Università degli Studi di Catania Facoltà di Giurisprudenza
Università degli Studi di Catania Facoltà di Giurisprudenza
Dottorato di Ricerca in Diritto Commerciale
XXII Ciclo
TESI DI DOTTORATO
Gli accordi di ristrutturazione dei debiti
Coordinatore Ch. mo Xxxx.
Xxxxxxxxx XXXXXXXXXX
Tutor Candidato
Ch. mo Xxxx. Xxxxxxxx XXXXXXX
Concetto COSTA
INDICE
CAPITOLO I
GLI ACCORDI DI RISTRUTTURAZIONE NELLA COMPOSIZIONE NEGOZIALE DELLA CRISI D’IMPRESA
1.1. L’autonomia contrattuale nella crisi d’impresa pag. 1
1.2. Alcune precedenti esperienze in tema di concordati stragiudiziali………….....pag. 5
1.3. Le esperienze di alcuni ordinamenti stranieri (Cenni.)………………………...pag. 8
1.4. Rapporti con altre ipotesi di ristrutturazione: premessa……………………...pag. 14
1.4.1. I limiti del concordato stragiudiziale……………………………………….pag. 14
1.4.2 L’articolo 67 comma 3 lett. d): il piano di risanamento attestato…………...pag. 15
1.4.3. Concordato preventivo e accordi di ristrutturazione,
tra alternatività e complementarità…………………………………………..……pag. 17
1.4.4. La “ristrutturazione” nell’Amministrazione straordinaria della grandi imprese insolventi………………………………………………………………………….pag. 19
1.4.5. La Ristrutturazione dei debiti nell’art. 182 bis…………….……………….pag. 21
1.4.6. Gli accordi di ristrutturazione nei gruppi di società………………………..pag. 22
CAPITOLO II CARATTERISTICHE E FINALITA’
DEGLI ACCORDI DI RISTRUTTURAZIONE
2.1. La fattispecie di cui all’art. 182 bis e le innovazioni introdotte dal D. Lgs. 169/2007…………………………………………………………………………..pag. 25
2.2.0 Le modifiche apportate all’art. 182 bis, dall’art. 48 del D.L. 31 maggio 2010 n. 78, convertito con modificazioni dalla legge 30 luglio 2010 n. 122……………...pag. 28
2.2.1. L’art. 182 bis comma VI: l’istanza sospensione delle azioni cautelari ed esecutive durante le trattative e il divieto di acquisire titoli di prelazioni non concordati…..pag. 27
2.2.2. L’art. 182 bis comma VII, la valutazione del tribunale sull’istanza di sospensione………………………………………………………………………..pag. 30
2.3. La legittimazione alla proposizione dell’accordo…………………………pag. 32
2.4. L’adesione dei creditori che rappresentano almeno il sessanta per cento dei crediti……………………………………………………………………………...pag. 32
2.5. Il computo della percentuale di adesione, negli accordi di ristrutturazione proposti da società appartenenti allo stesso gruppo………………………………………...pag. 37 2.6. Lo stato di crisi……………………………………………………………….pag. 39
2.7. Il regolare pagamento dei creditori estranei………………………………..pag. 42
2.8.0 La negoziazione dell’accordo e la formazione del consenso:
2.8.1. La formazione del consenso: premessa…………………………………….pag. 44
2.8.2. Dovere dell’imprenditore di informativa
sullo stato di crisi………………………………………………………………….pag. 45
2.8.3. Comportamento del creditore secondo buona fede e utilizzo delle informazioni ricevute…………………………………………………………………………….pag. 47
CAPITOLO III
IL CONTENUTO DEGLI ACCORDI DI RISTRUTTURAZIONE
3.1.Premessa pag. 49
3.2. Quando la “riorganizzazione” diventa strumentale alla “ristrutturazione”…..pag. 50
3.3. Le clausole degli accordi di ristrutturazione………………………………….pag. 52
3.4. Pactum de non petendo, percentuale minima di adesione
e superamento dello stato d’insolvenza...................................................................pag. 57
3.5. L’eventuale suddivisione dei creditori in classi: differenze
rispetto al concordato preventivo.............................................................................pag. 59
3.6.1. L’erogazione di nuova finanza……………………………………………..pag. 60
3.6.2. Il problema del finanziamento “ponte” o “interinale”…………………….pag. 63
3.6.3. Il problema delle garanzie………………………………………………....pag. 65
3.6.4. L’utilizzabilità dei convenants per garantire la nuova finanza
erogata nell’ambito dell’accordo di ristrutturazione………………………………pag. 66 0.0.0.Xx prededucibilità della nuova finanza: premessa…………………………..pag. 68
3.6.6. Segue: il nuovo art. 182 quater l. fall………………………………………pag. 70 3.7.Ristrutturazione del debito mediante conversione dei crediti in capitale.
Il principio contabile Ifrc 19………………………………………………………pag. 73
3.8. L’utilizzo di una società di nuova costituzione e il ruolo delle banche…...pag. 76
3.9. L’utilizzo del trust nell’ambito dell’accordo di ristrutturazione……………..pag. 79
3.10. La transazione fiscale collegata all’accordo di ristrutturazione……………..pag. 82
3.11 Il contenuto degli accordi di ristrutturazione dei debiti ex art. 182 bis
nella recente casistica giurisprudenziale…………………………………………..pag. 88
CAPITOLO IV
VALUTAZIONE DEL TRIBUNALE ED EFFETTI DEGLI ACCORDI
4.1. Il rapporto tra l’ accordo e il procedimento………………………………….pag. 97
4.2. Il rapporto tra l’ “accordo” il “piano” di ristrutturazione…………………….pag. 99
4.3.1. La relazione sull’attuabilità dell’accordo e la figura del professionista…..pag. 102
4.3.2. La relazione sull’attuabilità dell’accordo: contenuto e caratteristiche…...pag. 105
4.4. La pubblicazione dell’accordo nel Registro delle imprese………………….pag. 107
4.5.1. L’omologazione del tribunale……………………………………………..pag. 108
4.5.2 Il contenuto della tutela omologatoria: controllo di “legittimità” o di “merito”?....................................................................................................pag. 111
4.5.3. I limiti posti ad una valutazione prospettica dell’idoneità dell’accordo
a rimuovere lo stato d’insolvenza………………………………………………..pag. 115
4.6. Il rigetto della domanda di omologazione……………………….………pag. 116
4.7. Gli effetti dell’accordo prima della pubblicazione nel registro delle imprese…………………………………………………………………………...pag. 117
4.8.1 Gli effetti dell’accordo dopo la pubblicazione nel registro delle imprese:
la protezione del patrimonio del debitore….…………………………………….pag. 119
4.8.2. L’inapplicabilità del divieto di cui all’art. 182 bis comma 3 l. fall., alle azioni volte ad ottenere la dichiarazione di fallimento:
la riunione dei procedimenti pag. 121
4.9. Gli effetti dell’accordo dopo l’omologazione: l’esenzione dall’azione revocatoria fallimentare. La prededucibilità e l’esenzione dai reati di bancarotta (Rinvio)……..........................................................................................................pag. 124
4.10. Il nuovo art. 217 bis l. fall.: l’esenzione dai reati di bancarotta semplice e c.d. preferenziale……………………………………………………………………...pag. 127
4.11. Esclusione della concessione abusiva del credito
con riferimento all’accordo di ristrutturazione omologato………………………pag. 129
4.12. Vizi genetici e funzionali degli accordi (lineamenti)………………………pag. 132 4.13. Profili fiscali……………….…………………………………..…………..pag. 136
**** BIBLIOGRAFIA…………………………………………………….…………..pag. 139
GIURISPRUDENZA………………………………………….…………………pag. 151
CAPITOLO I
GLI ACCORDI DI RISTRUTTURAZIONE NELLA COMPOSIZIONE NEGOZIALE DELLA CRISI D’IMPRESA
SOMMARIO: 1.1. L’autonomia contrattuale nella crisi d’impresa. 1.2. Alcune precedenti esperienze in tema di concordati stragiudiziali. 1.3. Le esperienze di alcuni ordinamenti stranieri (cenni.). 1.4. Rapporti con altre ipotesi di ristrutturazione: premessa. 1.4.1. I limiti del concordato stragiudiziale. 1.4.2. L’articolo 67 comma 3 lett. d): il piano di risanamento attestato. 1.4.3. Concordato preventivo e accordi di ristrutturazione, tra alternatività e complementarità. 1.4.4. La “ristrutturazione” nell’Amministrazione straordinaria della grandi imprese insolventi. 1.4.5. La Ristrutturazione dei debiti nell’art. 182 bis.; 1.4.6. Gli accordi di ristrutturazione nei gruppi di società.
1.1. L’autonomia contrattuale nella crisi d’impresa.
Nello studio dei rapporti tra insolvenza e autonomia contrattuale è stato evidenziato, come la prima costituisca la qualificazione giuridica di un fatto, considerato patologico dall’ordinamento e al quale occorre porre rimedio, mentre le seconda rappresenta uno dei valori fondanti dello stesso e trova la sua espressione massima nell’ambito dei diritto dei contratti1.
L’esigenza di contemperare la stabilità dei rapporti negoziali, con l’evento patologico costituito dall’insolvenza, ha condotto il legislatore a coniare degli strumenti che consentono di comporre il conflitto d’interesse generato dall’intersezione di questi due fenomeni. L’analisi dei punti di contatto tra autonomia contrattuale e crisi d’impresa, non può trascurare poi quelle vicende in cui la situazione di crisi e/o di insolvenza costituisce il presupposto per la l’imputazione di una responsabilità extracontrattuale in capo a chi ha contrattato con l’impresa in crisi, è il caso ad esempio della responsabilità della banca per abusiva concessione del credito ad un’impresa in crisi, a cui potrebbe conseguire il diritto di altri creditori, di essere risarciti del danno subito, per essere stati tratti in inganno circa la reale solvibilità del soggetto finanziato2.
1 X. XXXXXXX, Insolvenza, crisi d’impresa e autonomia contrattuale. Appunti per una ricostruzione sistematica delle tutele, in, Rivista delle Società, Milano, 2008, fasc. 1, p. 102 e segg.
2 Cfr. Cass. Sez. Unite 28 marzo 2006, n. 7029 e 7030, quest’ultima in Foro It., 2006, I, 3417 con osservazioni di X. XXXXXXX, nonché in, Xxxx. It. 2006, 1191 e in, Corr. Xxxx., 2006, 643, con nota di X. XXXXXXXXX. Cfr. F. ALLEGRITTI, La concessione abusiva di credito: evoluzioni e prospettive anche alla luce della riforma della legge fallimentare, in, Riv. Dir. Fall., n. 3-4., 2007, p. 563 e segg; A.CASTIELLO D’XXXXXXX, La banca tra <<concessione abusiva>> e <<interruzione brutale>> del credito, in, Dir. Fall., 2005, I, 765; X. XXXXX, Note minime in tema di responsabilità per concessione abusiva del credito e di legittimazione del curatore fallimentare, in, Dir. Banc., 2002, I, 298; X XXXXXX, Erogazione <<abusiva>> di credito, responsabilità della banca finanziatrice e (presunta) legittimazione attiva del curatore fallimentare del sovvenuto, in, Banca , borsa e tit. di cred., 2002, II, 279; X. XXXXXX MAGGIORE, La concessione abusiva del credito e la dichiarazione di fallimento, in, Dir. Fall., 2002, 510; X. XXXXXXX, Concessione abusiva di credito e legittimazione del curatore fallimentare all’esercizio dell’azione di responsabilità, in, Banca, borsa e tit. di cred., 2004, II, 648; ID. , Profili di responsabilità della banca nella concessione del credito, Milano, 2004; X. XXXXXXXX, La
Da tempo gli studiosi si chiedono se le procedure concorsuali siano davvero necessarie o se invece il mercato possa trovare in se stesso la soluzione per gestire il fenomeno della crisi d’impresa, consentendo ad esempio alle banche, ai fornitori e ai finanziatori in genere, di regolamentare l’eventualità di una insolvenza futura dell’impresa, già al momento dell’instaurazione del rapporto contrattuale3.
L’esperienza maturata dai giuristi e dagli economisti, soprattutto negli ultimi venti anni ha indotto gli stessi ha riconsiderare la funzione delle procedure concorsuali giudiziali e amministrative, in una prospettiva nuova, volta ad individuare una diversa e più efficace funzione delle stesse.
In questa ottica, nell’alternativa tra una gestione giurisdizionale o amministrativa dell’insolvenza è emersa la diversa visione, volta ad individuare un diritto della crisi d’impresa, con l’intento di valorizzare il superamento delle situazioni di difficoltà dell’imprenditore, anche attraverso il riconoscimento legislativo degli strumenti di composizione negoziale della crisi, che già in passato avevano acquisito una certa diffusione nella prassi con gli accordi di salvataggio atipici.
Nell’intento di dare una prima qualificazione del fenomeno, parte della dottrina ha utilizzato l’espressione di “privatizzazione della gestione della crisi d’impresa”, così evidenziando la funzione e l’ampiezza che l’autonomia privata esplica in tale settore4. Pur trattandosi di un fenomeno al quale il legislatore ha dedicato solo poche norme, questa rinnovata visione nasce, tra l’altro, dalla considerazione che negli ultimi dieci anni, le crisi finanziarie di importanti gruppi industriali, sono state gestite ricorrendo all’utilizzo di strumenti di natura privatistica.
Le ragioni che inducevano l’imprenditore in difficoltà a ricorrere alla strada degli accordi di salvataggio stragiudiziali con i creditori, privilegiando questo mezzo anche rispetto al concordato preventivo e all’amministrazione controllata possono essere così individuate: 1) nei costi rilevanti delle procedure concorsuali; si pensi ad esempio al compenso del commissario e alle spese di registrazione della sentenza di omologazione del concordato ecc. 2) nella notevole limitazione dei poteri del debitore nella gestione dell’impresa a causa della presenza del commissario xxxxxxxxxx oltre che per il regime autorizzativo previsto ex art 167 L.F. per il compimento di una serie di atti; 3) nell’obbligo di pagare i creditori privilegiati integralmente ed immediatamente subito dopo l’omologazione, mentre nel concordato stragiudiziale la posizione di questi poteva
responsabilità della banca nell’esercizio del credito; abuso nella concessione e rottura nel credito, in,
Banca, borsa e tit. di credito, 2001, I, 280.
3 Cfr. X. XXXXXXXXXXXX, Le crisi d’impresa fra diritto ed economia, Il Mulino, 2007, p. 303; Il quesito se le procedure d’insolvenza siano necessarie è frequente anche nella letteratura straniera: cfr. D.G. XXXXX, A World Without Bankruptcy, in, <<Law & Contemporary Problems>> 50, 1987, pp. 173 e segg. ; X. XXXXXXXX, A Contract Theory Approach To Business Bankruptcy>> in, Yale Law Journal>> 107, 1998, pp. 1807 e segg.; XXXXX e XXXXXXXXX, The end of Bankruptcy.
4 E’ stato detto che ciò comporta il passaggio dal piano della <<Haftung>>, intesa come attuazione della responsabilità patrimoniale attraverso l’esecuzione collettiva concorsuale, al piano della <<Schuld>>, vale a dire alla modifica del rapporto obbligatorio attraverso un atto di autonomia: Così. C. X’XXXXXXXX, Gli accordi di ristrutturazione dei debiti, in, Fallimento e altre procedure concorsuali, Trattato diretto da X. Xxxxxxxxx e X. Xxxxxxx, Milano, 2009, p. 1800.
essere negoziata con maggiore elasticità; 4) nella difficoltà di procurarsi le garanzie reali o personali necessarie per l’ammissione alla procedura5.
Tuttavia la scelta della composizione negoziale della crisi, in mancanza di una disciplina specifica, poteva comportare una serie di effetti negativi, nell’ipotesi di successivo fallimento, sia per il debitore che per i creditori, con conseguenze rilevanti sotto il profilo della responsabilità civile e penale, legate al protrarsi dell’attività di una impresa insolvente.
Altra grave limitazione relativa all’utilizzo degli accordi stragiudiziali atipici conseguiva alla mancanza della possibilità di avvalersi di quelle norme che nell’ambito delle procedure concorsuali prevedono il blocco delle azioni esecutive individuali e il divieto di acquisizione di diritti di prelazione da parte dei creditori (art. 168 l. fall.) così come, in relazione al concordato preventivo e al fallimento, il blocco degli interessi relativi ai crediti chirografari ed il decorso degli interessi legali per quelli privilegiati (art. 169 l.fall.).
L’assenza di un principio di regolazione dei rapporti tra i creditori aderenti e quelli estranei all’intesa, comportava che tutti i creditori dovessero esprimere il loro consenso all’accordo stragiudiziale, con la conseguenza che ogni tentativo di soluzione concordata poteva trovare l’opposizione di alcuni di essi, che cercando di ottenere un pagamento più elevato, votavano contro l’approvazione della convenzione e tentavano di negoziare autonomamente la propria posizione creditoria con gli amministratori dell’impresa.
Altra difficoltà che condizionava l’efficienza delle composizioni stragiudiziali concerneva le eventuali asimmetrie informative, dovute all’assenza di un organo giudiziario dotato di poteri autoritativi che gli consentissero di verificare la veridicità delle prospettazioni offerte dal debitore.
Xxxxxx, con la riforma della legge fallimentare, lo scenario dei rapporti tra autonomia privata e crisi d’impresa si è arricchito di altri elementi, la nuova disciplina pare infatti valorizzare il ruolo dell’autonomia privata e le sue potenzialità nel fronteggiare la situazione in cui versa l‘impresa.
La nuova normativa consente di gestire la crisi in via negoziale, attraverso un ridimensionamento dei profili procedurali e del ruolo del tribunale di <<assistenza>> all’autonomia privata, tanto che è stata utilizzata l’espressione di
<<degiurisdizionalizzazione>> del diritto concorsuale, limitando, con gli accordi di ristrutturazione (art. 182 bis) il controllo giurisdizionale sull’autonomia privata alla fase di omologazione.
In tale contesto, il rapporto tra libertà contrattuale e crisi d’impresa è destinato ad acquisire un ruolo sempre più rilevante6, avendo lo stesso legislatore disciplinato il procedimento di formazione degli accordi, senza porre limiti all’autonomia delle parti nella creazione delle strutture negoziali, teleologicamente dirette ad attuare la
5 C. XXXXX, La soluzione stragiudiziale della crisi d’impresa, in, Riv. Dir. Fall., 1998, pag. 964
6 X. XXXXXXX, Op. ult. Cit., p. 137.
complessiva operazione di ristrutturazione, nel rispetto degli interessi dei creditori e dei terzi in genere.
Ad una visione essenzialmente statica dell’impresa, si sostituisce così, una prospettiva volta a valorizzare la credibilità dell’impresa sul mercato e dunque una considerazione soprattutto dinamica della sua attività.
L’elemento nel quale è destinato a trovare una composizione il conflitto tra autonomia privata e crisi d’impresa, consiste nell’individuazione delle modalità attraverso le quali l’autonomia contrattuale può creare un collegamento virtuoso, fra crisi d’impresa e contratto finalizzato al salvataggio della stessa7.
Sembra dunque, alla luce del nuovo contesto normativo, che nel nostro ordinamento sia stato introdotto un principio in virtù del quale la gestione negoziata della crisi d’impresa, esprime un interesse, di per sé meritevole di tutela, allorché la crisi sia da considerarsi “reversibile” 8.
La ragione economico sociale che secondo la valutazione effettuata dal legislatore della riforma, rende particolarmente meritevole di tutela questi accordi, è quella per cui la gestione della crisi d’impresa, privatamente concordata fra l’imprenditore e la parte più significativa dei suoi creditori, protrebbe generare una quantità di risorse disponibili, superiore a quella che si creerebbe con l’apertura della procedura fallimentare9 .
Questa rinnovata prospettiva non è stata esente da critiche, è stato detto che <<nei secoli, l’insolvenza dell’impresa, mai è stata considerata come una situazione da abbandonare all’autonomia… dei privati>>, ammonendo che <<l’abbandono della crisi dell’impresa all’iniziativa dei “creditori forti” è un fenomeno patologico che non va subito con rassegnazione… ma deve essere rimosso>>10.
Anche in seguito all’emanazione della nuova legge fallimentare non sono mancate autorevoli critiche11 alla valorizzazione del profilo negoziale che è tra le linee ispiratrici della riforma.
7 X. XXXXXXX, Op. ult. Cit., p. 139.
8 Cfr. X. XXXXXXX, Op. ult. Cit., p. 146: “In tale prospettiva è stato detto che gli accordi di ristrutturazione rappresenterebbero <<la fusione tra la disciplina dell’atto e dell’attività>>, in esso trovando composizione gli interessi e i valori sottesi ai due elementi e ai due sistemi di regole, chiamati ad operare in sinergia, attraverso la connessione virtuosa che si instaura tra l’utilizzo del contratto diretto alla gestione della crisi d’impresa e il mercato.”
9 X. XXXXXXX, Il ruolo del trust, nella composizione negoziale dell’insolvenza di cui all’art. 182 bis. l. fall., in, Il Fall., n. 5/2007, p. 598.
10 X. XXXXXXX, Pactum de non petendo, in, Il Fall., 1996, 905.
11 Cfr. X. XXXXX, Introduzione al Convegno di Courmayeur, 23-24 settembre 2005, nota 1. p. 15. Sono state sollevate in particolare le seguenti critiche: 1) qualsiasi soluzione negoziale favorirebbe, fra i creditori, quelli muniti di maggiore forza contrattuale; 2) le posizioni dei vari contraenti sono tra loro difformi e da tale diversità deriverebbero soluzioni ingiuste e soprattutto il modello “premiale” che ne scaturisce allontanerebbe il fallimento dall’insolvenza e sarebbe inefficiente perché incoraggerebbe il lassismo, peggiorerebbe per la generalità dei creditori la qualità del sistema dei pagamenti; esalterebbe il carattere “bancocentrico” del sistema economico; confliggerebbe con la natura stessa del sistema capitalistico , alla cui base vi è la propensione al rischio.
1.2. Alcune precedenti esperienze in tema di concordati stragiudiziali.
Al fine di chiarire il concetto di ristrutturazione dei debiti nell’art. 182 bis e nel tentativo di ricostruire il possibile contenuto di questi accordi, sembra utile un breve esame delle principali caratteristiche degli accordi di salvataggio che hanno interessato i gruppi industriali italiani dello scorso decennio. Infatti pur non esistendo, sotto il profilo contenutistico, caratteristiche necessarie degli accordi di ristrutturazione (art. 182 bis), questo costituisce pur sempre un’ evoluzione del precedente concordato stragiudiziale, il quale presenta caratteristiche comuni o comunque ricorrenti12. Le prime ipotesi di ristrutturazione stragiudiziale del debito, in Italia, hanno trovato applicazione per il risanamento di grandi gruppi industriali13, (Cameli, Belleli, Xxxxxx- Santavaleria, Xxxxxxxx Xxxxxxxx, Tripcovich, Montedison).
I) Nella ristrutturazione che ha interessato il gruppo CAMELI, costituito da circa trecento società, di cui cinque quotate in borsa, bisognava porre rimedio ad una esposizione debitoria nei confronti delle banche di circa duemila miliardi, di cui mille dovuti dalle società operative controllate, le quali avevano anche un rilevante indebitamento commerciale verso i fornitori, e circa mille miliardi dovute dalla holding. I crediti vantati dalle banche nei confronti della holding erano in gran parte irrecuperabili, in quanto trattandosi di una holding pura, all’attivo aveva esclusivamente azioni di società del gruppo, le quali a loro volta versavano in cattive condizioni economiche, per cui i ricavi conseguibili dalla vendita delle società controllate sarebbero stati insufficienti alla restituzione dei debiti verso le banche.
Nella ristrutturazione del gruppo pertanto, il primo obiettivo fu quello di eliminare l’insolvenza della holding, che aveva un patrimonio negativo per centinaia di miliardi; il superamento di questo primo problema, costituiva infatti un passaggio preliminare obbligato affinchè si potesse proseguire nella gestione, senza incorrere in responsabilità penale conseguente alla ritardata richiesta di fallimento e per bancarotta preferenziale, nonché per procedere alla vendita delle società controllate, in quanto il rischio di fallimento della holding, venditrice delle controllate, impediva di trovare potenziali acquirenti disposti a correre il rischio di un’azione revocatoria nell’ipotesi di successivo fallimento della prima. Per superare il problema dell’insolvenza della holding venne stipulata una convenzione interbancaria, alla quale aderirono anche i creditori commerciali più rilevanti; gli aspetti fondamentali della stessa erano i seguenti: 1) messa in liquidazione della holding; 2) moratoria dei debiti per tre anni, senza interessi per la holding e con interessi a tassi convenzionali per le società operative; 3) vendita delle varie società del gruppo, con l’accordo che il corrispettivo rinveniente da tali cessioni, sarebbe stato diviso in primis tra i pochi creditori commerciali della holding, ed in secondo luogo tra le banche (postergate), a saldo e stralcio delle rispettive posizioni creditorie. In particolare le banche, con la firma della convenzione rinunciavano alla parte dei loro crediti verso la holding che sarebbe rimasta incapiente,
12 X. XXXXXXXXXXXX, La Crisi d’impresa fra diritto ed economia, Il Mulino, 2007, p. 317. BELCREDI, Le ristrutturazioni stragiudiziali delle aziende in crisi nei primi anni novanta, Università Cattolica del Sacro Cuore, Milano 1996, p. 268
13 X. XXXXXXX, op a ult. Cit. , p. 488 e segg.; Cfr. X. XXXXXXX, Il Caso Federconsorzi, in, Il Fall., n. 9/1996, p. 849 e segg.
per l’insufficienza degli incassi derivanti dalla vendita delle società partecipate, consentendo così il superamento dell’insolvenza della holding. In tale situazione le banche erano motivate ad aderire alla proposta, essendo quasi tutte creditrici sia della holding che delle società operative controllate, pertanto per salvare i propri crediti verso le società operative, che una volta vendute ad imprenditori in bonis, avrebbero potuto far fronte al loro indebitamento bancario, erano disposte a sacrificare i crediti vantati nei confronti della holding. Alla fine del processo di liquidazione stragiudiziale a fronte della estinzione in bonis della holding, la quale avrebbe conservato soltanto debiti verso il sistema bancario, i quali a loro volta, per la parte non ripagata con ricavi delle vendite delle società operative, sarebbero stati estinti attraverso la rinuncia preventiva contenuta nella convenzione; al contempo le società operative, ad eccezione di quelle per le quali era inevitabile l’assoggettamento ad una procedura concorsuale, erano destinate a ritornare in bonis in modo da far fronte al loro indebitamento bancario.
II) Nella vicenda BELLELI invece, il nucleo del gruppo era costituito da una società operativa indebitata verso banche e fornitori, con un patrimonio netto negativo per svariati miliardi. Nell’ambito di una complessiva ristrutturazione, in un primo momento venne chiesta l’ammissione alla procedura di amministrazione controllata, successivamente si costituì una nuova società con un modesto capitale sociale, la cui proprietà sostanziale era delle banche creditrici, per la precisione i duecento milioni di capitale furono sottoscritti dai due Advisor, i quali contestualmente diedero tutte le azioni in pegno alle banche creditrici. A questa nuova società le banche hanno ceduto tutti i loro crediti non garantiti ad un prezzo simbolico.
Anche i fornitori hanno ceduto ad un prezzo simbolico parte dei loro crediti, mentre per quelli non ceduti hanno accettato una moratoria senza interessi della durata di circa due o tre anni.
Attraverso questa operazione la nuova società è diventata creditrice di svariati miliardi nei confronti della Belleli S.p.a. , e il suo credito è stato utilizzato per coprire le perdite e reintegrare il capitale della Belleli attraverso il meccanismo della compensabilità del credito del socio nei confronti della società con il debito relativo alla sottoscrizione delle azioni emesse in sede di aumento del capitale sociale. In questo modo la Belleli è diventata di proprietà della nuova società e quindi indirettamente delle banche.
Il vantaggio che queste hanno conseguito, nel caso di specie, è stato quello di evitare l’escussione dei performance bonds e delle altre garanzie che le banche avevano rilasciato per centinaia di miliardi, in tal modo attraverso la cessione dei loro crediti, ormai irrecuperabili, le banche hanno ottenuto il riconoscimento della perdita sotto il profilo fiscale, così facendo, hanno potuto ricapitalizzare la Belleli , e la prosecuzione dell’attività sociale ha consentito di evitare l’escussione dei performance bonds rilasciati.
Il principale costo per le banche aderenti al piano, è stata la “nuova finanza” erogata per consentire la prosecuzione dell’attività
III) Nel caso FERRUZZI14, il nucleo del gruppo era rappresentato dalla società non operativa Xxxxxxxx Xxxxxxxx s.r.l. in cui attivo patrimoniale era costituito in larghissima parte dalla partecipazione nella Ferfin S.p.a..
Lo stato di crisi della società fu causato da due fattori determinanti: a) il pagamento della quota di liquidazione di Xxxx Xxxxxxx e Xxxxx Xxxxxxxx , per oltre cinquecento miliardi, che venne effettuato ricorrendo ad un massiccio indebitamento bancario; b) la forte svalutazione della partecipazione nella Ferfin S.p.a. , il cui valore diminuì dagli originari 1900 a 16 miliardi.
In seguito a questi accadimenti la Xxxxxxxx Xxxxxxxx presentava un passivo di oltre 1000 miliardi e un patrimonio netto negativo di 966 miliardi.
Per rimediare a questa situazione ed evitare il fallimento della Xxxxxxxx Xxxxxxxx e della maggior parte delle sue controllate, la famiglia Xxxxxxxx avviò trattative con le banche creditrici per la conclusione di un piano complessivo di risanamento del gruppo, i cui aspetti fondamentali erano i seguenti:
a) estinzione di tutti i debiti nei confronti delle banche, in parte attraverso la loro remissione e in parte attraverso lo loro conversione in partecipazioni sociali;
b) rinuncia da parte della Xxxxxxxx Xxxxxxxx , a tutti i crediti vantati nei confronti della Xxxxxxxx Xxxxxxxx Italia s.r.l., che costituivano l’unica passività della seconda.
IV)Nel piano di ristrutturazione che ha interessato il gruppo TRIPCOVICH15, la singolarità è che questo non è stato espressione dell’autonomia privata dell’impresa in crisi e dei suoi creditori, essendo stato invece predisposto e attuato dal curatore e dal giudice delegato nel contesto della procedura fallimentare cui era stata sottoposta la società capogruppo.
Al momento della dichiarazione di fallimento, il passivo della holding del gruppo era costituito in prevalenza da debiti verso le banche. I crediti vantati da queste nei confronti della holding erano in larga misura irrecuperabili, in quanto trattandosi di una holding pura, all’attivo aveva quasi esclusivamente azioni emesse da società del gruppo, le quali versavano tutte in stato di illiquidità, per cui in tale situazione, i ricavi conseguibili dalla vendita delle società controllate sarebbero stati del tutto insufficienti ad estinguere i debiti verso gli istituti di credito.
Per tali ragioni gli obiettivi perseguiti, nel progetto di ristrutturazione furono, in primo luogo, quello di garantire la continuità dell’attività produttiva delle società controllate al fine di preservare il valore economico delle aziende; in secondo luogo quello di mantenere in bonis le società operative, in modo da consentire la vendita e il realizzo almeno parziale dei crediti vantati nei loro confronti.
Per conseguire il primo risultato gli organi della procedura hanno autorizzato gli amministratori delle controllate alla conclusione di contratti di affitto di azienda, mediante gare informali svolte sotto il controllo del giudice delegato del fallimento, prescrivendo altresì che gli affittuari presentassero un’offerta irrevocabile di acquisto ad
14 X. XXXXXXX, Il caso Xxxxxxxx Xxxxxxxx S.r.l., in, Il Fall., 1996, p. 343 e ss.
15 X. XXXXXXX, Il caso Xxxxxxxxxx, in, Il Fall., 1996, p. 833.
un prezzo determinato e che in caso di loro sottoposizione a procedura concorsuale, l’affittante avrebbe potuto recedere dal contratto.
Per realizzare invece il secondo obiettivo si è chiesta in primo luogo l’ammissione delle due sub holding del gruppo, che controllavano quasi tutte le società operative e che erano state poste in liquidazione, alla procedura di amministrazione controllata; è stata poi costituita una nuova società con capitale detenuto dalle varie banche creditrici in proporzione ai crediti rispettivamente vantati nei confronti del gruppo. A questa nuova società le banche hanno ceduto al valore nominale tutti i loro crediti chirografari verso le società controllate. Attraverso queste operazioni, la nuova società è divenuta la principale creditrice delle società operative e ha utilizzato le posizioni creditorie acquisite per convertirle in capitale sociale delle sub holding, nella misura necessaria per ripianare le perdite subite e ricostituire il capitale sociale; contestualmente è stato revocato lo stato di liquidazione delle sub-holdings.
1.3. Le esperienze di alcuni ordinamenti stranieri. (Cenni.)
Negli ordinamenti europei e del Nord America si è affermata la tendenza a favorire procedure dirette in primo luogo alla ristrutturazione delle imprese in crisi, e solo in via di extrema ratio alla liquidazione del complesso produttivo nella prospettiva fallimentare. Il modello di riferimento che ha influenzato gli ordinamenti dei paesi europei è quello della Reorganization, prevista negli Stati Uniti d’America.
I) In Francia16 la procedura di composizione stragiudiziale della crisi ha come obiettivo primario il risanamento dell’impresa e si svolge sotto la direzione di un giudice che ha il compito di valutare la fattibilità del piano di risanamento presentato dall’imprenditore, disponendone l’omologazione. Nell’esercizio di queste funzioni al giudice è concesso un ampio potere in merito alla possibilità di richiedere informazioni, di disporre perizie avvalendosi di consulenti per indagare sulla situazione economica, sociale e finanziaria dell’impresa. In Francia ad una prima riforma della disciplina dell’insolvenza introdotta nel 1984, hanno fatto seguito nel 1994 e poi nel 2005 numerose modifiche.
Con la riforma del 1984, furono introdotte il Reglement amiable des difficultès des entreprises, disciplinato dalla l. n. 48-148 del 1984, il Redressement judiciaire des entreprises, disciplinato dalla l. n. 85-98 del 1985.
Con la riforma del 1994 vi è stata una accentuazione del regime di prevenzione, attraverso un rafforzamento delle c.d. “misure di allerta”, che consentono all’autorità giudiziaria di venire tempestivamente a conoscenza di una situazione di difficoltà, una valorizzazione del règlement amiable e la modifica del redressement judiciaire.
16 Cfr. GUERNELLI, La riforma delle procedure concorsuali in Francia e in Italia, in, Dir. Fall., 2008, I, pag. 258; XXXXXXXX, Le redressement judiciaire des entreprises, Milano, 1989, pagg. 10 e segg.; RANGONI, La prevention des difficultès des entreprises nella legge francese di riforma n. 475 del 10 giugno 1994, in, Dir. Fall., 1996, I, pagg. 269 e segg.; XXXXX, La nuova legge francese sull’insolvenza, in, Giur. Comm., 1986, I, p. 625; ID. Modelli Europei e scelta fra sistemi a gestione giudiziaria o amministrativa, in, Fall., 1998, p. 952;
A seguito della riforma del 2005 introdotta con la Loi de sauvegarde des entreprises, le procedure vigenti sono le seguenti: Mandatarie ad hoc, Conciliation, Sauvegarde, Redressement Judiciaire, Liquidation judiciarie, in particolare il règlement amiable, che poteva essere utilizzato da qualsiasi imprenditore commerciale individuale o collettivo o da associazioni è stato sostituito da due procedure preventive: la conciliation e la sauvegarde.
Con la procedura di conciliation qualora il debitore si trovi in difficoltà economiche o in stato di cessazione dei pagamenti può tentare sotto il controllo del tribunale una sistemazione amichevole con i propri creditori. Il tribunale provvede così alla nomina di un conciliateur, il quale ha a disposizione quattro mesi, salvo proroga, per favorire la conclusione dell’accordo. Quest’ultimo viene omologato se consente la prosecuzione dell’attività d’impresa e la fine dello stato di cessazione dei pagamenti, in caso contrario la procedura si estingue automaticamente.
I creditori che concedono dilazioni o finanziamenti per la prosecuzione dell’attività d’impresa vengono pagati con preferenza rispetto a quelli anteriori all’inizio della procedura.
La sauvegarde è invece un istituto nuovo riservato al debitore in difficoltà, ma non in stato di cessazione dei pagamenti, essa costituisce l’istituto più importante della riforma ed è finalizzata alla riorganizzazione dell’impresa al fine di consentire la prosecuzione dell’attività, il mantenimento dei posti di lavoro e la regolazione del passivo.
L’istituto può essere applicato non solo agli imprenditori ma anche ai soggetti che svolgono un’attività professionale. L’apertura della procedura consente la sospensione delle azioni esecutive individuali. La disciplina prevede che il debitore debba presentare un progetto di risanamento da sottoporre ai due comitati dei creditori previsti: uno costituito dagli istituti di credito e l’altro dai principali fornitori.
Il piano è sottoposto al voto e si considera approvato se raggiunge i 2/3 dei crediti complessivi e il 50% degli aventi diritto al voto; raggiunte le maggioranze il tribunale procede all’omologazione.
II) In Germania17 con la riforma del 1994 è stata introdotta una procedura denominata Insolvenzordung, con la quale è stata eliminata l’alternativa tra fallimento e concordato preventivo, sostituendo entrambi con un procedimento unitario ed elastico che si basa sulla predisposizione di un Insolvenzplan, con il quale si può prevedere la conservazione dell’impresa oppure la sua liquidazione qualora il risanamento non sia realizzabile.
La caratteristica fondamentale del modello tedesco è l’estrema elasticità della procedura, nell’ambito della quale è possibile in qualsiasi momento presentare un “piano di insolvenza”, il cui contenuto è modellato dall’autonomia privata dell’imprenditore e dei suoi creditori, oppure dal curatore, e che deve poi essere sottoposto all’omologazione del giudice; quest’ultima comporta la sospensione
17 Cfr. XXXXXXXXXXXX X. Il diritto concorsuale tedesco tra risanamento e liquidazione, in, Giur. Comm., 2003, I, 155.
dell’eventuale procedura di liquidazione già iniziata ed eventualmente anche il mantenimento dell’impresa in capo all’imprenditore.
Vi è inoltre la possibilità di dividere i creditori in classi attuando dei trattamenti differenziati.
III) In Spagna18, la disciplina delle procedure concorsuali è stata riformata con la “ley n. 00/0000 xx 0 xx xxxxx, xxxxxxxxxxx”, xxxxxxx xx xxxxxx il 1° settembre 2004.
Con la legge di riforma è stato disciplinato un procedimento concorsuale dalla struttura unitaria che si sostituisce ai diversi procedimenti disciplinati in precedenza in maniera frammentaria sulla base di presupposti diversi.
Il nuovo procedimento si chiama “el concurso” e si applica sulla base dell’unico presupposto oggettivo costituito dallo stato d’insolvenza, indifferentemente sia alla persona fisica che alla persona giuridica. La nuova procedura pur avendo una struttura unica, può perseguire finalità diverse, in quanto dopo una fase iniziale comune, si possono adottare soluzioni liquidatorie o invece di risanamento dell’impresa in crisi. Inoltre con la legge di riforma è stata prevista la creazione di una magistratura specializzata in materia concorsuale, ovvero dei Tribunali commerciali: Juzgados de lo Mercantil.
Al concorso possono essere sottoposti tutti i debitori insolventi, è prevista una procedura abbreviata per le ipotesi di passivo molto esiguo.
Il concorso può essere volontario se si apre su richiesta del debitore, oppure necessario se si apre su richiesta dei creditori.
Il presupposto oggettivo della procedura è lo stato d’insolvenza inteso come incapacità di adempiere regolarmente le proprie obbligazioni, la legge di riforma non fa invece nessun riferimento al concetto di stato di crisi.
Il legislatore spagnolo, non ha previsto un sistema privatistico di rimozione dell’insolvenza mediante un concordato stragiudiziale, né ha attribuito al “concurso”, una finalità conservativa.
IV) Anche in Portogallo19 è stata di recente introdotta una riforma delle procedure concorsuali, infatti con il decreto legge n. 53 del 18 marzo 2004 è stato approvato il Codice di insolvenza e recupero delle imprese (Còdigo da Insolvencia e da Recuperacao de Empresas) entrato in vigore il 15 settembre 2004.
