SOMMARIO
■ OPINIONI
IL RESPONSABILE DEL PROCEDIMENTO DI RILASCIO DELLA CONCESSIONE EDILIZIA
di Rosanna De Nictolis 933
LA RIFORMA DELL’ARBITRATO DELLE OPERE PUBBLICHE
di Xxxxxxx Xxxxxxxx 945
■ NORMATIVA
NOVITA` NORMATIVE
a cura di Xxxxxxxxxx Xxxxxx 963
OSSERVATORIO DELL’AUTORITA` PER LA VIGILANZA SUI LAVORI PUBBLICI
a cura di Xxxxxx Xxxxx e Xxxxxxx Xxxxxx 967
■ GIURISPRUDENZA Corte CE
LA CORTE DI GIUSTIZIA CONFERMA L’ESTRANEITA` DELL’ENTE FIERA DALLA NOZIONE DI ORGANISMO DI DIRITTO PUBBLICO
Corte CE, 10 maggio 2001, C-223/99 e C-260/99 977
il commento di Xxxxxxx Xxxxxx 981
Costituzionale
OSSERVATORIO
a cura di Xxxxx Xxxxxx Xxxxxxxxxx 987
Civile
LA SUPREMA CORTE A TUTTO CAMPO SULL’INDENNITA` DI ESPROPRIO
Cass., Sez. Un., 23 aprile 2001, n. 173 990
Cass., Sez. Un., 23 aprile 2001, n. 172 992
Cass., Sez. Un., 21 marzo 2001, n. 125 995
il commento di Xxxxxx Xxxxxxxx 998
OSSERVATORIO
a cura di Xxxxxxxx Xx Xxxxx 1005
Amministrativa
IL CONSIGLIO DI STATO E LA NUOVA GIURISDIZIONE DEL G.A.
Consiglio di Stato, sez. V, 31 gennaio 2001, n. 354 1009
il commento di Xxxx Xx Xxxxx 1011
LA SCELTA DEL CONCESSIONARIO DI PUBBLICO SERVIZIO TRA AFFIDAMENTO «INTUITU PERSONAE» E PROCEDURA AD EVIDENZA PUBBLICA
Consiglio di Stato, sez. VI, 6 settembre 2000, n. 4688 1016
il commento di Xxxxxxxxx Xxxxxxxxxx e Xxxxxxx Xxxxxxx 1020
URBANISTICA E APPALTI N. 9/2001
931
AMBITO DI OPERATIVITA` DELLE SOCIETA` MISTE
T.A.R. Toscana, sez. I, 15 gennaio 2001, n. 24 1029
nota di Xxxxxxxx Xxxxxxxxxxx 1030
OSSERVATORIO
a cura di Xxxxxxxxx Xxxxxxxxxx e Xxxxxx Xxxxxxx 1031
Penale
OSSERVATORIO
a cura di Xxxx Xxxxxx 1039
■ INDICI
Indice degli autori 1041
Indice cronologico 1041
Indice analitico 1041
MENSILE DI NORMATIVA, GIURISPRUDENZA PRASSI E OPINIONI
REDAZIONE
Per informazioni in merito
a contributi, articoli ed argomenti trattati scrivere o telefonare a:
IPSOA Redazione
Casella Postale 12055 - 00000 Xxxxxx
AMMINISTRAZIONE
Per informazioni su gestione abbonamenti, numeri arretrati, cambi d’indirizzo, ecc.
scrivere o telefonare a:
IPSOA Servizio Clienti
Xxxxxxx xxxxxxx 00000 – 00000 Xxxxxx
telefono (02) 824761 – telefax (00) 00000.000 Servizio risposta automatica:
telefono (00) 00000.000 – telefax (00) 00000.000 telefono (00) 00000.000
EDITRICE
Ipsoa Editore s.r.l. Xxxxxx 0, Xxxxxxx X0
00000 Xxxxxxxxxxx Xxxxxx (XX)
INDIRIZZO INTERNET
DIRETTORE RESPONSABILE
RESPONSABILI DI SETTORE
Diritto costituzionale: Xxxxx Xxxxxx Xxxxxxxxxx Diritto civile: Xxxxxxx Xxxxx, Xxxxxxxx Xx Xxxxxxxxx, Xxxxxxxx Xx Xxxxx, Xxxxxxxx Xxxxxxxxx Diritto penale: Xxxx Xxxxxx
Diritto amministrativo:
— Edilizia e Urbanistica: Xxxxx Xxxxxxx, Xxxxxxxxx Xxxxxxxxx, Xxxxxx Xxxxxx
— Appalti pubblici: Xxxxxxx Xxxxxxx, Xxxxxxx Xxxxxxx, Xxxxxxx Xxxxxxxx, Xxxxx Xxxxxx, Xxxxxxx Xxxxxx
— Espropriazione: Xxxxx Xxxxxxxxxx Xxxxxxx
— Ambiente: Xxxxxxx Xxxxxxx, Xxxxxxxx Xxxxxxxxxx
— Illeciti edilizi: Xxxxxxx Xxxxxx, Xxxxxxx Xxxxxxx
— Processo Amministrativo. Xxxxx Xxxxxxxx Diritto comunitario: Xxxxxx Xxxxxxxxx, Xxxxxxx Xxxxxxx
Diritto tributario: Xxxxxxx Xxxxx
Xxxxxxxxx Xxxx
REDAZIONE
Xxxxx Xxxxxx Xxxxxxxx (x.xxxxxxxx@xxxxx.xx) Xxxxxx Xxxxxxx (x.xxxxxxx@xxxxx.xx)
REALIZZAZIONE GRAFICA
Ipsoa Editore s.r.l.
FOTOCOMPOSIZIONE
ABCompos s.r.l.
20090 Rozzano - Via Pavese, 1/3 - Tel. 02/00000000
STAMPA
GECA s.p.a. - Xxx Xxxxxxxxx, 00 00000 Xxxxxx Xxxxxxx (XX)
PUBBLICITA`:
db communication s.r.l.
via Xxxxxxxx Xxxxxxxxxx 000 00000 Varese
tel. 0332/282160 fax 0332/282483
e-mail: xxxx@xxxxxx.xx xxx.xxxxxx.xx
Autorizzazione del Tribunale di Milano n. 686 del 18 dicembre 1996
Spedizione in abbonamento postale
45% art. 2 comma 20/B legge 000/00 - Xxxxxxx xx Xxxxxx Iscritta nel Registro Nazionale della Stampa
con il n. 3353 vol. 34 Foglio 417
in data 31 luglio 1991
ABBONAMENTI
Gli abbonamenti hanno durata annuale e si intendono confermati per l’anno successivo se non disdettati entro la scadenza a mezzo semplice lettera.
ITALIA
Abbonamento annuale 2001: L. 257.000 (E 132.73)
ESTERO
Abbonamento annuale 2001: L. 514.000 (E 265.46) MODALITA` DI PAGAMENTO
— Versare l’importo sul C/C/P n. 583203 intestato a
Ipsoa Editore Srl - Strada 1, Palazzo F6, Milanofiori oppure
— Inviare assegno bancario/circolare non trasferibile intestato a Ipsoa Editore srl. Indicare nella causale del versamento il titolo della rivista e l’anno di abbonamento
Prezzo copia: L. 22.000 (E 11,36)
`E disponibile l’annata arretrata rilegata al prezzo di L.
230.000 (E 118,79)
DISTRIBUZIONE
Vendita esclusiva per abbonamento
Il corrispettivo per l’abbonamento a questo periodico
`e comprensivo dell’IVA assolta dall’editore ai sensi e per gli effetti del combinato disposto dell’art. 74
del D.P.R. 26/10/1972, n. 633 e del D.M.29/12/1989
e successive modificazioni e integrazioni.
Egregio abbonato,
ai sensi dell’art. 10 della legge n. 675/1996 La informiamo che i Suoi dati sono conservati nel nostro archivio informa- tico e saranno utilizzati dalla nostra societa` nonche´ da enti e societa` esterne ad essa collegate, solo per l’invio di materiale amministrativo, commerciale e promozionale derivante dal- la ns. attivita`.
La informiamo inoltre che ai sensi dell’art. 13della legge, Lei ha il diritto di conoscere, aggiornare, cancellare, rettificare i Suoi dati o opporsi all’utilizzo degli stessi, se trattati in viola- zione della legge.
932 URBANISTICA E APPALTI N. 9/2001
Il responsabile del procedimento
di rilascio della concessione edilizia
di XXXXXXX XX XXXXXXXX
Il responsabile del procedimento di rilascio della concessione edilizia assume, nella disciplina positiva, un ruolo centrale, sia sotto il profilo del coordinamento degli altri organi e uffici, sia sotto il profilo del- la valutazione tecnico - urbanistica, tanto da aver determinato, anche a livello di opzione legislativa, l’e- clissi della commissione edilizia.
L
a disciplina del responsabile del procedimento di rilascio della concessione edilizia e` contenuta nell’art. 4, D.L. 5 ottobre 1993, n. 398, conver-
xxxx nella legge 4 dicembre 1993, n. 493, come sostitui- to dall’art. 2, comma 60, legge 23 dicembre 1996, n.
662 (1).
Tale disciplina verra` trasfusa, con talune modifiche, nel testo unico dell’edilizia, in corso di approvazione, all’art. 20.
Si esaminera` pertanto la disciplina vigente, e si indiche- ranno le modifiche apportate in sede di bozza di testo unico.
L’art. 4, comma 1, D.L. n. 398 del 1993, stabilisce che al momento della presentazione della domanda di con- cessione edilizia, l’ufficio abilitato a riceverla comunica all’interessato il nominativo del responsabile del proce- dimento (2), di cui agli articoli 4 e 5, legge n. 241 del 1990, e che l’esame delle domande si svolge secondo l’ordine di presentazione.
I commi 2 e 3 indicano i compiti del responsabile del procedimento, che possono schematizzarsi come segue.
– formula una proposta finale motivata all’autorita` competente all’emanazione del provvedimento conclu- sivo, entro dieci giorni dalla scadenza del termine per l’istruttoria;
– entro il termine assegnatogli, chiede altres`ı il parere della commissione edilizia, nei casi in cui detto parere e` obbligatorio, secondo il regolamento edilizio comu- nale; qualora la commissione edilizia non si esprima nel termine predetto, il responsabile del procedimento e` tenuto comunque a formulare la proposta finale mo- tivata, e redige una relazione scritta al sindaco, indi- cando i motivi per i quali il termine non e` stato rispet- tato;
– la concessione edilizia viene rilasciata entro quindici giorni dalla scadenza del termine di cui all’art. 4, com- ma 2, qualora il progetto presentato non sia in contra- sto con le prescrizioni degli strumenti urbanistici ed edi- lizi e con le altre norme che regolano lo svolgimento dell’attivita` edilizia (art. 4, comma 4).
Il responsabile del procedimento:
– entro sessanta giorni dalla presentazione della doman- da, cura l’istruttoria;
– eventualmente convoca una conferenza di servizi, ai sensi e per gli effetti dell’art. 14, legge n. 241 del 1990, e successive modificazioni;
– redige una dettagliata relazione contenente la qualifi- cazione tecnico-giuridica dell’intervento richiesto;
– indica nella medesima relazione la propria valutazio- ne sulla conformita` del progetto alle prescrizioni urbani- stiche ed edilizie;
– puo` chiedere all’interessato integrazioni documentali; in tal caso il termine di sessanta giorni viene interrotto, una sola volta, purche´ la richiesta di integrazioni sia ri- volta dal responsabile del procedimento all’interessato entro quindici giorni dalla presentazione della domanda; il termine interrotto decorre nuovamente per intero dal- la data della presentazione della documentazione inte- grativa;
Note:
(1) Sul procedimento di rilascio della concessione edilizia di cui all’art. 4, D.L. n. 398 del 1993, x. Xxxxxxx, Prime riflessioni sulla legge 4 dicembre 1993 n. 493: sempre piu` complicato il rilascio di concessioni edilizie, in Cons. Stato, 1994, II, 521; Xxxxxx Xxxxxxx, La concessione edilizia - Dal vecchio al nuovo, in Riv. Amm., 1997, 5 ss.; Xxxxxxxxx, La concessione edilizia - Il nuovo procedimento, ivi, 7 ss.; Sardos Albertini - Coronin, La concessione edilizia - Il rilascio, ivi, 13 ss.; Gaz, La concessione edilizia - Il parere della commissione edilizia comunale, ivi, 37 ss.; Xxxxxxx, La conces- sione edilizia - Il silenzio nel procedimento di formazione della concessione, ivi, 47 ss., Xxxxxxx, La concessione edilizia - Il commissario ad acta: una figu- ra mista di pubblico-privato, ivi, 53 ss.; Xxxxxxx, La concessione edilizia - Le opere pubbliche comunali, ivi, 63 ss.; Falcone, voce Concessione edilizia, in Falcone e Mele (a cura di), Urbanistica e appalti nella giurisprudenza, Torino, 2000, 428 ss.
(2) Sul responsabile del procedimento di rilascio della concessione xxxxx- xxx, v. Modesti, Rilascio di concessioni edilizie - procedure ex art. 4 legge n. 493/93: riflessioni e proposte per una ridefinizione legislativa dell’attivita` del re- sponsabile del procedimento e della durata dei termini dell’istruttoria, in Nuova Rass., 1995, 1115 ss.; Xxxxxxxxxxxxx, La concessione edilizia - Gli adempimen- ti del «responsabile del procedimento» di rilascio, in Riv. Amm., 1997, 33 ss.; Xxxxxxx, op. cit., 430 ss.
URBANISTICA E APPALTI 9/2001
933
’L
La scelta e la comunicazione del nominativo del responsabile del procedimento
art. 4, comma 1, D.L. n. 398 del 1993 affida al- l’ufficio abilitato a ricevere la domanda di con- cessione edilizia il compito di comunicare al ri-
chiedente il nominativo del responsabile del procedi- mento, nello stesso momento in cui la domanda viene presentata.
La norma suscita dubbi esegetici in ordine a:
1. individuazione dell’ufficio che comunica il nominati- vo del responsabile del procedimento;
2. contestualita` tra ricezione della domanda di conces- sione edilizia e comunicazione del nominativo del re- sponsabile del procedimento;
3. individuazione dell’organo competente a scegliere il responsabile del procedimento;
4. criterio di scelta del responsabile e mancata designa- zione;
5. destinatario della comunicazione.
Sub 1. Quanto all’individuazione dell’ufficio abilitato a ricevere la domanda di concessione edilizia, in giurispru- denza si e` affermato che si tratta dell’ufficio che proto- colla per ricevimento la domanda medesima (3).
Tuttavia deve ritenersi che non si tratta dell’ufficio pro- tocollo generale del Comune (cioe` quello che riceve in- distintamente tutti gli atti, in tutte le materie di compe- tenza comunale), perche´ tale ufficio non e` attrezzato per individuare le specifiche istanze di concessione edilizia e procedere al successivo adempimento dell’immediata comunicazione del nominativo del responsabile del pro- cedimento. Deve ritenersi che si tratta, invece, dell’uffi- cio specificamente competente a istruire le istanze di concessione edilizia, eventualmente dopo che le stesse siano passate per il protocollo generale.
Alla luce degli artt. 4 e 5, legge n. 241 del 1990, si trat- tera` dell’unita` organizzativa responsabile del procedi- mento concessorio.
Siffatta soluzione esegetica trova conferma de jure con- dendo, nella bozza di testo unico dell’edilizia, che all’art. 4 istituisce lo sportello unico dell’edilizia. Si prevede, in particolare, che i Comuni, anche in forma associata, co- stituiscono un ufficio denominato sportello unico dell’e- dilizia, deputato, tra l’altro, alla ricezione delle domande di concessione edilizia.
Viene positivamente confermata, dunque, la necessita` che la domanda di concessione edilizia sia presentata al- l’ufficio che assume il conseguente onere di comunica- zione del nominativo del responsabile del procedimen- to, che non puo` che essere un ufficio specificamente competente, e non quello del protocollo generale.
Sub 2 e 3. Quanto al momento della comunicazione del nominativo del responsabile, la norma in commen- to sembra istituire una contestualita` - a fini acceleratori
- tra ricezione dell’istanza di concessione e comunicazio- ne del nominativo.
Siffatta contestualita` pone pero` problemi organizzativi, ove si consideri che l’impiegato deputato a ricevere le
domande di concessione edilizia e a comunicare il no- minativo del responsabile non e` il dirigente dell’ufficio, a sua volta competente a scegliere il responsabile del procedimento cui affidare l’affare.
Se l’istanza di concessione edilizia viene presentata di- rettamente all’ufficio, si puo` ipotizzare che al richiedente viene rilasciata una ricevuta mediante un modulo a stampa su cui e` apposto il nominativo del responsabile. Se l’istanza di concessione edilizia viene presentata a mezzo posta, del pari per posta dovra` essere comunicato il nominativo del responsabile.
Quanto all’organo competente a designare il responsabi- le del procedimento, nulla dice l’art. 4 in commento, che si limita a stabilire che il nominativo di quest’ulti- mo va comunicato all’interessato.
Supplisce la disciplina generale in tema di procedimen- to amministrativo contenuta negli articoli 4 e 5, legge
n. 241 del 1990, che sono espressamente richiamati dal- l’art. 4, D.L. n. 398 del 1993.
Secondo l’art. 4, legge n. 241 del 1990, le pubbliche amministrazioni sono tenute a determinare, per ciascun tipo di procedimento, l’unita` organizzativa responsabile dell’istruttoria e di ogni altro adempimento procedimen- tale, nonche´ dell’adozione del provvedimento finale.
Secondo l’art. 5, legge n. 241 del 1990, il dirigente di ciascuna unita` organizzativa provvede ad assegnare a se´ o ad altro dipendente addetto all’unita` organizzativa la responsabilita` dell’istruttoria e di ogni altro adempimen- to inerente il singolo procedimento, nonche´, eventual- mente, dell’adozione del provvedimento finale.
Prosegue l’art. 5, legge n. 241 del 1990, fino a quando non e` effettuata l’assegnazione, e` considerato responsa- bile del singolo procedimento il funzionario preposto al- l’unita` organizzativa.
Dal coordinamento degli articoli 4 e 5, legge n. 241 del 1990 con l’art. 4, D.L. n. 398 del 1993, si desume che:
– l’ufficio abilitato a ricevere la domanda di concessio- ne edilizia si identifica con l’unita` organizzativa prepo- sta, nell’ambito di ciascun Comune, all’istruttoria e rila- scio della concessione;
– detta unita` comunica al richiedente il nominativo del responsabile del procedimento: operativamente, l’o- nere di comunicazione grava sull’impiegato specifica- mente addetto a ricevere e protocollare la domanda di concessione, e a rilasciare ricevuta della sua presentazio- ne;
– l’impiegato addetto al protocollo si limita a comuni- care il nominativo del responsabile, ma non lo sceglie;
– la designazione del responsabile del procedimento compete invece al dirigente dell’unita` organizzativa.
Posto che, da un lato, la scelta del responsabile del pro- cedimento compete al dirigente dell’ufficio, e che, dal- l’altro lato, la comunicazione del relativo nominativo
Nota:
(3) T.A.R. Valle d’Aosta, 21 marzo 1998, n. 46.
934 URBANISTICA E APPALTI 9/2001
deve essere contestuale al ricevimento della domanda di concessione, ne consegue che occorre anche assicura- re la contestualita` tra designazione del responsabile, e comunicazione del relativo nominativo.
Operativamente, tale contestualita` potra` essere realizza- ta, alternativamente:
1) con un metodo empirico e contingente, per cui di volta in volta, al momento della presentazione delle do- mande di concessione, l’impiegato addetto al ricevimen- to le rivolge al dirigente dell’ufficio, affinche´ questo de- signi il responsabile: siffatto meccanismo si attaglia a Comuni di modeste dimensioni;
2) con un metodo automatico e predeterminato: me- diante la predisposizione, a cura del dirigente dell’uffi- cio, di un elenco di funzionari che possono essere desi- gnati come responsabile del procedimento, elenco a cui attinge di volta in volta, con il criterio della rotazione, l’impiegato cui compete la comunicazione del nomina- tivo del responsabile: siffatto meccanismo si adatta an- che a Comuni di notevoli dimensioni, e consente di ri- spettare la lettera della legge, che impone la contestuali- ta` tra la ricezione della domanda di concessione edilizia e la comunicazione del nominativo del responsabile. Tuttavia, va osservato che tale metodo automatico, se pure non si traduce in una vera e propria delega del po- tere di scelta del responsabile dal dirigente all’impiegato del protocollo, comunque si puo` prestare ad elusioni e alla possibilita` che, di fatto, sia l’addetto al protocollo a scegliere il responsabile del procedimento. Non senza considerare che nei casi di concessioni per interventi edilizi di particolare importanza o impatto, potrebbe es- sere opportuno che la scelta del responsabile del proce- dimento sia fatta di volta in volta dal capo dell’ufficio, in funzione della complessita` dell’affare, della specifica competenza tecnica e attitudine del dipendente da desi- gnare come responsabile, del carico di lavoro di ciascun dipendente.
In considerazione di tali esigenze, si potrebbe allora forse forzare leggermente il dato normativo, e ipotizzare che: se l’istanza di concessione edilizia e` presentata dall’inte- ressato personalmente, l’addetto al protocollo la rivolge al dirigente dell’ufficio, affinche´ designi immediatamen- te il responsabile;
se l’istanza di concessione perviene all’ufficio a mezzo posta, allora il «momento» della ricezione potrebbe es- sere inteso come «giorno» del ricevimento, sicche´ tutte le istanze del giorno vengono presentate al dirigente af- finche´ designi per ciascuna il relativo responsabile.
Siffatti problemi esegetici sono spazzati via dalla bozza di testo unico dell’edilizia, che all’art. 20 abolisce la contestualita` tra ricezione della domanda di concessione e comunicazione del nominativo del responsabile (con- testualita` che nella relazione governativa di accompa- gnamento al disegno di testo unico viene definita «im- probabile»), stabilendo che lo sportello unico dell’edili- zia comunica al richiedente la concessione il nominati-
vo del responsabile del procedimento entro dieci giorni dalla ricezione della domanda.
Permane peraltro un problema di raccordo tra responsa- bile dello sportello unico edilizia, responsabile del proce- dimento concessorio, e responsabile dell’atto finale, co- me sottolineato dal Consiglio di Stato in sede di parere sulla bozza di testo unico.
Sub 4. Quanto al criterio di scelta del responsabile del procedimento concessorio, puo` essere utilmente ricorda- ta la giurisprudenza del Consiglio di Stato secondo cui, stante il tecnicismo della materia e delle attivita` del re- sponsabile, occorre che il dipendente designato come tale sia munito delle necessaria qualificazione professio- nale, e rivesta una qualifica che consenta l’attribuzione di tale incarico (4).
Nel caso di mancata designazione del responsabile del procedimento, trova applicazione il criterio suppletivo legale di cui all’art. 5, legge n. 241 del 1990, in virtu` del quale e` considerato responsabile il dirigente dell’uffi- cio (5).
Secondo un’opinione giurisprudenziale la mancata co- municazione del nominativo del responsabile del proce- dimento ai sensi dell’art. 4, D.L. n. 398 del 1993, sareb- be motivo di illegittimita` del provvedimento finale, per violazione di legge (6).
Tuttavia, posto che in base alla legge n. 241 del 1990, in caso di mancata designazione del responsabile del procedimento, si considera tale il dirigente dell’ufficio, occorre distinguere tra mancata designazione del re- sponsabile, e mancata comunicazione all’interessato del nominativo del responsabile, comunque designato.
Nel caso di mancata designazione, supplisce il criterio legale, per cui e` considerato responsabile il capo dell’uf- ficio: l’interessato e` sufficientemente tutelato, perche´ confida di avere come interlocutore il dirigente dell’uffi- cio.
Nel caso, invece, di mancata comunicazione del respon- sabile designato in persona diversa dal dirigente, l’inte- ressato non e` posto in condizione di interloquire con il responsabile, sicche´ si verifica una specifica violazione di legge, con conseguente illegittimita` del provvedimen- to finale.
Sub 5. Quanto ai destinatari della comunicazione del nominativo del responsabile del procedimento, l’art. 4,
D.L. n. 398 del 1993 prevede che la comunicazione va- da fatta «all’interessato», vale a dire al richiedente la concessione edilizia.
Alla luce degli artt. 7 e 8, legge n. 241 del 1990, in ba-
Note:
(4) Cons. Stato, comm. spec., 21 aprile 1997, n. 74, in Cons. Stato, 1999, I, 1065.
(5) Cons. Stato, sez. VI, 6 maggio 1999, n. 597, in Cons. Stato, 1999, I, 909; Cons. Stato, sez. VI, 14 aprile 1999, n. 433, in Cons. Stato, 1999, I, 671.
(6) Cons. Stato, sez. II, 8 marzo 1995, n. 2532, in Cons. Stato, 1996, I, 116.
URBANISTICA E APPALTI 9/2001
935
se ai quali l’avviso di avvio del procedimento va comu- nicato anche ai soggetti individuati o facilmente indivi- duabili a cui puo` derivare un pregiudizio dall’adottando provvedimento, ci si chiede se l’avvio del procedimento di rilascio di concessione edilizia vada o meno comuni- cato a eventuali controinteressati.
Ove i controinteressati fossero individuati o facilmente individuabili, non potrebbe essere negata la necessita` di comunicare anche ad essi l’avvio del procedimento e dunque il nominativo del responsabile.
Tuttavia la giurisprudenza del Consiglio di Stato ha os- servato che nel procedimento di rilascio della concessio- ne edilizia, stante l’ampiezza ed eterogeneita` degli inte- ressi suscettibili di incisione per effetto del rilascio della concessione medesima, i controinteressati non sono in- dividuati o facilmente individuabili, con la conseguenza che l’amministrazione comunale non ha l’obbligo di co- municare l’avvio del procedimento ai terzi, anche se confinanti e dunque in ipotesi legittimati a impugnare la concessione, ove rilasciata (7).
Siffatta soluzione e` condivisibile in linea di principio,
ma vanno fatti salvi gli specifici casi concreti in cui vi siano controinteressati chiaramente individuati o facil- mente individuabili.
’L
L’ambito applicativo dell’istituto del responsabile del procedimento concessorio
art. 4, D.L. n. 398 del 1993 si limita a stabilire che il responsabile del procedimento va comu- nicato al momento della presentazione della
domanda di concessione.
E` da ritenere che l’art. 4 in commento delinei in termi-
ni generali il procedimento concessorio, che puo` poi su- bire deroghe o integrazioni per taluni speciali titoli con- cessori.
Si deve conseguentemente ritenere che il responsabile del procedimento va designato in caso di:
– concessione edilizia ordinaria;
– concessione edilizia in deroga: de xxxx xxxxxxxx, la bozza di testo unico dell’edilizia lo dice espressamente all’art. 21;
– concessione edilizia in sanatoria.
Problematica e` l’ipotesi di rilascio di concessione edilizia ordinaria ad opera del commissario ad acta, in caso di inerzia del Comune (art. 4, comma 6, D.L. n. 398 del 1993). Dispone, infatti, l’art. 4, comma 6, che in caso di inerzia del Comune, a termini scaduti e dopo rituale diffida, l’interessato puo` rivolgersi al Presidente della Giunta regionale che, nell’esercizio dei poteri sostitutivi, nomina entro quindici giorni un commissario ad acta, che entro i successivi trenta giorni adotta il provvedi- mento finale, che ha i medesimi effetti della concessio- ne edilizia.
vo sia comunicato all’interessato. L’omessa comunica- zione determina l’illegittimita` del procedimento, perche´ l’interessato non e` posto in grado di colloquiare con la parte pubblica. La relativa illegittimita` verra` dedotta (recte: ci sara` l’interesse a dedurla) nel caso di diniego della concessione.
Altra questione e` se occorra o meno la nomina del re- sponsabile del procedimento per titoli edilizi diversi dal- la concessione, e, in particolare, per il caso di interventi soggetti ad autorizzazione e per il caso di interventi sog- getti a D.I.A. (denuncia di inizio attivita`).
Sebbene sul punto l’art. 4 in commento taccia, e` da ri- tenere che la necessita` di designazione del responsabile del procedimento anche in tali ipotesi, discenda diretta- mente dalla legge n. 241 del 1990.
Va precisato che in caso di D.I.A., a rigore l’ammini- strazione non deve adottare nessun provvedimento, e dunque si potrebbe pensare che non vi e` neppure, a monte, un procedimento, e dunque la necessita` di no- mina di un responsabile. Tuttavia, l’amministrazione e` tenuta pur sempre a controllare la sussistenza dei pre- supposti per la D.I.A.: tanto che l’art. 4, comma 15,
D.L. n. 398 del 1993 prevede che, in difetto dei presup- posti della D.I.A., il sindaco notifichi diffida a non ef- fettuare l’intervento (anche l’art. 19, legge n. 241 del 1990, stabilisce in termini generali, in caso di interventi soggetti a denuncia di inizio attivita`, che l’amministra- zione deve verificare d’ufficio, entro e non oltre sessanta giorni dalla D.I.A., la sussistenza dei presupposti e requi- siti e disporre, se del caso, il divieto di prosecuzione del- l’attivita`). Il che presuppone, a monte, un procedimen- to di controllo, con conseguente designazione e comu- nicazione del relativo responsabile.
D
L’esame delle domande di concessione edilizia secondo l’ordine di presentazione
ispone l’art. 4, comma 1, D.L. n. 398 del 1993 che «l’esame delle domande si svolge secondo l’ordine di presentazione».
L’unico criterio di priorita` e` dunque l’ordine di presen- tazione, non invece la maggiore o minore importanza dell’intervento edilizio, la maggiore o minore urgenza dello stesso.
Il criterio cronologico soddisfa i principi di imparzialita` dell’amministrazione e di parita` di trattamento dei citta- dini.
Nell’esegesi del dato normativo, si deve ritenere che
«ordine di presentazione» significhi «ordine di assunzio- ne al protocollo».
La norma in commento e` collocata nel comma 1 e non nel comma 2 dell’art. 4 in commento, vale a dire nel comma relativo alla comunicazione del nominativo del
In tale ipotesi, e` da ritenere che il responsabile del pro-
cedimento si identifichi con il commissario ad acta, sic- che´ il presidente della giunta regionale, che provvede alla sua nomina, deve disporre che il relativo nominati-
Nota:
(7) Cons. Stato, sez. V, 15 settembre 1999, n. 1197, in questa Rivista, 1999, 1208; Gazz. Giur., 1999, fasc. 45, 103.
936 URBANISTICA E APPALTI 9/2001
responsabile del procedimento, e non nel comma relati- vo ai compiti del responsabile.
La collocazione sistematica della norma induce a ritene- re che il criterio dell’ordine di presentazione debba esse- re seguito sia in sede di designazione e comunicazione del nominativo del responsabile del procedimento, sia in sede di istruttoria delle pratiche da parte del respon- sabile medesimo.
A tale risultato ermeneutico si perviene ove si consideri che:
1. la norma parla di «esame» delle domande: e l’esame e` sia quello preliminare e formale, effettuato al fine del- la designazione del responsabile, sia quello sostanziale che viene effettuato in sede di istruttoria;
2. il criterio dell’ordine cronologico e` inserito nel com- ma 1 dopo la norma che impone la comunicazione del nominativo del responsabile del procedimento: si riferi- sce percio` sia alla designazione e comunicazione del re- sponsabile, sia ai successivi adempimenti che competo- no a quest’ultimo;
3. per il compimento dell’istruttoria, il responsabile di- spone di sessanta giorni: e poiche´ i sessanta giorni de- corrono dalla data di presentazione della domanda, cio` impone il necessario rispetto dell’ordine di presentazio- ne.
Va tuttavia rilevato che il puntuale rispetto dell’ordine di presentazione non puo` essere sempre, in concreto, ga- rantito, per quel che riguarda la conclusione dei proce- dimenti, sicche´ e` sufficiente, per il rispetto della norma, che il criterio cronologico sia seguito nell’esame delle domande, ma non anche nella conclusione dei rispetti- vi procedimenti: il che risponde, del resto, allo stesso dato letterale, che impone il criterio cronologico solo per l’esame delle domande, non anche per l’adozione dei relativi atti finali.
E, invero, da un lato, nei Comuni di maggiori dimen- sioni, vi saranno una pluralita` di responsabili, sicche´ i procedimenti concessori potranno avere durata maggio- re o minore in funzione della minore o maggiore xxxxx- zia del singolo funzionario; dall’altro lato, anche nel- l’ambito di pratiche affidate al medesimo responsabile, vi potranno essere quelle che, ancorche´ pervenute in un momento successivo, sono di facile e rapida defini- zione, perche´ non necessitano di particolare istruttoria, e quelle che richiedono invece integrazioni documentali (con interruzione del termine), ovvero conferenza di servizi, o comunque l’acquisizione di pareri obbligatori.
’L
I sessanta giorni per l’istruttoria
art. 4, comma 2, D.L. n. 398 del 1993, stabili- sce, in termini generali, che il responsabile del procedimento dispone di sessanta giorni per cu-
rare l’istruttoria. I compiti istruttori sono poi indicati in dettaglio dalle norme successive, che si esamineranno in dettaglio nei paragrafi che seguono.
Al di la` degli specifici compiti del responsabile del pro- cedimento concessorio, indicati nell’art. 4 in commen-
to, e` da ritenere applicabile anche per la concessione edilizia l’art. 6, legge n. 241 del 1990, che indica in ter- mini generali i compiti del responsabile del procedi- mento.
In particolare, a norma dell’art. 6, legge n. 241 del 1990, il responsabile:
a) valuta, a fini istruttori le condizioni di ammissibilita`, i requisiti di legittimazione, i presupposti rilevanti per l’emanazione del provvedimento; nel procedimento di concessione edilizia, il responsabile verifichera` che: il ri- chiedente la concessione sia il proprietario o altro sog- getto avente la disponibilita` dell’area; la domanda sia completa documentalmente (p. es., in caso di condono edilizio, che vi sia stato il pagamento dell’oblazione); vi sia il progetto redatto da professionista abilitato;
b) accerta d’ufficio i fatti, disponendo il compimento di atti necessari, e adottando ogni misura per l’adeguato e sollecito svolgimento dell’istruttoria; puo` esperire accer- tamenti tecnici, ispezioni, esibizioni documentali;
c) propone l’indizione o se competente indice la confe- renza di servizi;
d) cura le comunicazioni, le pubblicazioni e le notifica- zioni di leggi e regolamenti;
e) adotta se competente il provvedimento finale, ovve- ro trasmette gli atti all’organo competente per l’adozio- ne.
Posto che l’art. 4, comma 2, in commento, impone il termine di sessanta giorni per l’istruttoria, stabilendo la possibilita` di interruzione una volta sola nel caso di in- tegrazioni documentali, si pone il quesito se il termine possa essere interrotto o sospeso per l’acquisizione di pa- reri obbligatori, ovvero per l’espletamento di accerta- menti tecnici.
Una pronuncia giurisprudenziale ha dato risposta affer- mativa, ritenendo che l’art. 4 in commento va interpre- tato nel senso che il responsabile del procedimento e` te- nuto ad acquisire tutti i pareri necessari; la pronuncia ri- tiene che, al fine di evitare elusioni, i pareri vadano chiesti tutti contestualmente, e non in successione; la richiesta dei pareri avrebbe effetto interruttivo del ter- mine di sessanta giorni, con l’obbligo per l’amministra- zione consultata di esprimere il proprio avviso entro un termine a sua volta non superiore a sessanta giorni (8). Tuttavia siffatta apertura giurisprudenziale sembra porsi in contrasto con il chiaro dettato dell’art. 4 in commen- to, che consente espressamente l’interruzione del termi- ne dell’istruttoria solo per il caso di integrazioni docu- mentali.
Ancora piu` chiara in senso negativo e` la bozza di testo unico dell’edilizia, il cui art. 20, comma 3, chiarisce che entro i sessanta giorni vanno acquisiti i prescritti pareri, e che il termine istruttorio puo` essere interrotto esclusi- vamente per integrazioni documentali.
Nota:
(8) Cons. Giust. Amm. Sicilia., sez. cons., 15 febbraio 1994, n. 76.
URBANISTICA E APPALTI 9/2001
937
’L
La richiesta di integrazioni documentali
art. 4, comma 2, in commento, contiene una disciplina speciale e piu` severa, rispetto all’art. 6, legge n. 241 del 1990, in tema di richiesta
di integrazioni documentali.
Al fine della possibilita` dell’interruzione del termine istruttorio di sessanta giorni, occorre che le integrazioni documentali siano chieste dal responsabile all’interessa- to entro quindici giorni dalla presentazione della do- manda.
La norma non va letta nel senso che dopo i quindici giorni non possono essere piu` chieste le integrazioni do- cumentali, bens`ı nel senso che solo se chieste entro
non siano gia` nella disponibilita` dell’amministrazione o questa non possa acquisirli autonomamente.
La nuova previsione costituisce un coordinamento con i principi della legge n. 15 del 1968 e n. 241 del 1990 in materia di semplificazione documentale, principi da ritenere gia` oggi pienamente applicabili al procedimen- to di concessione edilizia, sicche´ gia` ora deve ritenersi preclusa l’interruzione del termine istruttorio per inte- grazioni documentali laddove si tratta di documenti gia` in possesso dell’amministrazione comunale o che essa possa acquisire autonomamente.
La convocazione della conferenza di servizi
quindici giorni, e una volta sola, si produce l’effetto in- terruttivo del termine istruttorio, mentre se chieste dopo i quindici giorni, o una seconda volta, l’effetto interrut- tivo non si produce.
Si danno le seguenti possibilita`:
1) le integrazioni documentali sono chieste una prima volta entro quindici giorni: il termine istruttorio e` inter- rotto, e decorre ex novo per intero (cioe` sessanta giorni) dalla data di presentazione della documentazione inte- grativa;
2) le integrazioni documentali sono chieste una prima volta entro quindici giorni e una seconda volta sempre entro quindici giorni: la seconda richiesta non ha effet- to interruttivo, perche´ l’interruzione si verifica una sola volta;
3) le integrazioni documentali sono chieste dopo i quin- dici giorni; non si verifica l’effetto interruttivo del ter- mine istruttorio.
In definitiva, la norma impone all’amministrazione l’o- nere di verificare entro i primi quindici giorni del termi- ne complessivo di sessanta giorni, la completezza docu- mentale della domanda, e di chiedere l’integrazione istruttoria una sola volta entro quindici giorni, se si vuo- le conseguire l’effetto della interruzione del termine.
La ratio legis e` di evitare interruzioni strumentali, elusive del termine complessivo assegnato.
Pertanto, l’integrazione documentale richiesta dopo i quindici giorni, resta pur sempre possibile, ma il termine istruttorio non viene interrotto.
Puo` verificarsi il caso che un’ulteriore esigenza istrutto- ria discenda proprio dai documenti forniti dall’interessa- to a seguito dalla prima richiesta. In dottrina si e` soste- nuto che in tal caso deve ammettersi la possibilita` di una successiva istruttoria, con effetto interruttivo del termine, motivata da effettive esigenze (9).
Deve poi ritenersi possibile una nuova richiesta istrutto- ria con effetto interruttivo ove alla prima l’interessato abbia dato una risposta solo parziale o comunque in- completa.
De jure condendo, la bozza di testo unico dell’edilizia, al- l’art. 20, comma 5, dispone che l’interruzione per inte- grazioni documentali e` possibile solo se i documenti
art. 4, comma 2, in commento, dispone che il
’L
responsabile del procedimento convoca, even- tualmente, una conferenza di servizi. La norma
non e` meramente ripetitiva dell’art. 6, legge n. 241 del 1990, perche´ e` da ritenere attributiva al responsabile della specifica competenza a convocare direttamente la conferenza, e non solo della competenza a promuoverne l’indizione.
Non manca peraltro una diversa interpretazione dottri- nale, secondo cui il responsabile del procedimento con- voca la conferenza di servizi solo se ed in quanto abbia specificamente la competenza ad adottare il provvedi- mento finale (10).
Ma siffatta tesi e` stata smentita dalla bozza di testo uni- co dell’edilizia, che all’art. 20, comma 6, attribuisce espressamente al responsabile del procedimento la com- petenza a convocare la conferenza di servizi.
L’inciso «eventualmente» riferito alla convocazione del- la conferenza di servizi suscita perplessita`: non sembra che si sia voluto attribuire al responsabile il potere di- screzionale di indire o meno la conferenza di servizi. Piuttosto, la norma ha inteso dire che la conferenza an- dra` obbligatoriamente convocata se ed in quanto la sua convocazione sia necessaria in base alle norme vigenti. Giova sul punto ricordare che l’art. 14, comma 2, legge 7 agosto 1990, n. 241, come novellato dall’art. 9, legge 24 novembre 2000, n. 340, ha reso obbligatoria (e non piu` meramente facoltativa) la conferenza di servizi nel caso in cui l’amministrazione procedente deve acquisire intese, concerti, nulla osta o assensi comunque denomi- nati di altre amministrazioni pubbliche, e non lo otten- ga entro quindici giorni dall’inizio del procedimento, avendoli formalmente richiesti.
Inoltre l’art, 14, comma 4, legge n. 241 del 1990, nel
testo novellato dalla citata legge n. 340 del 2000, dispo- ne che se l’attivita` del privato e` subordinata ad atti di consenso di competenza di piu` amministrazioni, la con- ferenza di servizi e` convocata, anche su richiesta dell’in-
Note:
(9) Falcone, op. cit., 432.
(10) Falcone, op. cit., 434.
938 URBANISTICA E APPALTI 9/2001
teressato, dall’amministrazione competente per l’adozio- ne del provvedimento finale.
Dunque nel caso di opere edilizie in zone vincolate, in cui occorre, oltre alla concessione edilizia, anche il nulla osta o l’autorizzazione di altre amministrazioni, spetta al- l’amministrazione comunale indire obbligatoriamente la conferenza di servizi, e l’interessato potra` sollecitarne la convocazione.
La norma in commento nulla dice sulla eventuale in- terruzione o sospensione dell’istruttoria in caso di con- ferenza di servizi, ma dovrebbe discendere dai principi generali che in caso di convocazione di conferenza, il termine istruttorio sia quanto meno sospeso, se non addirittura interrotto, per tutta la durata dell’iter colle- giale.
Attualmente, l’art. 14-ter, legge n. 241 del 1990, come novellato dalla legge n. 340 del 2000, stabilisce che i la- vori della conferenza di servizi non possono superare i novanta giorni, salvo il caso in cui sia richiesta la valu- tazione di impatto ambientale. Decorsi inutilmente tali termini, l’amministrazione procedente provvede ai sensi dei commi 2 e seguenti dell’articolo 14-quater.
De jure condendo, la bozza di testo unico dell’edilizia da` espressa soluzione alla questione, stabilendo, all’art. 20, comma 6, che se e` necessario acquisire atti di assenso di amministrazioni diverse da quelle di cui all’art. 4, com- ma 3 (del testo unico), va convocata dal responsabile la conferenza di servizi, e in siffatta ipotesi l’atto finale e` adottato entro quindici giorni dall’esito della conferenza di servizi. Il testo unico ipotizza, dunque, che in caso di conferenza di servizi, la determinazione da questa adot- tata sostituisca la proposta finale del responsabile del procedimento, e che sulla base della prima, e non del secondo, sia adottato l’atto finale. Peraltro, non viene stabilito alcun termine massimo per lo svolgimento dei lavori della conferenza.
D
La qualificazione tecnico-giuridica dell’intervento richiesto
ispone l’art. 4, comma 2, in commento, che il responsabile del procedimento redige una det- tagliata relazione contenente, anzitutto, la qua-
lificazione tecnico-giuridica dell’intervento richiesto. Siffatta qualificazione occorre per verificare se l’inter- vento progettato e` soggetto effettivamente a concessio- ne, ovvero ad altro titolo edilizio; e per definire che tipo di concessione edilizia rilasciare: per nuova opera, per ampliamento, per variante, in sanatoria, in deroga.
La valutazione sulla conformit`a del progetto
Tali prescrizioni sono quelle poste da:
– strumenti urbanistici comunali generali;
– strumenti urbanistici comunali particolareggiati;
– norme tecniche di attuazione del piano regolatore ge- nerale;
– regolamento edilizio.
Tali prescrizioni sono anche quelle poste da piani sovra- comunali, purche´ siano immediatamente cogenti e di valenza urbanistica.
In siffatta valutazione di conformita` non rilevano, inve- ce, i piani sovracomunali che non siano immediata- mente cogenti, vale a dire idonei a porre solo direttive che il comune non abbia recepito mediante la relativa variante urbanistica, sicche´, prima del loro recepimento, non hanno effetti immediatamente cogenti per il priva- to, e non possono limitare la capacita` edificatoria dell’a- rea (11).
Esemplificando, in dottrina si e` ritenuto che non siano immediatamente cogenti il piano territoriale di coordi- namento di cui agli artt. 5 e 6, legge urb. del 1942, e il piano urbanistico-territoriale di cui all’art. 1-bis, legge n. 431 del 1985, se interessi aree non previamente assog- gettate a vincolo paesaggistico di insieme; si e` invece ri- tenuto che possono contenere prescrizioni urbanistiche immediatamente cogenti, che prevalgono e si sostitui- scono alle diverse disposizioni degli strumenti urbanistici: i piani territoriali paesistici, ex art. 5, legge n. 1497 del 1939; i piani di parco, ex art. 12, legge n. 394 del 1991;
i piani di bacino, ex art. 17, legge n. 183 del 1989 (12). Oltre all’immediata cogenza, i piani sovracomunali de- vono avere valenza urbanistica: esemplificando, i piani di bacino e i piani di parco, laddove contengono pre- scrizioni non urbanistiche, non rilevano nel giudizio di conformita` che deve operare il responsabile.
La conformita` urbanistico-edilizia impone anche il ri- spetto di leggi e regolamenti: p. es., le norme di inedifi- cabilita` assoluta o relativa, le zone di rispetto, gli stan- dards urbanistici, le norme tecniche, le misure di salva- guardia, il regime di edificabilita` in assenza di strumento urbanistico generale, o in caso di scadenza delle destina- zioni imposte dagli strumenti urbanistici (13).
Si e` osservato che per il rilascio della concessione edili- zia non e` necessario anche il previo rilascio di tutti gli altri titoli autorizzativi, che condizionino in concreto so- lo l’effettivo svolgimento dell’attivita` edilizia, e non an- che il rilascio della concessione: p. es., il nulla osta pae- sistico; in tal caso il procedimento di rilascio della con- cessione puo` essere concluso, fermo restando l’obbligo del privato di munirsi di tutte le altre necessarie autoriz- zazioni (14).
alle prescrizioni urbanistiche ed edilizie
A
norma dell’art. 4, comma 2, in commento, la dettagliata relazione del responsabile del pro- cedimento deve altres`ı contenere la valutazio-
ne del responsabile medesimo sulla conformita` del pro- getto alle prescrizioni urbanistiche ed edilizie.
Note:
(11) In tal senso Falcone, op. cit., 433.
(12) Falcone, op. cit., 433.
(13) Sempre Falcone, op. cit., 433 s.
(14) Xxxxxxx, op. cit., 434.
URBANISTICA E APPALTI 9/2001
939
De jure condendo, la bozza di testo unico dell’edilizia non richiede piu` la valutazione della conformita` urbani- stico-edilizia nella relazione del responsabile del procedi- mento; ma e` da ritenere che detta valutazione debba es- sere necessariamente compiuta, al fine della formulazio- ne della proposta finale motivata, proposta che non puo` non tenere conto di siffatta valutazione di confor- mita`. Il Consiglio di Stato in adunanza generale, in sede di parere sul testo unico dell’edilizia, ha suggerito di ri- produrre nel testo unico la norma previgente, che affida al responsabile del procedimento la valutazione della conformita` urbanistico-edilizia.
A
Il parere della commissione edilizia
norma dell’art. 4, comma 3, in commento, il responsabile del procedimento deve chiedere il parere della commissione edilizia entro il
termine di cui al comma 2.
Le questioni esegetiche che si pongono riguardano: 1. il termine entro cui si pronuncia la commissione edilizia;
2. il coordinamento tra responsabile e commissione; 3. il ritardo della commissione o del responsabile; 4. l’e- ventualita` del parere della commissione.
Sub 1. Quanto al termine per il parere della commissio- ne, non e` chiarito se il termine di cui al comma 2 e` quello di sessanta giorni per l’istruttoria, ovvero quello di dieci giorni, decorrente da quello di sessanta, per la proposta finale.
Appare logico ritenere che si tratti del termine istrutto- rio di sessanta giorni, in quanto la proposta finale moti- vata puo` essere redatta dal responsabile del procedimen- to a ragion veduta solo dopo l’acquisizione di tutti gli elementi istruttori, ivi compreso il parere della commis- sione edilizia.
Va aggiunto che nel normale snodo di un iter procedi- mentale, il parere e` atto consultivo, che necessariamen- te precede la proposta, che e` atto predecisorio.
Ove, poi, si volesse ritenere che il parere della commis- sione edilizia vada chiesto entro il termine di dieci gior- ni per la proposta finale, il responsabile del procedimen- to non avrebbe piu` il tempo necessario per formulare la sua proposta.
Quanto poi, in particolare, al termine entro cui si pro- nuncia, a sua volta, la commissione edilizia, e` da ritene- re che essa si deve pronunciare entro il termine istrutto- rio complessivo di sessanta giorni: viene cioe` fissato un termine unico per l’istruttoria del responsabile e per il parere della commissione, e dunque la richiesta e acqui- sizione del parere di quest’ultima non puo` determinare un prolungamento del termine complessivo per l’istrut- toria.
Sub 2. Quanto al coordinamento tra responsabile e commissione, va osservato che la previsione di un ter- mine unico per l’operato sia del responsabile che della commissione, impone un raccordo e un coordinamento tra tali due organi, e dunque una certa qual suddivisio- ne del termine unico tra gli stessi.
E, invero, la norma stabilisce solo che il parere della commissione edilizia va chiesto dal responsabile entro i sessanta giorni assegnati per l’istruttoria, ma non dice in quale momento dei sessanta giorni, salvo ad aggiungere che la commissione a sua volta si deve pronunciare en- tro lo stesso termine di sessanta giorni.
In concreto, potrebbero crearsi complicazioni ove, in ipotesi, il responsabile chieda il parere della commissio- ne al cinquantanovesimo giorno: il che e` formalmente rispettoso della lettera della legge, ma impedisce di fatto alla commissione di rispettare a sua volta i sessanta gior- ni, o comunque le lascia un solo giorno per l’espressione del parere.
Per assicurare un corretto e leale coordinamento, occor- rera` che il responsabile del procedimento provveda con ragionevole tempestivita` a chiedere il parere della com- missione edilizia.
Sarebbe poi opportuno che i regolamenti edilizi, se ed ove ritengano necessario il parere della commissione, di- sciplinino in dettaglio questo segmento del procedimen- to, per distribuire il termine istruttorio tra i due organi. In ipotesi, potrebbe essere prevista la suddivisione del termine di sessanta giorni in tre parti, in maniera tale da consentire:
1) al responsabile del procedimento di compiere un pri- mo vaglio della pratica, eventualmente provvedendo al- la richiesta di integrazione documentale e all’istruttoria d’ufficio, in modo da fornire alla commissione edilizia una pratica pressoche´ completa sotto il profilo istrutto- rio (il tutto, p. es., in una prima tranche del termine, che potrebbe essere di quaranta giorni);
2) alla commissione edilizia di disporre, da un lato, di un congruo margine di tempo per l’espressione del pare- re, e dall’altro lato di una pratica gia` istruita (si potrebbe prevedere per il parere della commissione una seconda tranche del termine, pari a dieci giorni);
3) al responsabile del procedimento di tenere conto del parere della commissione nella formulazione della pro- posta finale, e di chiedere se del caso ulteriori chiari- menti alla commissione (si potrebbe all’uopo prevedere una terza tranche del termine, pari a dieci giorni).
In tal modo:
– entro i primi quaranta giorni dei sessanta complessivi, il responsabile cura l’istruttoria e chiede il parere della commissione;
– la commissione esprime il parere entro dieci giorni;
– il responsabile dispone ancora di (non meno di) dieci giorni per valutare il parere della commissione e chiede- re eventuali chiarimenti o integrazioni;
– nei successivi dieci giorni il responsabile formula la proposta finale.
Sub 3. Quanto al ritardo della commissione o del re- sponsabile, l’art. 4, comma 3, in commento, stabilisce che se la commissione edilizia non si pronuncia nei ses- santa giorni, il responsabile del procedimento e` tenuto comunque a formulare la proposta finale: e` cioe` norma- tivamente previsto il meccanismo del c.d. silenzio devo-
940 URBANISTICA E APPALTI 9/2001
lutivo, in cui l’organo decidente prescinde dal parere dell’organo consultivo rimasto inerte.
In base alla norma in commento, il responsabile del procedimento e` tenuto a prescindere dal parere manca- to, e non ha semplice facolta` di prescinderne.
La norma poi aggiunge che il responsabile del procedi- mento deve redigere una relazione scritta indicando i motivi per cui il termine non e` stato rispettato: e` poco chiaro a quale termine non rispettato la norma si riferi- sca, e al mancato rispetto da parte di chi. Per come e` formulata letteralmente, la norma sembra riferirsi al caso in cui il mancato rispetto del termine e` imputabile alla commissione edilizia. Ma ha poco senso chiedere la giu- stificazione dell’inadempimento ad un soggetto diverso da quello inadempiente: c’e` da chiedersi come il respon- sabile del procedimento potra` relazionare sui motivi del ritardo da parte della commissione edilizia.
La norma va ricostruita in modo da attribuirle un signi- ficato utile e completo; sicche´:
1) se inadempiente e` la commissione edilizia, il respon- sabile del procedimento, per redigere la sua relazione, chiedera` a sua volta spiegazioni alla commissione xxxxx- xxx, che le fornira` per iscritto al responsabile, e sulla base di queste il responsabile potra` redigere la relazione;
2) se poi il termine non e` rispettato per fatto imputabile al responsabile, e non alla commissione, e` da ritenere che anche in tal caso occorra la relazione scritta.
La norma tace sul termine per la relazione scritta giusti- ficativa del ritardo: ci si chiede se vada redatta entro lo stesso termine di quindici giorni previsto per la proposta finale, o se invece non sia imposto un termine preciso.
E` ragionevole ritenere che la relazione giustificativa va-
da redatta entro lo stesso termine di quindici giorni per la proposta finale: cio` in quanto l’autorita` decidente, che valuta la proposta finale del responsabile, non sup- portata dal parere della commissione edilizia, deve poter conoscere il motivo della mancanza del parere medesi- mo, o del ritardo nella formulazione dello stesso.
La norma in commento stabilisce che la relazione scrit- ta giustificativa abbia come destinatario il sindaco.
Si pone il dubbio se la norma abbia inteso riferirsi al sindaco quale organo di vertice dell’amministrazione co- munale, come tale preposto al controllo sugli uffici, ov- vero al sindaco quale titolare del potere di rilascio della concessione edilizia, all’epoca dell’entrata in vigore della norma in commento.
Se si accoglie questa seconda soluzione, allora il sindaco deve ora intendersi sostituito dal dirigente, essendo que- sto e non piu` il sindaco competente al rilascio della concessione edilizia, a far data dalla legge n. 127 del 1997.
La seconda soluzione appare la piu` convincente, ove si consideri che:
– la relazione sul ritardo interessa all’organo competen- te all’adozione dell’atto finale, che e` il dirigente;
– la norma che parla di «sindaco» e` anteriore alla legge
n. 127 del 1997, e` stato cioe` dettata in un’epoca in cui
competente per l’adozione della concessione edilizia era ancora il sindaco: e` dunque da ritenere che si riferisca a quest’ultimo non quale organo di vertice del Comune, ma quale organo competente a provvedere;
– quanto all’attivazione del controllo sul ritardo, al fine delle eventuali responsabilita` disciplinari, vi provvedera` il dirigente, che potra` sempre riferirne al sindaco o altro organo competente in via disciplinare.
Sub 4. La fase del parere della commissione edilizia e`
meramente eventuale: infatti ai sensi dell’art. 4, comma 3, in commento, «il regolamento edilizio stabilisce i casi in cui il parere non deve essere richiesto». E` cioe` de-
mandato al regolamento edilizio di stabilire in quali casi il parere e` obbligatorio, e in quali non va invece chie- sto. Pertanto, se il regolamento edilizio non richiede il parere della commissione edilizia, l’intera fase sin qui commentata viene meno.
Va anche considerato che l’art. 41, legge 27 dicembre 1997, n. 449 ha stabilito che al fine di conseguire ri- sparmi di spesa e recuperi di efficienza nei tempi dei procedimenti amministrativi, l’organo di direzione poli- tica responsabile individua organi, comitati, commissio- ni ritenuti indispensabili per i fini istituzionali dell’ente; gli organismi non identificati come indispensabili sono soppressi a far data dal mese successivo al provvedimen- to, e le relative funzioni sono attribuire all’ufficio che ri- veste la preminente competenza nella materia.
Si e` gia` verificato che il consiglio comunale di un co- mune della Calabria ha disposto la soppressione della commissione edilizia. Su ricorso del consiglio dell’ordine degli ingegneri e architetti, che contestava la legittimita` della soppressione, il T.A.R. della Calabria ha ritenuto legittima la soppressione della commissione edilizia, os- servando che la stessa puo` essere sostituita dall’ufficio tecnico comunale; da un lato, prosegue il T.A.R., l’art. 41, legge n. 449 del 1997, non pone limiti di scelta in ordine alle commissioni da sopprimere; dall’altro lato, a ben vedere il parere della commissione edilizia non e` imprescindibile, perche´ la legge non ne fissa in via ge- nerale l’acquisizione, ma demanda ai Comuni di indivi- duare i casi in cui occorre, con i regolamenti edilizi. Spetta percio` ai Comuni la duplice competenza a: man- tenere o sopprimere la commissione edilizia; stabilirne la competenza, ivi compresi i casi in cui occorre il rela- tivo parere sulle concessioni edilizie (15).
De jure condendo, la bozza di testo unico dell’edilizia non prevede piu` la norma contenuta nell’art. 4, comma 3, in commento, relativa al raccordo tra responsabile e commissione.
Nella relazione governativa che accompagna il disegno
Nota:
(15) T.A.R. Calabria, Reggio Calabria, 28 gennaio 1999, n. 48, in Foro Amm., 1999, 341; Giuda al diritto, 1999, fasc. 12, 96, con nota di Giunta; Nuova Rass., 1999, 1109; Vita Not., 1999, 170; in argomento v. anche Xxxxxxxxx, Il riordino delle commissioni edilizie: organi indispensabili o da soppri- mere?, in questa Rivista, 2000, 353.
URBANISTICA E APPALTI 9/2001
941
di testo unico, si legge che si e` inteso rimettere al rego- lamento edilizio di stabilire quando il parere della com- missione edilizia e` necessario.
In verita`, tale intento governativo, non risulta allo sta- to tradotto in una norma espressa del testo unico. Quanto poi al procedimento di raccordo tra responsabi- le e commissione, l’obliterazione dello stesso nel testo unico puo` ritenersi giustificata, se si ritiene che l’art. 20, comma 3, del testo unico, laddove dice che il re- sponsabile «acquisisce i prescritti pareri dagli uffici co- munali» si riferisce pure al parere della commissione edilizia.
Nei casi in cui, attualmente, la commissione edilizia esprime anche il parere paesistico, su subdelega delle Regioni, e` da ritenere che a seguito della soppressione delle commissioni edilizie occorrera` comunque indivi- duare l’ufficio comunale competente ad esprimere il pa- rere paesistico.
’L
La proposta finale motivata
art. 4, comma 2, in commento, stabilisce che entro dieci giorni dalla scadenza del termine istruttorio il responsabile del procedimento for-
mula una proposta finale motivata.
La proposta finale e` diretta all’autorita` decidente, vale a dire il dirigente preposto all’unita` organizzativa respon- sabile.
Giova ricordare che il rilascio della concessione edilizia non e` piu` di competenza del sindaco, bens`ı del dirigen- te, secondo quanto si evince dall’art. 6, comma 2, legge 15 maggio 1997, n. 127, dall’art. 51, comma 3, lett. f),
legge n. 142 del 1990 (ora art. 107, comma 3, lett. f), X.Xxx. 18 agosto 2000, n. 267, testo unico degli enti lo- cali).
In giurisprudenza, si e` affermato che l’adozione della concessione edilizia, dopo la legge n. 127 del 1997, e` di competenza esclusiva ed immediata dei dirigenti comu- nali; l’esercizio del medesimo potere da parte di un sog- getto diverso determina il vizio di incompetenza assolu- ta (16).
Ove il responsabile del procedimento si identifichi con il dirigente dell’ufficio, e` da ritenere superflua una pro- posta finale motivata, tuttavia e` da ritenere che per- manga il termine di dieci giorni per la formulazione del- la proposta finale, che si somma a quello di quindici giorni per l’adozione del provvedimento finale.
La proposta finale del responsabile e` atto necessario del procedimento: in giurisprudenza si e` affermato che se il provvedimento finale del procedimento di rilascio della concessione edilizia e` adottato senza la previa proposta del responsabile, lo stesso e` illegittimo (17).
De jure condendo, la bozza di testo unico dell’edilizia sta- bilisce che la proposta finale va formulata nel termine istruttorio di sessanta giorni, e non, come ora, nel termi- ne di dieci giorni dalla scadenza di quello di sessanta. In definitiva, nella futura disciplina il responsabile dispone di un termine totale di sessanta giorni per la istruttoria
e la proposta finale, e non di un termine di settanta giorni.
A
Il termine per il rilascio della concessione edilizia
norma dell’art. 4, comma 4, in commento, la concessione edilizia e` rilasciata entro quindici giorni dalla scadenza del termine di cui al
comma 2.
Non e` chiaro a quale termine del comma 2 si riferisca il comma 4, e in particolare, se si riferisca al termine istruttorio di sessanta giorni, ovvero al termine di dieci giorni per la proposta finale del responsabile del proce- dimento.
Se si accoglie la prima soluzione - della decorrenza del termine di quindici giorni dalla scadenza di quello di sessanta - si ha che sono previsti:
– sessanta giorni per l’istruttoria;
– dieci giorni per la proposta del responsabile;
– cinque giorni per il rilascio della concessione, con un totale di settantacinque giorni.
Se si accoglie la seconda soluzione - della decorrenza del termine di quindici giorni dalla scadenza di quello di dieci per la proposta finale - si ha che sono previsti:
– sessanta giorni per l’istruttoria;
– dieci giorni per la proposta del responsabile;
– quindici giorni per il provvedimento finale, con un totale di ottantacinque giorni.
Al fine di optare per l’una o l’altra delle due soluzioni, occorre considerare cosa si verifica nel caso di Comuni con piu` di centomila abitanti, in cui sono raddoppiati i termini di cui al comma 2 (termine istruttorio e termine per la proposta finale) ma non anche il termine di cui al comma 4 (termine per l’atto conclusivo).
Seguendo la prima soluzione, si avrebbero:
– centoventi giorni per l’istruttoria;
– venti giorni per la proposta finale del responsabile; ma allora i quindici giorni calcolati dalla scadenza del primo termine anziche´ del secondo, e di cui non e` pre- visto il raddoppio, sarebbero mangiati dal secondo ter- mine.
Con la secondo soluzione, invece, si avrebbero:
– centoventi giorni per l’istruttoria;
– venti giorni per la proposta finale del responsabile;
– quindici giorni, decorrenti dal secondo termine, per l’atto conclusivo, con un totale di centocinquantacin- que giorni.
E` dunque preferibile ritenere che il termine di quindici
giorni per l’adozione dell’atto conclusivo decorre non gia` dalla scadenza del termine istruttorio (sessanta o
Note:
(16) T.A.R. Liguria, sez. I, 22 gennaio 1998, n. 65, ord., in questa Rivista, 1998, 552; sulla competenza dei dirigenti in ordine al rilascio della con- cessione edilizia v. anche Dapas e Viola, La competenza dei dirigenti comu- nali in materia di concessioni edilizie, in questa Rivista, 1997, 847 ss.
(17) Cons. Stato, sez. II, 8 marzo 1995, n. 2532, cit.
942 URBANISTICA E APPALTI 9/2001
centoventi giorni) bens`ı dalla scadenza del termine per la proposta del responsabile (dieci o venti giorni).
Tale soluzione va preferita perche´ se il termine decor- resse dalla scadenza di quello istruttorio, e considerato che da detta scadenza il responsabile del procedimento dispone a sua volta di dieci giorni per la proposta finale, allora il dirigente avrebbe solo cinque giorni per prov- vedere, termine troppo breve, o addirittura non avrebbe nessun termine in caso di raddoppio degli altri due ter- mini nei Comuni con piu` di centomila abitanti.
Va pero` doverosamente rilevato che siffatta soluzione impone di interpretare, nel comma 4, l’espressione «ter- mine di cui al comma 2» in maniera diversa rispetto al- l’interpretazione da dare alla medesima espressione «ter- mine di cui al comma 2» contenuta nel comma 3, a proposito del parere della commissione edilizia, e di cui si tratta nel relativo paragrafo.
E, invero, nel comma 4, il termine di cui al comma 2 lo si intende come il termine per la proposta finale, mentre nel comma 3 lo si intende come il termine istruttorio.
