste positive novità si deve aggiungere:
1. la probabile semplificazione della procedura di gara derivante dall’inversione dell’apertura delle buste: prima quella tecnico-economica e poi quella amministrativa. Un’opzione offerta dalle direttive europee del 2014, ma utilizzata solo parzialmente dal legislatore italiano del 2016;
2. la semplificazione della disciplina dei consorzi stabili, che andrebbe però completata con riferimento ai contratti relativi ai Beni Culturali.
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2. Preoccupazioni e proposte
Quanto ai profili critici, in primo luogo, si evidenzia un preoccupante ritorno al sistema del massimo ribasso che rischia di produrre non un’accelerazione della realizzazione delle opere, ma una velocizzazione (tutta da verificare) solo del momento dell’affidamento, con rischi invece per la fase realizzativa derivanti da un minore contenimento degli azzardi in fase di offerta, con rischi anche per la qualità dell’occupazione. In particolare, viene previsto che negli appalti sotto-soglia il criterio da utilizzare preferenzialmente sia quello del minor prezzo, seppur corretto con il metodo di esclusione automatica dell’offerta anomala di cui all’articolo 97.
Il problema qui sta innanzitutto nella revisione della disciplina dell’esclusione automatica delle offerte anomale che sembra non solo inadeguata all’obiettivo (di contenimento dell’eccesso di ribasso), ma foriero di un ritorno agli accordi di cartello, perché manca un efficiente meccanismo anti turbativa.
Anche la soppressione del limite del 30% al peso del prezzo in caso di utilizzo del metodo dell’OEPV nella versione rapporto qualità/prezzo produrrà effetti analoghi, interrompendo oltretutto un primo positivo andamento degli affidamenti con riferimento ai ribassi, rilevato dall’Osservatorio dell’Alleanza delle Cooperative Italiane, con particolare riguardo agli appalti di lavori e di servizi.
Sempre in tema di Offerta economicamente più vantaggiosa, al fine di prevenire abusi in materia di cd servizi aggiuntivi, occorre evidenziare che molti bandi di gara considerano come elemento “qualitativo” l’offerta di elementi aggiuntivi della
prestazione. È evidente che l’operatore economico, offrendo servizi aggiuntivi finisca sostanzialmente per alterare il contenuto dell’offerta e dello stesso oggetto del contratto. Il decreto “correttivo” ha stabilito – ma solo per i lavori – che l’offerta economicamente più vantaggiosa non deve tenere conto di prestazioni maggiori (art. 95, nuovo comma 14-bis). Nondimeno, anche negli appalti di servizio ad alta intensità di manodopera sussiste il rischio di modificare in modo significativo l’incidenza del prezzo finale sul rispetto dei costi contrattuali del personale. Ragion per cui si richiede che, oltre alle opere, si renda esplicito il riferimento del nuovo comma 14-bis ai servizi.
Viene, poi, rivista la disciplina delle clausole di esclusione che, in attuazione delle richieste della Commissione Europea contenute nella procedura di infrazione aperta nel febbraio scorso, prevede la possibilità di esclusione in caso di mancato pagamento di contributi e imposte, anche in presenza di contenziosi non conclusi. La norma è stata introdotta nel nostro ordinamento senza tenere in alcun conto la disciplina vigente in materia di documentazione della regolarità contributiva e fiscale delle imprese, nonché dei diritti costituzionali alla tutela giurisdizionale e al buon andamento dell’amministrazione (artt. 24 e 97, Cost.) e rischia di produrre un livello di incertezza tra gli operatori forse ancora più grave di quella sorta con la riforma dell’illecito professionale. È dunque indispensabile meditare un passo indietro. In ogni caso, la novella dovrebbe essere radicalmente modificata – anche qualora si volessero non smentire i rilievi della Commissione UE – richiedendo che l’atto impositivo “non definitivo” sia comunque un atto di accertamento in senso stretto (escludendo quindi i meri verbali di constatazione) e che abbia efficacia esecutiva (che dia cioè titolo all’esecuzione). Inoltre si deve trattare di pretese comunque successivamente non modificate (ad es. perché riformate in un accertamento con adesione o perché rateizzate), né “sospese” in via amministrativa o giurisdizionale. A ciò va aggiunta anche l’ipotesi di pretese esecutive rispetto alle quali l’impresa contribuente abbia presentato motivata istanza di sospensione cautelare urgente non ancora delibata dal giudice competente.