In caso di insolvenza, il debitore, anche persona fisica può ricorrere sia alla liquidazione del patrimonio, sia alla realizzazione di un piano di insolvenza approvato dai creditori e omologato dal giudice, tendente al recupero dell’impresa. Si tratta tuttavia di un procedimento unitario, denominato processo d’insolvenza che ha come obiettivo il
18 Cfr. X. XXXXXXXXX, Le Soluzioni Giudiziaria delle crisi d’impresa. La gestione della crisi nel diritto spagnolo e italiano, in, Riv. Dir. Fall., Padova, 2009, pag. 125 e segg.; XXXXX XXXXXX XXXXXXX XXXX, Funzione conservativa del “concurso de acreedores”, nella riforma del diritto fallimentare spagnolo, in, Dir. Fall., 2004, pagg. 760 e segg.
00 Xxx. XX XXXXXXXX XXXXXXXXX, XXXX XXXXXXX, Profili generali del nuovo regime dell’insolvenza nel diritto portoghese, in, Dir. Fall., 2004, I, pag. 1418.
soddisfacimento dei creditori. Prevale in ogni caso la finalità di tutelare i creditori, rispetto a quella di risanamento dell’impresa in difficoltà.
V) Nel Regno Unito la disciplina dell’insolvenza è contenuta nell’Insolvency Act, del 1985 e del 1986, nonché nell’Enterprise Act, del 2002 entrato in vigore il 1° aprile 2004. Sono previste diverse procedure20: la Administration procedure, la Administrative receivership procedure, lo Scheme of Arrangements (Company voluntary Arrangement) regolato adesso dal Companies Xxx 0000.
Il debitore persona fisica può adottare, in caso di insolvenza, due soluzioni: ricorrere all’Individual voluntary Arrangement, che consiste in un accordo con i creditori, in virtù del quale l’obbligato continua a mantenere la gestione dei propri beni; oppure può ricorrere ad una procedura di liquidazione (bankruptcy).
L’Amministrative receivership, disciplinato nella parte III dell’Insolvency Act, consiste invece in una procedura con cui i creditori privilegiati in possesso del floating charge, (un particolare tipo di garanzia su beni o attività, soggetti a mutare di consistenza, come ad esempio il magazzino) hanno il diritto di nominare un Administrative receiver, il quale dovrà adottare tutte le decisioni necessarie per il salvataggio dell’impresa, tutelando gli interessi dei creditori che lo hanno nominato (charge holder). I creditori che non dispongono di una floating charge possono nominare un commissario liquidatore, per cui gli stessi non potranno esigere i loro crediti individualmente.
L’Administration procedure, è disciplinata nella parte II dell’Insolvency Act, prevede la nomina di un administrator, e si presenta come un procedimento flessibile con il quale si possono conseguire finalità diverse: il risanamento dell’impresa, oppure la composizione concordata dell’insolvenza, oppure la liquidazione dell’impresa. Caratteristica della procedura è che la nomina del soggetto incaricato della predisposizione del piano per il superamento della crisi ed eventualmente anche della gestione della società può provenire dai creditori o dalla stessa società (company) e deve essere accompagnata da una relazione (report) predisposta da una persona indipendente ed in possesso di conoscenze approfondite sulla situazione dell’impresa, ma che non ha legami (connections) con la società.
La prassi di ricercare soluzioni alla crisi d’impresa senza l’intervento dell’Autorità Giudiziaria, si è talmente sviluppato e consolidato in Gran Bretagna fin dagli anni settanta da essere noto come London Approach21, esso non si basa su un codice formale, ma piuttosto sul consenso, la persuasione e la collegialità, dell’azione delle banche, al fine di contemperare gli interessi dei vari creditori dell’impresa in difficoltà. Il London Approach, si fonda dunque sull’azione coordinata delle banche che partecipano al salvataggio, le quali rinunciano all’esercizio individuale delle azioni esecutive, sul patrimonio del debitore, e partecipano insieme alle spese.
20 FINCH, Company Insolvency Law, Cambrige, 2002, 211 e segg.
21 KENT, The London Approach, in, Journ. Int. Law pract. , 1993, 81; KENT, Corporate workouts: a UK perspective, in, Int. Insolv. Rev., 1997, 165; BRITISH BANKER’S ASSOCIATION, Description of the London Approach, London 1996; e segg.; FLOOD, Corporate recovery: the London Approach, in, Ins. Law pratice, 1995, 82; XXXXXX-XXXXXX, Xxxxx in private insolvency procedures: the “London Approach” to the resolution of financial distress, in, Journ., c. l.s., 2001, 21.
Nell’ambito della procedura, un ruolo di mediazione e coordinamento è svolto dalla Bank of England, che esercita anche una funzione di persuasione rispetto alle banche meno inclini ad aderire all’accordo. Il principale limite del London Approach, viene individuato nei costi elevati, derivanti dalla necessità di ricorrere a consulenti specializzati. Gli accordi conclusi con il London Approach, si fondano sulla freedom of contract, e ad essi si applica il principio di relatività degli effetti negoziali, per cui nessun creditore può essere pregiudicato senza il suo consenso dalla stipulazione di un accordo di risanamento, né può essere costretto ad acconsentirvi. Inoltre la conclusione dell’accordo di salvataggio non preclude ai creditori esclusi di intraprendere azioni esecutive individuali.
Il modello inglese si è imposto anche in alcuni paesi dell’estremo oriente, quali Hong Kong, Indonesia, Thailandia22.
VI) Negli Stati Uniti d’America la legge fallimentare è disciplinata dal Title 11 Bankruptcy dello United States Code. La procedura si caratterizza per aspetti peculiari a cominciare dal fatto che gli Stati Uniti sono presenti giudici specializzati in materia fallimentare: le Bankrupcty Courts. Particolarmente rilevante è la procedura di Reorganization (Chapter 11, del Title 11) che nel novantacinque per cento dei casi viene promossa su iniziativa del debitore al fine di superare delle difficoltà finanziarie, pertanto è sufficiente che questi provi di avere dei debiti, non essendo necessaria la sussistenza di un vero e proprio stato di insolvenza. Nell’ipotesi in cui siano i creditori a promuovere la procedura, per la verità rari, questi devono provare di non essere stati pagati dal debitore alla scadenza o che il patrimonio dell’impresa è stato sottoposto ad azioni esecutive o cautelari, nei centoventi giorni precedenti. Il Tribunale fallimentare ammette l’impresa alla procedura di Reorganization se la considera in grado di affrontare e superare la crisi senza pregiudicare le ragioni dei creditori. Il debitore ammesso alla procedura può continuare a gestire l’impresa nell’interesse dei creditori. Viene inoltre costituito il comitato dei creditori in rappresentanza degli interessi dei soli creditori chirografari. Durante la procedura si crea lo stato di automatic stay, ovvero la sospensione istantanea di tutte le azioni esecutive poste in essere dai creditori. Entro centoventi giorni dall’avvio della procedura il debitore predispone un piano che può prevedere anche operazioni societarie straordinarie come una fusione o la cessione di un ramo d’azienda o dell’intera impresa. I vari creditori vengono suddivisi in classi. Il piano di riorganizzazione viene divulgato e sottoposto alla votazione dei creditori. Il giudice valuta eventuali opposizioni e procede all’omologazione. Una caratteristica di questa procedura è la regola del cram down, secondo cui se c’è almeno una classe di creditori a favore dell’accordo, questo si impone anche ai creditori dissenzienti, purchè questi non ricevano un trattamento inferiore a quanto potrebbero ricevere dalla liquidazione dell’azienda. L’omologazione comporta per il debitore l’obbligo di procedere al pagamento dei suoi debiti secondo quanto pattuito nel piano approvato. Sempre entro centoventi giorni dall’avvio della procedura il debitore deve predisporre una dichiarazione in cui spiega le cause della crisi e illustra le iniziative per superarla. In caso di mala gestio, il comitato dei creditori può richiedere al Tribunale la nomina di un trustee che vigila sull’operato degli amministratori.
22 Cfr. XXXXX, Corporate recovery and rescue. Mastering the key strategies necessary for successful cross border workouts: part. 1, in, Insolv. Int., 2000, 17.
L’imprenditore americano considera la Reorganization una scelta strategica per affrontare una situazione di instabilità finanziaria e, di conseguenza, capita spesso che la procedura venga avviata prima ancora del verificarsi di uno stato d’insolvenza. Inoltre, gli accordi stragiudiziali hanno un’incidenza molto più elevata rispetto alle istanze fallimentari. Tutto ciò fa si che spesso negli Stati Uniti, si cerchi di contenere i tempi in centoventi giorni e che ci siano casi in cui la procedura concorsuale si sia conclusa in meno di un mese. La procedura di Reorganization, può essere preceduta dalla stipulazione dei c.d. prepetition agreements23, ovvero da accordi che precedono la richiesta di ammissione alla procedura di Reorganization, regolata dal Chapter 11 dello U.S.C., tale possibilità è espressamente riconosciuta dalla stessa disciplina positiva. L’utilità di questi accordi consiste nel procurarsi il preventivo consenso dei creditori più importanti alla conclusione del piano di riorganizzazione, e dunque di poter accedere alla procedura giudiziale prevista dal Chapter 11, con più alte possibilità di successo. I principali vantaggi dell’acquisizione preventiva del consenso dei creditori, rispetto all’ipotesi in cui viene richiesta prima l’ammissione alla procedura di Reorganization, per poi procedere alla negoziazione con i creditori, consiste nella possibilità di instaurare delle trattative con i creditori con la massima libertà di determinare xxxx e tempi di conclusione dell’accordo, nonché di semplificare l’assetto di interessi da raggiungere con gli stessi. Un controllo successivo della Bankruptcy Court è previsto dalla section 1129, la quale subordina la confirmation, alla sussistenza del requisito della proposizione in buona fede (good faith), nell’ipotesi in cui l’Autorità Giudiziaria rilevi la mancanza del requisito della buona fede, viene negato l’accesso alla procedura prevista dal Chapter 11, ed il debitore è assoggettato a fallimento. Si tratta in ogni caso di una procedura che valorizza molto l’autonomia privata, in quanto l’assetto finale degli interessi è il frutto della libera contrattazione tra il debitore e i suoi creditori.
VII) La legislazione argentina sulla crisi d’impresa, prevede l’istituto dell’acuerdo preventivo extrajudicial24. Si tratta di un istituto giuridico il cui nucleo essenziale è rappresentato da un accordo di natura privatistica, ma suscettibile di ottenere l’omologazione da parte del giudice. L’accordo non necessariamente deve coinvolgere tutti i creditori, esso inoltre viene considerato valido ed efficace anche in mancanza dell’omologazione da parte del giudice. Nella determinazione del contenuto del contratto le parti godono della più ampia autonomia negoziale. La legge non disciplina gli effetti dell’accordo rispetto alle posizioni dei terzi: garanti e condebitori solidali. La legge argentina prevede che nell’ipotesi in cui, successivamente alla stipulazione dell’accordo, sia dichiarato il fallimento dell’imprenditore, non sia possibile contestare gli atti compiuti da quest’ultimo in conformità a quanto previsto nell’acuerdo medesimo. La disciplina prevista dalla legislazione argentina, per certi versi è ancora più liberale di quella americana, poiché diversamente da quest’ultima l’intero accordo si forma stragiudizialmente, prima del deposito dell’istanza di omologazione al giudice,
23 KIRSCHENER, Prepackaged bankruptcy, plans: the deleveraging tool of the ’90 in the wake of OID and tax concerns, in, Seton Hall law rev., 1991, 660.
24 Cfr. XXXXXX XXXXXXXX, Acuerdo preventivo extrajudicial, Buenos Aires, 2003, 77; ALEGRIA, El Acuerdo preventivo extrajudicial no homologado, in, Derecho concursual argentino e iberoamericano, I, Buenos Aires, 1997, 23 e segg.; BACQUET-HERBAUX, Le règlement des difficultès des entreprises, en Argentine, in, Rev. Dr. Aff. Int., 2000, 240.
quest’ultima costituisce infatti soltanto una forma di controllo successivo. L’accordo una volta omologato è vincolante anche per i creditori dissenzienti.
1.4. Rapporti con altre ipotesi di ristrutturazione: premessa.
I termini “ristrutturazione” e “risanamento” vengono utilizzati dal legislatore italiano e dai giuristi, più volte e in diversi contesti, in particolare con riferimento ai concordati stragiudiziali, nel Concordato preventivo, negli Accordi di ristrutturazione dei debiti ex art. 182 bis l.fall. nell’ambito della disciplina dell’Amministrazione Straordinaria delle grandi imprese in stato di insolvenza (Xx.xx. 8 luglio 1999 n. 270) e della Ristrutturazione Industriale delle grandi imprese in stato di insolvenza (L. 18 febbraio 2004 n. 347). E’ opportuno pertanto evidenziarne gli elementi di somiglianza e di diversità, al fine di delineare il rapporto, complementare o alternativo tra gli accordi di ristrutturazione e le altre fattispecie di ristrutturazione disciplinate, e di individuare l’ambito di applicazione degli accordi di ristrutturazione ex art. 182 bis.
1.4.1. I limiti del concordato stragiudiziale.
L’accordo di salvataggio atipico, utilizzato dalla prassi già in epoca antecedente la riforma della legge fallimentare, si differenziava dall’attuale accordo di ristrutturazione dei debiti (art. 182 bis l. fall) , in quanto25, la sua disciplina era interamente plasmata dall’autonomia privata; il suo fine era quello di eliminare il presupposto per l’applicazione della procedura fallimentare, ovvero lo stato d’insolvenza, e veniva considerato in linea di massima, meritevole di tutela da parte dell’ordinamento26 (art. 1322 comma 2 cod. civ.). In passato la giurisprudenza27 ha sempre valutato con una certa diffidenza i concordati stragiudiziali, ritenendoli ammissibili, generalmente, solo per quelle situazioni di crisi reversibili, dunque insuscettibili di sfociare in un vero e proprio stato d’insolvenza; in questa prospettiva erano considerati leciti soltanto i concordati stragiudiziali proposti da un imprenditore non insolvente, che utilizzava tale soluzione per soddisfare i propri creditori attraverso pagamenti a saldo e stralcio o dilazionati.
In secondo luogo si riteneva che l’imprenditore commerciale in stato di insolvenza avesse l’onere di chiedere il proprio fallimento, per cui qualora questi, anziché sottoporsi ad uno dei procedimenti concorsuali legislativamente disciplinati, avesse tentato la via del concordato stragiudiziale, al quale poi fosse seguito un aggravamento, anziché l’eliminazione del dissesto, venivano ravvisati in tale condotta gli estremi del reato di bancarotta semplice di cui all’art. 217 n. 4 l. fall., con conseguente nullità del
25 Sostengono la tesi della natura di procedura concorsuale autonoma, con caratteristiche proprie, soprattutto: X. XXXXXXXXXX XXXXX, Gli accordi di ristrutturazione dei debiti, un nuovo procedimento concorsuale, Padova 2009, p. 36 e segg.; nonché X. XXXXXXXXXXXX, Diritto fallimentare, Torino, 2007, p. 345 e segg.
26 Cfr. X. XXXXXXXXX, Accordi di ristrutturazione dei debiti, commento sub. Art. 182 bis, in, Xxxxxx commentato del fallimento, diretto da X. Xx Xxxxxx, Ipsoa, 2008, p. 1605 e segg.
27 Cfr. Trib. Ferrara, 28 giugno 1980, in, Giur. Comm., 1981, II, p. 306
concordato stragiudiziale ex art. 1418 cod. civ. per violazione di una norma imperativa. La giurisprudenza inoltre giungeva a ravvisare anche gli estremi del reato di bancarotta
c.d. preferenziale, di cui all’art. 216 comma 3 l. fall., nelle ipotesi in cui il fallito, allo scopo di favorire, in danno dei creditori, qualcuno di essi, avesse eseguito pagamenti o simulato titoli di prelazione.
1.4.2. L’articolo 67 comma 3 lett. d): il piano di risanamento attestato.
Con la nuova legge fallimentare è stata introdotta nell’articolo 67 comma 3 lett. d) una ipotesi di esenzione dall’azione revocatoria per gli atti, i pagamenti e le garanzie concesse su beni del debitore, purchè posti in essere in esecuzione di un piano che appaia idoneo a consentire il risanamento dell’esposizione debitoria dell’impresa e ad assicurare il riequilibrio della sua situazione finanziaria, la cui ragionevolezza sia attestata da un professionista iscritto nel Registro dei revisori e che abbia i requisiti previsti dall’art. 28 lett. a) e b) ai sensi dell’art. 2501 bis comma 4 cod. civ. Questo articolo costituisce l’unica norma dedicata al nuovo istituto, il cui fine economico è quello di avviare e consolidare un’efficace e virtuoso processo di ritorno al valore (turnaround).
E’ stato evidenziato, come il profilo dell’esenzione dall’azione revocatoria sia stato l’aspetto principale preso in considerazione dal legislatore, per tutelare i creditori aderenti alle nuove soluzioni concordate della crisi d’impresa28. In realtà rispetto agli accordi di ristrutturazione (art. 182 bis) i piani attestati di risanamento ex art. 67 lett. d)
l. fall. sono caratterizzati da un grado di autonomia dell’impreditore in crisi, ancora maggiore, trattandosi di un atto predisposto da questi in maniera unilaterale, senza la necessità dell’adesione dei creditori e per il quale non è prevista alcuna forma di pubblicità preventiva o di controllo giudiziale. La stabilità degli effetti degli atti attuativi del piano di risanamento si ricollega dunque esclusivamente alla previsione dell’art. 67 lett. d) l. fall.. Secondo un autore, il piano attestato di risanamento sarebbe astrattamente utilizzabile, da qualsiasi imprenditore, anche se non soggetto alla legge fallimentare è ciò in considerazione della meritevolezza degli interessi perseguiti con lo stesso29; è stato però evidenziato che l’esenzione introdotta dall’art. 67 comma 3 lett. d)
l. fall. ha una sua giustificazione ed una sua rilevanza solo se rapportata ad un successivo eventuale fallimento dell’imprenditore30.
La circostanza che non sia necessaria l’adesione dei creditori al piano di risanamento, ha fatto ritenere che il presupposto oggettivo per utilizzare questo strumento, consista in una mera difficoltà transitoria dell’impresa, di carattere finanziario sicuramente gestibile all’interno della stessa, senza la necessità dell’adesione dei creditori, in quanto
28 Cfr. C. D’AMBROSIO, Gli accordi di ristrutturazione dei debiti, in, Fallimento e altre procedure concorsuali, Trattato a cura di X. Xxxxxxxxx e X. Xxxxxxx, Utet, Milano, 2009, p. 1827.
29 Così: FERRO, Piano attestato di risanamento, in, Ferro (a cura di) Le insinuazioni al passivo, I, Padova, 2005, p. 546.
30 Così G.B. NARDECCHIA, Crisi d’impresa, autonomia privata e controllo giurisdizionale, Milano, 2007, p. 114.
comunque insuscettibile di sfociare in un vero e proprio stato d’insolvenza31. Per le ipotesi in cui, invece la crisi dell’impresa si manifesta in maniera più grave, rendendo necessaria l’adesione dei creditori, allora trova applicazione l’istituto degli accordi di ristrutturazione dei debiti ex art. 182 bis l. fall..
In questa prospettiva, troverebbe una giustificazione la mancanza di una procedura di controllo giudiziario sull’impresa in crisi, per l’ipotesi del piano di risanamento, trattandosi in questo caso di ipotesi di difficoltà finanziaria meno gravi, caratterizzate dalla mancanza di ogni manifestazione esteriore; al contrario nell’ipotesi disciplinata dall’articolo 182 bis l. fall., la maggiore gravità dello stato di crisi, e l’esigenza di tutelare più intensamente i creditori dell’imprenditore insolvente, impongono un controllo giudiziale che si esplica attraverso l’omologazione.
E’ stato affermato che secondo l’impianto della nuova legge fallimentare le soluzioni negoziate della crisi d’impresa che prevedono una forma di controllo giurisdizionale sono destinate a quelle situazioni di crisi più grave ed eventualmente prodromiche allo stato d’insolvenza.
Tuttavia l’art. 48 del D.L. 31 maggio 2010 n. 78 e la successiva legge di conversione con modificazioni del 30 luglio 2010 n. 122 in vigore dal 31/7/2010, hanno introdotto importanti modifiche nella disciplina dei piani attestati e degli accordi di ristrutturazione, in particolare quest’ultima ha introdotto un’ipotesi di esenzione dai reati di bancarotta, disponendo che le disposizioni di cui all’articolo 216 terzo comma l. fall. , riguardante la c.d. “bancarotta preferenziale”32 , nonché l’art. 217 l. fall. relativo al reato di bancarotta semplice33, non si applicano ai pagamenti e alle operazioni compiute in esecuzione di un concordato preventivo (art. 160 l. fall.), o di un accordo di ristrutturazione dei debiti omologato (art. 182 bis l. fall.) ovvero del piano di risanamento di cui all’art. 67 comma 3 lett. d) l. fall.
In questo modo oltre all’aspetto relativo all’esenzione dall’azione revocatoria (art. 67 comma 3 lett. d), è stata introdotta un’ulteriore importante tutela per l’imprenditore, relativa ai possibili risvolti penali di un fallimento successivo, e sotto tale profilo il legislatore ha previsto, lo stesso livello di tutela sia per le soluzioni di definizione concordata della crisi che prevedono una forma di controllo giurisdizionale sugli accordi raggiunti con i creditori, come avviene nel concordato preventivo (art. 160 l. fall.) e negli accordi di ristrutturazione del debito (art. 182 bis l. fall.) sia per l’ipotesi in cui manchi completamente una forma di controllo giudiziario come avviene nel caso del piano di risanamento attestato (art. 67 comma 3 lett. d)34, in cui il raggiungimento del
31 Cfr. C. D’AMBROSIO, Gli accordi di ristrutturazione dei debiti, in, Fallimento e altre procedure concorsuali, Trattato a cura di X. Xxxxxxxxx e X. Xxxxxxx, Utet, Milano, 2009, p. 1829.
32 Cfr. F. ANTOLISEI, Manuale di diritto penale, leggi complementari, II, I reati fallimentari, Milano, 2001, pagg. 84 e segg.
33 Cfr. . F. ANTOLISEI, Manuale di diritto penale, leggi complementari, II, I reati fallimentari, Milano, 2001, pagg. 95 e segg.
34 Prima che la Legge 122/2010, introducesse questa esenzione per i reati di bancarotta preferenziale e semplice, secondo l’opinione prevalente in dottrina, nell’ipotesi di accordo di ristrutturazione dei debiti omologato, salva l’ipotesi di dolo non si sarebbero potuti contestare agli amministratori, responsabilità civili o penali, né per il ritardato fallimento, né per aver effettuato pagamenti preferenziali. Al contrario, nel caso del piano di risanamento attestato ex art. 67 comma 3, lett. d) l. fall. nell’ipotesi in
riequilibrio finanziario dell’impresa, è rimesso ad un piano di riorganizzazione elaborato dall’imprenditore e dai suoi consulenti.
Il piano di risanamento attestato presenta dunque maggiori problemi dal punto di vista della tutela degli interessi dei creditori, sfuggendo ad ogni controllo da parte di questi. Alla luce di queste considerazioni sarebbe illogico sostenere, che il contenuto del piano di risanamento ex art. 67 comma 3 lett. d) sia più ampio della ristrutturazione di cui all’art. 182 bis, perché soltanto nella prima ipotesi sarebbe possibile realizzare operazioni straordinarie, quali cessioni di assets, fusioni ecc., invero se la legge consente all’imprenditore di porre in essere queste operazioni in maniera unilaterale nell’ambito di un piano di risanamento attestato, a maggior ragione gli deve essere consentito nell’ambito di un accordo di ristrutturazione (art 182 bis) che necessariamente vede l’adesione di una parte qualificata del ceto creditorio ed è sottoposto ad una forma di controllo giurisdizionale attraverso l’omologazione.
1.4.3. Concordato preventivo e accordi di ristrutturazione, tra alternatività e complementarità.
Una parte minoritaria della dottrina35 e della giurisprudenza36 qualifica gli accordi di ristrutturazione (art. 182 bis l.fall) come un’ipotesi semplificata di concordato preventivo, più snella in quanto priva delle fasi di ammissione e di votazione, sotto questo profilo è stato fatto un parallelo con il diritto concorsuale statunitense affermando che tra gli Accordi di ristrutturazione e il concordato Preventivo sussisterebbe lo stesso rapporto che intercorre tra la Prepackaged bankruptcy37, e la Corporate Reorganization.
Per i fautori della tesi concordataria o pubblicistica dunque, la differenza tra i due istituti si tradurrebbe in un risparmio di tempo, in quanto mentre nel concordato l’accordo è raggiunto nel corso della procedura sotto la vigilanza del giudice delegato, negli accordi di ristrutturazione, il tribunale omologa un accordo già perfezionato sul piano negoziale. Secondo tale prospettiva gli accordi sarebbero quindi un tipo di concordato caratterizzato da una accelerazione della sua fase iniziale, attuata attraverso
cui a questo fosse seguito il fallimento, e fosse stata dimostrata la non ragionevolezza del piano, si sarebbe potuto contestare sotto il profilo civile e penale l’aggravamento del dissesto.
35 XXXXXXXXX X. , Gli accordi di ristrutturazione dei debiti, in, Pratica fiscale professionale, 2006, 12,
p. 36; VALENSISE X., Accordi di ristrutturazione dei debiti, in, La Riforma della Legge Fallimentare, a cura di X. Xxxxx e X. Xxxxxxxx, Xxxxxxxxxxxx, 2006, p. 1088 e segg.; D’AMORA S. , Note esegetiche sul nuovo concordato preventivo e le procedure di ristrutturazione dei debiti, in, studi e ricerche, su xxx.xxxxxxxxxxxxxxxxx.xx, 2005; FERRO. M, “Art. 000 xxx, xx xxxxx ristrutturazione dei debiti, in, Il nuovo diritto delle società di capitali, 2005, p. 48 e segg.; GROSSI M., La riforma della legge fallimentare, Milano, 2006, , p. 333; VERNA G., Sugli accordi di ristrutturazione dei debiti ex art. 182 bis l. fall., in, Dir. Fall., 2005, I, p. 865;
36 In giurisprudenza, Cfr. Trib. Milano 15 dicembre 2005 decr.
37 Il Prepackaged bankruptcy consente al debitore, anche non insolvente di presentare un piano di riorganizzazione già al momento della domanda di ammissione alla procedura, ed è caratterizzato dal riconoscimento della prededuzione a chi eroga nuova finanza, dalla protezione dalle azioni esecutive individuali e concorsuali (automatic stay), dall’esonero da responsabilità penale per i protagonisti dell’accordo e dalla esenzione dall’azione revocatoria. Si tratta quindi di un piano già predisposto, sui quali poi sono chiamati ad esprimersi i creditori suddivisi per classi omogenee.
il superamento dei momenti dell’ammissione e della votazione per giungere immediatamente alla omologazione.
La tesi ad oggi prevalente in dottrina ed in giurisprudenza è invece quella c.d. autonomistica38, che qualifica l’accordo come istituto distinto e separato dal concordato preventivo.
A fondamento di questa tesi vi sono motivazioni di ordine sistematico e teleologico. In particolare: (I) la rubrica del Titolo III “Del Concordato preventivo e degli accordi di ristrutturazione”, laddove la congiunzione “e” lascia intendere che si tratta di fattispecie distinte ed alternative; (II) la rubrica del Capo V, Titolo III, “Dell’omologazione e dell’esecuzione del concordato preventivo. Degli accordi di ristrutturazione”, così novellata dal D.lgs. n. 5/2006 rispetto alla precedente rubrica contenuta nella l. n. 80/2005 “ Dell’omologazione del Concordato preventivo”. Il diverso titolo, e l’utilizzo del punto come segno di interpunzione che indica la fine del periodo, evidenziano che il legislatore in sede di attuazione della delega ha voluto precisare la separazione delle due procedure. (III) Dal combinato disposto degli artt. 67 comma 3° lett. e), 182 bis e 182 ter si ricostruisce una disciplina tendente a qualificare in maniera distinta e autonoma gli accordi di ristrutturazione. (IV) il mancato richiamo dell’art. 160 l. fall. (V) la previsione di un decreto di omologa dell’accordo che non sarebbe necessario se l’accordo fosse una species di concordato. (VI) E’ statuita (art. 67 comma 3 lett. e) l’esclusione dalla revocabilità sia per gli atti posti in esecuzione del concordato che di quelli esecutivi dell’accordo omologato. (VII) E’ sancita la sospensione e/o l’inibizione di azioni esecutive o cautelari di terzi senza alcun riferimento all’art. 168 l.fall.. (VIII) l’autonoma previsione contenuta nell’art. 182 ter, relativa alla possibilità di utilizzare la transazione fiscale anche nell’ambito di un accordo di ristrutturazione. (IX) Nel Concordato le forme processuali del giudizio di omologazione sono molto dettagliate, mentre negli Accordi il tribunale deve soltanto limitarsi a verificare l’idoneità dello stesso a consentire il regolare pagamento dei creditori estranei. (X) La rubrica del nuovo art. 182 quater introdotto dal D.L. 78/2010, nel disciplinare la prededucibilità dei crediti, menziona sia il concordato preventivo che gli accordi di ristrutturazione; (XI) La legge 122/2010 ha introdotto una forma di esenzione dai reati di bancarotta semplice (art. 217 l. fall.) e preferenziale (art. 216 comma 3 l. fall.) sia con riferimento al concordato preventivo (art. 160 l. fall.) che agli accordi di ristrutturazione (art. 182 bis), oltre che con riguardo al piano di risanamento attestato (art. 67 comma 3 lett. d).
38 Così X. XXXXXXX, Il regolare pagamento dei creditori estranei negli accordi di cui all’art. 182 bis legge fallim., in, Foro It., 2006, fasc. 9, pt. 1, pagg. 2564 – 2568; G. LO XXXXXX, La Nuova Legge fallim.: dal progetto di legge delega alla miniriforma per decreto legge, p. 362; X. XXXXXXXXX, Concordato preventivo, accordi di ristrutturazione dei debiti, piani di risanamento dell’impresa nella riforma delle procedure concorsuali. Prime riflessioni in diritto, in, Dir. Fall., 2005, I, pag. 1156; X. XXXXXXX, Il d.lgs. 35/2005 e la riforma del diritto fallimentare, in, xxxxxxxxxx.xxxxx.xx, 13 aprile 2005, oppure in, Atti del Convegno sul <<La riforma del diritto fallimentare>>, Ipsoa, Firenze, 6 luglio 2005,
p. 10; in giurisprudenza cfr. Trib. Salerno, 3 giugno 2005, in, Fall., 2005, p. 1297; Tribunale Bari, 21 novembre 2005, in Fall. 2005, pag. 169 con nota di X. XXXXXX, L’art. 182 bis al primo vaglio giurisprudenziale, e in, Foro It., 2006, I, pag. 263, con nota di XXXXXXX, con nota di XXXXXXX, l’incerta via alla reorganization; oppure in, Dir. Fall., 2006, II, pag. 536, con nota di X. XXXXXX, Accordi di ristrutturazione dei debiti: natura giuridica e giudizio di omologazione; cfr. inoltre Trib. Brescia, 22 febbraio 2006 e Trib. Milano, 21 dicembre 2005, in, Fall., 2006, pag. 669 e segg., con nota di G.B. NARDECCHIA, Gli accordi di ristrutturazione dei debiti.
All’interno della tesi c.d “autonomistica”, che vede nell’accordo di ristrutturazione (art. 182 bis) un istituto autonomo e distinto dal concordato preventivo, occorre inoltre distinguere la posizione di quegli autori che valorizzando la componente negoziale dell’accordo, lo assimilano ad un contratto di diritto privato, da quelli che invece esaltando la componente procedimentale, giungono a qualificare l’istituto, come un nuovo procedimento concorsuale con caratteristiche proprie39.
Dalla contrapposizione tra queste due diverse visioni dell’accordo di ristrutturazione (art. 182 bis l. fall) deriva quale ulteriore corollario il problema di stabilire se il rapporto tra concordato preventivo e accordo di ristrutturazione si ponga sempre in termini di alternatività o eventualmente anche di complementarità, potendo in qualche modo prevedersi l’utilizzo degli accordi di ristrutturazione di cui all’art. 182 bis anche nell’ambito del concordato preventivo. Il problema dovrebbe essere risolto in maniera coerente con l’opzione interpretativa di fondo che si intenda accogliere a proposito della natura dell’Istituto di cui al 182 bis. Invero ammettere la possibilità di utilizzare l’accordo di ristrutturazione nell’ambito della procedura di concordato Preventivo, sembrerebbe possibile solo nell’ipotesi in cui questo fosse realmente un’ipotesi di concordato semplificato, con la funzione di acquisire preventivamente il consenso dei creditori intorno ad una possibile ipotesi “riorganizzativa”, così da saltare la fase della ammissione e della votazione garantendo più ampie possibilità di successo alla conclusione della procedura di concordato. Nella prospettiva suggerita invece dall’interpretazione prevalente, che vede negli accordi di ristrutturazione un istituto autonomo, non si vede come possa essere possibile l’inserimento di un accordo di ristrutturazione ex art. 182 bis nell’ambito della procedura di concordato preventivo, laddove eventualmente la “ristrutturazione dei debiti” espressamente disciplinata dall’art. 160 comma 1 lett.d) l.fall. potrà rientrare nel contenuto della proposta del concordato, ma sulla stessa il consenso dei creditori dovrà essere raggiunto necessariamente secondo le forme processuali previste dalle norme sul Concordato preventivo, e non in via preventiva secondo le modalità di cui al 182 bis l.fall.
1.4.4. La “ristrutturazione” nell’Amministrazione straordinaria delle grandi imprese insolventi.
Il contenuto della nozione di “ristrutturazione” nell’ambito della procedura di Amministrazione straordinaria delle grandi imprese insolventi si evince dal combinato disposto degli artt. 1 e 27 del D.lgs. n. 270/99 . L’amministrazione straordinaria viene definita come la procedura concorsuale della grande impresa commerciale insolvente, con finalità conservative del patrimonio produttivo, mediante prosecuzione, riattivazione o riconversione delle attività imprenditoriali (art. 1 D.lgs. 270/99). Le imprese dichiarate insolventi sono ammesse alla procedura di amministrazione straordinaria qualora presentino concrete prospettive di recupero dell’equilibrio
39 E’ la tesi sostenuta da X. XXXXXXXXXX XXXXX, in, Gli accordi di ristrutturazione dei debiti. Un nuovo procedimento concorsuale, Padova, 2009, p. 111; X. XXXXXXXXXXXX, Diritto Fallimentare. La nuova disciplina delle procedure concorsuali giudiziali. Torino, 2007, pag. 345; X. XXXXXXXXX, Il Concordato preventivo e gli accordi di ristrutturazione dei debiti,in, Trattato di diritto commerciale diretto da X. Xxxxxxx, Padova, 2008, pag. 157.
economico delle attività imprenditoriali. Tale risultato deve potersi realizzare in via alternativa: a) tramite la cessione dei complessi aziendali; b) tramite la ristrutturazione economica e finanziaria dell’impresa sulla base di un programma di risanamento di durata non superiore a due anni. Il criterio a cui comunque si deve ispirare il programma, che il commissario straordinario deve redigere sotto la vigilanza e secondo gli indirizzi di politica industriale dettati dal Ministro, è quello della salvaguardia dell’unità operativa dei complessi aziendali, tenuto conto degli interessi dei creditori (art. 55 comma 1°).
Dunque l’elemento qualificante che distingue l’amministrazione straordinaria da tutte le altre procedure concorsuali viene individuato nella “risanabilità dell’impresa”, quale presupposto e scopo della procedura. In termine “risanamento” nell’amministrazione straordinaria comprende un’ampia e multiforme tipologia di misure organizzative, finanziarie e giuridiche che possono essere utilizzate per impostare tentativi di continuazione di imprese che versano in situazioni di difficoltà40 Il programma deve essere particolarmente analitico e deve contenere non solo le previsioni relative alle dismissioni, ma anche le previsioni economiche e finanziarie connesse alla prosecuzione dell’esercizio dell’impresa, nonché i fabbisogni finanziari con le relative modalità di copertura. Il programma dovrebbe altresì contenere: a) per il caso di previsione di cessioni del complesso aziendale, le modalità di cessione, l’indicazione delle offerte pervenute, le previsioni in ordine al soddisfacimento dei creditori; b) per il caso di ristrutturazione, le eventuali misure di ricapitalizzazione ed il mutamento degli assetti imprenditoriali, quali ad esempio l’ingresso di nuovi soci, nonché il tempo di soddisfacimento dei creditori anche sulla base di piani di modifica convenzionale delle scadenze dei debiti o di definizione mediante concordato. (Art. 56).
Tale previsione (art. 56 l. 277/1999) com’è stato evidenziato41, consente di perseguire nell’ambito dell’amministrazione straordinaria , soluzioni di composizione della crisi e di soddisfazione dei creditori del tutto svincolate dall’obbligo della soddisfazione unitaria e proporzionale di tutti i creditori (fatte salve le cause legittime di prelazione) poiché il tenore letterale della legge, lascia ampio spazio ai contenuti dei piani di modifica convenzionale delle scadenze dei debiti. Il riferimento ad eventuali “piani di modifica convenzionale delle scadenze dei debiti”, sembrerebbe infatti lasciare aperta la possibilità di configurare un rapporto di complementarità tra Amministrazione Straordinaria e Accordi di Ristrutturazione, nel senso che il Commissario Straordinario, che volesse realizzare un Piano Industriale, per il ripristino dell’equilibrio economico e finanziario ben potrebbe inserirvi anche un accordo di ristrutturazione ex art. 182 bis avvalendosi così dell’ulteriore possibilità di ristrutturare il passivo dell’impresa.
40 M. G. BORTOLIN, L’apertura della procedura di amministrazione straordinaria, in, L’amministrazione straordinaria delle grandi imprese in stato d’insolvenza, a cura di X. XXXXX, Xxxxxx, 0000, pag. 153 e segg.; XXXXXX XXXXXXX, Dalla meritevolezza dell’imprenditore, alla meritevolezza del complesso aziendale, Milano, 1989, pag. 174 e segg.;
41 X. XXXXXXX, Gli effetti dell’amministrazione straordinaria per i creditori, in, L’amministrazione straordinaria delle grandi imprese in stato d’insolvenza, a cura di X. XXXXX, Xxxxxx, 0000, pag. 360.
1.4.5. La Ristrutturazione dei debiti nell’art. 182 bis.
L’espressione <<ristrutturazione del debito>> di cui all’art. 182 bis, va interpretata estensivamente42, non limitandola, alla sola ristrutturazione dei debiti in senso stretto, ovvero alla modifica degli elementi strutturali debiti, quali la scadenza, gli interessi, la determinazione dell’importo e le garanzie, ma piuttosto, ricomprendendo in essa anche quelle operazioni di <<ristrutturazione>> in senso lato menzionate espressamente dall’art. 160 comma 1 lett. a), quali ad esempio la cessione di beni, l’accollo di debiti, operazioni societarie straordinarie, ivi compresa l’attribuzione ai creditori, nonché a società da questa partecipate, di azioni, quote, ovvero obbligazioni, anche convertibili in azioni, o altri strumenti finanziari e titoli di debito, ed in genere quelle operazioni comunque strumentali al superamento della crisi d‘impresa.
Il contenuto dell’accordo, cioè la sua sostanza economica, deve infatti considerarsi il più ampio possibile, in quanto nell’art. 182 bis, il legislatore ha inteso valorizzare l’autonomia privata nella gestione della crisi d’impresa, estendendo così l’utilizzo di soluzioni stragiudiziali già note nella gestione delle crisi dei gruppi di dimensioni medio – grandi, a tutte le imprese rientranti nell’ambito di applicabilità dell’art. 1 della
f. fall.
Il legislatore lascia dunque ampia autonomia alle parti, che possono raggiungere accordi diversi in relazione alle specificità del singolo caso concreto.
L’Accordo può inoltre prevedere a titolo esemplificativo: il consolidamento del debito; la rinegoziazione del debito, con la quale ai debiti insoluti si sommano i debiti ancora a scadere prevedendo un nuovo piano di scadenze; la postergazione di alcuni creditori ad altri nel pagamento dei debiti; la remissione parziale del debito sia in relazione agli interessi che al capitale; l’erogazione di nuovi finanziamenti per consentire la prosecuzione dell’attività e il regolare pagamento dei creditori estranei; la conversione dei debiti in capitale, mediante l’attribuzione di azioni o quote ai creditori attraverso la procedura di aumento di capitale; la compensazione tra crediti e debiti; datio in solutum, la rinegoziazione dei tassi d’interesse; l’emissione di prestiti obbligazionari; la previsione di elementi accessori, quali garanzie, tipiche o atipiche; condizioni, rinunzie a chiedere il Fallimento o a promuovere o a proseguire azioni esecutive individuali; l’accollo di debiti; l’impegno a stipulare negozi attuativi del Piano di ristrutturazione; la costituzione di nuove società veicolo (newco) per realizzazione le finalità di cui parlerà in seguito; la rinegoziazione dei contratti di fornitura per ridurre i costi per l’approvvigionamento di materie prime e di servizi.