De jure condendo, la bozza di testo unico dell’edilizia chiarisce, all’art. 20, comma 7, che il provvedimento fi- nale e` adottato dal dirigente entro quindici giorni dalla proposta del responsabile, che peraltro nel testo unico va formulata entro il termine istruttorio complessivo di sessanta giorni, senza piu` poter disporre di ulteriori dieci giorni.
’L
Il raddoppio dei termini istruttori nei comuni con piu` di centomila abitanti
art. 4, comma 2, stabilisce che i termini in esso contemplati sono raddoppiati per i Comuni di centomila abitanti.
Quanto all’ambito applicativo del raddoppio dei termi- ni, lo stesso si riferisce:
1. al termine di sessanta giorni per l’istruttoria, che di- viene centoventi giorni;
2. al termine di dieci giorni per la formulazione della proposta motivata, che diviene venti giorni;
3. al termine di quindici giorni per la richiesta di inte- grazioni documentali, che diviene trenta giorni.
Il raddoppio non riguarda, invece, il termine di quindici giorni per il rilascio della concessione edilizia, che non e` contemplato nel comma 2, bens`ı nel comma 4 del- l’art. 4 in commento.
Nell’esegesi della norma, ci si chiede come vada accer- tato il numero degli abitanti (maggiore o minore di centomila) al fine di stabilire se opera o meno il rad- doppio del termini.
Sembra corretto ritenere che si terra` conto dei dati uffi- ciali, e in particolare degli iscritti all’anagrafe della po- polazione residente, secondo l’ultimo censimento, ovve- ro comunque secondo l’ultima rilevazione.
Vero e` che la norma parla di «abitanti» e non di «resi- denti», ma appare in concreto di difficile accertamento il numero degli abitanti non residenti.
La soluzione del raddoppio del termine istruttorio e non anche del termine per il provvedimento finale e` confer- mata dalla bozza di testo unico dell’edilizia, che peraltro consente il raddoppio del termini istruttori anche per i Progetti Particolarmente Complessi secondo la motivata risoluzione del responsabile del procedimento, e a pre- scindere dal numero degli abitanti del Comune.
E` dunque demandato al responsabile del procedimento
l’ulteriore compito di disporre il raddoppio dei termini:
– si prescinde dal numero di abitanti del Comune;
– occorre una determinazione motivata, in relazione al- la particolare complessita` del progetto.
E` da ritenere che il raddoppio vada disposto caso per
caso, e non con atto generale.
E` da ritenere che il provvedimento di raddoppio vada
comunicato all’interessato.
In teoria, e` atto immediatamente lesivo e autonoma- mente impugnabile, salvi i tempi lunghi del giudizio che potrebbero non consigliarne l’impugnazione, eccet- to che ai fini di una immediata tutela cautelare.
L
Le novit`a introdotte dalla bozza di T.U. dell’edilizia in ordine al responsabile del procedimento
e novita` introdotte dal disegno di testo unico dell’edilizia in ordine al responsabile del procedi- mento concessorio possono essere sintetizzate co-
me segue:
1. il nominativo del responsabile del procedimento va comunicato entro dieci giorni dalla presentazione della domanda di concessione edilizia, e non piu` immediata- mente (art. 20, comma 2);
2. l’onere di comunicazione e` a carico dello sportello unico dell’edilizia (art. 20, comma 2);
3. entro sessanta giorni va curata tutta l’istruttoria, ivi compresa l’acquisizione dei prescritti pareri, tramite lo
S.U.E. (art. 20, comma 3);
4. entro sessanta giorni va anche formulata la proposta finale del responsabile del procedimento (che ora dispo- ne invece di ulteriori dieci giorni dopo i sessanta istrut- tori) (art. 20, comma 3);
5. la dettagliata relazione contiene la qualificazione tec- nico-giuridica dell’intervento, mentre si tace sulla valu- tazione di conformita` alle prescrizioni urbanistiche ed edilizie (art. 20, comma 3);
6. con xxxxx xxxxxxxxxx, e` prevista la possibilita` che il responsabile del procedimento chieda modifiche proget- tuali: «il responsabile del procedimento qualora ritenga che ai fini del rilascio della concessione edilizia sia ne- cessario apportare modifiche di modesta entita` rispetto al progetto originario, puo` sempre entro i sessanta giorni richiedere tali modifiche illustrandone le ragioni. L’inte- ressato si pronuncia sulla richiesta di modifica entro die- ci giorni e, in caso di adesione, e` tenuto ad integrare la documentazione nei successivi quindici giorni. La ri- chiesta sospende fino al relativo esito il termine di dieci giorni» (art. 20, comma 4);
URBANISTICA E APPALTI 9/2001
943
7. quanto alla richiesta di integrazioni documentali, vie- ne chiarito che la stessa puo` riguardare solo documenti che non siano gia` nella disponibilita` dell’amministrazio- ne, o che la stessa non possa acquisire autonomamente (art. 20, comma 5);
8. la conferenza di servizi non e` necessaria per i pareri di cui all’art. 4, comma 3 (parere dell’A.S.L. e parere dei vigili del fuoco) (art. 20, comma 6);
9. in caso di conferenza di servizi, il termine per l’atto fi- nale decorre dall’esito della conferenza (art. 20, comma 6);
10. viene definitivamente chiarito che il provvedimen- to finale e` di competenza del dirigente, e non del sinda- co (art. 20, comma 7);
11. l’atto finale va adottato entro quindici giorni dalla proposta del responsabile (art. 20, comma 7);
12. viene chiarito che il raddoppio dei termini per i Co-
muni con piu` di centomila abitanti riguarda il termine di sessanta giorni per l’istruttoria (comma 3) e il termi- ne di quindici giorni per la richiesta di integrazioni do- cumentali (co. 5) ma non anche il termine di quindici giorni per il provvedimento conclusivo (art. 20, comma 8);
13. viene introdotta una nuova possibilita` di raddoppio dei termini, con provvedimento motivato del responsa- bile del procedimento, per i progetti particolarmente complessi (art. 20, comma 8);
14. viene chiarito che il procedimento relativo alla con- cessione ordinaria, si applica anche al procedimento di rilascio della concessione in deroga (art. 21);
15. viene completato il processo di eclissi della commis- sione edilizia, che scompare dalla disciplina del procedi- mento concessorio, unitamente alla fase di raccordo tra commissione edilizia e responsabile del procedimento.
NOVITA` MODULO ENTI LOCALI 2001
Bilanci e controllo - Servizi - Tributi e fiscalit`a
a cura di X. Xxxxxxx, X. Xxxxxx, X. Xxxxx
IPSOA Editore, maggio 2001, pp. 708, L. 90.000 (E 46,48)
Il Modulo (edizione aggiornata della «Guida pratica enti locali 2000») racchiude in un unico volume i quattro grandi filoni che insieme costituiscono il set- tore operativo degli enti locali:
1. bilancio e gestione finanziaria,
2. servizi pubblici locali,
3. entrate tributarie,
4. obblighi fiscali e previdenziali.
Nell’ambito di ogni sezione la descrizione delle atti- vita` che concorrono a realizzare una corretta ed ef- ficace gestione dell’ente e` puntualmente corredata delle relative prescrizioni dettate dal legislatore, dei piu` significativi chiarimenti ministeriali, non- che´ di utili considerazioni, suggerimenti ed esempi che scaturiscono dall’esperienza sul campo.
Sia l’operatore dell’ente locale, sia il suo consulente potranno quindi trovare nel Modulo uno strumento unitario - e fino ad oggi unico - di consultazione im- mediata e di approfondimento, che traccia un quadro completo delle attivita` svolte nell’ente o intorno al- l’ente e delle connesse problematiche.
Per facilitare la consultazione il testo propone nu- merosi schemi, tabelle e tavole sinottiche. Allo stes- so scopo i pur copiosi riferimenti normativi sono in- seriti in modo tale da non disturbare la lettura.
Un minuzioso indice analitico riporta accanto a cia- scuna voce il numero che la contrassegna nel testo, consentendo una ricerca rapida, agevole e puntuale. L’opera, autorevolmente coordinata da Xxxxxxxx Xxx- neti dell’Universita` di Bologna insieme ad Xxxxxxxx Xxxxxx, presidente dell’Ancrel, e a Xxxxx Xxxxx, com- mercialista e revisore contabile, si avvale della com- petenza di numerosi coautori, esperti di settore.
Per informazioni rivolgersi a: Ipsoa - Ufficio Vendite (Tel. 00 00000000; fax 00 00000000;
xxxx://xxx.xxxxx.xx)
oppure consultare l’Agente Ipsoa di zona
944 URBANISTICA E APPALTI 9/2001
La riforma dell’arbitrato delle opere pubbliche
di XXXXXXX XXXXXXXX
Concluso l’iter della riforma dell’arbitrato in materia di opere pubbliche pare evidente che le prescrizioni che il legislatore aveva imposto con la legge 415/98 sono state in buona parte stravolte dall’emanazione della normativa secondaria: la regolamentazione dei compiti e del «modus operandi» della Camera arbi- trale `e lacunosa e, per certi aspetti, «contra legem»; le norme di procedura introducono un regime di preclusioni incompatibile con l’attuale disciplina dell’arbitrato prevista dal codice di rito; l’autonomia delle parti risulta sotto piu` profili vulnerata. La riforma appare inidonea a perseguire l’auspicato rilancio dell’arbitrato dei lavori pubblici.
’L
iter della riforma dell’arbitrato dei LL.PP, avvia- to con legge n. 415 del 18 novembre 1998 (cd. Merloni-ter) (1) - all’interno della piu` am-
pia riforma degli appalti delle OO.PP. (2)- si e` concluso con l’emanazione del Decreto del Ministro dei lavori pubblici di concerto con il Ministro della Giustizia n. 398 del 2 dicembre 2000 (3) «Regolamento recante le norme di procedura del giudizio arbitrale» (4).
Si rammenta che l’art. 10 della legge n. 415/1998 con- teneva solo gli aspetti principali della riforma in quanto aveva delegato la regolamentazione di dettaglio all’ese- cutivo mediante l’emanazione di una normativa secon- daria (5).
Completano percio` l’attuale quadro normativo in mate- ria il regolamento di attuazione emanato con Decreto del Presidente della Repubblica n. 554 del 21 dicembre 1999 (6) ed il decreto del Ministero dei Lavori pubblici
n. 398 del 2 dicembre 2000. In realta` non meno rile- vanti appaiono le disposizioni contenute nel capitolato generale d’appalto dei lavori pubblici emanato con de- creto del Ministero dei lavori pubblici n. 145 del 19 aprile 2000 (7).
Ne consegue che la disciplina complessiva della nuova procedura arbitrale delle opere pubbliche e` contenuta rispettivamente negli artt. 31 e 32 legge n. 109/1994 come modificata dalla legge n. 415/1998; negli artt. 149, 150 e 151 D.P.R. n. 554/1999; negli artt. 32, 33 e
34 D.M. n. 145/2000; negli artt.1-12 del D.M. n. 000/ 0000.
Per una migliore comprensione dell’attuale riforma, gio- va premettere che la legge «quadro», n. 415/1998, ave- va introdotto - nel solco delineato dalla ben nota pro- nuncia della Corte costituzionale n. 152/1996 (8) - si- gnificative novita` (9): tra tutte il riconoscimento della facoltativita` dell’arbitrato, l’istituzione della Camera ar- bitrale dei LL.PP. ed il perseguimento di strade innova- tive (10) quale quella della formazione professionale
della categoria degli arbitri e, soprattutto, quella della trasparenza, dell’imparzialita` e della correttezza nella co-
Note:
(1) Sulla legge n. 415/1998, v. AA.VV. Legge quadro sui lavori pubblici (Merloni-ter) Commento alla L. 18 novembre 1998, n. 415, Milano, 1999; AA.VV. La nuova legge quadro sui lavori pubblici. Commentario, a cura di
X. Xxxxxxxxxx, Milano, 1999; Xxxxxxxxxx, La seconda riforma della legge-qua- dro sugli appalti pubblici, in Corr. Giur., 1999, 3, 286; sull’argomento speci- fico dell’arbitrato x. Xxxxxxxxx, Una vicenda singolare: l’arbitrato in materia di opere pubbliche, in Riv. Arb., 1998, 813; Xxxxxxxxxxxx, L’arbitrato nell’am- bito dei lavori pubblici, in AA.VV. Arbitrato e pubblica amministrazione, Mi- lano, 1999; Spagnolo A. La nuova normativa in tema di arbitrato delle opere pubbliche ex art. 10 L. n.415/1998, in Corr. Giur., 1999, 623; Xxxxxxx- Clarizia, La legge quadro in materia di lavori pubblici, Padova, 2000.
(2) Sulla riforma dei LL.PP., a seguito dell’emanazione del reg. att., v. AA.VV. Il regolamento della legge sui lavori pubblici, Milano, 2000; AA.VV. L’attuazione della legge quadro sui lavori pubblici, Commentario a cura di L. Car- bone, X. Xxxxxxxxxx, X. Xx Xxxxx, Xxxxxx, 0000; AA.VV. Manuale del dirit- to dei lavori pubblici a cura di X. Xxxxxxx e P. Xxxxxx Xxxxxxx, Milano, 2001.
(3) Pubblicato in G.U. n. 3 del 4 gennaio 2001.
(4) D’ora innanzi, per brevita`, si usera` richiamarlo come «reg. proc».
(5) L’art. 10 modificativo dell’art. 32 legge 109/1994 prevede al comma 2 che «Con decreto del Ministro dei lavori pubblici, di concerto con il Mini- stro di Grazia e giustizia, da emanare entro tre mesi dalla data di entrata in vi- gore del regolamento, sono fissate le norme di procedura del giudizio arbitrale nel rispetto dei principi del codice di procedura civile, e sono fissate le tariffe per la determinazione del corrispettivo dovuto dalle parti per la decisione del- la controversia»; al comma 3 che «il regolamento definisce altres`ı, ai sensi e con gli effetti di cui all’art. 3 della presente legge, la composizione e le moda- lita` di funzionamento della camera arbitrale per i lavori pubblici; disciplina i criteri cui la camera arbitrale dovra` attenersi nel fissare i requisiti soggettivi e di professionalita` per assumere l’incarico di arbitro, nonche´ la durata dell’in- carico stesso, secondo principi di trasparenza imparzialita` e correttezza».
(6) Pubblicato in G.U. n. 98 del 28 aprile 2000, entrato in vigore il 28 luglio 2000 (d’ora innanzi «reg. att.»).
(7) Pubblicato in G.U. n. 131 del 7 giugno 2000 (d’ora innanzi «cap. gen.»).
(8) In Corr. Giur., 1996, 7, 767 con nota di Fantigrossi.
(9) Su di esse x. Xxxxxxxxx, Una vicenda singolare, cit., 1998, 813.
(10) Spagnolo A., La nuova normativa, cit., 623 ss.
URBANISTICA E APPALTI 9/2001
945
stituzione dei collegi arbitrali. Inoltre il legislatore aveva stabilito - per quanto attiene alle norme di procedura da seguirsi nel procedimento arbitrale - la necessita` di rispettare i principi stabiliti in materia dal codice di pro- cedura civile, ponendosi altres`ı l’obiettivo di predeter- minare e morigerare i costi dell’arbitrato (11).
A seguito dell’emanazione della normativa secondaria tuttavia le indicazioni del legislatore risultano in parte stravolte sicche´ gli effetti economico-sociali scaturenti dalla novella nel suo complesso non si sottraggono a critiche di merito: lo spirito delle innovazioni legislati- ve, invero sembra esser stato penalizzato dall’emanazio- ne da parte dell’esecutivo di una regolamentazione ec- cessivamente «domestica» con la quale si sono inoltre effettuate modifiche alla disciplina dettata dal codice di rito tanto incostituzionali quanto incompatibili con la natura stessa dell’istituto arbitrale.
Anche sul profilo del ruolo da attribuire alla Camera ar- bitrale l’esecutivo si e` spinto al di la` del mandato rice- vuto e le istanze del legislatore volte a perseguire la stra- da della trasparenza e della professionalita` nella forma- zione dei collegi arbitrali sono rimaste largamente disat- tese.
In ultimo, le norme di procedura introducono un regi- me di preclusioni che pare incompatibile con l’attuale disciplina dell’arbitrato previsto dal codice di rito. Ne consegue che la riforma appare - ancor prima del suo concreto avvio su larga scala - inidonea a perseguire l’auspicato rilancio dell’arbitrato dei LL.PP.
La facoltativit`a della via arbitrale
puo` che restare) quello di porre rimedio alla
U no dei punti fermi della riforma era (e non
del regolamento (15) - la possibilita` cui si e` riferita la Consulta di «recuperare» la volonta` pattizia nel mo- mento dell’insorgenza della lite (16) e si e` viceversa previsto - analogamente a quanto disposto dal codice di rito - che le parti possono devolvere la lite in arbitri o con apposito compromesso o con una clausola compro- missoria, quindi con una manifestazione di volonta` co- munque antecedente all’insorgenza della lite.
Avveniva nel passato che le controversie potevano es- sere devolute in arbitri persino senza una vera e propria clausola compromissoria ma, ex lege, per effetto del mero richiamo al capitolato d’appalto D.P.R. n. 1063/ 1962 (17) e degli artt. 43 e ss., ivi contenuti: con la ri- forma le parti dovranno viceversa manifestare esplicita- mente e con apposita pattuizione la volonta` di compro- mettere in arbitri la controversia.
Per tali ragioni autorevole dottrina ha affermato che
«sotto questo profilo l’arbitrato in materia di lavori pub- blici ha perso ogni caratteristica di specialita`» (18).
Tuttavia, sebbene la questione appaia definitivamente risolta, non va sottovalutato il rischio che nell’applica- zione pratica si tenti di aggirare la surichiamata sentenza della Consulta e si faccia rientrare dalla finestra cio` che e` uscito dalla porta: un segnale significativo in tal senso potrebbe rilevarsi dall’uso nell’art. 150 del termine om- nicomprensivo «atti contrattuali» in luogo del termine
«contratto» previsto dall’art. 808 c.p.c.
Che non si tratta di una svista sembra confermato dalla formulazione dell’art. 34 del capitolato generale d’appal- to dove si e` ulteriormente ampliata la nozione «atti contrattuali» sino a prevedere che «Se il contratto o gli atti di gara non contengono espressa clausola compro-
missoria.....»; si e` cos`ı
implicitamente ritenuto che la
censura di incostituzionalita` comminata nei confronti delle precedenti regole dell’arbitrato dei LL.PP. dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 152/1996: la scelta dell’arbitrato nei LL.PP. non deve essere obbligatoria (12), analogamente a quanto avvie- ne nell’arbitrato tra privati.
Il rimedio veniva subito adottato sebbene con la insod- disfacente e laconica (13) formulazione dell’art. 10, comma 1, legge n. 415/1998, norma con la quale si di- sponeva che le controversie «possono essere deferite ad arbitri» in luogo della precedente disciplina che preve- deva che «la definizione delle controversie e` attribuita ad un arbitrato» (14).
Conseguentemente con l’art. 150, comma 1, reg. att., si e` provveduto ad esplicitare la portata della norma: cio` e` avvenuto nel senso che «Nel caso in cui gli atti con- trattuali o apposito compromesso prevedono che le eventuali controversie insorte tra la stazione appaltante e l’appaltatore siano decise da arbitri, il giudizio e` de- mandato ad un Collegio istituito presso la Camera arbi- trale per i lavori pubblici, ai sensi dell’art. 32 della leg- ge».
Introdotta la facoltativita` della scelta arbitrale deve rite- nersi esser venuta meno - dalla data di entrata in vigore
clausola compromissoria possa essere anticipata al mo-
mento della determinazione delle regole proprie della fase di evidenza pubblica.
Note:
(11) Cos`ı l’art. 32, comma 2, legge 109/94 come modificato dall’art. 10 della legge 415/98.
(12) V. sent. cit., in Corr. Giur., cit., 767. Per un quadro storico sull’arbi- trato dei LL.PP. vedi da ultimo Basilico, La risoluzione arbitrale di controver- sie in materia di appalti: dagli arbitrati obbligatori agli arbitrati amministrati, in Giust. Civ., 2000, II, 35 ss.
(13) X. Xxxxxxxx A., La nuova normativa, cit., 624.
(14) Art. 32 legge n. 109/1994 come modificata dalla legge n.216/1995.
(15) Cioe` dal 28 luglio 2000 e con le modalita` di cui al regime transito- rio introdotto dal comma 4 dell’art. 10 legge n. 415/1998.
(16) Si trattava della conseguenza dell’art. 16 legge n. 741/1981 e di una clausola arbitrale definita da Basilico, La risoluzione arbitrale di controversie in materia di pubblici appalti, cit., p. 39, di «tipo inverso».
(17) Sulla vincolativita` della scelta arbitrale per effetto del mero richiamo al capitolato generale -pur in assenza di una clausola vera e propria, ravvi- sandosi un contratto a relazione perfetta x. Xxxx., Sez. Un., n. 5292 del 12 giugno 1997 in Foro It., Rep. 1997, voce Opere pubbliche, n. 644 e da ultimo Cass., sez. I, n. 8420 del 21 giugno 2000 in Foro It., Rep., 2000, voce Opere pubbliche, n. 23.
(18) Xxxxx, La Camera arbitrale, cit., 412.
946 URBANISTICA E APPALTI 9/2001
Ma legittimare l’inserimento dell’opzione arbitrale negli atti di gara, quindi in un momento precedente a quello della formazione del contratto (durante il quale il con- traente privato e` solo un aspirante contraente e la p.a. dispone della maggiore forza contrattuale dovendo an- cora scegliere il proprio partner contrattuale) o median- te il mero richiamo ad un allegato al contratto, significa dare strumenti alla p.a. per «forzare« la scelta arbitrale e per limitare l’effettivita` del consenso.
Il rischio di veder riproporre il problema della genuinita` del consenso alla scelta arbitrale - gia` risolto dalla Corte cost. con la sent.n. 152/1996 - e` quindi tutt’altro che remoto (19); e` quindi opportuno rimarcare che il Giu- dice delle leggi in tale decisione aveva invitato il legi- slatore a tenere specificamente conto della necessita` che esista una volonta` effettiva di derogare alla giurisdi- zione del giudice ordinario anche nei casi in cui «il contratto sia predisposto dalla pubblica amministrazio- ne» (20).
Sicche´, alla luce di questa specifica indicazione - ed an- che a fronte di siffatte «scivolose» disposizioni regola- mentari - deve in ogni caso garantirsi un meccanismo di formazione della volonta` compromissoria che salva- guardi l’effettiva e libera, volonta` delle parti di derogare alla competenza del Giudice togato.
Ne consegue che per garantire la successiva incontesta- bilita` del consenso della parte privata (e quindi l’effetti- vita` della volonta` di compromettere la lite), la clausola compromissoria dovra` essere inserita nel contratto e non viceversa in atti da esso richiamati (21); inoltre es- sa dovra` essere esplicitamente sottoscritta ai sensi del- l’art. 1341, comma 2, c.c., dall’appaltatore (22), analo- gamente a quanto avviene nei casi in cui, tra privati, il contratto sia predisposto da uno solo dei contraen- ti (23).
’L
Composizione del Collegio arbitrale e autonomia delle parti
art. 150, comma 2, Reg., prevede che ciascuna delle parti nomini un arbitro e che il terzo arbi- tro, con funzioni di Presidente del Collegio,
venga scelto dalla Camera arbitrale nell’ambito dell’albo camerale.
Xxxxx ha rilevato che alla luce di siffatta disposizione «la nomina del terzo arbitro (con funzioni di Presidente del Collegio) e` necessariamente effettuata dalla Camera ar- bitrale» (24) e che «le parti, quindi, si vedono tolta la possibilita` di nominare direttamente, d’accordo fra loro, il terzo arbitro, o di individuare, per la nomina del terzo arbitro, meccanismi diversi da quello previsto ex lege: in particolare, esse non possono deferire la nomina del ter- zo arbitro all’accordo dei primi due, da ciascuna di esse direttamente nominati» (25). Purtuttavia l’Autore ha giustamente rilevato l’incomprensibilita` di una normati- va che lascia «le parti libere nella scelta della via arbi- trale, ma che se tale scelta e` fatta, le costringe ad un ar- bitrato amministrato, e sottrae loro il rilevante potere di
scelta del terzo arbitro, affidando la nomina dello stesso ad un apparato pubblico» (26).
La creazione di un arbitrato amministrato ex lege com- porta un triplice ordine di questioni:
– se sia consentito sottrarre alle parti che decidono di compromettere la lite il potere di individuare criteri di costituzione del Collegio;
– se sia ammissibile impedire alle parti di poter nomi- nare direttamente o indirettamente il terzo arbitro (27).
– se sia, in ultimo, consentito sottrarre alle parti le re- gole del processo arbitrale (28).
Sebbene la risposta del legislatore delegato in tutte e tre le ipotesi sia in senso positivo, va rilevato che ai sensi dell’art. 10, comma 3, legge n. 415/1998, il regolamento era (ed e`) fonte idonea a definire solo «la composizione e le modalita` di funzionamento della camera arbitrale» (e non quindi dei singoli Collegi), non estendendosi la delega alla regolamentazione dei criteri di composizione dei collegi ed alla sottrazione alle parti del potere di sce- gliere in accordo tra loro il terzo arbitro.
Ne´, per altro verso, la fissazione «secondo principi di trasparenza, imparzialita` e correttezza» dei «requisiti sog- gettivi e di professionalita` per assumere l’incarico di ar-
Note:
(19) Si avvede di tale rischio anche Borghesi, La Camera arbitrale per i la- vori pubblici: dall’arbitrato obbligatorio all’arbitrato obbligatoriamente ammini- strato, in Corr. Xxxx., 2001, 689, il quale suggerisce di interpretare l’inseri- mento della clausola compromissoria da parte della p.a. nei documenti di gara come una mera proposta di arbitrato.
(20) Corte cost., cit., in Corr. Giur., 1996, 767.
(21) Xxx la clausola compromissoria fosse quindi inserita solo negli atti di gara o venga richiamata per relationem e non sottoscritta nel contratto, sarebbe ipotizzabile l’inefficacia della clausola stessa a vincolare la parte al- l’arbitrato.
(22) Cos`ı Xxxxxxxxxx, in AA.VV., Il regolamento della legge sui lavori pub- blici, Milano, 2000, 499; contra Xxxxx, La Camera cit., 419, per il quale
«Ne´ ha rilevanza che la clausola compromissoria sia contenuta in atti, co- me il capitolato speciale o il contratto, predisposti unilateralmente dal soggetto aggiudicatore».
(23) Alla medesima conclusione e` giunto Grossi, L’art. 1341, cod. civ. ne- gli arbitrati con la Pubblica Amministrazione, in Riv. Arb., 2001, 109; Contra Punzi, Disegno sistematico, cit., 202, per il quale la citata disposizione non persegue l’effettivita` del consenso. L’illustre A. infatti ritiene che il requisi- to formale per l’efficacia di determinate condizioni contrattuali non tende tanto al soddisfacimento di una generica esigenza di tutela del contraente piu` debole quanto piuttosto a sollecitare la partecipazione di un contraen- te alla conoscenza e alla valutazione delle condizioni generali del contrat- to predisposte dall’altro contraente atteso che il fine della legge e` quello di «richiamare l’attenzione del soggetto sull’importanza tutta particolare dell’atto che sta compiendo, stipulando un contratto in cui abbia attuazio- ne la volonta` generale del predisponente, in modo da realizzare l’egua- glianza dei soggetti nella fase formativa del contratto».
(24) Xxxxx, La camera, cit., 414; Borghesi, La Camera arbitrale per i lavori pubblici: dall’arbitrato obbligatorio all’arbitrato obbligatoriamente amministrato, cit., 686, ritiene trattasi di arbitrato «necessariamente amministrato».
(25) Xxxxx, id., 414.
(26) Xxxxx, id., 424.
(27) Xxxxx, id., 421.
(28) Xxxxx, id., 420.
URBANISTICA E APPALTI 9/2001
947
bitro» (29) possono autorizzare siffatta avocazione dei poteri delle parti alla Camera arbitrale. Ne consegue che sotto tale profilo i limiti della legge delega risultano palesemente violati.
Per vero anche sul terzo profilo, il legislatore al comma 2 dell’art.10 aveva (ed ha) disposto al legislatore delega- to il pregnante limite del rispetto dei principi sanciti nel codice di rito, limite che invece appare evidente- mente superato.
Tralasciando per un attimo la questione delle regole del processo arbitrale sulle quali si dira` innanzi, appare evi- dente che l’art. 150 reg. att., nella misura in cui dispone l’avocazione del criterio di costituzione del Collegio e, soprattutto, del potere di nomina del terzo arbitro (30), entri in contrasto con la legge delega e con le norme degli artt. 806 e ss. c.p.c., quindi con norme di fonte ge- rarchicamente superiore (31).
Ne consegue che - nonostante il testo dell’art. 150 reg. att. non mi pare possa precludersi alle parti di scegliere concordemente in un compromesso l’intero collegio ar- bitrale (anche in numero di componenti superiore a quello previsto) o di disporre a mezzo di clausola com- promissoria dei criteri di nomina del terzo arbitro.
Ne´ sfugga che - ove si condividesse la necessita` di limi- tare ad alcuni soggetti soltanto la funzione di presidente del Collegio - l’unico vincolo eteronomo che potrebbe derivare alle parti con sicura legittimita` dovrebbe indi- viduarsi nella necessita` di effettuare la scelta del terzo arbitro tra gli iscritti all’albo degli arbitri.
S
Illegittimit`a costituzionale dell’art. 150 reg. att.
i e` gia` esposto che l’art. 150, comma, reg. att., nella misura in cui avoca in favore della Camera arbitrale il potere delle parti di decidere il nume-
ro degli arbitri ed il modo di designarli, si pone in con- trasto con la legge delega. La norma regolamentare e` dunque incostituzionale atteso che la devoluzione della controversia ad un Collegio arbitrale la cui composizio- ne non e` frutto della libera scelta delle parti ma di un’imposizione normativa non e` compatibile con la na- tura dell’arbitrato e quindi con la Carta costituzionale. Va premesso che nell’arbitrato rituale il potere di stabili- re il numero e le modalita` di nomina degli arbitri e`, ai sensi degli artt. 806 e ss., c.p.c., rimesso alla volonta` congiunta delle parti con il solo limite del rispetto del- l’ordine pubblico (32): il fondamento dell’autonomia contrattuale risulta infatti derogato solo nella misura in cui il legislatore debba intervenire per imporre il rispetto di regole di carattere generale quali il numero necessa- riamente dispari degli arbitri componenti il collegio ar- bitrale (33) o per assicurare che entrambe le parti possa- no partecipare in posizione di eguaglianza alla nomina dei componenti il collegio (34), regole queste ultime che assicurano e garantiscono la concreta fattibilita` del- l’arbitrato anche in ipotesi in cui la volonta` compromis- xxxxx non e` completa (35).
E` quindi un dato incontestabile che i limiti imposti dal-
l’ordinamento in subiecta materia hanno lo scopo di ga- rantire l’espressione della volonta` delle parti senza sosti- tuirsi ad esse. In altri termini vige in materia arbitrale il principio della supremazia dell’autonomia privata.
Tanto si e` ribadito anche con la riforma dell’arbitrato del 1994, dove - anche nei casi in cui le parti abdichino al potere/dovere di definire le regole di costituzione del Collegio arbitrale - si e` esplicitamente disposto che la disciplina integrativa apprestata dal legislatore possa es- sere sempre sostituita anche da un successivo accor- do (36).
Ne consegue che anche in ipotesi di intervento norma- tivo, nell’arbitrato ex artt. 806 e ss. c.p.c., i criteri di co- stituzione del Collegio arbitrale non possono che prove- nire, seppure indirettamente, dalla volonta` (o dalla vo- lontaria inerzia) delle parti.
Alla luce di quanto innanzi va rilevato che l’art. 150 reg. att. non solo viola il principio del rispetto della vo- lonta` delle parti, ma implicitamente pone anche un li-
Note:
(29) Art. 10, comma 3, legge n. 415/1998.
(30) Per riaffermare che non possa essere effettuata un’altra forma di arbi- trato, il comma 3 dell’art. 34 del cap. gen. ribadisce che «nelle ipotesi di cui al comma 2, le controversie sono risolte da un collegio arbitrale costi- tuito presso la camera arbitrale dei lavori pubblici secondo le modalita` previste dal regolamento».
(31) Con il termine regolamento si ricomprendono una serie ben distinta (per estensione di poteri e per valore normativo) di regolamenti; per una disamina degli stessi x. Xxxxxx Xxxxxxx A., La normazione secondaria in AA.VV. Diritto amministrativo, ss., Bologna, III ed., 2001, I, 218; Xxxxxx- xxxxx, voce Regolamento (dir. cost.), in Enc. Dir., XXXIX, Milano, 1988, 607. Con riferimento specifico al regolamento di attuazione v. Maddale- na, Potesta` regolamentare in AA.VV. L’attuazione delle legge quadro sui lavori pubblici, cit., secondo cui «la legge n. 109 definisce l’oggetto del regola- mento indicando gli ambiti all’interno dei quali esso e` autorizzato a preve- dere norme di delegificazione (art. 3, comma 1, lett. a), b), c), d) della legge n. 109/1994), nonche´ i profili rispetto ai quali il regolamento deve limitarsi a dettare norme di esecuzione (art. 3, comma 6 della legge n. 109/1994)». Il regolamento per l’A. e` quindi «un corpus normativo unita- rio, benche´ costituito da due diverse fonti, una di rango primario e una di rango secondario», quindi «aventi natura mista». Fatta questa premessa deve ritenersi nella materia della formazione del collegio arbitrale esclusa l’esistenza di una fonte primaria in quanto la potesta` regolamentare attri- buita dalla legge n. 415/1998 in materia appare meramente esecutiva, quindi di rango secondario.
(32) Punzi, Disegno, cit., 358.
(33) Punzi, Disegno, cit., 368, avverte che «La ratio del precetto deve es- sere ricostruita con riferimento alla necessita` che il Collegio riesca, in ogni caso, ad esprimere una maggioranza e ad emettere una decisione». Con cio` si evita che il numero pari di arbitri dia luogo «al «partage», la situa- zione di stallo che, nell’art. 1012 del Code, veniva presa in considerazione come causa di cessazione del compromesso». Xxxxxxsi percio` di «prescrizio- ne imposta per ragioni di interesse generale, che quindi le parti non pos- sono derogare nel patto compromissorio».
(34) Cfr. Verde, Diritto dell’arbitrato rituale, cit., 73; conf. Biamonti, voce
Arbitrato (diritto processuale civile) in Enc. Dir., 1958, 914.
(35) Verde, Diritto dell’arbitrato rituale, cit. 74, qualifica tali disposizioni co- me «integrativo-suppletivo».
(36) E` infatti esplicitamente previsto nell’art. 809, comma 3, c.p.c., il du- plice inciso «e le parti non si accordino al riguardo» e «se le parti non hanno diversamente convenuto».
948 URBANISTICA E APPALTI 9/2001
mite all’applicazione dell’art. 809, u.c., c.p.c., per il qua- le qualora manchi l’indicazione del numero degli arbitri essi sono tre e, in mancanza di nomina provvede il Pre- sidente del Tribunale (37).
La previsione del numero degli arbitri e del modo di nominarli costituisce in conclusione il fondamento stes- so della giustizia privata e l’avocazione normativa del potere delle parti di decidere i criteri di costituzione del collegio arbitrale si pone in contrasto con la Carta co- stituzionale nella misura in cui impone alle parti di av- valersi di un arbitrato nel quale non siano rispettati i fondamenti stessi di tale istituto.
Per vero che l’avocazione normativa dei criteri di costi- tuzione del collegio arbitrale sia incompatibile con la Costituzione e` vexata quaestio (38): da tempo la dottrina ha elaborato nei confronti di disposizioni analoghe la fi- gura del c.d. arbitrato obbligatorio «come un quid me- dium, tra il giudice speciale e il giudice ordinario» (39), giungendo a distinguere tra arbitrato obbligatorio e giu- risdizione speciale con l’individuazione di svariati indi- ci (40).
Xxxx xx Xxxxx affermava potersi distinguere tra arbitrato volontario, arbitrato necessario e giurisdizione speciale,
nari; per la scelta degli arbitri, liberamente effettuata dalle parti» (46). Nel medesimo senso Xxxxxxxxxxxx per il quale «Se l’autonomia privata e` la fonte unica dell’arbitrato e se esso deve riposare sulla volonta` di en- trambe le parti, questa volonta` trova anche un fonda- mento e una difesa costituzionali che impediscono alla legge di incidere sulla sfera negoziale delle parti anche quando l’una sia l’amministrazione e l’altra l’appaltatore. A questa stregua, vanno guardati con molto sospetto anche i tentativi di incidere sulla forma dell’arbitrato, intesa come modalita` di composizione del Collegio e di svolgimento del giudizio» (47). Da ultimo, Xxxxx per il quale «se non si trovano ragioni specifiche che giustifi- chino la sottrazione alle parti di rilevanti profili di auto- nomia privata, e che giustifichino l’esperibilita` del solo arbitrato amministrato presso la Camera arbitrale dei la- vori pubblici, mi sembra ineludibile l’incostituzionalita` della disciplina» (48).
Ma una volta assunta l’incostituzionalita` della norma
che incida sul potere delle parti di decidere modi di co- stituzione e designazione degli arbitri, non si puo` a for- tiori consentire che l’avocazione dei criteri di costituzio-
sol considerando il potere di disposizione delle parti in
due diversi momenti: a) liberta` di scelta tra l’arbitrato e il ricorso agli organi giurisdizionali dello Stato; b) liberta` di scelta dei giudici tra persone di fiducia delle parti. Quando ricorrono in favore delle parti entrambe le li- berta` di scelta si ha l’arbitrato volontario (41); quando manca solo la prima si ha l’arbitrato obbligatorio; quan- do mancano entrambe le facolta` di scelta si ha la giuri- sdizione speciale (42).
Tale tesi dottrinale ha trovato seguito nella giurispru- denza costituzionale: la Consulta ha espressamente escluso la possibilita` di introdurre deroghe al noto prin- cipio «chi vuol far valere un diritto in giudizio non puo` rivolgersi se non ai giudici ordinari, ai giudici speciali elencati nell’art. 103 con l’unica alternativa del ricorso all’arbitrato rituale, il cui fondamento pero` e` da rinve- nirsi nella libera scelta delle parti». «non si da` spazio
per un terzo tipo di deroga al principio dell’unita` della giurisdizione e, cioe`, per gli arbitrati imposti dalla leg- ge» (43).
Sulla scorta di tali affermazioni si e` detto che «il fonda- mento di questo istituto risiede. nella volontaria scelta
delle parti di far decidere - nei casi consentiti dall’ordi- namento - i loro contrasti da un giudice non statua- le» (44), e che «la liberta` di volonta` dei contraenti di dare corso a tale procedimento non puo` non estrinse- carsi anche in quella di scelta dei componenti il Colle- gio arbitrale tra persone di loro fiducia, onde questa fa- colta` costituisce l’elemento essenziale per distinguere una procedura arbitrale da una giurisdizione specia- le» (45). Autorevoli consensi sono stati espressi anche nella dottrina piu` recente: Xxxxxxx Xxxxxxx infatti ritie- ne che «l’arbitrato facoltativo e` tale per due aspetti: per la scelta di esso fatta dalle parti in luogo dei rimedi ordi-
Note:
(37) Il problema pare secondario allo stato attuale in cui la composizione del collegio arbitrale ex art. 150 e` «a tre» analogamente a quanto previsto dall’art. 809 c.p.c.; tuttavia una volta ritenuta come consentita la deroga all’art. 809 c.p.c. con una modifica regolamentare, sarebbe altres`ı ammissi- bile una successiva elevazione del numero degli arbitri o un’ulteriore mo- difica dei criteri di costituzione del Collegio arbitrale.
(38) Per un resoconto dettagliato della querelle x. Xxxxxxxxxxxx, Dell’arbitra- to, Milano, 1988, 283 ss.
(39) Schizzerotto, cit., 284.
(40) Tra essi la volontarieta` della compromissione in arbitri, la formazio- ne dei collegi giudicanti sottratta all’iniziativa delle parti; la permanenza del collegio giudicante; l’esecutivita` della decisione senza l’intervento del- l’Autorita` giurisdizionale. Sul punto, x. Xxxxxxx, Commentario del codice e delle leggi di procedura civile, Milano I, 657; Calamandrei, Contributo alla teoria dell’arbitraggio necessario nel diritto pubblico, in Giur. It., 1924, 259, per i quali: «nell’arbitrato obbligatorio la scelta delle persone componenti il collegio arbitrale e` rimessa in primo luogo alla libera volonta` delle parti, mentre nelle giurisdizioni speciali i componenti dei collegi giudicanti sono scelti, senza alcuna possibile interferenza dei litiganti, da un’autorita` pub- blica che non e` parte in causa».
(41) Conf. Xxxxxxx Xxxxxxx, L’arbitrato nella legge 2 giugno 1995, n. 216, sui lavori pubblici, in Riv. Arb., 1996, 467.
(42) Xxxxx, Nota a Xxxx. 31 luglio 1950 in Giur. It., 1952, I, 1, 359. (43) X. Xxxxx xxxx., 00 xxxxxx 0000, x.000, xx Xxxx. Xx., 1978, I, 1, 1809.
(44) Xxxxxxxxx, La scelta degli arbitri, cit., 793; Xxx. Xxxxx xxxx., x.000 xxx 00 xxxxxx 0000, xx Xxxx Xx., 1977, I, 1949; Xxxxx xxxx., 00 febbraio 1963,
n. 2, in Giur. Cost., 1963, con nota di Barile, L’arbitrato e la Costituzione;
Corte cost., 2 maggio 1958, n. 35.
(45) Xxxxxxxxx, La scelta degli arbitri, cit., 793.
(46) Xxxxxxx Xxxxxxx, L’arbitrato nella legge 2 giugno 1995, n. 216, cit., 467.
(47) Xxxxxxxxxxxx, L’arbitrato nell’ambito dei lavori pubblici, cit., 47 ss.
(48) Xxxxx, La Camera, cit., 420; significativa e` la riflessione dell’illustre
A. «riesce difficile individuare cosa - nella disciplina del diritto sostanziale dei lavori pubblici - giustifichi e sorregga la possibilita` di utilizzare il solo arbitrato amministrato dalla Camera arbitrale per i lavori pubblici».
URBANISTICA E APPALTI 9/2001
949
ne del Collegio avvenga in favore di un soggetto, la ca- mera arbitrale, della cui terzieta` non si ha motivo di non dubitare (49). Cio` senza considerare che nel reg. att. non vi e` nemmeno la garanzia di criteri oggettivi e predeterminati di designazione dell’arbitro destinato a fungere da ago della bilancia tra gli arbitri nominati dal- le parti; con la conseguenza che alla stregua della nor- mativa secondaria - qui criticata - la Camera arbitrale appare investita di un potere sostanzialmente illimitato di nominare chi vuole (50).
L’art. 150 reg. att. prevede che alla designazione del ter- zo arbitro «provvede la Camera arbitrale».
Cio` comporta non solo la limitazione del potere delle parti di decidere il numero degli arbitri ed il modo di nominarli, ma anche l’avocazione alla Camera del pote- re di designazione dell’arbitro con funzione di presiden- te (51).
La sottrazione alle parti della nomina del terzo arbitro non e` tuttavia compatibile con i principi in tema di ar- bitrato.
Infatti nonostante il potere di designazione risulti espres- samente delegabile all’Autorita` giudiziaria o ad un ter- zo (52), per l’evidente esigenza di perseguire l’imparziali- ta` del terzo arbitro (53), la dottrina rimarca che la scel- ta degli arbitri e` manifestazione dell’autonomia delle parti che vi procedono liberamente (54).
I meccanismi di designazione degli arbitri, che si con- cretano in atti a prevalente contenuto esecutivo (55), devono pur sempre essere riferibili all’accordo compro- missorio, quindi, alle parti: «possono essere le stesse par- ti a nominare contestualmente all’accordo tutti gli arbi- tri o rinviare la nomina ad atto successivo (che xxxx` atto di integrazione dell’accordo compromissorio da redigere per iscritto ad substantiam) ovvero riferirsi ad una istitu- zione arbitrale precostituita (c.d. arbitrato amministra- to); le parti possono nominare ognuna il proprio arbitro e individuare il meccanismo per la scelta del ter- zo» (56).
Quindi la scelta del criterio da adottare per la designa- zione del terzo arbitro non puo` che essere rimessa alle parti e non viceversa imposta dall’esterno (57): infatti anche ove le parti decidano di avvalersi di un arbitrato amministrato, tale scelta (e la delega di poteri che il ri- volgersi a tali istituzioni molto spesso comporta) non puo` che risiedere nella loro autonoma scelta di far pro- prio il contenuto negoziale di siffatti regolamenti arbi- trali.
Infatti sebbene le parti possano spontaneamente delega- re al terzo la nomina di uno o piu` arbitri, tale potere non puo` essere avocato dal legislatore se non a fronte di ragioni di ordine pubblico ed a condizione di non al- terare il diritto di ciascuna parte a partecipare in posizio- ne di eguaglianza alla nomina dei componenti il colle- gio (58): anche la delega, attribuita dalle parti ad un terzo o all’Autorita` giudiziaria, di nominare uno o piu` arbitri nell’accezione di cui all’art. 809 e s., e` anch’essa il frutto di una manifestazione del potere dispositivo
delle parti in materia con la conseguenza che, pur pre- scindendo dalla configurazione giuridica della nomina come diritto/onere delle parti (59), anche gli arbitri no-
Note:
(49) Sul punto x. Xxxxx, cit., 422 ss., «Resta, quindi, il dubbio che l’auto- xxxx`, e per essa la camera arbitrale, che ne e` emanazione, non sia effettiva- mente indifferente alla decisione della controversia. Dovendo, infatti, per legge curare gli interessi della parte pubblica, xxxx` portata a nominare co- me terzo arbitro chi appare piu` sensibile a tali interessi o, peggio, chi in precedenti occasioni ha gia` dimostrato di esserlo».
(50) Cos`ı Luiso, cit., 422; Il rischio che non si apprestasse «un meccani- smo trasparente e distribuzione degli incarichi» era stato stigmatizzato nel commento alla legge n. 415/1998 da Spagnolo A., La nuova normativa, cit., 628. L’adozione spontanea da parte della Camera arbitrale di criteri e parametri di individuazione dell’arbitro, ispirati alla casualita` ed al merito (v. comunicato del 14 dicembre 2000), non colma la grave lacuna del re- golamento. La difficolta` di introdurre criteri insuscettibili di manipolazioni segnalata da Borghesi, cit., 688, e la condivisibile aspettativa che gli uo- mini costituenti la Camera suppliscano al vuoto normativo con le proprie qualita` personali, tuttavia sottolinea l’incapacita` del legislatore delegato di approntare, in una materia cos`ı delicata, una disciplina che garantisca tra- sparenza, imparzialita` e professionalita` prescindendo dalle qualita` soggetti- ve di ciascuno.
(51) Xxxxx, La Camera, cit., 414.
(52) Punzi, Disegno, cit., 360; Xxxxxxxxx, Fazzalari, Marengo, La nuova di- sciplina dell’arbitrato, Milano, 1994, 36; Siracusano, in Codice di procedura civile commentato a cura di Verde-Vaccarella, IV, 1997, 807; Xxxxxxxxxx, Il diritto dell’arbitrato, cit., 57; In giurisprudenza, x. Xxxx., 00 agosto 1990, n. 8608 in Foro It., Rep., 1990, v. Arbitrato, n. 71.
(53) Il problema dell’imparzialita` dell’arbitro e` uno dei piu` sentiti nella prassi ed in dottrina; x. Xxxxxxxxx, Ancora sull’imparzialita` dell’arbitro, in Riv. Arb., 1998, 1 ss.; Xxxxxxx, La ricusazione dell’arbitro, in Riv. Arb., 1998, 17 ss.; Xxxxxxx, Note sull’imparzialita` dell’arbitro di parte, in Riv. Arb., 481; Xxxxxxxx, L’imparzialita` dell’arbitro nell’arbitrato interno ed internazionale, in Riv. Dir. Proc., 1995, 144 ss.
(54) Xxxxxxxxx, Fazzalari, Marengo, La nuova disciplina dell’arbitrato, 29; conf., Xxxxxxxxx, La scelta degli arbitri e la costituzione del collegio arbitrale: deontologia e prassi, in Riv. Arb., 1992, 793 ss.
(55) Verde, Diritto dell’arbitrato rituale, cit., 71; Punzi, Disegno, cit., 366.
(56) Verde, Diritto, cit., 71.
(57) A tal proposito in dottrina si e` posto il problema se la normativa in questione - nella misura in cui realizza una esclusiva a favore della Came- ra arbitrale dei LL.PP., in un contesto nel quale operano altri organismi camerali - possa costituire un problema di concorrenza tra camere arbitra- li, quindi in violazione della normativa comunitaria che appunto prevede l’arbitrato e la conciliazione come servizi, quindi da operare in regime di concorrenza. Sul punto tuttavia esclude l’applicazione della normativa co- munitaria Corsini, L’arbitrato, in AA.VV. Manuale del diritto dei lavori pub- blici, cit., 586, ritenendo «che la Camera arbitrale non opera in regime di imprenditorialita`, e la stessa gestione del contenzioso arbitrale non e` con- figurata dalla legge come idonea a produrre utile».
(58) Verde, Diritto, cit., 73; si pensi all’ipotesi dell’arbitro unico od a quella dell’arbitrato con pluralita` di parti Xxxxxxxxxx, Arbitrato con pluralita` di parti e designazione degli arbitri: uguaglianza delle parti e imparzialita` degli ar- bitri, in Riv. Arb., 1992, 104, il quale sottolinea che intendere il principio di uguaglianza come diritto di ciascuna parte di designare un arbitro com- porterebbe un’accentuazione del legame parte-arbitro che si porrebbe in evidente contraddizione con l’altro principio di indipendenza e dell’impar- zialita`.
(59) Xxxxx, Contributo alla dottrina dell’arbitrato, Milano, 1969, 38 ss.; v. inoltre in dottrina Verde, Diritto dell’arbitrato rituale, cit., 65, nota 1, il quale lo ritiene come onere, piu` che come obbligo; contra Xxxxxxxxx, l’Ar- bitrato, Torino, 1991, 121 il quale lo ritiene obbligo; costituisce invece un atto dovuto per Xxxxxxxxxxxx, cit., 395.
950 URBANISTICA E APPALTI 9/2001
minati dal terzo o dall’Autorita` giudiziaria trovano di re- gola la legittimazione della loro potestas judicandi nella volonta` congiunta delle parti e nell’incarico (60) che da questi, direttamente od indirettamente, proviene. Il Satta ha infatti rilevato che la designazione dell’arbitro non rappresenta un potere di scelta del giudice, ma il contenuto di un obbligo (e correlativamente di un dirit- to) contrattuale, uno degli obblighi e dei diritti cioe` sca- turenti dal compromesso (61).
Costruito quindi il potere di designazione come un di- ritto/obbligo congiuntivo (62) delle parti, esso non puo` quindi essere sottratto alle parti senza pregiudicare la na- tura stessa della funzione arbitrale. In tal senso Xxxxx ha rilevato che «data la forte caratterizzazione di fiduciarie- ta` propria della funzione degli arbitri, alle parti non puo` essere imposto di rinunziare alla loro nomina: esse pos- sono solo dismettere volontariamente tale potere» (63). La regolamentazione novellata - nella misura in cui la fonte di legittimazione dell’incarico conferito al terzo ar- bitro non e` nella volonta` delle parti (sicche´ il terzo ar- bitro con funzioni di Presidente non e` investito da al- cun rapporto fiduciario) - non appare compatibile con la natura stessa dell’istituto arbitrale; con la conseguenza che la riforma provoca pericolose crepe nella struttura privatistica del rapporto parti-arbitro. Se vi siano poi profili di riconducibilita` delle conseguenze giuridiche degli atti effettuati dal terzo arbitro all’istituzione (la Ca- mera arbitrale) che tale nomina ha effettuato (64) non e` agevolmente ipotizzabile: certo e` che ove non inter- venga una opportuna rimeditazione della novella, il tra- dizionale rapporto parti/arbitri andrebbe debitamente ri- considerato (65).
In conclusione, l’art. 150 reg. att. appare verosimilmen- te incostituzionale e sotto piu` profili: in quanto sottrae alle parti poteri che costituiscono il fondamento stesso della giustizia arbitrale; in quanto avoca tali poteri in fa- vore di un soggetto della cui imparzialita` e` lecito dubita- re.
In conclusione, in conformita` a quanto aveva stabilito il legislatore con la legge n. 216/1995 (66), non pare potersi escludere il diritto delle parti di deferire - sul proprio accordo - le controversie ad un Collegio arbitra- le composto secondo criteri diversi da quelli regolamen- tari (67).
Solo la regolamentazione di criteri di composizione del Collegio integrativi dell’eventuale mancato accordo del- le parti puo` ritenersi legittima analogamente a quanto e` stato previsto ai sensi dell’art. 809, u. c, c.p.c., con riferi- mento all’intervento sostitutivo del Presidente del Tri- bunale. Quindi in attesa di un’auspicabile «controrifor- ma» mi sembra non si possa limitare il potere delle parti di designare nell’accordo un presidente del Collegio di propria fiducia attingendo direttamente tra gli iscritti al- l’albo degli arbitri. In ogni caso, con riferimento all’at- tuale disciplina, le parti che vorranno mettersi al riparo da ogni possibile problema - nella costituzione dei nuovi collegi arbitrali - potranno esplicitamente autorizzare la
Camera arbitrale ad effettuare la scelta del terzo arbitro con funzione di presidente, dichiarando di volersi avva- lere di una composizione collegiale «a tre» ed espressa- mente delegando la Camera arbitrale alla nomina del terzo arbitro.
L
La camera arbitrale per i LL.PP.
’art. 10, legge n. 415/1998, prevede solo che il Collegio arbitrale debba costituirsi presso la Ca- mera arbitrale e che il regolamento avrebbe defi-
nito «la composizione e le modalita` di funzionamento della Camera arbitrale dei LL.PP.» (e non quindi dei costituendi collegi arbitrali) nonche´ «i criteri cui la ca- mera arbitrale dovra` attenersi nel fissare i requisiti sog- gettivi e di professionalita` per assumere l’incarico di ar- bitro».
Il regolamento di attuazione tuttavia ha disciplinato molti aspetti al di la` del «mandato» ricevuto mentre ha omesso le norme di esecuzione per aspetti fondamentali nell’economia della riforma quali i criteri di scelta da utilizzarsi per effettuare la designazione del terzo arbitro tra categorie ed, una volta individuata la categoria (ma- gistrati, avvocati, ingegneri, professori, ecc... ), all’inter- no di esse (68), disattenzioni non di poco conto alla lu-
Note:
(60) Per Verde, op. ult. cit., 68, la natura dell’incarico potrebbe essere o
«un negozio misto, che raccolga pro parte la disciplina del mandato e quella della locatio operis ovvero pensare ad un contratto dotato di propria individualita` e disciplinato nei suoi aspetti essenziali dal codice di proce- dura civile».
(61) Satta, cit., 32.
(62) Sul carattere congiuntivo della nomina e sullo svolgimento congiun- tivo del rapporto v. Redenti, voce Compromesso (dir. proc. civ.), in Nov. Dig. It., III, Torino, 1959, 790 ss.
(63) Xxxxx, La camera, cit., 421.
(64) Si pensi alla designazione da parte della Camera arbitrale di soggetto non iscritto o la cui iscrizione e` irregolare o scaduta, ecc.
(65) Si vedano i primi tentativi in tal senso da parte di Buonfrate-Leo- grande, L’arbitrato negli appalti pubblici - Commento al Decreto interministe- riale 2 dicembre 2000, n. 398, Milano, 2001, 21 ss., i quali ipotizzano una fattispecie contrattuale complessa di natura privatistica a formazione pro- gressiva.
(66) Sebbene con i ben noti contrasti interpretativi, l’art. 32 legge n.109/ 1994 come modificato dalla legge n. 216/1995 prevedeva che «la defini- zione delle controversie e` attribuita ad un arbitrato ai sensi delle norme del titolo VIII del libro quarto del codice di procedura civile», parificando cos`ı l’arbitrato delle OO.PP. a quello tra privati.
(67) Non ci si nasconde che la parte pubblica potrebbe ritenersi vincola- ta alle regole illegittime, ma cio` soltanto per timidezza: scegliere un Presi- dente al di sopra delle parti nell’accordo con l’appaltatore o il concessio- nario (magari tra quelli iscritti all’Albo) ricorrendo all’istituzione soltanto in caso di disaccordo sembra la soluzione piu` corretta in base ai principi ed al di la` del mero rispetto della lettera della legge.
(68) Cio` ha lasciato la Camera Arbitrale libera di autodisciplinare moda- lita` di scelte e di nomina dell’arbitro mediante un meccanismo dal quale non solo emerge l’esercizio di una rilevante discrezionalita`, ma che rischia di prestare il fianco a contestazioni in ordine alle nomine, con possibili ri- svolti giurisdizionali in ordine alla regolare costituzione del Collegio arbi- trale.
URBANISTICA E APPALTI 9/2001
951
ce delle esortazioni della dottrina piu` autorevole a ga- rantire «la piu` limpida imparzialita` dell’arbitro» (69).
Conseguentemente lo spirito della legge n. 415/1998 non risulta trasfuso nella normativa attuale visto che l’individuazione dei requisiti soggettivi e di professionali- ta` degli arbitri che costituiva il fulcro della legge delega (ed appariva una svolta rispetto al passato) e` rimasta quasi integralmente inattuata. Lo stesso dicasi per gli inesistenti criteri di trasparenza.
Risulta infatti abbandonata l’idea di una selezione degli arbitri oltre che per requisiti soggettivi, per professionali- ta`, come dimostra la soppressione del comma 5 dell’art. 148 della bozza di regolamento dove si prevedeva «sono ammessi all’albo degli arbitri della Camera arbitrale sog- getti di comprovata esperienza nella materia dei lavori pubblici ed appartenenti alle seguenti categorie:...». L’i- dea originaria di selezionare tutti gli arbitri non solo per astratte categorie, ma anche per la comprovata espe- rienza di ciascuno in materia, e` stata abbandonata.
Sono rimaste soltanto labili tracce dell’originaria indica- zione del legislatore, cio` che dimostra ancor piu` l’incoe- renza del sistema: e` residuato solo un sistema farraginoso che si presta alle critiche piu` disparate e che ha indotto Xxxxx alla considerazione tanto critica, quanto condivisi- bile (70), che la logica sottesa alla nuova normativa e` nella creazione di un meccanismo di controllo del mo- do di risoluzione arbitrale delle controversie in materia di lavori pubblici o nella creazione di un meccanismo di distribuzione degli incarichi di arbitro o, forse, tutte e due le cose insieme (71).
Infatti abbandonato il criterio selettivo legittimo, forma- to sulla fiducia delle parti e quello della professionalita` (invocato dalla dottrina (72) e specificamente richiesto dal legislatore) quale sia il filo conduttore delle scelte dell’esecutivo non e` chiaro, ma intuibile.
Per la scelta del terzo arbitro con funzione di presidente nessun requisito e` stato richiesto per garantire la profes- sionalita` di ciascuno degli appartenenti; solo per i pro- fessori universitari di ruolo nelle materie giuridiche e tecniche e` previsto che per l’inserimento nell’xxxx xxx- bono avere «particolare competenza nella materia dei lavori pubblici»; per gli avvocati si e` voluto semplice- mente ridurre l’accesso richiedendo due distinti requisiti di anzianita`, quello dell’iscrizione all’albo dei cassazioni- sti e quello (incomprensibile per la professione forense) dell’anzianita` per ricoprire l’incarico di Giudice di Cas- sazione.
La non estensione di tali requisiti anche per gli avvocati dello Stato e, quantomeno, quello di anzianita` (di con- sigliere d’appello) per i magistrati, risulta di comprensio- ne particolarmente difficile.
L’iscrizione all’albo - richiesta per l’arbitro di nomina della Camera arbitrale - non e` tuttavia richiesta per gli arbitri nominati dalle parti: questi invece devono solo essere scelti tra professionisti di particolare esperienza nella materia dei lavori pubblici (73).
Un breve raffronto con la normativa regolamentare pre-
gressa evidenzia che - eccettuato il breve periodo di vi- genza della legge n. 216/1995 (che non prevedeva al- cun requisito soggettivo specifico per la nomina ad arbi- tro) - tra i soggetti chiamati a costituire i Collegi arbi- trali vi e` qualche novita`.
Il D.P.R. n. 1063/1962 all’art. 45, individuava come idonei alla funzione di arbitro in subiecta materia i consi- glieri di stato, i consiglieri di corte d’appello, i compo- nenti tecnici del Consiglio superiore dei LL.PP., gli av- vocati dello stato, i funzionari della carriera direttiva, amministrativa o tecnica del Ministero dei lavori pub- blici, e gli avvocati del libero foro.
Il comma 5 dell’art. 151, reg., invece prevede che «So- no ammessi all’albo degli arbitri della Camera arbitrale soggetti appartenenti alle seguenti categorie: a) magi- strati amministrativi, magistrati contabili ed Avvocati dello Stato in servizio, nel numero fissato dalla Camera Arbitrale, designati dai rispettivi istituti di provenienza, nonche´ avvocati dello Stato e magistrati di ogni ordine a riposo; b) avvocati iscritti agli albi ordinari e speciali abilitati al patrocinio avanti alle magistrature superiori e in possesso dei requisiti per la nomina a Consigliere di cassazione; c) tecnici in possesso del diploma di laurea in ingegneria od architettura abilitati all’esercizio della professione da almeno dieci anni ed iscritti ai relativi al- bi; d) professori universitari di ruolo nelle materie giuri- diche e tecniche con particolare competenza nella ma- teria dei lavori pubblici».
Rispetto alla normativa precedente la novella quindi ha disposto: l’estromissione dei magistrati ordinari; l’inseri- mento di quelli contabili; la predesignazione ed il nu- mero chiuso della categoria sub a); l’immissione degli avvocati dello stato; l’introduzione degli avvocati dello stato e magistrati a riposo; l’inserimento dei tecnici in possesso di diploma di laurea in ingegneria ed architet- tura con anzianita` decennale; l’inserimento degli avvo- cati, iscritti in albi ordinari e speciali, abilitati al patroci- nio per le magistrature superiori ed in possesso dei re- quisiti per consigliere di cassazione; l’immissione dei professori universitari di ruolo nelle materie giuridiche e tecniche con «competenza particolare».
Il contenuto della norma e` tuttavia scarno ed insoddi-
sfacente, non solo in relazione alla delicata materia che era chiamata a regolare ma, soprattutto, nella misura in
Note:
(69) Xxxxxxxxx, Una vicenda singolare, cit., 817.
(70) V. nel medesimo senso Spagnolo A., La nuova normativa, cit., 628.
(71) Xxxxx, La Camera, cit., 424. E cio`, prescindendo dalla personale con- vinzione che - anche sulla scorta di una normativa cos`ı deficitaria - la Ca- mera arbitrale riesca con le proprie forze a garantire la chiesta imparzialita`, trasparenza e professionalita` nella distribuzione degli incarichi e nella riso- luzione delle controversie .
(72) V. in tal senso Fazzalari, Una vicenda singolare, cit., 817; Verde, Arbi- trato e pubblica amministrazione, cit., 217.
(73) Cos`ı l’art.150, comma 2, reg.; tali requisiti ovviamente si cumulano ai presupposti di cui all’art. 812 c.p.c.
952 URBANISTICA E APPALTI 9/2001
cui risultano incomprensibili criteri e ragioni delle inno- vazioni introdotte (74), innovazioni che paiono vice- versa giustificabili solo in relazione a logiche estranee al- l’arbitrato tra privati.
L
La partecipazione dei magistrati agli arbitrati dei LL.PP.
e ragioni del mutevole atteggiamento legislativo degli ultimi anni in ordine al ricorso stesso alle procedure arbitrali per la risoluzione del conten-
zioso delle OO.PP. stanno anche nel disagio manifesta- to dalla magistratura ordinaria nel suo insieme (75):
«Da un lato si osserva che non ha senso consentire ai giudici di sottrarre tempo al lavoro ordinario per accudi- re a controversie affidate alla giustizia privata; una giu- stizia che, se pure prevista dal sistema giuridico, si pre- senta come alternativa rispetto a quella devoluta all’or- dine giudiziario. Dall’altro si insiste........sul rischio di una loro esposizione nei mondi degli affari e della politi- ca fortemente inquinati da corruzione e malaffare. A quest’ultimo riguardo e` stato denunciato il pericolo che la partecipazione sistematica agli incarichi arbitrali avvi- cini stabilmente i magistrati ad un’area di interessi poli- tici, economici ed amministrativi dai quali egli dovreb- be rimanere lontano, che le aspettative di guadagno fi- niscano per limitare la sua autonomia» (76).
Al disagio della magistratura ha fatto seguito una lode- vole presa di posizione del C.S.M. (77) e per vero di al- cuni magistrati che si sono rifiutati di designare l’arbitro ex art. 45 D.P.R. n. 1063/1962 (78), provocando una significativa reazione del giudice amministrativo (79).
Ma alla luce di tali premesse - ed ove si condividano le ragioni che hanno indotto all’esclusione dei giudici or- dinari dall’albo degli arbitri - non si comprendono le motivazioni per le quali l’art. 151 disponga l’esclusione dei soli magistrati ordinari (80) e non anche di quelli amministrativi e contabili se e` vero che anche questi ul- timi mi pare debbano essere difesi dalle interferenze che possano limitarne l’autonomia.