Occorre inoltre apportare più pregnanti modifiche alla disciplina dei contratti sotto- soglia, la quale sconta tuttora un alto livello di difficoltà applicativa a causa dell’incertezza normativa sul principio di rotazione, non previsto dalle direttive europee. Tra gli obiettivi dello decreto legge in oggetto vi è quello di semplificare gli appalti di minore valore. Tra le complicazioni e le incertezze che appesantiscono le commesse di minor valore emergono le questioni riguardanti il cd principio di rotazione, specie all’indomani del decreto “correttivo” che lo ha configurato alla
stregua di un vero e proprio automatismo foriero di una serie di problemi pressoché ingestibili, sia per le stazioni appaltanti, sia per gli esecutori. È quanto mai urgente apportare una modifica all’istituto, chiarendo che il principio di rotazione non si applichi a tutti gli appalti sotto-soglia e, in particolare, laddove il nuovo affidamento avvenga tramite procedure ordinarie o comunque aperte al mercato. Si propone inoltre che sia sufficiente la motivazione della stazione appaltante per il reinvito sia del precedente affidatario, sia dell’invitato non aggiudicatario, come di fatto previsto nella prima formulazione del Codice del 2016. Inoltre, per quanto riguarda i servizi sociali, anche affidati in concessione, si ritiene che la rotazione non debba applicarsi (in considerazione del connotato sociale della prestazione, della sua incompatibilità con il principio di rotazione tipico delle prestazioni standardizzate o comunque fungibili, nonché del principio del gold plating rispetto alla norma europea che, per i servizi di contenuto sociale sotto-soglia, non pone limiti per l’affidamento).
La medesima attenzione riservata all’istituto della rotazione, merita l’abusato meccanismo del sorteggio, a cui si dovrebbe ricorrere nel minor numero di casi possibili, in quanto con essi vi è il forte rischio di svilire la qualificazione e l’affidabilità maturate nel tempo dagli esecutori, impedendo loro di porre in essere una qualsivoglia programmazione dell’attività d’impresa.
Inoltre, potrebbe essere positiva la previsione di un aumento del numero degli operatori economici invitati a tali procedure (si ritiene che il numero degli inviati debba essere non inferiore a 10). L’innalzamento del numero dei partecipanti consentirebbe anche di meditare l’eventuale innalzamento della soglia previste per le opere di urbanizzazione.
Altra novità significativa del decreto è l’istituzione della figura dei Commissari straordinari, nominati dal Presidente del Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, per gli interventi infrastrutturali ritenuti prioritari.
Nell’approvazione dei progetti e nell’esecuzione degli interventi, i Commissari straordinari avranno poteri sostitutivi e opereranno in deroga a tutte le disposizioni di legge in materia di contratti pubblici. Anche in questo caso, il rischio di una compressione ingiustificata della concorrenza è dietro l’angolo se l’utilizzo dell’istituto del Commissario si diffonde eccessivamente.
Infatti, le ultime ricerche sull’utilizzo degli investimenti in Italia (per tutte “Il Rapporto 2018 sui tempi di attuazione delle opere pubbliche” realizzato dall’Agenzia per la
Coesione Territoriale) hanno evidenziato che: si allungano i tempi di realizzazione delle opere più grandi (oltre i 50 milioni di euro), ma si contrae quello delle opere più piccole; la fase precedente alla realizzazione rappresenta oltre il 70% dei tempi complessivi; il peso dei tempi di attraversamento (ossia l’intervallo temporale che intercorre tra la fine di una fase e l’inizio della fase successiva) rappresenta il 54% dei tempi complessivi. Insomma, la ricerca empirica ci dice che la fase da comprimere non è quella della gara e della realizzazione, ma tutta quella precedente.