Dunque il fine principale perseguito nella ristrutturazione di cui all’art. 182 bis, è quello di superare lo stato d’insolvenza o comunque di crisi in cui versa l’impresa, tale obiettivo è raggiungibile attraverso una ristrutturazione del debito della stessa, consistente in una modifica degli elementi strutturali dei debiti, quali importi e scadenze, nel perseguimento di questo fine, può rendersi necessaria una più ampia
42 Di contrario avviso quella dottrina che ritiene che la ristrutturazione di cui all’art. 182 bis. riguardi la sola ristrutturazione dei debiti, ovvero la modifica degli elementi strutturali dei debiti, quali la scadenza, gli interessi, il quantum e le garanzie, attraverso nuove condizioni, la remissione di parte dei debiti, la concessione di dilazioni di pagamento ecc.
ristrutturazione societaria o aziendale che può eventualmente prevedere anche operazioni straordinarie.
1.4.6. Gli accordi di ristrutturazione nei gruppi di società.
La disciplina degli accordi di ristrutturazione, non prende in considerazione l’ipotesi in cui la crisi coinvolga più società appartenenti allo stesso gruppo.
In una situazione del genere, è evidente che la strategia di risanamento debba essere complessiva e coinvolgere il gruppo nel suo insieme43.
L’autonoma soggettività giuridica di ciascuna società, impone tuttavia che ognuna predisponga il proprio accordo di ristrutturazione, ciascuno dei quali riceverà un’autonoma attestazione da parte del professionista.
Allo stesso tempo, nella complessiva strategia di ristrutturazione del gruppo, ogni società potrà utilizzare lo strumento di risanamento più confacente alle proprie esigenze, (es. accordo di ristrutturazione ex art. 182 bis, piano di risanamento attestato ex art. 67 lett. d) l. fall., concordato preventivo, accordo di salvataggio atipico), pertanto non vi è in linea di principio nessun ostacolo all’utilizzo da parte delle varie società di strumenti di risanamento diversi.
E’ inoltre opportuna la predisposizione di un piano complessivo di risanamento del gruppo44, il quale potrà contemplare per alcune società l’utilizzo di strumenti di composizione negoziale della crisi d’impresa, (accordo di ristrutturazione o concordato preventivo, piano di risanamento attestato o accordo di salvataggio) e per altre l’assoggettamento ad una procedura fallimentare o l’apertura della procedura di amministrazione straordinaria.
In questo caso è sicuramente opportuno che nella relazione che il professionista redige sull’attuabilità dell’accordo ed in particolare sull’idoneità dello stesso ad assicurare il regolare pagamento dei creditori estranei, venga evidenziata anche la complessiva strategia di risanamento del gruppo, delineando i punti di condizionamento reciproco tra le società coinvolte.
Il professionista inoltre, potrebbe formulare un giudizio, che pur valutando la situazione di ciascuna società, prenda in considerazione anche aspetti legati alla ristrutturazione del gruppo nel suo complesso, ed in particolare relativi alla situazione della capogruppo, in quanto, in considerazione dei rapporti infragruppo, il superamento della crisi della holding, può generare talvolta delle risorse che possono essere utilmente impiegate, per il superamento della crisi delle controllate.
43 Cfr. Trib. Milano, 10 novembre 2009, (decreto. ex art. 182 bis l. fall.), Pres. X. Xxxxxxx, Rel. P. Pernotti, in, xxx.xxxxxx.xx e in, Riv. Dir. Fall, . n° 3-4 del 2010, pag. 343 e segg. con nota di X. XXXXXXX;
44 Cfr. Trib. Milano 17 giugno 2009, (decreto ex art. 182 bis l. fall), Pres. Relatore Xxxxxxx – Xxxx. X.
Xxxxxxxx – Xxxx. X. Xxxxxxx;
Il questa prospettiva l’attività di direzione e coordinamento esercitata dalla holding svolge una funzione “nevralgica” nella pianificazione ed esecuzione della complessiva strategia di risanamento del gruppo, determinando in alcuni casi significative modifiche alla disciplina applicabile rispetto caso di società operanti in maniera autonoma45.
Ad esempio la remissione del debito da parte della capogruppo a favore di una sua società controllata, non è tassabile come atto di liberalità, essendo la prima mossa da un proprio interesse patrimoniale, anche se mediato e indiretto, a ridurre il passivo della controllata per salvarla dal fallimento46.
Le fideiussioni rilasciate da una società del gruppo a favore di altra società del medesimo gruppo non rappresentano atti estranei all’oggetto sociale della prima, perché
<<preordinati ad un interesse sia pure mediato e indiretto della società, ma giuridicamente rilevante, e non possono pertanto, a causa della semplice mancanza di controprestazioni contrattualmente esigibili, essere considerati contrari o estranei al conseguimento dell’oggetto sociale della società che li ha compiuti>>47.
La giurisprudenza ha altresì precisato che non costituisce atto di liberalità, come tale revocabile ai sensi dell’art. 64 l. fall, la cessione gratuita di crediti verso terzi da una società all’altra del medesimo gruppo, trattandosi di atto che <<ubbidisce ad una logica di gruppo>> ed è quindi espressione di una logica imprenditoriale volta al perseguimento di obbiettivi che trascendono quelli delle singole società>>48. Neppure è atto di liberalità, agli effetti dell’art. 64 l. fall., la fideiussione infragruppo, perché diretta a realizzare un interesse <<sia pure mediato e indiretto>> del fideiussore49.
Attraverso l’utilizzo di accordi di ristrutturazione dei debiti (art. 182 bis), tra loro collegati, che coinvolgono più società operanti in forma di gruppo, può attuarsi una complessiva operazione di risanamento del gruppo; potrebbero però pianificarsi anche operazioni societarie, tali da costituire fonte di danno, attuale o potenziale, per singole società del gruppo, si pensi alla cessione di assets, o addirittura alla decisione di cedere o liquidare alcune società controllate. Tuttavia i rapporti infragruppo, tra le società coinvolte nella ristrutturazione, possono essere tali da introdurre un elemento di compensazione del pregiudizio che alcune di esse, potranno eventualmente subire, nel perseguimento dell’obbiettivo condiviso, di consentire il risanamento del gruppo.
Questo elemento di “compensazione”, era stato individuato dalla giurisprudenza, già in epoca anteriore all’introduzione della disciplina in materia di direzione e coordinamento (art. 2497 e segg. cod. civ.); tale principio è esplicitato con riferimento all’influenza che la controllante esercita sulla controllata, la quale può comportare che la seconda compia atti a sé pregiudizievoli, tuttavia se tale pregiudizio viene “compensato”, da vantaggi correlativi, esso non costituisce fonte di responsabilità.
Con la riforma del diritto societario introdotta con il D.Lgs. n. 6/2003 il concetto di “interesse di gruppo” è stato inserito nel codice civile, in tal modo è stato evidenziato che la collocazione all’interno di un gruppo, muta le condizioni di esercizio
45Cfr. X. XXXXXXX, Il Nuovo Diritto Societario, Tomo I, Xxxxxxx Xx., Xxxxxx, 0000, pag. 168.
46 Cass. 20 marzo 1968, n. 2215, in, Riv. Legisl. Fiscale, 1969, 263; Cass. 2 aprile 1969, n. 1693, ivi,
1969, 1948; Cass. 20 ottobre 1969 n. 907, ivi, 1970, 1853.
47 Cass. 14 settembre 1976, n. 3150, in, Riv. Dir. Comm., 1978, II, 220, con nota adesiva di X. XXXXX.
48 Cass. 11 marzo 1996, n. 2001, in, Foto It., I, 1222.
49 Cass. 29 settembre 1997, n. 9532, in, Fallimento, 1998, 1041; Trib. Milano, 4 luglio 1991, in, Giur. Comm., 1992, II, 1019.
dell’impresa, nel senso che il quadro economico e di riferimento, e talvolta la stessa possibilità di esistenza dell’impresa, variano notevolmente, a seconda che essa sia organicamente inserita o meno in un gruppo.
Pertanto ai sensi dell’art. 2497 ter <<le decisioni delle società soggette ad attività di direzione e coordinamento, quando da questa influenzate debbono essere analiticamente motivate e recare puntuale indicazione delle ragioni e degli interessi la cui valutazione ha inciso sulla decisione>>.
Nel caso di ristrutturazione del debito di società operanti in forma di gruppo, la presenza di un interesse riconducibile allo stesso, può essere dimostrata, valutando l’interesse sociale al risanamento, non solo con riferimento alla singola operazione riorganizzativa, che si inserisce all’interno della ristrutturazione come elemento non autosufficiente dell’insieme, ma piuttosto con riferimento al quadro generale, industriale, finanziario e economico, nell’ambito del quale il gruppo opera come entità economica unitaria, anche se scomposta in autonomi centri di imputazione giuridica.
Una conferma di questa prospettiva, si rinviene nel disposto dell’art. 2497 comma 1 che esclude la responsabilità della controllante per la lesione dei diritti dei soci o dei creditori della controllata, quando il danno risulta mancante alla luce del risultato complessivo dell’attività di direzione e coordinamento, ovvero integralmente eliminato anche a seguito di operazioni a ciò dirette.
CAPITOLO II
CARATTERISTICHE E FINALITA’ DEGLI ACCORDI DI RISTRUTTURAZIONE
SOMMARIO: 2.1. La fattispecie di cui all’art. 182 bis e le innovazioni introdotte dal D. Lgs. 169/2007;
2.2.0 Le modifiche apportate all’art. 182 bis, dall’art. 48 del D.L. 31 maggio 2010 n. 78, convertito con modificazioni dalla legge 30 luglio 2010 n. 122; 2.2.1. L’art. 182 bis comma VI: l’istanza sospensione delle azioni cautelari ed esecutive durante le trattative e il divieto di acquisire titoli di prelazioni non concordati; 2.2.2. L’art. 182 bis comma VII, la valutazione del tribunale sull’istanza di sospensione; 2.3. La legittimazione alla proposizione dell’accordo; 2.4. L’adesione dei creditori che rappresentano almeno il sessanta per cento dei crediti; 2.5. Il computo della percentuale di adesione, negli accordi di ristrutturazione proposti da società appartenenti allo stesso gruppo; 2.6. Lo stato di crisi; 2.7. Il regolare pagamento dei creditori estranei; 2.8.0 La negoziazione dell’accordo e la formazione del consenso; 2.8.1. La formazione del consenso: premessa; 2.8.2. Dovere dell’imprenditore di informativa sullo stato di crisi;
2.8.3. Comportamento del creditore secondo buona fede e utilizzo delle informazioni ricevute.
2.1. La fattispecie di cui all’art. 182 bis e le innovazioni introdotte dal D. Lgs. 169/2007.
L’introduzione di un sistema di soluzioni stragiudiziali, la cui efficacia fosse garantita da un provvedimento di omologazione del giudice ha rappresentato, nelle intenzioni del legislatore, la principale risposta all’esigenza di valorizzare l’autonomia privata nella gestione della crisi d’impresa. Con la legge n. 80/2005 , il tessuto normativo della legge fallimentare si è arricchito così, di due nuovi strumenti: gli accordi di ristrutturazione dei debiti, di cui all’art. 182 bis. ed il piano di risanamento attestato di cui all’art. 67 comma 3 lett. d) l. fall.
E’ stato affermato che lo Stato, con la riforma della legge fallimentare, ha perso il monopolio nella gestione della crisi di impresa consentendo anche all’autonomia privata di regolarla50. Nell’art. 182 bis viene prevista una regolamentazione legale degli accordi di ristrutturazione dei debiti, inoltre l’art. 160 l. fall lett. a) fornisce anche una nozione di <<ristrutturazione dei debiti>>, che sembra tradursi in un accordo modificativo dei rapporti obbligatori preesistenti:<<attraverso qualsiasi forma, anche mediante cessione di beni, accollo o altre operazioni straordinarie, ivi compresa l’attribuzione ai creditori, nonché a società da questa partecipate, di azioni, quote, ovvero obbligazioni, anche convertibili in azioni o altri strumenti finanziari e titoli di debito>>.
Tali accordi per la cui conclusione il legislatore ha ritenuto sufficiente l’adesione dei creditori che rappresentano una percentuale non inferiore al sessanta per cento dei crediti, devono essere idonei ad assicurare il regolare pagamento dei creditori estranei.
Inizialmente questa disciplina era caratterizzata da una certa approssimazione: i punti più controversi riguardavano la natura giuridica degli stessi, in quanto non ne veniva specificata l’autonomia o meno, dal concordato preventivo, il presupposto soggettivo e oggettivo, stante il riferimento alla generica figura del debitore, nonché il trattamento da
50 Così X. XXXXX, Gli accordi di ristrutturazione come negozi fallimentari di utilità sociale, in, Riv. Dir. Fall., n. 5/2008, p. 640 e segg.
riservare ai creditori non aderenti all’accordo ed il momento rilevante ai fini del raggiungimento del sessanta per cento delle adesioni.
Tali lacune, davano origine a diversi e a volte contrapposti orientamenti della dottrina e della giurisprudenza volti a fare chiarezza sui dubbi interpretativi e a colmare le lacune normative.
In particolare, sotto il profilo della concreta attuabilità dell’accordo, l’aspetto più importante che il legislatore inizialmente aveva omesso di disciplinare era quello relativo alla protezione del patrimonio del debitore rispetto alle iniziative individuali di autotutela da parte dei creditori estranei all’accordo, nelle more del procedimento di omologazione.
Al fine di superare i dubbi interpretativi emersi, il legislatore con il d.lgs. 169 del 12 settembre 2007 (decreto correttivo) ha apportato diverse integrazioni e modifiche al testo originario dell’art. 182 bis., chiarendo così alcuni aspetti controversi ed effettuando diverse precisazioni.
E’ stato così individuato in maniera più chiara il presupposto soggettivo, con la previsione che il soggetto che può avere accesso alla procedura è <<l’imprenditore in stato di crisi>>; è stato poi precisato che il soggetto chiamato ad effettuare la relazione dev’essere un <<professionista>> e non più un generico esperto, iscritto nel registro dei revisori contabili; è stato inoltre previsto che al piano di ristrutturazione dei debiti debba essere allegata la documentazione di cui all’art. 161 l. fall., operando così un raccordo con la disciplina del concordato preventivo.
Le novità più rilevanti sono due: la prima è l’introduzione della previsione secondo cui dalla data di pubblicazione dell’accordo e per i sessanta giorni successivi, i creditori per titolo o causa anteriore a tale data non possono iniziare o proseguire azioni cautelari o esecutive sul patrimonio del debitore; la seconda è l’estensione dell’istituto della transazione fiscale (art. 182 ter l. fall.) all’accordo di ristrutturazione, attraverso la previsione contenuta nell’art. 182 ter, ultimo comma, che consente all’imprenditore di effettuare la proposta di transazione fiscale anche nell’ambito delle trattative che precedono la stipula degli accordi di ristrutturazione, raggiungendo così una intesa anche sui debiti tributari, così consentendo all’imprenditore di mettersi al riparo dalle azioni esecutive di uno dei suoi creditori più importanti51.
E’ stato così introdotto nel nostro sistema un istituto che pur caratterizzandosi nella sostanza come contratto di diritto privato, presenta anche un profilo pubblicistico, tipico di tutti i procedimenti concorsuali, essendo prevista una forma di controllo da parte dell’Autorità Giudiziaria, che ne decreta l’omologazione solo dopo aver verificato il rispetto di tutte le condizioni di legge.
Parte della dottrina tende a negare la natura di procedimento concorsuale agli accordi di ristrutturazione valorizzando la componente negoziale degli stessi52.
51 X. XXXXXXXXX, Gli accordi di ristrutturazione dei debiti nel quadro dell’intervento correttivo del 2007: una possibile soluzione alla crisi d’impresa, in, Riv. Dir. Fall, , n. 6/2007, p. 918 e segg.
52 XXXXXXX, Accordi di ristrutturazione dei debiti: l’incerta via italiana alla “reorganization”, in, Xxxx Xx.0000, I, pag. 264.
In senso contrario altra parte della dottrina53 evidenzia che questi accordi, anche se raggiunti stragiudizialmente, si inseriscono nell’ambito di un procedimento che presenta le caratteristiche formali di un procedimento concorsuale autonomo, con caratteristiche proprie.
Anche qui è presente infatti una fase di controllo giurisdizionale volto a verificare la legittimità dell’accordo, inoltre il concorso dei creditori, che rappresenta l’aspetto qualificante di ogni procedimento concorsuale è presente, anche se con caratteristiche peculiari anche negli accordi di ristrutturazione dei debiti, e si manifesta ad esempio con:
1) il divieto di azioni esecutive o cautelari sul patrimonio del debitore, da parte dei creditori anteriori, operante per la durata di sessanta giorni dalla pubblicazione dell’accordo;
2) la possibilità data a tutti i creditori di opporsi all’omologazione;
3) la previsione di una percentuale minima di partecipazione dei creditori, i quali devono rappresentare almeno il sessanta per cento dei crediti;
4) la necessità di procedere comunque al regolare pagamento dei creditori estranei;
5) l’esenzione in caso di successivo fallimento dalla revocatoria per gli atti compiuti in esecuzione dell’accordo, analogamente a quanto previsto per gli atti posti in essere in esecuzione di un concordato preventivo (art. 67 comma 3 lett. e ).
Oggi in seguito alle modifiche introdotte dal D.L. 78/2010 e dalla legge di conversione 122/2010, potrebbe aggiungersi il carattere della prededucibilità dei finanziamenti erogati in esecuzione, o in funzione dell’omologazione dell’accordo (art. 182 quater).
Viene evidenziato in particolare, che negli accordi di ristrutturazione (art. 182 bis) il diverso atteggiarsi della par condicio creditorum rispetto a quanto previsto nell’ambito della procedura fallimentare non costituirebbe un argomento sufficiente per escludere la natura di procedimento concorsuale degli accordi di ristrutturazione (art. 182 bis); in quanto anche nel concordato preventivo è possibile prevedere trattamenti differenziati nel rispetto della legge (art. 160 l. fall) eppure non si ritiene che il concordato preventivo violi il principio del concorso.
In realtà non sembra possa parlarsi di par condicio creditorum, con riferimento agli accordi di ristrutturazione (art. 182 bis), infatti nell’ambito del concordato preventivo, anche qualora l’imprenditore proponente decida di suddividere i creditori in classi, nel rispetto dei criteri della posizione giuridica e dell’omogeneità degli interessi economici (art. 160 l. fall) ciò non comporta il venir meno della par condicio creditorum, né può parlarsi di par condicio “affievolita” o “attenuata” , infatti ciò che si verifica è soltanto l’applicazione di una norma eccezionale, dettata per il concordato preventivo che deroga parzialmente alle norme generali sul concorso del creditori, ma ciò non significa che la par condicio creditorum, nel concordato preventivo sia venuta meno o sia stata svalutata.
53 Così soprattutto X. XXXXXXXXX SANTI, Gli accordi di ristrutturazione dei debiti, un nuovo procedimento concorsuale, Padova 2009, p. 81 e segg.; Cfr. anche X. XXXXXXXXXXX, Diritto Fallimentare. La nuova disciplina delle procedure concorsuali giudiziali, Torino, 2007, p. 345 e segg.
Così non è invece negli accordi di ristrutturazione (art. 182 bis), nei quali è possibile invece un trattamento differenziato anche tra creditori aventi le stesse caratteristiche. Anche negli accordi (art. 182 bis) nulla vieta di attuare un piano di ristrutturazione che preveda una suddivisone dei creditori in classi, tuttavia ciò costituisce soltanto una facoltà, che può tra l’altro essere esercitata nella massima libertà, senza l’obbligo di rispettare i criteri della “posizione giuridica” e “dell’omogeneità degli interessi economici”, potendo rispondere, la formazione delle classi, anche a criteri diversi. Inoltre al momento della conclusione degli accordi di ristrutturazione (art. 182 bis) l’imprenditore potrà anche discostarsi, rispetto alle percentuali di soddisfacimento “programmate”all’inizio del piano, laddove ciò si renda necessario o opportuno, per superare le resistenze, anche psicologiche di qualche creditore. Gli unici presupposti che non potranno mai mancare, sono rappresentati dall’adesione di un numero di creditori che rappresenti complessivamente almeno il 60% dell’esposizione debitoria dell’imprenditore, e dalla sussistenza dei requisiti per procedere all’integrale pagamento dei creditori estranei all’intesa.
Tale nuovo procedimento (art. 182 bis) resta dunque distinto dal concordato preventivo, del quale non costituisce una sottospecie semplificata, salva comunque la possibilità di applicare la disciplina del concordato preventivo in via diretta, allorché vi sia un rinvio espresso.
Neanche sembra possibile qualificare gli accordi di ristrutturazione (art. 182 bis) come nuovo procedimento concorsuale con caratteristiche proprie54, in quanto pur presentando alcuni caratteri che lo accomunano alle procedure concorsuali, sopra descritti, ne mancano altri, quali l’obbligo di rispettare la par condicio creditorum, e l’officiosità55 della procedura, a meno che non si decida di “rivisitare” la stessa nozione di “procedura concorsuale” ritenendo che tali caratteri non siano più essenziali alla qualificazione della fattispecie.
In ogni caso pur trattandosi di un istituto caratterizzato da una prevalente
<<componente negoziale>>, la fase giudiziale del procedimento di formazione dell’accordo di ristrutturazione, che si conclude con l’omologazione, non può comunque essere svalutata, comportando la produzione degli effetti caratteristici della fattispecie, che la qualificano e distinguono rispetto ai concordati stragiudiziali utilizzati dalla prassi in passato.
2.2.0 Le modifiche apportate all’art. 182 bis, dall’art. 48 del D.L. 31 maggio 2010
n. 78, convertito con modificazioni dalla legge 30 luglio 2010 n. 122.
2.2.1. L’art. 182 bis comma VI: l’istanza sospensione delle azioni cautelari ed esecutive durante le trattative e il divieto di acquisire titoli di prelazioni non concordati.
54 In tale senso X. XXXXXXXXX SANTI, Gli accordi di ristrutturazione dei debiti, un nuovo procedimento concorsuale, Padova 2009, p. 81
55 Il carattere della “officiosità” sta ad indicare secondo l’insegnamento tradizionale che la procedura viene disposta con un provvedimento di un organo pubblico (giudiziale o amministrativo) e che poi viene condotta e gestita a cura dello stesso, Così X. XXXXXXXX, in, AA.VV., Manuale di Diritto Commerciale, a cura di X. Xxxxxxxxx, 0000, pag. 1137.
La disciplina degli accordi di ristrutturazione dei debiti (art. 182 bis l. fall.) è stata ulteriormente valorizzata dalle recenti modifiche introdotte dall’art. 48 del D.L. 31 maggio 2010 n. 78, successivamente convertito con modificazioni dalla legge 30 luglio 2010 n. 122.
L’intervento del legislatore ha rappresentato il recepimento di importanti istanze evidenziate dalla dottrina con riferimento ad alcuni aspetti della disciplina degli accordi che presentano evidenti lacune.
La prima modifica ha riguardato nuovamente l’art. 182 bis, al quale sono stati aggiunti altri quattro commi, con i quali è stata introdotta la possibilità per l’imprenditore di ottenere la sospensione delle azioni esecutive e cautelari sul proprio patrimonio già nella fase stragiudiziale, riguardante le trattative prodromiche alla conclusione dell’accordo.
Viene così disciplinato un sub-procedimento, finalizzato ad ottenere dall’autorità giudiziaria un decreto di sospensione di eventuali azioni cautelari ed esecutive, nonché il divieto per i creditori di acquisire titoli di prelazione non concordati, in un momento fondamentale per la buona riuscita delle trattative che condurranno alla formalizzazione dell’accordo di ristrutturazione.
L’imprenditore in stato di crisi dovrà depositare l’istanza, presso il tribunale competente ai sensi dell’art. 9 l. fall ovvero quello del luogo dove l’imprenditore ha la sede principale dell’impresa.
Tale previsione pone una serie di problemi di coordinamento con il procedimento di omologazione dell’accordo, invero già in passato si era posto il problema dell’individuazione del tribunale competente per l’omologazione dell’accordo, e cioè se questo dovesse essere quello della sede legale dell’impresa o invece quello della sede principale di cui all’art 9 l. fall. che individua la competenza per la dichiarazione di fallimento. Nel silenzio della legge, l’interpretazione prevalente in dottrina, nonché quella assolutamente costante della giurisprudenza è stata nel senso di ritenere competente per l’omologazione dell’accordo il tribunale del luogo in cui l’impresa ha la sede legale, ciò anche per ragioni di opportunità oltre che di logica, in quanto la pubblicazione dell’accordo e degli allegati dovrà comunque avvenire presso il registro delle imprese del luogo in cui l’impresa ha la sede legale.
Orbene, l’introduzione di questa specifica previsione riguardo l’individuazione del giudice competente per la pronuncia sull’istanza di sospensione, sembrerebbe evidenziare la preferenza del legislatore per la competenza del tribunale della sede principale dell’impresa, ciò potrebbe comportare in futuro l’attrazione dell’intera procedura e dunque anche di quella di omologa presso il tribunale della sede principale dell’impresa, così determinando il superamento dell’attuale orientamento giurisprudenziale che individua il tribunale competente in quello della sede legale.
Invero, la previsione della competenza del tribunale della sede principale, se da un lato può apparire incoerente laddove si consideri che la pubblicazione dell’accordo e degli allegati dovrà comunque avvenire presso il registro delle imprese del luogo in cui l’impresa ha la sede legale, al contempo appare più coerente qualora si prenda in
considerazione l’ipotesi, realmente verificatasi nella prassi56, in cui il deposito del ricorso per l’omologazione dell’accordo sia stata preceduta dal deposito di uno o più ricorsi per la dichiarazione di fallimento. In un caso del genere infatti, il tribunale ha ritenuto di dover esaminare, previa riunione dei procedimenti, anche le considerazioni critiche svolte dal pubblico ministero che richiedeva il fallimento, valutando in un unico contesto l’uno e l’altro tipo di procedimento, nell’ambito di una struttura articolata, in entrambi i casi in senso camerale, ma nel rispetto di un rapporto di pregiudizialità logica e funzionale, valutando prioritariamente se fossero omologabili gli accordi di ristrutturazione e solo in caso di risposta negativa a detto quesito, se sussistessero i presupposti per la declaratoria di fallimento.
E’ evidente dunque che la necessità di una valutazione contestuale dell’omologabilità degli accordi o in mancanza e in via subordinata della sussistenza dei presupposti per procedere alla dichiarazione di fallimento, rende opportuno l’individuazione del giudice competente in quello della sede principale dell’impresa, in quanto competente anche per la dichiarazione di fallimento, oltre che per l’istanza di sospensione concernente le azioni esecutive , cautelari e l’acquisizione di titoli di prelazione non concordati.
L’istanza di sospensione, da presentarsi nella forma del ricorso dev’essere corredata dalla documentazione di cui all’art. 161 commi 1 e 2 , nonché da una proposta di accordo, corredata da una dichiarazione dell’imprenditore, avente valore di autocertificazione, attestante che sulla proposta sono in corso trattative con i creditori che rappresentano almeno il sessanta per cento dei crediti e da una dichiarazione del professionista avente i requisiti di cui all’art. 67 terzo comma lett. d), circa l’idoneità della proposta, se accettata, ad assicurare il regolare pagamento dei creditori con i quali non sono in corso trattative o che hanno comunque negato la propria disponibilità a trattare.
Tale ultima previsione appare eccessiva, in quanto presuppone che l’istanza di sospensione venga depositata quando le trattative sono pervenute quasi al termine, inoltre appare poco adatta alla struttura degli accordi di ristrutturazione, i quali non si basano su una proposta immodificabile per cui l’assetto di interessi finale, risultante dall’accordo omologato potrebbe essere diverso da quello prospettato nella proposta depositata al fine di ottenere il decreto di sospensione.
L’istanza di sospensione è pubblicata nel registro delle imprese e produce l’effetto del divieto di inizio o di prosecuzione delle azioni esecutive o cautelari, nonché del divieto di acquisire titoli di prelazione, se non concordati, dalla pubblicazione.
2.2.2. L’art. 182 bis comma VII, la valutazione del tribunale sull’istanza di sospensione.
Il comma VII dell’art. 182 bis , inserito con l’art. 48 del D.L. 78/2010 appare davvero oscuro e difficile da coordinare con la restante disciplina degli accordi.
Innanzitutto vi è un difetto di coordinamento tra l’ultima parte del sesto comma dell’art. 182 bis laddove si prevede che <<l’istanza di sospensione di cui al presente comma è pubblicata nel registro delle imprese e produce l’effetto del divieto di inizio o
56 Trib. Milano, 10 novembre 2009, (decreto ex art. 182 bis l. fall), Pres. X. Xxxxxxx, Rel. X. Xxxxxxxx, in,
Riv. Dir. Fall, . n° 3-4 del 2010, pag. 343 e segg. con nota di X. XXXXXXX.
prosecuzione delle azioni esecutive e cautelari , nonché del divieto di acquisire titoli di prelazione se non concordati dalla pubblicazione>>e il comma VII in cui invece si prevede che il giudice <<dispone con decreto motivato il divieto di iniziare o proseguire le azioni cautelari ed esecutive e di acquisire titoli di prelazione se non concordati assegnando il termine di non oltre sessanta giorni per il deposito dell’accordo di ristrutturazione e della relazione redatta dal professionista a norma del primo comma>>.
Non appare chiaro infatti, dal raffronto dei due commi se l’effetto sospensivo debba ricollegarsi alla semplice pubblicazione dell’istanza di sospensione nel registro delle imprese, avendo il decreto del giudice la funzione di confermare o revocare la sospensione, o se invece l’effetto sospensivo debba necessariamente ricollegarsi al decreto motivato del giudice.
Sotto tale profilo, occorre evidenziare che nella formulazione prevista dal D.L. 78/2010, era prevista la pubblicazione dell’istanza nel registro delle imprese e l’effetto sospensivo si ricollegava unicamente al decreto del giudice. La legge di conversione n. 122/2010 è intervenuta sul nuovo comma VI dell’art. 182 bis, aggiungendo alle parole
<<pubblicata nel registro delle imprese>>, le seguenti <<e produce l’effetto del divieto di inizio o prosecuzione delle azioni esecutive e cautelari, nonché del divieto di acquisire titoli di prelazione, se non concordati, dalla pubblicazione>>, così ingenerando confusione, circa l’individuazione del momento al quale deve ricollegarsi l’effetto sospensivo.
Sembrerebbe in ogni caso preferibile ricollegare il prodursi dell’effetto sospensivo alla pubblicazione presso il registro delle imprese.
Inoltre non ha alcun senso, il riferimento della norma alla necessità di subordinare l’emissione del decreto di sospensione, al positivo riscontro da parte del giudice della
<<sussistenza dei presupposti per pervenire ad un accordo di ristrutturazione dei debiti, con le maggioranze di cui al primo comma e delle condizioni per il regolare pagamento dei creditori con i quali sono in corso trattative o che hanno comunque negato la propria disponibilità a trattare>>.
Questo tipo di valutazione infatti non si limita alla verifica della sussistenza dei presupposti cautelari, fumus boni juris e periculum in mora, per l’emissione del decreto di sospensione, in quanto finisce per avere sostanzialmente lo stesso contenuto e gli stessi caratteri del giudizio di omologazione.
Ciò non è assolutamente corretto, in quanto non ha senso chiedere al giudice già in fase di trattative stragiudiziali, di verificare il raggiungimento dei presupposti per la conclusione dell’accordo, in quanto questi si verificheranno verosimilmente soltanto al termine delle trattative stragiudiziali.
Invero l’utilità di un provvedimento cautelare di sospensione è proprio quello di consentire all’imprenditore di concludere le trattative stragiudiziali ponendosi al riparo da azioni di disturbo.
Il Tribunale, verificata la completezza della documentazione depositata, fissa con decreto l’udienza entro il termine di trenta giorni dal deposito dell’istanza di sospensione, disponendo la trasmissione ai creditori della documentazione stessa.
Con il decreto con cui il Tribunale decide sulla sospensione viene assegnato il termine di non oltre sessanta giorni per il deposito dell’accordo di ristrutturazione e della documentazione redatta dal professionista a norma del primo comma. Pertanto tenendo conto dell’ulteriore periodo di sospensione di sessanta giorni previsto dal comma III e decorrente dalla data di pubblicazione dell’accordo nel registro delle imprese, il periodo complessivo durante il quale sono precluse iniziative individuali volte al recupero del credito e a rafforzare la propria posizione creditoria si allunga a centoventi giorni
2.3. La legittimazione alla proposizione dell’accordo.
Sotto il profilo della legittimazione alla proposizione di un accordo di ristrutturazione, l’art. 182 bis nella sua formulazione originaria, introdotta dalla l. 80/2005 utilizzando l’espressione generica “debitore” aveva ingenerato il dubbio che tutti i debitori, imprenditori commerciali, agricoli, piccoli imprenditori, insolventi civili, imprenditori soggetti a liquidazione coatta amministrativa, enti non commerciali ed esercenti professioni intellettuali, potessero ricorrere a questo istituto. Tuttavia la dottrina prevalente riteneva legittimato soltanto l’imprenditore commerciale che avesse i requisiti dimensionali previsti dall’art. 1 l. fall., in quanto il riferimento all’iscrizione dell’accordo nel registro delle imprese, così come il beneficio dell’esenzione dall’azione revocatoria fallimentare ed il rinvio all’art. 161 l.fall., nel quale si fa riferimento alla sede dell’impresa, al fine di individuare la competenza territoriale, avrebbero escluso la legittimazione di altri soggetti. Riguardo alle imprese soggette a liquidazione coatta amministrativa57le disposizioni speciali del Testo Unico Bancario, del Testo Unico della Finanza e del nuovo codice delle Assicurazioni Private e l’art. 238 r.d. 267/42 escluderebbero l’accesso al concordato preventivo e agli accordi di ristrutturazione per le banche e gli intermediari finanziari non bancari. In seguito alle modifiche introdotte con il decreto correttivo D.Lgs 169/2007 la parola “debitore” è stata sostituita con quella di “imprenditore” , così rafforzando la tesi della dottrina prevalente secondo cui l’accesso allo strumento degli accordi di ristrutturazione sarebbe consentito soltanto all’imprenditore commerciale 58.
2.4. L’adesione dei creditori che rappresentano almeno il sessanta per cento dei crediti.
Sotto il profilo negoziale, un accordo di salvataggio stragiudiziale, in quanto contratto di diritto privato, potrebbe essere concluso tra il debitore e uno o più dei suoi creditori, senza bisogno di informare gli altri e quindi in teoria con i creditori che rappresentano
57 Xxxxxx, S.I.M., S.g.r., S.i.c.a.v. e Assicurazioni.
58 Cfr. X. XXXXXX, Gli accordi di ristrutturazione dei debiti, in, (AA.VV.) La riforma della legge fallimentare, a cura di X. Xxxxxxxxx, Xxxxxxxxxx, 2006, p. 394.
una qualsiasi frazione dell’esposizione debitoria complessiva dell’imprenditore in crisi. Tuttavia sotto questo profilo, dal combinato disposto degli articoli 182 bis, 67 comma 3 lett. e) l. fall., 182 quater, e 000 xxx x. xxxx. , xx evince che se questo accordo è concluso con uno o più creditori che rappresentano una parte significativa dell’esposizione debitoria complessiva, pari almeno al sessanta per cento del totale, si producono degli effetti ulteriori. Nella fattispecie di cui all’art. 182 bis infatti atti, pagamenti e garanzie posti in essere in esecuzione dell’accordo di ristrutturazione, sono soggetti ad una disciplina particolare, non essendo soggetti, nè all’azione revocatoria fallimentare(art.
67 comma 3 lett. e), nè alla disciplina penale in tema di bancarotta semplice e preferenziale (art. 217 bis l. fall) inoltre i finanziamenti erogati “in esecuzione” o “in funzione” dell’accordo, saranno assoggettati al regime della prededucibilità59; tutto ciò a condizione che l’accordo, considerato attuabile e idoneo ad assicurare il regolare pagamento dei creditori estranei, sia omologato60.
Un’ importante differenza rispetto al concordato preventivo, risiede nella circostanza, che la soglia del 60% che la norma individua, non fa riferimento ad una maggioranza in grado di imporre l’assetto contrattuale raggiunto, ad un eventuale minoranza dissenziente, al contrario, qui il meccanismo di approvazione dell’accordo è inverso rispetto al concordato, in quanto i creditori non aderenti andranno comunque soddisfatti integralmente, si tratta pertanto soltanto di un requisito necessario affinché gli accordi possano essere omologati e usufruire così del trattamento di favore previsto dagli artt. 182 bis, 67 comma 3 lett. e), 182 quater e 217 bis l. fall.
Ai fini del computo della percentuale del 60% del crediti, l’ultimo comma del nuovo art. 182 quater, inserito nella legge fallimentare dal D.L. 78/2010, ha previsto che i crediti derivanti da finanziamenti erogati banche e altri intermediari finanziari in funzione della domanda di omologazione dell’accordo di ristrutturazione dei debiti (art. 182 quater comma 2), nonché quelli derivanti da finanziamenti effettuati dai soci (art.
182 quater comma 3), e quelli spettanti al professionista incaricato di redigere la relazione sulla fattibilità dell’accordo (art. 182 quater comma 4), sono esclusi dal computo della percentuale del 60% dei crediti, richiesta dall’art. 182 bis primo comma, ai fini dell’omologazione dell’accordo, nonché dall’art. 182 bis comma 6, ai fini dell’istanza di sospensione depositata nel corso delle trattative stragiudiziali.
Il legislatore dunque ha ritenuto di valorizzare l’autonomia privata nella composizione della crisi d’impresa, prevedendo l’esenzione dall’azione revocatoria, la prededucibilità dei finanziamenti teleologicamente diretti all’attuazione degli stessi, e l’esenzione dai reati di bancarotta semplice e preferenziale, per quegli accordi di ristrutturazione, volti a rimuovere lo stato di insolvenza o comunque di crisi, a condizione che questi siano idonei ad assicurare il regolare pagamento dei creditori estranei e che raccolgano una soglia minima di adesioni.
La giurisprudenza ha precisato che il raggiungimento della percentuale minima di adesioni del sessanta per cento, non è un presupposto di ammissibilità dell’accordo di
59 Le esenzioni in tema di bancarotta (art. 217 bis) e la previsione della prededucibilità (art. 182 quater) sono state introdotte ad opera del D.L. 78/2010 e della legge di conversione n. 122/2010.
60 Così X. XXXXXX, Gli accordi di ristrutturazione dei debiti, in, (AA.VV.) La riforma della legge fallimentare, a cura di X. Xxxxxxxxx, Xxxxxxxxxx, 2006, p. 379 e segg.
ristrutturazione, ma condizione dell’omologazione, pertanto è sufficiente che essa sussista al momento dell’omologazione medesima61 e va calcolata sul totale comprendente oltre che i creditori dissenzienti ed estranei, anche quelli privilegiati62.
Tale orientamento sembra condivisibile, pertanto appare assolutamente ingiustificata l’attuale formulazione del nuovo comma 7 dell’art. 182 bis, introdotto dal D.L. 78/2010 convertito con la legge 122/2010, il quale, con riferimento alla valutazione del giudice circa l’istanza di sospensione delle azioni cautelari ed esecutive, e il divieto di acquisire titoli di prelazione non concordati, prevede già in questa fase procedimentale “eventuale” e “anticipatoria” che può svolgersi durante le trattative stragiudiziali, che condurranno solo successivamente alla formalizzazione definitiva dell’accordo, la positiva verifica, da parte del tribunale, dell’avvenuto raggiungimento della percentuale del 60% del crediti, la cui sussistenza andrebbe invece valutata soltanto nell’ambito del giudizio di omologazione.
In realtà il legislatore stabilendo che l’accordo debba coinvolgere almeno il sessanta per cento della massa dei crediti, ha voluto individuare, in questa percentuale minima di adesione un requisito di serietà della proposta.
L’esperienza insegna infatti che affinché l’operazione di ristrutturazione sia credibile e concretamente attuabile è indispensabile raggiungere un livello minimo di adesioni; statistiche dimostrano infatti che destinati ad avere successo, sono gli accordi di ristrutturazione che riescono a calamitare le adesioni della maggioranza dei creditori mentre difficilmente si riescono ad attuare piani che prevedono un numero di adesioni inferiori63.