Per altro verso, e sul piano obiettivo, non pare utile sot- trarre anche a tali giudici tempo al lavoro ordinario vi- sto che i tempi della giustizia amministrativa e contabile non sono assai dissimili a quelli della giustizia ordinaria. Il risultato della riforma e` quindi sotto tale profilo illogi- co ed incoerente: incomprensibile e` il diverso tratta- mento di magistrati differenziati non per situazioni obiettive, ma esclusivamente per la posizione assunta dal proprio organismo di autogoverno: se il problema esiste l’interesse dello Stato e` (o dovrebbe essere) nel senso opposto a quello di affidare la giustizia privata an- che ai magistrati amministrativi e contabili, gia` oberati dalla situazione di crisi in cui verte la giustizia ammini- strativa e contabile, interessata - come e` noto - da re- cente riforma (81).
Non e` quindi chiara la ratio dell’introduzione nell’albo
della categoria dei giudici contabili, categoria non pre- sente nel D.P.R. n. 1063/1962 abrogato: si persegue for-
se l’idea che il magistrato contabile dovrebbe rilevare ex officio eventuali danni erariali causati da funzionari am- ministrativi o dipendenti o che tale presenza possa (o debba) implicitamente condizionare l’esito del giudizio arbitrale (in senso sfavorevole all’appaltatore) o se, in al- ternativa, vi siano altre motivazioni come il tentativo di condizionare la magistratura contabile (82) attraverso la partecipazione nei collegi arbitrali di suoi componenti. Pervero non va trascurato che l’esclusione della magi- stratura ordinaria e l’inclusione di quella amministrativa e contabile potrebbe costituire un ulteriore segnale «del- la ribadita sfiducia dello Stato italiano, per quanto ri- guarda i rapporti tra la p.a. e il privato, nella funzione giurisdizionale ordinaria esercitata con caratteri di indi- pendenza autonomia e terzieta` e dall’altro, la riaffermata completa fiducia nella giustizia amministrativa» (83).
In relazione a quest’ultimo aspetto non vi e` dubbio che i componenti della magistratura amministrativa e conta- bile costituiscano un’indubbia garanzia di professionali- ta`; tuttavia le ragioni segnalate nonche´, per altro verso, la considerazione dell’avvenuto superamento integrale della logica del sistema precedente (obbligatorieta` della partecipazione dei magistrati in tutti gli arbitrati delle OO.PP.), impongono una riconsiderazione dell’opportu- nita` della partecipazione della giustizia togata alla giusti-
Note:
(74) In tal senso Luiso, La camera, cit., 424.
(75) Fiandaca, Grosso, Proto Pisani, Osservatorio dal Consiglio superiore del- la Magistratura (marzo-agosto 1995) in Foro It., 1995, V, 419.
(76) Fiandaca, Grosso, Proto Pisani, Osservatorio cit., 1995, V, 419. V. inoltre, sulla carta stampata, Xxxxxx, E il magistrato torna a regalarsi l’arbitra- to, in Il Corriere della Sera, 13 gennaio 1999.
(77) Tale posizione viene riassunta da Verde, Arbitrato e pubblica Ammini- strazione, in Dir. Proc. Amm., 1996, 224.
(78) Su tale diniego di nomina e sui riflessi in tema di impugnazione del- l’atto di diniego v. Xxxxxxxx X., In tema di rifiuto di nomina presidenziale dell’arbitro, cit., 809 ss.; da ultimo v. Verde, Il giudice amministrativo intervie- ne nel procedimento di nomina degli arbitri, in Xxx. Xxx, 0000, 477 ss.
(79) Verde, Il giudice amministrativo interviene, cit., 479, ritiene che l’inter- vento del giudice amministrativo in materia «genera il sospetto che la sua solerzia non sia stata, nel caso specifico, del tutto disinteressata».
(80) Sottolinea Matassa, in La Camera dei lavori pubblici, in L’attuazione della legge quadro sui lavori pubblici, cit., 729, che il Governo ha mantenuto ferma tale esclusione nonostante il Consiglio di Stato e le stesse Commis- sioni parlamentari abbiano rilevato l’assoluta inopportunita` e contraddit- torieta` dell’esclusione dei magistrati ordinari.
(81) A tal fine si segnala che da ultimo con la legge n. 205/2000 di rifor- ma del processo amministrativo si e` posto il problema dei ricorsi ultrade- cennali; mentre con la medesima legge si e` introdotto dinanzi alla Corte dei Conti, il giudice unico in primo grado ed alcune norme del rito del lavoro per facilitare lo smaltimento dell’arretrato pensionistico. In tal sen- so si veda anche il decreto legge 18 maggio 2001 n. 179 istitutivo delle sezioni stralcio per lo smaltimento dell’arretrato nella giustizia amministra- tiva.
(82) Tentativo di condizionamento che tuttavia non ha impedito alla Corte dei Conti (con deliberazione n. 40/2000) di rifiutare il visto su rile- vanti parti del regolamento.
(83) Xxxxxxx, E` costituzionale il nuovo riparto di giurisdizione?, in Corr. Giur., 2001, 80.
URBANISTICA E APPALTI 9/2001
953
zia arbitrale ai fini di un’equiparazione agli arbitrati «tra privati»: gia` con la presente riforma si e` ritenuto che la giustizia arbitrale possa fare a meno - almeno in una ri- levante misura percentuale - della magistratura togata; si tratterebbe a questo punto solo di effettuare l’ultimo passo nella direzione dell’auspicata equiparazione, tron- cando definitivamente con l’abitudine, assai critica- ta (84), dello Stato di avvalersi di collegi arbitrali costi- tuiti da propri dipendenti.
In ogni caso, al fine di garantire la trasparenza delle de- signazioni, l’imparzialita` dell’arbitro terzo e quindi la se- renita` della funzione arbitrale, dovrebbe escludersi che la Camera arbitrale possa «riservarsi» il potere di affida- re a particolari categorie e soggetti le procedure arbitrali
«meritevoli di maggiore attenzione»: ove cio` si facesse si introdurrebbe un perverso meccanismo teso alla pre- disposizione da parte della Camera arbitrale di collegi ad hoc ed a veri e propri, incontrollabili, meccansimi di
«gestione» di nomine e decisioni. La richiesta trasparen- za risulterebbe evidentemente vulnerata.
Certamente incostituzionale e` viceversa l’inserimento nell’albo degli arbitri degli avvocati dello stato in servi- zio per l’evidente necessita` che il terzo arbitro sia un ter- zo indipendente da condizionamenti di sorta (85).
Come era stato segnalato in commento alla bozza di re- golamento (86) non e` possibile accettare la designazio- ne tra gli arbitri di soggetti legati allo Stato da rapporto di dipendenza che non offra le medesime garanzie della Magistratura (87): cio` vulnera ogni garanzia di terzieta`, e viola - in maniera ancor piu` netta - il principio dei pari poteri (88) dei contendenti nella costituzione del
Collegio. E` evidentemente sfuggito che ai sensi dell’art.
1 del R.D. n. 1611 del 30 ottobre 1933 «La rappresen- tanza, il patrocinio e l’assistenza in giudizio delle Ammi- nistrazioni dello Stato, anche se organizzate ad ordina- mento autonomo, spettano all’Avvocatura dello Stato. Gli avvocati dello Stato esercitano le loro funzioni in- nanzi a tutte le giurisdizioni ed in qualunque sede e non hanno bisogno di mandato, neppure nei casi nei quali le norme ordinarie richiedono il mandato speciale, ba- stando che consti della loro qualita`».
Non si puo` quindi accettare che il terzo arbitro abbia
no innanzi alle giurisdizioni amministrative o speciali od innanzi agli arbitri» (90) ci si avvede che il medesi- mo avvocato dello Stato (od il suo collega della scriva- nia accanto) riceve come parte in causa la notifica della domanda di arbitrato prima ancora che il collegio si co- stituisca.
Gli avvocati dello Stato devono pertanto limitarsi a svolgere il ruolo di arbitri di parte ed ove officiati del- l’incarico di terzo arbitro potranno essere ricusati per in- compatibilita` ex lege.
Del pari oscura appare la logica sottesa all’inserimento nell’albo degli arbitri di magistrati ed avvocati dello Sta- to in pensione, categorie alle quali il legislatore non ha fatto ricorso per risolvere i problemi dell’arretrato: non mi sembra possa con certezza escludersi il sospetto vi sia un tentativo di condizionare i magistrati in servizio (e oramai prossimi al pensionamento) con la prospettiva di «prolungare» l’attivita` lavorativa anche dopo il pen- sionamento, condizionandone l’autonomia con tali pro- spettive di guadagno, ovvero sia insito il tentativo di di- fendere e rafforzare la discrezionalita` del potere di scelta della Camera: l’esigenza di non avvalersi di soggetti ora- mai giunti ad eta` troppo avanzata per decidere cause de- licate costituira` una delle ragioni per evitare criteri di designazione «troppo automatici» legittimando alla Ca- mera arbitrale il potere discrezionale di scelta intuitu per- sonae, messo in discussione dal legislatore mediante l’imposizione ad operare secondo criteri di trasparenza ed imparzialita`.
I
Inesistenza di criteri predefiniti di designazione del terzo arbitro
l legislatore delegato ha disposto l’ampliamento delle categorie previgenti includendo professori universitari, architetti ed ingegneri ed, addirittura, pensionati, sebbene la ratio stessa dell’aumento delle ca- tegorie non risulta chiara visto che gli arbitrati delle OO.PP. non paiono necessitare di un ampliamento ad ogni costo del numero degli iscritti all’albo degli arbitri. Infatti, come era prevedibile le istanze di iscrizione sono state assai numerose (91); alla luce di tale prevedibile
un mandato ex lege (89) a difendere l’Amministrazione,
xxxx` uno dei contendenti, senza vulnerare ogni garanzia di imparzialita` dell’organo giudicante.
Ma tralasciando ormai il pur insuperabile aspetto forma- le, va rilevato che anche - sul piano fattuale - non si puo` pensare che un Avvocato dello Stato possa essere sereno nel giudicare in qualita` di terzo presidente del Collegio arbitrale quelle stesse Amministrazioni che di- fende giornalmente e istituzionalmente.
Ove poi si consideri che ai sensi dell’art. 1 legge n. 260 del 25 marzo 1998 «devono essere notificati alle Ammi- nistrazioni dello Stato presso l’Ufficio dell’Avvocatura dello Stato nel cui distretto ha sede l’Autorita` giudizia- ria innanzi alla quale e` portata la causa «tutte le citazio- ni, i ricorsi. e gli atti istitutivi di giudizio che si svolgo-
Note:
(84) In questo senso gia` Mortara, Commentario, cit., III, § 122, 137.
(85) V. Verde, Diritto dell’arbitrato rituale, cit., 10.
(86) Sul punto Spagnolo A., L’albo degli arbitri, in Notiziario dell’Ordine fo- rense di Bari, 1999, 40 ss.
(87) Sul punto x. Xxxxxxx, in Crisafulli-Palladin, Commentario Breve alla Costituzione, art. 101, 635.
(88) Punzi, Disegno, cit., 359.
(89) In giurisprudenza, nella specifica materia arbitrale, x. Xxxx., sez. I., 28 novembre 1992, n. 12729 in Foro it., Rep., 1992, voce Arbitrato, n. 178.
(90) Punzi, Disegno sistematico, cit., 498.
(91) V. in tal senso la parte premessa del Comunicato della Camera arbitra- le n. 2 del 29 gennaio 2001, cit., 100 «Considerato l’ingente numero delle istanze pervenute. » .
954 URBANISTICA E APPALTI 9/2001
dato non puo` escludersi che la ratio della norma sia pro- prio nel senso di voler determinare un numero di «pa- pabili» talmente corposo da rendere difficile l’esercizio di un controllo numerico o statistico sulle nomine e sul- l’operato della Camera arbitrale s`ı che sara` possibile che molti iscritti all’albo non siano mai nominati nel perio- do di iscrizione, mentre altri potranno essere nominati piu` di una volta.
L’inesistenza di limiti o vincoli predefiniti in ordine alla designazione dell’arbitro infatti lascia alla Camera arbi- trale una discrezionalita` assoluta nella scelta dei criteri per designare il presidente del collegio arbitrale che de- sta preoccupazione. Manca infatti la formalizzazione dei criteri di scelta da utilizzarsi per effettuare la designazio- ne del terzo arbitro tra categorie ed, una volta indivi- duata la categoria (magistrati, avvocati, ingegneri, pro- fessori, ), all’interno di tali categorie. Ne´ possono rite- nersi sufficienti le limitazioni autoimposte dalla Camera stessa (92), non fosse altro che per la possibilita` insita nell’autoregolamentazione di «revisionare» in qualun- que momento i criteri adottati.
E` abbastanza evidente il disegno del legislatore delega-
to di investire i componenti della Camera arbitrale (od il suo Presidente (93)) di una smisurata discrezio- nalita`. Il che - a voler ben pensare - significa non dare adeguati strumenti (intesi come criteri predefiniti ed inderogabili) agli organi della Camera per «resistere» alle inevitabili pressioni per condizionare la scelta del terzo arbitro.
Quanto emerge dalla novella in commento e` che risulta palesemente violata la legge delega che aveva specifica- mente richiesto l’adozione di principi di trasparenza, im- parzialita` e correttezza nella fissazione dei requisiti sog- gettivi.
xxxx «continuativi» e «stabili» bisognerebbe viceversa prevedere che non sia possibile attribuire un certo nu- mero di incarichi nel corso del periodo di iscrizione.
Allo stato attuale nulla impedisce che vi siano iscritti all’albo che nel corso di un triennio vantino decine di nomine dove altri iscritti potrebbero non esser nominati nemmeno una volta.
I principi di trasparenza ed imparzialita` cui si vorrebbe ammantare la riforma paiono essere esclusivamente di facciata. Se la designazione - tra categorie ed all’interno di esse - verra` operata esclusivamente a sorteggio e` evi- dente problemi non si porranno; viceversa ove le scelte della Camera siano discrezionali o operate su cerchie ri- strette siffatta regolamentazione non impedira` che gli ar- bitrati delle opere pubbliche vengano gestiti da una (so- lita) oligarchia.
E` altres`ı evidente nell’operato del legislatore delegato la
precostituzione di valide ragioni tese a giustificare il po- tere discrezionale con il quale la Camera arbitrale pilo- tera` le varie designazioni:
– la motivazione di non poter consentire che un inge- gnere od un architetto sia costretto a risolvere compli- cate e delicate questioni di diritto (95);
– l’esigenza di non avvalersi di soggetti oramai giunti ad eta` troppo avanzata per pervenire con successo co- stante a decisioni laboriose di cause che richiedono il massimo dell’attenzione critica;
– l’esigenza di ricercare competenze specifiche per que- stioni di particolare delicatezza.
In conclusione ognun vede che le innovazioni (e le omissioni) della riforma qualche effetto lo producono: la mancata ricerca a monte della reale competenza sog- gettiva e l’inserimento di determinate categorie non pa-
Tra le evidenziate lacune della normativa delegata
emerge percio` innanzitutto quella della mancata disci-
plina nel regolamento del criterio di designazione (intui- tu personae, per sorteggio, per rotazione, ecc.) che la Ca- mera arbitrale e` chiamato ad adottare per scegliere tra gli iscritti all’albo. Eppure si tratta di indicazione essen- ziale per la credibilita` stessa della riforma dell’arbitrato: la trasparenza della nomina sia nella scelta della catego- ria da utilizzare sia, all’interno di essa, della persona desi- gnanda e` un dato imprescindibile: non e` utile consenti- re alla Camera arbitrale la medesima discrezionalita` di cui dispone il Presidente del Tribunale sia perche´ lo si ribadisce diversa e` la posizione di terzieta` del magistrato togato, sia perche´ la Camera arbitrale e` un organo go- vernativo, unico ed accentrato che non puo` collocarsi in posizione di indifferenza nella decisione della contro- versia (94).
In siffatta situazione non risulta chiaro e trasparente nemmeno il sistema dell’iscrizione «a tempo»; se essa dovesse perseguire l’intento della «rotazione» degli arbi- tri, non avrebbe senso limitare a tre anni l’iscrizione al- l’albo ove l’iscritto non sia mai stato designato; se inve- ce essa persegue l’intento di non creare rapporti di no-
Note:
(92) Con il comunicato del Consiglio della Camera arbitrale per i lavori pubblici del 14 dicembre 2000, la Camera arbitrale ha adottato alcuni cri- xxxx xxxxxxxxx - riportati da Bonfrate-Leogrande, L’arbitrato, cit., 64 ss. - che tuttavia consentono comunque amplissimi margini di discrezionalita`: la scelta infatti dovrebbe effettuarsi nell’ambito di 20 sorteggiati tratti da un’urna unica, secondo il criterio principale «della competenza avuto ri- guardo alle attitudini derivanti da studi scientifici o esperienza professiona- le, in rapporto alla natura della controversia da decidere». Senza infatti voler entrare nel merito dei criteri per la scelta del terzo arbitro - apprezza- bilmente autoimposti dalla Camera arbitrale - non mi sembra che l’idea di scegliere - sulla scorta di criteri non propriamente oggettivi - tra ben venti (e non ad esempio tra 3) candidati sorteggiati possa significare pro- priamente lasciare la designazione del terzo arbitro al caso. Ove vi fossero arbitri...meno graditi, con siffatto meccanismo, questi ultimi difficilmente potrebbero essere designati anche ove sorteggiati piu` volte. L’inesistenza di vincoli giuridici al potere della Camera arbitrale di autoregolamentare modi e criteri di determinazione del terzo arbitro e` quindi uno degli aspet- ti piu` carenti della riforma.
(93) Anche su questo punto c’e` poca chiarezza atteso che il regolamento dispone genericamente che sono organi della Camera arbitrale dei lavori pubblici il Presidente ed il Consiglio arbitrale, senza disporre chiaramente un riparto di competenze tra questi.
(94) Xxxxx, La camera, cit., 423; Contra Borghesi, cit., 686 ss., il quale du- bita della natura «pubblica» della Camera arbitrale.
(95) Sulle quali come e` noto non e` ammessa consulenza tecnica.
URBANISTICA E APPALTI 9/2001
955
re frutto di sviste, ma mirata a costituire in capo alla Camera arbitrale una posizione di potere assoluto ed in- controllabile.
Forse, l’introduzione di meccanismi di scelta automatica, previa selezione di professionalita` soggettiva e non per categorie potrebbe contribuire a «salvare» una riforma incentrata sulla Camera arbitrale.
L
Le norme di procedura
e norme di procedura da seguirsi nel procedi- mento arbitrale per i LL.PP. sono contenute in un insieme di 12 articoli dovendosi - per gli
aspetti residuali - far integrale riferimento a quelle di cui al titolo VIII del libro IV del codice di procedura civi- le (96).
Tuttavia per un’analisi complessiva della procedura ar- bitrale bisogna tener conto di alcune disposizioni che, pur non contenute nel regolamento, possono intendersi
«oggettivamente» di procedura: si fa riferimento all’art. 150, comma 2, reg. att., in tema di nomina sostitutiva, all’art. 150, comma 0, xxx. xxx., xx tema di sede dell’arbi- trato, all’art. 150, comma 0, xxx. xxx., xx xxxx xx xxxxxx xxx xxxxx arbitro e di acconto sul corrispettivo arbitrale. Inoltre, vi sono norme contenute nel capitolato genera- le d’appalto (97), che riguardano tempi e i modi per la proposizione del giudizio innanzi agli arbitri.
A parte la considerazione che tra i tre testi normativi citati ed il reg. proc. non pare esservi un adeguato coor- dinamento, la procedura arbitrale novellata appare rical- care in senso peggiorativo quella prevista dagli art.43 e xx. xxx X.X.X. x. 0000/0000 xxxxxxxx.
lonta` congiunta delle parti il medesimo ruolo primario (e pertanto non «comprimibile») che alle parti viene ri- conosciuto ai sensi degli artt. 806 e ss. c.p.c.
Viceversa, il regolamento di procedura non riconosce il potere delle parti di apportare modifiche - sull’accordo delle parti - allo schema regolamentare previsto dal legi- slatore delegato e quindi non residua alcun potere deci- sionale alle parti nemmeno negli atti compromissori: con la conseguenza paradossale che ove le parti volesse- ro una pronunzia in un termine inferiore o pari a gg. 90 cio` non risulterebbe consentito pretendere. La novella appare anche sotto tale profilo contra legem.
E` stato infatti autorevolmente affermato in dottrina,
che l’autonomia delle parti in materia non puo` essere integralmente limitata (99). Cio` in quanto l’essenza stessa del procedimento arbitrale - anche quello rituale - e` nella liberta` delle forme, nel senso precipuo di poter adeguare il giudizio alle necessita` del caso singolo secon- do la volonta` e gli interessi delle parti stesse con il solo limite del rispetto del principio del contradditto- rio (100). Non si puo` svuotare di contenuto tale auto- nomia privata senza determinare una terza via, che e` piu` vicina al giudice statuale che all’arbitrato.
Anche sotto tale profilo si rende necessario emendare il regolamento di procedura e le norme ad esso collegate al fine di consentire alle parti - almeno in prima battuta
- di determinare regole e contenuto per la risoluzione delle controversie: nessun problema invece consegue al- l’eliminazione del potere attribuito dalla legge agli arbi- tri di determinare - nel silenzio delle parti, quindi, in via sostitutiva - le regole della procedura arbitrale.
A prima lettura si rileva l’abbandono della strada intra-
presa dalla legge n. 216/1995, nel senso di uniformare le procedure arbitrali dei LL.PP. a quelle tra privati. Ri- sulta viceversa scelta la via di una regolamentazione speciale ed assai incisiva: l’autonomia delle parti in ma- teria di determinazione delle regole della procedura arbi- trale appare cos`ı drasticamente ridotta ed annullata dal- la previsione di un rigido regime di preclusioni e dal- l’impossibilita` per le parti di modificare tempi e modi del giudizio arbitrale.
Tali limitazioni all’autonomia privata creano un’enorme distanza tra l’arbitrato delle OO.PP. e l’arbitrato ex artt. 806 e ss. c.p.c.: ne consegue tuttavia che la compatibili- ta` della novella con i principi in tema di arbitrato il cui rispetto era stato imposto dal legislatore ex art.10, com- ma 2 legge n. 415/1998 - appare difficilmente sostenibi- le.
Negli arbitrati rituali «tra privati» si riconosce alle parti
- ex art. 816 c.p.c.- un pregnante potere nella regola- mentazione del giudizio arbitrale, sia nell’atto compro- missorio, sia in un momento successivo comunque, sempre anteriore all’instaurazione del giudizio (98), con il solo limite del rispetto dell’ordine pubblico. Ne conse- gue che il rispetto dei principi previsti dal c.p.c., impo- sto dal legislatore ex art. 10, comma 2, legge n. 415/ 1998, doveva significare rispettare e riconoscere alla vo-
Note:
(96) V. art. 12 reg. proc.
(97) L’art. 33, D.M. n. 145/2000 (tempo del giudizio) dispone che
«1.L’appaltatore che intenda far valere le proprie pretese nel giudizio ordi- nario o arbitrale deve proporre la domanda entro il termine di decadenza di sessanta giorni, decorrente dal ricevimento della comunicazione di cui all’art. 149, comma 3, del regolamento, o della determinazione prevista dai commi 1 e 2 dell’art. 32 del capitolato, oppure dalla scadenza dei ter- mini previsti dagli stessi commi 1 e 2 dell’art. 32. 2. Salvo diverso accordo delle parti, e qualora la domanda non abbia ad oggetto questioni la cui definizione non e` differibile nel tempo, la controversia arbitrale non puo` svolgersi prima che siano decorsi i termini di cui ai commi 1 e 2 dell’art.
32. 3. Se nel corso dell’appalto sono state proposte piu` domande di arbi- trato in relazione a diverse procedure di accordo bonario, queste sono de- cise in un unico giudizio ai sensi del comma 2.» Si consideri che il capito- lato e` applicabile e cogente in tutti gli arbitrati delle OO.PP. ivi compresi quelli di amministrazioni non statali.
(98) Sulla valenza lata dell’inizio del giudizio come non necessariamente coincidente con la costituzione del Collegio, ma appena successiva ad es- sa x. Xxxxx, Disegno sistematico, cit., 533.
(99) Luiso, La Camera, cit. 421.
(100) Cos`ı Cass., sez. I, 21 settembre 1999, n. 10192 in Foro It., Rep., 1999, voce arbitrato n. 185, «Il giudizio arbitrale e` caratterizzato dal princi- pio dell’assoluta liberta` di forme, nel cui ambito gli arbitri adottano le re- gole da seguire, le quali, se opportuno, possono essere modificate (espres- samente o implicitamente), ampliate o ristrette, con l’unico ineludibile li- mite dell’assoluto rispetto del principio del contraddittorio e sempre che le regole del giudizio non siano previste e determinate direttamente dalle parti in causa».
956 URBANISTICA E APPALTI 9/2001
In attesa di una necessaria modifica della normativa in materia ed al fine di salvaguardare in via interpretativa l’autonomia privata, dovrebbero ritenersi legittime e co- genti per gli arbitri eventuali disposizioni dettate dalle parti nel compromesso o nella clausola compromissoria pur se in contrasto con il regolamento di procedura a condizione che esse siano compatibili con i principi di ordine pubblico e con le norme di cui agli artt. 806 e ss. c.p.c.
L
Le principali innovazioni del regolamento di procedura
a procedura arbitrale delineata dalla riforma non presenta un conio ben riuscito e le innovazioni rispetto alla disciplina del codice di rito sono
fonte di dubbi e perplessita` (101): gli elementi di diffe- renziazione introdotti nella procedura riformata non paiono di particolare pregio specie ove posti in relazione con il sacrificio imposto alle parti in tema di liberta` del- le forme ed agli inconsistenti obiettivi che, sul piano meramente procedurale, la riforma stessa pare persegui- re.
Tra le novita` piu` evidenti vi e` l’introduzione della rile- vabilita` ex officio della nullita` della domanda di arbitra- to, la regolamentazione del c.d. atto di resistenza, il di- vieto di introdurre domande nuove, le limitazioni in te- ma di determinazione della sede dell’arbitrato, la so- spensione del procedimento di costituzione del Collegio in attesa del pagamento dell’acconto, il tentativo di conciliazione, l’eliminazione del giuramento sia deciso- rio che suppletorio, il deposito del lodo da effettuarsi a cura del segretario, la sostituzione della spedizione del lodo alle parti con il deposito presso la Camera arbitrale e l’istituzione del fascicolo d’ufficio, il versamento del corrispettivo per la decisione alla Camera arbitrale, l’or- dinanza di liquidazione.
Considerazioni a parte merita l’istituzionalizzazione del segretario del Collegio arbitrale: la figura non e` nuo- va (102), viceversa e` nuova la regolamentazione delle sue competenze. Al segretario compete ex art. 3 reg. proc. «la tenuta del fascicolo d’ufficio, la stesura dei ver- bali, l’effettuazione delle comunicazioni disposte dal Collegio e la custodia degli atti e documenti dell’arbitra- to. Di questi ultimi egli permette la visione e rilascia co- pie nei casi consentiti» (103); ex art. 7, riceve la di- chiarazione di nomina dei consulenti tecnici delle parti; ai sensi dell’art. 9, comma 4, «effettua il deposito del lo- do»; ai sensi del comma 5 «il segretario da` comunica- zione alle parti dell’avvenuto deposito del lodo»; in ulti- mo ai sensi dell’art. 11 «le comunicazioni previste sono fatte dal segretario a mezzo di plico raccomandato. Le produzioni ed i depositi di parte sono fatti presso la sede del Collegio a mani del segretario, che ne rilascia appo- sita attestazione». Si tratta di codificazione di prassi ben radicate, ma alla luce delle citate norme non pare piu` possibile effettuare un arbitrato facendo a meno dell’au- silio del segretario. Ma per effetto di tale imposizione ex
lege, sorge la questione se sia lecito imporre alle parti un soggetto e, soprattutto, una prestazione economica non necessaria nell’arbitrato rituale ex artt. 806 e ss. c.p.c. A meno che la prestazione del Segretario sia a titolo gra- tuito rientrando nei doveri d’ufficio dei dipendenti della Camera (104).
Va inoltre rimarcato che per il segretario del Collegio arbitrale si pone la medesima questione sollevata in re- lazione alla nomina del terzo arbitro: il segretario non e` nominato dalle parti, ne´ da un terzo a cio` delegato dalle parti. Il che pone il problema delle conseguenze giuridi- che degli atti o delle omissioni di tale soggetto - non previsto nell’arbitrato ex artt. 806 e ss., c.p.c. - specie ove le sue omissioni o violazioni vadano ad incidere sul regolare svolgimento della procedura arbitrale od incida- no sulla validita` e regolarita` del giudizio e del lodo.
Sul piano sostanziale, non essendovi alcun rapporto tra la designazione del segretario e le parti (o gli arbitri da queste nominati) gli effetti giuridici degli atti effettuati dal segretario non paiono essere riconducibili nella sfera giuridica del Collegio arbitrale ma, al piu`, in quella del- la Camera arbitrale o del Presidente che tale segretario ha nominato.
Le ragioni per le quali compiti istituzionali degli arbitri (come la comunicazione dell’avvenuto deposito del lo- do ex art. 825, comma 1, c.p.c.) siano stati attribuiti ex lege ad un segretario imposto al Collegio arbitrale e non viceversa spontaneamente ed informalmente a lui dele- gati dal Collegio stesso come e` di prassi non sono chia- re: siffatta «novita`» (tratta evidentemente da arbitrati amministrati nei quali le parti aderiscono spontanea- mente al rispetto del regolamento della Camera e fanno propri tutti gli aspetti in essi regolamentati) comporta una pericolosa deroga ai principi di autonomia contrat-
Note:
(101) Cos`ı, Luiso, Il regolamento del processo arbitrale per i lavori pubblici, in
Riv. Arb., 2001, in particolare, 6 ss.
(102) La figura del segretario era infatti stata gia` prevista nel capitolato generale dello stato (D.P.R. n. 1063/1962); tuttavia si prevedeva solo che il segretario dovesse essere nominato tra i funzionari del ministero dei LL.PP., senza determinarne le competenze.
(103) Buonfrate-Leogrande, L’arbitrato, cit., 73, nota n. 33, escludono che l’odierna formulazione consenta al Segretario il rilascio di copie con- formi.
(104) Nel senso della gratuita`, seppur con qualche incertezza, paiono esprimersi Bonfrate-Leogrande, L’arbitrato, cit., 17, 73 e 102, i quali, rile- vando (a pag.102, nota 4) che la possibilita` per la Camera di chiedere un corrispettivo per i costi di funzionamento sia stata esclusa dalla Corte dei Conti (delib. n. 40/2000), affermano (a pag. 17) che «la Camera arbitrale si avvale di una struttura di segreteria, i cui servizi, tuttavia, come vedre- mo vengono retribuiti direttamente dall’Istituzione, traducendosi sotto l’a- spetto economico in un ulteriore vantaggio per le parti»; tuttavia (a pag. 73, nota n. 32) gli stessi A. assumono che «la retribuzione del segretario del collegio arbitrale dovrebbe rientrare tra le «spese documentate» il cui rimborso compete sempre agli arbitri». Ma se trattasi di spesa degli arbitri essa ricadrebbe sulle parti e, quindi, si tratterebbe di attivita` onerosa e quindi di imposizione di un costo aggiuntivo non previsto come obbliga- torio nell’arbitrato tra privati.
URBANISTICA E APPALTI 9/2001
957
tuale che regolano (rectius dovrebbero) regolare il rap- porto parti-arbitri.
D
La fase introduttiva del giudizio arbitrale
ella fase introduttiva del procedimento arbitra- le si occupano ben tre distinti atti regolamen- tari (105), dai quali risulta ribadita la necessita`
che la domanda di arbitrato abbia i requisiti introdotti dalla legge n. 5/1994 (dichiarazione dell’intento di pro- muovere il procedimento arbitrale, proposizione della domanda, nomina del proprio arbitro, invito alla con- troparte a procedere alla nomina del proprio arbitro).
Vi sono pero` alcune peculiarita` che differenziano la do- manda per introdurre l’arbitrato dei LL.PP.:
– ai sensi dell’art. 2 la domanda di arbitrato deve altres`ı contenere - a pena di nullita` rilevabile d’ufficio - la spe- cificazione delle somme richieste nonche´ l’esposizione dei fatti e degli elementi di diritto costituenti le ragioni della domanda;
– l’introduzione della figura giuridica dell’atto di resi- stenza nel quale - oltre alla nomina dell’arbitro - si de- vono proporre, a pena di decadenza, le eventuali do- mande riconvenzionali;
– la proposizione di domande riconvenzionali che ab- biano titolo nella riconvenzionale del resistente entro il termine perentorio di trenta giorni (106);
– la delimitazione inderogabile del thema decidendum a pena di nullita` rilevabile ex officio (107);
– ove poi la domanda di arbitrato sia proposta dall’ap- paltatore, questi ai sensi dell’art. 33, comma 1, cap. gen. ha l’onere di proporla entro il termine di decadenza di 60 gg. dalla comunicazione di cui all’art. 149, comma 3, reg. att., ovvero dalla scadenza dei termini di cui all’art. 32, comma 1 e 2, o dalla pronunzia della stazione ap- paltante in ordine alla definizione delle riserve ex art. 28 legge n. 109/1994;
– inoltre, ai sensi dell’ultimo comma dell’art. 32 cap. gen. le domande gia` oggetto di riserva ai sensi dell’art. 31 non possono essere proposte per importi maggiori ri- spetto a quelli quantificati nelle riserve stesse;
– in ultimo, in tema di effetti della notifica della do- manda di arbitrato, - all’art. 3, comma 5, reg. proc., si prevede che la costituzione del collegio (108) determi- na a tutti gli effetti la pendenza della lite (109).
La fase introduttiva del giudizio arbitrale in tema di LL.PP. mostra quindi differenze troppo significative ri- spetto all’arbitrato rituale «tra privati» s`ı che la proce- dura novellata appare aver poco a che fare con l’arbitra- to: significativo e` in tal senso l’introduzione del princi- pio di preclusione nella regolamentazione della forma- zione del thema decidendum (110).
Chiovenda - come e` noto - affermava che «I processi, particolarmente scritti, possono essere dominati dal principio della preclusione o della liberta`. Il principio della preclusione consiste in cio`, che per ogni attivita` processuale destinata a un determinato scopo e` stabilito un periodo nel processo, decorso il quale l’attivita` non
puo` compiersi; secondo l’opposto principio qualunque attivita` puo` compiersi in qualunque dei periodi proces- suali» (111). Alla luce di tale definizione non vi e` dub- bio che l’arbitrato rituale ex art. 806 e ss. c.p.c. sia im- prontato al principio della liberta` dove invece il proce- dimento arbitrale per i LL.PP. e` viceversa improntato al principio di preclusione.
Le ragioni per le quali si sia voluto introdurre un regime di preclusioni in siffatta materia non sono chiare: la dottrina ha avuto modo di affermare che «la funzione della preclusione e` quella di consentire l’ordinato, razio- nale e spedito svolgimento del processo» (112) e che le ragioni che inducono il legislatore, nel tempo, ad alle- viare il rigore dell’adempimento degli oneri processuali o, per converso, ad inasprirlo, possono essere diverse, at- tribuendosi «la massima apertura e deformalizzazione del sistema alla concezione privatistica e sarebbe piu` esatto
Note:
(105) L’art. 2, comma 1, reg. proc., prevede che «la domanda di arbitra- to, da notificarsi nelle forme degli atti processuali civili, deve contenere a pena di nullita` rilevabile d’ufficio la determinazione dell’oggetto della do- manda con la specificazione delle somme eventualmente richieste e l’e- sposizione dei fatti e degli elementi di diritto costituenti le ragioni della domanda».
L’art. 150, comma 2, reg. att. prevede che «Ciascuna delle parti nella do- manda di arbitrato o nell’atto di resistenza alla domanda nomina l’arbitro di propria competenza tra professionisti di particolare esperienza nella ma- teria dei lavori pubblici».
L’art. 33, cap. gen. dispone che «L’appaltatore che intenda far valere le proprie pretese nel giudizio ordinario o arbitrale deve proporre la doman- da entro il termine di decadenza di sessanta giorni, decorrente dal ricevi- mento della comunicazione di cui all’art. 149, comma 3, del regolamen- to.»
(106) Anche qui, seppur non e` esplicitamente ripetuto, deve ritenersi con atto notificato.
(107) Si fa presente che la giurisprudenza in tema di arbitrato ha da sem- pre ammesso la proposizione di domande nuove senza alcuno sbarramento che non sia il rispetto del contraddittorio.
(108) Alla luce di tale previsione sembra rivitalizzato l’indirizzo giurispru- denziale di Xxxx., sez. I, 8 luglio 1996, n. 6205 in Riv. Arb., 1997, 325, (con nota di Xxxxxxxxxx) per il quale solo la costituzione del Collegio con- diziona il potere dell’Autorita` giudiziaria di giudicare sulla validita` dell’ac- cordo compromissorio o sulla arbitrabilita` della controversia, a scapito di Xxxx., sez. I, 7 aprile 1997, n. 3001 in Riv. Arb., 1997, 515 (con nota di Xxxxx) che viceversa riteneva che gia` la semplice proposizione della do- manda di arbitrato costituisse l’elemento preclusivo alla cognizione del giudice. Cfr. altres`ı Luiso, Il regolamento, cit., 3.
(109) Sugli aspetti conseguenziali alla pendenza della lite arbitrale v. Ric- ci, L’arbitro di fronte alla litispendenza giudiziaria, in Riv. Dir. Proc., 2000, 500 ss.; Xxxxxxx, Litispendenza e connessione fra arbitrato e giudizio ordinario (evoluzione e problemi irrisolti), in Riv. Arb., 1998, 659 ss.; con particolare riferimento alla rilettura del problema della litispendenza con riferimento all’interruzione e sospensione della prescrizione Punzi, Disegno sistematico, cit., 500 ss.
(110) Segnale dell’esistenza di un regime di preclusione e` la rilevabilita` d’ufficio delle violazioni; ove cio` avvenga l’interesse dell’ordinamento al precostituito svolgimento del processo deve infatti ritenersi preminente su ogni contrario interesse delle parti e non consente che queste si accordino per derogarvi.
(111) Chiovenda, Principi di diritto processuale, Napoli, 1928, 693.
(112) Xxxxxx, Interpretazione della preclusione e nuovo processo civile in primo grado, in Riv. Dir. Proc., 1993, 639.
958 URBANISTICA E APPALTI 9/2001
dire liberale del processo civile, e la restituzione dell’iter processuale al suo naturale formalismo, alla concezione pubblicistica» (113).
La compatibilita` sul piano costituzionale (prima ancora che su quello logico) di una concezione marcatamente
«pubblicistica» (rectius «statuale» (114)) di uno stru- mento processuale, quello arbitrale, per definizione «pri- vatistico», appare difficilmente sostenibile almeno nella misura in cui si condivida l’assunto della Consulta per il quale «Essendo l’arbitrato un modo di risoluzione delle controversie tra i soggetti dell’ordinamento, alternativo alla devoluzione di esse al giudice ordinario su concorde volonta` delle parti, una legge, la quale preveda la com- posizione del collegio arbitrale per la soluzione di con- troversie fra un soggetto pubblico ed un privato non puo` far venir meno la caratteristica fondamentale dell’i- stituto» (115).
Ove poi la ratio dell’introduzione del principio di pre- clusione fosse effettivamente quella di ridurre la durata dei tempi dell’arbitrato stesso, l’obiettivo risulterebbe gia` in partenza mancato: in quest’ultima ipotesi sarebbe sta- to piu` opportuno ridurre i termini della procedura arbi- trale o comunque lasciare il termine nella disponibilita` delle parti: va rilevato infatti che l’arbitrato cos`ı regola- mentato ha una durata piuttosto elevata. Infatti, anche se si escludono i tempi della procedura in via ammini- strativa (116), sono necessari 60 gg. per la proposizione della domanda di arbitrato, ulteriori 60 gg. per la do- manda di resistenza, 30 gg. per la proposizione di do- mande nuove o di modifica delle domande gia` propo- ste, tempi indefiniti di trasmissione del fascicolo, di no- mina del terzo arbitro e liquidazione del compenso in acconto, ulteriori 15 gg. dall’effettuazione del pagamen- to in acconto per la costituzione del Collegio arbitrale; quindi senza contare eventuali ritardi dovuti alla man- cata nomina dell’arbitro (e quindi procedimento di no- mina sostitutiva) al mancato pagamento a scopi dilatori di tutto o parte dell’acconto arbitrale, al rispetto di tutti i termini da parte della Camera arbitrale, la procedura non decolla prima di 150 gg. dall’esaurimento della pro- cedura in via amministrativa. Successivamente sono previsti 180 gg. prorogabili di ulteriori 180 gg. anche su autonoma determinazione del Collegio arbitrale.
Quindi, dalla proposizione della riserva, solo per l’esauri- mento della prima fase di giudizio - considerando i tem- pi «fisiologici» della procedura - il rischio che siano ne- cessari ben due anni per la risoluzione della controversia e` tutt’altro che remoto.
Il risultato di siffatto regime di preclusioni e` che alle parti risulta sottratto persino il potere di imporre agli ar- bitri una decisione in un termine piu` ridotto: l’alterazio- ne dei principi in tema di arbitrato che la novella ha apportato e` evidente, cos`ı come e` palese il mancato ri- spetto da parte del legislatore delegato dell’invito conte- nuto nella norma di cui al comma 2 dell’art. 32 della legge, di rispettare i principi stabiliti nel codice di rito ex artt. 806 e ss. c.p.c.
Sotto altro profilo sembra che nel sistema di preclusioni introdotto vi siano alcune smagliature visto che si limita l’applicazione del principio di preclusione solo alla for- mazione del thema decidendum sicche´ nessuna decadenza si prevede per la proposizione di nuove eccezioni o nuo- vi mezzi di prova.
Ulteriore perplessita` genera il mancato coordinamento
dell’art. 2 reg. proc. con l’art. 33, comma 2 e 3, cap. gen.: quest’ultima disposizione infatti impone un princi- pio di concentrazione di successive domande di arbitra- to in un unico procedimento arbitrale senza che vi sia- no disposizioni coordinatrici di siffatta previsione quan- tomeno con lo stato (o, a fortiori, i termini) in cui versa il primo procedimento arbitrale pendente.
G
Ulteriori profili di critica
li spazi di autonomia che residuano alle par- ti (117) una volta che esse abbiano determi- nato di avvalersi dell’arbitrato in luogo dell’a-
zione dinanzi al giudice xxxxxx sono assai esigui: anche la scelta della sede dell’arbitrato non e` libera; essa deve infatti esser effettuata tra le sedi dell’Osservatorio o, in mancanza di determinazione, viene fissata ex lege presso la Camera degli arbitri in Roma.
Si tratta di un punto di arrivo visto che nella bozza di regolamento addirittura si prevedeva unica e sola la se- de obbligatoria di Roma (118); si tratta e` evidente di un limite che non ha eguali nel codice di rito dove si prevede che le parti determinino liberamente la sede dell’arbitrato e, per altro verso, stride con la disposizione di cui all’art. 34, comma 1, cap. gen., norma per la qua- le l’azione dinanzi al Giudice ordinario va presentata al giudice del luogo dove il contratto e` stato stipulato.
Del pari si era rilevato (119) che la disposizione del de- posito dell’acconto a pena di inammissibilita` - prevista nella bozza di regolamento - era evidentemente illegitti- ma: tuttavia non pare che la modifica apportata nel te-
Note:
(113) Xxxxxx, Interpretazione della preclusione, cit., 1993, 645.
(114) Per distinguerla dalla concezione pubblicistica intesa da Xxxxxxx, Litispendenza e connessione, cit., 660, 2, nota 2, come «accresciuta omolo- gia» tra le figure dell’arbitro e del giudice.
(115) Corte cost., sent., 13 febbraio 1995, n.33 in Giur. Cost., 1995, 351.
(116) E quindi ai sensi del’art. 31-bis, leg., e 149 reg. att.: 90 gg. per l’ac- quisizione della relazione riservata e della proposta bonaria; 60 gg. succes- sivi per le determinazione della stazione appaltante e dei relativi pareri. Oppure ove si tratti di riserve superiori al 10%: trasmissione atti di collau- do 90 gg.; istanza di definizione; termine per la valutazione di ulteriori 90 gg.
(117) Ai sensi dell’art. 9 le parti possono consentire ai sensi dell’art. 820 la proroga dei termini per il deposito del lodo; ai sensi dell’art. 150, com- ma 4, le parti possono determinare la sede dell’arbitrato all’interno delle sezioni regionali dell’osservatorio.
(118) V. criticamente Spagnolo A., La nuova normativa, cit., 628 ss.
(119) V. Spagnolo A., L’albo degli arbitri, cit., 35.
URBANISTICA E APPALTI 9/2001
959
sto definitivo abbia cambiato di molto la situazione vi- sto che si e` prevista una improcedibilita` del giudizio in caso di mancato versamento dell’acconto: l’omissione del pagamento dell’acconto preclude infatti la costitu- zione del Collegio arbitrale (120) e quindi il collegio non si costituisce, parimente paralizzandosi l’azione di- nanzi agli arbitri ed al giudice ordinario.
Anzi, aumenta l’incongruenza della normativa la possi- bilita` che la Camera arbitrale quantifichi e richieda un acconto potendo discrezionalmente porlo a carico di ciascuna delle parti o di entrambe nella misura ritenuta piu` opportuna, creando cos`ı un elevato rischio di spere- quazione tra casi simili o addirittura identici.
Tale sistema appare lesivo della sfera delle parti non so- lo nella misura in cui l’accesso alla tutela arbitrale risul- ta condizionata dal pagamento di una somma indeter- minata o indeterminabile ab origine, ma soprattutto in considerazione della circostanza che si impone un paga- mento - prima che il Collegio arbitrale si costituisca ed effettui il deposito del lodo - quindi in una situazione nella quale non e` maturato alcun diritto al compenso: come e` noto, nell’arbitrato ex art. 806 e ss., c.p.c., gli arbitri maturano il compenso solo per la redazione del lodo arbitrale e quindi non hanno diritto ad omettere la propria attivita` in caso di mancato deposito di un ac- conto.
Il rischio invece e` che imprese in difficolta` economica (o enti pubblici con difficolta` di bilancio) non possano accedere alla tutela giurisdizionale o vengano «scorag- giate» da acconti salati -creando i presupposti per con- dizionare la tutela alle possibilita` economiche delle par- ti.
Anche l’acconto non puo` che essere spontaneamente
pagato e non costituire viceversa un presupposto impe- ditivo della costituzione del giudice arbitrale ed in gene- rale del diritto di azione (visto che alla parte che stipu- lera` secondo la nuova legge un accordo compromisso- rio, xxxx` nel contempo preclusa la via ordinaria).
L’istituzionalizzazione della figura del segretario - infine - non puo` implicare un costo aggiuntivo per i litiganti vi- sto che alle parti esso viene imposto ex lege e che le par- ti stesse ai sensi dell’art. 814 c.p.c. sono tenute al paga- mento esclusivamente degli arbitri.
Incomprensibile appare la ratio sottesa all’eliminazione, assai dubbia sul piano dei principi (121), del giuramen- to sia decisorio che suppletorio: la questione dell’ammis- sibilita` del giuramento nel processo arbitrale aveva dato origine ad un contrasto tra giurisprudenza e dottri- na (122) la cui rilevanza pratica appariva comunque as- sai modesta e che, al piu`, doveva essere risolta in altra sede con riferimento a tutti gli arbitrati ex art. 806 e ss., c.p.c.
Del pari poco meditata appare la regolamentazione della liquidazione delle spese e degli onorari, la ripartizione di essa tra Collegio e Camera arbitrale: immotivata appare sul piano dei principi la disciplina dell’ordinanza di li- quidazione (123).
Anche sotto tale profilo il programma del legislatore di rimettere ai ministeri la normativa di dettaglio nella speranza di ottenere una disciplina processuale quanto piu` vicina alle esigenze della giustizia arbitrale in mate- ria si e` rivelato erroneo: la normativa costituisce un pas- so indietro verso l’equiparazione e genera per di piu` l’e- sistenza di gravi e pericolose incongruenze.
S
Cenni critici riassuntivi
i consideri che con riferimento all’arbitrato ri- tuale e` stato autorevolmente affermato che «la fortuna dell’istituto si gioca sulla capacita` di re-
perire idonei strumenti per la selezione di arbitri suffi- cientemente distaccati rispetto alla controversia e capaci di esprimere posizioni equilibrate e serene» (124).
In un arbitrato il cui Xxxxxxxx e` composto di tre arbitri, la scelta del terzo arbitro e` fondamentale, atteso che quest’ultimo sara` colui che in effetti, ago della bilancia, nella maggior parte dei casi, decidera` di fatto la contro- versia.
La disattenzione ministeriale nel perseguire l’unica chia- ra indicazione contenuta nella legge delega potrebbe al- tres`ı celare il tentativo della p.a. di acquisire un’influen- za nella formazione del Collegio arbitrale. Infatti, pro- prio la mancanza di un uniforme livello di professionali- ta` delle categorie previste ed, all’interno di esse, dei suoi componenti, costituira` fonte di discrezionalita` (e quindi di potere) nell’attribuzione degli incarichi, giustificando la scelta intuitu personae. Ne e` ulteriore conferma la mancata esplicitazione - nel regolamento - dei criteri di designazione tra gli appartenenti all’albo, pur a fronte dell’invocata trasparenza.
In conclusione, la sottovalutazione di quelli che posso- no riconoscersi come veri e propri requisiti di professio- nalita` rischia di far ritenere immotivata ed acritica la li- mitazione del potere delle parti di determinare in con-
Note:
(120) Contra, senza pero` chiarire sulla scorta di quale motivazione, Buon- frate-Xxxxxxxxx, L’arbitrato, cit., 70, i quali ritengono che «il presidente del collegio possa, anzi debba, procedere alla convocazione della prima riunione pur in mancanza di tale adempimento».
(121) Per Luiso, Il regolamento, cit., 5, «il regolamento non puo` sottrarre alle parti la possibilita` di utilizzare un mezzo di prova disponibile secondo i principi del processo arbitrale, come delineati nel codice di procedura ci- vile».
(122) Favorevole all’ammissibilita` del giuramento suppletorio, App. Ro- ma 6 novembre 1995, in Riv. Arb., 1996, con nota contraria di Xxxxxxx e Coll. arb. Roma, 8 aprile 1991, in Riv. Arb., 1992, 757 con nota contra- ria di Xxxxxxxxx. L’opposizione della dottrina muove dall’inapplicabilita` della sanzione penale di cui all’art. 371 c.p. e dal rilievo che il valore di prova legale e` connesso alla ridetta, inapplicabile, sanzione. Di qui l’esclu- sione del valore di prova legale.
(123) La disposizione per Xxxxx, Il regolamento, cit., 5, suscita perplessita` con riferimento alla forma, al regime, ed all’efficacia.
(124) Verde, Dell’arbitrato rituale, 10; nel medesimo senso Fazzalari, Una vicenda singolare, cit., 817, i requisiti soggettivi e professionali «vanno de- terminati avendo di mira il presidio dell’imparzialita`».
960 URBANISTICA E APPALTI 9/2001
creto tutto il Collegio arbitrale (125). Inoltre, a tali condizioni, il trasferimento del potere di scelta del terzo arbitro da un soggetto, il Presidente del Tribunale, im- parziale per definizione, ad un soggetto, la Camera arbi- trale dei LL.PP., la cui nomina deriva dall’Autorita` per la vigilanza dei sui lavori pubblici, organo quest’ultimo indipendente (126), ma deputato ex lege a vigilare sul- l’interesse pubblico coinvolto nelle procedure e nelle contrattazioni d’appalto (e simili) dei lavori ad iniziativa degli organismi di diritto pubblico (127) (con un evi- dente favor quindi per il risparmio del denaro pubblico, quindi per la p.a.), diviene fonte di legittima perplessita`. Ove poi si aggiunga la mancata determinazione ex ante di criteri di scelta all’interno dell’albo degli arbitri (ne´ tra le categorie prescelte, ne´ all’interno di esse) cio` di- venta fonte di discrezionalita` non prevista dalla legge delega prescindendo dall’auspicio che la Camera arbitra- le sappia ben resistere ad ogni pressione e tentazione lobbistica. Va anzitutto ripristinato il potere delle parti di scegliere congiuntamente il terzo arbitro, sebbene, nell’ambito degli iscritti all’albo degli arbitri; solo in di-
ritto positivo (alcune norme appaiono tecnicamente opportune e ben congegnate), su quello generale e poli- tico dello spirito del codice dell’arbitrato, l’ispirazione di parte pubblica che muove l’intera normativa - nono- stante risulti coinvolta la materia dei lavori pubblici - deve essere di necessita` ridisegnata per allinearla ai prin- cipi propri della giustizia pattizia e arbitrale.
fetto di accordo si deve necessariamente ricorrere alla
Camera arbitrale dei LL.PP.
Per quanto attiene al problema della professionalita` e della trasparenza - ove si voglia percorrere un passo in avanti rispetto alla tradizione non si puo` omettere un passaggio di verifica - per tutte le categorie e senza alcu- na eccezione - delle competenze professionali ai fini del- l’iscrizione all’albo (128). Creato un livello uniforme di competenza negli iscritti si potrebbe finalmente consen- tire senza timore alcuno che la nomina del terzo arbitro avvenga con trasparenza anche solo per sorteggio e non viceversa intuitu personae.
Come ho gia` avuto modo di osservare in margine alla
bozza di regolamento, «per mantenere il carattere di giustizia privata il ruolo della Camera arbitrale dovrebbe essere ridimensionato ad alcune incombenze soltanto: la tenuta dell’albo degli arbitri, l’organizzazione delle pro- cedure selettive, la disponibilita` ad effettuare (su sponta- nea richiesta del Collegio o delle parti e quindi in que- sto caso a pagamento) le funzioni di segreteria, la fun- zione di conservazione dei fascicoli di ufficio, anche suc- cessivamente al deposito del lodo, con competenza al ri- lascio copie, anche conformi. Soltanto seguendo questa via appare possibile fornire un contributo concreto alla stabilizzazione dell’esperienza giuridica della giustizia ar- bitrale, che dalla libera determinazione della regola del proprio interesse prende l’abbrivio e sul piano dell’auto- nomia privata deve svilupparsi senza imposizioni gover- native». E cio` senza invasioni di campo immotivate, in particolare da parte del Governo, soprattutto in un mo- mento storico nel quale il legislatore - con interventi normativi (129) non sufficientemente meditati (130) - dimostra di introdurre incertezze (131) e proble- mi (132), piu` che semplificazioni nel settore strategico della giustizia.
Si tratta di una controriforma: se non sul piano del di-
Note:
(125) X. Xxxxxxxxx, Una vicenda singolare, cit., 817, il quale ritiene che «un albo degli arbitri -contemplabile ove si superi il dubbio ch’esso possa vul- nerare, limitandola, la liberta` di scelta dei litiganti - deve essere gestito da significative rappresentanze della p.a. e degli appaltatori».
(126) Sul punto, il monito di Xxxxxxxxx, Una vicenda singolare, cit., 817,
«Le c.d. Autorita` indipendenti - gia` troppe, ed ora si aggiunge quella in discorso - sono apparati amministrativi distinti dal Governo, posti a so- vrintendere settori nuovi e/o di particolare interesse; sostituiscono in parte de qua l’apparato amministrativo tradizionale nell’assolvimento della fun- zione esecutiva, con la fragile speranza che facciano meglio. Pertanto, l’«Autorita` dei lavori pubblici» non deve essere investita di alcun imperio sulla «camera arbitrale» e sugli arbitrati che vi si svolgeranno». «un al-
bo degli arbitri -contemplabile ove si superi il dubbio ch’esso possa vulne- rare, limitandola, la liberta` di scelta dei litiganti - deve essere gestito da si- gnificative rappresentanze della p.a. e degli appaltatori».
(127) V. art. 4 legge n.109 come modificata dalla legge n. 415/1998.
(128) Anche perche´ si rischia che tale verifica venga effettuata non con un metro valido per tutti ma, di volta in volta, secondo le convenienze della Camera arbitrale, al solo scopo di favorire l’elezione dell’arbitro rite- nuto «piu` idoneo».
(129) V. l’art. 6, comma 2, legge n. 205 del 21 luglio 2000, a seguito del quale e` caduto uno dei principi giurisprudenziali piu` consolidati e si pre- vede che «le controversie concernenti diritti soggettivi devoluti alla giuri- sdizione del giudice amministrativo possono essere risolte mediante arbi- trato rituale di diritto».
(130) X. Xxxxxx Xxxxxxx A., Giurisdizione amministrativa ed arbitrato nel- la l. n. 205/2000, in Riv. Arb., 2000, 627.
(131) V. sul regime transitorio, Xxxxxx, Dubbi sulla legittimita` delle norme transitorie riguardanti la nuova «procedura camerale» per gli arbitrati in materia di lavori pubblici con riferimento alla volonta` delle parti. Ambito soggettivo di applicazione, in www. Xxxxx.xx., maggio 2001.
(132) V. in particolare la questione circa l’impugnabilita` del lodo in ma- teria di giurisdizione esclusiva dinanzi al Giudice amministrativo. In que- sto senso si esprimono Consolo, L’oscillante ruolo dell’arbitrato al crescere della giurisdizione esclusiva e nelle controversie sulle opere pubbliche (fra semi- obbligatorieta` ed esigenze di piu` salde garanzie), in AA.VV., Arbitrato e pubbli- ca Amministrazione, 151 ss.; e Caringella, in AA.VV. La nuova giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo (dopo la legge 21 luglio 2000, n. 205). 699; Contra, Verde, Ancora su arbitri e Pubblica Amministrazione (in occa- sione della L. 21 luglio 2000, n. 205, art. 6), in Riv. Arb., 2000, 390.
URBANISTICA E APPALTI 9/2001
961
Novita` normative
a cura di XXXXXXXXXX XXXXXX
■ Ambiente e beni culturali
SMALTIMENTO RIFIUTI
Decreto-legge 16 luglio 2001, n. 286 - Differimento di termini in materia di smaltimento di rifiuti (G.U. 17 lu- glio 2001, n. 164)
In base al decreto in esame, il termine di cui all’articolo 5, comma 6, del D.Lgs. 5 febbraio 1997, n. 22, come modificato dall’articolo 1, comma 1, del D.L. 30 dicembre 1999, n. 500, convertito, con modificazioni, dalla leg- ge 25 febbraio 2000, n. 33, e` differito fino all’adozione delle norme tecniche previste dai medesimi articoli e dal- l’articolo 18, comma 2, lettere a) e l), del D.Lgs. 5 febbraio 1997, n. 22, per lo smaltimento dei rifiuti in discarica, e comunque non oltre un anno dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto. Il termine di cui al comma 6-ter dell’articolo 51 del D.Lgs. 5 febbraio 1997, n. 22, introdotto dall’articolo 10, com- ma 4, della legge 23 marzo 2001, n. 93, e` altres`ı differito al 31 ottobre 2001.
PROTEZIONE CIVILE
Ordinanza 2 luglio 2001, n. 3141 della Presidenza del Consiglio dei Ministri Dipartimento della Protezione Civile - Ulteriori disposizioni urgenti di protezione civile per il superamento dell’emergenza nelle regioni colpite dagli eventi idrogeologici dell’autunno 2000 e dell’evento sismico del 9 settembre 1998 e modifiche all’ordinanza 20 maggio 2001, n. 3133 (G.U. 13 luglio 2001, n. 161)
In particolare, per la prosecuzione degli interventi volti al superamento dell’emergenza nei territori delle regioni e delle province autonome colpite dagli eventi idrogeologici dell’autunno 2000 e, specificamente, per l’erogazione di primi acconti sui contributi spettanti ai soggetti privati ed alle attivita` produttive danneggiate ai sensi degli artt. 4 e 4-bis della legge n. 365/2000, la regione Piemonte e` autorizzata (art. 1), in deroga ai limiti di indebitamento consentiti dalle norme vigenti, a contrarre mutui quindicennali con la Cassa depositi e prestiti o con istituti di credito nazionali ed esteri per i quali il Dipartimento della protezione civile e` autorizzato a concedere contributi annui a valere sugli stanziamenti previsti dall’art. 144, comma 5, della legge 23 dicembre 2000, n. 388.
Per le medesime finalita` di cui sopra, le sottoelencate regioni e province autonome sono autorizzate, in deroga ai limiti di indebitamento consentiti dalle norme vigenti, a contrarre mutui quindicennali con la Cassa depositi e prestiti o con istituti di credito nazionali ed esteri per i quali il Dipartimento della protezione civile e` autorizzato a concedere contributi annui a decorrere dal 2001 a valere sugli stanziamenti previsti dalla legge 23 dicembre 2000, n. 388:
regione Liguria: lire 9,2 miliardi;
regione Lombardia: lire 5,4 miliardi; regione Toscana: lire 2,2 miliardi; regione autonoma Valle d’Aosta: lire 3,9 miliardi;
regione Veneto: lire 1,45 miliardi;
regione Xxxxxx-Romagna: lire 3,25 miliardi;
regione autonoma Friuli-Venezia Giulia: lire 0,68 miliardi; provincia autonoma Trento: lire 1 miliardo;
provincia autonoma Bolzano: lire 0,79 miliardi.
Per le medesime finalita` gia` indicate, e` assegnata alla regione Puglia la somma di lire 800 milioni.
Al fine di velocizzare gli interventi, le regioni e le province autonome interessate sono autorizzate ad anticipare le risorse assegnate dal presente articolo a carico dei propri bilanci o delle disponibilita` gia` assegnate con le ordinan- ze citate in premessa, ove necessario e nella misura ritenuta congrua nei limiti delle assegnazioni complessive.
Ove le regioni e le province autonome facciano ricorso al finanziamento tramite la Cassa depositi e prestiti, la
URBANISTICA E APPALTI 9/2001
963
stessa e` autorizzata a far decorrere i mutui quindicennali dal 18 luglio 2001, per quanto riguarda i mutui con de- correnza 2001 e dal 18 gennaio 2002, per quanto riguarda i mutui con decorrenza 2002.
DEMANIO
Decreto legislativo 25 maggio 2001, n. 265 - Norme di attuazione dello Statuto speciale della regione Friuli-Vene- zia Xxxxxx per il trasferimento di beni del demanio idrico marittimo, nonch´e di funzioni in materia di risorse idri- che e di difesa del suolo (G.U. 6 luglio 2001, n. 155)
Sono trasferiti alla regione Friuli-Venezia Giulia tutti i beni dello Stato appartenenti al demanio idrico, comprese le acque pubbliche, gli alvei e le pertinenze, i laghi e le opere idrauliche, situati nel territorio regionale, con esclu- sione del fiume Judrio, nel tratto, classificato di prima categoria, nonche´ dei fiumi Tagliamento e Livenza, nei tratti che fanno da confine con la regione Veneto. Sono trasferiti alla regione tutti i beni dello Stato e relative pertinenze, di cui all’art. 30, comma 2, della legge 5 marzo 1963, n. 366, situati nella laguna di Marano-Grado. La regione esercita tutte le attribuzioni inerenti alla titolarita` dei beni trasferiti.
■ Atti amministrativi
CENSIMENTO
Decreto del Presidente della Repubblica 22 maggio 2001, n. 276 - Regolamento di esecuzione del 148 censimento della popolazione, del censimento generale delle abitazioni e dell’88 censimento dell’industria e dei servizi, a norma dell’articolo 37 della legge 17 maggio 1999, n. 144 (G.U. 11 luglio 2001, n. 159)
Ai sensi dell’articolo 37 della legge 17 maggio 1999, n. 144, il 148 censimento generale della popolazione e il censimento generale delle abitazioni sono fissati nel giorno di domenica 21 ottobre 2001; l’88 censimento genera- le dell’industria e dei servizi e` fissato nel giorno di luned`ı 22 ottobre 2001. Il censimento generale della popolazio- ne e` riferito alla mezzanotte tra il 20 e 21 ottobre 2001.