Il sistema commissariale utilizzato per realizzare l’estensione della rete ferroviaria di alta velocità nel Mezzogiorno era un ottimo esempio cui ispirarsi e da estendere al resto delle opere pubbliche, perché punta a risolvere proprio i problemi evidenziati dal Rapporto dell’Agenzia per la Coesione.
Inoltre, il ripristino dell’utilizzo dell’incentivo del 2% al personale tecnico della PA anche per le attività di progettazione indurrà a internalizzare nuovamente una fase che necessita di forti dosi di innovazione tecnologica e di un aggiornamento continuo, di cui la PA non sembra disporre in questa fase, con rischi per la qualità della progettazione delle opere pubbliche, essenziale per i tempi di realizzazione. E la costituenda Centrale per la Progettazione non sembra sufficiente per modificare il quadro esistente. Chissà se lo saranno i provveditorati dotati di nuovo personale dal Decreto Crescita o la nuova struttura Funzione Infrastrutture Italia – F.In.Italia s.p.a.
In ultimo, l’assenza di qualunque modifica ai sistemi alternativi di risoluzione delle controversie in fase di esecuzione, in grado di rilanciarli, anche solo parzialmente, e la nuova inversione di marcia sul contenzioso in fase di gara, con la soppressione del rito superaccelerato, sembrano non assicurare il perseguimento dell’obiettivo di tempestiva realizzazione delle opere pubbliche.
Si ritiene, infine, che – in tema di concessioni assentite o prorogate senza gara – occorra cogliere l’occasione della proroga inserita nel decreto in esame e definitivamente riallineare la disciplina prevista dall’articolo 177 del Codice ai principi comunitari (trattasi di quei principi che, in caso di concessioni assentite o prorogate senza gara, obbligano il concessionario ad affidare a terzi il 100% dei lavori di propria competenza, al fine di sanare l’assenza di concorrenza verificatasi “a monte” dell’affidamento). L’art. 177 resta una disposizione oscura ed incerta per giudizio unanime della dottrina, degli operatori e del Consiglio di Stato. Per giunta, segnatamente all’ambito oggettivo di applicazione, si ritiene necessario e urgente un intervento legislativo di chiarimento
circa le prestazioni interessate dall’obbligo di esternalizzazione, chiarendo in particolare che l’obbligo di messa a gara incombente sui concessionari riguarda le attività non svolte con personale o mezzi propri.
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3. Considerazioni generali
Si ripropongono infine alcune considerazioni di carattere generale sul diritto dei contratti pubblici più volte espresse in precedenti consultazioni e audizioni e che, a parere dell’Alleanza, è opportuno informino l’iter riformatore nel suo complesso.
Nell'ambito dell'esame del decreto-legge "sblocca cantieri" si ritiene opportuno affermare alcuni principi già più volte espressi in occasione di audizioni in materia di contratti pubblici, fondamentali per il sistema del mercato pubblico e sono:
1. Effettiva tutela e salvaguardia degli operatori nel processo competitivo: tutelare il processo competitivo significa impedire che il pieno dispiegamento degli strumenti a disposizione di chi opera lealmente venga limitato, ristretto od alterato a vantaggio di posizioni consolidate.
2. Necessità di certezza circa i tempi di programmazione, svolgimento e conclusione delle procedure di aggiudicazione di contratti. La ragionevole certezza dei tempi è un requisito insopprimibile per l'attività di impresa. In alcuni casi si registrano procedure ferme da anni, che di fatto stanno paralizzando il sistema.
3. Una ragionevole diminuzione del contenzioso: la sola esistenza di un contenzioso così elevato e costante rivela una continua incertezza nel settore
4. L’effettiva applicazione dell’offerta economicamente più vantaggiosa: non si
può affermare un principio per poi cedere a deroghe surrettizie.