L’aliquota del sessanta per cento non indica dunque una maggioranza per la validità dell’accordo, che nella sua componente negoziale, si fonda non sul principio della maggioranza, ma su quello dell’unanimità del consenso delle parti contraenti.
Esso costituisce invece un requisito ulteriore che non inficia la validità dell’accordo sul piano degli effetti negoziali, ma è indispensabile per accedere al successivo procedimento di omologazione disciplinato dall’art. 182 bis e ottenere così l’effetto dell’esenzione dall’azione revocatoria di atti, pagamenti e garanzie posti in essere in esecuzione dell’accordo omologato e gli altri effetti previsti dall’ar.t 182 quater e 217 bis l. fall. E’ evidente poi, che il buon fine dell’accordo di ristrutturazione potrà essere più facilmente raggiunto quanto maggiore sarà il numero dei creditori aderenti.
• Si riportano di seguito alcuni schemi volti ad evidenziare il diverso meccanismo di approvazione e di funzionamento dell’accordo di ristrutturazione, rispetto al concordato preventivo.
61 Così Trib. Milano, sez. II, 23 gennaio 2007 (decr.), in, Riv. Dir. Fall., n. 2/2008, p. 136 e segg., con nota di X. XXXXXXXX, I nuovi accordi di ristrutturazione dei debiti, e in Il Fall., n. 6/2007, p. 701 e segg., con nota di X. XXXXXXX, Accordi di ristrutturazione dei debiti: la <<meno incerta>> via italiana alla <<reorganization>>.
62 Così Trib. Brescia, 22 febbraio 206, (decr.) , in, Il Fall., n. 6/2006, p. 669, con nota di G.B. NARDECCHIA.
63 X. XXXXXXXXXXXX, Le crisi d’impresa tra diritto ed economia, Il Mulino, 2007, p. 319.
I) Schema n.1: ipotesi di accordo di ristrutturazione dei debiti con transazione fiscale ex artt. 182 bis e 182 ter ult. comma L.F.
Tipologia di creditori | Creditori | Natura del debito ed eventuali cause di prelazione | Percentuale del credito vantato in rapporto al totale dell’esposizione debitoria | Valore del credito vantato | Percentuale del credito di cui si offre il pagamento | Valore del credito di cui si offre il pagamento | Modalità di pagamento |
Iva | 100% | Solo | |||||
dilazione | |||||||
Creditori “aderenti” | Fisco | Ires | Stralcio e/o dilazione | ||||
Irap | Stralcio e/o | ||||||
dilazione | |||||||
- pari almeno al 60% del totale dell’esposizione debitoria – | |||||||
- Inps - | Crediti cartolarizzati | 100% D.M. 4/8/2009 | Esclusi ai sensi del D.M. 4/8/2009 (vanno pagati | ||||
e in genere | integralmente e senza | ||||||
dilazione) | |||||||
(Enti gestori di forme di previdenza e assistenza | Crediti privilegiati ex art. 2778 comma 1 c.c. e crediti per premi | 100% D.M. 4/8/2009 | Stralcio in unica soluzione o eventuale dilazione, non superiore alle 60 rate mensili. | ||||
obbligatorie) | |||||||
Crediti | Non | Stralcio in unica soluzione o eventuale dilazione, non superiore alle 60 rate mensili. | |||||
privilegiati | inferiore al | ||||||
di cui al n° 8 | 40% | ||||||
del primo | |||||||
comma dell’art. 2778 c.c. | D.M. 4/8/2009 | ||||||
Crediti | Non | Stralcio in unica soluzione o eventuale dilazione non superiore alle 60 rate mensili | |||||
chirografari | inferiore al | ||||||
30% | |||||||
D.M. | |||||||
4/8/2009 | |||||||
Mutuo | |||||||
Banca Alfa | fondiario n° | ||||||
Mutuo | |||||||
chirografario | |||||||
n° |
C/C n° | |||||||
Fornitore A | |||||||
Fornitore B | |||||||
Totale creditori aderenti |
Creditori “estranei” | Fornitore Alfa | 100% | Secondo quanto previsto nel titolo costitutivo dell’obbligazion e originaria. | ||||
- da pagare | |||||||
integralmente - | |||||||
Totale creditori estranei | |||||||
Totale complessivo |
II) Schema n. 2: meccanismo di formazione della maggioranza nel concordato preventivo con suddivisione dei creditori in classi “secondo posizione giuridica ed interessi economici omogenei” ex art. 160 comma 1 let. c) l. fall.
Schema n. 2/A
Tipologia di creditori | Creditori secondo la graduazione delle cause di prelazione | Valore del credito | Classe di appartenenza “secondo posizione giuridica e interessi economici omogenei” e nel “rispetto delle cause legittime di prelazione” |
Creditori con diritto di prelazione | I | ||
II | |||
III | |||
Creditori chirografari |
Schema n. 2/B
Classi | Creditori secondo la graduazione delle cause di prelazione | Valore del credito | Percentuale del credito di cui si propone il pagamento | Valore del credito di cui si propone il pagamen to | Percentuale del credito ammesso al voto | Valore del credito ammesso al voto | Totale nella classe |
I | |||||||
II | |||||||
III | |||||||
IV | |||||||
Totale comples sivo | N.B. La maggioran za vincola la minoranza |
2.5. Il computo della percentuale di adesione, negli accordi di ristrutturazione proposti da società appartenenti al un gruppo.
Problemi particolari, nella determinazione della percentuali di adesione all’accordo, si pongono laddove la ristrutturazione veda all’interno dello stesso gruppo societario, alcune società quali proponenti l’accordo e altre nella veste di creditori aderenti.
Di recente questa problematica è stata portata all’attenzione del Tribunale di Milano64, nell’ambito della procedura di omologa di alcuni accordi di ristrutturazione dei debiti (art. 182 bis), depositati da nove società proponenti, appartenenti a due distinti gruppi societari: il “gruppo Risanamento S.p.a.” e il “gruppo Zunino S.p.a.”, a loro volta collegati fra loro, ciascuno composto da decine di società.
Nel caso di specie infatti, gli accordi di ristrutturazione hanno coinvolto, nella veste di creditori aderenti anche numerose società appartenenti ai due gruppi, pertanto un profilo problematico, che la struttura di gruppo in cui erano organizzate le società proponenti, ha fatto emergere, è stato quello di determinare i criteri di calcolo della percentuale minima del sessanta per cento dei crediti, laddove ad aderire agli accordi siano anche
64 Cfr. Trib. Milano, 10 Novembre 2009 (Decr.): Pres. Xxxxxxx, Xxx. Pernotti, in, Riv. Dir. Fall, . n° 3-4 del 2010, pag. 343 e segg. con nota di X. XXXXXXX.
altre società dello stesso gruppo e sussistano rapporto credito/debito in senso inverso, tra la società proponente e quella aderente.
Nel corso del procedimento di omologazione infatti, il Pubblico Ministero aveva contestato la correttezza dei criteri adottati per il computo di dette percentuali, ritenendo che con riguardo alle adesioni provenienti da altre società, controllate, controllanti o collegate, del medesimo gruppo, si dovesse procedere alla preventiva compensazione dei rapporti debito/credito maturati infragruppo.
Il Tribunale Milano, nel discostarsi da tale interpretazione, ha evidenziato invece, l’inapplicabilità, anche analogica dell’art. 127 l. fall., che in tema di concordato fallimentare esclude dal computo delle maggioranze i crediti delle società controllanti, controllate o sottoposte a comune controllo.
Quest’ultima opzione interpretativa è sicuramente preferibile, in quanto più aderente alla natura giuridica di questo istituto65.
L’esclusione dell’applicabilità analogica dell’art. 127 l.fall. consegue infatti al riconoscimento della fisionomia autonoma degli accordi di ristrutturazione rispetto, ai concordati di matrice giudiziale, in quanto oggetto di una disciplina eccezionale e come tale non suscettibile di estensione analogica.
Deve infatti evidenziarsi la assoluta diversità strutturale delle posizioni obbligatorie nelle due discipline.
L’adesione dei creditori negli accordi di ristrutturazione, rappresenta infatti una manifestazione di volontà di tipo negoziale66, traducendosi in un impegno diretto di natura sostanziale, finalizzato all’assunzione di un vincolo contrattuale, al quale si applicherà il principio di relatività degli effetti negoziali (art. 1372 comma 2 cod. civ.).
Al contrario, il voto nell’ambito del concordato, è un elemento che concorre al perfezionamento di una fattispecie articolata in senso procedimentale, nell’ambito della quale il voto serve solo ad esprimere il consenso in ordine all’ipotesi sattisfattiva prospettata.
Inoltre nel concordato la volontà della maggioranza vincola anche i dissenzienti, e in ciò risiederebbe la ratio della limitazione introdotta dal legislatore nell’art. 127 l. fall. con riferimento al voto espresso da società creditrici, appartenenti al medesimo gruppo, essa risponderebbe cioè all’esigenza di limitare gli effetti della manifestazione di volontà di questa maggioranza. Limitazione peraltro prevista soltanto con riguardo alla disciplina del cordato fallimentare e non anche in tema di concordato preventivo.
Occorre tuttavia evidenziare, che ai sensi del nuovo art. 182 quater commi 7 e 3, sono esclusi dal computo della percentuale del 60% prevista dall’art. 182 bis comma 1 , nonché da quella prevista dall’art. 182 bis comma 6 per la pronuncia sull’istanza di sospensione, i crediti vantati da società, socie di quella proponente l’accordo, e derivanti
65 Trib. Milano, 23 gennaio 2007, (decr.).
66 Così X. XXXXXXXXX, Gli accordi di ristrutturazione dei debiti, (commento sub art. 182 bis l. fall.), in,
Codice Commentato del Fallimento, diretto da X. Xx Xxxxxx, Ipsoa, 2008, pag. 1614.
da finanziamenti erogati alla stessa. Tale limitazione introdotta resta però circoscritta all’ipotesi in cui il credito del socio nel confronti della società proponente, derivi da un contratto di finanziamento, con esclusione dunque dei crediti derivanti da altri rapporti giuridici, ad esempio contratti fornitura, per i quali non è prevista la “prededucibilità”.
2.6. Lo stato di crisi.
La composizione negoziale dell’insolvenza, già nota alla prassi attraverso l’utilizzo dei concordati stragiudiziali, ha trovato dunque il suo punto di emersione e di autonoma disciplina normativa all’art. 182 bis. l. fall. rubricato “Accordi di ristrutturazione dei debiti”. Con questo nuovo istituto si consente ai privati di intervenire nella gestione della crisi, modificando i rapporti obbligatori con un atto di autonomia contrattuale, al quale possono partecipare anche soggetti terzi (non creditori) ad esempio erogando nuova finanza o effettuando operazioni di acquisto collegate all’accordo e funzionali alla sua esecuzione.
E’ stato efficacemente evidenziato che la circostanza per cui l’impresa insolvente e non tutti i suoi creditori, ma una parte di essi vengono autorizzati e quasi incoraggiati dall’ordinamento a porre in essere delle attività negoziali con l’imprenditore insolvente, pare smentire un dogma che sembrava cristallizzato nella legislazione anteriore: quello della indisponibilità dell’insolvenza67.
In tale prospettiva dunque, l’accordo di ristrutturazione è in grado di trasformare una situazione finanziaria che sarebbe da qualificare come insolvenza, ripristinando la solvibilità dell’impresa.
L’istituto degli accordi di ristrutturazione è riservato infatti all’imprenditore in stato di crisi e per tale si intende, ai sensi dell’ultimo comma del novellato articolo 160 l. fall. anche lo stato di insolvenza. Anche per tale ragione l’espressione”Diritto della crisi d’impresa” riflette un diverso modo di concepire l’impianto della legge fallimentare riformata.
La disciplina positiva non offre nessuna definizione normativa dello stato di crisi, sarebbe stata invece auspicabile una individuazione normativa della soglia minima di crisi, al fine superare una situazione di inevitabile incertezza, che potrebbe spesso non consentire all’imprenditore di cogliere la reale situazione in cui versa l’impresa, e soprattutto non rendere percepibile quella linea di confine che separa lo stato di crisi reversibile dall’insolvenza vera e propria.
67 Cfr. X. XXXXXXX, Il ruolo del trust, nella composizione negoziale dell’insolvenza di cui all’art. 182 bis. l. fall., in, Il Fall., n. 5/2007, p. 595: <<Quest’ultima acquisterebbe così il carattere della
<<relatività>>, diventando un concetto “relazionale”, da rapportarsi al comportamento dei creditori, sottraendo così l’insolvenza ad un <<rigoroso statuto di indisponibilità per riconsegnarla, in larga misura alla sfera dell’autonomia privata>>
La nozione di stato di crisi è ancor più difficilmente definibile e verificabile dall’esterno, proprio perchè suscettibile di valutazioni discrezionali da parte dell’imprenditore68.
In mancanza di una definizione normativa dello stato di crisi occorre far riferimento ai criteri elaborati dalla scienza aziendalistica, la quale nell’individuare le ragioni della crisi d’impresa, 69 distingue tra fattori interni i e fattori esterni della stessa.
Tra i primi si possono annoverare la scarsa efficienza del controllo finanziario interno, l’inadeguatezza del management, una organizzazione amministrativa carente, l’acquisizione di partecipazioni in altre imprese non sufficientemente redditizie, ecc. si tratterebbe comunque di fattori in buona parte controllabili e dunque modificabili da parte dell’imprenditore.
Vengono invece ricompresi tra i fattori esterni gli eccessivi e improvvisi aumenti dei prezzi delle materie prime o semilavorate, le invenzioni tecnologiche , la localizzazione di imprese concorrenti in paesi con un minor costo del lavoro, l’insufficienza delle infrastrutture del paese ospitante, il cambiamento della domanda ecc., cioè di fattori che almeno in parte sfuggono al dominio dell’imprenditore.
La distinzione appena evidenziata è rilevante perché dimostra come in taluni casi per giungere alla ristrutturazione di una impresa in crisi, potrebbe non essere sufficiente un cambiamento dell’assetto organizzativo interno alla stessa, rendendosi al contempo necessario un cambiamento di elementi esterni.
Con riferimento alle cause della crisi d’impresa si suole distinguere invece tra: “crisi da inefficienza”, conseguente ad un minor rendimento di uno o più settori produttivi rispetto alla media dei concorrenti; “crisi da rigidità” derivante dalla mancanza di flessibilità nell’organizzazione aziendale e nell’azione imprenditoriale; “crisi da decadimento dei prodotti” ; “crisi da carenza di programmazione e innovazione”.
Sotto il profilo invece degli effetti prodotti dalla crisi, si suole distinguere tra: “crisi finanziaria”, che si traduce in uno squilibrio finanziario, ovvero nell’incapacità dell’imprenditore di procurarsi mezzi finanziari idonei a soddisfare le esigenze dell’impresa anche nell’ambito di una gestione economicamente equilibrata; “crisi economica”, che determina invece uno squilibrio economico, dovuto all’incapacità di mantenere un adeguato livello reddituale, a causa degli alti costi di produzione o alla diminuzione della domanda; “crisi economico finanziaria”, quando gli oneri finanziari e dunque l’indebitamento complessivo condizionano in maniera incisiva la capacità dell’impresa di generare reddito.
La dottrina aziendalistica70 distingue inoltre la nozione di “declino” da quella di”crisi”. Il declino consegue a risultati imprenditoriali negativi e si traduce nella distruzione di parte del patrimonio, con conseguente perdita di valore nel tempo.
00 Xxx. X. XXXXXX, Xxxxxx è quando arbitro xxxxxxx?, in, Il Fall. n. 1/2009, (Allegato), p. 25 e segg.
69 Cfr. BNP- PARIBAS- PRICE WATER HOUSE COOPERS, Finanza d’impresa, Milano, 2002, 87 e segg.
70 Cfr. X. XXXXXX, Turnround: declino, crisi e ritorno al valore, Egea, 1995, p. 110 e segg.
La crisi vera e propria rappresenta invece uno stato degenerativo ulteriore, rispetto al declino che si traduce in una instabilità nella redditività con conseguenti perdite economiche che incidono in maniera rovinosa sul capitale sociale, sui flussi finanziari, sulla capacità di accedere al credito bancario, ed in una generale perdita di fiducia da parte della comunità finanziaria e nei fornitori.
Una definizione normativa delle diverse fasi della crisi d’impresa sarebbe estremamente utile, non solo per individuare in maniera netta, il presupposto oggettivo minimo per poter accedere alla procedura ristrutturativa (art. 182 bis), ma anche per predisporre un accordo di ristrutturazione, che tenga conto, nel suo complesso, delle specificità e del livello di gravità in cui la crisi è giunta.
Sotto questo profilo la dottrina71individua quattro fasi del processo patologico costituito dalla crisi d’impresa.
La prima fase è definita “incubazione del declino” ed è caratterizzata dai primi segnali di squilibrio o di decadimento spesso non facilmente percepibili.
La seconda fase è quella della “maturazione del declino” che si manifesta con perdite di valore del capitale e con la diminuzione dei flussi reddituali. Si tratta di una situazione rimediabile agendo tempestivamente, prima che venga compromessa più seriamente la situazione patrimoniale e finanziaria.
La terza fase, cui può addivenirsi rapidamente in mancanza di contromisure tempestive è quella delle “ripercussioni delle perdite” sui flussi finanziari, sull’immagine e la fiducia dell’impresa sul mercato. Si tratta del primo segnale esterno della crisi e si manifesta con un forte squilibrio economico, implicando una carenza di liquidità che si riflette sull’equilibrio finanziario e patrimoniale dell’impresa. Si cominciano ad assottigliare le riserve e il capitale sociale viene progressivamente eroso; tutto ciò deteriora l’immagine finanziaria dell’impresa condizionando in maniera significativa le possibilità di accesso al credito. In questa situazione la crisi è da considerarsi ancora reversibile, in quanto esiste ancora un potenziale aziendale che potrebbe essere recuperato o riconvertito.
La quarta fase è quella in cui la crisi è ormai conclamata e si manifesta all’esterno in tutta la sua gravità, manifestandosi nelle due forme dell’insolvenza o del dissesto.
Lo stato d’insolvenza si manifesta con inadempimenti o altri fatti esteriori, i quali dimostrino che il debitore non è più in grado di soddisfare regolarmente le proprie obbligazioni (art. 5 comma 2 l. fall). L’intera struttura aziendale viene sconvolta sotto i tutti gli aspetti: le banche cessano di concedere affidamenti e possono imporre rientri immediati con riferimento a quelli già concessi in precedenza; tra i fornitori si diffondono notizie circa il rischio di mancato pagamento e ciò potrebbe condizionare la regolarità degli approvvigionamenti; anche i dipendenti, i clienti ed i terzi in genere cominciano a perdere la fiducia nell’impresa.
71 X. XXXXXX – X. XXXXXX, Individuazione della crisi d’impresa e profili di informativa economica nel nuovo concordato preventivo, (I parte), in, Fall., 2006, 8, pag. 985; X. XXXXXX, Turnround: declino, crisi e ritorno al valore, Egea, 1995, p. 110 e segg.; X. XXXXXX, All’origine delle crisi aziendali: cause reali e cause apparenti, in, Finanza, Marketing e Produzione, 1985, 3, p. 11 e segg.
Lo stadio dell’insolvenza viene considerato una fase in cui la ristrutturazione dell’impresa appare ancora possibile, anche se problematica e con scarse possibilità di successo.
Con il “dissesto” invece l’impresa attraversa la fase terminale della sua crisi caratterizzata da un permanente squilibrio economico, finanziario e patrimoniale, per cui la disgregazione del complesso aziendale diviene una conseguenza inevitabile e nessun intervento di ristrutturazione può essere intrapreso.
Sarebbe pertanto opportuno oltre al riconoscimento normativo, delle varie fasi della crisi d’impresa, anche la diffusione di una cultura della crisi d’impresa, al fine di accrescere la sensibilità dell’imprenditore nella percezione dei segnali iniziali della stessa72.
2.7. Il regolare pagamento dei creditori estranei.
L’art. 182 bis dispone che ai fini dell’attuabilità dell’accordo, lo stesso deve essere idoneo ad assicurare il regolare pagamento dei creditori estranei; tale elemento costituisce l’oggetto principale della relazione sull’attuabilità dell’accordo che il professionista dovrà predisporre.
Xxxxxxx chiedersi allora cosa indichi l’espressione <<regolare pagamento>>.
A tal proposito, un orientamento, ad oggi minoritario, interpreta il termine
<<regolare>> nel significato di <<pagamento secondo la medesima percentuale e alle medesime condizioni fissate nell’accordo raggiunto con i creditori aderenti>>, in questa prospettiva si sostiene che <<regolare>> vada letto nel senso che anche i creditori estranei dovranno <<regolarmente>> ricevere lo stesso trattamento della maggioranza dei creditori73.
In senso contrario, sembra preferibile invece l’orientamento, oggi ampiamente prevalente74, che interpreta l’inciso <<regolare pagamento>> come <<esatto
72 Tra i metodi utilizzati per individuare possibili stati di criticità dell’attività imprenditoriale vi sono: 1) l’osservazione e la successiva analisi delle singole voci che compongono il bilancio d’esercizio; 2) l’utilizzo di strumenti avanzati di contabilità analitica, budgeting, sistemi di reporting, ; 3) la predisposizione di modelli di previsione delle insolvenze.
73Cfr. Trib. Milano, 15 dicembre 2005, in, Dir. Fall., 2006, II, p. 674 e segg. Con nota di X. XXXXXXX, Gli accordi di ristrutturazione dei debiti ex art. 182 bis. legge fall.: una occasione da non perdere; nello stesso senso in dottrina cfr. X. XXXXX, I nuovi strumenti di regolazione negoziale dell’insolvenza, p. 587 e segg.; cfr. inoltre X. XXXXX, Sugli accordi di ristrutturazione ex art. 182 bis legge fallim., p. 865.
74 Così X XXXXXXX, Il regolare pagamento dei creditori estranei negli accordi di cui all’art. 182 bis legge fallim., in, Foro It., 2006, fasc. 9, pt. 1, pagg. 2564 – 2568; G. LO XXXXXX, La Nuova Legge fallim.: dal progetto di legge delega alla miniriforma per decreto legge, p. 362; G GIANNELLI, Concordato preventivo, accordi di ristrutturazione dei debiti, piani di risanamento dell’impresa nella riforma delle procedure concorsuali. Prime riflessioni in diritto, in, Dir. Fall., 2005, I, pag. 1156; X. XXXXXXX, Il d.lgs. 35/2005 e la riforma del diritto fallimentare, in, xxxxxxxxxx.xxxxx.xx, 13 aprile 2005, oppure in, Atti del Convegno sul <<La riforma del diritto fallimentare>>, Ipsoa, Firenze, 6 luglio 2005,
p. 10; in giurisprudenza cfr. Trib. Salerno, 3 giugno 2005, in, Fall., 2005, p. 1297; Tribunale Bari, 21 novembre 2005, p. 169 e segg., con nota di X. XXXXXX, L’art. 182 bis al primo vaglio giurisprudenziale, e in, Foro It., 2006, I, pag. 263, con nota di XXXXXXX, con nota di XXXXXXX, l’incerta via alla reorganization; oppure in, Dir. Fall., 2006, II, pag. 536, con nota di X. XXXXXX, Accordi di
adempimento>> ovvero integrale e alle scadenze pattuite, secondo quanto stabilito nel titolo costitutivo dell’obbligazione, in quanto i creditori non aderenti, mantengono la piena titolarità del loro diritto, sia dal punto di vista sostanziale che processuale e pertanto devono essere pagati integralmente, siano o meno creditori muniti di cause di prelazione.
Negli accordi di ristrutturazione non è prevista espressamente la suddivisione dei creditori in classi, a differenza di quanto si legge nell’art. 160 , comma 1, lett. c) con riguardo alle condizioni per l’ammissione alla procedura di concordato preventivo, omissione probabilmente dovuta al fatto che nell’ambito di una fase stragiudiziale, in cui avviene la rinegoziazione dell’esposizione debitoria dell’obbligato, egli ha comunque la massima libertà, limitata solo qualora egli si avvalga della transazione fiscale, in ordine alla individuazione delle modalità di definizione delle proprie obbligazioni, al fine di ottenere un numero sufficiente di consensi75.
Il debitore dovrà comunque assicurare il regolare pagamento di tutti i creditori estranei, a prescindere dalla natura o collocazione dei loro crediti e della distinzione tra chirografari e privilegiati. Un ulteriore dubbio che fa sorgere l’utilizzo dell’espressione
<<regolare pagamento>>, in ciò individuandosi un’ulteriore probabile differenza rispetto al concordato preventivo, si pone in relazione, alla circostanza che mentre per il concordato, l’art. 160 primo comma lett. a) prevede la possibilità di <<soddisfazione dei crediti attraverso qualsiasi forma>>, ciò per gli accordi di ristrutturazione, secondo alcuni sarebbe possibile solo rispetto ai creditori aderenti, mentre per i non aderenti la necessità di pagamento <<regolare>> precluderebbe la possibilità di ricorrere a mezzi di adempimento diversi dal denaro, quali ad es. datio in solutum mediante cessione di beni, ecc. .
In effetti sembra preferibile ritenere che i creditori estranei all’intesa debbano essere soddisfatti comunque secondo i termini e le modalità convenute del titolo costitutivo del loro diritto.
La posizione dei creditori estranei deve essere esaminata anche alla luce della possibilità di proporre opposizione all’accordo, ai sensi di quanto disposto dal quarto comma dell’art. 182 bis .
Per quanto concerne i soggetti legittimati a proporre opposizione, occorre evidenziare la legittimazione oltre che dei creditori estranei anche di <<ogni altro interessato>>, espressione che individua coloro i quali sono portatori di un interesse giuridicamente tutelabile e quindi in grado, attraverso l’accoglimento dell’opposizione di perseguire un vantaggio76.
Sembra preferibile ritenere che tra i creditori che possono proporre opposizione debbano essere compresi anche i creditori che abbiano aderito all’intesa, poichè tutti i
ristrutturazione dei debiti: natura giuridica e giudizio di omologazione; cfr. inoltre Trib. Brescia, 22 febbraio 2006 e Trib. Milano, 21 dicembre 2005, in, Fall., 2006, pag. 669 e segg., con nota di G.B. NARDECCHIA, Gli accordi di ristrutturazione dei debiti.
75 L’estraneità al concordato stragiudiziale del principio della par xxxxxxxx, è stato affermato anche da risalenti pronunce giurisprudenziali: cfr. Cass. 20 maggio 1938; Trib. Salerno 4 luglio 1951.
76 Così X. XXXXXXXXX, Accordi di ristrutturazione dei debiti, Commento sub. Art. 182 bis. , in, La Riforma della Legge Fallimentare, a cura di X. Xxxxx e X. Xxxxxxxx, Torino, 2006, p. 1099. XXXXXXXXXXXX X., La riforma in via d’urgenza della legge fallimentare, Torino, 2005, p. 133; X. XXXXXX, Le nuove norme sul concordato preventivo e sugli accordi di ristrutturazione, in, Le nuove norme processuali e fallimentari, a cura di X. Xxxxx e E. F. Xxxxx, Padova , 2005, p. 220.
documenti da allegare al ricorso per omologa, vengono depositati in tribunale e pubblicati nel registro delle imprese quando l’accordo è già stato raggiunto; pertanto dopo l’adesione e sulla base delle notizie così acquisite, può sorgere per un creditore aderente, l’interesse ad opporsi all’xxxxxxx00.
Ciò sembra trovare ulteriore conferma nell’ampiezza di questo diritto di opposizione che la norma riconosce non solo in favore dei creditori, ma anche genericamente, ad ogni altro interessato (art. 182 bis comma 4).
Xxxxxxx chiedersi inoltre se i creditori non aderenti debbano attendere la definizione della fase giudiziale dell’accordo di ristrutturazione, oppure possano pretendere dal debitore di essere pagati in qualsiasi momento.
Sembra preferibile la prima soluzione anche perché proprio con l’omologazione il Tribunale, sulla base delle valutazioni svolte dall’esperto, effettuerà il controllo sull’idoneità dell’accordo, ad assicurare il soddisfacimento dei creditori estranei.
Inoltre il limite posto dalla norma, secondo cui dalla data di pubblicazione dell’accordo e per i sessanta giorni successivi, i creditori per titolo o causa anteriore a tale data, non possono iniziare o proseguire azioni cautelari o esecutive sul patrimonio del debitore (art. 182 bis comma 3), nonché quello introdotto con l D.L. 78/2010, relativo alla possibilità di ottenere la sospensione delle azione esecutive e cautelari, già durante le trattative, nonché il divieto di acquisire titoli di prelazione non concordati, devono intendersi riferiti sia ai creditori aderenti che a quelli estranei all’intesa, in quanto con tali disposizioni il legislatore ha voluto introdurre degli ombrelli protettivi, volti a facilitare il perfezionamento dell’accordo con l’omologazione.
2.8.0 La negoziazione dell’accordo e la formazione del consenso.
2.8.1. La formazione del consenso: premessa.
L’art. 182 bis non disciplina il contenuto degli accordi ma soltanto il procedimento per la produzione dei loro effetti.
La fattispecie si caratterizza infatti per la presenza di due fasi necessarie, la prima stragiudiziale, in cui si manifesta l’autonomia privata delle parti e la seconda giudiziale diretta all’omologazione dell’accordo da parte del giudice.
Nell’ambito della prima fase stragiudiziale, può oggi, in seguito alle modifiche introdotte con il D.L. 78/2010 innestarsi un’ulteriore eventuale fase giudiziale nell’ambito della quale può ottenersi un decreto di sospensione delle azioni delle azioni esecutive e cautelari, nonché il divieto di acquisire titoli di prelazione non concordati.
La prima fase diretta innanzitutto alla formazione del consenso nella conclusione di un accordo, richiede normalmente l’acquisizione di un certo numero di manifestazioni di volontà. Ciò può in teoria avvenire in un unico momento, trasfondendo le diverse dichiarazioni di adesione raccolte nel medesimo documento, o più frequentemente attraverso la sottoscrizione di distinti documenti in più momenti successivi.
77 Così C. PROTO, Gli accordi di ristrutturazione dei debiti, in, Il Fall., n. 2/2006, p. 134.
Un elemento importante, per il buon fine di un accordo di ristrutturazione risiede nella fiducia dei creditori nell’iniziativa di risanamento. Sotto tale profilo è essenziale un costante e credibile scambio di informazioni tra l’imprenditore in stato di crisi e i suoi creditori, in quanto solo se questi confidano nella correttezza e nella completezza delle informazioni messe a loro disposizione, risulterà possibile che accettino volontariamente dei sacrifici delle posizioni pregresse e addirittura l’assunzione di nuovi rischi, sotto forma di ulteriori forniture di beni, servizi e credito.
Pertanto sin dal momento delle prime consultazioni con i creditori, soprattutto con quelli bancari, è opportuno che l’imprenditore in crisi e i suoi consulenti, segnalino la disponibilità a regolare secondo un eventuale modello procedurale di gradimento per i creditori, i successivi passi dell’iniziativa di ristrutturazione, manifestando così un elevato grado di trasparenza . Tale disponibilità potrà essere recepita negli accordi di ristrutturazione attraverso clausole che prevedano obblighi di comunicazione di determinate informazioni a cadenze temporali prefissate; si tratterà in particolare della redazione e della trasmissione di situazioni patrimoniali, relazioni ed altri documenti informativi.
2.8.2. Dovere dell’imprenditore di informativa sullo stato di crisi.
L’iniziativa nella stipulazione degli accordi di ristrutturazione, sarà presa dall’imprenditore in stato di crisi, che dovrà rendere conoscibile ai creditori l’esistenza della situazione di difficoltà che attraversa la propria impresa.
Sotto tale profilo è stata evidenziata78 l’opportunità di introdurre degli strumenti di allerta volti a favorire l’esteriorizzazione della crisi d’impresa, sia nell’interesse dell’imprenditore che del ceto creditorio, al fine di evitare che un’emersione tardiva della crisi, renda inevitabile, l’apertura della procedura fallimentare.
L’inizio delle trattative potrà essere eventualmente preceduto dall’invio da parte dell’imprenditore in crisi di una lettera d’intenti, generalmente molto generica con cui può eventualmente procedersi alla convocazione dei creditori al fine di illustrare il piano di ristrutturazione predisposto dalla stessa79, di solito contenuto in documento denominato infomemorandum o termsheet.
Questo documento normalmente contiene una premessa sulla storia dell’impresa, sulle cause principali della crisi, sulle prospettive di continuazione dell’attività o le previsioni dei ricavi conseguenti alla vendita di alcuni o tutti gli assetts, l’esposizione debitoria complessiva con l’indicazione dei vari creditori, nonché l’indicazione dei tempi necessari per il completamento dell’operazione che potrà essere di risanamento o di liquidazione.
Si tratta di una fase delicatissima, che segna l’inizio di quelle trattative stragiudiziali che dovrebbero condurre alla formalizzazione dell’accordo.
78 Così, X. XXXXXXXXX, L’anticipazione della crisi d’impresa: profili di diritto comparato e prospettive future – Atti del Convegno di Milano del 21.10.2008, in, Il Fall. n.1/2009, (Allegato), p. 14 e segg.
79 X. XXXXX, Gli accordi di salvataggio o di liquidazione dell’impresa in crisi, in, Il Fall. , n. 11/2008,
p. 1237 e segg.
Questo momento è caratterizzato da una forte asimmetria informativa, che si manifesta non solo tra il debitore e i suoi creditori, ma anche all’interno delle diverse categorie di creditori.
L’imprenditore in crisi è infatti il soggetto che ha la cognizione più completa della situazione economica della propria impresa, mentre le conoscenze che i creditori normalmente hanno delle condizioni economiche del proprio obbligato sono molto più limitate, inoltre, anche da questo punto vista all’interno del ceto creditorio, normalmente esistono delle differenze, si pensi ad esempio alla posizione privilegiata delle banche, che in virtù degli strumenti che hanno a disposizione80, potrebbero essere in grado di valutare la situazione dell’impresa sia in relazione al singolo rapporto intrattenuto con la stessa, sia nell’ambito del complesso dei rapporti intrattenuti con il mondo bancario.
Anche i lavoratori, soprattutto se assistiti nel loro insieme da organizzazioni sindacali potrebbero avere una percezione più immediata della difficoltà dell’impresa, in ragione di un mutato utilizzo dei fattori della produzione.
I fornitori invece, percepiscono, in genere, in ritardo la situazione di crisi del proprio acquirente e ciò anche in considerazione della prassi dei tempi dilazionati per il pagamento dei debiti aziendali.
A ciò occorre aggiungere, che all’interno di ciascuna categoria di creditori , è possibile trovare creditori più o meno informati, ad esempio a seconda della maggiore o minore frequenza e rilevanza economica dei rapporti commerciali con il debitore.
La diversa prospettiva dalla quale ciascuna categoria di creditori, e all’interno della stessa ciascun creditore osservano l’impresa in crisi, determina un diverso livello di informazione del singolo, rispetto alla reale situazione economico-finanziaria dell’impresa medesima.
Il riequilibrio di questa situazione di asimmetria informativa, durante la fase di negoziazione dell’accordo, si impone alla luce dei principio di buona fede e correttezza (art. 1375 e 1175 cod. civ.) nonché alla luce dei principi di eguaglianza e di libertà di iniziativa economica (art. 3 e 41 Cost.)
A seconda delle dimensioni dell’impresa in crisi, dell’attività esercitata, del contenuto del possibile accordo di ristrutturazione, può variare il contenuto delle comunicazioni da rivolgere ai creditori. Questi possono essere messi in condizione di valutare in maniera ponderata non solo le rinunzie e le clausole che dovranno sottoscrivere al momento della stipulazione dell’accordo, ma anche quelle che dovranno sottoscrivere gli altri creditori, infatti un elemento che può influenzare il giudizio di questi in ordine all’accettabilità della proposta è la consapevolezza della condivisione del sacrificio economico con tutti o parte degli altri creditori. Infatti la possibilità per il debitore di derogare in questa situazione alla regola della par condicio creditorum , non preclude ai creditori di condizionare l’accettazione della proposta ad un sacrificio più o meno uguale delle altre situazioni giuridiche.
Il riequilibrio di questa situazione di asimmetria informativa, viene attuato poi, nella fase successiva alla negoziazione, attraverso la previsione legislativa che impone la
80 A titolo di esempio si può pensare alla Centrale Rischi presso la Banca d’Italia.
pubblicazione dell’accordo di ristrutturazione nel registro delle imprese (art. 182 bis). In seguito alla presentazione del Programma di ristrutturazione81, l’impresa supportata dai propri consulenti, valutate le reazioni dei creditori, d’intesa con questi ultimi, soprattutto ove questi siano rappresentati in prevalenza da banche o altre istituzioni finanziarie, deciderà se ricorrere ad un accordo di ristrutturazione ex art. 182 bis l. fall., o ad un Piano di risanamento attestato ex art. 67 l. fall. comma 3 lett. d) l.fall, o eventualmente ad un accordo di salvataggio atipico, scelta che dipenderà anche dalle condizioni dell’impresa e dall’esame delle cause che hanno determinato la crisi.
E’ evidente che se lo scopo dell’impresa è quello di pervenire alla ristrutturazione del debito attraverso la liquidazione totale delle sue attività, si dovrà ricorrere ad un accordo di ristrutturazione e non al piano di risanamento attestato, giacchè quest’ultimo presuppone, la continuazione dell’attività imprenditoriale, attraverso la riduzione dell’esposizione debitoria e il riequilibrio della situazione finanziaria82.
2.8.3. Comportamento del creditore secondo buona fede e utilizzo delle informazioni ricevute.
Il principio di buona fede (art. 1375 cod. civ.) deve orientare anche il comportamento del creditore nella fase di negoziazione dell’accordo, potendo questi in virtù di una iniziale valutazione ritenere preferibile tentare la strada del recupero individuale del credito. Inoltre il creditore non può ritenersi legittimato a trasmettere a terzi le informazioni ricevute dall’imprenditore, in merito alla situazione di difficoltà che attraversa l’impresa, proprio perché il principio di buona fede impone in questa situazione l’esigenza di rispettare la riservatezza delle informazioni ricevute, in considerazione delle conseguenze pregiudizievoli che una loro divulgazione potrebbe comportare per l’impresa in crisi.
La divulgazione di queste notizie, potrebbe infatti provocare una serie di azioni individuali di recupero da parte degli altri creditori, restandone così pregiudicata la reale attuabilità del piano. Per tale ragione, la prassi evidenzia che la prima comunicazione inviata dal debitore è sempre estremamente generica e non contiene informazioni riservate sulla situazione finanziaria dell’azienda, essendo piuttosto diretta a verificare con i creditori le condizioni per attuare una modifica dei rapporti giuridici pendenti anche attraverso una complessiva riorganizzazione aziendale che preveda la cessione dell’azienda o di uno o più rami della stessa.
Deve ritenersi pertanto che in questa delicatissima fase non sia consentita ai creditori la divulgazione di quelle informazioni sulla situazione economico-finanziaria dell’impresa che non siano di dominio pubblico, e che se divulgate sono idonee a causare un pregiudizio all’imprenditore. Xxxxxxx invece divulgabili quelle risultanti ad esempio dal
81 X. XXXXX, Gli accordi di salvataggio o di liquidazione dell’impresa in crisi, in, Il Fall., n. 11/2008, p. 1239.
82 X. XXXXX, Il piano attestato di risanamento, in, Il Fall., 2005, 1360; X. XXXXX, Le vie negoziali per la soluzione della crisi d’impresa, in, Il Fall., 2007, 625.
bilancio della società, se e in quanto regolarmente depositato al registro delle imprese. In genere nella prima comunicazione l’obbligato oltre ad evidenziare la volontà di rinegoziare le proprie obbligazioni, chiede anche ai creditori di precisare l’ammontare del loro credito, invitandoli al contempo a voler evitare per un certo periodo tempo ogni iniziativa volta ad ostacolare il tentativo di ristrutturazione.
Ci si potrebbe chiedere se possa configurarsi un obbligo a carico di creditore di accettare la rinegoziazione delle obbligazione del proprio debitore, a tal riguardo il c.d. codice di comportamento83 predisposto dall’ABI, relativo ai processi di ristrutturazione per il superamento delle crisi d’impresa, prevede, tra l’altro, all’art. 4 l’obbligo delle banche di partecipare alla prima riunione della procedura di concertazione e a parteciparvi con funzionari dotati di un adeguato potere decisionale, prevedendosi così un obbligo per le banche di partecipazione alla prima fase della trattativa, diretta alla eventuale formulazione di un piano di risanamento dell’impresa. Tuttavia al di là di questa situazione specifica e prescindendo da ciò che è previsto nell’ambito dell’ordinamento bancario, deve escludersi l’insorgere in capo al creditore di un dovere di rinegoziazione degli originari accordi, in seguito alla proposta formulata dal debitore, in quanto l’esigenza di osservare il dovere di buona fede (1375 cod. civ.) non può considerarsi nel caso di specie tanto stringente da tramutarsi in un vero e proprio obbligo a contrarre. Invero ciascun contraente può consentire quelle modifiche contrattuali che siano funzionali alla migliore realizzazione degli interessi della controparte, compatibilmente con la tutela dei propri interessi per cui ai creditori non può essere imposto di aderire al piano.