ACCESSO AGLI ATTI DEI LAVORI PUBBLICI
Decreto 14 marzo 2001 del Ministero dei lavori pubblici - Regolamento per la disciplina delle categorie di docu- menti sottratti al diritto di accesso, in attuazione dell’art. 24, comma 4, della legge 241/1990 (G.U. 18 luglio 2001, n. 165)
Il presente regolamento individua le categorie di documenti formati dal Ministero dei lavori pubblici e dai dipen- denti organi di amministrazione decentrata o comunque rientranti nella relativa disponibilita`, sottratti all’accesso di cui all’art. 24, comma 2, della medesima legge n. 241/90 ed all’articolo 8 del D.P.R. 27 giugno 1992, n. 352. Sono sottratti all’accesso i seguenti documenti, compresi quelli ad essi direttamente connessi, relativi alla proget- tazione preliminare, definitiva ed esecutiva, nonche´ alla costruzione e collaudazione di: a) opere la cui realizzazio- ne derivi da accordi internazionali; b) opere la cui realizzazione deve essere accompagnata da particolari misure di sicurezza; c) opere classificate. Sono altres`ı sottratte all’accesso, garantendo, peraltro, la visione degli atti dei proce- dimenti amministrativi la cui conoscenza sia necessaria per la cura o la difesa degli interessi giuridicamente rile- vanti propri di coloro che ne fanno motivata richiesta, fatte salve le richieste del titolare dell’interesse, le seguenti categorie di documenti, compresi quelli ad essi direttamente connessi: a) rapporti informativi sul personale dipen- dente, nonche´ note caratteristiche a qualsiasi titolo compilate sul predetto personale; b) accertamenti medico-le- gali e relativa documentazione; c) documenti ed atti relativi alla salute delle persone ovvero concernenti le con- dizioni psico-fisiche delle medesime; d) documentazione caratteristica, matricolare e concernente situazioni priva- te del personale; e) documentazione relativa alla situazione familiare, finanziaria, economica e patrimoniale di per- sone ivi compresi i dipendenti, gruppi ed imprese comunque utilizzata ai fini dell’attivita` amministrativa; f) docu- menti relativi all’anagrafe delle prestazioni rese dal personale dipendente, limitatamente a quelli contenenti dati personali protetti dalla legge n. 675/1996; g) atti e documenti relativi alla concessione dei benefici assistenziali (sussidi, indennizzi, prestiti e mutui) limitatamente agli aspetti che concernono la situazione economica, sanitaria e familiare dei beneficiari; h) nominativi del personale delegante e versamenti effettuati alle organizzazioni sinda- cali, ferma restando la piena accessibilita` sia riguardo al numero anonimo dei deleganti, sia riguardo all’ammonta-
re dei versamenti; i) pareri espressi dall’Avvocatura generale dello Stato o da consulenti giuridici o tecnici, interni a procedimenti di contenzioso, fino alla conclusione del procedimento medesimo. E` differito l’accesso ai sottoe- lencati documenti sino a quando la conoscenza degli stessi possa impedire o gravemente ostacolare lo svolgimento
dell’azione amministrativa: a) documentazione attinente ai lavori delle commissioni giudicatrici di concorso e a
964 URBANISTICA E APPALTI 9/2001
procedimenti di selezione e reclutamento del personale fino alla conclusione delle procedure concorsuali; b) do- cumentazione concernente i ricorsi amministrativi fino al completamento della fase istruttoria; c) documentazione attinente ai provvedimenti di dispensa dal servizio, destituzione o decadenza dall’impiego fino al perfezionamento degli stessi; d) atti e documenti attinenti a procedimenti disciplinari ed azioni di responsabilita` dirigenziale, ammi- nistrativa, contabile e penale, nonche´ rapporti e denunce agli organi giudiziari ed agli uffici di procura presso la Corte dei conti fino alla conclusione dei procedimenti pendenti; e) documentazione riguardante inchieste ispetti- ve ovvero indagini sull’attivita` degli uffici, dei singoli dipendenti o sull’attivita` di enti pubblici e privati su cui questa amministrazione esercita la vigilanza fino alla conclusione delle stesse; f) segnalazioni, atti o esposti infor- mali di privati, di organizzazioni sindacali e di categorie o altre associazioni fino a quando, in ordine ad essi, non sia stata conclusa l’istruttoria del relativo procedimento; g) documenti relativi a procedure concorsuali per l’aggiu- dicazione di lavori e forniture di beni e servizi, nonche´ atti che possano pregiudicare la sfera di riservatezza del- l’impresa o ente in ordine ai propri interessi professionali, finanziari, industriali e commerciali. Per una adeguata tutela degli interessi richiamati, l’accesso e` consentito mediante estratto esclusivamente per le notizie riguardanti la stessa impresa o ente richiedente, fino alla conclusione delle procedure di scelta del contraente.
■ Edilizia e urbanistica
TENSIONI ABITATIVE
Decreto-legge 2 luglio 2001, n. 247 - Disposizioni in materia di rilascio di immobili adibiti ad uso abitativo
(G.U. 2 luglio 2001, n. 151)
L’art. 1, differisce al 31 dicembre 2001, la sospensione delle procedure esecutive di rilascio di immobili adibiti ad uso abitativo, gia` disposta ai sensi dell’art. 80, comma 22, della legge 23 dicembre 2000, n. 388, iniziate nei con- fronti degli inquilini in possesso dei requisiti indicati al comma 20 del medesimo art. 80.
PATRIMONIO SANITARIO PUBBLICO
Decreto 26 giugno 2001 del Ministero dell’Economia e delle Finanze - Determinazione del tasso di interesse da applicarsi, per il periodo 18 luglio -31 dicembre 2001, ai mutui stipulati, nell’ambito degli interventi di ristruttu- razione ed ammodernamento del patrimonio sanitario pubblico, in data anteriore al 29 marzo 1999 (G.U. 4 luglio 2001, n. 153)
In base al presente decreto, il costo della provvista da utilizzare per i mutui previsti dall’art. 20 della legge 11 mar- zo 1988, n. 67, e dall’art. 4, comma 1, della legge 23 dicembre 1990, n. 500, regolati a tasso variabile e stipulati anteriormente alla data del 29 marzo 1999, e` pari al 5,25%. In conseguenza, tenuto conto dello spread dello 0,80, la misura massima del tasso di interesse annuo posticipato per il periodo 18 luglio-31 dicembre 2001 e` pari al 6,05%.
ARCHITETTI - INGEGNERI
Decreto 21 maggio 2001 del Ministero dell’Universit`a e della ricerca scientifica e tecnologica - Modifica all’equi- pollenza della laurea in pianificazione territoriale, urbanistica e ambientale alle lauree in ingegneria civile e ar- chitettura ai fini e nei limiti dell’ammissione ai pubblici concorsi per l’assegnazione di borse di studio (G.U. 21 luglio 2001, n. 168)
Il decreto ministeriale 11 maggio 2000 e` modificato nel senso che la laurea in Pianificazione territoriale urbanisti- ca e ambientale e` equipollente alle lauree in ingegneria civile e architettura ai fini e nei limiti dell’ammissione ai pubblici concorsi per l’assegnazione di borse di studio.
CATASTO URBANO
Decreto legislativo 18 maggio 2001, n. 280 - Norme di attuazione dello statuto speciale della regione Trentino- Alto Adige recante modifiche e integrazioni al decreto del Presidente della Repubblica 31 luglio 1978, n. 569, in materia di catasto terreni e urbano (G.U. 13 luglio 2001, n. 161)
Le funzioni amministrative statali in materia di catasto terreni e urbano, nell’ambito delle province di Trento e di Bolzano sono esercitate, per delega dello Stato, dalle province autonome.
URBANISTICA E APPALTI 9/2001
965
Le funzioni amministrative delegate vengono esercitate dagli organi provinciali in conformita` alle direttive ema- nate dal Ministero delle finanze.
In caso di difformita` dalle direttive emanate dal Ministero delle finanze o di persistenti inattivita` degli organi pro- vinciali nell’esercizio delle funzioni delegate, qualora le attivita` relative alle materie delegate comportino adempi- menti propri dell’amministrazione da svolgersi entro termini perentori previsti dalla legge e termini risultanti dalla natura degli interventi, il Ministro delle finanze puo` disporre il compimento degli atti relativi in sostituzione del- l’amministrazione provinciale. Alle riunioni del comitato direttivo dell’organismo tecnico di cui all’articolo 67 del D.Lgs. 31 marzo 1998, n. 112, concernenti questioni di diretto interesse delle due province autonome, partecipa- no anche i rappresentanti delle province stesse.
Il predetto comitato direttivo assicura il coordinamento tecnico delle funzioni amministrative in materia di cata- sto terreni e urbano delegate con il presente decreto. Le province sono, altres`ı, delegate a fissare le tipologie e gli importi dei tributi speciali catastali e a provvedere alla loro riscossione.
Gli introiti relativi confluiscono nei rispettivi bilanci provinciali secondo le modalita` di cui all’articolo 5-bis del
D.P.R. 19 novembre 1987, n. 526, inserito con il X.Xxx. 28 luglio 1997, n. 275.
La delega delle funzioni amministrative statali in materia di catasto, terreni e urbano alle province autonome di Trento e di Bolzano decorre dalla data prevista con legge regionale per l’operativita` della delega da parte della re- gione stessa alle province autonome di Trento e di Bolzano delle funzioni amministrative in materia di libri fon- diari.
Il D.P.R. 31 luglio 1978, n. 569, e` abrogato con effetto dalla stessa data.
Entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge regionale la regione, previa intesa con ciascuna provincia autonoma competente per territorio, con uno o piu` provvedimenti trasferisce alle province medesime i beni immobili utilizzati dalla regione come sede degli uffici del catasto terreni ed urbano, ivi compresi quelli gia` trasferiti dallo Stato alla regione per l’esercizio delle medesime funzioni, i beni mobili relativi nonche´ il personale addetto agli uffici medesimi.
Al personale trasferito e` assicurato il rispetto della posizione giuridica e del trattamento economico in godimento presso la regione.
I provvedimenti regionali di trasferimento dei beni immobili costituiscono titolo per l’intavolazione e la voltura catastale, a favore delle province, dei beni immobili alle stesse trasferiti ai sensi del comma precedente. Alle rela- tive operazioni nonche´ a quelle relative ai beni mobili si applica l’articolo 14 del D.P.R. 20 gennaio 1973, n.
115. Le somme dovute dallo Stato per il rimborso alle province autonome di Trento e di Bolzano degli oneri conseguenti allo svolgimento delle funzioni delegate sono determinate, al netto dei tributi speciali introitati nei bilanci provinciali, nell’ambito dell’accordo di cui all’articolo 78 dello statuto e dall’articolo 10 del D.Lgs. 16 mar- zo 1992, n. 268.
MOBILITA` NEI CENTRI STORICI
Decreto 24 aprile 2001 del Ministero dei Trasporti e della Navigazione - Erogazione dei contributi previsti dall’art. 2, comma 5, della legge 18 giugno 1998, n. 194, a favore delle regioni a statuto ordinario, quale concorso dello Stato per la sostituzione di autobus destinati al trasporto pubblico locale in servizio da oltre 15 anni, nonch´e al- l’acquisto di mezzi di trasporto pubblico di persone,a trazione elettrica, da utilizzare all’interno dei centri storici e delle isole pedonali, e di altri mezzi di trasporto pubblico di persone terrestri e lagunari ed impianti a fune (G.U. 5 luglio 2001, n. 154)
Per le finalita` di cui in epigrafe, e` autorizzato il pagamento della somma di L. 195.000.000.000.
SVILUPPO URBANO SOSTENIBILE
Decreto 11 aprile 2001 del Ministero dei Lavori Pubblici - Approvazione della graduatoria relativamente ai pro- grammi di iniziativa comunitaria concernenti la rivitalizzazione economica e sociale delle citt`a e delle zone adia- centi in crisi, per promuovere uno sviluppo urbano sostenibile (G.U. 17 luglio 2001, n. 164)
La graduatoria e` articolata in un allegato al presente decreto.
Come stabilito dallo stesso, sono ammessi al finanziamento, a valere sulle disponibilita` di cui all’art. 1 del decreto 19 luglio 2000, i primi quattro programmi che hanno conseguito il punteggio piu` elevato ricadenti nelle regioni interessate dal quadro comunitario di sostegno per le regioni italiane dell’obiettivo 1 per il periodo 2000-2006, i primi quattro programmi ricadenti nelle restanti regioni, nonche´ i primi due ammessi e valutati, utilmente collo- cati nella graduatoria generale.
966 URBANISTICA E APPALTI 9/2001
dell’Autorita` per la vigilanza sui lavori pubblici
a cura di XXXXXX XXXXX e XXXXXXX XXXXXX
TERMINE DEL PRIMO MARZO 2001 E DATA DELL’ATTESTAZIONE RILASCIATA DALLE SOA
Determinazione n. 8 del 15 febbraio 2001 (in G.U. n. 50 del 18 marzo 2001)
Possono partecipare alle procedure di affidamento di appalti di importo pari o superiore al controvalore in euro di 5.000.000 di DSP le imprese che risultino in possesso di un’attestazione SOA rilasciata tanto prima quanto do- po la data del 18 marzo 2001 ma in ogni caso anteriore al momento di presentazione dell’offerta in gara.
Omissis
Non occorre indugiare sulla natura costitutiva o dichiarativa dell’«attestazione» (art. 2 comma 1 lett. p) D.P.R. 25 gennaio 2000, n. 34), in quanto e` testualmente precisato che la «qualificazione in essa attestata abilita l’impre- sa a partecipare alla gara» e conseguentemente ad «eseguire i lavori» (art.3, comma 2 D.P.R. 34/2000).
Ne segue che la previsione normativa di una situazione abilitante alla partecipazione ad una procedura ammini- strativa restringe l’ambito problematico alla semplice precisazione se l’impresa debba essere in possesso dell’attesta- zione al momento dell’indizione della gara, ovvero a quello successivo in cui l’impresa, appunto, partecipa alla gara stessa. La precisazione anzidetta non puo` essere formulata, proprio in base al dato normativo testuale sopra riporta- to, che nel senso della necessita` di possesso dell’attestazione all’atto della partecipazione alla gara; quindi il relativo documento puo` essere stato rilasciato dalla SOA anche in data successiva a quella del 18 marzo 2001 (...).
La conferma dell’esattezza di questa soluzione si rinviene, oltre che nella pacifica giurisprudenza amministrativa ri- guardante la partecipazione a procedimenti di soggetti legittimati dal possesso di requisiti (esempio tipico e` quello di procedimenti di reclutamento), in cui mai si fa riferimento all’atto iniziale del procedimento (nella specie che interessa il bando di gara), anche nella giurisprudenza formatasi in relazione al sistema Albo Nazionale dei Co- struttori. Si legge infatti (Cons. Stato, sez. V, 11 aprile 1991, n. 517; T.A.R. Milano, sez. III, 21 luglio 1994, n. 529) che l’iscrizione all’Albo Nazionale dei Costruttori costituisce presupposto di legittimazione speciale del priva- to il quale contratti con la pubblica amministrazione che deve esistere al momento sia della gara che della stipula-
zione del contratto, non potendo intervenire, con effetti sananti, in un tempo successivo. E` stato ulteriormente
chiarito (Cons. Stato, sez. V, 13 giugno 1998, n. 830) che l’iscrizione all’Albo Nazionale dei Costruttori costitui- sce un requisito soggettivo necessario per concorrere validamente all’esperimento di una gara per l’appalto dei la- vori pubblici e puo` farsi rientrare nell’ambito dei provvedimenti creativi di status, ovvero nella categoria delle am- missioni (atti che imprimono una qualita` ad un soggetto).
In base alle suesposte considerazioni le imprese possono partecipare alle procedure di affidamento di appalti di im- porto pari o superiore al controvalore in euro di 5.000.000 di DSP qualora in possesso di attestazione rilasciata sia in data anteriore al 18 marzo 2001 sia in data successiva a questa, purche´ antecedente alla data dell’offerta alla gara.
AMBITO OGGETTIVO DI APPLICAZIONE DELLA DISCIPLINA CONTENUTA NELL’ART. 88 DEL D.P.R. N. 554/1999
Determinazione n. 9 del 21 febbraio 2001 (in G.U. n. 54 del 6 marzo 2001)
Non sono da ricomprendere nell’ambito applicativo dell’art. 88 del D.P.R. 21 dicembre 1999, n. 554 i lavori di manutenzione forestale che si concretino in interventi intesi a mantenere salve le situazioni naturali e non confi- gurabili alla stregua di opere di edilizia. Alla disposizione sono, invece, soggetti i lavori in ambito forestale che comprendano la realizzazione di opere necessarie per l’eliminazione del dissesto idrogeologico e per la sistema- zione agraria e che costituiscano opere di ingegneria naturalistica in senso proprio.
Omissis
La possibilita` di effettuare in economia, nella forma dell’amministrazione diretta, i lavori di forestazione, senza li- miti di importo, era prevista nella precedente legge sulle foreste che disciplinava l’attivita` dell’Azienda Autonoma Foreste Demaniali le cui competenze, dopo la sua soppressione, sono state trasferite alle Regioni le quali in parte
URBANISTICA E APPALTI 9/2001
967
le hanno affidate a proprie Aziende, appositamente costituite, disciplinandone l’attivita` ed in parte le hanno dele- gate alle Comunita` Montane.
Queste istituzioni hanno utilizzato i lavoratori dipendenti a tempo indeterminato o assunti per l’esecuzione di la- vori in economia e per questi ultimi la disciplina collettiva vigente ha previsto il diritto alla riassunzione.
La nuova normativa in materia di lavori pubblici, sia nella legge che nel regolamento detta una disciplina piu` ri- gorosa in materia di esecuzione di lavori in economia. E cio` per ovviare ad un indirizzo, in passato oggetto di cri- tica, secondo cui l’esecuzione in economia specie con il sistema del cottimo fiduciario costituiva strumento per derogare al principio della gara. La limitazione di importo per i lavori eseguibili in economia, in amministrazione diretta contenuta nel regolamento si riferisce certamente a lavori tra i quali possono ricomprendersi quelli agrico- lo-forestali. Da questi, come categoria che comprende opere in senso proprio di ingegneria, possono essere, pero`, distinti i lavori di mera manutenzione forestale che hanno e possono avere un contenuto cos`ı specialistico da configurare un’ipotesi atipica. Difatti, questa manutenzione non attiene ad opere realizzate ne´ ad impianti ma si concreta in interventi che fanno rimanere salve le situazioni naturali. Questi interventi incidono sulla natura fo- restale direttamente, ovvero, in via meramente strumentale non con opere di edilizia (sentieri asfaltati, ecc.). Xxxx, quindi, vanno tenuti distinti dalle opere consistenti in lavori pubblici in senso proprio e sfuggono all’applicazione della generale disciplina la quale si applica allorquando si tratti di lavori pubblici in ambito forestale, ma in senso proprio, cioe` concernenti realizzazione ex novo o manutenzione di opere o impianti realizzati.
D’altro canto va tenuto presente che i lavori di manutenzione forestale non richiedono, in senso pieno, un’attivi- ta` imprenditoriale e, quindi, un’organizzazione di impresa. Tutto cio` allo stato della legislazione, in quanto, ove si tenga conto delle affermazioni della Corte costituzionale circa la distinzione tra norme della legge quadro conte- nenti i principi applicabili alle Regioni ed altre norme di dettaglio, le disposizioni in tema di limiti al ricorso all’e- secuzione in economia in amministrazione diretta possono essere inquadrate in queste norme di dettaglio.
Sulla base di quanto esposto e considerato, va ritenuto che nell’ambito di applicazione dell’art. 88 del D.P.R. 21 dicembre 1999, n. 554 non sono da ricomprendere i lavori di manutenzione forestale in amministrazione diretta, qualora abbiano ad oggetto interventi che facciano rimanere salve le situazioni naturali e non siano configurabili come opere di edilizia. Sono, invece, soggetti alle regole anzidette i lavori in ambito forestale che comprendano opere necessarie per l’eliminazione del dissesto idrogeologico e la sistemazione agraria e che costituiscano opere di ingegneria naturalistica in senso proprio.
Le regole riguardanti l’esecuzione di lavori in economia non offrono principi contenenti connotati della nuova disciplina vincolanti per le Regioni alle quali e` lasciato spazio per l’esercizio dell’autonomia normativa.
PROBLEMI IN MATERIA DI RESPONSABILE DEL PROCEDIMENTO
Determinazione n. 10 del 23 febbraio 2001 (in G.U. n. 56 dell’8 marzo 2001)
Con la presente determinazione l’Autorit`a tornaa fornire chiarimenti in ordine alle disposizioni della legge Merlo- ni e del successivo regolamento di attuazione concernenti il responsabile unico del procedimento.
L’organo di vigilanza puntualizza in particolare che sono tenuti alla nomina del responsabile unico del procedi- mento i soli soggetti elencati nell’art. 2, comma 2, lett. a) della legge n. 109/94 rammentando al contempo che i soggetti di cui alle lettere b) e c) della stessa norma devono in ogni caso garantire, secondo quanto espressa- mente previsto dall’art. 7, comma 6 del D.P.R. n. 554/1999, che vengano svolti i compiti attribuiti al responsabile del procedimento dalle norme la cui osservanza resta loro imposta.
All’ulteriore quesito relativo alla necessit`a di nominare un nuovo responsabile del procedimento laddove il sog- getto a suo tempo incaricato non soddisfi le sopravvenute prescrizioni regolamentari l’Autorit`a risponde poi ri- chiamandosi all’art. 232 del D.P.R. n. 554/1999 e alla previsione in esso contenuta dell’immediata applicabilit`a di tutte le disposizioni che disciplinano l’organizzazione ed il funzionamento della stazione appaltante, rammen- tando altres`ı di aver gi`a affrontato la questione in seno alla precedente determinazione n. 54/2000 (in questa Rivista, 2001, 602, ed in G.U. n. 302 del 29 dicembre 2000).
Decisamente vaga rimane invece la risposta dell’organo di vigilanza a fronte degli interrogativi formulati con rife-
rimento alla portata delle disposizioni di cui al comma 4, ultimo inciso, e al comma 5 dell’art. 7 del D.P.R. n. 554/1999, intese ad individuare i casi nei quali pu`o derogarsi alle prescrizioni ordinarie in tema di responsabile unico del procedimento: ripercorrendo il testo normativo l’Autorit`a si limita infatti, in sostanza, a citare le ecce- zioni esplicitamente poste alla disciplina generale ed individuate negli interventi di importo non superiore a
500.000 euro e non riguardanti progetti integrali o opere di speciale complessit`a, relativamente ai quali la figura del responsabile del procedimento puo` coincidere con quella del progettista o del direttore lavori, ed altres`ı attra- verso il riferimento ai Comuni con meno di 3.000 abitanti ed agli appalti di importo inferiore a 300.000 euro, ca- si questi nei quali `e consentito, in caso di necessit`a e sempre che non si tratti di realizzare opere di speciale complessit`a, di nominare responsabile del procedimento il responsabile dell’ufficio tecnico o struttura corrispon-
968 URBANISTICA E APPALTI 9/2001
dente, ovvero ed in assenza di detto soggetto, il responsabile del servizio cui attiene l’opera da realizzare. Del tutto scontata, quanto meno agli occhi degli operatori, appare poi l’indicazione, quale ipotesi piu` probabile di
«necessit`a», di una carenza, nell’organico della stazione appaltante, di soggetti in possesso dei requisiti stabiliti dall’art. 7, comma 4, del Regolamento.
Maggiormente soddisfacente, sul piano pratico, `e la precisazione che la qualifica di geometra soddisfa in linea generale la previsione contenuta nell’art. 7, comma 4 del D.P.R. n. 554/1999 - secondo cui il responsabile del procedimento deve essere un tecnico, peraltro con un certo grado di esperienza - anche laddove si tratti di opere non riconducibili nel novero delle competenze strettamente professionali. Persuasiva appare altres`ı l’argomenta- zione che fa leva sul carattere in larga misura organizzativo dell’attivit`a che il responsabile `e chiamato a compie- re, tanto piu` perch´e temperata dalla precisazione che a fronte della realizzazione di opere particolarmente com- plesse permane in ogni caso l’opportunit`a dell’affidamento dell’incarico a soggetti in possesso di un titolo di studio piu` elevato di quello di geometra.
Puntualizza inoltre l’Autorit`a che, sulla scorta di quanto previsto dall’art. 8, comma 1, lett. h) del D.P.R. n. 554/ 1999, la sottoscrizione degli atti di gara, ed in particolare il bando, puo` essere poi ricondotta fra gli adempimen- ti che fanno capo al responsabile del procedimento.
L’organo di vigilanza chiarisce poi che soggetto tenuto ad inviare all’Osservatorio i dati relativi agli affidamenti `e, in base all’art. 8, comma 3, lett. s), il responsabile del procedimento che resta anche destinatario delle sanzioni pecuniarie previste per l’ipotesi di omessa o non veritiera trasmissione. I soggetti che per legge non sono tenuti a nominare il responsabile del procedimento devono invece comunicare i dati all’Osservatorio avvalendosi di un pro- prio dirigente o funzionario incaricato che assumer`a altres`ı la responsabilit`a relativa al corretto e tempestivo invio. Quanto al momento della nomina l’Autorit`a precisa che, stante il disposto dell’art. 7, comma 1, il responsabile del procedimento deve essere individuato «prima della fase di predisposizione del progetto preliminare», puntua- lizzando di seguito che poich´e ex art. 14, comma 6, della legge n. 109/94 prevede che l’approvazione del progetto preliminare `e indispensabile per l’inserimento dell’opera nell’elenco annuale dei lavori, la nomina del responsabi- le del procedimento deve anche intendersi necessariamente precedente rispetto alla formazione di detto elenco. Di negativo avviso si mostra l’Autorit`a circa la possibilit`a, per il responsabile del procedimento, di nominare dei sub-responsabili, e cio` sulla scorta della motivazione che la scelta del legislatore appare effettuata nel senso di evitare la frammentazione eccessiva delle responsabilit`a.
Quanto alla possibilit`a, per l’amministrazione, di chiedere una copertura assicurativa per il responsabile del pro- cedimento si evidenzia che le disposizioni vigenti non prevedono alcuna forma di garanzia, ma che nulla osta a che, in sede di contrattazione decentrata, venga contemplata la stipulazione di polizze a copertura dei rischi con- nessi all’attivit`a del responsabile del procedimento, anche con oneri a carico dell’ente.
L’art. 7, comma 4 del Regolamento, nella parte in cui stabilisce che «quando l’abilitazione non sia prevista dalle norme vigenti», il responsabile del procedimento `e un funzionario con idonea professionalit`a e con anzianit`a di servizio in ruolo non inferiore a cinque anni fa poi riferimento, secondo quanto precisato dall’Autorit`a, alle ipote- si in cui si tratta di effettuare interventi su beni mobili soggetti a vincoli archeologici od artistici: in tali casi, in assenza di soggetti abilitati, l’ente appaltante potr`a, sulla scorta della disposizione in riferimento, nominare un funzionario con idonea professionalit`a in relazione all’intervento da effettuare e con anzianit`a di servizio non in- feriorea cinque anni.
Specifica ancora l’Autorit`a che resta nelle possibilit`a della stazione appaltante sostituire il responsabile in corso di procedimento tanto per ragioni di organizzazione interna agli uffici quanto per ragioni di opportunit`a.
Nella disciplina sugli appalti non sono inoltre rinvenibili motivi che ostino all’espletamento dell’incarico di Presi- dente della Commissione di gara da parte del responsabile del procedimento: fermo restando che ai sensi dell’art. 107 del D.Lgs. n. 267 del 18 agosto 2000, la presidenza della commissione di gara compete ai dirigenti dell’ente, laddove il responsabile del procedimento rivesta la suddetta funzione ben potr`a presiedere alle operazioni di gara. Da ultimo, quanto alle modalit`a di nomina del responsabile del procedimento, all’identificazione dell’organo competente a riguardo, ed alla necessit`a che l’approvazione del regolamento per la ripartizione dell’incentivo di cui all’art. 18 della legge preceda necessariamente la nomina del responsabile unico del procedimento l’Autorit`a chiarisce da un lato che la nomina deve avvenire con un provvedimento ad hoc e di data certa che resta di com- petenza dell’organo da individuare di volta in volta sulla base dell’organizzazione interna dell’ente, e, dall’altro che non esistono ragioni per considerare la mancata approvazione del regolamento di cui all’art. 18 della legge
n. 109/94 ostativa all’individuazione del responsabile del procedimento.
Omissis
Sono pervenuti all’Autorita` numerosi quesiti aventi ad oggetto problemi applicativi ed interpretativi in relazione al- le norme della legge quadro e del regolamento generale che recano la disciplina del responsabile del procedimento. Il primo ordine di problemi consiste nell’individuazione dei soggetti che sono tenuti alla nomina del responsabile unico del procedimento.
URBANISTICA E APPALTI 9/2001
969
Ai sensi dell’art. 7, comma 1, della legge quadro, detti soggetti sono quelli elencati nell’art. 2, comma 2, lettera
a) della legge stessa. Conseguentemente i soggetti di cui alle lettere b) e c) della norma richiamata non sono te- xxxx a procedere alla nomina e dunque ad applicare l’art. 7 della legge, ma devono in ogni caso ottemperare a quanto previsto dall’art. 7, comma 6 del regolamento: devono quindi garantire che vengano svolti i compiti attri- buiti al responsabile del procedimento dalle norme alla cui osservanza sono tenuti.
Discende dalle considerazioni riportate che i soggetti per i quali corre l’obbligo di procedere alla nomina del re- sponsabile del procedimento dovranno agire nel rispetto delle norme dettate dalla legge e dal regolamento attua- tivo. Pertanto, ai sensi dell’art. 7, comma 5 della legge, il responsabile del procedimento deve essere un tecnico dipendente dell’amministrazione e, solo ove venga dimostrata una carenza di organico gli potranno essere affian- cati professionisti aventi le necessarie competenze, selezionati con le forme e le modalita` di cui al decreto legislati- vo 157/95.
Viene richiesto se dopo l’entrata in vigore del regolamento attuativo sia necessario procedere a nuova nomina del responsabile del procedimento ove il soggetto gia` incaricato non soddisfi le prescrizioni regolamentari. La di- sposizione di cui all’art. 232 del regolamento prevede che siano immediatamente applicabili, anche ai rapporti in corso di esecuzione, tutte le norme che disciplinano l’organizzazione ed il funzionamento della stazione appal- tante.
Il problema di diritto intertemporale, come anche gli aspetti connessi al passaggio delle competenze dall’ingegnere capo al responsabile del procedimento sono stati affrontati dall’Autorita` con propria determinazione n. 54/2000 a cui si fa rinvio per l’interpretazione dei problemi di disciplina transitoria.
Possono ora esaminarsi i quesiti relativi ai casi particolari in cui il regolamento ha previsto delle eccezioni rispetto alle prescrizioni ordinarie, per procedere all’individuazione del responsabile del procedimento.
In particolare sono state prese in considerazione due diverse ipotesi: la prima connessa all’importo dei lavori da af- fidare e la seconda al numero di abitanti dei comuni che devono procedere ad affidamenti.
Nel caso di interventi di importo non superiore a 500.000 euro (l’importo e` relativo alla spesa globale per realizza- re l’opera) e ove non si tratti di progetti integrali o opere di speciale complessita` il responsabile del procedimento puo` svolgere anche le funzioni di progettista o direttore lavori.
L’ulteriore modalita` di individuazione del responsabile del procedimento e` quella relativa ai comuni con popola- zione inferiore a 3.000 abitanti o per appalti di importo inferiore a 300.000 euro, sempre che non si tratti di rea- lizzazione di opere di speciale complessita`; in tali casi e` consentito di attribuire al responsabile dell’ufficio tecnico o analoga struttura, le competenze del responsabile del procedimento. Qualora tali figure non esistano nell’ambito dell’organico della stazione appaltante, le competenze sono attribuite al responsabile del servizio cui attiene l’ope- ra. (art. 7, comma 5 del regolamento generale).
La disposizione in argomento pone come ulteriore condizione che ci si trovi in caso di particolare necessita`: su detta condizione ed in particolare sull’individuazione delle situazioni che soddisfino la condizione, viene richiesto all’Autorita` di fornire chiarimenti.
E` possibile ipotizzare che il caso piu` ricorrente di particolare necessita` sara` quello in cui l’ente aggiudicatore non
abbia nel proprio organico altri tecnici con i titoli professionali richiesti dall’art. 7, comma 4, del regolamento. Qualora il responsabile del servizio cui attiene il lavoro da realizzare sia un soggetto che non abbia i requisiti pre- visti dall’art. 7, comma 4, del regolamento, vale a dire non sia un tecnico, ma ad esempio un amministrativo, sara` possibile comunque che quest’ultimo ricopra l’incarico proprio in virtu` di un’eccezione alla regola prevista dal le- gislatore per consentire di dare comunque luogo a procedure di affidamento di lavori pubblici.
Numerosi quesiti riguardano i limiti entro i quali l’incarico di responsabile del procedimento possa essere attribui- to ai geometri. La norma che individua i requisiti che deve possedere il soggetto prescelto per l’espletamento del- l’incarico e` l’art. 7, comma 4 del regolamento. Oltre a prevedere che il responsabile del procedimento debba esse- re un tecnico, stabilisce che quest’ultimo debba essere in possesso di titolo di studio adeguato alla natura dell’in- tervento da realizzare, di abilitazione all’esercizio della professione o, se l’abilitazione non e` prevista dalle norme vigenti, l’incarico potra` essere affidato ad un funzionario con adeguata professionalita` e con anzianita` in ruolo non inferiore a 5 anni.
La qualifica di geometra soddisfa la condizione imposta dalla legge quadro che il responsabile del procedimento deve essere un tecnico. L’adeguatezza a ricoprire l’incarico e` data dalla professionalita` acquisita dal tecnico nel corso del tempo e, dunque, dell’esperienza maturata. Pertanto e` ragionevole ritenere che la competenza e le capa- cita` acquisite consentano di individuare nella figura professionale del geometra il soggetto idoneo ad essere nomi- nato responsabile del procedimento anche per opere che non rientrano nelle strette sue competenze; infatti il ruolo del responsabile del procedimento all’interno dell’iter realizzativo dell’opera pubblica e` piuttosto quello del project manager e, quindi quello di fornire impulso al processo anche avvalendosi di uno staff di supporto. La capa- cita` che si richiede al soggetto e` organizzativa e propositiva in misura molto maggiore di quanto non sia la capaci- ta` meramente tecnica; tuttavia la logica conduce a ritenere che a fronte della realizzazione di opere particolar-
970 URBANISTICA E APPALTI 9/2001
mente complesse, xxxx` opportuno che l’incarico di responsabile del procedimento venga affidato a soggetti in pos- sesso di titolo di studio piu` elevato e commisurato alla tipologia degli interventi da effettuare.
In merito alla predisposizione e pubblicazione del bando di gara viene richiesto se il responsabile del procedimen- to debba essere colui che sottoscrive gli atti di gara (in particolare il bando). La lettura di quanto stabilito dall’art. 8, comma 1, lett. h) del regolamento conduce a ritenere possibile che, al fine di garantire la conformita` del ban- do e della lettera d’invito alle norme vigenti, detto adempimento rientri tra le competenze del responsabile del procedimento. La firma degli atti di gara, infatti, e` indubbiamente un mezzo attraverso il quale il responsabile del procedimento attesta che la procedura prescelta e le modalita` di svolgimento sono conformi alle deliberazioni adottate dalla stazione appaltante e soprattutto alla normativa in vigore.
Viene richiesto di conoscere chi dovra` essere il soggetto che nell’ambito del Comune sara` tenuto all’invio dei dati all’Osservatorio. La legge quadro, art. 4, comma 17, stabilisce, in via generale, che le amministrazioni aggiudicatri- ci e gli altri enti aggiudicatori o realizzatori sono tenuti a comunicare all’Osservatorio una serie di dati relativi agli affidamenti. Il regolamento ha individuato, art. 8, comma 1, lett. s), nel responsabile del procedimento colui che, relativamente agli interventi di propria competenza, raccoglie e trasmette i dati all’Osservatorio. L’omissione o la non veritiera trasmissione dei dati richiesti ha come conseguenza l’irrogazione da parte dell’Autorita` di sanzioni pecuniarie e conseguentemente e` stato necessario individuare un soggetto da ritenere responsabile in merito al- l’obbligo imposto dall’ art. 8, comma 1, lett. s). I soggetti che per legge non sono tenuti all’obbligo di nominare il responsabile del procedimento secondo quanto previsto dall’art. 7, comma 1, della legge 109/94 e s.m.i., dovran- no, comunque inviare i dati all’Osservatorio, incaricando della trasmissione un proprio dirigente o funzionario, anche per singole fasi, che assumera` la responsabilita` relativa al corretto e tempestivo invio.
Altra questione di rilievo e` relativa al momento in cui la stazione appaltante dovra` procedere alla nomina del re- sponsabile del procedimento. In proposito la disciplina regolamentare, art. 7, comma 1, sembra risolvere il proble- ma stabilendo che il responsabile del procedimento venga nominato «prima della fase di predisposizione del pro- getto preliminare». Essendo, ai sensi dell’art. 14, comma 6, l’approvazione del progetto preliminare requisito indi- spensabile per l’inserimento dell’intervento nell’elenco annuale, la nomina del responsabile del procedimento e` si- curamente precedente rispetto alla formazione di detto elenco. La legge quadro, inoltre, all’art. 7, comma 3, stabi- lisce che il responsabile del procedimento deve formulare proposte e fornire dati al fine della predisposizione del programma triennale.
Occorre preliminarmente chiarire la natura del programma triennale. Il legislatore ha disposto che ogni anno si redige un programma triennale ed un elenco annuale. In realta` il programma triennale viene redatto nel primo degli anni a partire dalla data in cui l’obbligo e` in vigore, mentre per gli anni successivi si procede con l’aggiorna- mento del piano triennale attraverso modifiche anche notevoli. Pertanto il programma triennale e` uno strumento programmatorio che puo` definirsi scorrevole. Negli aggiornamenti, con riferimento al primo anno del piano trien- nale viene approvato anche l’elenco annuale e, dunque, nominato il responsabile del procedimento che formule- ra` proposte per la definizione dell’aggiornamento del piano triennale.
In sede di prima applicazione della norma sulla programmazione, quindi nel momento in cui viene approvato il vero e proprio programma triennale (si e` detto che negli anni successivi si procedera` con l’aggiornamento), il re- sponsabile del procedimento potra` formulare le proprie proposte esclusivamente nel caso in cui, in base delle nor- me dell’ordinamento che prevedevano comunque l’obbligo di nominare un responsabile per ogni procedimento, le stazioni appaltanti abbiano effettivamente adempiuto all’obbligo suddetto.
Viene poi chiesto di conoscere se il responsabile del procedimento possa nominare dei sub-responsabili. La scelta operata dal legislatore e` stata nel senso di evitare la frammentazione eccessiva delle responsabilita`: pertanto deve ritenersi che la responsabilita` connessa all’incarico debba essere imputata ad un unico soggetto. E` fuori dubbio
che quest’ultimo possa avvalersi delle professionalita` interne alla stazione appaltante.
Quanto alla possibilita` di richiedere all’amministrazione una copertura assicurativa, il legislatore non ha previsto per il responsabile del procedimento alcuna forma di garanzia, mentre ha posto l’obbligo di dotarsi di adeguata polizza assicurativa per coloro ai quali verranno affidati i compiti di supporto esterno. Poiche´ una siffatta previsio- ne non e` ricompresa nella normativa attualmente in vigore, nulla vieta che in sede di contrattazione decentrata venga previsto di stipulare polizze assicurative a copertura dei rischi connessi all’attivita` del responsabile del proce- dimento, anche con oneri a carico dell’amministrazione aggiudicatrice.
Vengono richiesti chiarimenti in ordine alla corretta interpretazione dell’espressione di cui all’art. 7, comma 4 del regolamento, laddove si prevede che quando l’abilitazione non sia prevista dalle norme vigenti, il responsabile del pro- cedimento e` un funzionario con idonea professionalita` e con anzianita` di servizio in ruolo non inferiore a cinque anni. La previsione normativa fa riferimento alle ipotesi in cui si tratta di effettuare interventi su beni mobili sog- getti a vincoli archeologici od artistici. Anche gli interventi su detti beni si svolgono sulla base delle norme con- tenute nella legge 109/94 e s.m.i. e conseguentemente sara` necessario procedere alla nomina del responsabile uni- co del procedimento per le varie fasi dell’opera da realizzare. In tali casi, in assenza di soggetti abilitati, soccorre la
URBANISTICA E APPALTI 9/2001
971
disposizione appena richiamata, che consente all’ente appaltante di nominare un funzionario con idonea profes- sionalita` in relazione all’intervento da effettuare e con anzianita` di servizio non inferiore a cinque anni.
In ordine alla possibilita` di sostituire il responsabile del procedimento in corso di procedimento, ragioni di orga- nizzazione interna agli uffici, nonche´ ragioni di opportunita` in ordine a comportamenti tenuti dal soggetto incari- cato, consentono la possibilita` di operare la sostituzione in tutti quei casi in cui l’amministrazione ne ravveda la necessita`.
Viene chiesto all’Autorita` se il responsabile del procedimento possa espletare anche le funzioni di presidente della commissione di gara per l’affidamento di una concessione. Nell’ambito dell’ordinamento degli enti locali, l’art. 107 del D.Lgs. n. 267 del 18 agosto 2000, recante il T.U. delle leggi sull’ordinamento degli enti locali, prevede che la presidenza della commissione di gara spetti ai dirigenti. Ove il responsabile del procedimento sia anche di- rigente non si rinvengono nella disciplina sugli appalti motivi ostativi all’espletamento dell’incarico di presidente da parte del responsabile del procedimento.
In merito alle modalita` di nomina del responsabile del procedimento si pone in evidenza la questione sull’identifi- cazione dell’organo competente a detta nomina ed in particolare se debba essere fatta mediante delibera di Giun- ta; inoltre e` stato richiesto se l’approvazione del regolamento per la ripartizione dell’incentivo di cui all’art. 18 del- la legge sia un presupposto necessario per procedere alla nomina del responsabile unico del procedimento.
L’atto di nomina deve costituire un provvedimento ad hoc, con data certa, mentre, nel silenzio del legislatore del- la legge Merloni puo` ritenersi che la competenza ad emanare l’atto stesso riguardi profili organizzativi dell’ente; pertanto la questione potra` risolversi alla luce delle disposizioni contenute negli ordinamenti che disciplinano le autonomie locali e che definiscono l’ambito di competenza degli organi delle stesse.
Quanto alla necessaria approvazione del regolamento ex art. 18 della legge quadro, non sussistono motivi per rite- nere che la mancata adozione da parte dell’ente del regolamento sia da considerare ragione ostativa alla nomina del responsabile del procedimento.
Come gia` ricordato in precedenza, la nomina del responsabile del procedimento deve obbligatoriamente avvenire prima della fase di predisposizione del progetto preliminare; la disposizione di cui all’art. 18 della legge 109/94 e s.m.i., invece, attiene alla ripartizione del fondo incentivante previsto a favore dei soggetti individuati dalla nor- ma stessa. Pertanto la mancata adozione del regolamento interno sulle modalita` di ripartizione del fondo, rileva ai soli fini della liquidazione delle quote spettanti agli aventi diritto.
ONERI DI SICUREZZA
Determinazione n. 11 del 29 marzo 2001 (in G.U. n. 100 del 2 maggio 2001)
Tre le questioni affrontate e definite dall’Autorit`a con la presente determinazione. La prima `e relativa al signifi- cato da attribuire all’inciso di cui all’art. 3 del D.Lgs. 14 agosto 1996, n. 494 «nei cantieri in cui `e prevista la presenza di piu` imprese». A riguardo l’organo di vigilanza puntualizza che l’espressione fa riferimento ad ogni ipotesi in cui i lavori appaltati vengono eseguiti, anche non contemporaneamente, da piu` imprenditori, ma che dal computo restano in ogni caso esclusi i lavoratori autonomi. In secondo luogo e con specifico riguardo al di- sposto di cui all’art. 3, comma 4, del D.Lgs. n. 494/1996 l’Autorit`a chiarisce che la norma fa riferimento, oltre che all’ipotesi del subappalto, ad ogni altro caso in cui intervenga, nel corso della realizzazione dei lavori, altra impresa che si aggiunga a quella inizialmente affidataria, con l’ulteriore precisazione che, sulla base della nor- mativa vigente in materia di lavori pubblici la presenza di piu` imprese in cantiere deve intendersi del tutto fisio- logica.
Infine l’Autorit`a afferma che ai sensi dell’art. 25, comma 2, del D.Lgs. 19 novembre 1999, n. 528, le norme del- l’intero testo normativo trovano applicazione anche nel caso in cui vi sia stato affidamento di incarico di proget- tazione prima del 24 marzo 1997 e sempre che non sia intervenuta, alla data del 18 aprile 2000, l’approvazione del progetto esecutivo; trover`a invece applicazione la normativa vigente alla data di affidamento dell’incarico di progettazione nel caso in cui, alla predetta data del 18 aprile 2000, non risulti ancora intervenuta l’approvazione del progetto esecutivo medesimo.
Omissis
La prima questione attiene al significato da attribuire all’inciso «nei cantieri in cui e` prevista la presenza di piu` imprese» di cui all’art. 3, comma 3, del D.Lgs. 14 agosto 1996, n. 494, riproduttivo del testo utilizzato dall’art. 3, par.1 della direttiva comunitaria 92/57/CEE del 24 giugno 1992. Nella sussistenza di tale presupposto si pone, in particolare, un problema di «coordinamento» degli adempimenti, relativi alla sicurezza e facenti capo a ciascuna delle singole realta` organizzative concretamente operanti ed insorge quindi l’obbligo di nominare un coordinatore per la progettazione ed un coordinatore per l’esecuzione dell’opera. Stando al dato testuale e logico della norma, devesi ritenere che l’ipotesi in essa configurata ricorra in ogni caso in cui i lavori appaltati vengano eseguiti da piu` realta` imprenditoriali, operanti anche non contestualmente, ed escludendo che il lavoratore autonomo possa
972 URBANISTICA E APPALTI 9/2001
essere conteggiato nel numero delle imprese presenti in cantiere. A tale ultima considerazione conduce, innanzi- tutto, il riferimento contenuto nella norma, al concetto di impresa e, conseguentemente, al momento organizzati- vo che la caratterizza; rilevano, altres`ı, le definizioni di «lavoratore subordinato», di «datore di lavoro» e di «lavo- ratore autonomo», contenute nelle direttive comunitarie 89/31/CEE e 92/57/CEE tra loro nettamente antitetiche ed implicitamente recepite sul piano interno. Sicche´, come rilevato dal Ministero del lavoro, e` il ricorso alla so- stanzialita` della nozione di impresa (quale area datoriale di lavoro) che porta ad escludere da essa l’area del lavoro autonomo per cui, in particolare, l’imprenditore artigiano potra` definirsi «impresa» quando avra` dipendenti e ri- spetto ad essi si porra` quale «datore lavoro»; xxxx` «lavoratore autonomo» quando non ne avra` ovvero quando partecipera` da solo, senza dipendenti, all’attivita` di cantiere.
Quanto, poi, alla questione relativa all’operativita` della disposizione di cui all’art. 3, comma 4-bis, del D.Lgs. n.
494/1996 e concernente la nomina di un coordinatore per l’esecuzione in corso d’opera - ovvero successivamente all’affidamento dei lavori ad una sola impresa - si deve ritenere che la previsione faccia espresso riferimento preva- lentemente all’ipotesi del «subappalto» dei lavori ma che trovi comunque applicazione in ogni altro caso in cui, oltre all’impresa inizialmente affidataria, intervenga nella realizzazione dei lavori o di parte di essi altra ovvero al- tre imprese. Anche in tal caso, sussiste il presupposto della «presenza di piu` imprese» ancorche´ si tratti di imprese che non operano contestualmente ed anche se il riferimento a tale compresenza non e` configurato al momento dell’affidamento dell’appalto bens`ı successivamente all’affidamento dello stesso.
Come rilevato dal Ministero del lavoro, per come e` formulata, la norma sembrerebbe riguardare principalmente l’ipotesi di lavori affidati da privati - per i quali, ai sensi dell’art. 1656 del codice civile, puo` essere vietato il ricor- so al subappalto - sembrando la stessa difficilmente applicabile al settore degli appalti pubblici, per i quali la vi- gente disciplina non consente all’ente committente, salvo ipotesi eccezionali, il divieto di subappalto, per cui in tale ambito la presenza di piu` imprese nel cantiere e` da considerarsi una evenienza pressoche´ ineliminabile al mo- mento dell’affidamento dell’incarico di progettazione.
Con riferimento, infine, alla questione concernente l’entrata in vigore dell’obbligo di redigere il piano di sicurezza, va rilevato che l’art. 25, comma 2, del D.Lgs. 19 novembre 1999, n. 528 ha chiarito in modo esplicito che solo nell’ipotesi in cui l’incarico di progettazione sia anteriore al 24 marzo 1997 e si sia gia` conclusa alla data del 18 aprile 2000 la relativa fase con l’approvazione del progetto esecutivo non si applicano le disposizioni introdotte dal D.Lgs. n. 494/1996. In tal caso continua ad applicarsi, invece, la disposizione di cui all’art. 31, comma 1-bis della legge 11 febbraio 1994, n. 109 e successive modificazioni, che individua nell’appaltatore o nel concessiona- rio il destinatario dell’obbligo di redazione di un piano di sicurezza, sostitutivo del piano di sicurezza e coordina- mento, e di un piano operativo di sicurezza.
Per le considerazioni esposte, e` da ritenere che:
1) l’inciso «nei cantieri in cui e` prevista la presenza di piu` imprese», di cui all’art. 3 del D.Lgs. 14 agosto 1996, n. 494 e successive modificazioni, fa riferimento ad ogni ipotesi in cui i lavori appaltati vengono eseguiti da piu` im- prenditori, anche non contemporaneamente, ed escludendo che dal relativo computo possano essere ricompresi i lavoratori autonomi;
2) la disposizione di cui all’art. 3, comma 4, medesimo indicato D.Lgs. n. 494 del 1996 e successive modificazioni, fa riferimento, oltre che all’ipotesi del subappalto, ad ogni altro caso in cui intervenga, nel corso della realizzazione dei lavori, altra impresa che si aggiunga a quella inizialmente affidataria; con la precisazione che, sulla base della normativa vigente in materia di lavori pubblici e` da intendersi come fisiologica la presenza di piu` imprese in can- tiere;
3) ai sensi del disposto di cui al relativo art. 25, comma 2, del D.Lgs. 19 novembre 1999, n. 528, le norme di questo testo normativo trovano applicazione anche nel caso in cui vi sia stato affidamento di incarico di progetta- zione prima del 24 marzo 1997 e sempre che non sia intervenuta alla data del 18 aprile 2000, l’approvazione del progetto esecutivo; al contrario, invece, trovera` applicazione la normativa vigente alla data di affidamento dell’in- carico di progettazione nel caso in cui, alla predetta data del 18 aprile 2000, non sia intervenuta l’approvazione del progetto esecutivo medesimo.
ASPETTI PROBLEMATICI DELLA FORNITURA E POSA IN OPERA
Determinazione n. 12 del 22 maggio 2001 (in G.U. n. 135 del 13 giugno 2001)
Con la presente determinazione l’Autorit`a esprime il proprio avviso in ordine ad una serie di aspetti problematici evidenziati attraverso quesiti specificamente riferiti alla fornitura e posa in opera di materiali.
A risposta degli interrogativi prospettati l’organo di vigilanza puntualizza in particolare che:
a) il comma 12 dell’articolo 18, della legge n. 55/90 stabilisce, per le finalit`a proprie della legge stessa, le condi- zioni in base alle quali devono intendersi subappalti di lavori e, pertanto, sottoposti alle altre disposizioni del suddetto articolo 18, i subaffidamenti delle attivit`a diverse da quelle che costituiscono lavori;
URBANISTICA E APPALTI 9/2001
973
b) la specificazione contenuta nel comma 5 dell’articolo 141 del D.P.R. 554/1999, si riferisce esclusivamente alle prestazioni, assimilabili ai lavori, che rientrano nella categoria prevalente;
c) le attivit`a riportate nelle categorie di cui all’allegato A del D.P.R. 34/2000, qualunque sia la relativa specifica- zione contenuta nella declaratoria, sono da ritenersi lavori in quanto non possono che rapportarsi al disposto del- l’articolo 3 del D.P.R. 34/2000, il quale fa riferimento all’esecuzione di opere generali ed di opere specializzate che vanno intese come risultato di lavori e non di semplici forniture e posa in opera di beni e, pertanto, ad esse si applicano le disposizioni di cui all’articolo 18 della legge 55/90 con esclusione del comma 12;
d) le parti degli interventi costituite da forniture con posa in opera, qualora non rientranti (o non sia stato rite- nuto che fossero rientranti) in una delle categorie generali o specializzate di cui all’allegato A al D.P.R. n. 34/ 2000, vanno considerate facenti parte della categoria prevalente; quelle che sono equiparabili ai lavori, ai sensi dell’articolo 18, comma 12, della legge n. 55/90 e l’art. 141, comma 5, del D.P.R. n. 554/1999, qualora subappal- tate, incidono sulla quota del 30% dell’importo della categoria prevalente subappaltabile; quelle che non rispet- tano tale caratteristica, qualora subappaltate, non incidono sulla quota del 30% dell’importo della categoria pre- valente subappaltabile;
e) nell’ambito della categoria specializzata «fornitura e posa in opera di strutture e di elementi prefabbricati prodotti industrialmente» di cui all’art. 72, comma 4, lett. l) del D.P.R. n. 554/1999, vanno ricondotte, oltre alle lavorazioni previste nella categoria OS13 dell’allegato A del D.P.R. n. 34/2000, anche le lavorazioni previste nelle categorie OS18 ed OS33 dello stesso allegato;
f) nell’ambito della categoria specializzata «installazione, gestione e manutenzione di impianti elettrici, telefo- nici, radiotelefonici, televisivi e simili» di cui all’articolo 72, comma 4, lettera e), del D.P.R. 554/1999, vanno ri- condotte, oltre alle lavorazioni previste nella categoria OS30 dell’allegato A del D.P.R. 34/2000, anche le lavora- zioni previste nelle categorie OS16, OS17 e OS19 dello stesso allegato.
(Omissis)
Il primo quesito riguarda l’individuazione della portata della disposizione di cui all’ultimo comma dell’art. 141 del
D.P.R. n. 554/1999, il quale circoscrive l’ambito di rilevanza delle «attivita` ovunque espletate», di cui all’art. 18, comma 12, della legge n. 55/1990, soltanto a quelle «poste in essere nel cantiere cui si riferisce l’appalto». Siffatte attivita`, nel caso siano relative a prestazioni diverse dai lavori quali le forniture con posa in opera o noli a caldo, qualora implichino un’incidenza del costo della manodopera e del personale superiore al 50% dell’importo del contratto, e sempre che l’importo complessivo del contratto medesimo sia superiore al 2% di quello dei lavori affi- dati ed a 100.000 euro, comportano l’assimilazione del contratto stesso al subappalto con applicazione, pertanto, della relativa disciplina sia per quanto riguarda il limite percentuale stabilito per la categoria prevalente, sia per quanto riguarda la qualificazione dell’esecutore e per la previa necessita` della sua autorizzazione.
Per dare risposta al quesito, va rilevato preliminarmente che l’articolo 18 della legge 55/90 e` inteso ad evitare fe- nomeni di infiltrazioni delinquenziale nell’ambito degli appalti di lavori pubblici. A tal fine contiene specifiche disposizioni da applicarsi per l’affidamento in subappalto delle lavorazioni previste nell’appalto. L’articolo e` costi- tuito da quattordici commi. I commi da uno ad undici ed i commi tredici e quattordici contengono le disposizio- ni da applicarsi per il subappalto delle prestazioni che sono qualificate come lavori. Il comma dodici opera una definizione legale del subappalto finalizzata ad individuare le regole da applicarsi per l’affidamento dei subcontratti relativi a prestazioni che non sono lavori ma prevedono l’impiego di mano d’opera, come nel caso della fornitura con posa in opera e del nolo a caldo. La finalita` della norma e` quella di rendere assimilate ai lavori attivita` che sono da considerarsi di qualificazione diversa, in modo che anche per queste sussistano le garanzie previste per i lavori e, quindi, per i relativi subappalti sempre che l’incidenza del costo della mano d’opera sia superiore al 50% del valore del subcontratto.
Va tenuto presente, poi, che un’opera o un intervento di norma e` costituito da lavorazioni appartenenti a piu` di
una delle categorie di cui al D.P.R. n. 34/2000 e che (art. 18, comma 3, della legge n. 55/1990, art. 73 commi 2 e 3, del D.P.R. n. 554/1999 e art.30, comma 1 e 2 del D.P.R. n. 34/2000) nei bandi di gara debbano essere indicati:
a) l’importo complessivo dell’intervento;
b) la categoria, generale o specializzata che fra quelle costituenti l’intervento e` da considerarsi prevalente in quan- to di importo piu` elevato;
c) tutte le lavorazioni ovvero le parti di lavorazioni diverse dalla prevalente - purche´ di importo singolarmente su- periore al 10% dell’importo complessivo dell’appalto e comunque superiore a 150.000 euro - con i relativi importi e categorie.
Le lavorazioni diverse dalla prevalente indicate nel bando sono, a scelta dell’aggiudicatario, tutte subappaltabili o affidabili a cottimo, oppure scorporabili senza limiti di importo.
Il regolamento generale della legge quadro non contiene specifiche disposizioni a riguardo del subappalto se non nell’articolo 141 il quale prevede un limite del subappalto con l’indicazione di una misura percentuale (30%) che si riferisce, pero`, alla sola categoria prevalente.
974 URBANISTICA E APPALTI 9/2001
Per operare un raccordo tra la disposizione di cui al comma 12 dell’articolo 18 della legge 55/90 e quella di cui al comma 5 dell’articolo 141 del D.P.R. 554/90 va tenuto conto che:
a) il comma 12 dell’articolo 18 della legge 55/90 ed il comma 5 dell’articolo 141 del D.P.R. 554/1999 iniziano, con la precisazione che la disciplina in essi contenuta non e` generale ma e` specifica in quanto e` stabilito che le disposizioni sono dettate «ai fini del presente articolo»;
b) il comma 12 dell’articolo 18 della legge 55/90 riguarda le ipotesi di prestazioni diverse dai lavori quali le forni- ture e posa in opera ed i noli a caldo e fa riferimento ad una localizzazione delle relative attivita` di mano d’opera con l’espressione «ovunque espletate»;
c) forniture e posa in opera e noli a caldo si hanno anche in ordine ai lavori di cui si occupa il D.P.R. 554/99 e lo stesso, all’articolo 141, comma 5, precisa che per «ovunque espletate» si devono intendere quelle poste in esse- re nel cantiere cui si riferisce l’appalto.
Cio` sta a significare che le attivita` di mano d’opera, relative a prestazioni di fornitura e posa in opera o di noli a caldo che siano presenti nei lavori pubblici da realizzare, devono essere espletate nel cantiere e, quindi, se espleta- te fuori cantiere non possono avere la qualificazione che li rendano assimilabili ai lavori. Ma la disposizione del comma 5, dell’articolo 141 del D.P.R. 554/1999 come detto, e` dettata «ai fini del presente articolo» che discipli- na il subappalto dei lavori della categoria prevalente e, quindi, non puo` che avere efficacia in ordine all’assimila- bilita` ai lavori delle prestazioni di fornitura e posa in opera e noli a caldo qualora riguardino prestazioni relative alla categoria prevalente. Questo speciale significato di «ovunque espletato» non si applica, quindi, a quelle lavo- razioni che riguardano le categorie di lavori diverse dalla prevalente indicate nel bando di gara. La disposizione contenuta nell’articolo 18, della legge 55/90, cioe`, continua ad avere pieno vigore, come formulata, per lavori su- bappaltati nelle categorie diverse da quella prevalente intendendo, in tal caso, «ovunque espletate» senza limita- zioni all’attuazione in cantiere; alla categoria prevalente si applica invece anche il comma 12 del suddetto articolo 18 (ove se ne abbiano i presupposti).
Va ricordato, inoltre, che questa Autorita` con l’atto di regolazione n. 5/2001, ha gia` evidenziato come la differen-
za tra il contratto di appalto e quello di compravendita (costituente il presupposto della fornitura) si correla alla prevalenza funzionale, secondo l’intenzione dei contraenti, della prestazione relativa al trasferimento del bene ov- vero di quella concernente la realizzazione di un’opera ovvero di un impianto.
Nella determinazione stessa si e` tratta la conclusione che, in ogni caso in cui e` configurabile un’attivita` prevista dalle declaratorie dell’allegato A al D.P.R. n. 34/2000 (concernente, appunto, la qualificazione dei soggetti esecu- tori di lavori pubblici) la funzione caratterizzante da riconoscere al contratto e` da individuare nella realizzazione dell’opera o del lavoro che costituiscono, quindi, l’oggetto principale del contratto anche se le descrizioni fanno riferimento a forniture e posa in opera
Va precisato, tuttavia, che alcune delle categorie dell’indicato allegato A al D.P.R. n. 34/2000 (OS13, OS18, OS32 e OS33) riguardano la produzione, fornitura ed il montaggio di strutture o componenti prodotte industrial- mente le quali normalmente richiedono lavorazioni integrative o di completamento da eseguirsi direttamente in cantiere e possono costituire, in via alternativa, parti di un lavoro o di un’opera da realizzare oppure un autonomo lavoro o un’autonoma opera. Ad esempio: la realizzazione di un ponte con travi precompresse prefabbricate com- porta la fornitura e posa in opera delle travi e la realizzazione in cantiere, oltre che di fondazioni, piloni ecc, an- che di solette di completamento per l’inserimento del bene fornito nell’opera da realizzare. In questo caso la forni- tura e la posa in opera delle travi non puo` essere considerata un autonomo lavoro. Al contrario, invece, e` da considerarsi autonomo lavoro l’ipotesi di realizzazione (in calcestruzzo o in acciaio) di un edificio per abitazione o per ufficio, oppure un capannone industriale o commerciale, interamente prodotti in stabilimenti industriali, posti in opera in cantiere con l’esecuzioni di lavorazioni integrative o di completamento. Spetta alla stazione appaltante e va adeguatamente motivata la valutazione se alla prestazione di fornitura e posa in opera deve riconoscersi la natura di autonomo lavoro o se invece non e` da considerarsi tale.
Ne consegue che nel caso si verta in ipotesi di fornitura di strutture o di componenti prodotti industrialmente che non sia tale da dover essere considerata come un autonomo lavoro, la stazione appaltante non dovra` indicar- la nel bando come lavorazione a se stante rientrando essa nell’ambito della categoria prevalente. Ed in tal caso l’esecuzione della prestazione da parte dell’aggiudicatario potra` avvenire:
a) acquistando le strutture o i componenti prodotti industrialmente e impiegando la propria organizzazione di im- presa e le proprie maestranze per porli in opera e realizzare le lavorazioni integrative e di completamento;
b) acquistando le strutture o i componenti prodotti industrialmente e affidando ad un’impresa subappaltatrice in possesso della necessaria qualificazione la posa in opera e la realizzazione delle lavorazioni integrative e di comple- tamento (in tal caso l’importo del subcontratto incide sulla quota del 30% dell’importo della categoria prevalente subappaltabile soltanto se sono presenti le condizioni di cui all’art. 18, comma 12, della legge n. 55/90 e dell’art. 141, comma 5, del D.P.R. n. 554/1999);
c) affidando l’esecuzione dell’intera prestazione (fornitura, posa in opera ed esecuzione delle lavorazioni integrative
URBANISTICA E APPALTI 9/2001
975
e di completamento) ad un subappaltatore in possesso di adeguata qualificazione (in tal caso l’importo del sub- contratto incide sulla quota del 30% dell’importo della categoria prevalente subappaltabile soltanto se sono pre- senti le condizioni di cui all’art. 18, comma 12, della legge n. 55/90 e 141, comma 5, del D.P.R. n. 554/1999).
Va, infine, rilevato che l’insieme delle disposizioni sono coerenti con l’obiettivo di realizzare opere di qualita` e di garantire un adeguato livello di concorrenza fra le imprese. Da un lato, infatti, e` assicurata alle imprese una suffi- ciente autonomia di organizzazione imprenditoriale e dall’altro e` prevista che l’esecuzione delle diverse lavorazioni sia effettuata soltanto da imprese qualificate.
Con riferimento, poi, al secondo quesito proposto dalla Xxxxx, va considerato che l’art. 72, comma 4, del D.P.R.
n. 554/1999 individua le strutture e gli impianti che, ai sensi dell’art. 13, comma 7, della legge n. 109/1994 costi- tuiscono le «opere per le quali sono necessari lavori o componenti di notevole contenuto tecnologico o di rile- vante complessita` tecnica..»e la cui esecuzione, qualora ciascuna di esse superi la quota del 15% dell’importo tota- le dell’appalto, non puo` essere affidata in subappalto ma deve essere posta in essere direttamente dall’affidatario, fatta salva la possibilita` di costituire associazione temporanea di imprese. La lettera l) del comma 4 della disposi- zione regolamentare in esame ricomprende tra le lavorazioni indicate «la fornitura e posa in opera di strutture e di elementi prefabbricati prodotti industrialmente». Cio` premesso e tenuto conto del fatto che la norma regola- mentare indicata non restringe il campo di applicazione della disposizione alle sole strutture prefabbricate in ce- mento armato ma richiede soltanto che le strutture e gli elementi prefabbricati siano prodotti industrialmente, puo` ritenersi che nella categoria in esame rientrino, oltre alle lavorazioni di cui alla declaratoria della categoria OS13, cui si e` fatto riferimento nella nota illustrativa dei bandi tipo di questa Autorita` di vigilanza, anche quelle di cui alla categoria OS18 e OS33.
Con l’occasione, puo` anche precisarsi che la lettera e) del suddetto comma 4 si riferisce non solo alla categoria OS30, come specificato nella nota illustrativa dei bandi tipo di questa Autorita`, ma anche gli impianti di cui al- le categorie OS16, OS17 e OS19 in quanto la suddetta lettera e) non specifica che essa riguarda solo impianti interni.