5. Una ragionevole costante suddivisione in lotti. Nel pieno rispetto delle direttive europee, a sostegno della possibilità di partecipazione delle PMI. Ragionevole, però, in quanto è altrettanto necessario evitarne la “polverizzazione”, questo, al fine di promuovere forme di aggregazione imprenditoriale.
Ai principi suddetti è necessario ribadire che uno dei punti focali riguardi la qualificazione delle stazioni appaltanti per poter esercitare le sue funzioni è necessaria una norma che garantisca una adeguata preparazione e formazione delle stazioni stesse, che allo stato attuale è assente all’interno del Codice.
Infatti, come si è avuto modo di sottolineare numerose volte e da ultimo in un documento del 10.09.2018 elaborato in occasione di una consultazione emanata dal Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, è comprensibile la scelta legislativa di riconoscere alle stazioni appaltanti ampio potere, sia di controllo che decisionale nella gestione della procedura, sia nel corso della gara che nella fase esecutiva, in una logica di semplificazione e di snellimento dei procedimenti: tuttavia, al fine di poter esercitare correttamente tali funzioni dovrebbe essere adottata una normativa che garantisca una adeguata preparazione e formazione delle stazioni stesse: si tratta di procedere e alla valorizzazione dello strumento delle commissioni esterne, da semplificare nelle procedure di individuazione dei componenti, in quanto garante della terzietà del procedimento di valutazione e, sotto altro profilo, attuare la qualificazione delle stazioni appaltanti.
In tal senso si pensi all’art. 38, rubricato: “Qualificazione delle stazioni appaltanti e delle centrali di committenza”; ebbene, in questa norma non può che evidenziarsi la mancanza di precise indicazioni sui requisiti di base, sui requisiti premianti e sulle eventuali semplificazioni degli stessi; inoltre, nulla è detto sulle modalità attuative del sistema di qualificazione della pubblica amministrazione, di strumenti valutativi efficaci, attraverso una formazione adeguata del personale tecnico delle stazioni appaltanti. Quello che appare necessario è, pertanto, una mediazione tra l’esigenza di razionalizzazione delle stazioni appaltanti e dei centri di spesa e la polverizzazione eccessiva presente in questo momento. La mediazione passa attraverso la qualificazione: processo che dovrebbe partire dal riconoscimento delle competenze reali presenti nel singolo centro di spesa, definendone cosi l’ambito reale di operatività nel mercato, e al contempo evidenziandone, i limiti oggettivi rispetto ad altre potenziali tipologie di appalti/concessioni. La mancata attuazione di questo aspetto è uno dei principali motivi della scarsa efficacia e del cattivo funzionamento della riforma del 2016, che pertanto andrebbe in tale ambito completata. Attraverso tale attuazione occorrerebbe favorire la costituzione di una committenza pubblica specializzata e qualificata, preparata a dialogare con il privato, e ad assumere decisioni discrezionali in maniera trasparente, il cui perimetro di operatività e di competenza sia definito, per
evitare sovrapposizioni, secondo criteri di specializzazione. In tal senso, come detto, un chiarimento degli ambiti di competenza delle diverse centrali di committenza sarebbe sicuramente utile.
Si sottolinea infine l’importanza che riveste la fase di programmazione per gli enti locali per un uso strategico degli appalti pubblici, nonché degli strumenti offerti dalle direttive europee, dal Codice e dalle Linee Guida dell’ANAC su questo aspetto. Rispetto all’impegno richiesto alle imprese deve essere rafforzata la capacità degli enti locali a non lavorare su emergenze, bensì sulla base di una programmazione condivisa con le comunità di riferimento ed i territori.
Tale questione è di enorme rilievo, soprattutto se collegata ad uno dei poteri più importanti riconosciuti alle stazioni appaltanti, ovvero quello di poter decidere dell’esclusione di un operatore economico dalla procedura di appalto.