83 Cfr. XXXXXXX X., Sistemazioni stragiudiziali delle crisi d’impresa e codice di comportamento bancario, in, Banca Borsa e titoli di credito, 2000, 3, 417; Cfr. SANTARONI M., L’intervento delle banche nelle imprese in crisi, in, Giust. Civ. 2000, 2, 45; Cfr. Codice di Comportamento tra Banche per affrontare i processi di ristrutturazione atti a superare le crisi d’impresa, disponibile all’indirizzo: xxxx://xxx.xxx.xx/xxxxxxx?xxxxxxxxxxx_xxxxxxxx&XxxxxxXxx0&xxxxxxxxXxx000
CAPITOLO III
IL CONTENUTO DEGLI ACCORDI DI RISTRUTTURAZIONE
SOMMARIO: 3.1. Premessa. 3.2. Quando la “riorganizzazione” diventa strumentale alla “ristrutturazione”. 3.3. Le clausole degli accordi di ristrutturazione. 3.4. Pactum de non petendo, percentuale minima di adesione e superamento dello stato d’insolvenza. 3.5. L’eventuale suddivisione dei creditori in classi: differenze rispetto al concordato preventivo. 3.6.1. L’erogazione di nuova finanza.
3.6.2. Il problema del finanziamento “ponte” o “interinale”. 3.6.3. Il problema delle garanzie. 3.6.4. L’utilizzabilità dei convenants per garantire la nuova finanza erogata nell’ambito dell’accordo di ristrutturazione. 0.0.0.Xx prededucibilità della nuova finanza: premessa. 3.6.6. Segue: il nuovo art. 182 quater l. fall.; 3.7. Ristrutturazione del debito mediante conversione dei crediti in capitale. Il principio contabile Ifrc 19. 3.8. L’utilizzo di una società di nuova costituzione e il ruolo delle banche. 3.9. L’utilizzo del trust nell’ambito dell’accordo di ristrutturazione. 3.10. La transazione fiscale collegata all’accordo di ristrutturazione. 3.11 Il contenuto degli accordi di ristrutturazione dei debiti ex art. 182 bis nella recente casistica giurisprudenziale.
3.1. Premessa.
L’art. 182 bis l. fall., contiene una norma che descrive per lo più il procedimento attraverso il quale si giunge all’omologazione dell’accordo, nulla dispone invece in merito al contenuto dello stesso, quest’ultimo resta dunque l’aspetto più complesso e interessante, in una prospettiva teleologica, in quanto esso dovrà prevedere le operazioni che concretamente consentiranno all’impresa di superare lo stato di crisi, potendo presentare pertanto il contenuto più vario84.
La struttura più semplice, finalizzata al superamento di una crisi di liquidità di natura soltanto finanziaria potrà prevedere un semplice riscadenziamento dei debiti85.
In questa situazione l’imprenditore in crisi pattuirà con i propri creditori una moratoria dei pagamenti dei debiti scaduti e di quelli in scadenza, per cui i crediti saranno inesigibili sino ad determinata data. In questa ipotesi i creditori, soprattutto quelli appartenenti al ceto bancario, pretenderanno il rilascio di adeguate garanzie sui beni dell’imprenditore o eventualmente di terzi.
Quando invece, la crisi d’impresa presenta una maggiore gravità, le semplici dilazioni di pagamento potrebbero rivelarsi insufficienti per la realizzazione dell’operazione, per
84 Cfr. X. XXXXXXXX E X. XXXXXXX, Concordati Giudiziali e operazioni societarie di “riorganizzazione”, in, Riv. Dir. Soc., 2008, nonché in, xxx.xxxxxxxxx.xx, Studio n. 77-2007/I;GUERRA, Ristrutturazione del debito e assistenza finanziaria all’impresa: il c.d. consolidamento dei crediti bancari, in, Banca borsa e tit. cred. 1995, I, 807 e segg.; XXXXX M., Convenzioni bancarie e procedure concorsuali, in, Fall., 1998, 928; APICE, L’impresa in crisi: rischi e responsabilità delle banche, in, Dir. Banc. , 1999, I, 230; X. XXXXXXXXXX XXXXX, Effetti della composizione stragiudiziale dell’insolvenza, Padova, 1995, 26 e segg.; ID. , Insolvenza e crisi d’impresa, Padova 1999, 121; CHIOZZI - CENSONI, I presupposti del fallimento, in, Il fallimento e le altre procedure concorsuali, diretto da Xxxxxxx, I, Torino, 2000, 105; XXXXXXXX, Concordato stragiudiziale, in, Diz. Dir. Priv., a cura di Irti 3, Milano, 1981, 354 ss.; OLIVA, Privatizzazione dell’insolvenza: inquadramento giuridico delle operazioni di ristrutturazione, in, Fall., 1999, 825.
85 In genere il pagamento dei debiti pregressi è dilazionato in cinque – otto anni, Cfr. Cfr. BNP- PARIBAS- PRICE WATER HOUSE COOPERS, Finanza d’impresa, Milano, 2002, 96 e segg
cui si renderà necessario nella maggior parte dei casi prevedere una postergazione dei crediti oppure una vera e propria decurtazione mediante la riduzione del loro ammontare complessivo.
Talvolta, in presenza di una situazione finanziaria così compromessa da far temere l’irrecuperabilità dei crediti, potrà essere prevista la conversione di questi in capitale.
In genere i creditori coinvolti in questo tipo di operazioni sono quelli bancari.
Inoltre alla conversione dei crediti in partecipazioni al capitale potranno accompagnarsi accordi sull’eventuale successivo trasferimento delle stesse, in particolare inserendo clausole di prelazione o di riscatto a prezzi predeterminati, oppure accordi relativi alla erogazione di finanziamenti a fini ristrutturativi.
3.2. Quando la “riorganizzazione” diventa strumentale alla “ristrutturazione debito”.
La crisi spesso non è soltanto di natura finanziaria, di frequente a questa si aggiungono problemi di natura economica, dovuti alla presenza di costi troppo gravosi rispetto alla redditività dell’organizzazione aziendale.
In presenza di queste situazioni la ristrutturazione del debito, può realizzarsi solo attraverso la negoziazione, tra creditori e imprenditore in stato di crisi, di un accordo che preveda anche una “riorganizzazione” aziendale, attraverso interventi sul piano societario, industriale e finanziario.
In tale prospettiva potranno essere previsti la dismissione di cespiti e di attività ritenute non strategiche, la riduzione dei livelli occupazionali e/o dell’orario di lavoro, il cambio del management, l’utilizzo delle risorse disponibili per lo sviluppo di determinati settori di attività o prodotti, la modifica delle politiche commerciali e di marketing, la razionalizzazione dei costi della rete distributiva, ecc..
In tal modo l’accordo di ristrutturazione, condiviso con i creditori diverrà il percorso che l’imprenditore dovrà seguire per realizzare il risanamento dell’impresa.
Altrettanto delicata rispetto alla fase preliminare di formazione del consenso è quella esecutiva, anche in considerazione della durata, normalmente pluriennale della stessa.
Al fine di favorire e, successivamente garantire la realizzazione degli accordi di ristrutturazione le parti potranno prevedere, almeno nei casi di imprese medio - grandi, che i rapporti tra loro siano intrattenuti per il tramite di organismi di consultazione e di controllo creati appositamente, ai quali potrà essere attribuito anche un potere di rappresentanza negoziale, al fine di semplificare i rapporti tra imprenditore in crisi e creditori partecipanti all’accordo. In tal modo il singolo creditore non avrà diretta cognizione delle informazioni messe a disposizione dall’imprenditore in crisi, al contempo l’imprenditore non avrà una relazione personale e diretta con i singoli creditori, tuttavia entrambi demanderanno ad altri l’attività di negoziazione, verifica della fattibilità del piano e controllo della sua puntuale e profittevole esecuzione.
In considerazione dell’importanza e della reciproca fiducia, sulla effettività e consequenzialità degli impegni assunti nell’ambito del complessivo disegno di ristrutturazione, potrà addivenirsi all’attribuzione della sua gestione a soggetti graditi al ceto creditorio o addirittura da questo designati.
In tal senso gli accordi di ristrutturazione potranno prevedere la sostituzione degli organi sociali o comunque delle più alte cariche aziendali, in quanto la scelta di affidare la negoziazione e l’attuazione del piano a consulenti specializzati nella gestione di imprese in crisi tranquillizzerà i creditori e li metterà in condizione di accettare le decisioni aziendali, anche nell’ipotesi in cui queste non siano state spiegate sotto tutti i loro profili ed effetti, e ciò proprio in ragione del prestigio personale di cui godono coloro che la hanno adottate.
La fiducia personale e la procedimentalizzazione dei rapporti possono costituire in molti casi ragioni di successo degli accordi, in quanto favoriscono il superamento di contrasti e resistenze anche di natura psicologica.
Il conseguimento di questi obiettivi può essere favorito attraverso la creazione di strutture partecipative che consentendo ai creditori di confrontarsi tra loro e di ottenere informazioni più complete.
Questo modello, in un primo momento storico è stato utilizzato soprattutto da aziende di gradi dimensioni86 (es. Xxxxxxx, Cameli, Ferruzzi, Montedison ecc.), oggi invece a seguito dell’introduzione del nuovo art. 182 bis. l’utilizzo di questi modelli potrà essere esteso anche ad aziende di dimensioni medio-piccole.
Occorre osservare come l’obiettivo principale dell’accordo di ristrutturazione rappresentato dal superamento della situazione di crisi, non richiede necessariamente la continuazione dell’attività di impresa in capo all’originario titolare, in quanto, soprattutto nei casi in cui il dissesto è più grave, e si intenda comunque procedere al salvataggio dell’impresa87 , questo potrà essere realizzato attraverso la costituzione di un nuovo soggetto giuridico. E’ il caso ad esempio, frequente nella prassi, del salvataggio attuato anche mediante la creazione di una nuova società di capitali, partecipata magari dai creditori o da una parte di essi, in particolare da quelli bancari, la quale stipula con il titolare dell’impresa in crisi un contratto di affitto di azienda risolutivamente condizionato alla mancata accettazione dell’operazione da parte di un numero sufficiente di creditori e con clausola di conversione in vendita per l’ipotesi di accettazione da parte dello stesso numero di creditori.
Dunque benché la legge parli di accordi di ristrutturazione dei debiti, in realtà e non diversamente per ciò che riguarda il piano di risanamento attestato di cui all’art. 67, comma 3° lett. d) l. fall, il contenuto dell’accordo dovrà, quasi necessariamente pianificare anche altre operazioni di “riorganizzazione” societaria che possono diventare strumentali alla realizzazione della vera e propria “ristrutturazione del debito”.
86 Cfr. X. XXXXXXX, Nuove esperienze nella soluzione stragiudiziale della crisi delle imprese, in, Giur. Comm. , 1997, p. 488/I e segg.
87 Piuttosto che alla sua liquidazione, scopo che potrebbe essere comunque conseguito con gli accordi, dato che la loro finalità risiede nel superamento della crisi dell’impresa, attraversa il salvataggio o appunto la liquidazione.
I grandi creditori infatti valuteranno, senza dubbio, la capacità dell’impresa di permanere nel circuito economico, riprendendo a produrre reddito e non sempre si accontenteranno di rimettere debiti, concedere dilazioni ed erogare nuova finanza.
Essi spesso cercheranno di realizzare forme di controllo sulla gestione dell’impresa. Inoltre stante la previsione del regolare pagamento dei creditori estranei, che costituisce uno degli aspetti caratterizzanti dell’istituto, il programma di ristrutturazione dovrà delineare uno scenario futuro, in cui l’attività d’impresa anche attraverso la liquidazione e il trasferimento di assetts, sia in grado di consentire il pagamento dei creditori estranei all’accordo, avvantaggiandosi dal punto di vista fiscale anche del regime delle plusvalenze, rinvenienti dalle rinunzie o dalle dilazioni effettuate dai sottoscrittori.
Il contenuto dell’accordo dunque, cioè la sua sostanza economica, è più ampio della semplice ristrutturazione del debito, e può essere notevolmente più complesso di quanto lo sia un normale contratto di scambio, potendosi scindere il contenuto in due parti fra loro collegate.
Da un lato infatti si pongono i contenuti che incidono direttamente sul debito e ne realizzano tipicamente la ristrutturazione. Questi possono essere a livello più semplice, le transazioni, le remissioni del debito, la dilazione di termini, la rinuncia agli interessi, ma anche l’emissione di titoli di debito.
Dall’altro lato invece, si potrà prevedere, sotto l’aspetto societario la conversione di crediti in capitale, attraverso degli aumenti di capitale sottoscritti con il meccanismo della compensazione; l’ erogazione di nuova finanza dietro presentazione di garanzie; possono esservi poi manovre anche più complesse la cui attuazione può richiedere la creazione di società veicolo c.d. new company; potranno prevedersi poi dei vincoli a carico dell’imprenditore, che lo limitano nell’attività di amministrazione e nella sua autonomia organizzativa e operativa; con una intensità crescente, potranno dunque prevedersi, specifici obblighi di informazione o di consultazione con alcuni creditori o con un loro comitato, impegni a dismettere rami d’azienda, programmi aziendali volti alla riduzione del personale, fino ad arrivare a prevedere l’inserimento dei rappresentanti dei creditori nell’organo amministrativo.
3.3. Le clausole degli accordi di ristrutturazione.
Le clausole che possono utilizzarsi nell’ambito di un accordo di ristrutturazione non possono in ogni caso considerarsi standardizzate, variando in considerazione della situazione concreta, dell’entità dell’indebitamento, del numero dei creditori, della natura della crisi e dei crediti, ad es. se chirografi o privilegiati, delle modalità da seguire per il superamento della crisi88.
88 X. XXXXXXX, Nuove esperienze nella soluzione stragiudiziale della crisi d’impresa, in, Xxxx. Comm., 1997, I, 488; X. XXXXXXXXXXX, Convenzioni bancarie ed effetti sullo stato di insolvenza, in, Il Fall., 1996, 841; X. XXXXXX XXXXXXX, La nuova disciplina del concordato preventivo e degli accordi di ristrutturazione, approvazione, omologazione, esecuzione e chiusura (art. 177 – 182;art. 182 bis.), in, Quaderni di Giurisprudenza commerciale, n. 282, Milano, 2005, 221.
La prassi ha dimostrato che ciò che ha determinato il successo degli accordi di salvataggio prima della riforma della legge fallimentare è stata proprio l’assenza di specifiche previsioni legali, che ha reso possibile plasmare ciascun accordo in relazione alle specifiche esigenze dell’impresa89. Sono state quindi individuate dalla dottrina90 alcune clausole che sono ricorrenti nelle composizioni negoziali della crisi d’impresa:
I) Le clausole di negoziazione: l’abbattimento dell’esposizione debitoria e il consolidamento dei crediti.
Tra queste vengono ricomprese le unità precettive negoziali relative alle richieste avanzate dall’imprenditore in crisi ai creditori e che presentano il seguente contenuto91:
a) la moratoria del pagamento dei debiti scaduti e non pagati per un certo numero di anni (di solito da un minimo di due ad un massimo di cinque anni, senza o con la previsione di un tasso di interesse convenzionalmente concordato) e/o la rinegoziazione del debito con la previsione di nuove scadenze (c.d. consolidamento dei crediti o rescheduling che modifica le condizioni contrattuali originarie.
b) la remissione di una parte del debito relativo alla sorta capitale o agli interessi maturati e/o maturandi, ovvero la rinuncia a tutte e/o ad una parte delle garanzie, eventualmente anche rilasciate da altre società del medesimo gruppo. Gli interessi maturati in un certo lasso di tempo, spesso vengono rinunciati interamente; per quelli maturandi si prevede in genere una misura di tasso agevolato, tendenzialmente in linea con il costo della raccolta, salva la possibilità di variazioni migliorative parametrate al raggiungimento di determinati risultati economici da parte della società o del gruppo al quale appartiene la società debitrice.
c) la postergazione di alcuni creditori rispetto ad altri;
d) la cartolarizzazione dei crediti92.
Possono rientrare tra i crediti oggetto di consolidamento: 1) i crediti in bianco non garantiti, quali interessi di mora, rate impagate di mutuo, esposizioni di conto corrente, prestiti obbligazionari, finanziamenti all’importazione, anticipi a valere su futuri
89 X. XXXXXX, Gli accordi di salvataggio delle imprese in crisi, Milano, 2007, p. 22.
90 X. XXXXX, Gli accordi di salvataggio o di liquidazione dell’impresa in crisi, in, Il Fall., n. 11/2008 p. 1237 e segg.
91 Cfr. X. XXXXXXXX, La gestione delle crisi d’impresa alla luce della riforma delle procedure concorsuali: strumenti attuativi, il riequilibrio finanziario, in, Riv. Dir. Fall., 2009, pag. 232 e segg.; GUERRA P., Ristrutturazione del debito e assistenza finanziaria all’impresa: il c.d. consolidamento del debito, in, Banca Borsa e Titoli di Credito, Milano, 1995, parte I .
92 L’utilizzo della cartolarizzazione è reso ora possibile anche nell’ambito della procedura fallimentare in quanto gli artt. 104 ter, 105 e 106 l. fall. fanno riferimento alla cessione di crediti in blocco e di crediti futuri. E’ stato inoltre evidenziato che nell’ambito degli accordi di ristrutturazione dei debiti (art. 182 bis), la possibilità di non dover rispettare per legge, la par condicio creditorum, renderebbe più agevole la costituzione delle diverse tranche di note che compongono i titoli rappresentativi della cartolarizzazione. Si potranno attribuire così le note senior, di sicuro incasso, ai creditori estranei all’accordo, i quali devono essere pagati per intero. Essi si vedranno riconosciuti il 100% del credito vantato nei confronti dell’imprenditore. Le note mezzanine e junior potranno poi essere attribuite agli altri creditori: Così X. XXXXXX, Appunti in tema di diritto fallimentare e operazioni di <<securitization>>, in, Il Fall., n. 8/2006, pag. 883 e segg.
contratti o future esportazioni, le anticipazioni di crediti commerciali non andati a buon fine a causa del mancato pagamento da parte del soggetto obbligato; 2) i crediti garantiti con garanzie non capienti o di difficile realizzo, quali ad esempio i crediti garantiti con garanzie ipotecarie di grado successivo al primo.
Generalmente invece non sono oggetto di consolidamento, anche se nulla vieta la loro ricomprensione nel relativo piano: 3) i crediti autoliquidanti, ovvero quelli rinvenienti da finanziamenti per i quali al momento dell’erogazione sia stata individuata la fonte di rimborso. Rientrano ad esempio in questa categoria le operazioni di smobilizzo dei crediti derivanti da transazioni commerciali, tra cui, a titolo esemplificativo, gli anticipi su fatture, lo sconto di effetti cambiari, i crediti assistiti da mandato irrevocabile all’incasso. 4) I finanziamenti pubblici a tasso agevolato e i crediti derivanti da contratti di leasing: anche per questi in teoria nulla vieta che vengano comunque inclusi nel consolidamento, tuttavia questo normalmente è esclusa con riferimento ai finanziamenti ex lege, in quanto nei confronti della Pubblica amministrazione il potere contrattuale è assolutamente residuale; i leasing invece vengono in genere esclusi perchè la proprietà del bene è in capo alla società di leasing.
Nella prassi, l’ammontare del credito effettivamente consolidato è generalmente inferiore a quello effettivamente esistente, ciò sia per la esclusione dall’accordo dei crediti inferiori a determinati importi minimi, per i quali viene considerata preferibile, anche da parte della banche, una definizione mediante transazione a “saldo e stralcio”, sia per possibile mancata adesione al piano di alcuni istituti di credito.
Gli aspetti caratterizzanti del consolidamento dei crediti riguardano: 1) l’individuazione delle condizioni di consolidamento; 2) l’onerosità; 3) le garanzie, 4) il ristoro.
Le condizioni di consolidamento riguardano le nuove scadenze convenzionali dei debiti, ovvero il piano di rimborso dell’ “esposizione consolidata”. Quest’ultimo ha una durata compresa generalmente tra i tre e i sei anni e potrà prevedere una rateazione costante e crescente in relazione all’entità dei flussi di cassa previsti.
In presenza di gruppi societari di dimensioni rilevanti, si procede spesso ad una semplificazione della titolarità del debito, individuando il soggetto debitore nella capogruppo, che assumerà, mediante accollo (di regola cumulativo) i debiti delle società controllate.
Individuato così il soggetto debitore, potrà procedersi all’erogazione in suo favore di un nuovo finanziamento, eventualmente erogato in pool, oppure l’impresa potrà procedere all’emissione di prestito obbligazionario, eventualmente convertibile, di ammontare pari al preesistente debito da consolidare. I finanziamento in pool, oppure il prestito obbligazionario, di regola non vengono sottoscritti in quote uguali dagli istituti di credito aderenti al piano, ma piuttosto pro-quota, in misura proporzionale all’ammontare dei rispettivi crediti.
In questo modo la capogruppo estinguerà il proprio debito preesistente o quello assunto per accollo, ovvero se questo non è intervento, quello delle varie società componenti il gruppo economico di appartenenza per effetto di una delegazione di pagamento dalle stesse conferita.
Nell’uno e nell’altro caso, dopo un iniziale periodo di preammortamento, il capitale verrà rimborsato ratealmente e cadenze semestrali o annuali93, o anche eventualmente in un’unica soluzione al termine del piano di consolidamento.
Il piano di rimborso potrà inoltre prevedere che il computo degli interessi avvenga solo dopo il decorso di un certo periodo di tempo.
Per quanto concerne il profilo dell’onerosità, un elemento ricorrente delle operazione di consolidamento è rappresentato dalla limitazione degli interessi passivi sulla preesistente esposizione e cioè l’accettazione di interessi inferiori a quelli di mercato. Ciò si spiega con l’esigenza di agevolare il riequilibrio economico dell’impresa.
A fronte del consolidamento dei crediti sono generalmente richieste garanzie, che il debitore dovrà rilasciare, in mancanza di opposizioni da parte degli altri creditori.
Il piano di ristoro, assolve alla finalità di consentire alle banche di beneficiare di eventuali eccedenze dei flussi di cassa prodotti dalla gestione operativa nel suo complesso, ovvero da singole fonti, quali ad esempio le entrate rinvenienti dalle dismissioni di specifici cespiti. Si tratta di una forma particolare di covenant che impone all’impresa debitrice di impiegare tali eccedenze per decurtare ulteriormente il debito consolidato, imprimendo così un’accelerazione al piano di ammortamento.
A fronte delle clausole che prevedono un sacrificio per i creditori aderenti all’accordo, si pongono quelle che prevedono la compensazione di questo sacrificio con la ristrutturazione del debito, e il risanamento della situazione economico finanziaria, si può pensare ad esempio all’impegno dell’impresa di mutare la strategia organizzativa o produttiva, di procedere alla riduzione del personale, di vendere alcuni o tutti gli assets dell’impresa o delle società appartenenti al gruppo.
II) Clausole volte a consentire il monitoraggio da parte dei creditori.
Nell’ambito degli accordi di ristrutturazione può essere concesso ai creditori un potere di controllo sulla corretta esecuzione del piano attraverso l’introduzione di apposite clausole con le quali può prevedersi:
e) il loro coinvolgimento nella gestione e la nomina di uno di essi come membro dell’organo di controllo o di amministrazione;
f) la facoltà per i creditori di chiedere in qualsiasi momento informazioni e/o richieste di documentazione;
g) l’obbligo per l’impresa di rispettare le scadenze pattuite per assicurare costanti e periodici flussi informativi ai creditori, che quando sono numerosi possono farsi rappresentare da un rappresentante comune.
Nell’ipotesi in cui il programma di ristrutturazione preveda la liquidazione di alcuni o tutti gli assets , possono essere individuati, nell’interesse dei creditori, dei criteri per vendere i beni attraverso procedure competitive al fine di salvaguardare la trasparenza nelle negoziazioni e il miglior realizzo possibile dalla vendita dei beni, e per monitorare i comportamenti degli amministratori dell’impresa nella vendita degli assets.
III) Clausole di recesso.
93 La prassi dimostra che raramente vengono previste scadenze mensili o trimestrali.
Con la previsione di queste clausole si può eventualmente consentire ai creditori di recedere dall’accordo al verificarsi di determinati eventi che possono, esemplificativamente concretizzarsi nella:
h) sottoposizione dell’impresa alla procedura fallimentare;
i) elevazione di protesti a carico dell’impresa o nell’inizio di procedimenti esecutivi e/o cautelari, qualora entro il termine dei sessanta giorni previsti dall’art. 182 bis non sia intervenuta ancora l’omologazione dell’accordo;
j) inizio da parte dell’impresa di attività incompatibili con quelle contenute nel programma di ristrutturazione;
k) sussistenza di una causa di scioglimento della società, ove l’impresa sia strutturata in forma societaria;
l) palese erroneità delle dichiarazioni e delle previsioni del piano di ristrutturazione.
IV) Clausole risolutive espresse.
Una clausola risolutiva espressa può prevedersi per l’ipotesi in cui l’impresa non adempia alle proprie obbligazioni nei termini convenuti nell’accordo di ristrutturazione. Ai sensi di quanto disposto dall’art. 72 comma 6 l. fall. sono in ogni caso inefficaci le clausole negoziali che fanno dipendere la risoluzione del contratto dal fallimento. All’operatività della clausola risolutiva espressa conseguirà, l’immediata decadenza da tutti i diritti concessi all’impresa, es. dilazioni di pagamento, postergazione, remissione, ecc., nonchè la reviviscenza dei diritti dei creditori secondo il contenuto previsto nelle obbligazioni originarie.
V) Jus variandi.
L’accordo di ristrutturazione può prevedere la possibilità per l’impresa di rimborsare anticipatamente i crediti rispetto alle scadenze previste, al ricorrere di determinate condizioni.
VI) Obblighi a carico dei creditori.
Possono essere previsti obblighi a carico dei creditori diretti da un lato a rafforzare la loro posizione reciproca, sia a tutelare l’impresa nella realizzazione del buon fine dell’operazione. Queste clausole possono prevedere:
m) l’obbligo per ciascun creditore di comunicare agli altri creditori tutte le informazioni in suo possesso rilevanti per la conclusione dell’accordo di ristrutturazione;
n) il divieto per i creditori di promuovere azioni esecutive o cautelari sul patrimonio del debitore o di depositare istanze di fallimento (pactum de non petendo) che si aggiungerebbe alla previsione legale contenuta nell’art. 182 bis relativa al blocco delle azioni cautelari ed esecutive nei sessanta giorni successivi alla pubblicazione dell’accordo e alla possibilità introdotta dal D.L. 78/2010 di chiedere la sospensione di azioni esecutive e cautelari già durante le trattative stragiudiziali;
o) l’obbligo per i creditori di non fare uso delle informazioni comunicate dall’imprenditore in crisi per procedere ad iniziative giudiziali individuali;
p) l’obbligo di riservatezza da parte dei creditori relativo ad ogni informazione ricevuta e riguardante la situazione economico – finanziaria dell’impresa.
VII) Clausole che prevedono l’erogazione di nuova finanza.
Normalmente l’erogazione di nuova finanza è un’operazione dalla quale non si può prescindere nel tentativo di ristrutturazione di un’impresa in crisi, soprattutto quanto questo è finalizzato al salvataggio della stessa, nella prospettiva di continuare l’attività. Nel corso della negoziazione verranno discusse le modalità per garantire la restituzione del finanziamento erogato, per cui possono essere previste:
q) le modalità e i tempi di rimborso della nuova finanza;
r) nuove garanzie per il finanziatore, quali ad esempio la richiesta di pegno sulle azioni e/o sulle quote della società e/o di società del suo gruppo, sui brevetti, sui marchi, la concessione di nuove ipoteche sui beni immobili dell’impresa o di terzi, quali ad esempio i soci, covenants;
s) nell’eventuale impegno dei soci di effettuare aumenti di capitale se l’impresa è strutturata in forma societaria;
t) il divieto di costituire sui beni dell’impresa vincoli a favore di terzi che non siano i finanziatori o di compiere operazioni di dismissione;
u) nell’eventuale costituzione di una società veicolo, c.d. Newco il cui capitale sociale è sottoscritto dai creditori in proporzione al loro credito vantato verso l’impresa.
3.4. Pactum de non petendo, percentuale minima di adesione e superamento dello stato d’insolvenza.
Tra le clausole che pongono degli obblighi di comportamento a carico dei creditori, merita particolare attenzione, rientrando nel contenuto di un accordo di ristrutturazione (182 bis. l.fall.) il c.d. pactum de non petendo94.
La Suprema Corte lo ha definito come un accordo finalizzato alla dilazione dei termini di scadenza di un credito scaduto o anche da scadere evidenziando l’idoneità dello stesso ad incidere sullo stato d’insolvenza del debitore95.
La caratteristica peculiare di questo accordo, consiste nel precludere al creditore l’esercizio giudiziale dei suoi diritti di credito, attraverso la modifica dell’originario rapporto obbligatorio96. Il pactum de non petendo può essere concepito in perpetuum,
94 Cfr. X. XXXXXXXXXX XXXXX, Gli accordi di ristrutturazione dei debiti, un nuovo procedimento concorsuale, Padova 2009, p. 120; MAIMERI F., Sistemazioni stragiudiziali delle crisi d’impresa e codice di comportamento bancario, in, Banca Borsa e titoli di credito, 2000, 3, 417; Cfr. SANTARONI M., L’intervento delle banche nelle imprese in crisi, in, Giust. Civ. 2000, 2, 45.
95 Cfr. Cass. 19 novembre 1992 n. 12383, in, Fall., 1993, p. 510 e in Dir. Fall., 1993, II, pag. 1084, con nota di Lembo; Cass. 28 ottobre 1992 n. 11722, in, Fall., 1993, p. 352. in merito alla incidenza sullo stato di insolvenza del pactum de non petendo concluso con alcuni creditori cfr. XXXXXXX, Insolvenza, cit. pag. 661 e segg.
96 SCOGNAMIGLIO, Considerazioni sul pactum de non petendo alla luce di un rimeditato concetto del patto nell’ordinamento attuale, in, Riv. Notariato, 1986, I, pagg. 587 e segg.; Cfr. XXXXXXXX, Pactum de non petendo e remissione del debito, in, Foro Pad., 1959, 299 e segg.; X. XXXXX, Xxxx’asserita sopravvivenza del pactum de non petendo nel diritto civile italiano, in, Foro It., 1960, IV, 129; RUSCELLO, Pactum de non petendo e vicenda modificativa del rapporto obbligatorio, in, Riv. Dir. Civ., 1976, II, pagg. 198 e segg.;
quando consiste nell’impegno definitivo di non chiedere la prestazione; oppure ad tempus, quando l’accordo stabilisce un termine prima del quale il creditore non deve chiedere al debitore l’adempimento della sua obbligazione.
La conclusione di un accordo di questo tipo paralizza il potere del creditore di ottenere eventualmente in via coattiva l’adempimento, senza peraltro comportare l’estinzione definitiva dell’obbligazione. Questo effetto particolare differenzia il pactum de non petendo, dalla remissione del debito (art. 1236 cod. civ.) , al primo infatti non consegue, l’estinzione dell’obbligazione, effetto che è invece tipico della remissione.
Per quanto riguarda l’incidenza che il pactum de non petendo, può avere con riferimento al superamento dello stato d’insolvenza, parte della giurisprudenza97 ha ritenuto che esso possa avere tale effetto solo qualora l’accordo intervenga tra l’imprenditore e tutti i suoi creditori, in quanto soltanto in tale ipotesi si inciderebbe direttamente sugli inadempimenti, “azzerando” lo stato di insolvenza del debitore, diversamente qualora l’accordo venisse concluso tra l’imprenditore e soltanto alcuni suoi creditori, il patto in questione non sarebbe idoneo a rimuovere lo stato d’insolvenza.
In senso contrario sembra invece preferibile ritenere che la circostanza che al patto abbiano o meno aderito tutti i creditori non sia idonea, di per sé sola, ad individuare la linea di confine tra il patto che incide sullo stato d’insolvenza e quello che, invece, non rileva sul medesimo98. Il pactum de non petendo infatti, incide direttamente sull’inadempimento, escludendolo, e si riflette sull’insolvenza se e in quanto detta inadempienza sia determinante al fine configurare la sussistenza di uno stato d’insolvenza. Ne consegue che né il patto sottoscritto da tutti i creditori, né quello sottoscritto da alcuni soltanto di essi ha un’efficacia diretta sullo stato d’insolvenza, in quanto l’oggetto del patto, non è lo stato d’insolvenza, ma solo l’inadempimento di uno o più crediti, o eventualmente anche di tutti.
In entrambi i casi, dunque, l’incidenza del patto sullo stato d’insolvenza è soltanto “mediata”, nel senso che il patto è in grado di escludere lo stato d’insolvenza solo se e nella misura in cui, l’insolvenza medesima può essere rimossa, modificando anche soltanto parte dei rapporti obbligatori riconducibili all’impresa.
Sotto tale profilo, dall’esame delle precedenti esperienze in tema di convenzioni bancarie di salvataggio99, si evince che uno aspetti più problematici, riguarda proprio la determinazione convenzionale di una percentuale minima di adesioni, il cui raggiungimento è necessario per rendere efficace la convenzione nei confronti dei firmatari della stessa, se il numero di adesioni stabilito non venisse raggiunto, la convenzione non acquisterebbe efficacia. La determinazione convenzionale di una percentuale minima di adesioni è alquanto problematica, in quanto se essa fosse troppo elevata, si rischierebbe il non raggiungimento, se fosse troppo bassa, si rischierebbe di
97 Trib. Napoli, 23 aprile 2002, in, Giur. Merito, 2003, 10, 1954.
98 Cfr. XXXXXXXX L., Ancora qualche considerazione sulla natura dell’attività esercitata dalla holding, e sulla rilevanza del pactum de non petendo, nota a Trib. Napoli, 23/4/2002, in, Giur merito, 2003, 10, 1954.
99 Cfr. XXXXXXX X., Il percorso delle soluzioni stragiudiziali alle crisi d’impresa, in, Giur. Comm., 1998, 4, 609.
non avere risorse sufficienti, per transigere i crediti di coloro che non hanno firmato la convenzione, per i quali viene previsto comunque il pagamento integrale.
Tali problemi sono stati oggi superati dal legislatore, con l’introduzione della disciplina riguardante gli accordi di ristrutturazione dei debiti (art. 182 bis l. fall.), la quale è incentrata su due elementi “nevralgici”, e cioè: 1) la necessità che l’accordo coinvolga almeno il 60% dei crediti100; 2) l’idoneità dell’accordo ad assicurare il regolare pagamento dei creditori estranei all’intesa; presupposti, che nell’intenzione del legislatore, costituiscono il “fulcro” della disciplina di cui all’art. 182 bis l. fall., tant’è che la loro sussistenza, dovrà essere confermata sia dal professionista incaricato, che redigerà la relazione da allegarsi al ricorso, sia dal tribunale nell’ambito del giudizio di omologazione.
E’ evidente dunque, che negli accordi di ristrutturazione (art. 182 bis), la previsione di una soglia minima di adesioni, nell’intenzione del legislatore, assolve proprio alla funzione di rendere disponibili le risorse sufficienti per superare lo stato d’insolvenza, garantendo al contempo il regolare pagamento dei creditori non aderenti. Pertanto deve ritenersi che ricorrendo tutte le condizioni previste dal legislatore nell’articolo 182 bis, compresa, l’avvenuta omologazione dell’accordo, debba sicuramente ritenersi superato lo stato d’insolvenza dell’impresa.
3.5. L’eventuale suddivisione dei creditori in classi: differenze rispetto al concordato preventivo.
Come in tutti i casi di composizione stragiudiziale della crisi d’impresa, non è richiesto il rispetto del principio della par condicio creditorum, che invece nel concordato preventivo, può essere derogato soltanto attraverso la suddivisione dei creditori in classi, fermo restando il trattamento paritario nell’ambito di ciascuna classe.
L’elasticità della struttura dell’accordo di ristrutturazione consente senz’altro all’imprenditore proponente di prevedere la suddivisione dei creditori in classi ed un loro trattamento differenziato a seconda della classe di appartenenza
D’altro canto per i creditori, la previsione di un trattamento paritario nell’ambito della stessa classe, sicuramente costituirà un incentivo, anche psicologico per l’adesione all’accordo.
Questa possibilità, espressamente prevista in altri ordinamenti101 è stata introdotta con la riforma della legge fallimentare anche dal legislatore italiano con l’art. 124 comma 2
100 Si ricorda che ai fini del computo della percentuale del 60% del crediti, l’ultimo comma del nuovo art. 182 quater, inserito nella legge fallimentare dal D.L. 78/2010, ha previsto che i crediti derivanti da finanziamenti erogati banche e altri intermediari finanziari in funzione della domanda di omologazione dell’accordo di ristrutturazione dei debiti (art. 182 quater comma 2), nonché quelli derivanti da finanziamenti effettuati dai soci (art. 182 quater comma 3), e quelli spettanti al professionista incaricato di redigere la relazione sulla fattibilità dell’accordo (art. 182 quater comma 4), sono esclusi dal computo della percentuale del 60% dei crediti, richiesta dall’art. 182 bis primo comma, ai fini dell’omologazione dell’accordo, nonché dall’art. 182 bis comma 6, ai fini dell’istanza di sospensione depositata nel corso delle trattative stragiudiziali.
101 Chapter 11 Bankruptcy Code americano.
lett. b) per il concordato fallimentare e con l’art. 160 comma 1 lett. c) per il concordato preventivo.
Anche per l’accordo di ristrutturazione, data la ancor maggiore autonomia concessa alle parti, potranno prevedersi diverse categorie di creditori e trattamenti differenziati, a seconda della situazione concreta, ad esempio: i creditori assistiti da cause di prelazione, i chirografari, i fornitori, i lavoratori subordinati, i professionisti, i creditori di somme inferiori o superiori ad una certa soglia, lasciando all’autonomia privata ogni diversa e più opportuna classificazione in relazione alla concreta situazione da regolamentare.
Tuttavia, nell’ambito degli accordi di ristrutturazione non vi è la necessità di rispettare, criteri particolari nella formazione delle classi, neanche quelli della “posizione giuridica” e della “omogeneità degli interessi economici”, previsti per i concordati giudiziali, ferma restando soltanto l’obbligo di procedere al regolare pagamento dei creditori estranei (art. 182 bis comma 1 l. fall.). Inoltre la stessa scelta di suddividere eventualmente i creditori in classi, può rispondere soltanto a ragioni di opportunità, da valutarsi caso e per caso, e non certo un obbligo com’è invece nel concordato preventivo, in quanto l’imprenditore proponente l’accordo potrebbe anche prevedere trattamenti differenziati tra creditori aventi la medesima posizione giuridica e interessi economici omogenei, ferma restando, anche in questo caso, la necessità di procedere al regolare pagamento dei creditori estranei all’intesa.
3.6.1. L’erogazione di nuova finanza.
Una delle difficoltà maggiori che emerge nella realizzazione di un tentativo di ristrutturazione dei debiti è quello di apportare all’impresa in difficoltà dei finanziamenti, necessari per consentirle di proseguire l’attività e di pagare i creditori102. Il manifestarsi della crisi comporta infatti anche la riduzione improvvisa della eventuale liquidità residua dell’impresa, dovuta alle richieste di pagamento anticipato da parte dei fornitori, o addirittura alla cessazione delle forniture che impedisce la prosecuzione dell’attività, fattori che concorrono rapidamente ad aggravare la situazione in maniera talvolta irreversibile. Per tale ragione, è stato efficacemente evidenziato che “incoraggiare la ristrutturazione delle imprese in crisi significa rimuovere gli ostacoli che impediscono loro l’accesso ai finanziamenti”103, in quanto se un impresa in crisi ha bisogno di finanziamenti che il mercato potrebbe soddisfare ma che non vengono concessi a causa di ostacoli normativi, accade che il fallimento colpisce imprese che
102 Cfr. X. XXXXXXXXXX, Il Finanziamento all’impresa in crisi nella fase preparatoria della ristrutturazione del debito, in, Il Fall., n. 1/2009 (Allegato), p. 37 e segg., Relazione al Convegno di Milano del 21 ottobre 2008.