Conclusivamente, l’Autorita` alla luce delle considerazioni e valutazioni prima illustrate ritiene che:
a) il comma 12 dell’articolo 18, della legge n. 55/90 stabilisce, per le finalita` proprie della legge stessa, le condizio- ni in base alle quali devono intendersi subappalti di lavori e, pertanto, sottoposti alle altre disposizioni del suddet- to articolo 18, i subaffidamenti delle attivita` diverse da quelle che costituiscono lavori;
b) la specificazione contenuta nel comma 5 dell’articolo 141 del D.P.R. 554/1999, si riferisce esclusivamente alle prestazioni, assimilabili ai lavori, che rientrano nella categoria prevalente;
c) le attivita` riportate nelle categorie di cui all’allegato A del D.P.R. 34/2000, qualunque sia la relativa specifica- zione contenuta nella declaratoria, sono da ritenersi lavori in quanto non possono che rapportarsi al disposto del- l’articolo 3 del D.P.R. 34/2000, il quale fa riferimento alla esecuzione di opere generali ed di opere specializzate che vanno intese come risultato di lavori e non di semplici forniture e posa in opera di beni e, pertanto, ad esse si applicano le disposizioni di cui all’articolo 18 della legge 55/90 con esclusione del comma 12;
d) le parti degli interventi costituite da forniture con posa in opera, qualora non rientranti (o non sia stato ritenu- to che fossero rientranti) in una delle categorie generali o specializzate di cui all’allegato A al D.P.R. n. 34/2000, vanno considerate facenti parte della categoria prevalente; quelle che sono equiparabili ai lavori, ai sensi dell’arti- colo 18, comma 12, della legge n. 55/90 e l’art. 141, comma 5, del D.P.R. n. 554/1999, qualora subappaltate, in- cidono sulla quota del 30% dell’importo della categoria prevalente subappaltabile; quelle che non rispettano tale caratteristica, qualora subappaltate, non incidono sulla quota del 30% dell’importo della categoria prevalente su- bappaltabile;
e) nell’ambito della categoria specializzata «fornitura e posa in opera di strutture e di elementi prefabbricati pro- dotti industrialmente» di cui all’art. 72, comma 4, lett. l) del D.P.R. n. 554/1999, vanno ricondotte, oltre alle la- vorazioni previste nella categoria OS13 dell’allegato A del D.P.R. n. 34/2000, anche le lavorazioni previste nelle categorie OS18 ed OS33 dello stesso allegato;
f) nell’ambito della categoria specializzata «installazione, gestione e manutenzione di impianti elettrici, telefonici, radiotelefonici, televisivi e simili» di cui all’articolo 72, comma 4, lettera e), del D.P.R. 554/1999, vanno ricon- dotte, oltre alle lavorazioni previste nella categoria OS30 dell’allegato A del D.P.R. 34/2000, anche le lavorazioni previste nelle categorie OS16, OS17 e OS19 dello stesso allegato.
976 URBANISTICA E APPALTI 9/2001
La Corte di Giustizia conferma l’estraneita` dell’Ente Fiera dalla nozione di organismo
di diritto pubblico
XXXXX XX, 00 maggio 2001 (in causa C-223/99 e C-260/99)
Pres. La Pergola - Rel. Jann - Avv. gen. Alber - Agor`a S.r.l. c. Ente Autonomo Fiera Internazionale di Mila- no e Excelsior S.n.c. di Xxxxxxxx Xxxxx & C.
Un ente avente ad oggetto lo svolgimento di attivit`a volte all’organizzazione di fiere, di esposizioni e di altre iniziative analoghe, che non persegue scopi lucrativi, ma la cui gestione si fonda su criteri di rendi- mento, di efficacia e di redditivit`a e che opera in un ambiente concorrenziale non costituisce un organi- smo di diritto pubblico ai sensi dell’art. 1, lett. b), secondo comma, della direttiva del Consiglio 18 giu- gno 1992, 92/50/Cee, che coordina le procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di servizi.
1. Con ordinanze 26 e 27 novembre 1998, pervenute alla Corte, rispettivamente, in data 10 giugno e 13 lu- glio 1999, il Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia ha sottoposto alla Corte, ai sensi dell’art. 234 CE, una questione pregiudiziale vertente sull’inter- pretazione dell’art. 1, lett. b), della direttiva del Consi- glio 18 giugno 1992, 92/50/CEE, che coordina le proce- dure di aggiudicazione degli appalti pubblici di servizi (G.U. L 209, pag. 1; in prosieguo: la «direttiva»).
2. Tali questioni sono state sollevate nell’ambito di due controversie tra la Agora` S.r.l. (in prosieguo: l’«Agora`») e la Excelsior S.n.c. di Xxxxxxxx Xxxxx &
C. (in prosieguo: l’«Excelsior»), da un lato, e l’Ente Autonomo Fiera Internazionale di Milano (ente re- sponsabile dell’allestimento della fiera internazionale di Milano; in prosieguo: l’«Ente Fiera»), dall’altro, controversie vertenti, segnatamente, sulla questione se il detto ente costituisca un’amministrazione aggiu- dicatrice ai sensi della direttiva.
Contesto normativo
3. L’art. 1 della direttiva cos`ı recita:
«Ai fini della presente direttiva s’intendono per: (...)
b) amministrazioni aggiudicatrici, lo Stato, gli enti locali, gli organismi di diritto pubblico, le associazioni costitui- te da detti enti od organismi di diritto pubblico.
Per organismo di diritto pubblico si intende qualsiasi orga- nismo:
– istituto per soddisfare specificatamente bisogni di in-
teresse generale aventi carattere non industriale o com- merciale, e
– avente personalita` giuridica, e
– la cui attivita` e` finanziata in modo maggioritario dal- lo Stato, dagli enti locali o da organismi di diritto pub- blico, oppure la cui gestione e` soggetta al controllo di questi ultimi, oppure il cui organo d’amministrazione, di direzione o di vigilanza e` costituito da membri piu` della meta` dei quali e` designata dallo Stato, dagli enti locali o da altri organismi di diritto pubblico.
Gli elenchi degli organismi e delle categorie di organi- smi di diritto pubblico che ottemperano ai criteri di cui al secondo comma del presente punto figurano nell’alle- gato I della direttiva 71/305/CEE. Tali elenchi sono il piu` possibile completi e possono essere riveduti secondo la procedura prevista all’articolo 30-ter di detta direttiva 71/305/CEE; (...)».
Le cause principali
4. L’Ente Fiera e` sorto come comitato all’inizio del seco- lo scorso ed e` stato trasformato in persona giuridica di diritto privato nel 1922. L’art. 1 del suo statuto, all’epo- ca dei fatti, precisava quanto segue:
«1. L’Ente Autonomo Fiera Internazionale di Milano (...) ha lo scopo di svolgere e di sostenere ogni attivita` diretta all’organizzazione di manifestazioni fieristiche, at- tivita` congressuali e di ogni altra iniziativa che, favoren- do l’interscambio, promuova la presentazione della pro- duzione di beni e servizi ed eventualmente la loro ven- dita. L’Ente non ha fini di lucro e svolge attivita` di in-
URBANISTICA E APPALTI 9/2001
977
teresse pubblico. Esso opera secondo i principi del codi- ce civile.
2. La gestione dell’Ente e` ispirata a criteri di efficienza, efficacia ed economicita`.
3. L’Ente puo` porre in essere tutte le operazioni che non gli siano precluse dalla legge e dallo Statuto, com- prese le operazioni finanziarie, le assunzioni di mutui e la prestazione di garanzie commerciali mobiliari ed im- mobiliari per il conseguimento del suo scopo; puo`, inol- tre, costituire societa` o Enti aventi scopo analogo o affi- ne o connesso al proprio, ovvero assumere interessenze e partecipazioni in dette societa` o enti».
5. Ai termini dell’art. 3 dello Statuto, parimenti nella versione vigente all’epoca dei fatti della causa principa- le, «[l] L’Ente deve provvedere al raggiungimento dello scopo per il quale e` costituito con il ricavato dell’eserci- zio della sua attivita` e dell’amministrazione, anche straordinaria, e della gestione del suo patrimonio, non- che´ con i contributi di enti o persone».
Il contesto di fatto della causa C-223/99
6. L’Agora`, con istanza 2 dicembre 1997, integrata in data 24 dicembre 1997, chiedeva all’Ente Fiera il rila- scio, ai sensi dell’art. 25 della legge 7 agosto 1990, n. 241, recante nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti am- ministrativi (G.U.R.I. del 18 agosto 1990, n. 192, pag. 7), dei documenti relativi alla gara di appalto del servi- zio di noleggio in opera di elementi di allestimento e di componenti di arredo per zone reception e posti di infor- mazione, di cui al bando del 2 agosto 1997.
7. Con decisione 5 gennaio 1998 l’Ente Fiera negava il rilascio dei detti documenti, in base al rilievo che esso non sarebbe soggetto all’obbligo di osservare gli obblighi di trasparenza imposti dalla normativa in materia di ap- palti pubblici.
8. L’Agora` impugnava tale decisione dinanzi al Tribu- nale amministrativo regionale per la Lombardia, che, con sentenza 3 marzo 1998, accoglieva la domanda.
9. Avverso tale sentenza l’Ente Fiera proponeva appello dinanzi alla Sesta Sezione del Consiglio di Stato, che, con decisione 8 luglio 1998, rilevava la sussistenza di un vizio assorbente di procedura del giudizio di primo grado, con conseguente rinvio della causa dinanzi al Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia.
10. Con ricorso al detto Tribunale, notificato il 19 otto- bre 1998, l’Agora` reiterava la propria domanda di rila- scio di documenti, deducendo che, con riguardo alla questione dell’applicabilita` all’Ente Fiera della normati- va comunitaria sugli appalti di servizi, occorreva sotto- porre la questione medesima, in via pregiudiziale, alla Corte di giustizia.
11. Nell’ordinanza di rinvio il Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia rileva che l’applicazione al- l’Ente Fiera dell’obbligo di osservare gli imperativi di trasparenza, dedotto dall’Agora`, dipende dalla qualifica- zione del medesimo come amministrazione aggiudicatri-
ce. A tale proposito il detto Tribunale si richiama, da un lato, alla sentenza del Consiglio di Stato 21 aprile 1995, n. 353, nonche´ alla sentenza dello stesso Tribu- nale amministrativo regionale per la Lombardia 17 no- vembre 1995, n. 1365, ai termini delle quali l’Ente Fie- ra costituisce un organismo di diritto pubblico ai sensi dell’art. 1, lett. b), della direttiva e, dall’altro, alla sen- tenza 16 settembre 1998, n. 1267, in cui il Consiglio di Stato, invertendo la propria giurisprudenza, ha ritenuto che l’Ente Fiera persegua un’attivita` di carattere econo- mico.
Il contesto di fatto della causa C-260/99
12. Con avviso pubblicato nella G.U.C.E. del 29 luglio 1997, l’Ente Fiera bandiva una gara d’appalto a licitazio- ne privata ai fini dell’affidamento del servizio di pulizia dei propri quartieri fieristici per il periodo intercorrente dal 18 gennaio al 31 dicembre 1998, con possibilita` di proroga di due anni.
13. L’Excelsior partecipava alla gara per quattro dei cin- que lotti in cui era suddiviso l’appalto. In esito allo svol- gimento della gara, il terzo lotto veniva assegnato al consorzio Miles. Successivamente, pero`, l’Ente Fiera ri- solveva il contratto d’appalto stipulato con il detto con- sorzio in base ad un preteso grave inadempimento del consorzio medesimo. Il lotto di cui trattasi veniva suc- cessivamente attribuito, a titolo provvisorio, alla Ciftat soc. coop. arl (in prosieguo: la «Ciftat») per il periodo intercorrente dal 13 febbraio al 30 giugno 1998. In data
7 marzo 1998 veniva pubblicato nella G.U.C.E. un nuovo bando di gara concernente il lotto n. 3 per il pe- riodo intercorrente dal 18 luglio al 31 dicembre 1998, con possibilita` di proroga per i periodi dal 18 gennaio al
31 dicembre 1999 e dal 18 gennaio al 31 dicembre 2000.
14. Con ricorsi notificati in data 10 e 11 aprile 1998, l’Excelsior impugnava dinanzi al giudice di rinvio l’attri- buzione temporanea alla Ciftat del lotto n. 3 nonche´ il nuovo bando di gara relativo al medesimo lotto pubbli- cato nella G.U.C.E. del 7 marzo 1998.
15. Cio` premesso, il Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia decideva di sospendere il procedimen- to e di sottoporre alla Corte la seguente questione pre- giudiziale, redatta in termini identici nelle due cause:
«Se la nozione di organismo di diritto pubblico di cui all’art. 1, lett. b), della direttiva 18 giugno 1992, 92/50/ CEE, possa ritenersi applicabile all’Ente Autonomo Fie- ra Internazionale di Milano».
16. Con ordinanza del presidente della Corte 14 set- tembre 1999, i due procedimenti C-223/99 e C-260/99 sono stati riuniti ai fini della fase scritta e orale del pro- cedimento e ai fini della sentenza.
Sulla ricevibilit`a della domanda di pronuncia pregiudiziale nella causa C-223/99
17. L’Ente Fiera sostiene, in limine, che la questione sol- levata nella causa C-223/99 e` irricevibile, poiche´ la cau-
978 URBANISTICA E APPALTI 9/2001
sa principale verterebbe sull’applicabilita` della normati- va italiana in materia di trasparenza e non di quella su- gli appalti pubblici. L’eventuale qualificazione dell’Ente Fiera quale organismo di diritto pubblico non avrebbe quindi alcuna incidenza sulla causa principale, riguar- dante il diritto di accesso ai documenti amministrativi.
18. A tale riguardo e` sufficiente ricordare che, secondo costante giurisprudenza, nell’ambito della collaborazione tra la Corte e i giudici nazionali istituita dall’art. 234 CE, spetta esclusivamente al giudice nazionale, cui e` stata sottoposta la controversia e che deve assumersi la responsabilita` dell’emananda decisione giurisdizionale, valutare, alla luce delle particolari circostanze di ciascu- na causa, sia la necessita` di una pronuncia pregiudiziale per essere in grado di pronunciare la propria sentenza sia la rilevanza delle questioni che sottopone alla Corte. Di conseguenza, se le questioni sollevate dal giudice na- zionale vertono sull’interpretazione del diritto comunita- rio, la Corte, in via di principio, e` tenuta a statuire (v., in particolare, sentenza 15 dicembre 1995, causa C-415/ 93, Xxxxxx, Racc. pag. I-4921, punto 59).
19. Nella specie, il giudice di rinvio ha chiaramente espresso la necessita` dell’interpretazione dell’art. 1, lett. b), della direttiva al fine di potersi pronunciare sulla questione se l’Ente Fiera sia tenuto a rispettare la nor- mativa nazionale in materia di trasparenza, oggetto della causa principale.
20. Xxxxxx, la Corte puo` rifiutarsi di statuire su una questione pregiudiziale sollevata da un giudice nazionale solamente qualora appaia in modo manifesto che l’in- terpretazione del diritto comunitario chiesta da tale giu- dice non ha alcuna relazione con l’effettivita` o con l’og- getto della causa a qua, qualora il problema sia di natura ipotetica ovvero qualora la Corte non disponga degli elementi di fatto o di diritto necessari per fornire una soluzione utile alle questioni che le vengono sottoposte (v., in particolare, sentenza Xxxxxx, citata supra, punto 61).
21. Ne consegue che la domanda di pronuncia pregiu- diziale nella causa C-223/99 e` ricevibile.
Sulla questione pregiudiziale
22. Si deve rilevare, in limine, che la questione pregiudi- ziale, nei termini formulati dal giudice di rinvio, verte sull’applicazione ad un ente determinato, nella specie l’Ente Fiera, della nozione di organismo di diritto pub- blico di cui all’art. 1, lett. b), della direttiva.
23. Xxxxxx, si deve ricordare che, nella ripartizione dei compiti stabilita dall’art. 234 CE, spetta al giudice na- zionale applicare al caso concreto le norme di diritto comunitario, nell’interpretazione loro data dalla Corte (sentenze 8 febbraio 1990, causa C-320/88, Shipping and Forwarding Enterprise Safe, Racc. pag. I-285, punto 11, e 18 novembre 1999, causa C-107/98, Xxxxxx, Racc. pag. I-8121, punto 31).
24. Spetta invece alla Corte trarre dal complesso dei da- ti forniti dal giudice nazionale, in particolare dalla moti-
vazione dell’ordinanza di rinvio, i punti di diritto comu- nitario che devono essere interpretati, tenuto conto del- l’oggetto della lite (sentenza 20 marzo 1986, causa 35/ 85, Tissier, Racc. pag. 1207, punto 9).
25. Si deve conseguentemente rilevare, da un lato, che la questione verte sull’interpretazione dell’art. 1, lett. b), secondo comma, della direttiva, ai termini del quale per organismo di diritto pubblico si intende un organismo istituito per soddisfare specificamente bisogni di interes- se generale aventi carattere non industriale o commer- ciale, munito di personalita` giuridica e strettamente le- gato allo Stato, a enti locali o ad altri organismi di dirit- to pubblico.
26. Si deve ricordare al riguardo che le tre condizioni enunciate dalla detta disposizione hanno carattere cu- mulativo (sentenza 15 gennaio 1998, causa X-00/00, Xxxxxxxxxx Xxxxxxxxxx Xxxxxxx e a., Racc. pag. I-73, punto 21).
27. D’altro canto, dalle due ordinanze di rinvio emerge che il giudice nazionale ritiene che l’Ente Fiera soddisfi in ogni caso due delle tre condizioni, chiedendosi uni- camente se il detto Ente sia stato istituito per soddisfare specificamente bisogni di interesse generale aventi ca- rattere non industriale o commerciale.
28. Emerge inoltre dall’art. 1 dello statuto che l’Ente Fiera ha lo scopo di svolgere e sostenere qualsiasi attivi- ta` diretta all’organizzazione di fiere e di esposizioni, di congressi e di ogni altra iniziativa che, favorendo gli scambi, promuova la presentazione della produzione di beni e servizi ed eventualmente la loro vendita.
29. Tale attivita` viene svolta, come dedotto dalla Com- missione, a livello internazionale da vari operatori stabi- liti nelle grandi citta` dei singoli Stati membri che si tro- vano in situazione di concorrenza.
30. L’Ente Fiera non persegue peraltro scopi lucrativi, ma la sua gestione si fonda su criteri di rendimento, di efficacia e di redditivita`.
31. Da tutte le suesposte considerazioni emerge che la questione pregiudiziale deve essere intesa nel senso che con essa si chiede sostanzialmente se un ente che abbia ad oggetto lo svolgimento di attivita` dirette all’organiz- zazione di fiere, di esposizioni e di altre iniziative analo- ghe senza scopo lucrativo, ma la cui gestione si fondi su criteri di rendimento, di efficacia nonche´ di redditivita` e che operi in un ambiente concorrenziale soddisfi biso- gni di interesse generale di carattere non industriale o commerciale ai sensi dell’art. 1, lett. b), secondo com- ma, primo trattino, della direttiva.
32. Ai fini della soluzione della questione cos`ı riformu- lata, si deve ricordare che la Corte ha gia` avuto modo di affermare che l’art. 1, lett. b), secondo comma, della direttiva opera una distinzione tra i bisogni di interesse generale aventi carattere non industriale o commerciale, da un lato, e i bisogni di interesse generale aventi carat- tere industriale o commerciale, dall’altro (sentenza 10 novembre 1998, causa C-360/96, BFI Holding, Racc. pag. I-6821, punto 36).
URBANISTICA E APPALTI 9/2001
979
33. A tale riguardo si deve rilevare, da un lato, che le attivita` dirette all’organizzazione di fiere, di esposizioni e di altre iniziative analoghe soddisfano bisogni di interes- se generale.
34. Infatti, l’organizzatore di manifestazioni di tal gene- re, riunendo in un medesimo luogo geografico produtto- ri e commercianti, non agisce solamente nell’interesse particolare di questi ultimi, che beneficiano in tal modo di uno spazio di promozione per i loro prodotti e per le loro merci, bens`ı fornisce parimenti ai consumatori che frequentano tali manifestazioni un’informazione che consente ai medesimi di effettuare le proprie scelte in condizioni ottimali. L’impulso per gli scambi che ne de- riva puo` essere ricondotto all’interesse generale.
35. D’altro canto, occorre interrogarsi, alla luce delle in- formazioni che si evincono dagli atti di causa, in merito alla questione se i bisogni di cui trattasi presentino ca- rattere non industriale o commerciale.
36. Appare utile, a tal fine, far riferimento all’elencazio- ne degli organismi di diritto pubblico contenuta nell’al- legato I della direttiva del Consiglio 26 luglio 1971, 71/ 305/CEE, che coordina le procedure di aggiudicazione degli appalti di lavori pubblici (G.U .L 185, pag. 5), co- me modificata dalla direttiva del Consiglio 14 giugno 1993, 93/37/CEE (G.U .L 199, pag. 54), cui rinvia l’art. 1, lett. b), della direttiva 92/50. Tale elenco, pur non essendo esaustivo, e` volto ad essere il piu` completo pos- sibile.
37. L’esame di tale elencazione evidenzia come si tratti, in generale, di bisogni che, da un lato, sono soddisfatti in modo diverso dall’offerta di beni o servizi sul mercato e che, dall’altro, per motivi connessi all’interesse genera- le, lo Stato preferisce soddisfare direttamente ovvero nei confronti dei quali intende mantenere un’influenza de- terminante (v., in tal senso, la menzionata sentenza BFI Holding, punti 50 e 51).
38. Inoltre, se e` pur vero che la Corte ha affermato che la nozione di bisogni di interesse generale aventi carat- tere non industriale o commerciale non esclude bisogni che siano parimenti soddisfatti o possano esserlo da im- prese private (v. sentenza BFI Holding, citata supra, punto 53), essa ha parimenti ritenuto che l’esistenza di una concorrenza articolata, in particolare la circostanza che l’organismo interessato agisca in situazione di con- correnza sul mercato, puo` costituire un indizio a soste- gno del fatto che non si tratta di un bisogno di interesse generale avente carattere non industriale o commerciale (v. sentenza BFI Holding, citata supra, punto 49).
39. Orbene, si deve rilevare, anzitutto, che l’organizza- zione di fiere, di esposizioni e di altre iniziative analoghe costituisce un’attivita` economica che consiste nell’offrire servizi sul mercato. Nella specie, emerge dagli atti che l’ente di cui trattasi fornisce questi servizi agli espositori dietro versamento di un corrispettivo. Mediante la pro- pria attivita` l’ente soddisfa bisogni di natura commercia- le, da un lato, degli espositori che beneficiano cos`ı della promozione dei beni o dei servizi che espongono e, dal-
l’altro, dei visitatori che desiderano raccogliere informa- zioni ai fini di eventuali decisioni di acquisto.
40. Si deve inoltre sottolineare che l’ente di cui trattasi, per quanto non persegua scopi lucrativi, opera, come emerge dall’art. 1 del proprio statuto, secondo criteri di rendimento, di efficacia e di redditivita`. Considerato che non e` previsto alcun meccanismo per compensare eventuali perdite finanziarie, esso sopporta direttamente il rischio economico della propria attivita`.
41. Si deve poi rilevare che un ulteriore indizio del ca- rattere industriale o commerciale dell’allestimento di fie- re e di esposizioni e` dato dalla comunicazione interpre- tativa della Commissione sul mercato interno per il set- tore fiere ed esposizioni (G.U. 1998, C 143, pag. 2). Tale comunicazione mira segnatamente ad illustrare in quale modo gli organizzatori di fiere e di esposizioni be- neficiano della liberta` di stabilimento e della libera pre- stazione dei servizi. Ne consegue che non si tratta di bi- sogni al cui soddisfacimento lo Stato preferisce in gene- rale provvedere direttamente o con riguardo ai quali in- tende mantenere un’influenza determinante.
42. Infine, la circostanza che un ente come quello nella causa principale operi in un ambiente concorrenziale - circostanza che spetta al giudice nazionale verificare te- nendo conto del complesso delle attivita` dell’ente me- desimo che si estendono a livello tanto internazionale quanto nazionale e regionale - tende a confermare l’in- terpretazione secondo cui l’attivita` consistente nell’orga- nizzare fiere ed esposizioni non soddisfa il criterio defini- to all’art. 1, lett. b), secondo xxxxx, primo trattino, della direttiva.
43. La questione pregiudiziale dev’essere quindi risolta nel senso che un ente
– avente ad oggetto lo svolgimento di attivita` volte al- l’organizzazione di fiere, di esposizioni e di altre iniziati- ve analoghe
– che non persegue scopi lucrativi, ma la cui gestione si fonda su criteri di rendimento, di efficacia e di reddi- tivita`
– e che opera in un ambiente concorrenziale
non costituisce un organismo di diritto pubblico ai sensi dell’art. 1, lett. b), secondo comma, della direttiva.
980 URBANISTICA E APPALTI 9/2001
IL COMMENTO
di Xxxxxxx Xxxxxx
Il contrasto giurisprudenziale esistente a livello nazio- nale sulla natura dell’Ente Fiera ha spinto il T.A.R. Lombardia, che in piu` occasioni ne aveva affermato la natura di organismo di diritto pubblico (1), a chiedere alla Corte di Giustizia di pronunciarsi sulla qualificazio- ne dell’ente (2).
La Corte di Giustizia afferma l’estraneita` dell’Ente
Autonomo Fiera Internazionale di Milano dalla nozione comunitaria di organismo di diritto pubblico, come deli- neata dall’art. 1, lett. b) della direttiva del Consiglio 18 giugno 1992, 92/50/Cee che coordina le procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di servizi, estraneita` in piu` occasioni affermata anche dalle giurisdizioni na- zionali. Il Consiglio di Stato, rivedendo il passato orien- tamento, ha riconosciuto che l’attivita` fieristica, anche se caratterizzata da una connotazione di interesse gene- rale, poiche´ consiste in una vera e propria attivita` eco- nomica, strettamente funzionale all’attivita` d’impresa, non soddisfa il requisito della mancanza del carattere in- dustriale o commerciale nel soddisfacimento dei bisogni di interesse generale, indispensabile ai fini della qualifi- cazione dell’Ente come organismo di diritto pubbli- co (3). Le Sezioni unite hanno recentemente escluso l’Ente Fiera dalla nozione di organismo di diritto pubbli- co riconducendolo, secondo i parametri del diritto in- terno, nel novero degli enti pubblici economici caratte- rizzati dall’esercizio di attivita` aventi carattere economi- co (4).
In realta` il dictum del giudice comunitario offre an-
che un importante contributo all’individuazione dei confini dell’organismo di diritto pubblico e, quindi, in- terviene ad offrire soluzione a due questioni alquanto dibattute: l’eccessivo ampliamento dei soggetti di diritto interno riconducibili nell’alveo delle amministrazioni aggiudicatrici e la connessa estensione dell’ambito di ap- plicabilita` della normativa di origine comunitaria.
L’estrema delicatezza delle questioni prospettate si puo` facilmente constatare osservando come l’estensione dell’applicabilita` della normativa europea, quale conse- guenza diretta e imprescindibile dell’ampliamento dei soggetti riconducibili tra le amministrazioni aggiudicatri- ci, produca nell’ordinamento risultati apparentemente contrastanti: l’aumento ma anche, contemporaneamen- te, la diminuzione delle ipotesi di ricorso alla gara pub- blica. Infatti, se si amplia il numero dei soggetti ricom- presi nell’ambito soggettivo di applicazione della norma- tiva europea sugli appalti (direttiva n. 92/50/Cee), nello stesso tempo si dilata il campo di applicazione della de- roga prevista per le ipotesi di affidamenti tra ammini- strazioni aggiudicatrici. (cfr. art. 6, direttiva n. 92/50/ Cee).
Proprio al fine di evitare il ricorso indiscriminato alla predetta deroga, favorito dall’interpretazione di una no-
zione, l’organismo di diritto pubblico, che, secondo la recente giurisprudenza comunitaria, sembra dover allar- gare a dismisura i propri confini, il legislatore nel Dise- gno di legge n. 4014 (5) ha previsto che determinati servizi siano affidati dai comuni e dalle province, anche in forma associata, ad uno o piu` gestori, pubblici o pri- vati, scelti esclusivamente in base a gara disciplinata da apposita norma dello stesso disegno di legge, da attuarsi nel rispetto di standard qualitativi, quantitativi, ambien- tali e di sicurezza, previsti dalle carte dei servizi.
Diretta a soddisfare le medesime finalita` e` anche la recente pronuncia del T.A.R. Brescia (6) che, in con- trasto con il disposto di cui all’art. 6 della direttiva n. 92/50/Cee, e senza un’esplicita disposizione normativa in tal senso, afferma che: «ai sensi dell’art. 22 comma 3 lett. e) legge 15 maggio 1997 n. 127, e` illegittima la de- libera con la quale un Comune affida direttamente, sen- za l’esperimento di una gara pubblica, il servizio di smal- timento rifiuti ad una societa` della quale ha acquistato una minima partecipazione azionaria pari all’1% del ca- pitale sociale».
Il contesto normativo
Prima di affrontare la pronuncia della Corte di Giu- stizia pare opportuno richiamare quel contesto normati- vo, oggetto di accesi dibattiti sia dottrinali che giurispru- denziali, entro il quale si inserisce la pronuncia qui commentata.
L’art. 1 della direttiva n. 92/50/Cee definisce come organismo di diritto pubblico «qualsiasi organismo: - istituito per soddisfare specificatamente bisogni di inte- resse generale aventi carattere non industriale o com- merciale, e - avente personalita` giuridica, e - la cui atti- vita` e` finanziata in modo maggioritario dallo Stato, da- gli enti locali o da organismi di diritto pubblico, oppure la cui gestione e` soggetta al controllo di questi ultimi, oppure il cui organo d’amministrazione, di direzione o di vigilanza e` costituito da membri piu` della meta` dei
Note:
(1) Cfr. T.A.R. Lombardia, Milano, sez. III, 3 marzo 1998, n. 440, in questa Rivista, 1998, 976; T.A.R. Lombardia, Milano, sez. III, 17 novem- bre 1995, n. 1365, in TAR, 1996, I, 102 ss. Per una compiuta rassegna dottrinale e giurisprudenziale in materia si veda X. Xxxxxxxxxx, Corso di di- ritto amministrativo, vol. I, Milano, 2001.
(2) Cfr. T.A.R. Lombardia, ord., 5 marzo 1999, n. 10, in Giur. It., 1999.
(3) Cons. Stato, sez. VI, 16 settembre 1998, n. 1267, in Giur. It., 1999, 643.
(4) Cfr. Cass., Sez. Un., 4 aprile 2000, n. 97, in Giur. It., 2000.
(5) Cfr. Disegno di legge n. 4014 - Modifica degli articoli 22 e 23 della legge 8 giugno 1990, n. 142, in materia di riordino dei servizi pubblici lo- cali e disposizioni transitorie, artt. 22 e 23.
(6) T.A.R. Brescia, 4 aprile 2001, n. 222, inedita.
URBANISTICA E APPALTI 9/2001
981
quali e` designata dallo Stato, dagli enti locali o da altri organismi di diritto pubblico. Gli elenchi degli organi- smi e delle categorie di organismi di diritto pubblico che ottemperano ai criteri di cui al secondo comma del presente punto figurano nell’allegato I della direttiva 71/305/Cee. Tali elenchi sono il piu` possibile completi e possono essere riveduti secondo la procedura prevista all’articolo 30-ter di detta direttiva 71/305/Cee (...)».
Il legislatore nazionale ha recepito la direttiva n. 92/ 50/Cee, con il D.Lgs. n. 157/1995, che prevede l’appli- cazione delle procedure ad evidenza pubblica comunita- rie nei confronti delle amministrazioni aggiudicatrici che intendono affidare appalti di servizi il cui valore di stima sia pari o superiore a 200.000 ECU, IVA inclusa. L’art. 2 del citato D.Lgs. qualifica come amministrazioni aggiudicatrici, oltre ai soggetti formalmente pubblici (amministrazioni dello Stato, regioni, province autono- me di Trento e Bolzano, gli enti pubblici territoriali, gli altri enti pubblici non economici) gli organismi di dirit- to pubblico «comunque denominati». Quest’ultima no- zione, come intesa a livello comunitario, amplia l’ambi- to soggettivo di applicazione delle direttive «appalti pubblici», ricomprendendovi anche soggetti dotati di personalita` giuridica, sottoposti alla dominanza pubblica e che esercitano attivita` diretta alla soddisfazione di bi- sogni di interesse generale aventi carattere non indu- striale o commerciale.
Il D.Lgs. 25 febbraio 2000, n. 65, che ha recen-
temente modificato il D.Lgs. n. 157/1995, ha ulte- riormente ampliato e specificato l’elenco dei sog- getti qualificabili come amministrazione aggiudica- trice/organismo di diritto pubblico, includendovi esplicitamente: «Aziende speciali, istituzioni e so- cieta` di cui all’articolo 22 della legge 8 giugno 1990, n. 142, nonche´ societa` per azioni a prevalen- te capitale privato di cui all’articolo 12 della legge 23 dicembre 1992, n. 498; (...); gli enti preposti a servizi di pubblico interesse; (...)» (7).
Gli enti pubblici economici sono esplicitamente ri- condotti nel novero delle amministrazioni aggiudicatri- ci/organismi di diritto pubblico nella legge-quadro sui lavori pubblici (8), come ult. mod. e, poiche´ secondo una recente pronuncia del Consiglio di Stato «la nozio- ne di organismo di diritto pubblico e` unitaria, al di la` del settore in cui viene in evidenza (...) (9)», anche nel settore degli appalti pubblici di servizi gli enti pubblici economici, indipendentemente dall’esercizio di attivita` aventi natura commerciale, rientrano tra le amministra- zioni aggiudicatrici/organismi di diritto pubblico.
Sul versante giurisprudenziale comunitario, la Corte di Giustizia ha fornito nelle recenti sentenze alcuni elementi decisivi per perimetrare la catego- ria dell’organismo di diritto pubblico, precisando che le tre condizioni enunciate dalla direttiva han- no carattere cumulativo (10) e che l’art. 1, lett. b), secondo comma, della 92/50/Cee opera una distin- zione tra i bisogni di interesse generale aventi ca-
rattere non industriale o commerciale, da un lato, e i bisogni di interesse generale aventi carattere indu- striale o commerciale, dall’altro (11).
Per quanto attiene piu` specificatamente l’Ente Fiera, lo stesso, trasformato in persona giuridica di diritto pri- vato nel 1922, ai sensi dell’art. 1 del suo statuto perse- gue «lo scopo di svolgere e di sostenere ogni attivita` di- retta all’organizzazione di manifestazioni fieristiche, atti- vita` congressuali e di ogni altra iniziativa che, favorendo l’interscambio, promuova la presentazione della produ- zione di beni e servizi ed eventualmente la loro vendi- ta». L’Ente non ha fini di lucro, svolge attivita` di inte- resse pubblico, opera secondo i principi del codice civi- le. La gestione e` ispirata a criteri di efficienza, efficacia ed economicita`.
Ai sensi dell’art. 3 dello statuto «L’Ente deve prov- vedere al raggiungimento dello scopo per il quale e` co- stituito con il ricavato dell’esercizio della sua attivita` e dell’amministrazione, anche straordinaria, e della gestio- ne del suo patrimonio, nonche´ con i contributi di enti o persone».
Non sussistono dubbi sulla sussistenza in capo all’En- te Fiera di due delle tre condizioni richieste dal legisla- tore comunitario, ovvero i requisiti della personalita` giu- ridica e dell’influenza pubblica, quest’ultima esplicita- mente prevista dalle disposizioni statutarie. Il giudice
Note:
(7) Allegato 7, organismi di diritto pubblico di cui all’articolo 2, comma 1, lettera b), X.Xxx. 25 febbraio 2000, n. 65.
(8) Il legislatore della Merloni ter (legge n. 415/1998), all’art. 2, ha ri- compreso nel novero delle amministrazioni aggiudicatrici/organismi di di- ritto pubblico: le amministrazioni dello Stato, anche ad ordinamento autonomo, gli enti pubblici, compresi quelli economici, gli enti e le ammini- strazioni locali, le loro associazioni e consorzi nonche´ gli altri organismi di diritto pubblico; i concessionari di lavori pubblici, i concessionari di eser- cizio di infrastrutture destinate al pubblico servizio, le aziende speciali ed i consorzi, le societa` di cui all’articolo 22 della legge 8 giugno 1990, n. 142, e successive modificazioni, e all’articolo 12 della legge 23 dicembre 1992, n. 498, e successive modificazioni, le societa` con capitale pubblico, in misura anche non prevalente, che abbiano a oggetto della propria attivita` la produzione di beni o servizi non destinati ad essere collocati sul mercato in regime di libera concorrenza, i concessionari di servizi pubblici e i soggetti di cui al D.Lgs. 17 marzo 1995, n. 158, qualora operino in virtu` di diritti speciali o esclusivi, nonche´ i soggetti privati, relativamente a lavori di cui all’allegato A del D.Lgs. 19 dicembre 1991, n. 406, nonche´ ad altri lavori tassativa- mente enucleati e per i quali sia previsto un contributo da soggetti od or- ganismi pubblici superiore al 50% dell’importo dei lavori (lettera c).
(9) Cons. Stato, sez. VI, 29 maggio - 7 giugno 2001, n. 3090, in Guida al diritto, 30 giugno 2001, 25, 73.
(10) Xxxxx Xxxxx. Xx, 00 gennaio 1998 (in causa X-00/00), Xxxxxxxxxx Xxxxxxxxxx Xxxxxxx e a., in Foro It., 1998, IV, 133, con nota di Xxxxxxxx, L’organismo di diritto pubblico: orientamenti interpretativi del giudice comunita- rio e dei giudici italiani a confronto; Id., 17 dicembre 1998 (in causa C-306/ 97), Connemara Machine TurfCo. Ltd C. Coillte Teoranta, in Giur. It., 1999, 619; Id., 10 novembre 1998 (in causa C-360/96), Gemeente Arn- hem, Gemeente Rheden c. BFI Holding BV, in questa Rivista, 1999, 83, con nota di X. Xxxxx, Gli organismi di diritto pubblico tra Consiglio di Stato e Corte di Giustizia e in Giur. It., 1999, 394, con nota di Xxxxxx, Le
S.p.A. a prevalente capitale pubblico e la categoria comunitaria dell’organismo di diritto pubblico: la Corte di Giustizia risolve i dubbi interpretativi.
(11) BFI Holding, cit., punto 36.
982 URBANISTICA E APPALTI 9/2001
nazionale, infatti, chiede alla Corte di Giustizia unica- mente se il detto Ente sia stato istituito per soddisfare specificamente bisogni di interesse generale aventi ca- rattere non industriale o commerciale (12).
La Corte di Giustizia esclude l’Ente Fiera dalla cate- goria dell’organismo di diritto pubblico richiamando la distinzione gia` effettuata in BFI Holding (13) tra i biso- gni di interesse generale aventi carattere non industriale o commerciale e i bisogni di interesse generale aventi carattere industriale o commerciale. La Corte afferma che le attivita` dirette all’organizzazione di fiere, di espo- sizioni e di altre iniziative analoghe, pur dirette a soddi- sfare bisogni di interesse generale, presentano carattere industriale o commerciale: l’organizzazione di fiere, di esposizioni e di altre iniziative analoghe costituisce un’attivita` economica che consiste nell’offrire servizi sul mercato e l’Ente Fiera fornisce questi servizi agli esposi- tori dietro versamento di un corrispettivo. Anche se l’Ente Fiera non persegue scopi lucrativi, lo stesso opera secondo criteri di rendimento, di efficacia e di redditivi- ta` e sopporta direttamente il rischio economico della propria attivita`.
I bisogni di interesse generale
La riconducibilita` dell’Ente Fiera nella categoria co- munitaria dell’organismo di diritto pubblico presuppone che l’attivita` svolta sia, in primo luogo, diretta a soddi- sfare bisogni di interesse generale e, in secondo luogo, che siffatta attivita` non presenti carattere industriale o commerciale.
La circostanza che l’Ente Fiera sia sottoposto alle norme del codice civile, secondo la costante giurispru- denza comunitaria, non contrasta con la natura di orga- nismo di diritto pubblico. La Corte ha, infatti, in piu` occasioni sottolineato che la nozione di bisogni di inte-
«comunicazione interpretativa» sul settore delle fiere ed esposizioni, che queste ultime costituiscono uno stru- mento di promozione e di vendita che risponde a biso- gni crescenti di un processo di comunicazione e di in- formazione che permette l’ottimizzazione della scelta dei consumatori. Il carattere ristretto degli effettivi parteci- panti non puo` quindi considerarsi un ostacolo alla qua- lificazione dell’attivita` di organizzazione di fiere quale at- tivita` idonea a soddisfare un bisogno d’interesse genera- le (16).
Gia` da queste prime precisazioni, sembra possibile ri- levare la mancata aderenza al dato comunitario della motivazione addotta dal giudice del riparto in merito al- l’esclusione dell’Ente Fiera dall’organismo di diritto pub- blico (17). La Cassazione aveva infatti ritenuto che il requisito negativo della mancanza del carattere indu- striale o commerciale del bisogno, quale sottocategoria dei bisogni di interesse generale, discendesse dall’esisten- za di due condizioni: la necessita` che i bisogni da soddi- sfare fossero «riferibili ad una collettivita` di soggetti, di ampiezza e contenuto tali da giustificare che i bisogni siano soddisfatti mediante la creazione di un organismo soggetto all’influenza dominante dell’autorita` pubblica» e che si non si trattasse di bisogni «suscettivi di soddi- sfacimento mediante lo svolgimento di attivita` aventi natura commerciale o industriale, e cioe` mediante atti- vita` di produzione o scambio di beni e servizi a favore di una indifferenziata platea di operatori economici, consumatori o utenti» (18).
Tali affermazioni discenderebbero, secondo le Sezio- ni unite, dall’interpretazione della sentenza Manne- smann (19), dove il Giudice comunitario avrebbe rite- nuto che il carattere non industriale o commerciale del- l’attivita` svolta dalla Tipografia di Stato austriaca dove-
resse generale aventi carattere non industriale o com-
xxxxxxxx non esclude bisogni che siano parimenti soddi- sfatti o possano esserlo da imprese private (14).
Dalle disposizioni dello statuto sopra richiamate emerge che le attivita` svolte dall’Ente Fiera (l’organizza- zione di fiere, di esposizioni e di altre iniziative analo- ghe) sono offerte nei confronti di un numero di benefi- ciari talmente vasto da poter essere assimilato alla totali- ta` dei cittadini. L’Ente Fiera, riunendo in un medesimo luogo geografico produttori e commercianti, non agisce solamente nell’interesse particolare di questi ultimi, che beneficiano in tal modo di uno spazio di promozione per i loro prodotti e per le loro merci, ma fornisce an- che ai consumatori che frequentano tali manifestazioni un’informazione che consente ai medesimi di effettuare le proprie scelte in condizioni ottimali.
L’astratta riferibilita` ad un numero illimitato di per- sone, secondo il giudice comunitario, e` condizione suffi- ciente a qualificare l’attivita` posta in essere dall’Ente Fiera come diretta a soddisfare bisogni di interesse gene- rale (15).
La stessa Commissione europea ha sottolineato, nella
Note:
(12) T.A.R. Lombardia, ord., 5 marzo 1999, n. 10, in questa Rivista, 1999, 1336, con nota di Xxxxxx, All’attenzione della Corte di Giustizia la natura giuridica dell’Ente Fiera di Milano.
(13) BFI Holding, cit.
(14) Cfr. sentenze Mannesmann Anlagenbau, BFI Holding, Connemara Machine Turf, cit.
(15) In tal senso gia` Corte Giust. Ce, Mannesmann Anlagenbau Austria e.a., cit., punto 24; Id., BFI Holding, cit., punto 52; Id., 17 dicembre 1998 (in causa C-353/96), Commissione c. Irlanda, in Racc. 1998, I-8565, punto 37; Id., Connemara Machine Turf, cit., punto 32; Id., 3 ottobre 2000 (in causa C-380/98), The University of Cambridge, in Giur. It., 2001, punto 19; Id., 7 dicembre 2000 (in causa C-324/98), Telaustria Verlags GmbH e Telefonadress GmbH c. Post & Telekom Austria AG, in Giur. It., 2001, punto 15.
(16) Cfr. Comunicazione interpretativa della Commissione sul mercato interno per il settore fiere ed esposizioni, in G.U.C.E dell’ 8 maggio 1998, n. X 000/0, xxxxx capoverso dell’introduzione.
(17) Cass., Sez. Un., 4 aprile 2000, n. 97, cit.
(18) Nello stesso senso gia` Cass., Sez. Un., 5 febbraio 1999, n. 24, in
Giur. It., 1999, 3369.
(19) Xxxxx Xxxxx. Xx, 00 gennaio 1998 (in causa C-44/96), Manne- smann, cit.
URBANISTICA E APPALTI 9/2001
983
va essere ravvisato nella circostanza che i servizi prestati
«non si rivolgevano alla collettivita` indifferenziata degli utenti, come avviene in genere per le attivita` industriali o commerciali, bens`ı all’ente di riferimento (nella spe- cie, lo Stato)» (20).
Affermazione questa ampiamente smentita dalla sen- tenza in epigrafe, dove si fornisce al requisito «bisogni di interesse generale aventi carattere non industriale o commerciale» il significato di attivita` svolte nei con- fronti di un vasto numero di utenti e non di attivita` svolte ad esclusivo vantaggio di un’amministrazione ag- giudicatrice.
D’altronde, la qualificazione operata della Cassazione dell’Ente Fiera come ente pubblico economico non sa- rebbe valsa, nemmeno, alla luce della recente legislazio- ne nazionale, a negare allo stesso la qualifica di organi- smo di diritto pubblico. Come si e` gia` sottolineato nel paragrafo che precede, il legislatore ha esplicitamente ri- compreso gli enti pubblici economici nel novero delle amministrazioni aggiudicatrici/organismi di diritto pub- blico (21).
Secondo il diritto interno rientrano nella nozione di amministrazione aggiudicatrice/organismo di diritto pub- blico le S.p.A. miste e gli enti pubblici economici, sog- getti che incontestabilmente esercitano attivita` di tipo commerciale e, cio` nonostante, non sono riconducibili nel novero delle imprese pubbliche, sottoposte all’appli- cazione delle procedure comunitarie dell’evidenza pub- blica nella sola ipotesi di appalti posti in essere nei c.d. settori esclusi (22).
La stessa Corte di Giustizia ha precisato come, spes- so, nella realta` concreta agli organismi di diritto pubbli- co venga affidato anche lo svolgimento di compiti che hanno natura economica (23).
Il carattere non industriale o commerciale dei bisogni di interesse generale
Affermata l’idoneita` delle attivita` poste in essere dal- l’Ente Fiera a soddisfare bisogni di interesse generale, re- sta da risolvere il quesito piu` complesso, ovvero l’inter- pretazione da fornire all’espressione «aventi carattere non industriale o commerciale».
Tutto si complica alla luce della recente giurispru- denza comunitaria, che riconosce all’"organismo di dirit- to pubblico» la facolta` di porre in essere attivita` aventi rilevanza economica (24), precisando come l’esistenza di una concorrenza articolata, in particolare la circo- stanza che l’organismo interessato agisca in situazione di concorrenza sul mercato, puo` costituire solo un indizio a sostegno del fatto che non si tratti di un bisogno di interesse generale avente carattere non industriale o commerciale (25).
La nozione di organismo di diritto pubblico sembra continuare a dilatarsi assumendo nuovi connotati a sca- pito della contrapposta nozione comunitaria di impresa pubblica (26).
Il legislatore europeo, infatti, al fine di delimitare
l’ambito dei soggetti tenuti all’applicazione delle diretti- ve sugli appalti pubblici, si riferisce a due nozioni diffi- cilmente perimetrabili, l’organismo di diritto pubblico e l’impresa pubblica (27).
A cio` si aggiunga che tali nozioni non trovano refe- renti nel nostro ordinamento che, se da un lato ignora l’organismo di diritto pubblico, dall’altro conosce una nozione di impresa pubblica differente da quella comu- nitaria e tale da essere, almeno in parte, ricompresa nel- la categoria dell’organismo di diritto pubblico (si veda per es. l’ipotesi delle S.p.A. miste, vere e proprie impre- se pubbliche per il diritto interno e tuttavia rientranti nella nozione di organismo di diritto pubblico ai fini dell’applicazione delle direttive sugli appalti pubblici).
Nell’ottica europea, dove qualsiasi definizione deriva da criteri meramente finalistici o funzionali, e` indiffe- rente la natura del soggetto che agisce, non solo per quanto attiene alla natura pubblica o privata, ma anche e soprattutto la categoria giuridica nazionale alla quale l’ente e` ricondotto. In particolare, a nulla rileva sottoli- neare l’intrinseca natura commerciale dell’attivita` svolta da una S.p.A. per escludere quest’ultima dall’organismo di diritto pubblico: se in base alle leggi nazionali non si puo` ritenere che un soggetto che riveste la forma socie- taria possa non esercitare attivita` economica, ai fini del- l’applicazione della normativa europea sugli appalti una
Note:
(20) Cos`ı motivazione della sentenza Xxxx., Sez. Un., 4 aprile 2000, n. 97, cit., punto 2.1.6.
(21) Cfr. art. 2, legge n. 109/1994 come ult. mod. e Cons. Stato, sez. VI, 29 maggio - 7 giugno 2001, n. 3090, cit.
(22) Cfr. art. 2, D.Lgs. 17 marzo 1995 n. l58, attuativo della direttiva n. 93/38/Cee, in G.U.C.E., n. L 199/84, che coordina le procedure di ap- palto nei settori esclusi.
(23) Cfr. Xxxxx Xxxxx. Xx, 00 gennaio 1998 (in causa C-44/96), Manne- smann, cit.; Id., 10 novembre 1998 (in causa C-360/96), Gemeente Arn- hem, Gemeente Rheden c. BFI Holding BV, cit.
(24) Cfr. Xxxxx Xxxxx. Xx, 00 gennaio 1998 (in causa C-44/96), Manne- smann, cit.; Id., 10 novembre 1998 (in causa C-360/96), Gemeente Arn- hem, Gemeente Rheden c. BFI Holding BV, cit.
(25) BFI Holding, citata supra, punto 49.
(26) Come e` stato recentemente affermato, X. Xxxxx, Ente pubblico, im- presa pubblica, organismo di diritto pubblico, in Argomenti di diritto ammini- strativo, Milano 2000, 59, la nozione di ente amministrativo «corrisponde alla differenza algebrica tra organismo di diritto pubblico e impresa pubbli- ca. Ovvero, se si crede, (...) il nostro ente pubblico corrisponde ad un or- ganismo di diritto pubblico, che non sia peraltro inquadrabile anche nella specifica nozione di impresa pubblica».
(27) L’impresa pubblica, ricompresa nell’ambito soggettivo di applicazione delle direttive sugli appalti pubblici nella sola ipotesi di appalti posti in es- sere nei c.d. settori ex esclusi (direttiva del Consiglio del 14 giugno 1993,
n. 93/38/Ce), si caratterizza per la dipendenza della stessa dallo Stato o da altri enti pubblici, i quali, avendone il controllo, possono determinarne l’indirizzo economico, ed esercitare un’influenza dominante per ragioni di proprieta`, di partecipazione finanziaria, oppure in conseguenza delle nor- me che la disciplinano. L’influenza dominante e` presunta qualora i pub- blici poteri, direttamente o indirettamente, detengano la maggioranza del capitale sottoscritto dall’impresa, dispongano della maggioranza dei voti in assemblea, ovvero possano nominare la maggioranza dei membri del con- siglio di amministrazione, di direzione o di vigilanza dell’impresa.
984 URBANISTICA E APPALTI 9/2001
S.p.A., indipendentemente dalla propria natura, in ra- gione dell’attivita` svolta puo` essere equiparata ad un en- te pubblico.
vera e propria attivita` economica, strettamente funzio- nale all’attivita` d’impresa (32), esclude la riconducibilita` dell’Ente alla nozione comunitaria.
Cos`ı
una societa` di capitali, istituita allo scopo di
Nell’operare il revirement il Consiglio di Stato non
raccogliere i rifiuti, puo` essere qualificata come organi-
smo di diritto pubblico, indipendentemente dall’indole societaria (28).
Ne consegue che non e` sufficiente, per escludere l’Ente Fiera dalla nozione di organismo di diritto pubbli- co, sottolineare che l’organizzazione di fiere, di esposizio- ni e di altre iniziative analoghe costituisce un’attivita` economica che consiste nell’offrire servizi sul mercato.
Proprio all’indomani di BFI Holding era sorto il dub- bio se conservare un significato alla distinzione basata sul carattere dell’attivita` svolta oppure ricondurre ogni distinzione ad un criterio strettamente finalistico. Que- st’ultima soluzione avrebbe inevitabilmente portato a svuotare di significato la seconda parte del requisito
«istituto per soddisfare specificatamente bisogni di inte- resse generale aventi carattere non industriale o com- merciale», portando l’interprete a verificare unicamente la sussistenza del fine della soddisfazione di bisogni di interesse generale.
Al di la`, infatti, della precisazione operata dal giudice comunitario in merito alla necessita` di distinguere tra i bisogni di interesse generale aventi carattere non indu- striale o commerciale, da un lato, e, dall’altro, i bisogni di interesse generale aventi carattere industriale o com- merciale, in piu` occasioni la giurisprudenza ha finito per porre l’accento unicamente sull’idoneita` dell’attivita` a soddisfare bisogni di interesse generale, privando di qualsiasi contenuto la seconda parte della norma, ovve- ro il requisito «aventi carattere non industriale o com- merciale».
Tali interpretazioni erano incoraggiate dall’esplicita affermazione da parte del Giudice comunitario che «lo status di organismo di diritto pubblico non dipende dal- la rilevanza relativa, nell’ambito dell’attivita` dell’ente medesimo, del soddisfacimento di bisogni di interesse generale aventi carattere non industriale o commercia- le» (29). Tuttavia la soluzione di non considerare piu` l’esercizio di attivita` aventi carattere non industriale o commerciale un requisito determinante per la qualifica- zione di organismo di diritto pubblico portava ad un forzato allontanamento dall’interpretazione della norma, nonche´ della ratio legis (30).
Significativa di tale incertezza interpretativa e` la giu-
risprudenza del Consiglio di Stato. Quest’ultimo, dopo aver in un primo momento ritenuto che l’Ente Fiera, fa- vorendo la conoscenza dei prodotti dell’industria italia- na e straniera da parte dei commercianti e consumatori, con la realizzazione di un punto d’incontro tra produtto- ri, venditori ed acquirenti, rientra nella nozione comu- nitaria perche´ svolge attivita` diretta a soddisfare bisogni di interesse generale (31), muta orientamento e, affer- mando che l’attivita` fieristica, anche se caratterizzata da una connotazione di interesse generale, consiste in una
ha rivisto l’interpretazione dell’attivita` svolta dall’Ente Fiera, che e` sempre qualificata come attivita` di carattere commerciale, ma ha fornito all’indice qualificatorio del requisito negativo della mancanza del carattere indu-
striale o commerciale del bisogno, un nuovo significato. Nel 1995 il Consiglio di Stato aveva operato una spac- catura tra la necessita` di soddisfare bisogni di interesse generale e il carattere non industriale o commerciale dell’attivita` svolta, giungendo ad affermare la prevalenza dello svolgimento di attivita` di interesse pubblico su quelle di carattere economico, mentre nelle recenti pro- nunce, pur continuando ad evidenziare la connotazione di interesse generale, il rilievo commerciale dell’attivita` porta il Giudice amministrativo ad escludere la ricondu- cibilita` dell’Ente Fiera nella categoria dell’organismo di diritto pubblico.
Con la sentenza in epigrafe la Corte di Giustizia spe-
cifica per la prima volta il contenuto dell’astratta defini- zione «istituiti per soddisfare bisogni di interesse genera- le aventi carattere industriale o commerciale», cioe` di quella categoria che ormai giurisprudenza e dottrina avevano svuotato di contenuti.
L’Ente Fiera svolge attivita` dirette a soddisfare bisogni di interesse generale perche´ rivolte ad un numero illimi- tato di persone. Tali attivita`, pero`, presentano carattere commerciale e cio` comporta l’esclusione dell’ente dalla categoria degli organismi di diritto pubblico. Il Giudice comunitario restituisce il significato letterale alla norma e si sofferma lungamente a dimostrare il carattere com- merciale dell’attivita` di interesse generale svolta dall’ente fieristico. Quest’ultimo, pur non perseguendo scopi lu- crativi, opera secondo criteri di rendimento, di efficacia e di redditivita`. Inoltre, non essendo previsto alcun mec- canismo per compensare eventuali perdite finanziarie, es- so sopporta direttamente il rischio economico della pro- pria attivita`. Il carattere economico dell’attivita` svolta dall’Ente Fiera puo` quindi derivare dal fatto che l’Ente medesimo finanzia interamente la propria attivita`.
Le precisazioni contenute nella sentenza in epigrafe permettono poi al giudice comunitario di riconfermare
Note:
(28) BFI Holding, cit.
(29) Corte Giust. Ce, Xxxxxxxxxx x. Anlagenbau Austria e a., cit.; Id., Gemeente Armhem, Gemeente Rheden c. BFI Holding BV, cit.; Id., Conne- mara Machine TurfCo. Ltd C. Coillte Teoranta, cit.
(30) Cfr. Xxxxx Xxxxx. Xx, 0 ottobre 2000 (in causa C-380/98), The Uni- versity of Cambridge, cit.
(31) Cos`ı Cons. Stato, sez. VI, 21 aprile 1995, n. 353, in Giur. It., 1995, III, 1, 525, con nota di Mameli, Gli enti fieristici e le procedure dell’evidenza amministrativa.
(32) Cons. Stato, sez. VI, 16 settembre 1998, n. 1267, in Giur. It., 1999, 643.
URBANISTICA E APPALTI 9/2001
985
la finalita` perseguita dalla direttiva n. 92/50/Cee, consi- stente nella necessita` di escludere sia il rischio che gli offerenti o candidati nazionali siano preferiti nell’attri- buzione di appalti da parte delle amministrazioni aggiu- dicatrici, sia la possibilita` che un ente finanziato o con- trollato dallo Stato, dagli enti territoriali o da altri orga- nismi di diritto pubblico si lasci guidare da considerazio- ni non economiche (33). Come si evince dallo statuto dell’Ente Fiera, il regime di finanziamento previsto per gestire le attivita` svolte, impone all’ente di seguire logi- che strettamente economiche, al pari di qualsiasi altra impresa che opera sul mercato in regime di concorren- za.
Il fatto che l’Ente Fiera operi in un regime di libera concorrenza e sopporti interamente i rischi di gestione rende assai improbabile che lo stesso operi in base a scelte che non siano strettamente aderenti alle logiche di mercato (34).
Considerazioni finali
La scelta del giudice comunitario di escludere l’Ente Fiera dalla categoria comunitaria dell’organismo di dirit- to pubblico, servendosi dell’interpretazione letterale del- l’art. 1, lett. b) direttiva n. 92/50/Cee nonche´ della ratio legis, offre un valido sostegno ai tentativi compiuti dalla giurisprudenza e dal legislatore di non vanificare i prin- cipi contenuti nelle direttive sugli appalti pubblici (35). Discutibile e`, invece, la scelta della Corte di rigettare l’eccezione di irricevibilita`, pronunciandosi sull’ordinan-
za di rimessione.
Come si era gia` osservato in altra occasione, la fatti- specie qui in esame trae origine dall’ordinanza di rinvio del T.A.R. Lombardia (36), il quale aveva ritenuto che l’applicazione all’Ente Fiera dell’obbligo di osservare gli imperativi di trasparenza dell’attivita` amministrativa, che l’art. 23 della legge 7 gosto 1990, n. 241 impone nei confronti delle amministrazioni dello Stato, ivi compresi le aziende autonome, gli enti pubblici ed i concessionari di pubblici servizi, dipende dalla qualifica- zione dell’Ente Fiera come amministrazione aggiudicatri- ce.
La causa infatti, verte sull’applicabilita` della normati-
va interna in materia di trasparenza dell’attivita` ammi- nistrativa e non di quella sugli appalti pubblici. L’even- tuale qualificazione dell’Ente Fiera secondo i canoni co- munitari dell’organismo di diritto pubblico non avrebbe quindi alcuna incidenza sull’interpretazione della disci- plina dell’esercizio del diritto d’accesso ai documenti amministrativi nell’ordinamento nazionale, dove la no- zione di «amministrazione dello Stato» non ha nulla a che vedere con la nozione di «organismo di diritto pub- blico», nozione comunitaria elaborata al solo fine di de- terminare l’ambito soggettivo di applicazione della nor- mativa comunitaria sugli appalti pubblici (37).
Pertanto, poiche´ la questione sollevata dal giudice nazionale non verteva sull’interpretazione del diritto co- munitario, la Corte non era tenuta a statuire (38).
Nella specie, il giudice di rinvio ha chiaramente espresso la necessita` dell’interpretazione dell’art. 1, lett. b), della direttiva al fine di potersi pronunciare sulla questione se l’Ente Fiera sia tenuto a rispettare la nor- mativa nazionale in materia di trasparenza, oggetto della causa principale.
Xxxxxx, La Corte di Giustizia, infatti, dovrebbe evi- tare di statuire su una questione pregiudiziale sollevata da un giudice nazionale qualora appaia in modo manife- sto che l’interpretazione del diritto comunitario chiesta da tale giudice non ha alcuna relazione con l’effettivita` o con l’oggetto della causa a qua (organismo di diritto pubblico/ambito soggettivo di applicazione della norma- tiva sul procedimento amministrativo italiano) (39).
Note:
(33) Cfr. BFI Holding, cit. punto 42; The University of Cambridge, cit., punto 17.
(34) Si veda in tal senso gia` BFI Holding punto 43.
(35) Si allude al DDL n. 4014, cit. e alla recente sentenza del T.A.R. Brescia, 4 aprile 2001, n. 222, cit., che tentano di porre un freno all’ope- rativita` della deroga contenuta nell’art. 6 della direttiva n. 92/50/Cee. Quest’ultima disposizione, infatti, insieme all’eccessivo ampliamento della nozione di organismo di diritto minacciano la stessa operativita` delle pre- scrizioni della direttiva.
(36) T.A.R. Lombardia, ord., 5 marzo 1999, n. 10, cit.
(37) Cfr. Cons. Stato, sez. VI, 28 ottobre 1998, n. 1478, in questa Rivista, 1999, 84: «Tra le due strade teoricamente percorribili a fronte della non congruenza della nozione interna con quella comunitaria di amministra- zione - riscrittura funditus dei connotati generali degli enti pubblici, con inclusione di taluni soggetti privati, ed equiparazione dei soggetti privati con determinate caratteristiche agli enti pubblici tradizionali ai soli fini delle procedure di appalto - il legislatore ha imboccato la seconda, meglio armonizzabile con il sistema amministrativo interno, consentendo l’assimi- lazione dei soggetti privati qualificabili come organismi di diritto pubblico
- e piu` in generale come amministrazioni aggiudicatrici - nella sola materia degli appalti, e segnatamente per gli atti adottati nella veste di stazione appaltan- te».
(38) Xxxxx Xxxxx. Xx, 00 dicembre 1995 (in causa C-415/93), Xxxxxx, in Racc. 1995, I-4921, punto 59; Id., 16 luglio 1992 (in causa C-83/91), Xxxxxxxx, in Racc. 1992, I-4871, punti 22- 26.
(39) Cfr., in particolare, sentenza Xxxxxx, cit., punto 61.
986 URBANISTICA E APPALTI 9/2001
a cura di XXXXX XXXXXX XXXXXXXXXX
■ Decisioni della Corte
APPALTI PUBBLICI E NORMATIVA REGIONALE
Corte Costituzionale, 26 giugno 2001, n. 207, Pres. Ruper- to, Red. Onida
(G.U. 1a Serie Speciale, 4 luglio 2001, n. 26)
`E costituzionalmente illegittimo l’art. 23, commi 1 e 9, della legge regionale della Valle d’Aosta 20 giugno 1996,
n. 12 (Legge regionale in materia di lavori pubblici), nel- la parte in cui prevede come condizione necessaria per la partecipazione alle gare per l’affidamento degli appalti di lavori pubblici ivi contemplati l’iscrizione ad un albo regionale di preselezione «dotato di efficacia triennale con riferimento alla presenza di un’adeguata ed efficien- te organizzazione aziendale sul territorio regionale».
Non `e fondata la questione di legittimit`a costituzionale dell’art. 23 della legge regionale della Valle d’Aosta n. 12 del 1996, per la parte non colpita dalla dichiarazione di illegittimit`a di cui al capo a, in riferimento all’art. 3 del- la Costituzione.
I dubbi di legittimita` costituzionale che investono l’art. 23 della legge regionale della Valle d’Aosta 20 giugno 1996,
n. 12 (Legge regionale in materia di lavori pubblici), erano stati sollevati dal Tribunale amministrativo regionale per la Valle d’Aosta, in riferimento agli articoli 3, 41, 97 e 120 della Costituzione.
Segnatamente - come osservato dai Giudici della Consulta in via preliminare - tale disposizione prevede un «sistema di qualificazione» delle imprese per gli appalti di lavori pubblici di interesse regionale aventi importo inferiore a li- miti da stabilirsi con deliberazione della Giunta regionale,
«fondato su un albo di preselezione di carattere regionale dotato di efficacia triennale con riferimento alla presenza di un’adeguata ed efficiente organizzazione aziendale sul territorio regionale» (comma 1). L’albo e` organizzato e isti- tuito con delibere della Giunta regionale, che dispone al- tres`ı l’iscrizione delle imprese all’albo stesso (commi 3, 4, 8). L’iscrizione ad esso «e` condizione necessaria per la par- tecipazione alle gare per l’affidamento degli appalti di lavo- ri pubblici di cui al comma 1» (comma 9).