103 Così X. XXXXXXXXXXXX, Il ruolo dei finanziatori nella crisi d’impresa: nuove regole e opportunità di mercato, in, Il Fall., n. 9/2008, p. 1075. E’ stato inoltre evidenziato che il finanziamento alle imprese in crisi svolge una funzione vitale nell’economia, in quanto consente al mercato di svolgere correttamente la sua funzione di garanzia nel raggiungimento di livelli ottimali di qualità e di prezzi, di premiazione delle imprese migliori ed espulsione di quelle inefficienti, e perciò di promozione del benessere economico e sociale, Così X. XXXXXXXX – V. DI XXXXXXX, Manuale di Diritto Industriale, V ed. Milano, 2005, p. 528 e segg.
potrebbero essere recuperate. E’ stata quindi segnalata la necessità che <<si consolidino interpretazioni più moderne e soprattutto più consapevoli delle conseguenze, talvolta drammatiche , che sono capaci di produrre sulla pratica, scoraggiata da incertezze e dubbi fondamentali>>104.
Con il termine di “finanziamenti a fini ristrutturativi” la dottrina105 indica i finanziamenti concessi dalle banche, e dagli altri intermediari finanziari ex artt. 106 e 107 t.u.b. nell’ambito delle c.d. soluzioni concordate della crisi d’impresa, tra le quali rientrano anche gli accordi di ristrutturazione dei debiti106 ex art. 182 bis. l.fall.
I finanziamenti dunque si inseriscono nell’accordo come elemento di questo, il quale è sottoposto all’omologazione del Tribunale nel suo complesso107.
Il mercato relativo a questi finanziamenti, viene suddiviso108 in due settori distinti: quello dei finanziamenti diretti alla ristrutturazione stragiudiziale109 che ha per lo più le caratteristiche di un mercato chiuso in cui le imprese hanno notevoli difficoltà nel reperire nuova finanza, e quello dei finanziamenti finalizzati alla ristrutturazione nell’ambito delle procedure concorsuali, che è addirittura quasi del tutto sconosciuto salve ipotesi particolari110.
Normalmente le banche preferiscono ricorrere alle linee di credito c.d. autoliquidanti, cioè: “fidi per operazioni di anticipazione sui crediti che presentano un rischio meno rilevante ove, all’atto della concessione delle singole anticipazioni si presti particolare attenzione alla bontà dei crediti ceduti”111.
Un contributo importante al tema dei finanziamenti a fini ristrutturativi è rappresentato dalle recenti “Linee Guida sul Finanziamento alle Imprese in Crisi”112 , la cui finalità è quella di individuare, in maniera condivisa con tutti i soggetti potenzialmente interessati alla ristrutturazione delle imprese in crisi, dei comportamenti operativi definiti come “buone prassi” o “best pratices”, volte ad incoraggiare l’erogazione della nuova
104 Così X. XXXXXXXXXXXX, Op. ult. Cit. p. 1078.
105 Cfr. X. XXXXXX, I finanziamenti delle banche a fini ristrutturativi, in, Giur. Comm., 2008, p. 478 e segg.
106 Le altre due ipotesi sono rappresentate dai piani di risanamento attestati e dal concordato preventivo.
107 Cfr. X. XXXXXXXXXX XXXXX, Gli accordi di ristrutturazione dei debiti, un nuovo procedimento concorsuale, Padova, 2009, p. 64 e segg.
108 Così X. XXXXXXXXXXXX, Il ruolo dei finanziatori nella crisi d’impresa: nuove regole e opportunità di mercato, in, Il Fall., n. 9/2008, p. 1075.
109 E’il caso ad esempio del finanziamento di Tiscali ad opera di un hedge fund americano effettuato nell’agosto del 2005 e diretto a consentire alla società il rimborso di un bond in scadenza. Nel caso di specie si trattava però di un caso di crisi non grave e relativa ad una società quotata , in quanto tale soggetta ad un elevato grado di trasparenza.
110 Ad esempio la Parmalat nel marzo 2004 ottenne un finanziamento da parte delle banche, che però rimase inutilizzato perché la società aveva flussi di cassa positivi. Altro caso è quello di Fioroni Ingegneria S.p.a., in amministrazione straordinaria , che nel 2000 ottenne finanziamenti diretti a consentirle di proseguire l’esercizio dell’impresa partecipando ad appalti per la costruzione di infrastrutture in Italia e all’estero.
111 Così X. XXXXXXXXXXXX, Diritto Fallimentare, cit. p. 318.
112 Linee Guida per il Finanziamento alle Imprese in Crisi, del 2010, elaborate nell’ambito di un progetto che ha visto la collaborazione dell’Università di Firenze, del Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili e dell’Assonime. Il documento è disponibile agli indirizzi: www.unifi.i/nuovodirittofallimentare; oppure xxx.xxxxxx.xx, o anche xxx.xxxxxxxx.xx .
finanza113, attraverso l’eliminazione delle incertezze derivanti dalla interpretazione del dato normativo.
In Italia infatti, pur nella consapevolezza che la disponibilità di nuova finanza consente di aumentare le possibilità di successo della ristrutturazione, per la possibilità di disporre di maggiori di risorse, il finanziamento delle imprese in crisi incontra grandi difficoltà dovute alla incertezza del quadro normativo114.
Le “Linee Guida” esprimono correttamente l’esigenza di costruire modelli virtuosi di comportamento115 che valorizzando lo strumento dell’accordo di ristrutturazione di cui all’art. 182 bis, lo distinguano nettamente rispetto ai precedenti concordati stragiudiziali, sotto il profilo dell’idoneità del primo a salvaguardare i partecipanti all’accordo da eventuali forma di responsabilità civili e/o penali116.
Al verificarsi di una situazione di crisi, ci si ritrova dunque di fronte ad esigenze diverse, l’impresa in difficoltà necessiterà quasi certamente di finanziamenti, al contempo le banche vorranno essere adeguatamente garantite in ordine alla capacità di rimborso del finanziamento erogato, nello stesso tempo eventuali nuovi finanziamenti erogati per favorire l’operazione di ristrutturazione non devono ledere gli interessi degli altri creditori, fattori determinanti saranno altresì la tempestività dell’operazione di
113 Le “Linee Guida per il Finanziamento alle Imprese in Crisi”affrontano anche il problema del c.d. “ Finanziamento Ponte” - “Bridge Loan”, o finanziamento interinale, per il periodo necessario alla realizzazione dell’operazione di ristrutturazione fino al momento dell’omologa dell’accordo. Problema molto avvertito dalla prassi, in quanto questo finanziamento si rende necessario per consentire all’impresa in ristrutturazione una continuità aziendale. In linea generale nella prospettiva delle “Linee Guida” il finanziamento ponte dovrebbe rispondere alle seguenti caratteristiche: 1) dovrebbe essere giustificato dall’esigenza di garantire la continuità aziendale o di evitare danni (ad esempio consentire il pagamento dei dipendenti e dei fornitori dell’impresa, delle imposte e dei contributi previdenziali); 2) dovrebbe coprire il solo periodo necessario al perfezionamento di uno degli strumenti di risanamento previsti dalla legge (piano attestato, accordi di ristrutturazione, concordato preventivo); 3) dovrebbe essere effettuato , tendenzialmente mediante la concessione (o il mantenimento) di linee di credito autoliquidanti se erogato da banche o altri intermediari ; 4) non dovrebbe comportare il rilascio di garanzie da parte dell’impresa;
5) dovrebbe essere subordinato ad una valutazione di stretta funzionalità ad un piano che sia in corso di avanzata elaborazione e all’esistenza di un serio pericolo di pregiudizio che deriverebbe dal ritardo nell’erogazione del finanziamento. Della sussistenza di questi requisiti dovrebbero dare conto o il professionista che assiste abitualmente l’impresa o il consulente incaricato della redazione del piano, i quali dovrebbero rassicurare i finanziatori del fatto che è in corso un processo di ristrutturazione e che lo steso viene portato avanti in buona fede con mezzi idonei al superamento della crisi.
114 Per un esame di alcuni casi di finanziamento di imprese in crisi, soprattutto nell’ambito dei piani di risanamento attestati ex art. 67 comma 3 lett. d) Cfr. X. XXXXXX’, Casi recenti di finanziamento alle imprese in crisi, in, Il Fall., n.1/2009 (Allegato), p. 41 e segg.; X. XXXXXXX, Il difficile bilanciamento delle esigenze di tutela dei creditori e del mercato nella disciplina dei finanziamenti alle imprese, in, Il Fall., n. 1/2009, (Allegato)p. 87 e segg.
115 Nelle stesse viene evidenziato la circostanza che nell’ambito del diritto dell’economia, l’incertezza comporta un costo inaccettabile, mentre l’astensione dai tentativi di salvare la propria impresa è oggetto di una libertà costituzionale (art. 41 Cost.) ed è giustificata solo in presenza di un’elevata probabilità dell’illiceità, per cui l’incertezza va combattuta e l’imprenditore dev’essere aiutato e non scoraggiato dall’ordinamento.
116 In passato l’Associazione Bancaria Italiana, aveva promosso la redazione del “Codice di Comportamento tra banche per affrontare i processi di ristrutturazione atti a superare le crisi d’impresa, del giugno 2000, di contenuto prevalentemente procedimentale, disponibile all’indirizzo: xxxxx://xxx.xxx.xx/xxxxxxx?xxxxxxxxxxx_xxxxxxxx&XxxxxxXxx0&xxxxxxxxXxx000.
ristrutturazione e l’eliminazione del rischio di incorrere nell’applicazione di sanzioni civili o penali nell’ipotesi di un successivo fallimento della società.
Secondo l’interpretazione dottrinale maggioritaria117, nell’ipotesi di erogazione di nuova finanza nell’ambito di soluzioni concordate della crisi d’impresa, ove i finanziamenti siano restituiti prima di un successivo fallimento, tale restituzione non è revocabile.
Nell’ipotesi in cui la nuova finanza sia stata erogata a fronte della concessione di garanzie, queste ultime non sono revocabili in caso di successivo fallimento.
E’ stato pertanto evidenziato che la possibilità di ottenere finanziamenti per realizzare un’operazione di ristrutturazione, consentirebbe realmente di superare la vecchia concezione del diritto fallimentare favorendo la creazione di un mercato in cui le imprese la cui esistenza non ha più ragion d’essere vengono liquidate in tempi brevi, mentre quelle che possono essere ristrutturate possono farlo senza incontrare ostacoli legislativi nella realizzazione di progetto già di per sé complesso118.
Recentemente il finanziamento di un’ operazione di ristrutturazione ex art. 182 bis, a cui era collegata una transazione fiscale119, è stato realizzato da parte di una società facente capo al medesimo amministratore unico della società che proponeva l’accordo di ristrutturazione, nello stesso accordo veniva previsto, in via subordinata, il finanziamento da parte dell’unico socio ed amministratore unico per l’ipotesi di soccombenza nell’ambito di un giudizio relativo all’unica posizione debitoria estranea all’accordo proposto.
3.6.2. Il problema del finanziamento “ponte” o “interinale”.
Nell’ambito della procedura di Reorganization, disciplinata dal Chapter 11, della legge fallimentare statunitense, il finanziamento immediato del debitore è assicurato dai c.d.
<<first day orders>>, cioè da primi provvedimenti del giudice resi nella fase di avvio della procedura, finalizzati ad assicurare al debitore quel minimo di liquidità iniziale che gli consenta di arrivare alle prime udienze, dove , nel contraddittorio con i creditori si decide in merito alla vera e propria finanza interinale che servirà per i quattro – sei mesi successivi, durante i quali il debitore preparerà, e sottoporrà ai creditori il piano di ristrutturazione dei debiti.
Negli Stati Uniti quello della finanza interinale è un settore specialistico dell’industria finanziaria ove operano i c.d. D.I.P. lenders, cioè i finanziatori dei Debtor In Possession, così vengono chiamati i debitori nell’ambito del Chapter 11, in quanto questi non subiscono lo spossessamento.
117Cfr. BONFATTI, in, AA.VV. La disciplina dell’azione revocatoria nella nuova legge fallimentare e nei “fallimenti immobiliari”, Milano, 2005, p. 139 e segg.
118 Cfr. STANGHELLINI, Op. ult. Cit., p. 1077.
119 Cfr. X. XXXXXXX, Il Tribunale di Ancona ha omologato il primo accordo di ristrutturazione dei debiti con transazione fiscale stipulato in Italia, nota a Trib. Ancona, 12 novembre 2008, in, xxxx://xxx.xxxxxx.xx/xxxxxxxxxxxxxx/xxxxxxxx/0000.xxx
Nel nostro ordinamento invece, quello del finanziamento “interinale” o finanziamento “ponte”, erogato per il periodo necessario al completamento della fase stragiudiziale di formazione dell’accordo di ristrutturazione, fino alla sua omologazione, è un profilo che è stato disciplinato soltanto di recente con l’inserimento ad opera dell’art. 48 del D.L. 31/05/2010 n. 78, nel tessuto della legge fallimentare dell’art. 182 quater che introdotto delle disposizioni in tema di prededucibilità dei crediti nel concordato preventivo e negli accordi di ristrutturazione dei debiti.
Si tratta di un problema di grande rilevanza, in quanto la finanza interinale può essere talvolta determinate per consentire all’impresa che intenda ristrutturare il proprio passivo, una continuità aziendale, che consenta di generare dei flussi di cassa.
Certamente il problema del finanziamento ponte, sarebbe meno accentuato laddove, l’impresa facesse emergere tempestivamente la crisi, sotto tale profilo è stata evidenziata120 l’opportunità di introdurre degli strumenti di allerta volti a favorire l’esteriorizzazione della crisi d’impresa, sia nell’interesse dell’imprenditore che del ceto creditorio, al fine di evitare che un’emersione tardiva della stessa, renda inevitabile, l’apertura della procedura fallimentare.
La tendenza a ritardare il più possibile l’emersione della crisi è certamente frutto anche di un retaggio culturale, legato ad una concezione punitiva del fallimento e alla sfiducia nello strumento del concordato preventivo, anche in considerazione del forte legame che lo stesso ancora oggi presenta con il fallimento per il fenomeno della possibile consecuzione delle procedure.
Il finanziamento “ponte”, in quanto erogato nella fase stragiudiziale di formazione dell’accordo di ristrutturazione, e in previsione dell’omologazione di questo, riceve una tutela più affievolita, rispetto ad eventuale nuova finanza erogata invece in attuazione di accordo di ristrutturazione già omologato, e in attuazione degli impegni cristallizzati nello stesso, nel primo caso infatti, la prededucibilità della nuova finanza erogata in funzione della presentazione della domanda di omologazione dell’accordo è comunque subordinata all’esito positivo di questa, inoltre i finanziamenti devono essere espressamente previsti dall’accordo di ristrutturazione e la prededuzione dev’essere espressamente disposta nel provvedimento con cui il tribunale omologa l’accordo (art. 182 quater , 2° comma).
Affinché l’erogazione del finanziamento ponte possa avvenire, senza determinare responsabilità della banca finanziatrice per abusiva concessione di credito, è necessario che lo stesso sia giustificato dall’esigenza di garantire la continuità aziendale.
Esso inoltre, dovrebbe riguardare soltanto il periodo strettamente necessario al perfezionamento dell’accordo di ristrutturazione con l’omologazione del tribunale121ed essere strettamente funzionale all’attuazione di un accordo di ristrutturazione dei debiti.
120 Così, X. XXXXXXXXX, L’anticipazione della crisi d’impresa: profili di diritto comparato e prospettive future – Atti del Convegno di Milano del 21.10.2008, in, Il Fall. n.1/2009, (Allegato), p. 14 e segg.
121 Cfr. Linee Guida per il Finanziamento delle Imprese in crisi, prima ed. 2010, pag. 10.
3.6.3. Il problema delle garanzie.
Il rischio derivante dal finanziamento di un imprenditore in crisi, può essere parzialmente neutralizzato con la concessione di garanzie sul patrimonio della società, nonché sul patrimonio personale dei singoli dei soci, è frequente ad esempio anche il pegno sui pacchetti azionari dei singoli soci, che anche quando sono incapienti, e naturalmente lo saranno, in una situazione economica che giustifica una ristrutturazione, danno ai creditori comunque un segnale dell’impegno dei soci nel portare a compimento la ristrutturazione122.
Tuttavia chi eroga un finanziamento ad una impresa, non lo fa certo nella prospettiva di recuperare il proprio credito attraverso un’azione esecutiva, ma piuttosto allo scopo di ottenere regolarmente, alle scadenze pattuite, il rimborso del finanziamento maggiorato degli interessi, per tale ragione, un eventuale terzo, non mosso dall’esigenza di salvare crediti già maturati, potrebbe accettare di finanziare l’impresa in difficoltà solo nell’ipotesi in cui, oltre alla presenza di una garanzia che assicuri in maniera adeguata il credito, via sia la prospettiva certa di un flusso di cassa (cash flow) idoneo a consentire il rimborso del prestito.
Per quanto riguarda il profilo relativo al tema delle garanzie concesse a fronte dell’apporto di “nuova finanza”, gli strumenti con cui la legge potrebbe incoraggiare il finanziamento delle imprese in crisi sono diversi; quello sicuramente più stabile e sicuro, quand’è realizzabile, è sicuramente il tradizionale credito fondiario di cui agli artt. 38 e segg. D.Lgs 385/1993, in considerazione non soltanto dell’ipoteca di primo grado sull’immobile, ma anche degli altri privilegi processuali, espressamente previsti, quali l’esenzione dell’obbligo di notificazione del titolo esecutivo, la possibilità di proseguire l’azione esecutiva sui beni ipotecati anche dopo la dichiarazione di fallimento (cfr. art 41 T.U.B.), nonché l’esenzione dall’azione revocatoria delle ipoteche concesse a garanzia di tali finanziamenti che siano state iscritte almeno dieci giorni prima della pubblicazione della sentenza che dichiara il fallimento (c.d. consolidamento abbreviato) (art. 39 co. 4 T.U.B.).
L’esenzione da revocatoria è tra l’altro espressamente prevista anche dall’art. 67 ult. comma l. fall.; e ancora la possibilità per il creditore di ottenere l’assegnazione diretta del saldo prezzo, senza attendere il progetto di distribuzione (art. 41 co. 4).
Il principale vantaggio attribuito alle banche, dalla disciplina degli accordi di ristrutturazione è oggi quello non solo della non revocabilità dell’erogazione della nuova finanza in seguito ad un eventuale, successivo fallimento art. 67 comma 3 lett. e), ma anche quello della prededucibilità di questi finanziamenti (art. 182 quater).
E’ stato evidenziato123 tuttavia, il rischio che le banche siano mosse ad aderire all’accordo di ristrutturazione al solo fine di sostituire vecchi finanziamenti “non
122 Cfr. BELCREDI, Le ristrutturazioni stragiudiziali delle aziende in crisi in Italia nei primi anni ’90,
cit. p. 292 e segg.
123 A. VICARI, I finanziamenti delle banche a fini ristrutturativi, in, Giur. Comm., 2008, p. 484.
garantiti” con nuova finanza “garantita” attraverso lo strumento del consolidamento del debito.
Secondo una prospettiva realistica sotto il profilo economico, un eventuale ulteriore prestito da parte di un creditore dell’impresa può avere per questo un senso, proprio al fine di ottenere, attraverso l’apporto di nuova finanza, un rafforzamento della propria pretesa creditoria, ponendola in posizione privilegiata rispetto agli altri creditori nell’ipotesi di un successivo fallimento, mediante la costituzione di specifiche garanzie o il riconoscimento di prededuzioni. Tuttavia sarebbe opportuno che le garanzie prestate dal debitore in esecuzione dell’accordo di ristrutturazione non coprissero la vecchia finanza erogata, ma solo quella nuova124.
Nel caso in cui venisse erogata nuova finanza, la prestazione di garanzie per i debiti preesistenti, dovrebbe essere possibile nei limiti in cui questi vengano riscadenziati a lungo termine e comunque per un periodo successivo all’ambito temporale di esecuzione dell’accordo, o nell’ipotesi in cui venga pattuita la decadenza della garanzia in caso di concordato preventivo o fallimento aperti prima dell’omologazione dell’accordo.
La prestazione di garanzie per debiti preesistenti125, pur non essendo un atto espressamente vietato dall’ordinamento, dovrebbe sicuramente considerarsi con sfavore, in quelle ipotesi in cui, a fronte della concessione della garanzia, non vi sia poi una reale erogazione di nuovi finanziamenti, in quanto, così facendo il consolidamento del debito, assolverebbe soltanto al tentativo di avvantaggiare, nell’ambito dell’accordo di ristrutturazione, i creditori aderenti che ricevono la garanzia, in danno degli altri.
Potrebbe anche accadere, essendo gli accordi di ristrutturazione conoscibili soltanto attraverso la pubblicazione nel registro delle imprese, che i creditori estranei non vengano a sapere che l’impresa in crisi ha raggiunto un accordo con alcuni dei suoi creditori e che i beni della stessa sono stati concessi in garanzia per il pagamento di debiti preesistenti, per cui i creditori estranei e non garantiti, farebbero affidamento su una società che appare solida, ma che in realtà ha ipotecato o ha dato in pegno i propri beni, per debiti preesistenti, soltanto in favore di alcuni creditori.
3.6.4. L’utilizzabilità dei convenants per garantire la nuova finanza erogata nell’ambito dell’accordo di ristrutturazione.
Una forma di garanzia che potrebbe rilevarsi particolarmente idonea a garantire il rimborso dei finanziamenti erogati nell’ambito di un’operazione di risanamento attuata mediante lo strumento degli accordi di ristrutturazione dei debiti (182 bis) è costituita
124Cfr. Linee Guida sul Finanziamento alle Imprese in Crisi del 2010, Best. Pratice n. 9, p. 20 elaborate nell’ambito di un progetto che ha visto la collaborazione dell’Università di Firenze, del Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili e dell’Assonime. Il documento è disponibile agli indirizzi: www.unifi.i/nuovodirittofallimentare; oppure xxx.xxxxxx.xx, o anche xxx.xxxxxxxx.xx .
125 Cfr. G. LA CROCE, Finanziamenti ponte e garanzie per debiti prescritti, in, Il Fall. n. 1/2009, (Allegato) p. 47 e segg.
dai c.d. covenants finanziari126. La ragione deve rinvenirsi nella caratteristica di questa garanzia che prevede un ricca tipologia di clausole contrattuali attraverso le quali si garantisce l’adempimento delle obbligazioni da parte dell’obbligato, nei confronti del finanziatore, ponendo a carico del primo un complesso di obblighi di comportamento, attraverso i quali viene in qualche modo modellata la gestione dell’impresa.
Nell’ipotesi di violazione di tali impegni da parte del debitore, il finanziatore ha a disposizione vari strumenti di autotutela, prevedendo il regolamento contrattuale anche la clausola risolutiva espressa e la decadenza dal beneficio del termine, il cui avveramento fa sorgere l’obbligo di restituire le somme dovute.
Caratteristica di questa garanzia atipica è dunque quella di instaurare un controllo molto stringente del finanziatore, sulla gestione dell’impresa finanziata, riconoscendo allo stesso la facoltà di rinegoziare o addirittura revocare il credito allorquando si verifichino determinate circostanze, contemplate dalle clausole convenants, quali ad esempio il mancato raggiungimento dei risultati economici previsti, da parte dell’imprenditore, oppure il compimento di iniziative potenzialmente lesive degli interessi del finanziatore o comunque idonee ad alterare l’affidabilità e la capacità creditizia dell’impresa finanziata.
Essendo le fonti di rimborso collegate alla gestione aziendale, quest’ultima deve generare flussi di cassa idonei a garantire il rimborso delle somme finanziate.
In questa prospettiva le clausole convenants sono finalizzate a tutelare l’interesse del finanziatore ad una gestione corretta dell’impresa debitrice, vincolandola al mantenimento della solvibilità e a non compiere operazioni che possano pregiudicarla. L’imprenditore in questo modo assume su di sé obbligazioni di fare (affermative covenants) e obbligazioni di non fare (negative covenants). In tal modo queste clausole possono attribuire al finanziatore un diritto di informazione sulla gestione dell’impresa debitrice ed un potere di influenza sulla medesima.
Dunque nell’ambito nell’accordo di ristrutturazione (art. 182 bis l. fall.), attraverso l’inserimento di clausole covenants, potranno introdursi una serie di vincoli, come ad esempio l’impegno a mantenere per tutta la durata del finanziamento un importo di capitale netto contabile non inferiore ad un minimo stabilito; l’impegno a mantenere l’indebitamento totale e l’indicatore di “liquidità corrente” entro determinati parametri; l’impegno a mantenere il livello del capitale circolante netto, al di sopra di una determinata soglia; l’impegno a mantenere gli oneri finanziari entro una determinata percentuale di fatturato.
Sotto altro profilo le clausole convenants potranno poi prevedere l’impegno al pagamento regolare di interessi e quote capitale sulla nuova finanza erogata e su eventuali prestiti; l’impegno al pagamento regolare di ogni onere tributario; l’impegno al mantenimento di assicurazioni dei beni aziendali; l’impegno a fornire preventive comunicazioni in caso di operazioni straordinarie (fusioni, ecc.).
126 Cfr. X. XXXXXXX, Profili civilistici dei covenants, in, Banca Borsa e titoli di credito, n. 5/2009, pag. 488 e segg.; BANCA MEDIOCREDITO, I covenants di bilancio nei finanziamenti a medio e lungo termine, Roma, 2003; WOOD, Law and Pratice of International Finance, London, 1980, 145.
Assumono poi grande rilevanza le c.d. clausole di cross default, attraverso le quali si instaura un collegamento tra gli impegni assunti con il contratto di finanziamento e quelli derivanti da altri contratti di credito, con la conseguenza che un eventuale inadempimento, verificatosi in un rapporto diverso può ugualmente determinare la risoluzione del rapporto principale. La funzione delle clausole di cross default è infatti quella di garantire al finanziatore una pronta capacità di reazione allorché il debitore si renda inadempiente in un altro rapporto. Una variante della clausola di cross default, considera rilevanti ai fini della risoluzione del contratto di finanziamento anche inadempimenti riconducibili ad altre società del medesimo gruppo a cui appartiene il soggetto finanziato. Ciò si rivela particolarmente utile negli accordi di ristrutturazione dei debiti (art. 182 bis.) che coinvolgono più società appartenenti allo stesso gruppo.
Nell’ambito dei covenants assume particolare importanza il principio di proporzionalità, nel senso che tale garanzia, dev’essere comunque “idonea” ovvero “sufficiente” (art. 1179 cod. civ) in relazione al rischio che incombe sul creditore. Quest’ultimo può ottenere costanti informazioni sulla situazione patrimoniale e finanziaria del debitore, può controllare e rendere effettiva l’utilizzazione del credito; evitare che ad altri creditori vengano riconosciute posizioni di prelazione, con conseguente posposizione delle sue ragioni, impedire la dismissione di assets importanti del patrimonio dell’impresa finanziata, obbligare quest’ultimo ad osservare precisi vincoli di bilancio. Si stabilisce così un’influenza del finanziatore sulla gestione dell’impresa, ponendo però così importanti limiti alla libertà d’iniziativa economica e al potere di disposizione dell’imprenditore.
Per tali ragioni la validità di queste clausole è subordinata ad un giudizio positivo in ordine alla permanenza della autonomia imprenditoriale ed economica del debitore, giudizio di legittimità, che potrà essere compiutamente effettuato dal tribunale in sede di omologazione dell’accordo di ristrutturazione.
3.6.5. La prededucibilità della nuova finanza: premessa.
Dal punto vista economico dunque per il creditore l’incentivo maggiore per la concessione di nuova finanza è rappresentato dalla possibilità di rafforzare la proprie pretese creditorie, ponendole in posizione privilegiata rispetto agli altri creditori nell’ipotesi di un successivo fallimento, mediante la costituzione di garanzie o attraverso il riconoscimento di prededuzioni127.
Questo profilo è stato valorizzato anche in altri ordinamenti, ad esempio negli Stati Uniti, la forma di composizione negoziale della crisi che le società sembrano preferire è
127 X. XXXXXX, I finanziamenti delle banche a fini ristrutturativi, in, Giur. Comm., 2008, p. 489, il quale segnala che: <<la concessione di nuova finanza da parte di pochi creditori garantiti potrebbe in teoria disincentivare l’erogazione del credito da parte di altri finanziatori non garantiti, così determinando, in caso di conclusione dell’accordo, un maggiore asservimento della società debitrice alle istanze di poche banche finanziatrici, favorendo di conseguenza il passaggio della gestione della crisi nelle mani esclusive dei finanziatori garantiti
quella della prepackaged bankrupty128, procedura che presenta qualche analogia con gli accordi di ristrutturazione dei debiti di cui all’art. 182 bis. l.fall.: il consenso viene raggiunto normalmente nell’ambito di trattative stragiudiziali, limitandosi il tribunale ad omologare il piano già approvato dalla maggioranza dei creditori. Tale procedura risulta caratterizzata da una protezione più incisiva alla nuova finanza erogata, mediante il riconoscimento di forme di prededuzione anziché di esonero dalla revocatoria.
Anche il legislatore francese, recentemente ha optato per la prededucibilità della nuova finanza concessa dalle banche all’impresa in crisi durante la procèdure de conciliation129, che presenta caratteristiche comuni con l’istituto regolato dall’art. 182 bis l. fall..
Sotto tale profilo era già stata evidenziata130l’opportunità di modificare la prospettiva scelta dalla maggior parte dei primi commentatori della legge fallimentare, favorendo invece linee interpretative volte a riconoscere la prededucibilità alla nuova finanza concessa dalle banche in caso di accordi di ristrutturazione ex art. 182 bis. L. fall. e a leggere in senso meno permissivo la disciplina della esenzione da revocatoria con particolare riferimento alle garanzie.
Prima dell’introduzione nella legge fallimentare dell’art 182-quater, rubricato (Disposizioni in tema di prededucibilità dei crediti nel concordato preventivo e negli accordi di ristrutturazione dei debiti) ad opera dell’art. 48 del D.L. 31/5/2010, era controverso131 se la nuova finanza erogata nell’ambito degli accordi di ristrutturazione, ed in particolare quella non garantita potesse considerarsi prededucibile secondo quanto disposto dall’art. 111 comma 2 l.fall. ai sensi del quale sono considerati prededucibili i crediti sorti in occasione o in funzione della procedure concorsuali di cui alla presente legge.
La norma già prima della riforma veniva considerata applicabile in via interpretativa anche al concordato preventivo132 .
Un primo argomento utilizzato dalla dottrina per escludere la prededucibilità della nuova finanza nell’ambito degli accordi di ristrutturazione, faceva leva principalmente su due argomenti: a) la natura autonoma dell’istituto degli accordi ristrutturazione
128 Sull’argomento Cfr. McCONNEL-SERVAES, The economics of prepackaged bankruptcy, 4, J. Appl. Corp. fin., 1991, 93; McCONNELL-LEASE-XXXXXXXX, Prepacks as a mechanism for resolving financial distress: the evidence 8, J. appl. Corp. fin., 99, (1996) ; XXXXXXX – LEASE – XxXXXXXXX, An empirical analysis of prepackaged bankrupticies, 40, X. xxxx. Ec. 135 (1996). XXXXXXX, Xxxxxxx, acquisitions and corporate restructuring, IV ed. , New York, 2007, p. 462.
129 La procedura è finalizzata a consentire all’impresa in crisi a ai suoi creditori di raggiungere un accordo su base contrattuale e in maniera riservata, diretto a consentire il superamento delle difficoltà finanziarie dell’impresa. Essa ha inizio con la richiesta da parte del debitore al tribunale di nomina di un conciliatore; durante la procedura gli amministratori della società restano in carica e il conciliatore ha solo il potere di porre in essere le iniziative più opportune per facilitare la conclusione dell’accordo. Una volta raggiunto l’accordo il Tribunale procede ad omologarlo, verificando preliminarmente che gli interessi dei creditori che non sono parte dell’accordo siano adeguatamente salvaguardati.
130 Cfr. X. XXXXXX, I finanziamenti delle banche a fini ristrutturativi, in, Giur. Comm., 2008, p. 488.
131 Cfr. X. XXXXXX, Quale tutela per gli accordi con il finanziatore nella ristrutturazione dei debiti?, in,
Il Fall., n. 1/2009 (Allegato), p. 51 e segg.
132 Cfr. Cass. 12 marzo 1999 n. 2192, in, Foro It., 1999, I, c. 2948 e in Fall., 2000, 370 e segg.; Cass. 5
agosto 1996 n. 7140.
rispetto al concordato preventivo; b) la mancanza di un controllo giudiziale sull’esecuzione dell’accordo, successivamente all’omologazione.
Secondo un’altra corrente di pensiero, doveva invece riconoscersi la prededucibilità di questi crediti, in quanto la natura autonoma degli accordi di ristrutturazione rispetto al concordato preventivo, non poteva considerarsi comunque di ostacolo al riconoscimento della prededucibilità nell’ambito degli accordi di ristrutturazione, dovendo questi comunque considerarsi alla stregua di una procedura concorsuale, seppur autonoma e con caratteristiche proprie. Sotto questo profilo, veniva evidenziato che pur avendo l’accordo di ristrutturazione ex art. 182 bis l. fall., una genesi prevalentemente privatistica, la produzione degli effetti giuridici propri della fattispecie è subordinata comunque al completamento del procedimento descritto dall’art. 182 bis, tendente tra l’altro ad impedire singole iniziative esecutive o cautelari da parte dei creditori e al contempo diretta a soddisfare le pretese degli stessi secondo criteri di concorsualità, anche se definiti, in parte, su base negoziale133.
Veniva inoltre evidenziata la necessità di riconoscere la prededucibilità “solo ed esclusivamente a quella nuova finanza espressamente contemplata dall’accordo, nella misura ivi prevista e sulla quale fosse intervenuto il vaglio del tribunale in sede di omologazione”134.
Quest’ultima corrente di pensiero dunque, muovendo dal presupposto che gli accordi di ristrutturazione, pur avendo una genesi privatistica, si configurano come procedimento concorsuale autonomo e con caratteristiche proprie135, riconosceva la prededucibilità ai sensi dell’articolo 111 ultimo comma l. fall, che definisce crediti prededucibili anche quelli sorti “in occasione e in funzione” delle procedure concorsuali”.
3.6.6. Segue: il nuovo art. 182 quater l. fall.
Il legislatore tra gli interventi volti a sostenere e rilanciare la competitività delle imprese, ha ricompreso anche quelli in materia di procedure concorsuali di cui all’art. 48 del D.L. 31 maggio 2010 n. 78, convertito in legge con modificazioni con la L. n. 122 del 30 luglio 2010, intervenendo sugli istituti del concordato preventivo e degli accordi di ristrutturazione dei debiti.
133 Si esprimono in favore del riconoscimento della prededucibilità della nuova finanza erogata nell’ambito degli accordi di ristrutturazione: E. XXXXXXXXXX XXXXX, Gli accordi di ristrutturazione dei debiti. Un nuovo procedimento concorsuale, Padova, 2009, p. 85; X. XXXXXXXXXXXX, Diritto Fallimentare, La nuova disciplina delle procedure concorsuali giudiziali, Torino, 2007, p. 255; A. VICARI, Op. ult. Cit., , p. 493; X. XXXXXXXXX, Accordi di ristrutturazione dei debiti, commento sub. Art. 182 bis., in, AA.VV. , La Riforma della Legge Fallimentare, Tomo II, Artt. 104 – 215, a cura di X. Xxxxx e X. Xxxxxxxx, Torino, 2006, p. 1107.
134 X. XXXXXXXXX, Op. ult. Cit., p. 1107.
135 In questo senso, cfr. X. XXXXXXXXXX XXXXX, Gli accordi di ristrutturazione dei debiti, un nuovo procedimento concorsuale, Padova, 2009, p. 170 e segg.; X. XXXXXXXXXXXX, Diritto Fallimentare. La nuova disciplina delle procedure concorsuali giudiziali, Torino, 2007, p. 255.
In particolare il comma 1 dell’art. 48 del D.L. 78/2010 ha inserito nel tessuto della legge fallimentare l’articolo 182 quater, rubricato <<Disposizioni in tema di prededucibilità dei crediti nel concordato preventivo, negli accordi di ristrutturazione dei debiti>>.
La nuova disposizione individua una serie di categorie di crediti, i quali potranno beneficiare del regime della prededucibilità di cui all’art. 111 della legge fallimentare, nell’ambito del concordato preventivo e degli accordi di ristrutturazione dei debiti e precisamente:
1) i crediti derivanti da finanziamenti, in qualsiasi forma effettuati, da banche o da altri intermediari finanziari, in esecuzione di un concordato preventivo (art. 160 l. fall.) o di un accordo di ristrutturazione dei debiti (art. 182 bis l. fall.) omologato (art. 182 quater comma I)
2) i crediti derivanti da finanziamenti effettuati, da banche o da altri intermediari finanziari, in funzione della presentazione della domanda di ammissione alla procedura di concordato preventivo o della domanda di omologazione dell’accordo di ristrutturazione dei debiti, qualora i finanziamenti siano previsti dal piano di cui all’art. 160 l. fall., o dall’accordo di ristrutturazione dei debiti e purchè il concordato preventivo o l’accordo siano omologati (art. 182 quater comma II);
3) i crediti derivanti dai finanziamenti effettuati dai soci, in esecuzione di un concordato preventivo o di un accordo di ristrutturazione omologato, fino alla concorrenza dell’ottanta per cento del loro ammontare (art. 182 quater comma III);
4) i crediti relativi ai compensi spettanti al professionista incaricato di predisporre la relazione di cui all’art. 161, terzo comma e 182 bis, primo comma, purchè ciò sia espressamente disposto nel provvedimento con cui il tribunale accoglie la domanda di ammissione al concordato preventivo ovvero l’accordo sia omologato (art. 182 quater , comma IV).
Per quanto riguarda le prime due categorie di crediti, affinchè gli stessi, possano considerarsi prededucibili è necessaria la sussistenza di alcune condizioni:
Il primo presupposto, comune ad entrambe le categorie di crediti, riguarda, il soggetto finanziatore, il quale dev’essere necessariamente iscritto negli elenchi di cui agli articoli 106 e 107 del D.lgs. 385 del 1993, e pertanto essere in possesso dei requisiti necessari per poter svolgere nei confronti del pubblico l’attività di assunzione di partecipazioni, di concessione di finanziamenti sotto qualsiasi forma, di prestazione di servizi di pagamento e di intermediazione in cambi.
Il secondo presupposto, riguarda la circostanza che il finanziamento sia stato erogato in esecuzione dell’accordo di ristrutturazione omologato o del concordato preventivo, ovvero per le ipotesi di cui al secondo comma, sia stato erogato in funzione della presentazione della domanda di ammissione alla procedura di concordato preventivo, o della domanda di omologazione dell’accordo di ristrutturazione. In questo caso è altresì necessario che il finanziamento sia stato previsto nel piano concordatario o nell’accordo di ristrutturazione.
Mentre nell’ipotesi prevista dal comma 1 dell’art. 182 quater il finanziamento viene erogato in esecuzione dell’accordo di ristrutturazione o del concordato e dunque in una
fase successiva all’omologazione, nell’ipotesi di cui al comma 2 il finanziamento viene erogato prima della presentazione della domanda di omologazione dell’accordo di ristrutturazione o del concordato e in funzione di questa.
La terza categoria di crediti si differenza dalle prime due, innanzitutto per quanto riguarda il soggetto finanziatore, che viene individuato nei soci, inoltre la norma rinvia soltanto al primo comma dell’art. 182 quater per cui evidentemente, questi crediti saranno prededucibili solo se effettuati in esecuzione di un accordo di ristrutturazione o di un concordato preventivo omologati. Tale norma introduce inoltre una deroga espressa al disposto dell’art. 2467 cod. civ. ai sensi del quale il rimborso dei finanziamenti dei soci a favore della società è postergato rispetto alla soddisfazione degli altri creditori e se avvenuto nell’anno precedente alla dichiarazione di fallimento, deve essere restituito. Sotto tale profilo si intendono finanziamenti dei soci a favore della società quelli, in qualsiasi forma effettuati, che sono stati concessi in un momento in cui, anche in considerazione del tipo di attività esercitata dalla società, risulta un eccessivo squilibrio dell’indebitamento, rispetto al patrimonio netto, oppure in una situazione finanziaria della società in cui sarebbe stato ragionevole un conferimento. Tale ultima norma trova applicazione in virtù del rinvio operato dall’art. 2497 quinquies, anche ai finanziamenti effettuati a favore della società da chi esercita l’attività di direzione e coordinamento nei suoi confronti o da altri soggetti ad essa sottoposti.
Probabilmente l’introduzione del limite alla prededucibilità, nella misura dell’ottanta per cento dei finanziamenti erogati dei soci, ed il rinvio soltanto al primo comma dell’art. 182 quater, con riguardo cioè ai finanziamenti posti in essere in esecuzione dell’accordo, con esclusione dunque di quelli che intervengono prima dell’omologazione, si spiega proprio con la circostanza che si tratta di una regola eccezionale, che deroga al principio della postergazione di questi finanziamenti, introdotta dalla riforma del diritto societario, anche se tale trattamento appare ingiustificato, in quanto introduce una differenza eccessiva, rispetto all’ipotesi in cui i finanziamenti di cui al comma II dell’art. 182 quater, vengano erogati da banche.
Per quanto riguarda i crediti, di cui al comma 4 dell’art. 182 quater, relativi ai compensi del professionista che ha redatto la relazione di cui all’art. 161 terzo comma, nel concordato preventivo, o di cui all’art. 182 bis terzo comma negli accordi di ristrutturazione dei debiti, occorre rilevare come tale intervento superi l’orientamento giurisprudenziale formatosi in relazione al credito del professionista che ha concorso a predisporre la domanda di concordato preventivo, secondo cui la prededuzione andava esclusa, trattandosi di debito sorto prima dell’apertura della procedura di concordato preventivo, al di fuori di qualsiasi controllo sull’an e sul quantum del credito, da parte degli organi della procedura, a tutela dei creditori136.
Appare tuttavia discutibile il riconoscimento della prededucibilità al solo credito del professionista attestatore, sarebbe stato infatti preferibile estendere il riferimento anche ai professionisti incaricati di elaborare l’accordo di ristrutturazione o il piano del concordato preventivo, nonché di redigere e presentare il ricorso per l’omologazione
136 Cfr. Trib. Udine, 15 ottobre 2008, in, xxx.xxxxxx.xx.
degli accordi di ristrutturazione o la domanda di ammissione alla procedura di concordato preventivo137
3.8.Ristrutturazione del debito mediante conversione dei crediti in capitale. Il principio contabile Ifrc 19.
La ricapitalizzazione dell’impresa, in presenza di una crisi di una certa gravità, presenta difficoltà notevoli.
Un’ eventuale operazione di aumento di capitale potrebbe non essere conveniente, sia per gli azionisti, che per eventuale terzo, e ciò perché per la parte della sottoscrizione che arriva fino al punto di riequilibrio dello sbilancio patrimoniale, il denaro versato andrebbe a beneficio dei creditori esistenti, per cui è stato detto138 che l’operazione così congegnata non sarebbe rispondente né all’interesse degli azionisti i quali sono protetti dalla responsabilità limitata, né a quello di un eventuale terzo.
La sottoscrizione potrebbe rispondere invece all’interesse dei creditori, in quanto essi potrebbero evitare di versare altra liquidità, ricorrendo al meccanismo, diffuso in queste situazioni, della sottoscrizione dell’aumento di capitale attraverso la compensazione139 del credito vantato nei confronti della società, credito che avrà perduto, in questa situazione, tutto o parte del suo valore iniziale.
Secondo la giurisprudenza140 più recente infatti, nel caso di sottoscrizione di un aumento del capitale sociale, il conferimento può essere eseguito mediante compensazione tra il relativo debito del socio e un suo credito verso la società, la quale, pur perdendo formalmente il credito al conferimento, acquista concretamente un “valore economico”, consistente nella liberazione da un corrispondente debito. Infatti anche se l’art. 2342 cod. civ. prevede che se nell’atto costitutivo non è stabilito diversamente i conferimenti devono farsi in denaro, la compensazione, intervenendo tra crediti, entrambi pecuniari, a norma dell’art. 1243 cod. civ., comma 1, non modifica l’oggetto del conferimento, che avviene pur sempre in denaro, ma solo le modalità di estinzione dell’obbligo di conferire.
Per quanto riguarda inoltre l’esigenza di salvaguardare la corrispondenza tra il valore nominale del capitale sociale e la sua effettiva entità, occorre considerare che il capitale sociale è solo una quota ideale del patrimonio netto della società; mentre il patrimonio netto è la differenza tra le poste dell’attivo e le poste del passivo esposte in bilancio,
137 Cfr. XXXXXXXXX S., Appunti Flash, sull’ art. 182-quater della legge fallimentare, in, xxx.xxxxxx.xx.
138 X. XXXXXXXXXXXX, Le crisi d’impresa tra diritto ed economia, Il Mulino, 2007, p. 319.
139 Una isolata pronuncia della corte di Cassazione (Cass. 10 dicembre 1992, n. 13095, in, Xxxx Xx., X, 0000, 3100, e in, Il Fall., 1993, p. 595, aveva sostenuto l’illegittimità dell’aumento di capitale realizzato attraverso la compensazione con un credito vantato nei confronti della società. In seguito la stessa Corte di Cassazione ha mutato orientamento riconoscendo la possibilità di sottoscrivere aumenti di capitale compensando crediti vantati nei confronti della società , Cfr. in tal senso: Cass. 5 febbraio 1996 n. 936, in, Xxxx Xx., X, 0000, p. 2490 e in, Corr. Xxxx., 1996, p. 547, orientamento oramai consolidato.
140 Cass. Sez. I Civile, 19 marzo 2009, n. 6711, Pres. Carnevale, in, xxx.xxxxxx.xx; Cass. Sez. I, 24 aprile 1998, n. 4236; Cass. Sez. I, 5 febbraio 1996, n. 936.
sicchè si incrementa sia con l’aggiunta di una posta attiva (versamento in denaro), sia con la soppressione di una posta passiva (estinzione di un debito). Pertanto ciò che è davvero necessario ai fini del conferimento in sede di aumento di capitale è l’incremento del patrimonio netto della società, in misura tale da coprire l’intero valore nominale delle azioni emesse e sottoscritte dal socio che conferisce mediante compensazione.
Considerato dunque che anche la compensazione comporta un aumento del patrimonio netto della società, non vi sono ragioni per escluderne l’ammissibilità come modo di estinzione dell’obbligazione pecuniaria derivante dal conferimento in sede di aumento di capitale, secondo le norme generali previste dal codice civile, che sono tra l’altro applicabili anche alla compensazione prevista dall’art. 56 l. fall.
Questo metodo di conversione dei crediti in capitale141, attuato attraverso il meccanismo descritto, consente di comporre tre interessi potenzialmente configgenti142: 1) l’interesse dei creditori che decidono per la conversione a recuperare, sotto forma di aspettativa sugli eventuali utili futuri dell’impresa, parte di ciò che hanno prestato, 2) quello dell’impresa a ridurre l’indebitamento, attraverso la conversione dei debiti in capitale di rischio 3) quello dei creditori che non optano per la conversione a mantenere, il più possibile inalterate le prospettive di pagamento, sicuramente destinate a migliorare in considerazione del fatto che i creditori che optano per la conversione dei crediti in capitale, non concorreranno più con loro sul patrimonio del debitore143.
Al fine di attuare questa operazione è necessario che l’assemblea straordinaria della società che versa in stato di crisi deliberi l’aumento di capitale, aprendo così le porte ai creditori144. Affinché l’operazione di ristrutturazione sia credibile e concretamente attuabile è indispensabile poi raggiungere un livello minimo di adesioni; la prassi ha evidenziato che destinati ad avere successo, sono gli accordi di ristrutturazione che
141 Cfr. XXXXXXX, Corporate Rescue: a conceptual approach to insolvency law, p. 120.
142 A tal proposito occorre evidenziare che il piano di ristrutturazione Parmalat, completato nell’ottobre
2005, si è basato su una vastissima operazione di sottoscrizione mediante compensazione, di azioni della nuova Parmalat, assuntore del concordato, ad opera dei creditori delle società del gruppo. Il nucleo fondamentale della ristrutturazione del gruppo Parmalat è consistito infatti nel trasferire ai creditori il controllo degli assets delle sedici società del gruppo partecipanti al concordato, mediante il loro trasferimento ad una società di nuova costituzione che ha emesso azioni sottoscritte, nella misura risultante dalla proposta di concordato, dai creditori delle varie società. I creditori delle società che non sono state incluse nel concordato hanno invece ricevuto il denaro derivante dalla liquidazione dei patrimoni di tali società, secondo il modello tradizionale delle procedure di liquidazione.
143 Cfr. X. XXXXXXXXXXXX, Le crisi d’impresa tra diritto ed economia, Il Mulino, 2007, p. 319, secondo il quale la conversione dei crediti in capitale avrebbe il merito di realizzare in parte quello che è uno degli aspetti tipici di una procedura concorsuale, consistente nell’eliminare, interamente o parzialmente il controllo sull’impresa, da parte del debitore per trasferirlo al creditore, nella prospettiva di procedere ad una monetizzazione delle attività e alla successiva ripartizione tra i creditori, come avverrebbe normalmente nell’ambito di una procedura liquidativa, o piuttosto e come sembra preferibile, alla gestione e valorizzazione delle partecipazioni sociali acquisite, in quanto ciò appare più rispondente alle finalità proprie di una procedura di ristrutturazione.
144 La conversione dei crediti in capitale trova un limite nella disciplina di assunzione di partecipazioni da parte delle le banche, che possono attuarla nel rispetto di determinati limiti patrimoniali Cfr. Banca d’Italia, Istruzioni di vigilanza per le banche, circ. 229 del 21 aprile 1999, in, xxx.xxxxxxxxxxxx.xx, Titolo IV, Capitolo 9, sezione V.
riescono a conquistare le adesioni della maggioranza dei creditori, mentre difficilmente si riescono ad attuare piani che prevedono un numero limitato di adesioni. Questa è la ragione per la quale l’art. 182 bis l. fall., richiede quale requisito di serietà della proposta, che l’accordo debba coinvolgere almeno il sessanta per cento della massa dei crediti.
La conversione di passività finanziarie in strumenti di equity, comporta dunque lo storno di tutto o parte del debito, a fronte, dunque di un incremento del patrimonio netto.
Per le imprese che adottano i principio contabili internazionali, numerosi sono stati i dubbi, i merito alla determinazione del valore e all’individuazione delle modalità secondo le quali contabilizzare gli strumenti rappresentativi del patrimonio netto, emessi a fronte dello storno del debito.
In risposta ai quesiti sollevati, l’Ifrc (International financial reporting interpretations committe), ha emanato un nuovo documento, l’Ifrc 19 Extinguishing financial liabilities with equity instruments, che è stato definitivamente approvato dallo Iasb ed è entrato a far parte del corpus, dei principi contabili internazionali Ias-Ifrs, dal novembre 2009, l’applicazione di questa interpretazione è obbligatoria dal 1° luglio 2010145.
Alla luce di questo principio contabile, un’entità deve iscrivere uno strumento di equity, emesso in favore di un creditore, al fine di estinguere, in tutto o in parte, una passività finanziaria al fair value dello strumento di capitale, a meno che il fair value, non sia misurabile in maniera attendibile; in quest’ultimo caso, lo strumento di equity, dev’essere iscritto ad un valore che rifletta il fair value della passività estinta. Ogni differenza tra valore contabile della passività estinta e valore dello strumento di equity è iscritta in conto economico.
Normalmente nelle operazioni di debt restructuring, è più frequente misurare lo strumento di equity emesso, ad una valore pari al fair value della passività estinta146.
Com’è noto il fair value, è <<il corrispettivo al quale un’attività potrebbe essere scambiata, o una passività estinta, in una libera transazione tra parti consapevoli e disponibili>>. Sotto tale profilo ci chiede come si può considerare una “libera transazione”, quella in cui una società è costretta, per carenza di liquidità, a rinegoziare i termini di un accordo precedentemente stipulato, cercando di ottenere condizioni che le consentano almeno di sopravvivere?
L’applicazione di questo principio contabile è esclusa espressamente nei seguenti casi:
1) transazioni in cui il creditore è un azionista, diretto o indiretto, della società;
2) transazioni in cui il debitore e il creditore sono dallo stesso/dagli stessi soggetti.
3) transazioni in cui l’estinzione della passività finanziaria attraverso l’emissione di strumenti rappresentativi di capitale era già prevista nel contratto originario147.
145 Cfr. XXXXX F., SCARANI L., XXXXXXXXX A., Ristrutturazione del debito con conversione della passività in “equity”, in, Diritto e Pratica delle Società, n. 4/2009, pag. 21 e segg.
146 Cfr. XXXXX F., SCARANI X., XXXXXXXXX X., op. ult. cit. , pag. 28.
4) transazioni in cui la passività finanziaria estinta, viene sostituita da uno strumento finanziario che, tuttavia, non possiede i requisiti previsti dallo Ias 32 per essere considerato strumento rappresentativo di capitale148 149.
L’emissione di strumenti rappresentativi di equity, in favore di un creditore, al fine di estinguere tutte o una parte della passività finanziaria si considera prezzo pagato (consideration paid), e dunque rientra nell’ambito applicativo del par. 41 dello Ias 39.
Il riferimento agli equity instrument, può essere letto estensivamente, non solo con riferimento alle ristrutturazioni del debito, nelle quali vengono emesse nuove azioni, ma anche ai casi in cui i creditori, vengono “ricompensati” con l’emissione di altri strumenti finanziari partecipativi, emessi ai sensi dell’art. 2346 comma 6.
3.8. L’utilizzo di una società di nuova costituzione e il ruolo delle banche.
Dall’esame delle grandi operazioni di risanamento che hanno interessato i gruppi industriali italiani, nonché talvolta anche dallo studio di operazioni di ristrutturazione di imprese di dimensioni più modeste, emerge, come sia frequente, in queste operazioni la costituzione di una nuova società, talvolta partecipata dai creditori, la quale riceve “nuova finanza” e alla quale può essere trasferita l’azienda o un ramo di questa, di cui era titolare l’impresa in crisi.
Si crea quella che nella prassi del diritto degli affari, i pratici chiamano NewCo (s.r.l. o s.p.a.), cessionaria dell’azienda o di un suo ramo, sufficientemente patrimonializzata e depurata dai debiti pregressi, lasciati in capo alla società cedente , definita BedCo150. Tale risultato viene ottenuto in genere, con un trasferimento aziendale, preceduto da un contratto di affitto con clausola di riscatto e conteggio dei canoni in acconto sul prezzo. Il riscatto viene esercitato una volta ridotto il peso del passivo, con accordi di rinuncia parziale o integrale ai crediti pregressi o dilazione dei termini di pagamento, allorché le somme necessarie per il pagamento dei debiti residui non eccedano l’utile prodotto con l’attività continuata con la Newco.
147 Il riferimento è alle obbligazioni convertibili: per questa tipologia di strumento finanziario lo Ias 32 prevede la rilevazione separata della componente di debito e della componente di patrimonio ab origine. 148 Se una passività viene estinta mediante emissione di un nuovo strumento finanziario, l’emittente dovrà valutare se il nuovo strumento finanziario dev’essere classificato come “passività finanziaria”o come “strumento rappresentativo di capitale”, in funzione delle disposizioni dello Ias 32; se lo strumento emesso è uno strumento “rappresentativo di capitale”, si applicherà l’Ifric 19 (se anche le altre condizioni sono rispettate). Se lo strumento di nuova emissione è invece classificabile come “passività finanziaria”, si applicheranno le disposizioni dello Ias 39 “Rilevazione ed eliminazione contabile”.
149 Lo strumento è rappresentativo di capitale e non dunque una “passività finanziaria” ai fini Ias, se e solo se, le seguenti condizioni sono soddisfatte: a) lo strumento non include un’obbligazione contrattuale a consegnare disponibilità liquide o altra attività finanziaria, o a scambiarie attività o passività finanziarie a condizioni potenzialmente sfavorevoli; e b) se lo strumento potrà essere regolato mediante strumenti rappresentativi di capitale: b1) non è un derivato e non comporta obbligazioni a consegnare un numero variabile di strumenti di capitale, o b2) è un derivato che sarà estinto soltanto dall’emittente scambiando un importo fisso di disponibilità liquide o di altra attività finanziaria, contro un numero fisso di strumenti rappresentativi di capitale.
150 X. XXXXXX, Gli accordi di salvataggio delle imprese in crisi, Milano, 2007, 214.
Xxxxxx sussiste il contratto di affitto la Newco non risponde dei debiti aziendali pregressi, in considerazione dell’inapplicabilità dell’art. 2560 comma 2 cod. civ., salvo quelli verso i dipendenti151 a norma dell’art. 2512 cod. civ.
Nell’ipotesi in cui venga dichiarato il fallimento della società cedente, saranno gli organi della procedura a valutare l’utilità e la convenienza della continuazione dell’attività aziendale in capo alla nuova società, il curatore fallimentare, infatti potrebbe ritenere conveniente mantenere in essere il contratto di affitto alla società già affittuaria prima della dichiarazione di fallimento.
E’ possibile inoltre che all’affitto152 segua la cessione definitiva dell’azienda153 o di un suo ramo alla nuova società. Occorre ricordare che, se ricorrono i presupposti di cui alla legge 23 luglio 1991, n. 223 l’affittuario dell’azienda ha diritto di prelazione in occasione della eventuale vendita da parte degli organi della procedura fallimentare
Il programma contrattuale potrà prevedere la vendita dell’azienda, per cui a fronte del trasferimento di questa, vi sarà il pagamento del corrispettivo, che sarà utilizzato per estinguere i debiti residui.
E’ necessario verificare se l’operazione di ristrutturazione consenta alle banche creditrici dell’impresa in crisi di partecipare al capitale della Newco154 convertendo crediti in capitale sociale, sfuggendo al divieto di detenzione di partecipazioni in imprese in difficoltà155.
Le norme di vigilanza156 riconoscono che le banche157 possono trovarsi nella necessità di decidere se <<convertire in azioni i crediti verso imprese in temporanea difficoltà>> ed esprimono il convincimento che la conversione possa essere operata solo quando sia economicamente conveniente per le banche, precisando al contempo che questa può rivelarsi vantaggiosa a condizione che la crisi dell’impresa affidata sia temporanea,
151 In giurisprudenza cfr. Cass. 3.7.1958 n. 2386. In dottrina CAIAFA, Vicende circolatorie dell’azienda nelle procedure concorsuali, Padova, 2001; XXXXXXX’, Fallimento e circolazione dell’azienda socialmente rilevante, Milano, 2000; ICHINO, Il contratto di lavoro, III, in, Tratt. Dir. Civ. comm., fondato da Cicu e Messineo, Milano, 2003, 596 e segg.
152 Cfr. A PATTI, Affitto d’azienda e finanziamento dell’impresa fallita, in, Il Fall., n. 1/2009, (Allegato),
p. 76 e segg.
153 La prelazione è esercitata con dichiarazione dell’affittuario nel termine di cinque giorni dal ricevimento della comunicazione delle condizioni di acquisto effettuata dal curatore entro dieci giorni dall’esaurimento del procedimento di determinazione del prezzo di vendita.
154 Sotto tale profilo il dato letterale fa riferimento nell’individuazione del soggetto partecipato, alle “imprese in difficoltà” (§ 4; co. 4, d.m. 22 giugno 1993, n. 242632; § 3, sex. V, cap. 9, Tit. IV, Istr. Vig.) 155 Così X. XXXXX, L’ordinamento bancario, Il Mulino, Bologna, 2001, pag. 541, il quale sottolinea che anche se il principio di separatezza tra banca e industria è stato messo a dura prova con l’introduzione nel nostro ordinamento delle merchant banks, in realtà le norme di vigilanza consentono alle banche di acquisire partecipazioni anche in imprese industriali ma chiariscono che tale facoltà è considerata come uno strumento per arricchire i canali di finanziamento delle imprese.
156 Banca d’Italia <<Istruzioni di Vigilanza per le banche>> titolo IV, cap. 9, sez. X.
000 Xxx. XXXXXXXXXX G.F., Le partecipazioni delle banche e dei gruppi bancari, in, Banca, Borsa e Tit. di credito, parte I, 1995, 284.
riconducibile essenzialmente ad aspetti finanziari e non di mercato con ragionevoli prospettive di riequilibrio nel medio periodo158.
Pertanto quando non ricorrono queste condizioni la conversione è vietata. L’accertamento di queste condizioni è rimesso all’approvazione da parte della Banca d’Italia di un piano di risanamento (o progetto di ristrutturazione), proposto da più xxxxxx000, che rappresentino una quota elevata dell’indebitamento dell’impresa, dal quale emerga la capacità della stessa di recuperare il proprio equilibrio economico e finanziario in un periodo massimo di cinque anni.
In mancanza di queste condizioni, nelle operazioni di ristrutturazione, per l’attuazione delle quali sia prevista la costituzione di una Newco, dovrà valutarsi il profilo sostanziale dell’operazione, il discrimine sarà rappresentato dall’esistenza tra l’impresa in difficoltà e la NewCo, di un nesso di continuità, dovuto alla riconducibilità della NewCo all’originario titolare dell’impresa in difficoltà.
Tale riconducibilità va determinata in ragione della sussistenza o meno di un rapporto di controllo (art. 2359 cod. civ.) diretto o indiretto, da parte dell’originario titolare dell’impresa in difficoltà rispetto alla NewCo o dell’esistenza tra il primo e la seconda di rapporti tali per cui l’insolvenza del primo possa ripercuotersi negativamente sulla seconda.
Spesso, nella pratica la NewCo è solo la veste formale della “vecchia proprietà” che per il tramite del nuovo soggetto giuridico tenta di proseguire l’esercizio dell’impresa posseduta. Un indice di ciò a volte può essere ravvisato nella coincidenza, almeno parziale dei componenti degli organi amministrativi della vecchia e della nuova società160.
Pertanto se tra la NewCo e l’impresa in difficoltà esiste una connessione giuridico/economica che porta a considerare la prima un tutt’uno con la seconda, si dovrà, di conseguenza, qualificare anche la Newco quale impresa in difficoltà ai fini dell’applicazione del divieto di acquisto di partecipazioni, previsto dalle Istruzioni di Vigilanza161.
Diversamente la NewCo potrà essere partecipata quale soggetto giuridicamente ed economicamente autonomo senza vincoli sotto il profilo dell’assunzione di partecipazioni al capitale sociale. In tal caso alle banche potrà essere concesso di
158 R. COSTI, L’ordinamento bancario, Il Mulino, Bologna, 2001, pag. 549. CAMPOBASSO, Le partecipazioni al capitale delle banche, in, Banca, borsa e tit. cred., 1995, I, 284; XXXXXXXX - ORTOLANI, Le partecipazioni delle banche nelle imprese non finanziarie, in, La nuova disciplina dell’impresa bancaria, a cura di Xxxxxx e Xxxxx. Milano, 1996, 2, 86; GODANO, La legislazione comunitaria in materia bancaria, Bologna, 1996, 2, 86; XXXXXX, Il fido bancario. Profili giuridici, Milano, 1998, p. 112.
159 Delle quali almeno una sia di primaria importanza e assuma la responsabilità di verificare la corretta esecuzione del piano.
160 Riguardo alla rilevanza per l’ordinamento bancario di questa forma di collegamento Cfr. CERA, Profili dell’interlocking directorates nelle società bancarie e finanziarie: norme speciali ed interessi, in, Governo dell’impresa e mercato delle regole. Scritti giuridici per Xxxxx Xxxxx. Milano, 2002, 1105 e segg.
161 Banca d’Italia <<Istruzioni di Vigilanza per le banche>> titolo IV, cap. 9, sez. V.
sottoscrivere nuovo capitale sociale anche utilizzando nuovi mezzi e quindi senza convertire crediti in capitale.
Sempre più frequentemente, nell’ambito delle operazioni di ristrutturazione le banche assumono il ruolo di advisor finanziario, svolgendo una vera e propria attività di consulenza ed assistenza nei confronti delle imprese in crisi, fornendo gli strumenti tecnici necessari per fare una valutazione obbiettiva della situazione economico- finanziaria dell’impresa al fine di individuare le possibili soluzioni alla crisi. Il rapporto che si instaura, in tal caso , tra l’imprenditore e la banca advisor è una obbligazione di mezzi, la prestazione consiste in un fare, e si inserisce nell’ambito di un rapporto contrattuale tra questi soggetti.
3.9. L’utilizzo del trust nell’ambito dell’accordo di ristrutturazione.
L’utilizzo del trust era sembrato alla dottrina estremamente utile nell’ambito degli accordi di ristrutturazione, soprattutto prima che il decreto correttivo D.lgs. 169/2007, prima e il D.L. n. 78/2010 dopo, nel novellare la norma di cui all’art. 182 bis, introducessero rispettivamente il periodo di sessanta giorni quale spazio temporale durante il quale non sono consentite azioni cautelari o esecutive sul patrimonio del debitore (art. 182 bis comma III) nonché la possibilità di ottenere già in fase di trattative stragiudiziali la sospensione delle azioni esecutive e cautelari, nonché il divieto di acquisire titoli di prelazione non concordati (art. 182 bis comma VI).
In realtà si cercherà di dimostrare nel prosieguo, che l’utilizzo di questo strumento anche in seguito alle modifiche apportate alla norma presenta degli indubbi vantaggi, che favoriscono la buona riuscita dell’operazione di ristrutturazione, sia che questa miri alla continuazione dell’attività di impresa, sia nell’ipotesi in cui si voglia procedere alla liquidazione della stessa.
L’accordo di ristrutturazione potrà prevedere che fermo restando il regolare pagamento dei creditori estranei, i creditori aderenti assumeranno la qualifica di beneficiari del trust e saranno soddisfatti secondo le forme previste nell’accordo di ristrutturazione e nell’allegato atto istitutivo del trust162.
Con l’utilizzo del trust nell’ambito degli accordi di ristrutturazione è possibile realizzare fin dal momento del trasferimento dei beni al trustee e dunque in un momento temporale che può essere anche anteriore alla pubblicazione dell’accordo nel registro delle imprese, (art. 182 bis comma 3), nonchè al deposito di un’eventuale istanza di sospensione (art. 182 bis comma 6), un effetto segregativo che può sicuramente favorire il buon fine dell’accordo di ristrutturazione, blindando i beni conferiti in trust rispetto alle azioni esecutive individuali.
162 Cfr. sull’argomento X. XXXXXX, Osservazioni in ordine alla possibile applicazione di un trust agli accordi di cui all’art. 182 – bis L.F., in, Trusts e attività fiduciarie, 2008, p. 155 e segg.; X. XXXXXXXXX, Istituzione del trust, per il recupero dei crediti fiscali, nota a Trib. Roma 3 aprile 2003 (decr.) in, Fall., n. 1/2004, p. 102;
Al contempo l’inserimento di una clausola risolutiva che condizioni l’efficacia del trust all’ottenimento dell’omologazione, consente di evitare eventuali responsabilità penali, in relazione al reato di bancarotta (art. 216 comma 3 e 217 l. fall.)
Potrebbero essere conferiti in trust non solo i beni del debitore ma eventualmente anche di terzi, se ciò può essere utile e funzionale rispetto all’operazione di ristrutturazione.
Il trustee potrà ovviamente gestire i beni nei limiti stabiliti nell’atto istitutivo di trust e nel rispetto delle finalità dell’accordo di ristrutturazione omologato e naturalmente nel rispetto della legge regolatrice del trust scelta dalle parti.
Il trustee potrebbe svolgere le sue funzioni sotto il controllo di un guardiano (protector) che potrebbe essere sia un singolo che un collegio, composto magari da alcuni creditori con la funzione di monitorare la corretta esecuzione dell’accordo.
Un trust strutturato con questa finalità sicuramente supera il controllo di meritevolezza della causa, non ponendosi in contrasto con i principi inderogabili posti dalla Convenzione dell’Aja. Esso inoltre offre una tutela più intensa di quella prevista dall’art. 182 bis anche ai creditori non aderenti, per i quali costituirà sicuramente un interesse meritevole di tutela, la possibilità di tenere indenne il patrimonio del debitore da altre iniziative individuali dovendo essere soddisfatti integralmente dei loro crediti.
Il trust dunque se dal punto di vista dell’imprenditore in crisi rafforza la protezione del suo patrimonio, dal punto di vista del ceto creditorio, rafforza le esigenze di tutela di quest’ultimo, in quanto l’accordo di ristrutturazione deve assicurare il loro soddisfacimento nei limiti di quanto pattuito e in mancanza di quanto legislativamente previsto.
L’utilizzo del trust consente dunque di raggiungere gli obbiettivi previsti dall’art. 182 bis, in maniera più efficace di quanto già preveda questa norma. Pertanto l’istituzione di un trust collegato ad un accordo di ristrutturazione è caratterizzato sicuramente da una causa lecita e meritevole di tutela in quanto tende a perseguire delle finalità che lo stesso legislatore valorizza nell’art. 182 bis, non contrastando con questa norma ma valorizzandone invece il contenuto e le finalità, nel rispetto delle posizioni di tutti i soggetti coinvolti.
Al contrario, un trust avente ad oggetto la liquidazione del patrimonio di un’impresa insolvente, attuato al di fuori del procedimento degli accordi di ristrutturazione dei debiti di cui all’articolo 182 bis, deve ritenersi nullo163 ai sensi degli artt. 1418 cod. civ. e 15 lett. e) della Convenzione dell’Aja del 16 ottobre 1989 n. 364, laddove il suo unico scopo sia stato quello di eludere il disposto dell’art. 2740 cod. civ., o in mancanza di un evidente intento elusivo, sarà da considerarsi comunque suscettibile di subire l’azione revocatoria164, con conseguente inefficacia rispetto ai creditori, proprio perchè le regole pubblicistiche che presiedono allo svolgimento della procedura fallimentare, sono derogabili in via privatistica, solo nell’ambito degli accordi di ristrutturazione conclusi con i creditori che rappresentano la maggioranza qualificata dei crediti indicata dall’art. 182 bis o nell’ambito del concordato preventivo.
163 Cfr. Trib. Milano, 22 ottobre 2009, sez. VIII Civile, Pres. Perozziello, Rel. Dal Moro, in,
xxx.xxxxxx.xx.; Trib. Milano, 30 luglio 2009, - Est. Xxxxxxxx, in, xxx.xxxxxx.xx.
164 Cfr. Trib. Alessandria, 24 novembre 2009 – Est. Mela, in, xxx.xxxxxx.xx.
Una ulteriore funzione che il trust potrebbe svolgere nell’ambito degli accordi di ristrutturazione è stata individuata dalla dottrina165nella possibilità di attenuare le eventuali asimmetrie distributive che potrebbero prodursi nella fase di esecuzione dell’accordo. Viene cioè evidenziato il rischio, insito nella genesi in prevalenza privatistica dell’accordo di ristrutturazione e nella sua natura di contratto di durata, la cui esecuzione è interamente rimessa all’autonomia privata, senza l’esercizio di alcun controllo esterno.
In considerazione della complessità dell’architettura contrattuale dell’accordo di ristrutturazione, per realizzare la quale potrà essere necessario procedere al compimento di una serie di atti, quali delibere assembleari, aumenti di capitale, costituzione di nuove società, la cessione di assetts, la cui corretta esecuzione è essenziale per il buon fine dell’operazione di ristrutturazione, l’utilizzo del trust, in tale prospettiva può rappresentare un momento di controllo sulle modalità e sui tempi di esecuzione dell’accordo, valorizzandone la funzione economico – sociale, nel rispetto delle finalità previste dall’art. 182 bis.
Sotto tale profilo, una recente giurisprudenza166, ha evidenziato come l’istituzione del trust, nell’ambito di un accordo di ristrutturazione, sia finalizzata a perseguire un interesse meritevole di tutela che è quello di proteggere il patrimonio per evitare che alcuni creditori, c.d. free riders, rimasti estranei all’accordo di ristrutturazione, che vantano crediti contestati possano costituire diritti di prelazione, ipoteche, o agire in executivis sui cespiti, facendo naufragare l’accordo raggiunto con la maggioranza.
Tale esigenza, non è venuta completamente meno, neanche in seguito all’introduzione ad opera del D.L. 78/2010, convertito nella legge 122/2010, della possibilità per l’imprenditore proponente l’accordo di ottenere, già in fase di trattative stragiudiziali, la sospensione dalla azioni esecutive e cautelari, nonché il divieto per i creditori di acquisire titoli di prelazione non concordati (art. 182 bis comma VI), considerati i limiti temporali entro i quali tali divieti producono i loro effetti.
Invero in questa prospettiva il trust, non può considerarsi uno strumento per frodare i creditori, essendone proprio questi i beneficiari, tra l’altro il conferimento dei beni in trust, fornisce un ulteriore garanzia di non dispersione dei beni e attribuisce ai creditori beneficiari un controllo sull’operato del trustee, che manca invece nell’accordo di ristrutturazione.
La finalità di proteggere il patrimonio nell’ambito di una soluzione concordata della crisi d’impresa, attraverso la segregazione dei beni, al fine di assicurare la loro destinazione alla massa dei creditori era già stata valutata positivamente dalla giurisprudenza167 con riferimento alla procedura di concordato preventivo. Nel caso di specie si trattava di un concordato, omologato dal Tribunale, in cui i beni di soggetti terzi, diversi dal debitore assoggettato alla procedura e garanti dell’adempimento del concordato, erano stati trasferiti al commissario xxxxxxxxxx, nominato trustee, così limitando il rischio, per i creditori del concordato di eventi, quali azioni esecutive per
165 X. XXXXXXX, Il ruolo del trust nella composizione negoziale dell’insolvenza di cui all’art. 000 xxx x. xxxx., xx, Xxxx. , x. 0/0000 p. 595 e segg.
166 Trib. Reggio Xxxxxx, 14 maggio 2007, in, xxx.xxxxxx.xx.
167 Trib. Parma, sent. Del 3 marzo 2005, in, Trusts e Attività Fiduciarie, 2005, p. 409.
debiti del garante, iscrizioni ipotecarie, cessione degli stessi beni, concessione di ulteriori garanzie, tutti idonei a ridurre o ad eliminare la garanzia offerta.
I creditori del disponente, in questo modo, non possono soddisfarsi su un bene che non è più nella disponibilità di questo, i creditori del trustee, subiscono l’effetto segregativo del negozio, i creditori beneficiari ricevono quanto stabilito dal settlor, secondo quanto stabilito nell’accordo di ristrutturazione e all’atto costitutivo del trust.
L’utilizzabilità del trust nell’ambito degli accordi di ristrutturazione, potrebbe tuttavia essere fortemente limitata dal costo fiscale dell’operazione che risulta essere un elemento decisivo per valutare correttamente l’utilità di questo strumento168.
3.10. La transazione fiscale collegata all’accordo di ristrutturazione.
Il D.Lgs 12 settembre 2007 n. 169, ha modificato l’art. 182 ter della legge fallimentare, relativo alla disciplina della “transazione fiscale”169, introducendo la possibilità per l’imprenditore in crisi di proporre una transazione fiscale funzionalmente collegata all’accordo di ristrutturazione dei xxxxxx000 di cui all’art. 182 bis l.fall., ampliando così la possibilità di utilizzare questo istituto, precedentemente fruibile solo nell’ambito della procedura di concordato preventivo.
Successivamente altre modifiche sono state apportate dall’art 32 commi 5° e 6° del D.L. n° 185 del 29/11/2008171 e da ultimo con l’art. 29 del D.L. 31 maggio 2010 n. 78, convertito con la legge 122/2010.
In tal modo il profilo della regolamentazione negoziale della crisi d’impresa, si è arricchito di un importante strumento, che concorre ad allargare gli spazi concessi all’autonomia privata nella predisposizione di un accordo di ristrutturazione (art. 182 bis)
Sotto il profilo soggettivo l’accesso all’istituto della transazione fiscale è riservato all’imprenditore in stato di crisi, il quale può proporre il pagamento, anche parziale, dei
168 Sugli aspetti relativi alla tassazione trust, cfr. Circolare dell’Agenzia delle Entrate n. 48/E del 06/8/2007 avente ad oggetto: <<Trust, Disciplina rilevante ai fini delle imposte sui redditi e delle imposte indirette>>. L’articolo 1, commi da 74 a 76 della legge 27 dicembre 2006 n. 296 (legge finanziaria 2007) pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale n. 299 del 27 dicembre 2006, ha introdotto per la prima volta un disciplina fiscale del trust interno.
169 Cfr. X. XXXXXXX, La Transazione fiscale, in, Riv. Dir. Fall, n. 2/2008, p. 186 e segg.; X. XXXXXX, La transazione fiscale nel concordato preventivo e negli accordi di ristrutturazione dei debiti, in, xxx.xxxxxx.xx., 2008, p. 33 e segg.; X. XXXXXXX, Il correttivo e la nuova transazione fiscale, in, xxx.xxxxxx.xx., 2008.; X. XXXXXXX, La transazione fiscale, in, Il diritto fallimentare riformato, a cura di X. Xxxxxxx di Xxxx, 2007, p. 682 e segg.; X. XXX XXXXXXXX, Art. 182 ter, Transazione fiscale, in, Il nuovo diritto fallimentare, a cura di X. Xxxxx, tomo II, Zanichelli, 2007, p. 2561 e segg.;
170 Cfr. X. XXXXXXX, Il Tribunale di Ancona ha omologato il primo accordo di ristrutturazione dei debiti con transazione fiscale stipulato in Italia, nota a Trib. Ancona, 12 novembre 2008, in, xxxx://xxx.xxxxxx.xx/xxxxxxxxxxxxxx/xxxxxxxx/0000.xxx
000 Xxx. X. XXXXXXX, Xx correttivo al correttivo della transazione fiscale, in, Il xxx.xxxxxx.xx., 2008, p. 1 e segg.; X. XXXXXX, La Transazione fiscale, in, Fallimento e altre procedure concorsuali, a cura di X. Xxxxxxxxx e X. Xxxxxxx, Utet, Torino, 2009, pagg. 1837 e segg.
tributi amministrati dalle agenzie fiscali e dei relativi accessori, limitatamente alla quota di debito avente natura chirografaria, anche se non iscritti a ruolo, ad eccezione dei tributi costituenti risorse proprie dell’Unione Europea.
La proposta può prevedere la dilazione del pagamento.
La transazione fiscale (art. 182 ter l. fall.) è un istituto172 disciplinato dal legislatore nella legge fallimentare ed in particolare nell’ambito degli strumenti funzionali ad una definizione negoziale della crisi d’impresa, con il quale si è voluto offrire all’imprenditore in crisi la possibilità di accordarsi con il creditore Fisco, al fine di favorire il superamento dello stato di crisi, così derogando al principio indisponibilità dell’obbligazione tributaria, nella prospettiva e con la consapevolezza che il superamento della crisi d’impresa, può concorrere anche a rafforzare l’interesse dello Stato alla riscossione dei tributi.
La transazione fiscale pertanto può costituire parte integrante non solo del concordato preventivo ma anche degli accordi di ristrutturazione dei debiti (art. 182 ter ult. comma)173.
I tributi che possono formare oggetto di transazione fiscale sono quelli amministrati dalle Agenzie fiscali174: Ires, Irpef, imposta di bollo, imposta di registro, imposte ipotecaria e catastale, Iva, Irap, imposte sulle successioni e donazioni, imposta sugli intrattenimenti, tasse automobilistiche, tasse sui contratti di borsa, canone di abbonamento alla televisione, imposte demaniali, dazi di importazione e di esportazione, imposte di consumo.
Non sono invece transigibili i tributi locali non amministrati dalle Agenzie Fiscali, quali Ici, Tarsu/Tia, Tosap/Cosap, imposta sulle pubblicità e sulle pubbliche affissioni, ecc. nonché in virtù di quanto disposto dall’art. 182 ter comma primo i tributi costituenti risorse proprie dell’Unione Europea , ossia i dazi doganali di fonte comunitaria.
172 E’ controverso in dottrina se la transazione fiscale possa essere ricompresa tra quegli strumenti c.d. deflattivi del contenzioso tributario, previsti dalla legge per comporre le liti sorte con l’amministrazione finanziaria e soprattutto per prevenirne l’insorgere172. Si tratta di istituti giuridici attraverso i quali il principio generale della indisponibilità dell’obbligazione tributaria viene sacrificato al fine di favorire la composizione negoziata del contenzioso tra Fisco e contribuente. Queste procedure sono: 1) l’Accertamento con adesione o Concordato ex artt. 1-13. d.lgs 218/97; 2) la Conciliazione giudiziale, ex art. 48, d.lgs. 546/92, così come sostituito dall’art. 14 comma primo, d.lgs. 218/97; 3) la Definizione degli atti di accertamento (l’Acquiescenza), ex art. 15, d.lgs. 218/1997; 4) la Definizione degli atti di accertamento derivanti dai controlli automatici e dal controllo formale delle dichiarazioni, ex artt. 2 e 3 del d.lgs. 462/97; 5) la Definizione agevolata delle sole sanzioni contenute in un atto di contestazione o in un atto contestuale all’avviso di accertamento, ex art. 16 comma terzo e 17 comma secondo, d.lgs. 474/92; 6)L’Autotutela, ex art. 68 comma primo, d.p.r. 287/92, ex art. 2 d.l. 564/94, ex d.m. 37/97, ex art. 43 d.p.r. 600/1973, ex art. 2 quater comma primo bis e primo quinquies, d.l. 564/94; 7) Il Ravvedimento
, ex art. 13 d.lgs. 472/97; 8) l’Interpello nelle sue diverse tipologie dell’Interpello preventivo antielusivo, ex art. 21 l. 413/91: dell’Interpello per la disapplicazione di norme antielusive, ex art. 37 bis, comma ottavo, d.p.r. 600/73; dell’Interpello ordinario e generalizzato, ex art. 11 l. 212/00 e d.m. 209/01; dell’Interpello Internazionale, ex art. 8, d.l. 269/03.