Innanzitutto il Tribunale remittente rileva che, pur essen- do sospettati di incostituzionalita`, solo i citati commi 1 e 9 dell’art. 23, in realta` la questione di legittimita` costituzio-
nale involge l’intero art. 23, atteso l’inscindibile nesso che ne legherebbe le varie proposizioni.
Sotto un primo, assorbente profilo, la normativa in que- stione sarebbe in contrasto con il principio di eguaglianza di cui all’art. 3 della Costituzione, poiche´ il requisito ri- chiesto per accedere all’albo, ossia quello di una «adeguata ed efficiente organizzazione aziendale sul territorio regiona- le», darebbe luogo ad una discriminazione tra imprese ope- ranti nel territorio nazionale, basata sulla mera localizzazio- ne territoriale. In particolare, ad avviso del remittente, pur avendo la Regione competenza legislativa primaria in ma- teria di lavori pubblici di interesse regionale, la possibilita` di dettare una normativa di favore per le imprese ubicate o comunque organizzate nella Regione, anche con effetti esterni a detto territorio, incontra in ogni caso il limite dei principi della Costituzione, dell’ordinamento giuridico e delle norme fondamentali dello Stato. La previsione del- l’albo regionale colliderebbe altres`ı con gli articoli 3 e 120 della Costituzione, in quanto creerebbe un’ingiusta discri- minazione tra imprese operanti nel territorio nazionale e pregiudicherebbe il diritto di esercitare un’attivita` lavorati- va in qualunque parte del medesimo territorio: le imprese sprovviste del requisito dell’adeguata ed efficiente organiz- zazione aziendale nel territorio regionale, ancorche´ dotate di solidi requisiti tecnico-organizzativi ed economico-finan- ziari, si vedrebbero di fatto precluso l’accesso agli appalti per lavori pubblici di interesse regionale.
A cio` si aggiungerebbe la irragionevolezza, e quindi il con- trasto con l’art. 3 della Costituzione, di una disciplina che indichi in modo del tutto generico i criteri di ammissione all’albo, demandandone sostanzialmente ad atti sub-legisla- tivi la concreta determinazione e l’illogicita` di un sistema in base al quale un’impresa potrebbe assumere gli appalti di valore piu` basso (per i quali, nel caso di specie soltanto la ricorrente aveva ottenuto l’iscrizione all’albo regionale), nonche´ quelli superiori alla c.d. soglia comunitaria (cui la legge non si applica), ma non gli appalti della fascia inter- media.
La previsione dell’albo confliggerebbe con l’articolo 41 del- la Costituzione, posto che da essa deriverebbero rilevanti ostacoli all’esercizio della libera attivita` imprenditoriale; e con il principio di buon andamento dell’amministrazione di cui all’art. 97 della Costituzione, considerato che essa impedirebbe la piu` ampia partecipazione agli appalti pub- blici e, quindi, la scelta delle ditte migliori.
Il Tribunale remittente muove - ad avviso della Corte - da un’interpretazione della normativa denunciata che non so-
URBANISTICA E APPALTI 9/2001
987
lo appare plausibilmente motivata, ma si presenta altres`ı come l’unica conforme alla lettera e alla ratio della medesi- ma. L’art. 23 della legge regionale e` univoco nel richiedere l’iscrizione all’albo regionale di preselezione come condizio- ne necessaria per la partecipazione alle gare e il requisito dell’adeguata organizzazione aziendale nel territorio regio- nale come necessario per l’accesso all’albo medesimo, cos`ı di fatto precludendo, alle imprese non locali, o comunque non stabilmente organizzate sul territorio regionale, di con- correre agli appalti disciplinati dalla legge.
Tuttavia la questione e` sollevata altres`ı con riferimento al principio di ragionevolezza di cui all’art. 3 della Costituzio- ne, contestandosi fra l’altro la razionalita` del rinvio, effet- tuato dalla legge, ad atti della Giunta regionale per la con- creta determinazione dei requisiti di accesso all’albo: per questo aspetto la questione investe necessariamente l’intera disciplina contenuta nell’art. 23 della legge.
Sotto tale profilo, la questione non e` fondata. Non puo` in- fatti ritenersi, di per se´, contrastante con criteri di ragione- volezza una normativa che stabilisca in via generale i re-
quisiti di accesso all’albo regionale (in particolare il requisi- to, ove esso fosse legittimamente previsto, dell’adeguata ed efficiente organizzazione aziendale nel territorio regionale), demandandone poi ad atti amministrativi la precisazione. In merito, invece, al quesito centrale concernente la legit- timita` di una disciplina che condiziona la partecipazione alle gare di appalto - attraverso la statuizione del requisito necessario dell’iscrizione all’albo - al possesso da parte delle imprese di un’organizzazione aziendale nel territorio regio- nale (previsione normativa interamente contenuta nei commi 1 e 9 dell’articolo 23), la questione e` fondata, in quanto la disciplina indicata contrasta con gli articoli 3 e 120 della Costituzione.
Richiedere, per la partecipazione alle gare d’appalto, la sus-
sistenza di un’organizzazione aziendale stabile sul territorio regionale equivale a discriminare le imprese sulla base di un elemento di localizzazione territoriale, contrario al prin- cipio di eguaglianza nonche´ al principio in base al quale la Regione «non puo` adottare provvedimenti che ostacolino in qualsiasi modo la libera circolazione delle persone e del- le cose fra le Regioni» e «non puo` limitare il diritto dei cittadini di esercitare in qualunque parte del territorio na- zionale la loro professione, impiego o lavoro» (art. 120, se- condo e terzo comma, della Costituzione).
Da tale principio, che vincola anche le Regioni a statuto speciale, discende anche il divieto per i legislatori regionali di frapporre barriere di carattere protezionistico alla presta- zione, nel proprio ambito territoriale, di servizi di carattere imprenditoriale da parte di soggetti ubicati in qualsiasi par- te del territorio nazionale (nonche´, in base ai principi co- munitari sulla liberta` di prestazione dei servizi, in qualsiasi paese dell’Unione europea).
Una regolamentazione regionale di attivita` di questa natu- ra e` di per se´ possibile, negli stessi limiti, discendenti dal diritto comunitario, valevoli per il legislatore statale, non- che´ entro gli ulteriori limiti che, nei singoli casi, possono discendere, nei confronti delle Regioni, dalle norme costi-
tuzionali o statutarie che ne disciplinano l’autonomia. Ma essa non puo` comunque tradursi nella apposizione di bar- riere discriminatorie a danno dei soggetti non localizzati nel territorio regionale.
COMMERCIO E COMPETENZE REGIONALI
Corte Costituzionale, 22 giugno 2001, n. 205, Pres. Ruper- to, Red. Mezzanotte
(G.U. 1a Serie Speciale, 27 giugno 2001, n. 25)
L’articolo 1, comma 3, della legge della Regione Puglia 4 agosto 1999, n. 24 (Principi e direttive per l’esercizio delle competenze regionali in materia di commercio) lad- dove dispone che «all’esame delle domande di autorizza- zione ex legge regionale 2 maggio 1995, n. 32, corredate a norma alla data del 16 gennaio 1998, non si d`a segui- to» `e costituzionalmente illegittimo per violazione del- l’art. 117 della Carta Fondamentale.
La questione di legittimita`, sollevata, in riferimento agli ar- ticoli 3, 10 (recte: 11), 41, 97 e 117 della Costituzione, concerne l’articolo 1, comma 3, della legge della Regione Puglia 4 agosto 1999, n. 24 (Principi e direttive per l’eser- cizio delle competenze regionali in materia di commercio), il quale dispone che la Regione non dia seguito all’esame delle domande di autorizzazione all’apertura di grandi strut- ture di vendita presentate secondo la vecchia legge regio- nale 2 maggio 1995, n. 32 e corredate a norma alla data del 16 gennaio 1998.
I remittenti lamentano che la disposizione censurata con- trasterebbe, in primo luogo, con l’articolo 117 della Costi- tuzione, in riferimento all’articolo 25, comma 5, del decre- to legislativo 31 marzo 1998, n. 114 (Riforma della disci- plina relativa al commercio, a norma dell’art. 4, comma 4, della legge 15 marzo 1999, n. 59), il quale espressamente prescrive l’esame e la decisione da parte della Regione del- le istanze di autorizzazione presentate nel vigore della pre- cedente disciplina e corredate a norma entro il 16 gennaio 1998. La disposizione in parola si presenterebbe, altres`ı in contrasto con l’articolo 41 della Costituzione, «perche´ di- sconoscerebbe, senza apparenti ragioni di utilita` sociale, il diritto di iniziativa economica privata», e con l’articolo 3 della Costituzione, «sotto il duplice profilo dell’ingiustifica- ta disparita` di trattamento tra imprenditori e dell’irragione- vole retroattivita` della disciplina di rapporti giuridici gia` re- golati dalla normativa statale».
Da una parte dei remittenti e` anche prospettata la viola- zione dell’articolo 97 della Costituzione, in considerazione del fatto che il principio di buon andamento della pubbli- ca amministrazione postulerebbe la continuita` e l’effettivita` dell’esercizio dei pubblici poteri e non anche l’arbitrario non esercizio degli stessi (implicito nella prescrizione di non dare seguito alle domande di autorizzazione di cui trat- tasi), e dell’articolo 10 (recte: 11) della Costituzione, per- che´ la disposizione censurata si porrebbe in contrasto con il principio comunitario di libera prestazione dei servizi.
988 URBANISTICA E APPALTI 9/2001
In altri termini, dopo l’entrata in vigore del decreto legisla- tivo n. 114 del 1998, la Regione Puglia approvava la legge 4 agosto 1999, oggetto di censura limitatamente all’art. 1, comma 3, successiva all’emanazione della legge 20 gennaio 1999, n. 4 (Proroga dei termini di cui alla legge regionale 24 dicembre 1997, n. 24 «Legge regionale 2 maggio 1995,
n. 32. Sospensione temporanea del rilascio del nulla-osta regionale per l’apertura di grandi strutture di vendita»), con la quale, pur prorogando i termini di sospensione pre- visti dalla precedente legge regionale, aveva tuttavia fatto salvo quanto previsto dalla disciplina transitoria contenuta nell’articolo 25 del decreto legislativo n. 114/98.
La questione ad avviso dei Giudici della Consulta e` fonda- ta.
Il vincolo per la legge regionale a uniformarsi alle previ- sioni del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 114, che reca la riforma del settore del commercio, e segnatamente
all’articolo 25, che riguarda la disciplina transitoria da os- servare fino alla nuova programmazione, da parte delle Regioni, consegue al tipo di competenza attribuita alle Regioni in materia di commercio, per l’appunto attraverso il decreto legislativo n. 114 del 1998, le cui previsioni, an- che quelle riguardanti il periodo transitorio fino alla realiz- zazione della riforma, non possono essere disattese dalla legge regionale.
Cio` posto, l’intendimento del legislatore nazionale che le domande volte a ottenere il nulla-osta regionale per l’aper- tura di grandi strutture di vendita, pervenute alla Giunta regionale alla data del 16 gennaio 1998 e corredate a nor- ma, dovessero essere esaminate e decise entro il termine di centottanta giorni, e` apertamente contrastato dalla censu- rata disposizione della legge regionale che ne sancisce un anomalo blocco prescrivendo che tali domande non abbia- no piu` corso.
IN LIBRERIA COLLANA URBANISTICA E APPALTI
Diretta da Xxxxxxxxx Xxxxxxxxxx e Xxxxxxxx Xx Xxxxx
L’ATTUAZIONE DELLA LEGGE QUADRO SUI LAVORI PUBBLICI. COMMENTARIO
A cura di Xxxxxxxxx Xxxxxxxxxx, Xxxxx Xxxxxxx, Xxxxxxxx Xx Xxxxx IPSOA, 2000, lire 120.000 (E 61,97), pagg. 1200, (cod. 00023953)
Il volume, naturale completamento del Commentario alla legge quadro, mira a fare il punto in via sinergica sull’insieme degli interventi attuativi destinati, a far data dal 28 luglio 2000 - data di contemporanea en- trata in vigore del regolamento e dello stesso capito- lato generale - a costituire l’ossatura operativa della materia dei lavori pubblici.
In esso sono raccolti i commenti, affidati a vari esperti, al Regolamento generale (D.P.R. n. 554/ 1999) ordinati per le singole materie, con ampi ri- chiami alla giurisprudenza del Consiglio di Stato, nonche´ il commento al nuovo regolamento sulla qualificazione (D.P.R. n. 34/2000) che ha abolito l’albo nazionale dei costruttori, e al nuovo capitolato
generale (D.M. n. 145/2000) in tema di esecuzione del contratto. Chiude il volume l’analisi del D.M. 21 giugno 2000 recante modalita` e schemi tipo per la programmazione triennale.
Per rendere piu` agevole il compito del lettore il vo- lume e` arricchito da un’Appendice recante i ricorda- ti testi normativi, gli atti preparatori relativi ai ri- lievi della Corte dei conti ed alle risposte del Go- verno e le Circolari ministeriali in tema di qualifi- cazione.
Uno strumento indispensabile di approfondimento e di aggiornamento per Avvocati amministrativisti, funzionari della P.A. centrale e degli Enti Locali, di- rigenti di imprese di opere pubbliche.
URBANISTICA E APPALTI 9/2001
989
La Suprema Corte a tutto campo sull’indennita` di esproprio
CASSAZIONE CIVILE, Sez. Un., 23 aprile 2001, n. 173
Pres. Vela- Rel. Xxxxxxx- Bruni c. Comune di Busalla
Ai fini indennitari e della previa qualificazione dei suoli espropriati alla stregua delle correlative «possi- bilit`a legali» di edificazione al momento dell’apposizione del vincolo preordinato all’espropriazione, ai sensi dell’art. 5-bis, terzo comma della legge n. 359 del 1992, le prescrizioni ed i vincoli stabiliti dagli strumenti urbanistici di secondo livello - influenti di regola su tale qualificazione, per il contenuto con- formativo della propriet`a che ad essi deriva dalla loro funzione di definire, per zone, in via astratta e ge- nerale, le possibilit`a edificatorie connesse al diritto dominicale - possono, in xxx xxxxxxxxxxx, xxxxx an- che portata e contenuto direttamente ablatori (che ne escludono l’incidenza sulla liquidazione dell’in- dennit`a) ove si tratti di vincoli particolari, incidenti su beni determinati in funzione di localizzazione dell’opera, implicante di per s´e la necessaria traslazione di quei beni all’ente pubblico.
Diritto
1. La censura formulata, con il primo mezzo dell’impu- gnazione, alla sentenza della Corte territoriale, nella par- te in cui vi si afferma che «l’apposizione a determinate aree del vincolo preordinato all’espropriazione va indivi- duata [esclusivamente] nella dichiarazione di pubblica utilita` dell’opera» sottende il quesito - in relazione al quale la causa e` stata assegnata a queste Sezioni Unite per la composizione di contrasto - se un tal vincolo di carattere ablatorio possa, o non, anche individuarsi in una previsione di piano o (come appunto nella specie) in una variante di esso.
1.1. Sul punto la giurisprudenza di questa Corte effetti- vamente non e` univoca (ancorche´ non vi sia dato pro- priamente ravvisare un contrasto esplicito) poiche´ a sentenze che individuano in date fattispecie, un vincolo preordinato all’espropriazione anche in strumenti urba- nistici [cfr. nn. 4091, 4921, 12383/98 - con riguardo a
«vincolo particolare di localizzazione di un’area a verde pubblico»; n. 1573/95 - relativamente alla «programma- ta realizzazione di parcheggi pubblici, che imponevano destinazione di tipo espropriativo, poiche´ la correlativa attuazione non puo` coesistere con la persistenza della proprieta` privata ma esige la traslazione dell’area cos`ı destinata» - n. 496/92 ecc.], altre se ne contrappongono che assegnano agli strumenti cd. di secondo livello (pia- no regolatore; piano di fabbricazione ed equipollenti) una generale (e parrebbe) esclusiva e necessaria funzio- ne programmatoria e conformativa (a date destinazioni) della proprieta`, in attuazione della quale soltanto si atti- verebbe poi eventualmente la procedura espropriativa
conducente all’acquisizione coattiva del bene (cfr. nn. 3717, 6949/98; 2272, 10183/99 ex pluribus).
1.2. Al riguardo osserva il Collegio.
Resta fermo in premessa il principio che, - ai fini della determinazione dell’indennizzo espropriativo e della pre- via qualificazione del terreno espropriato - mentre sono ininfluenti le prescrizioni ed i vincoli finalizzati all’espro- priazione (come, all’inverso, i vantaggi direttamente conseguenti all’opera pubblica), come confermato an- che dall’art. 5-bis della legge 359/92 (che ha legato la qualita` edificatoria delle aree alle rispettive «possibilita` legali ed effettive di edificazione» quali appunto (gia`) esistenti» al momento dell’apposizione del vincolo preordinato alla espropriazione») - si deve tener conto, invece, dei vincoli «conformativi» che - in quanto non correlati (a differenza dei primi) alla vicenda ablatoria e non espressivi, pertanto, di una attivita` discrezionale della p.a., ma connaturati viceversa alla proprieta` in se´, per inerenza alla stessa di un regime giuridico generale o di un peculiare statuto urbanistico contribuiscono, per cio`, a fondare i caratteri dei suoli anche per gli aspetti valutativi (cfr. per tutte, fra le piu` recenti, nn. 1090, 1113, 2272, 3839/99; 1816, 3973/2000).
1.3. E` poi esatto, sempre in via di principio, che, nel si-
stema di disciplina della legge urbanistica, articolato su tre livelli (spaziali) di pianificazione (sovracomunale - comunale - subcomunale), la suddivisione in zone (o cd. «zonizzazione») dell’intero territorio comunale e l’in- dividuazione delle rispettive destinazioni (in via genera- le e diffusa per parti omogenee), contenuta nei piani di secondo livello, conferisca appunto, ai medesimi quel- l’"effetto tipico» di conformazione del territorio, inci- dente sulla stessa struttura e sul regime giuridico, della
990 URBANISTICA E APPALTI 9/2001
proprieta` in ragione della sua allocazione zonale e della destinazione (generale) correlativa.
Con la conseguenza - correttamente quindi desunta dal secondo dei riferiti orientamenti giurisprudenziali - che, nella qualificazione e determinazione dell’immobile ai fini della stima dell’indennizzo, deve tenersi conto della conformazione allo stesso impressa, anche attraverso vincoli negativi, dallo strumento urbanistico.
1.4. Occorre, pero`, a questo punto, precisare che il ca- rattere conformativo, e non ablatorio, agli effetti inden- nitari, dei vincoli di piano non discende, direttamente e necessariamente, dal fatto in se´ della loro collocazione nello strumento urbanistico, e non si impone, quindi, esclusivamente in ragione della fonte da cui il vincolo deriva, quanto piuttosto dipende dai requisiti oggettivi, di natura e struttura - che i vincoli contenuti nello stru- mento urbanistico di norma presentano - della inciden- za su una generalita` di beni, nei confronti di una plura- lita` indifferenziata di soggetti, in funzione della destina- zione assolta dalla intera zona in cui questi ricadono, in ragione delle sue caratteristiche intrinseche o del rap- porto (per lo piu` spaziale) con un’opera pubblica: dal che appunto il modo d’essere, «conformato» della pro- prieta` dei beni medesimi.
Cio` allora comporta che, ove in via eccezionale, vinco- li, pur contenuti in piani di secondo livello non abbia- no una tal natura generale, ma si presentino, viceversa, come vincoli particolari, incidenti su beni determinati, in funzione non gia` di una generale destinazione di zo- na, ma della localizzazione puntuale (con indicazione empiricamente, per cio`, detta «lenticolare») di un’opera pubblica, «la cui realizzazione non puo` coesistere con la proprieta` privata ma ne esige la traslazione in favore dell’ente pubblico» (secondo la definizione della gia` ci- tata sentenza n. 1573/97), deve allora convenirsi (in adesione, quindi, per tal profilo, anche al primo riferito indirizzo interpretativo) che si tratti di vincolo sostan- zialmente preordinato all’espropriazione. Dal quale - non ostante la sua formale collocazione -, deve comun- que prescindersi ai fini della qualificazione dell’area, per gli effetti indennitari, con la necessita` di individuare il parametro legale di siffatta qualificazione in uno stru- mento previgente.
Realizzandosi, in tal modo, una situazione specularmen- te inversa a quella, che pur e` suscettibile di verificarsi, in presenza di strumenti particolareggiati, di terzo livel- lo, le cui prescrizioni - di regola meramente attuative dei piani, attraverso la fissazione delle linee di un pro- getto espropriativo e la dichiarazione di pubblica utilita` di tutte le relative opere - possono, a loro volta, in via eccezionale, unire a tale loro funzione tipica quella ulte- riore, di contenuto conformativo, di mutare nella zona contemplata le pregresse opzioni del piano regolatore
con riguardo allo ius aedificandi dei proprietari dei suoli. Come nel caso dei piani di edilizia economica e popola- re (P.E.E.P.), secondo quanto gia` riconosciuto da Sez. Un. 11433/97 (contra n. 496/92) e confermato, con va- rie puntualizzazioni, dalla sentenza (compositiva di con- trasto) pronunciata da queste Sezioni Unite in altra causa [Xxxxxxx ed altri c. CIMEP] discussa alla stessa odierna udienza.
1.5. In conclusione, si deve quindi affermare che, ai fini indennitari e della previa qualificazione dei suoli espro- priati alla stregua delle correlative «possibilita` legali» di edificazione al momento dell’apposizione del vincolo preordinato all’espropriazione», ai sensi dell’art. 5-bis, comma terzo, legge 1992 n. 359, le prescrizioni ed i vin- coli stabiliti dagli strumenti urbanistici di secondo livel- lo - influenti di regola su tale qualificazione, per il con- tenuto conformativo della proprieta` che ad essi deriva dalla loro funzione di definire, per zone, in via astratta e generale, le possibilita` edificatorie connesse al diritto dominicale - possono, in xxx xxxxxxxxxxx, xxxxx xxxxxxx- xx anche portata e contenuto direttamente ablatori (che ne esclude l’incidenza sulla liquidazione dell’indennita`) ove si tratti di vincoli particolari, incidenti su beni de- terminati in funzione di localizzazione dell’opera pubbli- ca, implicante di per se´ la necessaria traslazione di quei beni all’ente pubblico.
1.6. Il principio comporta l’accoglimento del primo mo-
tivo del ricorso ed esige, previa cassazione sul punto del- la sentenza impugnata, un riesame in sede di merito in ordine alla qualificazione dell’area espropriata.
Infatti, nel respingere la tesi dell’attrice - secondo la quale, per la determinazione dell’indennizzo espropriati- vo doveva farsi riferimento alla previgente destinazione (ad espansione residenziale) del P.R.G. e non alla suc- cessiva variante che avrebbe localizzato sul proprio ter- reno l’opera pubblica, con sostanziale apposizione del vincolo preordinato alla espropriazione - ha effettiva- mente errato il giudice a quo, con l’escludere, «in via di principio», che un vincolo siffatto potesse mai indivi- duarsi a livello di piano, in atto antecedente e diverso da quello dichiarativo della pubblica utilita` dell’opera, senza indagare nel concreto (come viceversa avrebbe dovuto) il reale contenuto e l’effettiva portata confor- mativa od ablatoria della riferita prescrizione di varian- te.
2. Per la pronuncia sulle altre censure della ricorrente (non coinvolte dalla questione di contrasto, cui e` limi-
tata, ex art. 14 disp. att. c.p.c. la cognizione di queste Sezioni Unite), e per i provvedimenti consequenziali al- l’accoglimento del primo motivo del ricorso, incluso l’ordine di rinvio e la designazione del Giudice, la causa va rimessa alla Sezione prima civile.
URBANISTICA E APPALTI 9/2001
991
CASSAZIONE CIVILE, Sez. Un., 23 aprile 2001, n. 172
Pres. Vela - Rel. Xxxxxxx - Balli c. Comune di Castelfiorentino
Nel sistema di disciplina della stima dell’indennizzo espropriativo introdotto dall’art. 5-bis della leg- ge n. 359 del 1992, caratterizzato dalla rigida dicotomia, che non lascia spazi per un tertium genus, tra «aree edificabili» (indennizzabili in percentuale del loro valore venale) ed «aree agricole» o
«non classificabili come edificabili» (tuttora indennizzabili in base a valori agricoli tabellari ex legge
n. 865 del 1971) - un’area va ritenuta edificabile quando, e per il solo fatto che, come tale, essa ri- sulti classificata al momento dell’apposizione del vincolo espropriativo dagli strumenti urbanistici, secondo un criterio di prevalenza o autosufficienza della edificabilit`a legale; la cosiddetta edificabili- t`a «di fatto» rileva esclusivamente in via suppletiva - in carenza di strumenti urbanistici - ovvero, in via complementare (ed integrativa), agli effetti della determinazione del concreto valore di mercato dell’area espropriata, incidente sul calcolo dell’indennizzo.
Diritto
1. I tre ricorsi (in quanto) proposti avverso la medesima sentenza, vanno riuniti ai sensi dell’art. 335 c.p.c.
2. Pregiudizialmente deve dichiararsi l’inammissibilita` del secondo ricorso (incidentale) Xxxxx, stante la gia` in- tervenuta consumazione del potere impugnatorio, di detti soggetti, con la proposizione del loro primo ricorso (principale).
3. Va esaminato con carattere di priorita` il primo mezzo dell’impugnazione del Comune, stante la pregiudizialita` della questione, con esso sollevata, di difetto di legitti- mazione passiva del Comune medesimo, per asserito so- pravvenuto trasferimento alle neo istituite ASL dei rap- porti giuridici inerenti a beni del patrimonio dell’ente territoriale con vincolo di destinazione alle USL ai sensi degli artt. 5, comma 1, D.Lgs. 502/92 e 2 L.R. n. 14/96. L’eccepito difetto di legittimazione passiva del ricorrente e` manifestamente, per altro, insussistente in ragione del giudicato interno gia` formatosi (come in narrativa riferi- to) in senso affermativo, in ordine a tale legittimazione; e considerato, comunque, che il prospettato successivo trasferimento, a titolo particolare della situazione debi- toria, in corso di causa, non influirebbe sulla prosecuzio- ne del processo tra le parti originarie (cfr. Cass. nn. 12505/95, 5562/96, ex plurimis).
4. Cade a questo punto l’esame della prima questione di contrasto coinvolta dalle contestazioni - in ordine al- la «edificabilita`» dei suoli per cui e` lite - formulate nei motivi secondo a quinto dello stesso ricorso del Comu- ne.
Il quesito involge, come detto, l’esegesi dell’art. 5-bis della legge 359/1992, per la parte in cui detta norma - nell’introdurre nuovi criteri di stima dell’indennizzo espropriativo per le «aree edificabili», ferma lasciando la disciplina liquidatoria dell’indennita` di esproprio delle
«aree agricole» gia` sub lege 1971 n. 865 (artt. 16 ss.) - prevede, al suo comma terzo, al fine appunto della «va- lutazione della edificabilita` delle aree» a tali effetti rile- vante, che «si devono considerare le possibilita` legali ed effettive di edificazione esistenti al momento della appo- sizione del vincolo preordinato all’esproprio».
In ordine alla rispettiva incidenza e valenza qualificato- ria di tali possibilita` di edificazione, «legali ed effettive», la giurisprudenza di questa Corte ha effettivamente, in- fatti, espresso (sostanzialmente) tre diversi orientamenti interpretativi. Con i quali il rapporto tra i due corri- spondenti requisiti della «edificabilita` legale» (correlata alle previsioni di legge e/o degli strumenti urbanistici) e della «edificabilita` di fatto» (ricavabile dalle obiettive qualita` e caratteristiche dell’area, desumibili dai noti in- dici della sua ubicazione, accessibilita` ecc.) e` stato, di volta in volta, inteso e valorizzato ora in termini di «al- ternativita`» (cfr. ad esempio, nn. 12220/92; 9247/97; 774, 1200/98); ora, invece, nel senso di una loro neces- saria «compresenza» - «congiunzione» - «cumulativita`» (cfr. nn. 5970/93; 11037/96; 5111/97; 259, 8826/98, ex
pluribus); ora, infine, in termini di «prevalenza» o «suffi- cienza» dell’edificabilita` legale (nn. 8702, 8570, 8434/ 98; 2272, 4300/99; 7874, 8035, 9683, 12408/2000, per
tutte).
4-1 Tali difformi indirizzi ermeneutici, per altro, piu` che fronteggiarsi (come in taluni momenti pur e` avvenuto) in termini di radicale contrasto sul piano sincronico, hanno tendenzialmente, piuttosto, espresso, in prospetti- va diacronica, un’evoluzione, per aggiustamenti successi- vi, di una linea interpretativa, sostanzialmente unitaria nelle sue promesse di fondo, secondo la dialettica di for- mazione del diritto vivente.
Si e` cos`ı progressivamente superata la tesi della «alter- nativita`» dei due criteri individuativi dell’edificabilita`, ed il correlativo corollario di sufficienza di una vocazio- ne edificatoria di fatto, argomentando che la «norma, nel prevedere, quale requisito essenziale per la classifica- zione di un’area come edificabile, la sua possibilita` legale di edificazione, esclude necessariamente, con un ragio- namento a contrariis, che possa essere considerata tale un’area per la quale gli strumenti urbanistici non con- sentano l’edificabilita`» (cos`ı, testualmente, n. 2856/96), anche perche´, «diversamente opinando, l’edificazione di un’area, benche´ illecita, finirebbe con l’attribuire, sia pure in via di mero fatto, natura edificatoria al suolo circostante non ancora edificato» (nn. 11037/97; 4300/ 99).
992 URBANISTICA E APPALTI 9/2001
E, sempre in coerenza alla cos`ı enucleata preponderanza della classificazione urbanistica, agli effetti indennitari, nel quadro di disciplina della norma in esame, si e` in prosieguo esclusa la necessita` della «compresenza», a quei fini di una parallela «edificabilita` di fatto», perve- nendosi cos`ı ad affermare che l’edificabilita` di un’area vada ritenuta per il solo fatto che essa risulti tale in base alle previsioni urbanistiche, indipendentemente da ogni valutazione circa la cosiddetta «edificabilita` di fatto», mentre eventuali cause di riduzione o di esclusione delle possibilita` effettive di edificazione non trasformano il terreno edificabile in un terreno agricolo, ma, incidendo sulla sua concreta utilizzazione e, quindi, sul valore di mercato dell’immobile, assumono influenza solo in sede di liquidazione dell’indennita` di espropriazione, in appli- cazione dei criteri, comunque, stabiliti per le aree edifi- cabili (nn. 10575/96; 6949/98; 9207/99; 8647/98; 3839/ 99; 8035/2000).
Da cio` la conclusione - in via di consolidazione nella
giurisprudenza piu` recente - della «prevalenza» e «suffi- cienza», del parametro della «edificabilita` legale», ai fini della corrispondente qualificazione delle aree espropriate agli effetti indennitari, e del rilievo «suppletivo» dell’e- dificabilita` «di fatto», «utilizzabile, ad esempio, in assen- za di pianificazione urbanistica» (nn. 9242/97; 8702/98; 2272/99; 4300/99; 784, 12408/2000).
4-2 Chiamate, in questa sede, a comporre, per quanto e nei limiti in cui episodicamente ancora si ripropone, la questione di contrasto in ordine alla disposizione di cui al comma 3 dell’art. 5-bis legge 359/92, queste Sezioni Unite ritengono senz’altro esatto, e quindi ribadiscono, il riferito piu` recente indirizzo interpretativo, che pervie- ne a ritenere il primato dell’edificabilita` legale ai fini qualificatori delle aree espropriate come edificabili e del- la conseguente loro indennizzabilita` in applicazione del criterio della semisomma (decurtabile) di cui al comma primo della stessa norma.
4-2-1 Il criterio cd. della edificabilita` di fatto - elaborato dalla giurisprudenza anteriore all’entrata in vigore della precitata legge 359/92, al fine precipuo di porre rimedio agli empirici strumenti di individuazione, della qualita` (agricola o non) dei suoli, unilateralmente adottati dalle amministrazioni esproprianti, nella perdurante inerzia le- gislativa al riguardo, e di evitare, conseguentemente, possibili ingiustificate disparita` di trattamento tra espro- priati, cui fosse attribuito soltanto il valore agricolo (ex lege 865/71), e proprietari non espropriati, liberi invece di costruire e vendere a prezzo di mercato terreni in non pochi casi addirittura contigui e confinanti - ha in- negabilmente contribuito ad orientare, in una prospetti- va di continuita`, la prima esegesi dello ius superveniens nel senso della alternativa desumibilita` della qualita` edi- ficatoria delle aree dalle possibilita` legali «od» effettive di edificazione.
Ma una siffatta esegesi risulta, appunto, ad un piu` medi- tato esame, incompatibile con la ratio e con il meccani- smo complessivo di disciplina della stima dell’indenniz-
zo espropriativo introdotto dal legislatore del ’92, ed e` comunque respinta da una corretta lettura - condotta alla stregua dei canoni ermeneutici letterali, logico e si- stematico - della specifica disposizione, sub comma 3 art. cit., enunciativa del criterio di individuazione della edificabilita` delle aree espropriate ai predetti fini inden- nitari.
4-2-2 L’art. 5-bis della piu` volte menzionata legge n. 359 del 1992 - stabilendo (ai suoi commi 1 e 2) che la stima dell’indennita` di espropriazione debba operarsi, per le (sole) «aree edificabili», sulla base del (sia pur mediato ed ulteriormente riducibile) loro valore di mer- cato, e lasciando (sub comma 4), viceversa, tuttora in vigore il precedente diverso criterio di stima, ancorato al valore tabellare delle colture, per le «aree agricole» e per «quelle non classificabili come edificabili» - ha in- trodotto, infatti, un sistema semplificato di liquidazione dell’indennizzo ablatorio basato sulla rigida dicotomia tra suoli «edificabili» e suoli «agricoli». Sistema che la Corte costituzionale ha gia` avuto occasione, per altro, di definire espressivo di una «scelta legislativa che non presenta caratteri di irragionevolezza o di arbitrarieta`», anche per il profilo della (implicitamente) cos`ı esclusa configurabilita` di un «tertium genus» (che tenga conto dell’eventuale plus valore di aree agricole suscettibili di utilizzazioni non meramente agricole: sent. n. 261/97). Ora appunto, coessenziale alla linearita` di un tal sistema e` proprio un meccanismo di verifica oggettiva, e non le- gata a valutazioni opinabili, della natura delle aree, ri- spetto alla presupposta loro bipartizione: verifica che, a questi fini, puo` esser fornita solo dalla classificazione ur- banistica data al suolo considerato.
Da cio` l’attribuzione della reale discretivita` del sistema
al parametro dell’edificabilita` legale (cfr. n. 2272/99), al quale non potrebbero affiancarsi in via di necessaria congiunzione, o sovrapporsi, in termini di alternativita` (bilaterale) criteri fattuali di accertamento dell’edificabi- lita`, che - con la conseguente introduzione di molteplici possibili varianti (edificabilita` legale ed effettivi; solo ef- fettiva; legale ma non effettiva...) - finirebbero col to- gliere al meccanismo estimatorio proprio quei caratteri di (anche rigida) semplificazione che hanno costituito il proprium della scelta legislativa.
4-2-3 Alla stessa conclusione conduce - come detto - l’esegesi mirata sulla specifica disposizione sub comma 3 art. 5-bis.
La possibilita` di una rilevanza autonoma, in xxx xxxxxxx- xxxx, xxxxx «xxxxxxxxxxxx effettive di edificazione», ai fini della qualificazione edificatoria delle aree, e` gia` espunta, infatti, sul piano letterale, dal mancato utilizzo della di- sgiuntiva «o» (nel collegamento tra «possibilita` legali ed effettive» instaurato dalla predetta disposizione); e` contraddetta, altres`ı, dalla ratio della norma (anche per il profilo, gia` sottolineato, della sua vocazione a «inter- rompere il circolo vizioso per cui l’abusiva edificazione di un’area malgrado l’illiceita` di fatto, puo` essere idonea a trasformare in zona fabbricabile il suolo circostante
URBANISTICA E APPALTI 9/2001
993
non edificato»); e trova, infine, ulteriore insuperabile ostacolo, in chiave sistematica, nella connessa disposi- zione di cui al successivo comma quarto che equipara le
«aree non classificabili come edificabili ai sensi del com- ma 3 alle «aree agricole».
Come e` stato per tal profilo, infatti, gia` osservato, «se la semplice presenza, nei suoli legalmente non edificabili, della vocazione edificatoria, fosse idonea ad annullare l’effetto negativo del vincolo, di nessuna utilita` appari- rebbe la previsione di un’ipotesi specifica di suoli non edificabili da associare alla disciplina dei suoli agricoli, ma rispetto ad essi ontologicamente autonoma» (cfr. n. 2272/99 cit.).
4-2-4 Ed allora esclusa - sempre in ragione del rilievo essenziale attribuito allo strumento urbanistico - anche la possibilita` (speculare) di superarne positive previsioni di edificabilita` in ragione di ridotte o carenti possibilita` effettive di edificazione (con la conseguenza, gia` acquisi- ta all’elaborazione giurisprudenziale, che un tale deficit delle condizioni fattuali di edificabilita` incidera` al piu` li- mitato fine della determinazione in concreto dell’inden- nizzo), la duplicita` di situazioni descritte nella norma in esame ("possibilita` legali ed effettive di edificazione»), non legate, per come dimostrato, ne´ da un nesso di al- ternativita` ne´ da un nesso di congiunzione, non puo`, conclusivamente, diversamente leggersi che come pro- spettazione di due distinte situazioni (identificative della edificabilita` dell’area ai fini indennitari). Una prima si- tuazione - principale - in cui l’edificabilita` deriva dall’e- sistenza di una regolamentazione legale dell’assetto urba- xxxxxxx; ed una seconda situazione - subordinata - per cui il ricorso ai noti indici della «edificabilita` di fatto» e` giustificato e reso necessario dall’inesistenza, invece, del- lo strumento urbanistico.
E`, quest’ultimo, il caso delle aree comprese in Comuni,
sprovvisti di piano e situate fuori del perimetro del cen- tro abitato, per le quali l’edificabilita` puo` essere valuta- ta, appunto, solo in fatto, secondo gli indici elaborati dalla giurisprudenza ed entro i limiti, ovviamente posti, al riguardo, dalla legge 1977 n. 10. Ed e` il caso, altres`ı, dell’eventuale intervenuta decadenza di vincoli provvi- sori di inedificabilita` (per inutile decorso del termine sub art. 2 legge 1968 n. 1187) che comporta la riduzio- ne delle aree, su cui essi gravano, a superfici prive di di- sciplina urbanistica.
4-2-5 La disposizione esaminata va, conclusivamente, quindi interpretata nel senso che - nel nuovo sistema di disciplina della stima dell’indennizzo espropriativo intro- dotto dall’art. 5-bis legge 359/92, caratterizzato dalla rigi- da dicotomia (che non consente la configurabilita` di un
«tertium genus») tra «aree edificabili» (indennizzabili in percentuale del loro valore venale) ed «aree agricole» o
«non classificabili come edificabili» (tuttora invece in- dennizzabili in base a valori agricoli tabellari ex lege 1971 n. 865, richiamata dal comma 4 del citato art. 5- bis) - un’area va ritenuta «edificabile» quando, e per il solo fatto che, come tale, essa risulti classificata (al mo-
mento dell’apposizione del vincolo espropriativo) dagli strumenti urbanistici (nell’"ambito della zonizzazione» del territorio), secondo un criterio quindi, di prevalenza od autosufficienza della edificabilita` legale. Mentre la cd. edificabilita` «di fatto» rileva in via suppletiva - in carenza di una regolamentazione legale dell’assetto urba- xxxxxxx, per mancata adozione, ad esempio, di P.R.G. o per decadenza di vincoli di inedificabilita` - ovvero, in via complementare (ed integrativa), agli effetti della de- terminazione del concreto valore di mercato dell’area espropriata, incidente sul calcolo dell’indennizzo.
5 In applicazione dell’art. 5-bis, comma 3, legge 359/92 cit., come sopra interpretato, si rivelano, quindi, infon- date le doglianze formulate con il secondo complesso mezzo del ricorso del Comune, risultando l’edificabilita` dell’area espropriata correttamente (per quanto detto) ancorata, dalla Corte territoriale, alle previsioni confor- mative dello strumento urbanistico (il P.R.G. del 1971) e risultando tali previsioni, in parte qua, del pari corret- tamente interpretate, da quel giudice, nel senso che la destinazione (di zona) a parcheggi e infrastrutture non esclude (contrariamente a quanto ex adverso sostenuto) la vocazione edificatoria.
Atteso, infatti, per tal secondo profilo, che l’edificabilita`
non si identifica ne´ si esaurisce - come gia` precisato - in quella residenziale abitativa, ma ricomprende tutte quel- le forme di trasformazione del suolo - in via di principio non precluse (come nella specie) all’iniziativa privata - che siano riconducibili alla nozione tecnica di edifica- zione (cfr. nn. 9669, 8028/2000; 4473/99; 3708/77) e che siano, come tali, soggette al regime autorizzatorio ex art. 1 legge 1977 n. 10; ferma restando la rilevanza, ai fini della determinazione dell’immobile nella fattispecie concreta, del diverso grado di commerciabilita` e del di- verso livello di apprezzabilita` dello stesso in ragione del- la sua specifica destinazione (n. 8028/00 cit.).
6 Risultano conseguentemente, assorbito il terzo ed in- fondato il quinto motivo dello stesso ricorso in quanto, rispettivamente, formulati (il terzo) in via ipotetica (su- bordinatamente ad una, non verificatasi, condizione di insussistenza o di prescindibilita` dallo strumento urbani- stico) e (il quinto) sulla erronea premessa di una qualifi- cabilita` dei suoli (ai fini indennitari) anche in difformi- ta` dalla classificazione di piano.
7 Il quarto mezzo del predetto ricorso (che attiene al- l’apprezzamento delle risultanze istruttorie relativamente allo stato dei luoghi) ed i residui suoi sesto a decimo mezzo (con cui si censurano profili ulteriori e diversi della statuizione impugnata afferenti alla stima e alla concreta qualificazione dell’indennizzo espropriativo e voci accessori), unitamente all’unico motivo del ricorso (principale) Balli (in tema di computabilita` degli inte- ressi legali) - in quanto tutti del pari non coinvolti dalla risolta questione di contrasto - vanno, ai sensi dell’art. 142 disp. att. c.p.c., rimessi all’esame della Sezione sem- plice, che adottera` anche i provvedimenti conseguenzia- li all’esito complessivo delle impugnazioni.
994 URBANISTICA E APPALTI 9/2001
8 Non vanno, in questa sede, prese, invece, in esame la seconda e terza questione di contrasto, pure prospettate nella riferita ordinanza della Sezione I.
Non risulta, infatti, rilevante al fine del decidere la (se- conda) questione relativa al «momento di riferimento della edificabilita` dell’area», perche´ l’identificazione di tale momento, da parte del giudice a quo, in quello di approvazione del progetto (e correlativa dichiarazione
implicita di p.u.) non ha formato oggetto di censura del Comune (che ha anzi condiviso tale identificazione) o da parte degli espropriativo. E similmente non rileva la residua (3a) questione sull’"ambito conformativo degli strumenti urbanistici», che, come emerge dalla narrati- va, non viene posto in discussione, ne´ e` altrimenti coinvolto, da alcuno dei mezzi impugnatori articolati dalle parti ricorrenti.
CASSAZIONE CIVILE, Sez. Un., 21 marzo 2001, n. 125
Pres. Vela - Rel. Xxxxxxxxx - Xxxxxxx c. CIMEP
Al fine della determinazione dell’indennit`a d’espropriazione di un fondo edificabile in base al piano regolatore ed incluso in un piano per l’edilizia economica e popolare, la valutazione delle possibilit`a legali ed effettive di edificazione, al momento dell’apposizione del vincolo preordinato all’espropria- zione, ai sensi dell’art. 5-bis del D.L. n. 333 del 1992, introdotto con la legge di conversione n. 359 del 1992, deve tenere conto delle previsioni di tale piano per l’edilizia in punto di densit`a volumetri- che, quali varianti del piano regolatore, quando esse si traducano in indici medi di fabbricabilit`a, cor- relati (o correlabili) al totale della superficie al lordo dei terreni da destinarsi a spazi liberi, ed inoltre si riferiscano all’intera area del piano stesso o ad una porzione differenziata per situazioni indipen- denti dal progetto espropriativo. Tale valutazione deve, invece, trascurare la maggiore o minore fab- bricabilit`a che il fondo venga a godere o subire per effetto delle disposizioni del piano per l’edilizia attinenti alla collocazione sui singoli fondi di specifiche edificazioni ovvero servizi ed infrastrutture.
Diritto
I ricorsi, avendo ad oggetto la medesima sentenza, devo- no essere riuniti, ai sensi dell’art. 335 c.p.c.
L’espropriazione e` soggetta alle norme dell’art. 5-bis del
D.L. 11 luglio 1992 n. 333, che e` stato inserito dalla legge di conversione 8 agosto 1992 n. 359, ed e` applica- bile a tutti i rapporti non ancora definiti alla data di en- trata in vigore di detta legge.
L’art. 5-bis, con il primo comma, per le aree edificabili, stabilisce che l’indennita` di espropriazione e` determina- ta dalla semisomma del valore venale e del valore «fi- scale» desunto dal reddito dominicale rivalutato; poi, con il terzo comma, dispone che, per la valutazione del- l’edificabilita` delle aree, si devono considerare le possibi- lita` legali ed effettive di edificazione esistenti «al mo- mento dell’apposizione del vincolo preordinato all’e- sproprio», cos`ı recependo, con quest’ultima espressione, il principio dell’ininfluenza ai fini indennitari delle pre- scrizioni finalizzate all’espropriazione, gia` presente nella normativa anteriore.
Non e` in discussione l’edificabilita` dei suoli espropriati,
in base al piano regolatore, xx´ s’invoca un’edificabilita`
«di fatto» divergente da quella «di diritto» (la questione dell’eventuale incidenza di detta edificabilita` «di fatto» e` stata affrontata in altra causa discussa e decisa in data odierna).
La controversia, per la parte rimessa a queste Sezioni unite, si incentra sul problema dell’inclusione o meno, fra le suddette prescrizioni preordinate ad espropriazio-
ne, come tali non computabili nella valutazione delle possibilita` legali ed effettive di edificazione, dell’indice di fabbricabilita`, diverso da quello del piano regolatore generale, fissato con un piano di zona, cioe` con uno strumento urbanistico cosiddetto di terzo livello, quale il piano per l’edilizia economica e popolare.
La soluzione affermativa e` stata adottata dalla Sezione prima con le sentenze 27 febbraio 1989 n. 1067, 7 ago-
sto 1989 n. 3612, 23 aprile 1990 n. 3366, 15 novembre
1990 n. 11040, 22 aprile 1998 n. 4091, sulla considera- zione che il piano di zona, anche quando si occupi di modalita`, densita` e limiti dell’edificazione, non ha natu- ra di strumento di programmazione generale, volto a di- sciplinare le facolta` edificatorie dei privati proprietari dei suoli, ma e` atto integralmente ablatorio, in quanto indirizzato all’espropriazione di tutte le aree incluse nel piano medesimo, per l’esecuzione delle opere con esso dichiarate di pubblica utilita`.
Il rilievo del carattere espropriativo dell’insieme delle prescrizioni del piano per l’edilizia economica e popola- re si rinviene, ancorche´ senza specifico riferimento ai li- velli di fabbricabilita`, in numerose altre sentenze della medesima Sezione (da ultimo, 18 agosto 1997 n. 7152,
18 agosto 1997 n. 7655, 8 gennaio 1998 n. 97, 6 marzo
1998 n. 2513, 9 febbraio 1999 n. 1090).
Per la soluzione negativa, si e` espressa la stessa Sezione prima, con la sentenza 16 gennaio 1992 n. 496, sostan- zialmente seguita dalle sentenze 18 aprile 1998 n. 3948
e 21 settembre 1999 n. 10183.
Il piano di zona, si e` osservato, ha portata meramente
URBANISTICA E APPALTI 9/2001
995
esecutiva ed attuativa del piano regolatore, nella parte in cui vara determinate opere di pubblica utilita` da ef- fettuarsi mediante espropriazioni, ma assume anche la consistenza di modifica dello strumento urbanistico di livello superiore, cioe` del piano regolatore, ove stabilisca le volumetrie realizzabili in modo «diffuso», definendo in via astratta e generalizzata le possibilita` edificatorie connesse al diritto dominicale.
Il dissenso, come si e` visto, non tocca la regola della ri- levanza, sul valore venale del bene da prendersi a base del calcolo dell’indennita` di espropriazione, delle norme cosiddette conformative della proprieta`, che sono rivol- te a delineare le facolta` dei proprietari dei suoli in tema di ius aedificandi a prescindere dalle loro qualita` soggetti- ve o dagli specifici oneri costituiti sui loro beni con in- terventi autoritativi della pubblica amministrazione.
Parimenti non e` messa in dubbio la speculare regola,
esplicitata dal menzionato art. 5-bis terzo comma, dell’ir- rilevanza su detto valore delle prescrizioni e dei vincoli fissati a fini espropriativi, quali quelli contemplati nella dichiarazione di pubblica utilita` (che e` insita nell’appro- vazione di un piano di zona, con riferimento a tutte le opere pubbliche in esso previste).
Le previsioni del progetto edificatorio mediante espro- priazioni, infatti, come non possono portare una mag- giorazione dell’indennita`, ai sensi dell’art. 42 della legge 25 giugno 1865 n. 2359, che espressamente esclude la computabilita` dell’aumento di valore provocato dall’o- pera pubblica, cos`ı non possono rifluire negativamente sull’indennita` stessa, determinandosi altrimenti un’ac- quisizione della proprieta` privata con ristoro non corre- lato all’effettiva perdita patrimoniale dell’espropriato.
Le riportate regole, univoche nella giurisprudenza di le- gittimita` (v., fra le piu` recenti, Cass. 16 maggio 1998 n. 4921, 27 agosto 1998 n. 8523, 9 febbraio 1999 n. 1090,
10 febbraio 1999 n. 1113, 21 marzo 2000 n. 3298, 21 marzo 2000 n. 3307), hanno anche trovato avallo nelle pronunce rese in materia dalla Corte costituzionale (v., in particolare, sentt. 16 dicembre 1993 n. 442 e 20
maggio 1999 n. 179).
Il contrasto e` dunque circoscritto al quesito della quali- ficabilita` delle disposizioni dei piani di zona inerenti ai livelli di fabbricabilita` come conformative della proprie- ta`, ovvero come esclusivamente collegate all’espropria- zione, nei sensi sopra rispettivamente specificati.
La risposta deve essere diversificata, in relazione alla na- tura ed al contenuto che le predette disposizioni in con- creto assumano nella fase della «zonizzazione» del terri- torio municipale.
Queste Sezioni unite, con la sentenza 18 novembre 1997 n. 11433, condividendo e sviluppando principi gia` presenti negli indirizzi della Sezione prima (v. sent. 14 febbraio 1990 n. 1098), hanno ricordato che il piano per l’edilizia economica e popolare rientra, a norma del- l’art. 2 della legge 28 gennaio 1977 n. 10, fra i piani di zona, e, quindi, fra gli strumenti urbanistici attuativi o di terzo livello, equivalenti ai piani particolareggiati o di
lottizzazione (art. 28 della legge 17 agosto 1942 n. 1150,
modificato dall’art. 8 della legge 6 agosto 1967 n. 765,
ribadito dall’art. 24 della legge 28 febbraio 1985 n. 47), ma hanno aggiunto che il piano per l’edilizia non puo` essere in contrasto con il piano regolatore generale (o con il programma di fabbricazione), ed ha natura di va- riante dello stesso piano regolatore, da considerarsi nella valutazione dell’edificabilita` al fine della liquidazione dell’indennita` espropriativa (ovvero al fine della quanti- ficazione del risarcimento del danno nell’ipotesi della cosiddetta accessione invertita od occupazione acquisiti- va), nella parte in cui imprima destinazione edificatoria ad un suolo in precedenza compreso in zona agricola.
Il riportato enunciato, con il riconoscimento che il pia- no per l’edilizia puo` unire, rispetto alla funzione tipica di dare esecuzione al piano di livello superiore (fissando le linee di un progetto espropriativo e dichiarando la pubblica utilita` di tutte le relative opere), pure la fun- zione di mutare nella zona contemplata le pregresse op- zioni del piano regolatore con riguardo allo ius aedifican- di dei proprietari dei suoli, e` stato successivamente con- diviso dalla Sezione prima (v., di recente, sentt. 16 giu- gno 2000 n. 8223 e 20 giugno 2000 n. 8360), e va con- fermato, con la puntualizzazione che quell’ulteriore fun- zione postula, ai sensi e nel vigore dell’art. 8 della legge 18 aprile 1962 n. 167, l’approvazione del piano partico- lareggiato con il decreto ministeriale richiesto per il pia- no regolatore (circostanza non contestata nella fattispe- cie in cui ha pronunciato la citata sentenza n. 11433 del 1997, e pacifica anche nel caso in esame).
Detto riconoscimento trova testuale sostegno nell’art. 3 quarto comma della citata legge n. 167 del 1962, ove si prevede che il piano per l’edilizia puo` apportare varian- te al piano regolatore.
L’indicata consistenza di variante e` in re ipsa, rispetto al- le disposizioni del piano per l’edilizia che cambino, da agricola ad edificatoria, la destinazione delle aree.
L’inserimento di fabbricati ad uso abitativo e delle con- nesse infrastrutture, in un comprensorio classificato co- me agricolo dal piano regolatore, e` univoco ed indiscu- tibile segno di un sopraggiunto mutamento della pro- grammazione urbanistica generale, perche´ amplia la par- te edificabile del territorio, introduce o comunque sot- tende una nuova visione del complessivo assetto cittadi- no in ordine all’identificazione delle zone residenziali.
Il cambiamento di destinazione non e`, o meglio non e` soltanto componente del progetto espropriativo e delle prescrizioni ad esso finalizzate, perche´ riposa su basi logi- che autonome, sopravvive all’evenienza di un successi- vo abbandono del progetto stesso, per elementi oggetti- vi, per scadenza di termini, o per preferenza accordata all’edificazione privata (v. art. 17 della legge 17 agosto 1942 n. 1150), e, quindi, di per se´ costituisce variante del piano regolatore.
Con riguardo invece alle disposizioni del piano per l’e- dilizia attinenti agli indici di fabbricabilita`, gli estremi della variante del piano regolatore, con valenza confor-
996 URBANISTICA E APPALTI 9/2001
mativa dei diritti di proprieta` e conseguenziale compu- xxxxxxxx` nella liquidazione dell’indennita` d’espropriazio- ne, anziche´ delle mere prescrizioni del progetto espro- priativo, non computabili allo stesso fine, non sono evi- denziabili con il semplice raffronto delle corrispondenti previsioni dell’uno e dell’altro strumento, e postulano il concorso di determinati requisiti.
Le norme del piano per l’edilizia, che direttamente od indirettamente ripartiscano costruzioni e spazi liberi nel singolo fondo espropriando o in piu` fondi espropriandi coinvolti dall’opera pubblica o dalle opere pubbliche globalmente previste a scopo residenziale, non hanno funzione di variante del piano regolatore.
Tali norme sono infatti «interne» al programma di edi- ficazione a mezzo d’espropriazione, e difettano della ge- neralita` ed astrattezza proprie delle disposizioni confor- mative della proprieta` privata.
Nella fase della definizione dei connotati di un futuro complesso residenziale da realizzarsi previa espropriazio- ne dei suoli occorrenti, la decisione di collocare in al- cuni fondi una cubatura maggiore, rispetto a quella mediamente prevista dal piano regolatore, utilizzando poi altri fondi limitrofi per servizi ed infrastrutture di- verse dai fabbricati ad uso abitativo (come i parcheggi ed il verde pubblico per la cui realizzazione sono stati espropriati i terreni dei ricorrenti principali), e` mo- mento soltanto attuativo ed esecutivo del piano urba- xxxxxxx generale attraverso il piano particolareggiato, non esprime una revisione di valutazioni generali ine- renti alla densita` abitativa, non implica un mutamento delle possibilita` edificatorie suscettibile di vita autono- ma dal progetto espropriativo (e dalla dichiarazione di pubblica utilita` che l’inaugura), e, quindi, non incide sull’indennita`, insuscettibile di essere incrementata o compressa, come si e` detto, per mero effetto della sorte assegnata a ciascun terreno nell’ambito di un articolato programma di edificazione pubblica tramite espropria- zioni.
L’aumento o la riduzione della volumetria fabbricabile, da parte delle disposizioni del piano particolareggiato, segnano invece innovazioni rispetto alle precedenti de- terminazioni generali sull’edificabilita` dei suoli, indipen- denti dal procedimento espropriativo e dalle opere pub- bliche alla cui esecuzione esso e` rivolto, e come tali in- fluiscono sul valore delle aree ai fini della liquidazione dell’indennita`, quando si traducano in una variante del- l’indice medio fissato dal piano regolatore, nel senso che ugualmente fissino la cubatura realizzabile con riferi- mento all’intera estensione, al lordo degli spazi da la- sciare poi inedificati per servizi ed infrastrutture, o co- munque siano rapportabili all’intera estensione in ragio- ne della separata individuazione di detti spazi liberi con una percentuale della superficie globale, e quando inol- tre estendano la variazione a tutta la zona investita dal piano, ovvero ad una sua porzione enucleabile ed enu- cleata per peculiarita` intrinseche e per motivi di coordi- namento con il complessivo assetto urbanistico svinco-
lati dalle determinazioni separatamente (ancorche´ con- testualmente) adottate con il progetto espropriativo.
Nel concorso di detti requisiti, al nuovo indice d’edifi- cabilita` si deve attribuire la portata di modificazione del piano regolatore, con funzione conformativa dei diritti di proprieta`, considerandosi che:
– la natura media dell’indice ed il suo riferimento al- l’intera zona, od a parte omogenea (nel senso menzio- nato), disancora la relativa previsione dalla vicenda espropriativa, ponendola in un momento concettual- mente distinto ed anteriore rispetto alla fase della ge- stione delle aree espropriande per l’ubicazione in con- creto di manufatti ed infrastrutture;
– che quelle caratteristiche dell’indice sono proprie del- le scelte generali sui livelli di edificazione sopportabili dal territorio comunale, nel suo insieme o nelle sue autonome componenti;
– che la fissazione dell’indice con un rapporto medio, senza collegamento con i singoli terreni e con le opere pubbliche che dovranno ospitare, ne conferma l’esorbi- tanza dalla funzione di attuazione del piano regolatore, nonche´ l’indipendenza dalle procedure espropriative per tale attuazione occorrenti, perche´ quel tipo di rapporto tiene conto del suolo per la sua estensione, quale che sia la destinazione impressagli con il coevo progetto espropriativo, trova basi logiche svincolate dal progetto medesimo, e conserva validita` ed efficacia pure se la prevista espropriazione non abbia poi seguito, o venga sostituita da opzioni edificatorie diverse (espropriative o meno).
Detto indice medio, pertanto, nell’ambito della zona contemplata dal piano per l’edilizia, va a mutare le di- sposizioni del piano regolatore, che prevedano per la zona stessa un diverso indice di fabbricabilita`, e, di conseguenza, non e` prescrizione preordinata e finalizza- ta ad espropriazione, ma si inserisce nella disciplina astratta e generale sull’utilizzazione edificatoria dei suo- li (cosiddetta edificabilita` di tipo territoriale, non fon- diario).
In conclusione, si deve affermare che, al fine della de- terminazione dell’indennita` per l’espropriazione di un fondo edificabile in base al piano regolatore ed incluso in un piano per l’edilizia economica e popolare, la valu- tazione delle possibilita` legali ed effettive di edificazione, al momento dell’apposizione del vincolo preordinato al- l’espropriazione, ai sensi dell’art. 5-bis del D.L. 11 luglio 1992 n. 333, introdotto con la legge di conversione 8 agosto 1992 n. 359, deve tenere conto delle previsioni di tale piano per l’edilizia in punto di densita` volumetri- che, quali varianti del piano regolatore, quando esse si traducano in indici medi di fabbricabilita`, correlati (o correlabili) al totale della superficie al lordo dei terreni da destinarsi a spazi liberi, ed inoltre si riferiscano all’in- tera area del piano stesso, o ad una porzione differenzia- ta per situazioni indipendenti dal progetto espropriativo, mentre deve trascurare la maggiore o minore fabbricabi- lita` che il fondo venga a godere o subire per effetto del-
URBANISTICA E APPALTI 9/2001
997
le disposizioni del piano per l’edilizia attinenti alla collo- cazione sui singoli fondi di specifiche edificazioni ovvero di servizi ed infrastrutture.
Il principio comporta l’accoglimento della seconda censura del secondo motivo del ricorso principale, ed esige, previa cassazione sul punto della sentenza impu- gnata, un riesame in sede di merito circa i presupposti per la configurabilita` nel caso concreto di sopravvenu-
ta variante del piano regolatore ad opera del piano di zona.
Per la pronuncia sulle altre censure del ricorso principa- le e sul ricorso incidentale, e per i provvedimenti conse- guenziali al parziale accoglimento (nella parte scrutina- ta) di detto secondo motivo, incluso l’ordine di rinvio e la designazione del Giudice, la causa va rimessa alla Se- zione prima (art. 142 disp. att. c.p.c.).
IL COMMENTO
di Xxxxxx Xxxxxxxx
La cassata, quello splendido dolce della tradizione si- ciliana, si assapora lentamente, masticando piano, nel voluttuoso intento di scomporne l’armonico accordo di sapori e riuscire ad ascoltare, sullo sfondo della finissima ricotta, i singoli toni di volta in volta provenienti dal cedro, dal cioccolato, dalla pasta reale, dalla frutta can- dita.
Nella liturgia del goloso, e` quindi un dolce che va assaggiato piu` volte perche´ se ne possano apprezzare ap- pieno tutti i molteplici e suggestivi messaggi.
Il richiamo alla cassata mi e` venuto alla mente leg- gendo, e rileggendo, la tripletta di sentenze con la quale le Sezioni Unite hanno inteso dare delle indicazioni chiarificatrici, componendo precedenti contrasti, in ma- teria di edificabilita` ai fini espropriativi (172/2001), vin- coli conformativi ed espropriativi (173/2001) ed effetti della conformazione urbanistica sull’indennita` (125/ 2001).
Xxxx confessare di aver riletto quelle sentenze alme- no una ventina di volte, nel tentativo di comprendere compiutamente quale potesse essere il messaggio chiari- ficatore, quale la composizione, ormai ineludibile, del contrasto di interpretazioni che questo benedetto art. 5- bis, sin dalla sua improvvida introduzione nel nostro or- dinamento, ha costantemente generato.
E tuttavia, ad ogni rilettura, la spinta della mia noto- ria golosita` si andava affievolendo, quello che mi aspet- tavo dovesse rappresentare lo stato dell’arte nella confe- zione di una credibile (e xxxxxx) interpretazione della legge indennitaria, si andava rivelando un insieme, non sempre armonico, di ingredienti un po` stantii, vecchi concetti e qualche nuova intuizione.
Insomma, il dolce preparato dalla Cassazione non mi e` piaciuto.
La cosa, ovviamente, ai tanti dotti operatori del di- ritto potra` non interessare affatto.
Credo pero` di poter riscuotere quantomeno la solida- rieta` del mondo degli operatori dell’espropriazione, di quei funzionari delle pubbliche amministrazioni che ogni giorno devono mettere in pratica quello che altri soltanto teorizzano.
Le procedure espropriative vere, quelle condotte nel-
le migliaia di piccoli comuni del nostro Paese e non so- lo nei grandi centri, quelle che sono fatte anche di rap- porti diretti con i proprietari, quelle la cui legittimita` e` affidata unicamente allo sforzo di conoscenza del geo- metra dell’ufficio tecnico, costituiscono probabilmente una realta` spesso sottovalutata, se non sconosciuta, per molti adepti e teorizzatori.
Certo, tuffarsi con disinvoltura nell’urbanistica, flut- tuare con eleganza tra vincoli conformativi e vincoli espropriativi, immergersi con consumata esperienza dai piani urbanistici di primo livello sino a quelli di secon- do e di terzo, esplorare i recessi della programmazione
«lenticolare», puo` essere senz’altro gratificante per chi lo fa, ma rischia di diventare uno spettacolo noioso, e a volte irritante, per chi non sa nuotare.
E` ben vero, comunque, che la giurisprudenza ha
spesso, in questa materia, svolto il compito meritorio di colmare le troppe lacune di una legislazione sciatta e grossolana.
Ma e` altres`ı ineludibile la necessita` di dare agli ope- ratori indicazioni chiare, precise e di semplice applica- zione.
Un famoso giurista del passato affermava che e` me- glio avere una regola brutta ma certa, anziche´ una rite- nuta di volta in volta la migliore.
Sullo sfondo, resta comunque il problema di inden- nizzare in maniera seria le aree urbane, a prescindere dalla soluzioni giuridiche o para-giuridiche che si voglia- no adottare (1).
Nota:
(1) La questione assume una rilevanza fondamentale allorche´ si consideri che l’applicazione alla aree urbane (ritenute, a ragione o a torto, non edi- ficabili) dei criteri indennitari previsti per le aree agricole, determina risul- tati quasi sempre aberranti.
Difatti, occorre sottolineare che l’area verrebbe in quel caso indennizzata sulla base del valore agricolo medio della coltura effettivamente praticata. E nella quasi totalita` dei casi, poiche´ trattasi di fondi urbani di piccole di- mensioni, l’area presentera` le caratteristiche dell’incolto, con le ovvie conseguenze sul piano indennitario.
E` bene notare che il previgente sistema indennitario, quello dell’art.16
della legge 865/71, dichiarato incostituzionale dalla sentenza n. 5/80, (per- che´, tra l’altro, dava luogo a risultati incongrui), prevedeva che l’area ur-
(segue)
998 URBANISTICA E APPALTI 9/2001
Cio` premesso, vediamo quali elementi di novita`, am- messo che ve ne siano, contengono le decisioni in esa- me.
La sentenza n. 172/2001
Cominciamo con la vexata quaestio della connotazio- ne di un’area come edificabile o agricola (2).
Della questione si sono occupate le Sezioni Unite con la sentenza n. 172 del 23 aprile 2001.
La sentenza esordisce riconoscendo che, effettiva- mente, l’interpretazione dell’art.5-bis della legge 359/92, nel corso degli ultimi anni non e` stata univoca (3); an- che se, aggiunge la Corte, (forse perche´ l’incipit sembra- va troppo semplice), «tali difformi indirizzi ermeneutici, per altro, piu` che fronteggiarsi, come in alcuni momenti pure e` avvenuto, in termini di radicale contrasto sul piano sincronico (4), hanno tendenzialmente, piuttosto, espresso, in prospettiva diacronica (5), un’evoluzione, per aggiustamenti successivi, di una linea interpretativa, sostanzialmente unitaria nelle sue premesse di fondo, se- condo la dialettica di formazione del diritto vivente».
In altri termini, la Corte attribuisce ai precedenti orientamenti susseguitisi nel corso del tempo «in pro- spettiva diacronica», la volonta` di pervenire ad una de- finizione di area edificabile, ai fini espropriativi, che fos- se la piu` aderente alla ratio della nuova normativa intro- dotta dall’art. 5-bis.
E qui ci sarebbe da fare la prima riflessione.
Viene cioe` da pensare, come del resto si continua a fare da quasi un decennio, (6) se l’art. 5-bis sia effettiva- mente, o meno, una norma portatrice di una compiuta e meditata ricostruzione della complessa e travagliata vi- cenda dell’indennizzo da riconoscere per l’espropriazione delle aree urbane.
Ed il sospetto che si tratti, al contrario, di una norma frettolosa e (anche linguisticamente) scadente, viene alimentato da una serie di circostanze:
– la sua dichiarata provvisorieta` (7);
– la sedes matariae nella quale essa e` inserita (8);
– la numerazione dell’articolo (9);
– la rinuncia alla codificazione ed il rinvio ad un re- golamento ministeriale, ad oggi ancora atteso, per la de- finizione di un parametro fondamentale quale quello dell’«edificabilita` di fatto» (10);
– la data di promulgazione (11).
Sicche´ verrebbe da chiedersi se l’evoluzione giuri- sprudenziale che nel corso degli anni ha dato connotati via via diversi al concetto di area edificabile ai fini espropriativi, sia effettivamente il risultato di un’esegesi piu` matura del dettato normativo, ovvero, al contrario, risponda unicamente ad un mutato e mutevole sentire dei giudici, seppure nello sforzo di dare corpo ad un di- ritto vivente dai contorni oggettivamente non definiti.
Cio` posto, le Sezioni Unite affermano, o se si vuole, ribadiscono, che l’attuale diritto vivente sia portatore di un principio chiaro e bicorne:
1) l’esistenza di una rigida bipartizione, con esclusione
Note:
(segue nota 1)
xxxx, indipendentemente dalla sua destinazione concreta, dovesse essere indennizzata sulla scorta del valore agricolo della coltura piu` redditizia del- la regione agraria di appartenenza, e che tale valore dovesse essere molti- plicato per un coefficiente variabile in funzione del numero di abitanti della citta`.
(2) Siamo tutti orfani di quel criterio senz’altro grossolano, ma quantome- no efficace, che nel vigore della precedente normativa indennitaria, deli- mitava le aree urbane: l’art. 18 della legge 865/71 «Entro il termine di sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, i comuni, ai fini dell’applicazione del precedente articolo 16 procedono alla delimitazione dei centri edificati con deliberazione adottata dal consiglio comunale. In pendenza dell’adozione di tale deliberazione, il comune dichiara con deli- bera consiliare, agli effetti del procedimento espropriativo in corso, se l’a- rea ricade o meno nei centri edificati.
Il centro edificato e` delimitato, per ciascun centro o nucleo abitato, dal perimetro continuo che comprende tutte le aree edificate con continuita`
ed i lotti interclusi. Non possono essere compresi nel perimetro dei centri edificati gli insediamenti sparsi e le aree esterne, anche se interessate dal processo di urbanizzazione.
Ove decorra inutilmente il termine previsto al primo comma del presente articolo, alla delimitazione dei centri edificati provvede la Regione».
(3) Testualmente: «In ordine alla rispettiva incidenza e valenza qualifi- catoria di tali possibilita` di edificazione, «legali ed effettive», la giurispru- denza di questa Corte ha effettivamente, infatti, espresso (sostanzialmen- te) tre diversi orientamenti interpretativi. Con i quali il rapporto tra i due corrispondenti requisiti della «edificabilita` legale» (correlata alle pre- visioni di legge e/o degli strumenti urbanistici) e della «edificabilita` di fatto» (ricavabile dalle obiettive qualita` e caratteristiche dell’area, desu- mibili dai noti indici della sua ubicazione, accessibilita` ecc.) e` stato, di volta in volta, inteso e valorizzato ora in termini di «alternativita`» (cfr., ad esempio, 12220/92; 9247/97; 774, 1200/98); ora, invece, nel senso di una loro necessaria «competenza» - «congiunzione» - «cumulativita`» (Cfr. nn. 5970/93, 11037/96; 5111/97; 259, 8826/98, ex plur.); ora, infi- ne, in termini di «prevalenza» o «sufficienza» della edificabilita` legale (nn. 8702, 8570, 8434/98; 2272, 4300/99; 7874, 8035, 9683, 12408/ 2000, per tutte) ».
(4) Dal vocabolario Treccani: sincronico, che avviene nello stesso tempo.
(5) Dal vocabolario Treccani: diacronico, sviluppo d.: il succedersi e tra- sformarsi nel corso del tempo con riferimento a problemi, aspetti, processi della vita sociale o di altro genere.
(6) Xxxxxx, purtroppo, l’attualita` di alcune mie brevi note redatte subito dopo la promulgazione dell’art. 5-bis della legge «359»: Note a margine del- l’art. 5 bis in Cons. Stato, 1992.
(7) Come e` noto, l’art. 5-bis della legge 359/92 esordisce: «Fino all’ema- nazione di un’organica disciplina per tutte le espropriazioni preordinate al- la realizzazione di opere o interventi da parte o per conto dello Stato, del- le regioni, delle province, dei comuni e degli altri enti pubblici o di diritto pubblico, anche non territoriali, o comunque preordinate alla realizzazione di opere o interventi dichiarati di pubblica utilita`, l’indennita` di espropria- zione per le aree edificabili e` determinata. »
(8) L’art. 5-bis e` inserito in una delle tante norme per il risanamento ur- gente della finanza pubblica, di quelle «di tutto un po`», preceduto dalla disciplina delle aliquote contributive a carico dei lavoratori dipendenti del settore privato e pubblico (art. 5) e seguito dalle disposizioni legislati- ve che accordano la garanzia dello Stato per il rischio di cambio su presti- ti in valuta (art. 6).
(9) L’art. 5-bis e` stato inserito solo nella legge di conversione del decreto legge 11 luglio 1992, n. 333; prima non c’era.
(10) Il comma 5 testualmente dispone « Con regolamento da emanare con decreto del Ministro dei lavori pubblici. , sono definiti i criteri e i re-
quisiti per l’individuazione dell’edificabilita` di fatto di cui al comma 3». Stranamente la stessa disposizione e` rimasta immutata nel nuovo testo unico in materia di espropriazione, art. 37, comma 5, approvato dal
C.d.M. il 31 maggio 2001.
(11) L’8 agosto di quell’anno faceva veramente molto caldo.
URBANISTICA E APPALTI 9/2001
999
di un terzo genere tra «aree edificabili» (indennizzabili in percentuale del loro valore venale) ad «aree agricole» o «non classificabili come «edificabili» (tuttora invece indennizzabili in base a valori agricoli tabellari) (12);
2) la possibilita` di considerare un’area come edificabi- le solo allorche´ essa sia tale anche per lo strumento urba- xxxxxxx, e cioe`, come testualmente e «chiaramente» rias- sunto dalla Corte con la sentenza n.172 «quando, e per il solo fatto che, come tale, essa risulti classificata (al mo- mento dell’apposizione del vincolo espropriativo) dagli strumenti urbanistici (nell’«ambito della zonizzazione» del territorio), secondo un criterio quindi, di prevalenza od autosufficienza dell’edificabilita` legale. Mentre la cd. edificabilita` «di fatto» rileva in via suppletiva - in caren- za di una regolamentazione legale dell’assetto urbanisti- co, per mancata adozione, ad esempio, di P.R.G. o per decadenza di vincoli di inedificabilita` - ovvero, in via complementare (ed integrativa), agli effetti della deter- minazione del concreto valore di mercato dell’area espropriata, incidente sul calcolo dell’indennizzo» (13).
A questo punto, si potrebbe essere tentati dalla sug- gestione di una estrema e brutale sintesi: se si espropria un’area legalmente e giuridicamente edificabile, allora la si indennizzera` in proporzione al suo valore di mercato; altrimenti, in tutti gli altri casi, la si dovra` pagare come un’area agricola.
Tuttavia, la questione e` decisamente piu` complessa.
Difatti, espropriare significa intervenire su un’area ne- cessariamente inedificabile, in quanto sulla stessa e` stato apposto un vincolo di inedificabilita` assoluta preordina- to alla successiva espropriazione; sicche´, un’area da espropriare non potra` mai essere, per definizione, giuridi- camente edificabile.
La sentenza n. 173/2001
A tale proposito, le Sezioni Unite, con la sentenza
n. 173, pronunciata nello stesso giorno della 172, chia- riscono che, ai fini indennitari, non si deve tenere con- to del vincolo di inedificabilita` preordinato all’espro- priazione, dovendosi per contro avere riguardo alla de- stinazione urbanistica che quell’area aveva prima del- l’imposizione del vincolo espropriativo, prima, cioe`, che il piano regolatore o la variante a questo, eventualmen- te conseguente all’approvazione del progetto, avessero deciso la localizzazione dell’opera pubblica.
Ma cosa significa, concretamente, non tener conto del vincolo espropriativo?
Cerchiamo di fare un po` d’ordine.
Gli «ingredienti» utilizzati dalle Sezioni Unite per pervenire ad una ricostruzione del sistema sono essen- zialmente riconducibili a due classiche questioni:
– la distinzione tra vincoli espropriativi e vincoli conformativi, con la connessa attribuzione della natura conformativa alle disposizioni del piano urbanistico che disciplinano una zona omogenea;
– la collocazione temporale del momento in cui operare la classificazione urbanistica dell’area.
In modo sommario, le due anzidette questioni posso- no essere riassunte come segue, e con esse, le soluzioni adottate dalla Corte.
I vincoli
Ogni procedura espropriativa costituisce, senza ecce- zioni, la fase attuativa di una scelta urbanistica che sta a monte; tant’e` che se venisse approvato il progetto di un’opera pubblica non prevista dallo strumento urbani- stico, la stessa approvazione costituirebbe adozione di variante del piano non conforme (14), e l’opera potreb- be concretamente avviarsi solo dopo il perfezionamento dell’iter di adeguamento urbanistico (15).
Note:
(12) Il principio e` assurto a dignita` dopo la sentenza della Corte Costitu- zionale n. 261/97: «Anzitutto deve essere sottolineato, a precisare esatta- mente le questioni proposte nei limiti della rilevanza, come enunciata nella valutazione dei giudici a quibus, che risulta, per i terreni oggetto del- l’espropriazione contestata, «l’esclusione di ogni vocazione edificatoria» o di «attitudine edificatoria» o di «suscettivita` edificatoria» neppure confi- gurabile come «edificabilita` di fatto».
In sostanza, con le proposte questioni di legittimita` costituzionale si mira a far introdurre nell’ordinamento un tertium genus, tra le aree edificabili e tutte le altre aree, parificate, quanto alla stima dell’indennita`, a quelle agricole, in tal modo superando la scelta del legislatore di suddividere le aree in due sole categorie (aree edificabili da una parte e tutte le rimanen- ti dall’altra). Tale scelta legislativa non presenta caratteri di irragionevo- lezza o di arbitrarieta` tali da far riscontrare un vizio sotto i profili denun- ciati, ne´ comunque pregiudica di per se´ il serio ed effettivo ristoro del pro- prietario espropriato.
La soluzione adottata dal legislatore (certamente non obbligata sul piano costituzionale) e` stata netta, nel senso di creare, per semplificare il sistema, ai soli fini del calcolo della indennita` di espropriazione, una dicotomia, contrapponendo le aree edificabili a tutte le altre».
(13) Un elemento di relativa novita` contenuto nell’indicata sentenza, puo` rinvenirsi nella definizione del concetto di «edificabilita`», che ad avviso delle SS.UU. «non si identifica, ne´ si esaurisce in quella residen- ziale abitativa, ma ricomprende tutte quelle forme di trasformazione del suolo - in via di principio non precluse all’iniziativa privata - che siano ricavabili dalla nozione tecnica di edificazione e che siano, come tali, soggette al regime autorizzatorio ex art. 1 legge 1977 n. 10; ferma restan- do la rilevanza, ai fini della determinazione dell’immobile nella fattispe- cie concreta, del diverso grado di commerciabilita` e del diverso livello di apprezzabilita` dello stesso in ragione della sua destinazione» (nel caso esaminato dalle SS.UU.: «area con destinazione di zona a parcheggi ed infrastrutture»).
(14) La norma di riferimento e` il comma 5 dell’art. 1 della legge 3 gen- naio 1978, n. 1: «Nel caso in cui le opere ricadano su aree che negli stru- menti urbanistici approvati non sono destinate a pubblici servizi oppure sono destinate a tipologie di servizi diverse da quelle cui si riferiscono le opere medesime e che sono regolamentate con standard minimi da nor- me nazionali o regionali, la deliberazione del consiglio comunale di appro- vazione del progetto preliminare e la deliberazione della giunta comunale di approvazione del progetto definitivo ed esecutivo costituiscono adozio- ne di variante degli strumenti stessi, non necessitano di autorizzazione re- gionale preventiva e vengono approvate con le modalita` previste dagli ar- ticoli 6 e seguenti della legge 18 aprile 1962, n. 167 e successive modifi- cazioni».
(15) Si tratta di un principio ben radicato nella tradizione giurispruden- ziale amministrativa «La delibera della giunta municipale riguardante l’ap- provazione di un progetto di opera pubblica in variante al vigente piano regolatore, ai sensi dell’art. 1, comma 5, della legge 3 gennaio 1978 n. 1 e` illegittima in caso di mancanza di approvazione regionale» cos`ı Cons. Sta- to, sez. IV, 20 marzo 2000, n. 1471 (cfr. Cons. Stato, sez. IV 5 febbraio 1999, n. 110; id. 7 aprile 1997, n. 336).
1000
URBANISTICA E APPALTI 9/2001
Cio` comporta che l’area interessata dalla futura ope- ra o intervento pubblico viene gravata, al momento della formazione del piano urbanistico, ovvero della sua variante, di un vincolo di inedificabilita` assoluta, preor- dinato alla successiva espropriazione.
Il vincolo espropriativo, di natura temporanea (16), (ma se scade puo` essere rinnovato) (17), e che precede necessariamente la realizzazione dell’opera pubblica, (an- che se in modo non necessariamente puntuale e specifi- co) (18), puo` essere apposto a qualsiasi livello della pro- grammazione urbanistica.
Difatti, la puntuale previsione di un’opera pubblica, caratteristica saliente del vincolo espropriativo, puo` es- sere contenuta sin dall’origine in piani sovracomunali (c.d. di primo livello) ovvero in piani regolatori generali (c.d. di secondo livello) nell’ambito dell’attivita` di zo- nizzazione del territorio; oppure, al contrario, puo` conse- guire all’adozione e approvazione di un’apposita variante di quegli strumenti, nel caso che sia approvato il proget- to di un’opera pubblica in origine non prevista, ovvero la cui previsione risalga a piu` di cinque anni addietro e l’originario vincolo sia decaduto, o ancora puo` essere il risultato di un procedimento di intesa Stato-Regione, per la localizzazione di interventi di competenza stata- le (19).
Altra cosa e` il vincolo «conformativo».
Occorre premettere che il termine «conformativo» e` usato a volte con eccessiva disinvoltura, in particolare quando associato alternativamente ai sostantivi «vinco- lo» e «destinazione».
Un vincolo (di inedificabilita`) di natura conformati-
va comporta che l’area che ne sia gravata abbia una ca- pacita` edificatoria ridotta o nulla (20).
Conformare, in tal caso, riferito al diritto di proprieta` fondiaria, vuol dire modificare geneticamente il novero delle facolta` dominicali, e tra queste, in particolare, quella di edificare.
Tradizionalmente, il vincolo conformativo e` con- trapposto concettualmente al vincolo espropriativo.
Entrambi comportano un vincolo di inedificabilita` dell’area sulla quale insistono.
Tuttavia, le differenze tra i due regimi vincolistici so- no molteplici e fondamentali:
a) quello conformativo e` un vincolo legale, che deri- va dalla legge, e che riguarda una indiscriminata catego- ria di aree; esso, inoltre, non e` temporaneo ma permane sino a quando perdurano le condizioni che la legge ha previsto per la sua imposizione;
b) quello espropriativo e` un vincolo che deriva dallo
strumento urbanistico in vista della realizzazione di
Note:
(16) La disposizione, una di quelle cardine del sistema, deriva dall’art. 2 della legge 1187/68: «Le indicazioni di piano regolatore generale, nel- la parte in cui incidono su beni determinati ed assoggettano i beni stes- si a vincoli preordinati all’espropriazione od a vincoli che comportino
l’inedificabilita`, perdono ogni efficacia qualora entro cinque anni dalla data di approvazione del piano regolatore generale non siano stati ap- provati i relativi piani particolareggiati od autorizzati i piani di lottizza- zione convenzionati. L’efficacia dei vincoli predetti non puo` essere pro- tratta oltre il termine di attuazione dei piani particolareggiati e di lottiz- zazione».
(17) Il problema della reiterazione dei vincoli e` oggi particolarmente complesso, a seguito delle problematiche introdotte dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 179/99: «E` costituzionalmente illegittimo, per
violazione dell’art. 42, comma terzo, Cost., il combinato disposto degli artt. 7, numeri 2, 3 e 4, e 40 legge 17 agosto 1942, n. 1150 (Legge ur-
banistica) e 2, comma 1, legge 19 novembre 1968, n. 1187 (Modifica ed integrazioni alla legge urbanistica 17 agosto 1942, n. 1150), nella parte in cui consente all’Amministrazione di reiterare i vincoli urbani- stici scaduti, preordinati all’espropriazione o che comportino l’inedifica- bilita`, senza la previsione di indennizzo, in quanto - posto che il proble- ma di un indennizzo a seguito di vincoli urbanistici (come alternativa non eludibile tra previsione di indennizzo ovvero di un termine di dura- ta massima dell’efficacia del vincolo) si puo` porre sul piano costituzio- nale quando si tratta di vincoli che a) siano preordinati all’espropriazio- ne, ovvero abbiano carattere sostanzialmente espropriativo, nel senso di comportare come effetto pratico uno svuotamento, di rilevante entita` ed incisivita`, del contenuto della proprieta`, mediante imposizione, im- mediatamente operativa, di vincoli a titolo particolare su beni determi- nati, comportanti inedificabilita` assoluta, qualora non siano stati discre- zionalmente delimitati nel tempo dal legislatore dello Stato o delle Re- gioni, b) superino la durata che dal legislatore sia stata determinata co- me limite, non irragionevole e non arbitrario, alla sopportabilita` del vincolo urbanistico da parte del singolo soggetto titolare del bene deter- minato colpito dal vincolo, ove non intervenga l’espropriazione, ovvero non si inizi la procedura attuativa (preordinata all’esproprio) attraverso l’approvazione di piani particolareggiati o di esecuzione, aventi a loro volta termini massimi di attuazione fissati dalla legge, c) superino sotto un profilo quantitativo la normale tollerabilita` secondo una concezione della proprieta`, che resta regolata dalla legge per i modi di godimento ed i limiti preordinati alla funzione sociale (art. 42, comma secondo, Cost.)».
(18) Un certo «agio» e` dato espressamente dal comma 4 dell’art. 1 della legge 1/78: «Nei casi in cui lo strumento urbanistico vigente contenga de- stinazioni specifiche di aree per la realizzazione di servizi pubblici, l’appro- vazione dei progetti preliminari di lavori pubblici da parte del consiglio comunale, e dei conseguenti progetti definitivi ed esecutivi di lavori pub- blici da parte della giunta comunale, anche se non conformi alle specifi- che destinazioni di piano, non comporta necessita` di varianti allo stru- mento urbanistico medesimo sempre che cio` non determini modifiche al dimensionamento o alla localizzazione delle aree per specifiche tipologie di servizi alla popolazione, regolamentate con standard urbanistici minimi da norme nazionali o regionali» Vedi sul tema, tra molte, Cons. Stato, sez. IV, 23 dicembre 1998, n. 570: «Nel concetto di «attrezzatura pubbli- ca» devono ricomprendersi tutte quelle strutture volte al soddisfacimento delle esigenze della collettivita`, quali, ad esempio, edifici scolastici, verde pubblico ed arterie stradali e, piu` in generale, ogni realizzazione di opera volta al soddisfacimento di un pubblico bisogno; pertanto, la deliberazione comunale di approvazione del progetto di un’opera pubblica, che ricade su area destinata dallo strumento urbanistico generale anche alla realizza- zione di un’opera rientrante nella tipologia delle «attrezzature collettive», non si atteggia ad adozione di variante al P.R.G., non operativa finche´ non intervenga l’approvazione regionale, rientrando, invece, la fattispecie nell’ambito previsionale del quarto comma dell’articolo 1 della legge 3 gennaio 1978, n. 1, il quale espressamente stabilisce che, nei casi in cui lo strumento urbanistico vigente contenga destinazioni specifiche di aree per la realizzazione di servizi pubblici, l’approvazione di progetti di opere pubbliche non comporta necessita` di varianti allo strumento urbanistico medesimo».
(19) Materia regolata dal D.P.R. 18 aprile 1994, n. 383 sulla localizzazio- ne di opere di competenza statale.
(20) E` il caso di tutte le prescrizioni di legge che impongono l’inedificabi- lita`, come quelle che disciplinano le zone di rispetto stradale, ferroviario, cimiteriale, ecc; ovvero quelle che attengono ai vincoli archeologici, pae- sistici, idrogeologici ecc.
URBANISTICA E APPALTI 9/2001
1001
un’opera pubblica, riguarda una specifica area ed e` di natura temporanea;
c) il vincolo conformativo, attribuendo all’area una particolare (e permanente) condizione, incide in modo diretto e determinante sull’indennita` di esproprio; il vincolo espropriativo, comportando l’inedificabilita` al solo fine di evitare che una determinata area possa subi- re alterazioni prima dell’espropriazione, non costituisce condizione autonomamente sufficiente per deprimere il valore intrinseco del bene.
Altre volte, tuttavia, l’aggettivo «conformativa» e`
associato al sostantivo «destinazione», intendendo rife- rirsi agli effetti che produce l’attivita` di programmazio- ne urbanistica su una determinata zona del territorio; in tal caso, l’attivita` di «zonizzazione» del piano regola- tore attribuisce alla generalita` della aree coinvolte ca- ratteristiche peculiari, regolando, attraverso l’apposizio- ne di limiti, (ad es. di destinazione, densita`, distanze, al- tezze, ecc.) il concreto atteggiarsi del processo di evolu- zione edilizia.
La conformazione della zona, produttrice di caratteri- stiche urbanistiche omogenee, determina il valore me- dio di tutte le aree che ne fanno parte.
Il momento in cui operare la classificazione urbanistica dell’area
Il valore di mercato di un’area urbana, in un regime di libero scambio, e` dato dalla sua capacita` di trasforma- zione edilizia: se posso costruirci una casa di un piano, varra` «10»; se invece potessi costruirci un grattacielo, varrebbe «1000», e cos`ı via.
Un’area da espropriare, in quanto gravata da un vin- colo di inedificabilita` assoluta, non la comprerebbe nes- suno e quindi non varrebbe nulla (se non la somma corrispondente alla futura indennita` di espropriazione).
Pertanto, se si deve attribuire un valore di mercato ad un’area vincolata a fini espropriativi, deve necessaria- mente prescindersi dagli effetti negativi che tale partico- lare condizione produce.
Le soluzioni concretamente adottabili in questo caso sono due, concettualmente alternative:
– la prima consiste nel risalire indietro nel tempo si- no ad individuare la condizione urbanistica, e le con- nesse caratteristiche economiche, che l’area aveva pri- ma dell’imposizione del vincolo espropriativo;
– la seconda tiene conto della cosiddetta «zonizza-
contrario, del tutto normale), non tenerne conto com- portera` risalire alla destinazione urbanistica previgente;
– se, al contrario, il vincolo espropriativo consegue all’individuazione puntuale dell’opera pubblica effettuata solo nell’ambito di uno strumento attuativo di terzo li- vello, (ad es. piano particolareggiato, variante attuativa, ecc.), non tenerne conto comportera` risalire alla desti- nazione di zona, di natura conformativa, del piano rego- latore generale di secondo livello.
La conseguenza di tale scelta metodologica, con la necessita`, nel primo caso, di risalire storicamente nel tempo sino ad individuare la destinazione dell’area pre- vigente al vincolo, porta intuitivamente a risultati non condivisibili.
Difatti, a tacer d’altro, si rischia di attribuire al fondo una connotazione che ormai non e` piu` attuale, tenendo in conto prescrizioni urbanistiche ripudiate, a volte da molti anni, dalla comunita` cittadina.
Del resto, la stessa Corte Costituzionale, con la sen- tenza n. 442/93, ha rimarcato che la valutazione del be- ne espropriato non puo` prescindere dalle caratteristiche da esso possedute al momento della vicenda ablativa.
Con la conseguente irrilevanza, nella stima dell’area, di regimi urbanistici o situazioni di fatto non piu` esi- stenti al momento dell’esproprio (21).
E se queste sono le condizioni di legittimita` costitu- zionale dell’art. 5-bis, francamente non si comprende la linea interpretativa adottata dalle Sezioni Unite, la qua- le, in sintesi, presuppone che il non tener conto del vincolo espropriativo, ai fini indennitari, comporti esclusivamente un’indagine di tipo formalmente urbani- stico (le cui risultanze sono ritenute prevalenti, compiu- tamente esaustive e dirimenti) e non, viceversa, un’in- dagine di tipo estimativo, fondata sulle attuali condizioni di fatto realmente rilevanti ai fini di una valutazione, soprattutto quando il fondo risulti inserito nell’ambito di una zona omogenea della quale contribuisca, in mo- do determinante, con il sacrificio espropriativo e con pari dignita` rispetto ai fondi liberi, alla programmata e legittima realizzazione edilizia.
La sentenza n. 125/2001
A tale proposito, assai piu` convincenti appaiono le argomentazioni delle Sezioni Unite riportate nella sen- tenza n. 125 del 25 marzo 2001, sebbene con riferimen-
zione» e comporta l’attribuzione all’area vincolata delle
attuali medesime caratteristiche urbanistiche, e di merca- to (sebbene in termini di media), delle aree non vinco- late poste nella stessa zona omogenea.
La soluzione scelta dalle Sezioni Unite con la sen- tenza n. 173, attinge alternativamente all’una e all’altra delle predette opzioni.
In pratica, la Corte distingue due ipotesi:
– se il vincolo espropriativo e` stato apposto conte- stualmente all’approvazione del piano regolatore genera- le, (circostanza ritenuta eccezionale dalla Corte, ma, al
Nota:
(21) «Il legislatore (dell’art. 5-bis) ha meramente voluto consacrare in norma il principio, ormai consolidatosi da tempo nella giurisprudenza do- po iniziali incertezze, secondo cui nella stima dell’area espropriata non si deve tener conto del vincolo espropriativo, cioe` si deve totalmente pre- scindere da esso; e questa indifferenza del vincolo consente una ricogni- zione della qualita` (edificatoria o meno) dell’area espropriata pienamente aderente alle possibilita` «legali e effettive» di edificazione sussistenti al momento del verificarsi della vicenda ablativa, con la conseguenza che, cos`ı interpretata la norma, risulta infondata la censura mossa con riferi- mento all’art. 42, comma 3 Cost. non sussistendo la lamentata retrodata- zione della qualificazione dell’area espropriata» (Corte cost. sent. 442/93).
1002
URBANISTICA E APPALTI 9/2001
to ad un piano di zona per l’edilizia economica e popo- lare.
espropriativo comportera` la valutazione dell’area sulla base delle caratteristiche conformative della zona nella
La questione all’esame della Corte era se, assunta
quale essa e` inserita, cos`ı
come contenute nello stru-
l’efficacia di variante al p.r.g. attribuita al piano di zona p.e.e.p., e posta altres`ı la nuova destinazione, ad effetti conformativi, delle aree coinvolte dal piano attuativo, quest’ultima dovesse prevalere su quella del previgente piano regolatore e, con essa, anche i diversi, e nel caso specifico, piu` favorevoli, indici territoriali di edificabilita` da utilizzare al fine del calcolo del valore delle aree.
La Corte ha dato una risposta affermativa, richia- mando un principio che potrebbe agevolmente trasporsi al di fuori dell’ambito della fattispecie esaminata.
In pratica, prescindendo dal vincolo di natura espro- priativa (nel caso specifico connesso all’approvazione del p.e.e.p.), atteso che di tale vincolo non bisogna te- ner conto ai fini indennitari, deve aversi riguardo alla destinazione di piano, ed alla connessa zonizzazione, prevista dallo strumento urbanistico attualmente vigen- te (anche nella nuova connotazione assunta a seguito della variante conseguita all’approvazione del p.e.e.p.), attribuendo a tutte le aree della zona, comprese quelle destinate a spazi pubblici ed infrastrutture, lo stesso va- lore determinato in relazione all’indice medio di edifica- bilita` territoriale.
I casi prospettabili e le soluzioni
Cio` posto, e` evidente come il sistema che risulta dal- l’applicazione dei principi richiamati dalle Sezioni Uni- te, in vista della composizione dei molti contrasti prece- denti, non appaia ne omogeneo, ne di facile ricostruzio- ne, anche a causa della molteplicita` delle ipotesi rinve- nibili e delle soluzioni prospettabili.
In sintesi, queste possono essere:
a) il vincolo espropriativo, e la connessa previsione dell’opera pubblica, (la cui realizzazione non puo` coesi- stere con la proprieta` privata ma ne esige la traslazione in favore dell’ente pubblico) sono contenute sin dall’o- rigine nel piano regolatore generale, (previsione c.d.
«lenticolare»), nell’ambito dell’attivita` di zonizzazione; soluzione: per Cass. n. 173, poiche´ l’effetto vincolistico deriva direttamente dal piano, il quale non ha svolto, nel caso di specie e con riguardo all’area vincolata, la sua funzione tipica di natura conformativa ma ha, al contrario, svolto una funzione vincolistica direttamente preordinata all’espropriazione, e poiche´ di detto vincolo non bisogna tener conto ai fini della qualificazione del- l’area, occorrera` risalire alla destinazione (non vincola- ta) del piano previgente (22);
b) il vincolo espropriativo, e la connessa previsione dell’opera pubblica, non sono contenute sin dall’origine nel piano regolatore generale, limitandosi questo ad una programmazione di tipo generale e di natura conforma- tiva; l’opera pubblica viene progettata concretamente in un secondo momento, e solo all’approvazione del pro- getto consegue l’apposizione del vincolo espropriativo; soluzione: per Cass. n. 173, il prescindere dal vincolo
mento urbanistico sovraordinato e vigente (23);
c) il vincolo espropriativo, e la connessa previsione dell’opera pubblica, non sono contenute sin dall’origine nel piano regolatore generale, ma vengono inserite in questo a seguito di procedura di variante; soluzione: per Cass. n. 173, occorrera` prescindere dalla variante e con- siderare la destinazione dell’area prevista originariamen- te;
d) il vincolo espropriativo, e la connessa previsione dell’intervento pubblico, non sono contenute sin dall’o- rigine nel piano regolatore generale ma vengono inseri- te da un piano attuativo di livello subordinato, non ri- guardano una singola opera ma attengono ad un’intera
Note:
(22) Facciamo un esempio.
Immaginiamo un piano regolatore che preveda una certa zona da destina- re all’edilizia residenziale di espansione, per es. una zona «C», in un con- testo originariamente agricolo.
Il piano, di regola, prevedera` anche gli interventi pubblici necessari ad as- sicurare la concreta edificazione della zona, quali la rete viaria, le urbaniz- zazioni o le infrastrutture previste dagli standards.
Sicche´, nella previsione urbanistica della stessa zona omogenea, avremo delle aree edificabili ed altre gravate da vincoli di inedificabilita`, poiche´ queste, in quanto destinate alle necessarie urbanizzazioni, dovranno in fu- turo essere espropriate.
E` tuttavia innegabile che tutte le aree della zona omogenea considerata
partecipino in egual misura alla programmata edificazione: sia quelle libe- re, in quanto specificamente destinate ad accogliere i nuovi edifici, sia quelle vincolate, in quanto destinate alle indispensabili infrastrutture.
Diremo, pertanto, che ogni area di quella zona omogenea e` portatrice ed espressione di una capacita` edificatoria media, rappresentabile dall’indice territoriale di edificabilita`.
A distanza di qualche tempo dall’approvazione del piano, si decide di pro- cedere all’espropriazione delle aree destinate, per es., alla rete viaria, o ai parcheggi, o ancora, al verde pubblico della zona.
Che indennita` dovremo riconoscere a tali aree?
Per rispondere alla domanda, utilizziamo i parametri indicati dalle senten- ze 172 e 173 delle Sezioni Unite, e vediamo cosa succede.
Prima verifica: si tratta di area legalmente edificabile secondo lo strumen- to urbanistico? Risposta: no, poiche´ trattasi di area giuridicamente inedifi- cabile in quanto attualmente gravata da vincolo espropriativo.
Seconda verifica: al momento dell’apposizione del vincolo, del quale non dovremo tener conto, qual era la destinazione urbanistica dell’area? Rispo- sta: poiche´ il vincolo espropriativo e` stato apposto in coincidenza dell’ap- provazione del piano regolatore, prima di tale momento l’area era agricola (si mette male per il proprietario).
In questo caso, secondo la combinazione dei principi desumibili dalle due sentenze in questione, l’area da espropriare dovra` essere indennizzata come un’area agricola (destinazione previgente).
(23) Contrariamente all’ipotesi precedente, immaginiamo che nella stessa zona «C» il piano preveda che l’edificazione avvenga tramite un piano particolareggiato a cui rinvia per l’esatta individuazione delle aree da de- stinare alle urbanizzazioni.
Quando procederemo all’espropriazione, non terremo conto del vincolo espropriativo derivante dal piano attuativo ma risaliremo alla destinazione di zona, ad effetti conformativi, contenuta nel piano regolatore generale. Pertanto, indennizzeremo l’area come edificabile.
E` evidente la sperequazione che esiste tra l’ipotesi esaminata e quella di
cui all’esempio precedente: due aree inserite nella stessa zona, e con me- desime caratteristiche, sono indennizzate in modo radicalmente diverso solo in conseguenza del livello di dettaglio della programmazione urbani- stica generale.
URBANISTICA E APPALTI 9/2001
1003
zona, con cio` anche eventualmente variando, con effi- cacia conformativa, il piano sovraordinato (per es., i piani di zona p.e.e.p. o p.i.p.); soluzione: per Cass. n. 125 occorrera` prescindere dal vincolo espropriativo e dare prevalenza alle nuove caratteristiche zonali impres- se dal piano attuativo.
Conclusioni
Non v’e` dubbio che siamo lontani da una soddisfa- cente (e chiara) soluzione dei troppi problemi interpre- tativi connessi all’applicazione del famigerato art. 5-bis.
L’affermazione semplice, e per certi versi brutale, (co- s`ı come, per es., riportata nella sentenza 172), del pri- mato incondizionato dell’edificabilita` urbanistica su quella concettuale (e del tutto eterogenea), coniata ai diversi fini indennitari, rischia di essere fuorviante e fonte di insicurezza per gli operatori.
E certo non giova alla chiarezza la precisazione che il connotato dell’edificabilita` deve essere ricercato, in una imbarazzante pluralita` di ipotesi, avuto riguardo ora agli
effetti conformativi che derivano dalla destinazione ur- banistica che il piano regolatore ha impresso alla zona nella quale ricadono le aree da espropriare, ora alla de- stinazione di un piano non piu` vigente magari da molti anni, ora, ancora, agli effetti parimenti conformativi di un piano attuativo.
D’altra parte, pretendere che i giudici trovino la qua- dratura del cerchio in ambiti dove il legislatore e` colpe- volmente latitante da troppo tempo, sarebbe probabil- mente ingeneroso.
Tuttavia, le vicende giurisprudenziali che hanno ulti- mamente connotato la nostra materia, inducono a rite- nere che, qualche volta, le esigenze di tutelare la pro- prieta` urbana espropriata, la cui indennizabilita` secondo i criteri propri delle aree agricole porta a risultati spesso devastanti, sono passate un po` troppo disinvoltamente in secondo piano a causa di esercizi di stile in una mate- ria, quale quella urbanistica, forse ancora non del tutto contigua alla tradizione civilistica.
IN VETRINA LA LEGGE PLUS
Normativa nazionale e regionale annotata e commentata con la giurisprudenza
DVD-ROM, IPSOA, 2000, L. 1.800.000 (E 929,62) (cod. 00028329)
La Legge plus - normativa nazionale e regionale an- notata e commentata con la giurisprudenza - Versio- ne integrata con Le Societa` - profili civili, penali e fiscali e` un nuovo strumento operativo integrato.
Contiene infatti due banche dati autonome capaci di interagire e dialogare durante la consultazione dei provvedimenti legislativi. Consultando l’articolo di un provvedimento nella banca dati La Legge e` pos- sibile, con un semplice clic, accedere alla diversa do- cumentazione (giurisprudenza di legittimita` e di me- rito, prassi, dottrina, formule, bibliografia e risoluzio- ne di casi pratici) collegata al medesimo articolo nel- la banca dati Le Societa`.
Da quest’ultima, partendo dai documenti legislativi, si ha accesso a tutta la giurisprudenza contenuta nel- la banca dati La Legge (massime e testi integrali del-
le sentenze della Corte Costituzionale; massime e te- sti integrali delle sentenze della Corte di Cassazione civile dal 1990; massime e una selezione dei testi in- tegrali della Corte di Cassazione penale; massime del Consiglio di Stato, della Corte dei Conti, della Commissione Tributaria Centrale e del Tribunale Superiore delle Acque pubbliche). Un efficace colle- gamento operativo che integra e completa il sistema informativo proprio dei due prodotti.
Per informazioni rivolgersi all’Ufficio Vendite Dirette (Tel. 02/00000000 fax 02/00000000)
o all’Agente IPSOA di zona
o consultare xxxx://xxx.xxxxx.xx
1004
URBANISTICA E APPALTI 9/2001
a cura di XXXXXXXX XX XXXXX
■ Atti amministrativi
DELIBERA DI CONCLUDERE UN CONTRATTO E REVOCABILITA` «AD NUTUM»
Cassazione civile, sez. II, 21 maggio 2001, n. 6918 Pres. Calfapietra - Rel. Mensitieri
La deliberazione di concludere un contratto, anche se a trattativa privata, da parte della p.a. (nella specie, Co- mune), costituisce atto interno revocabile «ad nutum» inidoneo a dar luogo all’incontro dei consensi, il quale ri- chiede una manifestazione di volont`a negoziale in forma scritta ad opera dell’organo rappresentativo dell’ente ri- volta all’altro contraente e da questa accettato.
La controversia portata all’esame della S.C. aveva per og- getto la pretesa di un professionista al pagamento delle competenze relativo alle prestazioni svolte, su incarico di un’Amministrazione comunale, per l’accertamento dei danni per calamita` atmosferiche.
L’ente pubblico aveva eccepito la prescrizione del diritto, l’assenza di un proprio obbligo, in quanto la Regione Pu- glia, pur delegando, secondo la legge regionale n. 19 del 1979, alcuni compiti al Comune, conservava la titolarita` delle funzioni amministrative in tema di calamita` atmosfe- riche, nonche´ nei confronti della Provincia, delegata all’e- missione dei provvedimenti di liquidazione, e, infine, la mancata erogazione dei contributi regionali ai quali il pa- gamento delle competenze era subordinato.
Nell’ appellare la sentenza di primo grado con la quale il Tribunale l’aveva condannata al pagamento delle compe- tenze professionali, la p.a. aveva altres`ı dedotto che il rap- porto era nullo in mancanza di una convenzione scritta.
La Cassazione ha confermato, su tali punti, la decisione dei giudici di secondo grado, i quali avevano rigettato l’im- pugnazione.
Con riguardo al riproposto difetto di legittimazione passiva, la Corte ha sottolineato che l’opera del professionista si in- seriva interamente nella fase istruttoria delegata al Comu- ne per la quale valevano i principi in ordine all’azione esercitata in nome proprio da parte del delegato - il Comu- ne - «e non in rappresentanza dell’ente delegante - la Re- gione (che osservava un potere di sorveglianza e di diretti- va)», con la conseguenza che al delegato andava imputata l’emanazione degli atti posti in essere in esecuzione della delega senza che potesse parlarsi di ampliamento dei termi-
ni dei presupposti della delegazione amministrativa ed irri- levante essendo il fatto che delegata per la liquidazione fosse la Provincia, in quanto l’attivita` del professionista si esauriva nella fase istruttoria delle domande e non investi- va quella successiva del pagamento dei contributi per av- versita` atmosferiche.
Quanto all’esistenza o non di un valido conferimento del- l’incarico, la Corte ha rilevato che, poiche´ nessuna norma prevede una particolare forma scritta per la validita` del contratto, ne´ tanto meno la contestualita` delle varie mani- festazioni delle volonta` delle parti, valgono in materia i principi generali di cui agli artt. 1326 e ss. c.c., a condizio- ne che la volonta` possa esser ricostruita attraverso atti scritti e controllabili. Per il soddisfacimento di queste esi- genze la convenzione scritta e contestualmente firmata da entrambe le parti e` sicuramente lo strumento migliore, ma non puo` essere considerato l’unico, stante la possibilita` prevista dalla legge di formazione successiva, quando la parte che ha fatto «la proposta ha conoscenza dell’accetta- zione dell’altra parte» (art. 1326 c.c.). Non basta, pero`, la semplice delibera in quanto «la deliberazione di conclude- re un contratto (anche se a trattativa privata» da parte delle p.a. costituisce atto interno, revocabile ad nutum "ed inidoneo a dar luogo all’incontro dei consensi, il quale ri- chiede, nella forma scritta, una manifestazione di volonta` negoziale ad opera dell’organo rappresentativo dell’ente ri- volta all’altro contraente e da questi accettata» (Cass. n. 7833/1986, cui adde, piu` recentemente, Cass. n. 1117/ 1997). Questa deliberazione puo` ritenersi sufficiente solo per determinare il contenuto della volonta` negoziale, o al- meno dell’incarico commesso al professionista e dallo stes- so accettato senza modificazioni, ma, per aversi il contrat- to, e` necessario che la stessa «sia stata comunicata all’altro soggetto dall’organo che rappresenta all’esterno la volonta` dell’Ente e sia accettata dall’altra parte, con la conseguenza che la successiva formazione di un atto pubblico puo` ben essere ordinata e mere finalita` riproduttive, in vista anche dei prescritti controlli» (Cass. n. 3890/1985) e quindi non essenziale per l’esistenza del contratto.
In tale prospettiva, non e` necessaria la «convenzione» d’incarico, appositamente stipulata dalle parti e contestual- mente sottoscritta, ma e` sufficiente l’atto scritto, che puo` risultare da un complesso di documenti (delibera dell’orga- no competente, comunicazione al professionista oppure sollecito per l’espletamento dell’incarico, delibera di accet- tazione dell’elaborato o documento equivalente, eventuale delibera di determinazione del compenso o di pagamento
URBANISTICA E APPALTI 9/2001
1005
di acconti - anche se questa non appare strettamente ne- cessaria stante la determinabilita` dello stesso ex art. 2225 c.c.).
Nella specie, la Corte distrettuale aveva rilevato che, da una parte, il Comune, preso atto che «la rilevazione e l’ac- certamento dei suddetti danni (grandinata del 1983) (era- no) state redatte dal per. Agrario Xxxxxx Xxxxxxxxx», con lettera del Sindaco in data 25 ottobre 1984 aveva comuni- cato al professionista «che quella Amministrazione, nella seduta del 23 ottobre 1984 (gli aveva) dato incarico per l’istruttoria delle pratiche relative alla grandinata del 12- 13-18 agosto 1983; che l’altra parte aveva risposto: il sotto- scritto... Xxxxxx Xxxxxxxxx... incaricato dal Comune di Campi Salentina per la rilevazione e consistenza dei danni in agricoltura causati dalla grandinata del 12-13-18 agosto 1983, con delibera della G.M. n. 461 del 19 agosto 1983 dopo aver effettuato... accertamenti... ha constatato i se- guenti danni...», in tal modo accettando l’incarico conferi- togli con la deliberazione richiamata e quindi il contenuto della stessa e le condizioni ivi previste. Inoltre il contratto risultava concluso nel momento in cui il Comune era ve- nuto a conoscenza dell’accettazione (ed esecuzione) del contratto medesimo e ne aveva preso atto con delibera di Giunta del 6 marzo 1985 n. 194, con la quale, premesso che l’incarico era stato affidato al Tornatola, «preso atto del lavoro svolto dal predetto incaricato... delibera(va) di approvare le risultanze dei lavori... di chiedere all’Ammini- strazione provinciale» i relativi finanziamenti.
Documentazione analoga era rinvenibile in relazione a cia- scuno degli incarichi posti dal professionista a fondamento della propria richiesta di compenso.
■ Edilizia e urbanistica
OPERE ABUSIVE E INDENNIZZO PER IL TERZO COSTRUTTORE
Cassazione civile, sez. II, 17 maggio 2001, n. 6777 Pres. Spadone - Rel. Settimj
Nelle controversie riconducibili alle fattispecie regolate dagli artt. 1150 e 936 c.c. nessun indennizzo a carico del proprietario del fondo puo` essere preteso dal terzo co- struttore che abbia realizzato l’opera in violazione della normativa edilizia, autonomamente commettendo nel primo caso, o concorrendo nel secondo, i reati previsti e puniti dagli artt. 31 e 41 della legge n. 1150/42 e 10 e 13 della legge n. 765/67 e ci`o non tanto perch´e possano essere poste in dubbio la sussistenza o l’entit`a della lo- cupletazione del proprietario del fondo nella prospettiva di un ordine di demolizione da parte della pubblica am- ministrazione competente, quanto piuttosto perch´e `e da ritenere in contrasto con i principi generali dell’ordina- mento ed in particolare con la funzione dell’amministra- zione della giustizia che possa l’agente conseguire indi- rettamente, ma pur sempre per via giudiziaria, quel van- taggio che si era ripromesso di ottenere nel porre in es-
sere l’attivit`a penalmente illecita e che in via diretta gli
`e precluso dagli artt. 1346 e 1418 c.c.
Affermando il principio di diritto sopra riportato, la Corte di cassazione ha confermato la sentenza dei giudici di meri- to, i quali avevano disatteso la pretesa indennitaria del co- struttore di un fabbricato abusivo, il quale, dopo il passag- gio in giudicato della sentenza che aveva rigettato, per nul- lita` del contratto avente ad oggetto la realizzazione di un manufatto in assenza di concessione edilizia, la richiesta di pagamento del saldo del compenso e, in subordine, dell’in- dennizzo derivante dall’ingiustificato arricchimento della controparte, aveva scelto di invocare, a sostegno delle sue ragioni, l’art. 936 c.c., instando per la condanna della con- troparte al rimborso del valore dei materiali e della mano d’opera impiegati per realizzare la costruzione ovvero all’in- dennizzo in misura corrispondente all’incremento di valore arrecato al fondo.
I giudici di merito, nel rigettare la domanda, avevano rite- nuto che l’art. 936 c.c. non fosse legittimamente invocabi- le, non potendo dall’illecito penale sorgere aspettative giu- ridicamente tutelabili per l’autore o coautore del reato; che nessuna modifica in tale situazione potesse apportare la so- pravvenuta legge sul condono edilizio n. 47 del 1985, in quanto l’opera era stata realizzata anteriormente alla sua entrata in vigore; che, in ogni caso, essendo stata esibita la sola istanza di condono con l’attestato dei versamenti effet- tuati, l’opera neppure potesse considerarsi sanata, essendo necessario all’uopo il rilascio della concessione in sanatoria, non risultante agli atti.
La II sezione ha, in primo luogo, precisato che, nelle con- troversie riconducibili alle fattispecie regolate sia dall’art. 1150 c.c. sia dall’art. 936 c.c., nessun indennizzo a carico del proprietario del fondo puo` legittimamente pretendere il terzo costruttore che abbia realizzato l’opera in violazione della normativa edilizia, autonomamente commettendo, nel primo caso, o concorrendo nel commettere, nel secon- do, i reati previsti e puniti dagli artt. 31 e 41 della legge urb. e 10 e 13 della legge 765/1967. Tale conclusione si impone non tanto perche´ possano essere poste in dubbio la sussistenza o l’entita` della locupletazione del proprietario del fondo nella prospettiva d’un ordine di demolizione da parte della pubblica amministrazione competente (Cass. 4269/1995; 13568/1991), quanto perche´ e` da ritenere in contrasto con i principi generali dell’ordinamento ed, in particolare, con la funzione dell’amministrazione della giu- stizia che possa l’agente conseguire indirettamente, ma pur sempre per via giudiziaria, quel vantaggio che s’era ripro- messo d’ottenere nel porre in essere l’attivita` penalmente illecita e che in via diretta gli e` precluso dagli artt. 1346 e 1418 c.c.
Solo, dunque, perche´ estingue il reato giusta l’espressa pre- visione dell’art. 38, comma 2, legge 47/1985, non perche´ consente il mantenimento della costruzione altrimenti sog- getta a demolizione, alla conseguita sanatoria puo` ricolle- garsi anche l’effetto di consentire al costruttore di poter le- gittimamene agire ex art. 936 c.c. nei confronti del pro-
1006
URBANISTICA E APPALTI 9/2001
prietario, e cio` anche perche´ presupposto di tale legittimita` della domanda dev’essere non la sanatoria chiesta da que- st’ultimo, bens`ı l’estensione del beneficio chiesto e, previo versamento dell’oblazione personalmente dovuta, ottenuta dallo stesso costruttore ai sensi dei commi 5 e 6 della nor- ma surrichiamata o del successivo art. 39.
Di conseguenza, il fatto che, nel caso di specie, il proprie- tario del fondo avesse o non conseguito la sanatoria non giova al costruttore, il quale, non essendosi autonomamen- te attivato onde conseguire l’estinzione del reato, versa tut- tora nell’illecito e non puo` legittimamente pretendere di conseguirne il frutto per via giudiziaria.
■ Espropriazione per pubblico interesse
INDENNITA` DI ESPROPRIO, SUCCESSIONE TRA ENTI E VINCOLI DI RISPETTO
Cassazione civile, sez. I, 29 maggio 2001, n. 7258 Pres. Carnevale - Rel. Verucci
In tema di successione nel processo, la disciplina dettata dall’art. 110 c.p.c. presuppone il venir meno della parte processuale. Pertanto, nell’ipotesi di successione a titolo particolare tra enti con trasferimento «ex lege» di una parte di beni e rapporti ad un ente di nuova istituzione, senza estinzione dell’ente i cui beni e rapporti sono in parte trasferiti - ipotesi verificatasi, per effetto del D.Lgs. 27 marzo 1992, n. 254, con il distacco di alcuni Comuni della Provincia di Firenze a seguito dell’istituzio- ne della Provincia di Prato - il processo prosegue tra le parti originarie. In tema di determinazione dell’indennit`a di espropriazione, il vincolo del rispetto stradale o auto- stradale comporta la valutazione del terreno come agrico- lo, trattandosi di vincolo limitativo delle facolt`a del pro- prietario, ancorch´e «in loco» risultino realizzate delle co- struzioni, atteso che detto vincolo si traduce in un divie- to generale ed assoluto di fabbricazione, a norma del- l’art. 33 della legge n. 47 del 1985.
Il primo principio di diritto enunciato e` in linea con l’inse- gnamento della sentenza 16 gennaio 1999, n. 398. Con ri- guardo al debito indennitario sorto a carico della Provincia di Firenze per effetto di un decreto di esproprio pronuncia- to prima dell’istituzione della Provincia di Prato, in relazio- ne ad aree successivamente incluse nel territorio di que- st’ultima, la Corte ha rilevato che nella successione nel processo ai sensi dell’art. 110 c.p.c. il trasferimento del di- ritto e` conseguenza necessaria della successione, ad un sog- getto deceduto o estinto, di altro e diverso soggetto (a dif- ferenza dell’ipotesi disciplinata dall’art. 111 c.p.c., in cui e` lo stesso trasferimento della res singula a determinare la suc- cessione nella titolarita` del diritto controverso). Peraltro la successione a titolo universale tra enti pubblici si realizza quando l’estinzione di un ente sia disposta al fine di trasfe- rire la sua struttura organizzativa, il suo compendio patri- moniale ed i suoi compiti ad un altro ente, permanendo,
in capo al nuovo soggetto, gli scopi perseguiti da quello soppresso (per tutte, si veda Cass. 2660/95).
Del resto, il D.Lgs. 27 marzo 1992, n. 254 - con il quale e` stata istituita la provincia di Prato - non contiene alcuna norma circa le modalita` di successione nell’universum ius: ne deriva che, anche per questa via, non e` possibile far transitare nel patrimonio della provincia di nuova istituzio- ne il debito indennitario sorto precedentemente per effetto dell’espropriazione.
La I sezione ha accolto il motivo di ricorso proposto av- verso la qualificazione del suolo come edificabile, qualifi- cazione sorretta, secondo i giudici di merito, dal fatto che lo strumento urbanistico previgente all’opposizione del vincolo espropriativo classificava l’area tra quelle per spazi pubblici attrezzati a parco, per il gioco e per impianti sportivi all’aperto. Inoltre tutta la zona circostante la via- bilita` era di espansione edilizia, di saturazione, con le fa- sce di rispetto stradale derivanti dal D.M. 18 aprile 1968, mentre lo stesso terreno si trovava in un centro abitato saturo, sicche´ doveva ritenersi inapplicabile il vincolo della distanza.
La Cassazione, dopo aver ricordato che la rigida dicotomia
imposta dall’art. 5-bis legge 359/92 esclude la configurabi- lita` di un tertium genus che, agli effetti indennitari, consi- deri le potenzialita` paraedificatorie del terreno, ha puntua- lizzato che deve essere attribuita prevalenza all’edificabilita` legale, assegnando a quella di fatto un ruolo suppletivo e complementare, soprattutto sul piano della quantificazione del valore venale del bene in caso di edificabilita` ricono- sciuta dallo strumento urbanistico non preordinato all’e- sproprio, ovvero un ruolo autonomo, nell’ipotesi in cui manchi la condizione di pianificazione urbanistica (l’o- rientamento ha ricevuto l’avallo delle Sezioni Unite: sent. 173/2001, in questo numero della Rivista, con commento di Cerisano). In sostanza, la mera presenza di elementi di urbanizzazione dell’area comprovante l’edificabilita` deve essere necessariamente ancorata ad un paradigma di legali- ta`, derivante dal riconoscimento attribuitole dallo stru- mento urbanistico: per converso, se l’attivita` edilizia non e` consentita od e` addirittura vietata, resta percio` stesso escluso il riferimento a vocazioni edificatorie di fatto giuri- dicamente impossibili e non rileva neppure l’eventuale vi- cinanza o contiguita` del fondo con zone interamente ur- banizzate.
Sulla scorte di tali premesse, la I sezione ha rilevato che la
Corte d’appello non si era attenuta a tali principi, avendo erroneamente ritenuto la coesistenza dell’edificabilita` legale e di quella fattuale sulla base della duplice considerazione che il terreno era classificato tra le aree per spazi pubblici attrezzati a parco, per il gioco e per impianti sportivi all’a- perto e che, essendo inserito di fatto in un centro abitato
«saturo», non era applicabile il vincolo del rispetto strada- le.
In particolare, si e` rilevato che non puo` essere considerato edificabile un fondo compreso in zona destinata a verde pubblico attrezzato per il gioco e per lo sport all’aperto, sic- che´ l’indennita` di espropriazione va determinata ricorren-
URBANISTICA E APPALTI 9/2001
1007
do ai criteri di cui al titolo secondo della legge n. 865 del 1971, quand’anche sussista la possibilita` di realizzare opere edilizie, necessariamente prerogativa di un ente pubblico (si vedano, ad es., Cass. 2272/1999, 4921/1998, 259/1998, 2856/1996). Inoltre, il vincolo del rispetto stradale o auto- stradale comporta la valutazione del terreno come agricolo, trattandosi di vincolo limitativo delle facolta` del proprieta- rio, ancorche´ in loco risultino realizzate delle costruzioni, at- teso che detto vincolo si traduce in un divieto generale ed assoluto di fabbricazione, giusta l’art. 33 legge 47/1985, che dichiara insuscettibile di sanatoria qualsiasi opera illegitti- mamente realizzata qualora il vincolo di inedificabilita` sia stato imposto prima della costruzione medesima (Cass. 841/2000, 7669/99; per Cass. 8369/2000, il carattere di inedificabilita` non viene meno neppure ove l’area sia suc- cessivamente inclusa tra quelle destinate alla costruzione di un insediamento universitario in quanto le aree assoggetta- te all’inderogabile vincolo in questione risultano inedifica- bili anche nei confronti dell’ente espropriante).
INDENNITA` D’ESPROPRIO E RIDUZIONE DEL 40%
Cassazione civile, sez. I, 11 maggio 2001, n. 6538 Pres. Carnevale - Rel. Xxxxxxxxx
In materia di indennit`a di espropriazione ai sensi del- l’art. 5-bis del D.L. 11 luglio 1992, n. 333 (conv. in legge 8 agosto 1992, n. 359), la cessione volontaria del bene
nicato l’importo dell’indennita` definitiva determinata dalla Commissione provinciale edilizia, ai sensi dell’art. 5-bis, senza che gli espropriati manifestassero la volonta` di accet- tarla.
La Cassazione ha accolto le doglianze degli espropriati. La I sezione ha sottolineato che la cessione volontaria, idonea ad impedire la riduzione, assume - quale che sia il caratte- re, negoziale o non, privatistico o pubblicistico, dello stru- mento adoperato dal legislatore - funzione transattiva e de- finitoria di ogni pretesa dell’espropriando, sia rispetto al trasferimento (non piu` coattivo) del bene, sia rispetto al quantum patrimoniale, trasformato da indennita` in prezzo o corrispettivo.
Il procedimento delineato dalla legge 865/1971, applicabile nel caso di specie, mentre, per un verso, secondo la regola generale, e` destinato a concludersi con la pronuncia del decreto di espropriazione, per altro verso, qualora non in- tervenga la cessione volontaria, si caratterizza per la scissio- ne tra il profilo concernente la determinazione dell’inden- nita` definitiva e la vicenda espropriativa. Il decreto di esproprio deve, infatti, essere emesso dopo il pagamento delle indennita` accettate o il deposito di quelle non accet- tate (art. 13 legge 865/1971), mentre la stima dell’indenni- ta` definitiva da parte della Commissione provinciale av- viene, almeno di regola, successivamente alla pronuncia del decreto medesimo (artt. 15 e 16 stessa legge), tant’e` che l’art. 19 della legge 865/1971, nella formulazione ante- cedente alla sentenza 67/1990 della Corte costituzione,
(che pu`o
intervenire in ogni fase del procedimento
collegava il termine per l’opposizione alla stima non alla
espropriativo, prima del decreto di esproprio), con il con- seguente premio della mancata decurtazione del 40 per cento dell’ordinaria indennit`a, presuppone l’offerta da parte dell’espropriante di un’indennit`a provvisoria che il proprietario espropriando possa accettare; ne consegue che, ove manchi una valida e tempestiva offerta dell’in-
data del decreto di esproprio, ma all’inserzione, nel Foglio degli annunzi legali della provincia, della relazione che la riguarda.
Pertanto, prima dell’emanazione del decreto ablativo, la possibilita` di concludere la cessione volontaria, rilevante ai fini dell’applicabilita` dell’art. 5-bis, presuppone l’offerta da
dennit`a
provvisoria effettuata durante il procedimento
parte dell’espropriante di un’indennita` provvisoria che il
espropriativo, il proprietario non subisce l’indicata decur- tazione, atteso che egli non `e stato messo in grado di esercitare il diritto di convenire con l’espropriante la ces- sione volontaria del bene.
Con la pronuncia in epigrafe, la S.C. ha cassato la pro- nuncia dei giudici di merito, i quali, nel determinare l’in- dennita` di espropriazione avevano operato la riduzione del 40% prevista dall’art. 5-bis della legge 359/1992.
Nella vicenda portata all’attenzione della I sezione, l’im- porto dell’indennita` provvisoria era stato determinato con ordinanza del 22 marzo 1990; l’espropriazione era stata pro- nunciata con ordinanza sindacale del 29 giugno 1993 l’e- spropriazione del detto suolo era stata pronunciata; infine, con deliberazione del 22 dicembre 1994, comunicata agli espropriati il 29 marzo 1995, il Comune aveva determina- to l’importo dell’indennita` definitiva.
La Corte d’appello, in presenza di tali circostanze fattuali, aveva accolto la pretesa dell’ente espropriante di decurtare l’indennita`, rilevando che, dopo la mancata accettazione dell’indennita` provvisoria offerta, il Comune aveva comu-
proprietario espropriando possa accettare. Tale offerta puo` essere anche rinnovata dalla p.a. finche´ il procedimento espropriativo non sia concluso, qualora la prima non sia valida o efficace. Ne deriva che, quando manchi una vali- da (e congrua) offerta dell’indennita` provvisoria effettuata durante il procedimento espropriativo, a parte l’eventuale vizio procedimentale, il proprietario non deve subire la de- curtazione del 40 per cento, perche´ non e` stato messo in condizione di esercitare il diritto di convenire con l’espro- priante la cessione volontaria del bene.
In relazione a tali premesse, la Corte ha rilevato che la pri- ma offerta dell’indennita` provvisoria, operata del 1990, do- veva reputarsi inefficace, sempre nella prospettiva dell’indi- cata riduzione, in quanto formulata in un tempo ben ante- riore all’entrata in vigore della legge 359/1992, quando non era possibile alcuna valutazione di convenienza in re- lazione a tale normativa, ancora di la` da venire.
Peraltro, una volta emesso il decreto d’esproprio, tutte le offerte formulate erano inefficaci, in quanto, realizzato il trasferimento del bene, la procedura era giunta a conclu- sione, sicche´ non si poteva far luogo a cessione volontaria.
1008
URBANISTICA E APPALTI 9/2001
Il Consiglio di Stato
e la nuova giurisdizione del G.A.
CONSIGLIO DI STATO, sez. V, 31 gennaio 2001, n. 354
Pres. Rosa - Est. Pinto - Comune di Terni c. Parcheggi Italia S.p.A.
Nel processo amministrativo il ricorso incidentale `e l’unico strumento mediante il quale i soggetti contro i quali si rivolge il ricorso di primo grado possono proporre domande con le quali ampliano l’oggetto del giudizio, e cio` vale anche per eventuali domande riconvenzionali, che non possono venire introdotte se non mediante atti ritualmente notificati alle altre parti.
Il potere giurisdizionale degli arbitri esiste solo nell’ambito della giurisdizione del giudice civile, non po- tendo venire deferite al giudice privato controversie che esorbitano dalla giurisdizione del giudice ordi- nario per essere attribuite al giudice amministrativo, e questo tanto nell’ambito della giurisdizione di legittimit`a che in quella esclusiva, con conseguente nullit`a di eventuali clausole compromissorie.
L’art. 35, comma primo, X.Xxx. 80/1998, nell’attribuire al giudice amministrativo il potere di disporre il risarcimento del danno ingiusto anche attraverso la reintegrazione in forma specifica, postula che l’ac- certamento dell’inadempimento e dell’esistenza del danno sia compito esclusivo del giudice, cosicch´e l’eventuale commissione tecnica nominata dal giudice ai sensi dell’art. 35, comma 2, D.Lgs. cit. al fine di proporre il risarcimento al soggetto leso non potr`a individuare profili di inadempimento ulteriori ri- spetto a quelli gi`a individuati nella sentenza.