173 Essa dunque non costituirebbe un accordo autonomo, avente una causa deflattiva propria del contenzioso tributario, innestandosi necessariamente nell’ambito di un più ampio accordo di ristrutturazione.
174 Per Agenzie fiscali si intendono: l’Agenzie delle Entrate, l’Agenzia delle Dogane, l’Agenzia del Territorio e l’Agenzia del Demanio, tutte istituite ai sensi dell’art. 57 comma primo del D.Lgs. 300/1999, recante “Riforma dell’organizzazione del Governo”.
Per quanto concerne l’Iva e l’Irap, occorre fare delle precisazioni175.
In relazione all’imposta sul valore aggiunto, recentemente è intervenuto il D.L. 185 del 29/11/2008 il cui art. 32, nel modificare l’art. 182 ter ha disposto espressamente che:
<<con riguardo all’imposta sul valore aggiunto, la proposta può prevedere esclusivamente la dilazione di pagamento>>, pertanto in questo caso la transazione fiscale potrà avere soltanto un contenuto dilatorio e non remissorio.
Inoltre l’art. 29 del D.L. 31 maggio 2010, n. 78, in vigore dal 31 maggio 2010 e convertito con la legge 122/2010, ha previsto espressamente che anche le ritenute operate e non versate possano essere soltanto oggetto di dilazione di pagamento e non di stralcio.
Per quanto concerne invece i debiti Irap, sembra preferibile ritenere che siano comunque transigibili, trattandosi di un’imposta che viene amministrata dalle Agenzie delle Entrate176.
La proposta di transazione fiscale riguarda inoltre sia i crediti già iscritti a ruolo, sia quelli non ancora iscritti.
La transazione fiscale costituisce dunque una eccezione alla indisponibilità del credito tributario che non è di regola, né disponibile, né rinunciabile e quindi non potrebbe formare oggetto di transazione.
Sotto tale profilo, le ragioni di questa deroga, sono state individuate nell’esigenza di fornire all’Amministrazione Finanziaria, uno strumento per una riscossione più efficace dei tributi nei confronti degli imprenditori in stato di crisi e al contempo nella necessità di eliminare gli eccessivi pregiudizi agli interessi degli altri creditori dell’imprenditore oltre che dell’imprenditore stesso177.
Per quanto concerne gli oneri accessori (sanzioni e interessi) è consentita la ristrutturazione soltanto di quelli relativi ai debiti tributari chirografari, così come si evincerebbe dall’avverbio “limitatamente” di cui al comma primo dell’art. 182 ter “….il debitore può proporre il pagamento, anche parziale, dei tributi…. E dei relativi accessori, limitatamente alla quota di debito avente natura chirografaria…”.
Se il credito tributario è assistito da privilegio178, la percentuale, i tempi di pagamento e le eventuali garanzie non possono essere inferiori a quelli offerti ai creditori che hanno un grado di privilegio inferiore o a quelli che hanno una posizione giuridica ed interessi economici omogenei a quelli degli enti gestori di forme di previdenza e assistenza obbligatorie179; se il credito tributario ha natura chirografaria, il trattamento non può essere differenziato rispetto a quello degli altri creditori chirografari.
175 X. XXXXXXX, Accordi di ristrutturazione dei debiti, Torino, 2008, p. 109 e segg.; X. XXXXXXX, Il correttivo e la nuova transazione fiscale, in, xxx.xxxxxx.xx, 2008, p.1; X. XXXX, La transazione fiscale, in, Rass. Trib,. , 2006, 4 p. 1078.
000 Xxx. X. XXXXXXX, Xx correttivo al correttivo della transazione fiscale, in, Il Xxxx.xx., 2008, p. 8
177 X. XXXX, La transazione fiscale, in, Rass. Trib,. , 2006, 4 p. 1078.
178 Cfr. X. XXXXX, Formazione delle classi e alterabilità delle graduazioni legislative, in, Il Fall. n. 1/2007 (Allegato): Atti del Convegno “Dai piani attestati ai concordati giudiziali: finanziamenti e mercato delle crisi, Milano 21 ottobre 2008”, p. 7 e segg., il quale ritiene che la transazione fiscale può riguardare solo i crediti privilegiati e non quelli assistiti da altre cause di prelazione, quali gli ipotecari e i pignoratizi.
179 Cfr. Trib. Mantova 30 ottobre 2008, il quale ha statuito che: <<In ipotesi di transazione fiscale, il criterio indicato nell’art. 182 ter. Legge fall., per cui il credito tributario assistito da privilegio può
L’art. 32 del D.L. 185/2008 nel modificare l’art. 182 ter l. fall. ha esteso la possibilità di proporre la transazione fiscale anche per i contributi previdenziali e assistenziali, amministrati dagli enti gestori di forme di previdenza e assistenza obbligatorie e i relativi accessori. La norma richiamata, a sua volta, rinviava per l’individuazione delle modalità di applicazione, nonché dei criteri e delle condizioni di accettazione da parte degli enti previdenziali della proposta di transazione sui crediti contributivi, ad un successivo decreto del Ministero del Lavoro, della salute e delle politiche sociali, da adottarsi di concerto con il Ministro dell’Economia e delle Finanze, da emanarsi entro sessanta giorni dall’entrata in vigore della legge di conversione del D.L. 185/2008.
Tale provvedimento attuativo è stato emanato con D.M. del 4 agosto 2009, il quale disciplina, nell’esclusivo ambito di cui all’art. 182 ter l. fall., le modalità di applicazione, i criteri e le condizioni di accettazione da parte degli enti gestori di forme di assistenza obbligatorie della proposta di accordo sui crediti per contributi, premi e relativi accessori di legge.
Tale decreto, dopo aver stabilito che i crediti per contributi, premi e accessori che possono essere ricompresi nella proposta di accordo sono sia quelli assistiti da privilegio che i crediti aventi natura chirografaria, sia i crediti iscritti a ruolo che quelli non ancora iscritti a ruolo, esclude espressamente, dalla proposta di accordo, i crediti cartolarizzati ai sensi dell’art. 13 della legge 448/1998 e secc. modd., e i crediti dovuti in esecuzione delle decisioni assunte dagli organi comunitari in materia di aiuti di Stato. (Art. 2 comma 3 lett. a).
Il decreto ministeriale sopra richiamato chiarisce inoltre che soltanto gli imprenditori commerciali in possesso dei requisiti di cui all’art. 1 del D.lgs. 12/09/2007 n. 169, possono proporre l’accordo relativo ai crediti contributivi.
Tali soggetti devono presentare la proposta di accordo agli enti previdenziali interessati, corredata dalla documentazione di cui all’art. 161 comma 2 l. fall, accompagnata da una relazione di un professionista in possesso dei requisiti di cui all’art. 67 comma 3 lett. d)
l. fall., che attesti la veridicità dei dati aziendali e la fattibilità del piano dell’impresa.
La proposta di pagamento per i crediti privilegiati di cui al n. 1) del primo comma dell’art. 2778 cod. civ. e per i crediti per premi, non può essere inferiore al cento per cento, e per i crediti privilegiati di cui al numero 8) del primo comma dell’art. 2778 cod. civ. non può essere inferiore al quaranta per cento.
Dunque al primo posto della graduatoria (ex art. 2778 n. 1 cod. civ.) sono collocati i crediti di cui all’art. 2753 cod. civ.; gli altri crediti di cui all’art. 2754 cod. civ. sono collocati all’ottavo posto (ex art. 2778 n. 8 cod. civ.) unitamente al cinquanta per cento degli accessori.
La proposta di pagamento parziale per crediti previdenziali e assistenziali, chirografari, non può essere inferiore al trenta per cento.
La proposta di pagamento dilazionato non può essere superiore a sessanta rate mensili, con applicazione degli interessi al tasso legale, nel tempo vigente.
essere pagato in percentuale purchè non siano offerte condizioni e garanzie inferiori a quelle offerte ai creditori che hanno grado di privilegio inferiore o posizione giuridica ed interessi economici omogenei a quelli delle agenzie fiscali, può dirsi rispettato anche nelle ipotesi in cui siano attribuite percentuali differenti e maggiori ad altri creditori aventi uguale privilegio generale sui mobili, a condizione che risulti rispettato l’ordine di soddisfazione sancito dagli artt. 2777 e segg. cod. civ.>>
Il D.M. 4 agosto 2009, sopra richiamato, ha inoltre stabilito ulteriori limiti all’adesione delle enti previdenziali e assistenziali, stabilendo che possono accedere alla proposta di accordo soltanto nel rispetto dei seguenti parametri valutativi:
1) idoneità dell’attivo ad assicurare il soddisfacimento dei crediti anche mediante prestazione di eventuali garanzie;
2) riconoscimento formale e incondizionato del credito per contributi e premi e rinuncia a tutte le eccezioni che possano influire sulla esistenza ed azionabilità dello stesso;
3) correntezza nel pagamento dei contributi e premi dovuti per i periodi successivi alla presentazione della proposta di accordo;
4) versamento delle ritenute previdenziali ed assistenziali operate sulle retribuzioni dei lavoratori dipendenti, ai fini dell’accesso alla dilazione dei crediti;
5) essenzialità dell’accordo ai fini della continuità dell’attività dell’impresa e di ogni possibile salvaguardia dei livelli occupazionali, tenuto conto dell’importanza che la stessa riveste nel contesto economico sociale dell’area in cui opera.
Il mancato rispetto degli obblighi previsti nell’accordo comporta la revoca dello stesso (Art. 4 , comma 2).
L’art. 5 del D.M. 4/8/2009, attribuisce poi ai singoli enti gestori di forme di previdenza e assistenza obbligatorie, il compito di definire le concrete modalità operative delle disposizioni contenute. In ottemperanza a quanto previsto dall’art. 5 del suddetto decreto, l’INAIL e l’INPS hanno emanato rispettivamente la Circolare n. 8 del 26/02/2010 (Inail)180 e la Circolare n. 38 del 15/3/2010 (Inps)181, al fine di illustrare le modalità operative concernenti le proposte di accordo sui crediti per contributi di previdenza e assistenza sociale, gestiti dall’Istituto, avanzate ai sensi dell’art. 182 ter della legge fallimentare.
Con il decreto ministeriale sopraccitato è stata dunque limitata moltissimo e in maniera ingiustificata, la possibilità per l’imprenditore commerciale di procedere alla ristrutturazione di quella componente del proprio passivo, costituita da esposizioni nei confronti dell’Inps e dell’Inail.
Tali limitazioni appaiono assolutamente ingiustificate, alla luce della ratio degli istituti della transazione fiscale, e degli accordi di ristrutturazione dei debiti, il cui fine è invece quello di agevolare la composizione negoziale della crisi d’impresa.
Per quanto concerne il procedimento, l’imprenditore che intenda proporre un accordo di ristrutturazione, al quale sia collegata anche una transazione fiscale, dovrà depositare la proposta di transazione, unitamente alla documentazione di cui all’art. 161 l. fall., presso il competente concessionario del servizio nazionale della riscossione, e all’ufficio competente sulla base dell’ultimo domicilio fiscale del debitore, unitamente alla copia delle dichiarazioni fiscali per le quali non è pervenuto l’esito dei controlli automatici nonché delle dichiarazioni integrative relative al periodo sino alla data di presentazione della domanda, al fine di consentire il consolidamento del debito fiscale.
Alla proposta di transazione deve altresì essere allegata la dichiarazione sostitutiva, resa dal debitore o dal suo legale rappresentante ai sensi dell’art. 47 del D.P.R. 28 dicembre 2000 n. 445, che la documentazione sopra indicata rappresenta fedelmente ed integralmente la situazione dell’impresa, con particolare riguardo alle poste attive del patrimonio.
Il concessionario, non oltre trenta giorni dalla data di presentazione, deve trasmettere al debitore una certificazione attestante l’entità del debito iscritto a ruolo scaduto o sospeso.
L’Ufficio nello stesso termine, deve procedere alla liquidazione dei tributi risultanti dalle dichiarazioni, e alla notifica dei relativi avvisi di irregolarità, unitamente ad una certificazione attestante l’entità del debito derivante da atti di accertamento ancorché non definitivi, per la parte non iscritta a ruolo, nonché da ruoli vistati , ma non ancora consegnati al concessionario (art. 183 comma 2 l. fall).
Nei successivi trenta giorni l’assenso alla proposta di transazione è espresso, relativamente ai tributi non iscritti a ruolo, ovvero non ancora consegnati al concessionario del servizio nazionale della riscossione alla data di presentazione della domanda, con atto del direttore dell’ufficio, su conforme parere della competente direzione regionale, e relativamente ai tributi iscritti a ruolo e già consegnati al concessionario del servizio nazionale della riscossione alla data di presentazione della domanda, con atto del concessionario su indicazione del direttore dell’ufficio, previo conforme parere della competente direzione generale.
L’assenso così espresso equivale a sottoscrizione dell’accordo di ristrutturazione.
La transazione fiscale nell’ambito dell’accordo di ristrutturazione ex art. 182 bis l.fall. costituisce dunque un atto autonomo, anche se collegato al complessivo accordo di ristrutturazione e condizionato all’omologazione dello stesso.
La transazione deve perfezionarsi prima del deposito dell’accordo presso il registro delle imprese e presso il Tribunale, per cui gli uffici potranno con maggiore elasticità procedere alle verifiche preventive avendo come unico limite temporale i trenta giorni previsti dalla norma182.
Con l’art. 29 del D.L. 78/2010 è stato aggiunto all’articolo 182 ter un comma VII, il quale prevede che la transazione fiscale, conclusa nell’ambito dell’art. 182 bis, venga revocata di diritto, se il debitore non esegue, integralmente, entro novanta giorni dalle scadenze previste, i pagamenti dovuti alle Agenzie Fiscali ed agli Enti Gestori di forme di previdenza e assistenza obbligatorie.
Nel sottolineare l’importanza della possibilità di utilizzare l’istituto della transazione fiscale anche con riferimento agli accordi di ristrutturazione è stato giustamente evidenziato , come il successo di questo strumento dipenderà anche dalla capacità degli uffici finanziari di gestire le procedure di recupero dei crediti fiscali con un approccio di tipo più privatistico e meno burocratico183.
000 X. XXXXXX, Xx transazione fiscale nel concordato preventivo e negli accordi di ristrutturazione dei debiti, in, Il xxxx.xx., 2008, p. 33 e segg.
183 X. XXXXXXX, La Transazione fiscale, in, Riv. Dir. Fall., n. 2/2008 p. 205.
3.11 Il contenuto degli accordi di ristrutturazione dei debiti ex art. 182 bis nella recente casistica giurisprudenziale.
A) la ristrutturazione del Gruppo RISANAMENTO S.p.a.
La recente casistica giurisprudenziale, sta evidenziando il successo dello strumento dell’accordo di ristrutturazione, e l’eccezionale duttilità dell’istituto sotto il profilo contenutistico184.
Risulta di grande interesse, per la sua eccezionale complessità, l’operazione di ristrutturazione che ha riguardato la società RISANAMENTO S.p.a., società quotata alla Borsa Italiana, a sua volta inserita nell’ambito di un articolato gruppo di società.
I ricorsi per l’omologazione degli accordi di ristrutturazione sono stati depositati da nove società proponenti, appartenenti a due distinti gruppi societari: il “gruppo Risanamento” e il “gruppo Zunino”, a loro volta collegati fra loro, ciascuno composto da decine di società, titolari di ingenti patrimoni immobiliari, sia in Italia che all’estero.
Gli accordi hanno coinvolto, nelle veste di creditori aderenti, anche numerose società appartenenti ai due gruppi.
I nove accordi di ristrutturazione presentati, sono stati distinti, da un punto di vista descrittivo, in due categorie: nella prima rientrano gli accordi presentati dalle sei società riconducibili al “gruppo Risanamento”185 definiti con il termine “Accordo di Risanamento”; nella seconda categoria rientrano gli accordi presentati da tre società del “gruppo Zunino”186, titolari complessivamente del 73% delle azioni della società Risanamento S.p.a., questi accordi vengono denominati con il termine “Accordo Sistema Holding”.
Tutti gli accordi sopra descritti sono funzionalmente collegati, in quanto l’efficacia di ciascuno di essi è stata espressamente condizionata al passaggio in giudicato dei decreti di omologa di tutti gli altri.
Il collegamento negoziale così instaurato tra i diversi accordi, comportando inevitabilmente un collegamento anche tra rispettivi procedimenti di omologazione, ha fatto ritenere al tribunale che fosse indispensabile procedere alla riunione dei suddetti procedimenti.
Il c.d. “Accordo Risanamento” è stato concluso da Risanamento S.p.a. e da altre cinque società appartenenti al medesimo gruppo187 e ha visto l’adesione anche di alcune banche188.
184 Trib. Milano, 10 novembre 2009, (Decr), Pres. X. Xxxxxxx, Rel. X. Xxxxxxxx, in, Riv. Dir. Fall, . n° 3-4 del 2010, pag. 343 e segg. con nota di X. XXXXXXX.
185 Si tratta delle società Risanamento S.p.a.; MSG Residenze s.r.l.; RI. Investimenti s.r.l.; Xxxxxxxx S.p.a.; Milano Santa Giulia S.p.a.; RI. Rental S.p.a..
186 Si tratta delle società Zunino Investimenti Italia S.p.a.; Tradii S.p.a. e Nuova Parva S.p.a.
187 Si tratta di MSG Residenze s.r.l.; RI. Investimenti s.r.l.; Xxxxxxxx S.p.a.; Milano Santa Giulia S.p.a.; RI. Rental S.p.a.
188 Si tratta di Intesa San Paolo S.p.a.; Unicredit Corporate Banking S.p.a.; Banca Monte Pachi Siena S.p.a.; Banco Popolare Società Cooperativa; Banca Popolare di Milano società copperativa e Banca Italease S.p.a.
Ulteriori adesioni hanno riguardato poi altre società dello stesso gruppo.
La ristrutturazione si è basata su due diversi piani di intervento, uno finanziario e l’altro industriale, collegati tra loro.
Sotto il profilo finanziario, l’accordo ha previsto:
- la sottoscrizione dell’aumento del capitale sociale della Risanamento S.p.a., da parte delle cinque banche aderenti, in parte mediante la tecnica, ammessa dalla giurisprudenza189, della compensazione con alcuni crediti pregressi vantati dalle stesse, e per la parte residua mediante un effettivo apporto di nuova liquidità;
- l’emissione di un prestito obbligazionario convertibile da parte di Risanamento S.p.a., con l’impegno delle cinque banche aderenti di sottoscriverlo integralmente, secondo le percentuali stabilite nell’accordo, anche in questo caso attuando una compensazione, totale o parziale con i crediti pregressi vantati dagli istituti di credito, con previsione del rimborso per il 2014 e facoltà degli amministratori di Risanamento S.p.a. di chiederne la conversione in capitale sociale.
Queste due pattuizioni presentano inoltre un collegamento con alcune clausole dell’“accordo Sistema Holding” che vedremo in seguito.
Viene previsto inoltre:
- l’impegno delle banche aderenti di garantire il rimborso, anche in via anticipata, di un prestito obbligazionario, precedentemente emesso da Risanamento S.p.a. e destinato a scadere il 31.5.2014;
- il riscadenziamento degli obblighi assunti nei rapporti infragruppo con alcune società, ferma restando la facoltà della Risanamento S.p.a. di chiedere comunque, ove necessario i pagamenti in relazione agli obblighi di tesoreria;
- la cessione dei crediti IVA;
- la liberazione di ulteriori risorse liquide, attraverso la sostituzione di depositi cauzionali vincolati a favore di Fondiaria Sai e Unicredit con garanzie fideiussorie, rilasciate dalle cinque banche aderenti.
In aggiunta a queste pattuizioni principali, sono stati poi perfezionati altri accordi collegati a quello principale, comunque volti a creare condizioni finanziarie più favorevoli, in particolare si segnalano:
- la risoluzione di un contratto di leasing tra Risanamento S.p.a. e Italease S.p.a.;
- una moratoria diversificata in relazione alla tipologia di credito conclusa tra Risanamento S.p.a. e la Banca Nazionale del Lavoro;
- l’estinzione del debito ipotecario delle società del gruppo nei confronti di Meliorbanca, attraverso la cessione, da parte di Risanamento S.p.a., della partecipazione totalitaria in una società veicolo, nella quale saranno conferiti alcuni immobili di proprietà di Risanamento S.p.a., RI Estate e RI Investimenti.
189 Una isolata pronuncia della corte di Cassazione (Cass. 10 dicembre 1992, n. 13095, in, Xxxx Xx., X, 0000, 3100, e in, Il Fall., 1993, p. 595, aveva sostenuto l’illegittimità dell’aumento di capitale realizzato attraverso la compensazione con un credito vantato nei confronti della società. In seguito la stessa Corte di Cassazione ha mutato orientamento riconoscendo la possibilità la possibilità di sottoscrivere aumenti di capitale compensando crediti vantati nei confronti della società , Cfr. in tal senso: Cass. 5 febbraio 1996
n. 936, in, Xxxx Xx., X, 0000, p. 2490 e in, Corr. Xxxx., 1996, p. 547, orientamento oramai consolidato. Cfr. da ultimo Cass. Civ. Sez. I, 19 marzo 2009, n. 6711, in , xxx.xxxxxx.xx.
- un accordo a saldo e stralcio concluso tra MSG Residenze, da una parte e Intesa San Paolo e Deutsche Pfanbriefbank AG, da eseguirsi successivamente all’omologa dell’accordo di ristrutturazione;
- una moratoria del credito concessa dalla Banca Popolare di Milano;
- una transazione con Xxx S.p.a. che prevede la cessione a quest’ultima di una partecipazione in un’altra società veicolo, a sua volta titolare di un cospicuo patrimonio immobiliare;
- la definizione dei rapporti con Sky Italia, attraverso la previsione di un aumento del canone dovuto da questa, in rapporto al progressivo completamento delle tre torri da realizzarsi nell’ambito dell’operazione immobiliare Santa Giulia e destinate a diventare la sede principale in Italia della multinazionale australiana;
- la cessione da parte di Risanamento S.p.a. in favore di BPL Real Estate delle partecipazioni totalitarie detenute nelle società Sviluppo Comparto 6 S.r.l. e Sviluppo Comparto 8 S.r.l., previo trasferimento a queste società di immobili, specificamente individuati.
Per quanto concerne invece gli aspetti salienti del piano industriale, occorre evidenziare come esso sia stato sviluppato in rapporto ai principali comparti produttivi in cui si articola l’attività di Risanamento S.p.a. e delle altre società del gruppo, così denominati: blocco trading, blocco estero, blocco Falck, blocco Santa Giulia.
Con riferimento al c.d. blocco trading, cioè all’attività commerciale consistente nell’acquisto e nella rivendita delle unità immobiliari, viene pianificato un incremento delle dismissioni al fine di ottenere un aumento della liquidità nel biennio 2009 – 2010.
Le alienazioni vengono previste anche in relazione alle partecipazioni sociali detenute in società che svolgono attività ritenute “non strategiche” nell’ambito del gruppo.
Per quanto riguarda il comparto blocco estero, concernente le attività svolte all’estero, non vengono previste dismissioni, nella prospettiva, di un incremento progressivo della redditività degli investimenti realizzati.
In relazione al comparto denominato“blocco Santa Giulia”, che rappresenta insieme all’area ex Falck la componente patrimoniale più rilevante dell’intero gruppo, viene prevista, in parte, la prosecuzione di una serie di interventi già pianificati, e per altro verso, la cessione parziale dell’area per una superficie pari al 45% del totale.
Con riguardo infine al c.d. “blocco Falck”, ne viene prevista la cessione integrale entro il 2012. Tra l’altro in relazione a questo comparto imprenditoriale, Banca Intesa ha concesso una moratoria sui debiti già scaduti, sino al 31.12.2012.
Gli accordi di ristrutturazione complessivamente denominati “Sistema Holding”, sono stati stipulati invece, da Zunino Investimenti S.p.a., Tradim S.p.a. e Nuova Parva S.p.a., da una parte, nella veste di società proponenti e dall’altra Intesa San Paolo S.p.a., Unicredit Corporate Banking S.p.a. e Banco Popolare società Cooperativa.
Le tre società ricorrenti, rappresentano nel loro insieme quello che è stato denominato il
c.d. “Sistema holding”, in quanto esse detengono complessivamente il 72,97% delle azioni della Risanamento S.p.a.190
Le clausole principali dell’accordo prevedono:
- la cessione da parte delle tre società ricorrenti, in favore delle tre banche aderenti,e di altri due Istituti di credito191, dei diritti di opzione relativi all’aumento del capitale sociale e all’emissione del prestito obbligazionario convertibile, previsti nell’ “Accordo di Risanamento” di cui sopra.
• la concessione da parte delle banche aderenti di una moratoria sui rispettivi crediti, verso le società aderenti, fino al 31.12.2014, con rinegoziazione convenzionale degli interessi dovuti dal primo gennaio 2009;
• una moratoria dei debiti infragruppo, concessa da alcune società dei gruppi Zunino e Risanamento fino al 21.12.2014 e rinuncia agli interessi maturati dopo il 30.6.2009, subordinando inoltre questa pattuizione all’integrale pagamento degli altri debiti delle società ricorrenti e delle loro controllate nei confronti dei terzi;
• la postergazione del pagamento dei crediti vantati da Xxxxx Xxxxxx, nei confronti di Xxxxxx Investimenti Italia e Xxxxxx, al pagamento dei creditori estranei, con facoltà dei liquidatori di chiedergli nel 2010, di rinunciare completamente ai predetti crediti;
• la messa a disposizione da parte della Banca Popolare, a favore delle tre società proponenti, della somma di venti milioni di euro, da destinare al pagamento dei creditori estranei all’accordo, e con la possibilità di rimborsare il capitale e gli interessi convenuti, in data successiva al 31.12.2004 e comunque prioritariamente rispetto agli altri crediti bancari non garantiti con ipoteche, oggetto della moratoria al 31.12.2004.
• la liquidazione dei patrimoni delle tre società ricorrenti, da destinare al pagamento di tutti i creditori;
• l’impegno da parte dei creditori aderenti a rimettere il debito e a non presentare istanze di fallimento, nell’ipotesi in cui il ricavato della liquidazione dei patrimoni delle tre società proponenti non fosse comunque sufficiente a soddisfare i loro crediti;
• l’obbligo delle società ricorrenti di provvedere al rimborso immediato di quanto dovuto ai creditori aderenti, nel caso in cui entro il 31.12.2014 la quotazione media di borsa delle azioni della Risanamento S.p.a. si dovesse collocare per un certo periodo oltre la media di due euro, salva la disponibilità dei tempi tecnici per procedere alla cessione delle partecipazioni detenute ed in ogni caso senza l’obbligo di procedere alla cessione delle partecipazioni detenute nella società Risanamento
S.p.a. , potendo reperire i fondi necessari al rimborso immediato presso soggetti terzi;
• l’impegno irrevocabile delle tre banche aderenti all’accordo “Sistema Holding”, unitamente a Monte Paschi Siena e a Banca Popolare di Milano, e dunque di tutte le banche aderenti all’ “Accordo Risanamento” a rivendere alle tre holding proponenti,
190 In particolare la Zunino Investimenti Italia detiene il 16,86%, Tradim il 18,32; e Nuova Parva il 37,77%.
191 Si tratta del Monte Pachi Siena S.p.a. e della Banca Popolare di Milano Soc. a.r.l..
a richiesta unilaterale delle stesse, le azioni acquistate in sede di sottoscrizione dell’aumento del capitale sociale della Risanamento S.p.a., allo stesso prezzo di sottoscrizione, maggiorato, di un tasso di rendimento annuo del dieci per cento.
Questo patto di opzione è efficace fino al 31.12.2012, e ne viene prevista l’esecuzione automatica, senza necessità di ulteriori manifestazioni di volontà da parte delle società proponenti, per l’ipotesi in cui le azioni della Risanamento S.p.a., raggiungessero una quotazione di borsa prestabilita, decrescente in base al trascorrere del tempo, ovvero in caso di offerta pubblica di acquisto totalitaria, superiore a determinate soglie, variabili in base all’epoca di riferimento.
Vengono previste inoltre:
• una moratoria fino al 31.12.2014, definita tra la Nuova Parva e la Cassa di Risparmio di Alessandria, in relazione a linee di credito assistite da garanzia ipotecaria;
• viene prevista inoltre la cessione alla Intek s.r.l., creditore di Nuova Parva, di tre unità immobiliari, con una conseguente riduzione dei debiti ipotecari.
B) Il caso GABETTI S.p.a.
Anche la ristrutturazione del gruppo Gabetti S.p.a192 è stata attuata ricorrendo all’utilizzo di accordi di ristrutturazione ex art. 182 bis, che hanno coinvolto più società del gruppo, le quali hanno depositato, ovviamente, distinti ricorsi per l’omologazione dei vari accordi, tra loro collegati.
Una particolarità è consistita nella circostanza che la relazione del professionista sulla fattibilità dell’accordo e sull’idoneità dello stesso ad assicurare il regolare pagamento dei creditori estranei è stata redatta unitariamente per l’intero gruppo, e il Tribunale ha ritenuto che ciò fosse opportuno, in quanto, il piano industriale strategico, costituente parte integrante dell’accordo, coinvolgeva, complessivamente, non solo la società capogruppo, ma in ragione dell’attività di direzione e coordinamento (art. 2497 cod. civ.) da questa esercitata, anche le società controllate o collegate.
Ciò ha fatto ritenere ai Giudici Ambrosiani che, nel caso in cui la ristrutturazione coinvolga più società appartenenti allo stesso gruppo, la relazione dell’esperto, possa essere opportunamente redatta in maniera unitaria e contenere valutazioni inerenti l’intero piano di riorganizzazione, le quali devono essere motivate in maniera coerente, sotto il profilo della ragionevole prospettiva di riuscita del piano medesimo, sia pure con diversi gradi di positività della prognosi, in relazione alle singole società del gruppo.
L’attività del gruppo Gabetti, si articola in quattro linee di attività, denominate rispettivamente Agency (intermediazione immobiliare), Finance (intermediazione di prodotti creditizi e brokeraggio assicurativo), Thecnical services (servizi tecnici e valutativi), ed infine Investment and property (attività di investimento, sviluppo, commercio e gestione di patrimoni immobiliari in Italia e all’estero).
192 Cfr. Trib. Milano, II Sez. Civ., 17 giugno 2009, Pres. Rel. X. Xxxxxxx, (decreto ex art. 182 bis), in, Dir. Fall, con nota di X. XXXXXXX, Interesse di gruppo e accordi di ristrutturazione, (in corso di pubblicazione)
Lo stato di crisi delle società del gruppo è stato determinato da uno stato di tensione finanziaria, derivante da un indebitamento di 231 milioni nei confronti delle banche, con uno sbilanciamento in relazione a crediti in scadenza nel breve termine, sicchè il consiglio d’amministrazione ha deliberato una sostanziale riorganizzazione del gruppo, nel perseguimento dei seguenti obbiettivi:
- riduzione dei costi, mediante la conversione integrale della rete diretta di intermediazione commerciale al dettaglio, nel modello del franchising immobiliare. In secondo luogo è stata decisa la riorganizzazione della rete Corporate (Intermediazione immobiliare rivolta alle imprese), attraverso la chiusura delle filiali meno efficienti;
- riequilibrio della situazione patrimoniale e finanziaria, mediante un finanziamento da parte dei soci, i quali hanno firmato lettere d’impegno con le quali hanno dichiarato di essere disponibili a trasformare i versamenti effettuati a titolo di finanziamento soci, in versamenti in conto futuro aumento capitale; alcuni di essi hanno poi assunto l’impegno di effettuare ulteriori versamenti, a tale titolo, fino all’intero importo dell’aumento del capitale.
Alla data del 31.12.2008, la capogruppo GABETTI PROPERTY SOLUTIONS S.p.a. aveva un indebitamento verso le banche di 94,6 milioni di euro, ed ha raggiunto con questi creditori e con altre società del gruppo Gabetti, anch’esse creditrici della holding, un accordo di ristrutturazione dei debiti ex art. 182 bis, nel quale è stata contemplata, tra l’altro, la ridefinizione degli aspetti economici e contrattuali dell’indebitamento finanziario della holding e di altre società del gruppo.
Nell’accordo è stato previsto inoltre:
- la revoca di un prestito obbligazionario convertibile;
- l’eliminazione del valore nominale delle azioni;
- la delibera della delega al consiglio d’amministrazione di approvare un aumento di capitale scindibile, con opzione a favore dei soci, per un importo complessivo compreso tra euro 25.136.170 ed euro 26.136.170 a un prezzo di emissione determinato sulla base della media ponderata delle quotazioni del titolo Gabetti dell’ultimo semestre antecedente alla data della delibera del consiglio d’amministrazione e con assegnazione di warrant in relazione alle azioni da emettere;
- un ulteriore aumento di capitale fino ad una massimo di 35 milioni di euro al servizio dei warrant;
- un ulteriore aumento di capitale a pagamento, scindibile, riservato alle Banche, per euro 25 milioni, mediante l’emissione di azioni, da liberarsi mediante compensazione con un uguale importo dei crediti vantati dalle banche.
C) Il caso I.R.M. S.r.l.
La Italian Road Machinery s.r.l., ha chiesto l’omologazione di accordi di ristrutturazione dei debiti ex art. 182 bis, conclusi con diciannove creditori193.
L’operazione si è caratterizzata per la circostanza che la ristrutturazione del debito è stata in realtà funzionale alla liquidazione società e non alla continuazione dell’attività. Il piano liquidatorio si è basato sulla stipulazione di un contratto di affitto d’azienda, in favore di un’altra società e sulla successiva vendita dell’azienda, in favore della
193 Cfr. Trib. Milano, 18 Luglio 2009, Sez. II Civile, Pres. X. Xxxxxxx, Rel. X. Xxxxxxxx (decreto ex art. 182 bis l. fall);
capogruppo dell’affittuaria; il ricavato della cessione è stato così destinato alla ristrutturazione del debito della società proponente.
Nel caso di specie, la società cessionaria non ha fornito alcuna garanzia per l’esecuzione degli impegni assunti con l’accordo, e il tribunale in mancanza di opposizioni da parte dei creditori, ha ritenuto che ciò non costituisse un ostacolo all’omologazione dell’accordo, in quanto, ogni creditore aderente, in caso di inadempimento dell’obbligato agli impegni assunti, ha comunque a disposizione lo strumento della risoluzione contrattuale per inadempimento disciplinata nel codice civile agli artt. 1453 e segg.
Tra le clausole più rilevanti degli accordi di ristrutturazione conclusi, si segnala il seguente pactum de non petendo:
<<Il creditore accetta la proposta e si impegna a non azionare i propri crediti fino alla pubblicazione del presente accordo, nel Registro delle Imprese, pubblicazione che la debitrice prevede di eseguire entro il 30.4.2009, contestualmente al deposito del ricorso per l’omologa dell’accordo presso la cancelleria del Tribunale di Milano>>.
L’efficacia di ogni accordo “individuale” di ristrutturazione del debito (art. 182 bis) è stata inoltre sottoposta alla duplice condizione dell’accettazione del piano da parte di un numero di venti creditori chirografari rappresentanti, complessivamente crediti per un importo superiore alla soglia minima del 60% prevista dall’art. 182 bis, nonché all’omologa da parte del Tribunale di Milano entro il 30.6.09194.
D) Il caso LA CASCINA.
Il nucleo dell’operazione di risanamento che ha coinvolto la società La Cascina Soc. Coop. S.p.a.195, è rappresentato dalla ristrutturazione del debito fiscale della società, mediante lo strumento della transazione fiscale (art. 182 ter l. fall.), conclusa nell’ambito delle trattative che precedono la stipula dell’ accordo di ristrutturazione dei debiti (art. 182 ter comma VI).
La società La Cascina Soc. Coop. S.p.a., è uno degli operatori più importanti nel settore della ristorazione collettiva nel settore aziendale, scolastico e sanitario, e svolge la sua attività, direttamente o tramite società controllate.
Lo stato di crisi è stato determinato, in gran parte, dai ritardi dei pagamenti da parte della Pubblica Amministrazione, oltre che dall’aumento dei costi di produzione.
Pertanto, nonostante un andamento imprenditoriale positivo ed in continua espansione, lo sbilanciamento, tra il momento di esecuzione delle prestazioni e i tempi di riscossione del corrispettivo ha determinato un’ erosione delle risorse finanziarie della società, imponendone il riequilibrio, attraverso una riorganizzazione delle modalità operative, ed un accordo transattivo (artt. 182 ter e 182 bis l. fall.) con il maggior creditore, rappresentato dall’Agenzia delle Entrate.
194 Il ricorso era stato depositato in data 13 maggio 2009.
Quest’ultima infatti vantava nei confronti della Cascina Soc. Coop. S.p.a. crediti per un importo superiore al 60% previsto dall’art. 182 bis l.f. e precisamente pari al 61,39% dei debiti della ricorrente, per un importo complessivo di € 70.597.203,00.
In applicazione del disposto degli articoli 182 ter e 182 bis l. fall., l’Agenzia delle Entrate ha consentito alla società ricorrente di provvedere all’estinzione dei debiti con il pagamento di tutte le imposte derivanti, dalla riliquidazione delle dichiarazioni e degli accertamenti, nonché dei tributi in contenzioso, nella misura del 50% con primo grado di giudizio favorevole alla società, e del 30% con secondo grado di giudizio favorevole alla società, oltre al 10% del totale degli interessi dovuti, con rinunzia agli interessi di mora maturati e maturandi sui debiti iscritti a ruolo e portati dalle cartelle di pagamento già notificate alla data dell’accordo e su quelli che, facendo parte del medesimo accordo, sarebbero stati successivamente iscritti a ruolo e notificati alla società per mezzo delle cartelle di pagamento.
In base a questi criteri sono state individuate le seguenti somme da pagare: Ritenute Irpef per complessive € 14.906.894,00;
Iva per complessivi € 27.849.859,00 Irpeg/Ires/Ilor per complessive € 605.494,00 Irap per complessive € 10.752.403,00 Condono per complessive € 185.570,00 Altri tributi per complessivi € 352.740,00
Interessi per complessivi € 549.566,00 calcolati sul totale degli interessi dovuti, arrivando così ad una somma residua complessiva di € 55.202.526,00 maggiorata degli interessi per rateazione calcolati nella misura del saggio legale e delle sue variazioni, e dell’aggio e delle altre spese dovute all’Agente della Riscossione, previste a carico della Società, secondo i seguenti termini e modalità:
a) pagamento di € 2.500.000,00 entro quindici giorni dalla data di efficacia del decreto di omologa ai sensi dell’art. 182 bis;
b) numero due versamenti annuali di € 2.500.000,00 cadauno da effettuare entro il 15 Giugno dell’anno 2010 e dell’anno 2011;
c) numero di quindici versamenti annuali secondo il piano di ammortamento.
E’ stato così previsto un pagamento dilazionato del debito erariale in complessivi diciotto anni.
Di tali somme viene prevista un’imputazione in conformità a quanto previsto dall’art. 31 del D.P.R. 29 settembre 1973 n. 602.
Alla prima rata è stato imputato il pagamento delle somme iscritte a ruolo a fronte di rate non versate per istanze di condono ex art. 8 e 9 L. 289/2002, oltre che il 10% degli interessi, calcolati sul totale degli interessi dovuti e iscritti a ruolo, nonché l’aggio dovuto al concessionario della riscossione, sulle somma già iscritte o da iscrivere a ruolo.
A garanzia dell’adempimento di quanto previsto nell’accordo ex artt. 182 bis e 182 ter l. fall., la Società ha rilasciato ipoteca su alcuni immobili di sua proprietà, nonché fideiussione di due società controllate.
La Società e L’Agenzia si sono impegnate con la sottoscrizione dell’accordo a rinunciare a tutti i procedimenti contenziosi in essere, e a quelli ad essi connessi, obbligandosi a compiere tutti i relativi adempimenti processuali entro il termine di