Diritto
1. L’appello principale e` fondato in parte.
2.1 Con il primo motivo si deduce il difetto di giurisdi- zione del giudice adito sotto due profili.
2.2 In primo luogo il giudice di primo grado avrebbe er- rato nel qualificare il rapporto tra le parti come conces- sione di servizio pubblico, mentre esso sarebbe una con- cessione di lavori pubblici, in quanto l’elemento preva- lente sarebbe rappresentato dalla costruzione dell’opera, mentre la gestione della stessa - non essendo prevista la corresponsione di un prezzo - costituirebbe unicamente la prestazione corrispettiva.
La doglianza e` infondata.
L’articolo 33, comma 1, del D.Lgs. 31 marzo 1998, n. 80, devolve alla giurisdizione esclusiva del giudice am- ministrativo «tutte le controversie in materia di pubblici servizi». In particolare, al comma 2, lettera b), tra le controversie devolute vengono indicate quelle «tra le amministrazioni pubbliche e i gestori comunque deno- minati di pubblici servizi».
Ai fini della risoluzione della presente controversia non occorre delineare i tratti distintivi tra concessione di la- vori pubblici (concessione di costruzione e gestione) e concessione di pubblici servizi.
Quello che rileva e` la circostanza che, una volta realiz- zata l’opera pubblica, il costruttore il quale intraprenda
l’attivita` di gestire il servizio cui e` destinata l’opera assu- me la qualita` di «gestore di servizio pubblico».
La controversia che insorga tra il medesimo e l’ammini- strazione rientra, quindi, nel novero di quelle attribuite alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo.
2.3 Sotto altro profilo il Comune deduce la erroneita` della pronuncia del T.A.R. nella parte in cui ha per og- getto la declaratoria di nullita` della clausola compromis- xxxxx. Sottolinea, a tale riguardo, che la controversia non rientra nella giurisdizione esclusiva del giudice am- ministrativo e che, comunque, le sole controversie non suscettibili di arbitrato sono quelle che non possono es- sere oggetto di transazione.
Anche tale censura e` infondata.
Il potere giurisdizionale degli arbitri, in quanto trova fondamento nella volonta` delle parti di derogare con- venzionalmente alla competenza del giudice civile, sus- siste solo nell’ambito della giurisdizione di quest’ultimo. Ne consegue che non possono essere deferite al giudice privato controversie che esorbitano dalla giurisdizione del giudice ordinario per essere la materia deferita al giudice amministrativo, sia come giurisdizione generale di legittimita`, sia come giurisdizione esclusiva (Cass. Sez. Un., 12 luglio 1995, n. 7643). Da cio` la nullita` della relativa clausola compromissoria.
Con il secondo motivo il Comune appellante si duole del fatto che il Giudice di primo grado abbia dichiarato inammissibile la domanda riconvenzionale spiegata in
URBANISTICA E APPALTI 9/2001
1009
primo grado. Il T.A.R. avrebbe errato nel ritenere appli- cabile la disciplina del ricorso incidentale anche nell’ipo- tesi in cui la controversia ricada nella giurisdizione esclu- siva del giudice amministrativo. In ogni caso, si sarebbe dovuto concedere il beneficio dell’errore scusabile.
La doglianza e` infondata.
Nel processo amministrativo il ricorso incidentale e` l’uni- co strumento mediante il quale i soggetti contro i quali si rivolge il ricorso di primo grado possono proporre do- mande con le quali ampliano l’oggetto del giudizio.
D’altra parte il principio che regge il contraddittorio nel giudizio amministrativo e` quello della notificazione degli atti: esso vale, infatti, per l’atto introduttivo del giudizio, per la proposizione di motivi aggiunti e, appunto, per il ricorso incidentale.
In nessun caso l’oggetto del giudizio puo` essere ampliato con atti che non vengano notificati alle altre parti.
Ne´ della esistenza di questa regola si e` dubitato in sede di giurisdizione esclusiva.
Con il terzo motivo si deduce l’improcedibilita` dell’impu- gnazione dell’ordinanza comunale del 25 giugno 1998.
Tale motivo si basa sull’eccezione di difetto di giurisdi- zione, fatta valere con il primo motivo di gravame.
Poiche´ la stessa e`, per le ragioni suesposte, priva di fon- damento, anche il motivo in esame infondato.
5. Con il quarto motivo si deduce che erroneamente il
T.A.R. avrebbe ravvisato nelle pattuizioni delle condi- zioni insolitamente vantaggiose per il Comune; che l’impegno del Comune non poteva essere inquadrato nella fattispecie delineata dall’articolo 11 della legge 7 agosto 1990, n. 241; che, comunque, non vi era stato alcun inadempimento del Comune; che, difatti, la va- riazione della zona a traffico limitato rappresenta un’atti- vita` ampiamente discrezionale da valutare in stretta re- lazione con gli interessi pubblici; che in tal senso avreb- be dovuto essere interpretata l’espressione contenuta nella convenzione secondo cui le modifiche alla predet- ta zona dovevano essere concordate con la societa`: che non vi sarebbe stata alcuna violazione del programma urbano dei parcheggi; che le ordinanze in questione non avevano modificato la superficie oggetto della limi- tazione del traffico, ma solo la fascia oraria della medesi- ma; che, comunque, nella predetta zona non vi sono aree adibite alla sosta; che il T.A.R. avrebbe errato an- che nel demandare ad una commissione tecnica di in- dagine l’individuazione dei «singoli punti del piano del traffico P2a e dei connessi impegni contrattuali che ri- sultino non adempiuti ovvero adempiuti in ritardo o in modo incompleto», attribuendo cos`ı alla stessa il com- pito di accertare l’esistenza dell’inadempimento e del danno, e non la semplice liquidazione dello stesso.
Il motivo e` fondato in parte.
Giova premettere che l’articolo 35, comma 1, del D.Lgs. n. 80 del 1998 attribuisce al giudice amministra- tivo, nelle controversie devolute alla sua giurisdizione esclusiva, il potere di disporre il risarcimento del danno ingiusto, anche attraverso la reintegrazione in forma
specifica. Il comma 2 del predetto articolo conferisce dal giudice amministrativo il potere di stabilire «i criteri in base ai quali l’amministrazione pubblica ... [deve] proporre a favore dell’avente titolo il pagamento di una somma di denaro entro un congruo termine».
Da cio` consegue che l’accertamento dell’inadempimen- to e dell’esistenza del danno resta un compito del giudi- ce. Solo nella fase successiva della liquidazione del dan- no puo` farsi ricorso alla particolare procedura delineata dal predetto comma 2 dell’articolo 35 del D.Lgs. n. 80 del 1998.
Xxxxxxxx´, la sentenza impugnata non puo` essere confer- mata nella parte in cui attribuisce alla commissione tec- nica (la cui costituzione, come innanzi precisato, viene imposta al Comune dalla sentenza stessa) il compito di individuare profili di inadempimento ulteriori rispetto a quelli gia` individuati nella sentenza, nonche´ l’incidenza che tali fatti hanno avuto sull’afflusso al parcheggio.
Puo`, invece, condividersi la parte della sentenza che in- dividua direttamente le inadempienze del Comune. Es- se, cos`ı come ha ritenuto il primo Giudice, sono indivi- duabili nella nota del 21 agosto 1997, a firma del vice sindaco, inviata dal Comune di Terni alla societa` appel- lata. La predetta nota costituisce elemento probatorio decisivo per l’accertamento dei ritardi e delle omissioni dell’amministrazione comunale.
Tali ritardi ed omissioni costituiscono inadempimento agli obblighi nascenti dalla convenzione ed idonei, alla pari del disposto annullamento dell’ordinanza del 25 giugno 1998, a ritenere fondata la domanda di risarci- mento dei danni subiti, alla cui liquidazione si provve- dera` con le modalita` delineate nella sentenza impugna- ta. Secondo quanto innanzi precisato, comunque, la commissione tecnica non potra` individuare profili di inadempimento ulteriori rispetto a quelli gia` individuati nella sentenza, ne´ dovra` stabilire l’incidenza che tali inadempienze hanno avuto sull’afflusso al parcheggio.
Per quanto attiene alla predetta ordinanza del 25 giu-
gno 1998 pare utile ribadire che, come segnalato dal
T.A.R. era stato proprio il Comune ad impegnarsi ad osservare il piano del traffico «salvo eccezioni da con- cordarsi», cosicche´ la modifica delle fasce orarie della zona a traffico limitato effettuata in assenza di qualsiasi contraddittorio con la controparte del rapporto deve ri- tenersi senz’altro illegittima.
Deve ora procedersi all’esame dell’appello incidentale. In primo luogo la societa` Parcheggi Italia lamenta l’er- roneita` della sentenza nella parte in cui non ravvisa una fonte di danno risarcibile nell’eccesso di rilascio di permessi in deroga per l’accesso alla zona a traffico limi- tato e nella trascuratezza della vigilanza comunale nel sanzionare le infrazioni ai divieti di accesso e di sosta nella predetta zona.
L’assunto e` infondato.
Ritiene la Sezione che gli elementi probatori dedotti dalla societa` non siano sufficienti a comprovare quanto dedotto. La semplice flessione del numero degli accerta-
1010
URBANISTICA E APPALTI 9/2001
menti effettuati in ciascun anno, le fotografie raffiguran- ti autovetture in divieto, la circostanza che il numero dei permessi di accesso siano il doppio di quelli rilasciati a Perugia non sono elementi per ritenere che, sotto questo profilo, il Comune di Terni sia venuto meno ad obblighi assunti nella convenzione di cui trattasi.
In secondo luogo con l’appello incidentale si deduce che il piano finanziario doveva ritenersi parte integrante della convenzione.
Anche tale censura e` infondata.
Il piano finanziario dell’impresa, anche se e` stato visio-
nato dal Comune, non e` entrato in alcun modo nel contenuto della convenzione. Non puo`, quindi, ritener- si che il medesimo fosse vincolante ed impegnativo per l’amministrazione comunale.
In conclusione l’appello principale va accolto in parte; per il resto va rigettato. La sentenza impugnata, quindi, va confermata nei limiti indicati in motivazione.
L’appello incidentale va rigettato.
Le spese di lite dei due gradi di giudizio possono essere compensate per meta`. Per la residua meta`, liquidate nel dispositivo, seguono la soccombenza.
IL COMMENTO
di Xxxx Xx Xxxxx
Il Consiglio di Stato ha l’occasione di soffermarsi in sede d’appello su di una delle prime pronunce giurispru- denziali in materia disciplinata dal D.Lgs. 31 marzo 1998.
L’esito del giudizio porta ad una sostanziale conferma della sentenza di primo grado, a suo tempo pronunciata dal X.XX. per l’Umbria (1), pur con alcune precisazioni che ne comportano la parziale riforma.
Pare opportuno, per migliore intelligenza della que- stione, un rapido cenno alla vicenda fattuale che ha da- to origine alla controversia.
Il caso di specie
Con atto pubblico del 10 aprile 1992, il Comune di Terni e la Parcheggi Italia S.p.A. stipulavano una con- venzione, denominata dalle parti «concessione contrat- to per la costruzione e gestione di un parcheggio sotter- raneo ed in superficie nell’area di proprieta` comunale Largo Xxxxx e via Castello sita in Terni».
Successivamente, lamentando inadempimenti da par- te del Comune, la societa` si rivolgeva al Tribunale Am- ministrativo per conseguire l’annullamento di tre ordi- nanze comunali aventi ad oggetto gli orari di apertura al traffico della zona a traffico limitato del centro cittadino, l’accertamento (2) delle inadempienze del Comune alla convenzione e, previa declaratoria della nullita` della clausola compromissoria contenuta nella convenzione stessa, la consequenziale condanna del Comune di Terni al corretto adempimento mediante l’immediata assunzio- ne di tutti i provvedimenti necessitati, con risarcimento del danno ingiusto da determinarsi anche ai sensi degli articoli 34 e 35 del D.Lgs. 31 marzo 1998, n. 80.
Il Comune controdeduceva eccependo difetto di giu- risdizione e formulando altres`ı una domanda riconven- zionale avente ad oggetto il risarcimento di danni e l’applicazione di una penale.
Il T.A.R. per l’Umbria al termine del giudizio dichia- rava la nullita` della clausola compromissoria, l’inammis- sibilita` della domanda riconvenzionale e l’irricevibilita`
dell’impugnazione in relazione a due delle ordinanze gravate (3); veniva invece annullata la terza ordinan- za (4) e condannato il Comune al risarcimento in for- ma specifica, prevedendosi allo scopo la costituzione di una commissione tecnica incaricata di individuare nello specifico i singoli punti del piano del traffico risultati inadempiuti e l’incidenza che tali inadempienze aveva- no avuto sugli afflussi del parcheggio.
La sentenza infine prevedeva che al termine dei la- vori la commissione avrebbe riferito all’amministrazione, affinche´ questa formulasse la sua proposta di adempi- mento, ai sensi dell’articolo 35, comma 2, del D.Lgs. n. 80 del 1998.
L’esito dell’appello
L’appello viene introdotto dal Comune di Terni, proponendo altres`ı appello incidentale la societa` vinci- trice in primo grado; il Consiglio di Stato ritiene fonda- to «in parte» solamente l’appello principale, con parti- colare riferimento al ruolo ed ai poteri da assegnarsi alla commissione.
«La sentenza impugnata - secondo i Giudici di Palaz- zo Spada - non puo` essere confermata nella parte in cui attribuisce alla commissione tecnica... il compito di in- dividuare profili di inadempimento ulteriori rispetto a quelli gia` individuati nella sentenza, nonche´ l’incidenza che tali fatti hanno avuto sull’afflusso al parcheggio.
Puo`, invece, condividersi la parte della sentenza che individua direttamente le inadempienze del Comune».
Questo essendo il contenuto dispositivo della deci- sione, essa per vero costituisce occasione di riflessione
Note:
(1) T.A.R. Umbria, 24 marzo 1998, n. 218, in questa Rivista, 2000, 196, con nota di X. Xx Xxxxx.
(2) In sede di giurisdizione esclusiva.
(3) Ordinanze emanate in data 12 dicembre 1997 e 27 marzo 1998.
(4) Emanata in data 25 giugno 1998.
URBANISTICA E APPALTI 9/2001
1011
su alcune problematiche di rilievo inerenti il processo amministrativo in generale e la giurisdizione «piena» in- trodotta dal D.Lgs. 80/1998 in particolare, con elementi di approfondimento rispetto alle originarie argomenta- zioni del Tribunale di primo grado.
Le domande riconvenzionali ed il processo amministrativo
Nel giudizio di primo grado la parte pubblica evocata in giudizio aveva svolto alcune domande riconvenziona- li nei confronti della ricorrente, introducendole pero` con memoria difensiva non notificata a controparte.
Il Consiglio di Stato conferma l’irritualita` di un simi- le modus procedendi, andando comunque a avvalorare la possibilita` di proporre domande riconvenzionali nel pro- cesso amministrativo, almeno nell’ambito della giurisdi- zione esclusiva.
Al proposito, non e` inutile rammentare che in te-
ma (5) si sono recentemente soffermate due senten- ze (6), la cui motivazione in argomento si e` peraltro dif- fusa piu` approfonditamente della decisione in rassegna.
Il T.A.R. per la Lombardia ha ritenuto proponibile la domanda riconvenzionale anche attraverso un atto non notificato, anche se in quel caso simile esito e` stato avva- lorato dal riconoscimento di un errore scusabile, «in rela- zione alla indubbia novita` interpretativa, circa il diretto ingresso di istituti propri del processo civile, all’interno della giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo».
Il T.A.R. per le Marche, per parte sua, ha parimenti riconosciuto la possibilita` di proporre domande ricon- venzionali, richiedendo pero` la notifica di un atto (7) alle altre parti, sia pure senza la necessita` di dover ri- spettare un termine decadenziale, «vertendosi, appunto, in materia di diritti soggettivi, sottoposti a prescrizione». La materia, in realta`, necessiterebbe di ulteriore ri- flessione, anche perche´ la soluzione fatta propria dal
T.A.R. per le Marche non sembra interamente condivi- sibile, almeno in relazione alla affermazione della non necessita` di dover rispettare un termine per l’introduzio- ne della domanda ulteriori rispetto a quelle principali.
L’istituto della domanda riconvenzionale (8), come disciplinato dal codice di procedura civile, richiede in- fatti il rispetto di un termine perentorio e decadenziale, correlato al deposito della comparsa di risposta (9).
A questo proposito, va rilevato che se e` vero che nel processo civile la citazione e` a data fissa con decadenze correlate a quel riferimento temporale, mentre nel giu- dizio amministrativo l’amministrazione ha la possibilita` di costituirsi con propria memoria fino a dieci giorni dalla data dell’udienza di discussione, che non viene in- dividuata dal ricorrente (10), e` altres`ı vero che nel giu- dizio amministrativo esiste un termine perentorio entro il quale poter proporre impugnazioni incidentali (11), impugnazioni che lo stesso Consiglio di Stato ha rico- nosciuto essere «l’unico strumento mediante il quale i soggetti contro i quali si rivolge il ricorso di primo grado
possono proporre domande con le quali ampliano l’og- getto del giudizio».
Conclusivamente, quindi, l’introduzione della do- manda riconvenzionale all’interno del processo ammini- strativo dovrebbe andare sempre a rispettare, ad avviso di chi scrive, le forme prescritte per tale processo, con obbligo di notifica e necessario ossequio del termine de- cadenziale di giorni trenta successivi a quello assegnato per il deposito del ricorso, sul calco delle previsioni con- cernenti l’impugnazione incidentale.
Altre ricostruzioni, che non contemplino l’obbligo di notifica ed il rispetto di termini preclusivi non paiono per vero in linea ne´ con la struttura del pro- cesso amministrativo, ne´ con quella del civile, giac- che´ anche quest’ultimo conosce termini decadenziali
Note:
(5) Vedasi al proposito, oltre alla gia` richiamata nota a T.A.R. Umbria
n. 218/1999, Caringella F. - De Marzo G. - Xxxxx Xxxxx X. - Garofoli R., La nuova giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo dopo la legge 21 lu- glio 2000, n. 205, Milano, 2000, 686 ss.
(6) T.A.R. Lombardia, Milano, sez. III, 18 luglio 0000, x. 0000, xx XXX, 0000, X, 0000; TAR Marche, 11 febbraio 2000, n. 290, in xxx.xxxxx.xx, Rivista Internet di Diritto Pubblico.
(7) «La domanda riconvenzionale - si legge nella richiamata sentenza del
T.A.R. per le Marche - e` ammissibile nei giudizi attribuiti alla giurisdizio- ne esclusiva del giudice amministrativo se attinente a diritti soggettivi e se effettuata con la prima memoria di costituzione in giudizio, debitamente notificata a tutte le parti interessate, mentre non e` da ritenersi necessario, a differenza del ricorso incidentale e di motivi aggiunti, un termine peren- torio per questa notifica, vertendosi appunto, in materia di diritti soggetti- vi, sottoposti a prescrizione».
(8) «Ricorre l’ipotesi della domanda riconvenzionale quando il convenu- to, traendo occasione dalla domanda contro di lui proposta, opponga una contro-domanda e cioe` chieda un provvedimento positivo sfavorevole al- l’attore che va oltre il rigetto della domanda principale. Resta invece nel- l’ambito dell’eccezione l’istanza del convenuto diretta a far valere un suo diritto al solo scopo di escludere l’efficacia giuridica dei fatti o titoli dedot- ti dall’attore, ossia al fine di ottenere il rigetto della domanda.»: Xxxx., sez. II, 2 aprile 1997, n. 2860, in Giust. Civ. Mass., 1997, 517.
La domanda riconvenzionale e` domanda a tutti gli effetti, e come tale su di essa il giudice dovra` sempre pronunciarsi, anche se rigetti la domanda originaria per un motivo diverso dall’accoglimento della domanda ricon- venzionale incompatibile, l’unica particolarita` della domanda riconvenzio- nale essendo la circostanza che essa viene proposta nel corso di un proces- so gia` instaurato, e che attore in riconvenzione e` il convenuto originario del processo.
Cfr. sul punto Proto Pisani A., Lezioni di Diritto processuale civile, 3ª ed., Napoli, 1999, 61 s.
(9) «Nella comparsa di risposta il convenuto deve proporre tutte le sue difese A pena di decadenza deve proporre le eventuali domande ricon- venzionali» (art. 167 c.p.c).
Nel rito del lavoro il meccanismo introduttivo e` ancora diverso, poiche´
la deduzione della domanda riconvenzionale comporta differimento del- l’udienza e notifica all’originario ricorrente dell’atto che la contiene (artt. 416 e 418 c.p.c.).
(10) Osservandosi infatti le modalita` di cui agli artt. 51 ss.. X.X. 00 ago- sto 1907, n. 642.
(11) L’art. 37 X.X. 00 giugno 1924, n. 1054 prevede infatti che «nel ter- mine di 30 giorni successivi a quello assegnato per il deposito del ricorso, l’autorita` e le parti, alle quali il ricorso fosse stato notificato, possono pre- sentare memorie, fare istanze, produrre documenti, e anche un ricorso in- cidentale, con le stesse forme prescritte per il ricorso».
1012
URBANISTICA E APPALTI 9/2001
per l’introduzione di domande ulteriori rispetto a quella principale (12).
L’arbitrato le clausole compromissorie
La decisione del Consiglio di Stato, conformandosi alla sentenza di primo grado a sua volta rispettosa di una tradizione interpretativa radicata e risalente (13), ha ribadito che il potere giurisdizionale degli arbitri esiste solamente nell’ambito della giurisdizione del giudice civile, non potendo deferirsi al giudice priva- to controversie che esorbitano dalla giurisdizione del giudice ordinario per essere attribuite al giudice am- ministrativo, e questo tanto nell’ambito della giurisdi- zione di legittimita` che in quella esclusiva.
In conseguenza, la clausola compromissoria prevista nel- la convenzione e` stata ritenuta nulla.
Al proposito, deve rilevarsi come l’art. 6, comma 2, leg- ge 21 luglio 2000, n. 205 (14) abbia viceversa sancito come «le controversie concernenti diritti soggettivi de- volute alla giurisdizione del giudice amministrativo pos- sono essere risolte mediante arbitrato rituale di diritto». Il legislatore, contrariamente all’indirizzo fatto proprio anche dal Consiglio di Stato nella sentenza in com- mento, ha infatti ritenuto che, con formulazione gene- rale estensibile a tutte le materie di giurisdizione esclusi- va, vecchia e nuova, sia data possibilita` alle parti di da- re risoluzione a controversie riguardanti le posizioni d diritto soggettivo affidate alla giurisdizione del giudice amministrativo attraverso lo strumento dell’arbitrato ri- tuale di diritto (15).
Va rilevato come tale posizione fosse per vero legittima- mente sostenibile anche prima dell’entrata in vigore della legge di riforma del processo amministrativo (16), con la conseguenza che il Consiglio di Stato ben avreb- be potuto risolvere diversamente la questione sottesa al caso di specie, ritenendo - contrariamente a quel che poi di fatto e` avvenuto - che la clausola compromissoria contenuta nella convenzione intercorsa tra le parti ben potesse permettere la devoluzione al giudizio arbitrale delle controversie intercorse tra le parti.
In realta` la vicenda de qua presentava spunti di ulteriore complicanza, in quanto il ricorso conteneva anche una domanda di annullamento, appartenente alla generale giurisdizione di legittimita` (17).
In dottrina (18) si e` peraltro cercato di individuare so- luzioni anche ad evenienze di questo tipo, correlandole alla possibilita` di deferire ad arbitri anche questioni con- cernenti interessi legittimi (19), sulle quali la legge di ri- forma in verita` tace del tutto (20).
Note:
(12) Sui rapporti da processo amministrativo e processo civile, vedasi Ni- gro M., Giustizia amministrativa, 4ª ed., Bologna, 1994, 252.
L’Autore evidenzia come si siano spesso fraintesi i rapporti tra la legge processuale amministrativa e quella civile, ritenendosi la prima speciale e la seconda generale.
«Questo punto di vista e` sbagliato, perche´ il processo amministrativo
non costituisce una specie del processo civile ne´ la legge processuale civile puo` essere considerata legge processuale generale rispetto a quella amministrativa La fonte d’integrazione (diretta) del diritto pro- cessuale amministrativo e` retta da questi principi, che non sono pero` principi propri del processo civile, ma principi di un diritto processuale comune, pur se questo ha la sede di elezione nella legge processuale ci- vile. L’inadeguatezza, per vetusta`, lacunosita`, rende peraltro «raziona- le» la via che da alcuni anni seguono sia la giurisprudenza costituzio- nale che quella amministrativa: applicare sempre le norme del codice di procedura civile, tranne quelle che effettivamente non siano com- patibili con le particolari caratteristiche del processo amministrativo».
(13) Da ultimo, Cass., Sez. Un., 12 luglio 1995, n. 7643, in Giust. Civ. Mass., 1995, 1363. Cfr. T.A.R. Campania, Napoli, sez. I, 18 ottobre 1998, n. 3071, in Foro Amm., 1999, 853; T.A.R. Lazio, sez. III, 23 mag- gio 0000, x. 000, xx XXX, 0000, X, 0000; T.A.R. Sicilia, Catania, sez. I, 27 luglio 1990, n. 580, in Foro Amm., 1991, 1592; T.A.R. Liguria, 5 maggio 0000, x. 000, xx XXX, 0000, X, 0000.
In modo parzialmente diverso, Cass. Sez. Un., 3 dicembre 1991, n. 12966, in Giur. It., 1993, I, 1, 439, con nota di Xxxxxxxxx, secondo cui
«nelle materie attribuite alla giurisdizione esclusiva del giudice xxxxxx- strativo la compromissione in arbitri puo` ritenersi ammissibile solo se pre- vista da un atto avente valore di legge (restando altrimenti ammissibile solo per le controversie relative a canoni, indennita` e corrispettivi)» e
X.X.X. Xxxxxx - Xxxxxxx Xxxxxx, 00 febbraio 1998, n. 366, in Giur. Merito, 1998, I, 1024, con nota di Ancora F., secondo cui «qualora nel decreto di affidamento di una concessione-contratto sia contenuta una clausola compromissoria che deferisce ad un collegio arbitrale ogni controversia che possa insorgere tra le parti, la giurisdizione, anche se per legge sia affi- data al giudice amministrativo, nel caso concreto spetta al collegio arbitra- le, in quanto non puo` essere disapplicato il disposto di un provvedimento amministrativo divenuto inoppugnabile».
Per una completa rassegna dottrinaria e giurisprudenziale, vedasi Ca- ringella F. - Protto M., Il nuovo processo amministrativo dopo la legge 21 luglio 2000, n. 205, Milano, 2001, 523 ss., ed inoltre la gia` citata nota di commento a T.A.R. Umbria, 24 marzo 1998, n. 218, in questa Ri- vista, 2000, 196.
(14) In G.U. 26 luglio 2000, n. 173.
(15) Caringella F. - Protto M., Op. ult. cit., 527.
(16) Ibidem. Cfr. altres`ı A.A.V.V., La giustizia amministrativa - Commento alla l. 21 luglio 2000, n. 265, Milano, 2000, 181 s., con considerazioni estese alla contrastata evoluzione normativa in tema di lavori pubblici.
(17) Il T.A.R. per l’Umbria, peraltro, cogliendo tale profilo si era mag- giormente diffuso sul punto, rilevando infatti come «alcune delle doman- de appartengono alla giurisdizione generale di legittimita` del giudice am- ministrativo: precisamente quelle rivolte all’annullamento di atti ammini- strativi non di rettamente incidenti sul rapporto concessionale, ma atti- nenti all’esercito delle potesta` pubbliche di regolazione del traffico.
Nei confronti di questi atti, non sarebbe comunque concepibile un giudi- zio arbitrale e la domanda di annullamento va considerata estranea alla clausola compromissoria, quand’anche quest’ultima dovesse considerarsi valida ed efficace».
(18) Caringella F. - Protto M., op. ult. cit., 528.
(19) Secondo de Xxxx X., in A.A.V.V., Commento alla legge quadro sui la- vori pubblici sino alla Merloni ter, Milano, 1999, «l’affermazione che gli in- teressi legittimi attengono a materia indisponibile e che, conseguentemen- te, le relative controversie, ai sensi degli art. 806 c.p.c. e 1966 c.c., non siano compromettibili ad arbitri e` frutto di una concezione del diritto am- ministrativo che deve essere superata da una visione diversa, fondata sul pluralismo istituzionale e sull’esercizio di compiti pubblici non in forza del principio di autorita` dell’amministrazione bens`ı con la collaborazione dei
soggetti interessati. E` questa una delle innovazioni piu` rilevanti fra quelle
introdotte dalla legge 7 agosto 1990, n. 241, che, all’art. 11, ha previsto accordi con i soggetti interessati, «al fine di determinare il contenuto di- screzionale del provvedimento finale ovvero, nei casi previsti dalla legge, in sostituzione di questo».
(20) La deferibilita` ad arbitri delle sole questioni afferenti a diritti sogget- tivi potrebbe peraltro continuare a dare un senso alla distinzione tra questi ultimi e gli interessi legittimi, i quali si vedrebbero sottoposti alla sola co- gnizione del giudice amministrativo.
(segue)
URBANISTICA E APPALTI 9/2001 1013
Potrebbe cos`ı ipotizzarsi una scissione tra giudizio di an- nullamento dell’atto e giudizio del risarcimento, ritenen- dosi il primo proponibile (solo) innanzi al giudice am- ministrativo, ed il secondo proponibile viceversa innan- zi al collegio arbitrale (21).
In un caso come il presente, nel quale la domanda di an- nullamento era stata dichiarata parzialmente irricevibile in quanto concernente provvedimenti ormai divenuti inoppugnabili, un eventuale ed autonomo giudizio arbi- trale avrebbe cos`ı consentito (22) di prendere in esame anche comportamenti dell’amministrazione che il giudice amministrativo non ha di fatto preso in considerazione ai fini del giudizio sull’inadempimento, e quindi sul danno. La questione in effetti pare ulteriormente suscettibile di evoluzione e di approfondimento e sara` evidentemente necessario dover attendere l’evoluzione futura della giu- risprudenza, con particolare riferimento all’interpretazio- ne, piu` o meno ampia, che vorra` assegnarsi all’art. 6, comma 2, legge 205/00.
Giurisdizione ed attuazione della sentenza
La decisione del Consiglio di Stato in rassegna ha poi cercato di dare una soluzione al problema correlato alla distinzione tra compiti del giudice e successivi compiti dall’amministrazione in sede di esecuzione della senten- za, laddove vi sia stato, da parte del G.A., l’accertamen- to di un pregiudizio risarcibile
Secondo i Giudice di Palazzo Spada, «la sentenza impu- gnata non puo` essere confermata nella parte in cui attri- buisce alla commissione tecnica (la cui costituzione, co- me innanzi precisato, viene imposta al Comune dalla sentenza stessa) il compito di individuare profili di ina- dempimento ulteriori rispetto a quelli gia` individuati nella sentenza, nonche´ l’incidenza che tali fatti hanno avuto sull’afflusso al parcheggio».
Tale passaggio motivazionale affronta, per implicito, il problema dei caratteri della sentenza amministrativa di condanna ed il ruolo del successivo giudizio di xxxxxxxx- xx, in relazione al rapporto esistente tra i poteri attribui- ti al giudice dall’art. 35, comma 1, X.Xxx. 80/1998 (23) e quelli, in prima istanza prerogativa della amministra- zione, sanciti dall’art. 35, comma 2, D.Lgs. 80/ 1998 (24).
Il D.Lgs. 80/1998, infatti, aveva fatto salva la distinzione tra poteri del giudice (estesi, fatto nuovo, alla condanna al risarcimento) e prerogative dell’amministrazione (25), la quale, solo in seconda battuta ed in caso di mancata esecuzione della sentenza avrebbe potuto venire sostitui- ta dal giudice, nuovamente adito con le forme dell’ot- temperanza.
Tale duplicazione, prefigurata dal legislatore, aveva al- tres`ı risentito dei quel consolidato e costante indirizzo, formatosi in ambito di giudizio civile risarcitorio e relati- vo allo sdoppiamento del momento dell’accertamento dell’esistenza del danno rispetto al successivo eventuale momento di concreta liquidazione del danno stesso, li- quidazione possibile anche in separata sede (26).
Ora, secondo il Consiglio di Stato, il giudice ha innanzi tutto il dovere - in via esclusiva - di accertare l’inadem- pimento, dovendo altres`ı specificare, nella propria deci- sione, i criteri ai quali l’amministrazione xxxx` sottoposta in fase di concreta determinazione del quantum risarci- torio (27).
Ulteriori profili di inadempimento non potranno venire determinati dalla amministrazione, che in cio` si vedra` vincolata dal dictum del Giudice, dovendosi infatti la
p.a. limitare a procedere, attraverso l’organo straordina- rio della commissione, a proporre il risarcimento alla parte danneggiata.
Rimane cos`ı impregiudicato ogni altro approfondimento circa la natura del momento dell’accertamento del dan- no («condanna generica») ed i caratteri del successivo momento della concreta determinazione del risarcimen- to (28).
Note:
(segue nota 20)
Non va peraltro sottaciuto che la nota sentenza della Cassazione civile, Sez. Un., 22 luglio 1999, n. 500 ha riconosciuto l’autonomia del diritto soggettivo al risarcimento rispetto alla posizione di interesse legittimo, la cui lesione rappresenterebbe solo l’antefatto storico della pretesa risarcito- ria.
(21) Al proposito, non si dovrebbe escludere, come reputato per il giudi- zio risarcitorio innanzi al giudice ordinario, la possibilita` di azione risarci- toria arbitrale a fronte di provvedimento che rimanga inoppugnato in- nanzi al giudice amministrativo, con i relativi risvolti problematici legati alla rilevanza, ai fini dell’art. 1227 c.c., della mancata proposizione del ri- corso per l’annullamento: cfr. Caringella F. - De Marzo G. - Xxxxx Xxxxx
F. - Xxxxxxxx X., op. cit., 699.
(22) Ove naturalmente si aderisse alle posizioni favorevoli ad una quanto maggior possibile estensione dell’ambito di utilizzo dell’arbitrato.
(23) «Il giudice amministrativo, nelle controversie devolute alla sua giuri- sdizione esclusiva, dispone, anche attraverso la reintegrazione in forma specifica, il risarcimento del danno ingiusto».
(24) «Nei casi previsti dal comma 1, il giudice amministrativo puo` stabi- lire i criteri in base ai quali l’amministrazione pubblica o il gestore del pubblico servizio devono proporre a favore dell’avente titolo il pagamento di una somma entro un congruo termine. Se le parti non giungono ad un accordo, con il ricorso previsto dall’articolo 27, primo comma, numero 4), del testo unico, approvato con X.X. 00 giugno 1924, n. 1054, puo` es- sere richiesta la determinazione della somma dovuta».
(25) Alla quale e` rivolto, secondo l’art. 65, xxxxx primo, n. 5) X.X. 00 agosto 1907, n. 642, «l’ordine che la decisione sia eseguita dall’autorita` amministrativa».
(26) Cass. civ., sez. I, 11 aprile 1987, n. 3603, in Giust. Civ. Mass., 1987, 4.
(27) E` stato rilevato come «solo alla lontana regge la similitudine fra il processo civile e quello amministrativo sul danno, non potendosi nemme- no con sicurezza affermare che la sentenza con la quale il G.A. fissa i cri- xxxx possa rapportarsi ad una sentenza di condanna generica tipica del giudi- zio civile. A maggior ragione, la sentenza eventualmente resa in ottempe- ranza non puo` assimilarsi tout court a quella relativa al giudizio sul quan- tum del danno. Un fatto e` certo: le affinita` fra i due giudizi risarcitori val- gono e reggono fino ad un certo punto, tanto che il legislatore ha dovuto compiere uno sforzo di adattamento delle nuove competenze del G.A. al- le peculiarieta` del processo amministrativo»: Xxxxxx X., in A.A.V.V., La giustizia amministrativa cit., sub art. 7, 225.
(28) Che il D.Lgs. 80/1998 sembra configurare come fase a carattere am- ministrativo, e non giurisdizionale.
1014
URBANISTICA E APPALTI 9/2001
Il Consiglio di Stato ha in tutta evidenza focalizzato la propria attenzione sulla fase dell’accertamento (29); la soluzione fatta propria ha finito in verita` per enfatizzare il (solo) ruolo della giurisdizione.
Resta peraltro sullo sfondo l’ulteriore questione, non di- rettamente trattata dalla decisione in rassegna, e con- nessa alla complessa problematica correlata al regime delle prove nel processo amministrativo (30), con parti- colare riferimento alla nota regola sulla soccombenza (actore non probante, reus absolvitur), il cui puntuale os- sequio - proprio per la riconosciuta necessita` di una piu` precisa determinazione del pregiudizio patito dalla ricor- rente in primo grado - avrebbe forse portato al rigetto della domanda risarcitoria di cui si discute.
cesso e delle prerogative delle parti in causa (domande riconvenzionali), anche se pare necessario che i Giudici di Palazzo Spada ritornino nuovamente sul punto, onde fugare incertezze e difformita` ancora presenti nella giuri- sprudenza, ancora troppo variegata, dei Tribunali Am- ministrativi di primo grado.
Parimenti, ancora da precisare e` l’ambito di distinzione tra accertamento, condanna ed esecuzione della senten- za, in un quadro in cui la disciplina delle prove nel pro- cesso amministrativo a giurisdizione «piena» risente an- cora degli orientamenti legati alle forme processuali am- ministrative della tradizione.
Luci ed ombre
La decisione in commento si colloca a mezza strada tra
il «nuovo» (decreto legislativo 80/1998) ed il «nuovissi- mo» (legge 205/2000), risentendo inevitabilmente di orientamenti giurisprudenziali legati all’originario assetto del processo amministrativo, che, andando ad involgere interessi pubblici e situazioni soggettive correlate all’e- sercizio del potere, tradizionalmente non tollerava dero- ghe nel senso dell’esercizio della giurisdizione da parte di privati.
proprio contributo a chiarimento degli istituti del pro-
Il Consiglio di Stato ha peraltro cercato di fornire il
Note:
(29) Ad approfondimento giurisprudenziale ulteriore sara` chiamato il Giudice dell’ottemperanza, onde chiarire ambiti, contenuti e portata dei primi due commi dell’art. 35 D.Lgs. 80/1998.
(30) Nel quale, come e` noto, al ricorrente e` dato di fornire un «principio di prova», non essendo, nella maggioranza dei casi, nella disponibilita` del- la parte provata gli elementi atti a comprovare quale sia la reale e com- pleta situazione fattuale, e o riflessi di questa su atti, provvedimenti, docu- menti. Cfr. sul punto Xxxxxx X., Strumenti di tutela del privato nei confronti della pubblica amministrazione, Padova, 1999, 467.
NOVITA’ L’ORDINAMENTO DEGLI ENTI
LOCALI NEL TESTO UNICO
Aggiornato con la legge di riforma federale dello Stato
a cura di Xxxxxxxxx Xxxxxxxxxx, Xxxxxxx Xxxxxxxx, Xxxxxxx Xxxxxx Xxxxx Editore, 2001, I ed., pp. 1404,
L. 130.000 (E 67,14) (cod. 00029094)
Il volume contiene un ampio ed approfondito esame del nuovo Testo unico, approvato con il DLgs 18 agosto 2000, n. 267, in materia di ordinamento istituzionale e finanziario-contabile degli enti locali, che ha riordinato un corpo normativo frammentario e disorganico.
Realizzato con la collaborazione di autorevoli esperti, il testo illustra le problematiche interpretative e ap- plicative, con costante riferimento alle norme origi- narie, alla prassi amministrativa e giurisprudenziale, all’esperienza concreta, in tema di:
– struttura istituzionale;
– sistema elettorale, ineleggibilita` e incompatibilita`;
– stato giuridico degli amministratori;
– sistema finanziario e contabile;
– controlli;
– organizzazione degli uffici e del personale;
– servizi e interventi pubblici locali.
Completano e arricchiscono l’opera un’ampia Ap- pendice contenente il Testo unico, la relazione gover- nativa, i pareri delle Commissioni parlamentari, il pa- rere del Consiglio di Stato e le tavole di raffronto tra le norme originarie e gli articoli del Testo unico.
Per informazioni rivolgersi a: Ipsoa - Ufficio Vendite (Tel. 00-00000000; fax 00-00000000
xxxx://xxx.xxxxx.xx)
oppure consultare l’Agente Ipsoa di zona
URBANISTICA E APPALTI 9/2001
1015
La scelta del concessionario
di pubblico servizio tra affidamento
«intuitu personae» e procedura ad evidenza pubblica
CONSIGLIO DI STATO, sez. VI, 6 settembre 2000, n. 4688
Pres. Ruoppolo - Est. De Nictolis - Comune di S. Xxxxxxx Xxxxx c. E.N.P.A.
Per l’affidamento a terzi della gestione di pubblici servizi i comuni hanno facolt`a di ricorrere, alternati- vamente e indifferentemente, all’istituto della concessione ovvero a quello dell’appalto.
L’art. 22 della legge n. 142/90, che contempla anche lo strumento concessorio per l’affidamento della gestione di pubblici servizi, non implica, a differenza dell’appalto di servizi, il ricorso alle procedure ad evidenza pubblica. N´e per l’applicazione di tali procedure pu`o farsi riferimento alla legge di contabilit`a generale dello Stato, che disciplina i contratti e non le concessioni.
Ne deriva che, per importi inferiori alla soglia comunitaria fissata dal D.Lgs. n. 157/95, non esiste, nel- l’ordinamento interno, una disciplina generale che imponga l’utilizzo dell’appalto ad evidenza pubblica in luogo della concessione «intuitu personae».
Fatto e diritto
1. L’E.N.P.A. (ente nazionale per la protezione animali)
- delegazione di Legnano impugnava innanzi al T.A.R. Lombardia - Milano le delibere con cui il Comune di
X. Xxxxxxx Xxxxx affidva alla societa` Universal Fauna di Merigo G. & C. il servizio di ricovero e mantenimento dei cani randagi accalappiati nel territorio comunale. Lamentava, in sintesi, che:
1) il servizio e` stato affidato a trattativa privata anziche´ a seguito di pubblica gara, senza indicazione delle ragio- ni che giustificavano, ai sensi dell’art. 41, R.D. n. 827 del 1924, l’obliterazione della pubblica gara e il ricorso alla procedura negoziata;
2) a norma degli artt. 2, comma 11 e 4, legge 14 agosto 1991, n. 281, la gestione dei canili comunali o dei rifugi per cani sarebbe riservata ai Comuni ovvero agli enti e alle associazioni di protezione degli animali, per cui la stessa non potrebbe essere affidata a societa` lucrative, che non hanno come finalita` statutaria la protezione degli animali.
1.1. Il T.A.R. adito, con la sentenza in epigrafe, acco- glieva il secondo motivo di ricorso, mentre xxxxxxxxx il primo, dopo aver disatteso alcune eccezioni pregiudiziali sollevate dall’amministrazione comunale.
1.2. Ha proposto appello il Comune di X. Xxxxxxx Olo- na.
Si e` costituito l’E.N.P.A., opponendosi all’accoglimento del gravame e riproponendo espressamente i motivi di ricorso assorbiti dal T.A.R.
2. Con il primo e il secondo motivo di appello, che possono essere esaminati congiuntamente, il Comune appellante critica la tesi del T.A.R. secondo cui i canili comunali e i rifugi per cani randagi potrebbero essere gestiti solo dai Comuni o dagli enti di protezione ani- male.
2.1. A sostegno del suo assunto, il T.A.R. ha affermato che la legge n. 281 del 1991 avrebbe inteso introdurre una deroga alla legge n. 142 del 1990, e dunque alla possibilita` per i Comuni di affidare a strutture imprendi- toriali la gestione dei servizi di propria competenza.
La ratio della deroga sarebbe, ad avviso del T.A.R., da ravvisare nella evidente specialita` della materia in que- stione, in cui vi sarebbe l’esigenza di non affidare il ser- vizio a strutture imprenditoriali, in quanto «si palesereb- bero di facile esperibilita` i piu` anomali risparmi nella ge- stione manutentiva (con dissimulati aumenti dell’utile) nei confronti di soggetti indifesi, destinati ovviamente a subire qualsiasi deteriore trattamento venga loro riserva- to; quanto sopra, con conseguenti difficolta` di emersio- ne di eventuali abusi, ad esempio nel campo della quantita` e qualita` dei cibi somministrati».
2.2. Il Comune appellante critica la sentenza osservan- do che:
1016
URBANISTICA E APPALTI 9/2001
– a norma dell’art. 1, legge n. 142 del 1990, ogni dero- ga alle disposizioni della medesima legge deve essere espressa: la legge n. 281 del 1991 non puo` essere inter- pretata come derogatoria della legge n. 142 del 1990, non contenendo alcuna deroga espressa;
– l’art. 2, comma 11, legge n. 281 del 1991 va interpre- tato nel senso che lo stesso intende consentire la gestio- ne dei canili comunali «anche» alle associazioni di pro- tezione animale, ma non in via esclusiva alle stesse;
– anche l’accordo tra Governo ed enti locali relativo ai criteri per l’applicazione della legge n.281 del 1991 con- sentirebbe la gestione dei canili comunali anche da par- te di strutture pubbliche o private diverse dalle associa- zioni animaliste;
– gli artt. 2, comma 11 e 4, legge n. 281 del 1991 con- sentono la gestione di canili comunali da parte di asso- ciazioni animaliste nella ipotesi in cui canili comunali vi siano: nella specie, invece, il Comune appellante non dispone di un canile comunale, e potrebbe pertan- to affidare a terzi il servizio di ricovero dei cani in strut- ture proprie dell’affidatario del servizio;
– non sarebbero condivisibili le affermazioni del T.A.R., secondo cui l’affidamento del servizio ad un en- te non lucrativo darebbe migliori garanzie di regolare gestione rispetto all’affidamento a societa` lucrativa: in quanto da un lato, in ogni caso, sul servizio sono previ- sti i controlli del servizio veterinario pubblico, e, dall’al- tro lato, non si potrebbe riporre eccessiva fiducia nel- l’autoqualificazione formale di associazione non lucrati- va e protezionista, atteso che proprio nel caso di specie l’E.N.P.A., precedente affidatario del servizio, non avrebbe dato prova di disinteresse economico;
– la pretesa riserva esclusiva del servizio in questione a favore delle associazioni protezionistiche si porrebbe in contrasto con i principi comunitari in materia di libera concorrenza e con gli artt. 41 e 43 Cost.
3. L’appello e` fondato.
3.1. Dispone l’art. 22, legge 8 giugno 1990, n. 241, che
«i comuni e le province, nell’ambito delle rispettive competenze, provvedono alla gestione dei servizi pubbli- ci che abbiano per oggetto produzione di beni ed attivi- ta` rivolte a realizzare fini sociali e a promuovere lo svi- luppo economico e civile delle comunita` locali». I co- muni e le province possono gestire i servizi pubblici, ol- tre che in economia, o mediante aziende speciali o isti- tuzioni o societa` da essi partecipate, anche mediante:
«concessione a terzi, quando sussistano ragioni tecniche, economiche e di opportunita` sociale» (lett. b).
La norma in commento facoltizza pertanto i Comuni ad affidare a terzi i servizi di propria competenza, mediante l’utilizzo dello strumento concessorio (concessione di servizi).
Il comma 2 del medesimo art. 22 specifica che spetta al- la legge stabilire quali sono i servizi riservati in via esclusiva ai Comuni.
La legge 14 agosto 1991, n. 281, «legge quadro in mate- ria di animali di affezione e prevenzione del randagi-
smo», all’art. 4, comma 1, stabilisce che «I comuni, sin- goli o associati, e le comunita` montane provvedono al risanamento dei canili comunali esistenti e costruiscono rifugi per i cani, nel rispetto dei criteri stabiliti con legge regionale e avvalendosi dei contributi destinati a tale fi- nalita` dalla regione».
L’art. 2, comma 11, della medesima legge stabilisce che
«gli enti e le associazioni protezioniste possono gestire le strutture di cui al comma 1 dell’articolo 4, sotto il con- trollo sanitario dei servizi veterinari dell’unita` sanitaria locale».
La legge n. 281 del 1991 attribuisce dunque ai Comuni la competenza al risanamento dei canili esistenti e alla costruzione di nuovi rifugi per cani.
Canili e rifugi possono essere gestiti direttamente dai Comuni, secondo le regole generali in materia di servizi pubblici locali sancite dal citato art. 22, legge n. 142 del 1990.
L’art. 2, comma 11, legge n. 281 del 1991, stabilisce poi che i canili comunali «possono» essere gestiti da enti e associazioni di protezione animale.
Xxxxxxx allora stabilire se gli artt. 2, comma 11, e 4, comma 1, legge n. 281 del 1991 abbiano inteso o meno istituire un regime di riserva esclusiva del servizio di ge- stione dei canili comunali a favore dei Comuni e degli enti di protezione animale, in deroga alla legge n. 142 del 1990.
Ritiene il Collegio che la risposta debba essere negativa.
3.2. L’art. 4, legge n. 281 del 1991, non riserva espressa- mente la gestione dei canili comunali ai Comuni, per cui i Comuni possono affidare a terzi il relativo servizio. L’art. 2, comma 11, legge n. 281 del 1991, a sua volta, laddove afferma che i canili comunali possono essere gestiti da enti e associazioni di protezione animale, non ha inteso istituire una riserva a favore di detti enti, escludendo cioe` la possibilita`, per i Comuni, di affidare il servizio ad altre categorie di soggetti privati, ma ha so- lo inteso ampliare, rispetto all’art. 22, comma 3, lett. b), legge n. 142 del 1990, il novero dei soggetti privati che possono gestire il servizio in questione.
E, invero:
– nessuna norma della legge n. 281 del 1991 usa espressioni che possano far pensare ad un regime di esclusiva del servizio in questione a favore di Comuni o di enti di protezione animale;
– la legge n. 281 del 1991 va letta in armonia con l’art. 22, legge n. 142 del 1990, che contiene la disciplina ge- nerale della gestione dei servizi pubblici locali, tanto piu` che detto art. 22 stabilisce che la legge indica i casi di servizi riservati in esclusiva ai Comuni.
Deve osservarsi che la legge n. 142 del 1990, da un la- to, all’art. 1, comma 3, stabilisce che «le leggi della Re- pubblica non possono introdurre deroghe ai principi della presente legge se non mediante espressa modifica- zione delle sue disposizioni», e dall’altro lato, all’art. 22, comma 2, dispone che «I servizi riservati in via esclusi- va ai comuni e alle province sono stabiliti dalla legge».
URBANISTICA E APPALTI 9/2001
1017
Vero e` che una riserva di abrogazione espressa con legge (art. 1, comma 3) e una riserva di legge (art. 22, com- ma 2) stabilite da una legge ordinaria, quale e` la legge
n. 142 del 1990, sono ben suscettibili di inosservanza da parte di una legge successiva di pari rango; tuttavia, dato il principio di presunzione di coerenza interna del- l’ordinamento normativo, una legge successiva alla leg- ge n. 142 del 1990, va interpretata, nel dubbio tra due possibili interpretazioni, l’una coerente, e l’altra non coerente, con la legge n. 142 del 1990, nel senso di dar- le un significato coerente.
In altri termini, e` da ritenere che il legislatore della leg- ge n. 281 del 1991, ove avesse inteso derogare alla legge
n. 142 del 1990, lo avrebbe fatto espressamente, o co- munque adoperando indici e terminologia univoci. Nella legge n. 281 del 1991 non si rinvengono, invece, indici o terminologia univoci che possano indurre a ri- tenere anche solo tacitamente derogato l’art. 22, legge n. 142 del 1990.
3.3. Deve pertanto ritenersi che la legge n. 281 del 1991 ha espressamente previsto la possibilita` di affidare il servizio di gestione dei canili comunali alle associazio- ni di protezione animale non allo scopo di riservare il servizio a dette associazioni, ma al piu` limitato scopo di estendere a tali soggetti l’affidabilita` del servizio, cos`ı fu- gando i dubbi che potevano sorgere alla luce dell’art. 22, legge n. 142 del 1990, in considerazione del caratte- re non lucrativo degli enti di protezione animale.
E, invero, alla luce del solo art. 22, legge n. 142 del 1990, si sarebbe potuto dubitare della possibilita` di affi- dare il servizio in questione ad enti non lucrativi, tanto piu` che i canili comunali possono svolgere non solo un servizio sanitario e sociale in senso stretto (ricovero dei cani randagi), come tale non lucrativo, ma anche un servizio imprenditoriale a favore dei privati, vale a dire il ricovero a pagamento di cani di proprieta` privata (in virtu` dell’espresso dettato dell’art. 2, comma 12: «le strutture di cui al comma 1 dell’articolo 4 possono tene- re in custodia a pagamento cani di proprieta` e garanti- scono il servizio di pronto soccorso»).
Pertanto, non e` corretto l’assunto che il servizio di ge-
stione dei canili comunali non ha carattere lucrativo, di talche´ sarebbe opportuno affidarlo a enti non lucrativi: invece, in virtu` dell’art. 2, commi 11 e 12, e 4, legge n. 281 del 1991, la gestione dei canili comunali, oltre a comportare un’indefettibile gestione di un servizio sani- tario e sociale non lucrativo (il ricovero e la cura dei cani randagi), puo` comportare anche la gestione di un servizio imprenditoriale lucrativo (il ricovero a paga- mento di cani di proprieta` privata).
3.4. Non solo il dato letterale della legge n. 281 del 1991 non consente di ritenere riservato il servizio di ge- stione dei canili comunali alle associazioni di protezione animale.
Anche la ratio della disciplina induce a escludere un re- gime di riserva.
E, invero non si rinvengono particolari ragioni che giu- stificherebbero la riserva esclusiva.
Anzitutto, i regimi di riserva esclusiva di determinati servizi, in quanto in contrasto con i principi comunitari e costituzionali di libera concorrenza, necessitano di espressa previsione normativa.
In secondo luogo, il carattere socio - sanitario e gratuito di un dato servizio pubblico, non esclude di per se´ la possibilita` di una gestione dello stesso da parte di strut- ture imprenditoriali. E, invero, altri servizi sociali gratui- ti o comunque gestiti sotto costo, quali i servizi di men- sa scolastica, possono pacificamente essere affidati a strutture imprenditoriali.
In terzo luogo, come gia` rilevato, il servizio in questio-
ne, oltre all’indefettibile componente socio-sanitaria, puo` avere una componente imprenditoriale (il ricovero a pagamento di cani di proprieta` privata).
Infine, non e` dimostrabile l’assunto che l’affidamento del servizio ad un ente non lucrativo dia maggiori ga- ranzie di corretta gestione dell’affidamento ad enti lucra- tivi, atteso che si tratta di assunto di mero fatto, e atteso che sono in ogni caso previsti i controlli del servizio ve- terinario pubblico sulla gestione del servizio in questio- ne.
3.5. Solo per completezza deve osservarsi che in ogni caso l’art. 2, comma 11, legge n. 281 del 1991 consente l’affidamento a enti o associazioni di protezione animale della gestione delle sole strutture di cui all’art. 4, vale a dire i canili comunali o rifugi canini realizzati dai Co- muni.
Presupposto applicativo della norma e` dunque l’esisten- za di strutture di ricovero canino di proprieta` comunale. Nel caso di specie, invece, non e` contestato che il Co- mune appellante non e` proprietario di un canile, e ha affidato il servizio di ricovero dei cani a un soggetto pri- vato che deve provvedere al ricovero con strutture pro- prie.
Per quanto esposto, va accolto l’appello del Comune.
4. L’accoglimento dell’appello impone al Collegio l’esa- me del primo motivo del ricorso di primo grado, che il
T.A.R. ha dichiarato assorbito, e che l’E.N.P.A. ha in questa sede espressamente riproposto.
4.1. Osserva l’E.N.P.A. in prime cure che il Comune ha affidato il servizio di ricovero dei cani randagi a trat- tativa privata, obliterando la pubblica gara in assenza dei presupposti per il ricorso alla procedura negoziata stabiliti dall’art. 41, R.D. n. 827 del 1924.
4.2. Il mezzo e` infondato.
Giova osservare che l’attivita` di ricovero e cura dei cani randagi costituisce un servizio pubblico comunale che, in virtu` dell’art. 22, comma 3, lett. b), legge n. 142 del 1990, puo` essere dai Comuni affidato a concessione a terzi.
L’art. 22, legge n. 142 del 1990, autorizza dunque i Co- muni, in termini generali, ad avvalersi dello strumento della concessione, in alternativa a quello dell’appalto, per l’affidamento a terzi di pubblici servizi.
1018
URBANISTICA E APPALTI 9/2001
La concessione di servizi (laddove e` ammessa dall’ordi- namento), a differenza dell’appalto di servizi, non neces- sita dell’osservanza delle procedure di evidenza pubblica, salvo il rispetto, ancorche´ con gare esplorative o infor- mali, del principio di concorsualita`, in ossequio ai prin- cipi di buona amministrazione e di imparzialita`.
4.3. La generale possibilita` per i Comuni di affidare i
servizi pubblici di loro competenza a terzi mediante concessione, anziche´ mediante appalto, incontra un li- mite nelle previsioni di cui al D.Lgs. 17 marzo 1995, n. 157, relativamente agli appalti di servizi di rilevanza co- munitaria contemplati da detto X.Xxx.
Ma nel caso di specie non vi e` dubbio alcuno - che era onere del ricorrente sollevare - in ordine all’inapplicabi- lita`, nel caso di specie, sotto il profilo dell’importo del servizio, del D.Lgs. n. 157 del 1995 (che si riferisce ai servizi di importo pari o superiore a 200.000 ECU).
Deve poi osservarsi che le disposizioni che il D.Lgs. n. 157 del 1995 detta in ordine alle procedure di evidenza pubblica da osservare negli appalti di servizi, non trova- no applicazione ai servizi sanitari e sociali.
In particolare, l’art. 3, comma 2, D.Lgs. n. 157 del 1995, dispone che le disposizioni del decreto legislativo non si applicano agli appalti di servizi di cui all’allegato 2, salvi gli artt. 8, comma 3, 20 e 21 (articoli che non riguardano le procedure di scelta del contraente); tra i servizi di cui all’allegato 2 rientrano quelli sociali e sani- tari.
Secondo la classificazione dei prodotti associata di cui al regolamento CEE 29 ottobre 1993, n. 3696, tra i servizi sanitari rientrano i servizi veterinari per animali dome- stici (85.20.11).
Il servizio di ricovero e cura dei cani randagi deve sen- z’altro classificarsi tra i servizi sanitari e sociali, che, an- che ove di importo superiore a 200.000 ECU, sono sot- tratti all’applicazione del D.Lgs. n. 157 del 1995, di tal- che´ per l’affidamento degli stessi non vi e` la necessita` di osservanza delle procedure di evidenza pubblica.
In sintesi, considerati, nella specie, l’importo economico del servizio di ricovero dei cani randagi, e la sua natura sanitaria-sociale, che lo sottraggono all’applicazione del D.Lgs. n. 157 del 1995, lo stesso e` affidabile dal Comu- ne mediante concessione anziche´ mediante appalto di servizi, in virtu` della clausola generale di cui all’art. 22, comma 3, lett. b), legge n. 142 del 1990, che consente ai Comuni di utilizzare lo strumento concessorio per l’affidamento a terzi dei servizi pubblici di propria com- petenza, ove vi siano ragioni di carattere tecnico o eco- nomico o di opportunita` sociale.
4.4. Ne´, per i servizi pubblici di importo inferiore alla
soglia comunitaria fissata dal D.Lgs. n. 157 del 1995, ovvero comunque sottratti, ratione materiae, all’applica- zione del D.Lgs. n. 157 del 1995, esiste nell’ordinamen- to interno una disciplina generale che imponga l’utilizzo dell’appalto ad evidenza pubblica in luogo della conces- sione intuitu personae, a differenza di quanto previsto, in- vece, per la realizzazione dei lavori pubblici: ne conse-
gue che per i servizi pubblici comunali non ricadenti nella sfera di applicazione del citato D.Lgs. n. 157 del 1995, i Comuni possono, in virtu` dell’art. 22, comma 3, lett. b), legge 8 giugno 1990, n. 142, affidare detti servizi mediante concessione anziche´ mediante appalto.
4.5. Neppure puo` ritenersi senz’altro applicabile, agli af- fidamenti di servizi pubblici sotto soglia comunitaria, la legge di contabilita` di Stato e il relativo regolamento, in quanto detta normativa riguarda precipuamente i contratti, e non le concessioni.
Ove vi sia una norma specifica (come nella specie l’art. 22, comma 3, lett. b), legge n. 142 del 1990) che con- sente l’utilizzo della concessione in luogo dell’appalto, non possono senz’altro trovare applicazione le procedure di evidenza pubblica per la scelta del contraente che ri- guardano solo i contratti, e non le concessioni.
Tuttavia l’utilizzo della concessione in luogo dell’appal- to, per i servizi per cui e` consentito, da un lato, non preclude ai Comuni, in via di autolimitazione della pro- pria discrezionalita`, di privilegiare il piu` garantista stru- mento dell’appalto di servizi, anche quando potrebbero legittimamente utilizzare la concessione di servizi.
Dall’altro lato, deve ritenersi, alla luce dei principi gene- rali di buona amministrazione e di imparzialita`, che l’amministrazione, anche dove possa utilizzare legittima- mente lo strumento della concessione di servizi, senza essere tenuta al rispetto delle regole dell’evidenza pub- blica, debba comunque rispettare il principio di concor- sualita`, facendo precedere l’affidamento in concessione da gare informali, volte a consultare una pluralita` di im- prenditori.
4.6. Alla luce delle considerazioni che precedono, deve ritenersi che, nel caso di specie, il servizio comunale di ricovero dei cani randagi potesse essere affidato median- te concessione anziche´ mediante appalto di servizi, sen- za necessita` di rispettare l’art. 41, R.D. n. 827 del 1924, che stabilisce i casi tassativi di ricorso alla trattativa pri- vata solo con riferimento agli appalti, e non anche con riferimento alle concessioni.
Nel caso di specie, l’amministrazione comunale ha ap- punto inteso porre in essere una concessione di servizio, anziche´ un appalto.
Prova ne sia che negli atti comunali si utilizza il termine
«convenzione», e che si e` in presenza di una tipica con- cessione-contratto, ossia di un atto concessorio cui acce- de una convenzione volta a regolare gli aspetti privati- stici del rapporto tra concedente e concessionario.
Il Comune ha anche osservato il principio di concor- sualita`, in quanto risulta dagli atti che prima di affidare il servizio ha tenuto conto anche dell’offerta fatta dal precedente affidatario del servizio in questione, e non la ha ritenuta conveniente.
4.7. Deve poi osservarsi che la legittimita` dell’utilizzo dello strumento concessorio in luogo dell’appalto di ser- vizi riguarda in senso proprio i servizi pubblici comunali, e non anche le attivita` imprenditoriali che il Comune puo` svolgere.
URBANISTICA E APPALTI 9/2001
1019
I servizi a carattere imprenditoriale, infatti, vanno affi- dati attraverso lo strumento dell’appalto, e non della concessione, non rientrando nell’ambito di applicazione dell’art. 22, legge n. 142 del 1990.
Con riferimento al servizio per cui e` processo, risulta che il Comune abbia affidato mediante concessione so- lo il servizio di ricovero e cura dei cani randagi, cioe` un servizio pubblico in senso stretto, di carattere socio-sani- tario e non lucrativo.
Ove invece il Comune intendesse anche affidare a terzi lo svolgimento, mediante strutture comunali, del servi- zio di ricovero a pagamento dei cani di proprieta` privata
(ai sensi dell’art. 2, comma 12, legge n. 281 del 1991), vale a dire un servizio imprenditoriale, si esulerebbe dal campo di applicazione della concessione di servizi, e sa- rebbe necessario l’utilizzo dello strumento dell’appalto di servizi.
5. Per quanto esposto, va accolto l’appello, e va respinto integralmente il ricorso di primo grado.
Appare equo, in considerazione della novita` delle que- stioni, compensare integralmente tra le parti le spese, i diritti e gli onorari di lite, in relazione ad entrambi i gradi di giudizio.
IL COMMENTO
di Xxxxxxxxx Xxxxxxxxxx e Xxxxxxx Xxxxxxx
Il fatto (1)
Il Comune di X. Xxxxxxx Xxxxx affidava, a trattativa privata, ad una societa` il servizio di ricovero e manteni- mento dei cani randagi accalappiati nel territorio comu- nale. L’ente nazionale per la protezione degli animali (ENPA), precedente affidatario del servizio, ricorreva innanzi al T.A.R. Lombardia lamentando da un lato il mancato svolgimento della gara per l’affidamento del servizio in questione; dall’altro, il mancato rispetto della legge n. 281/91 che, secondo la tesi del ricorrente, pre- vede un regime di esclusiva, in favore dei Comuni e de- gli enti e associazioni di protezione degli animali, per la gestione dei canili comunali.
Il T.A.R. adito accoglieva il secondo motivo di xx- xxxxx, giudicando assorbito il primo. Il Comune presen- tava appello avverso la decisione del T.A.R., contestan- done la ricostruzione in termini di specialita` della mate- ria relativa all’affidamento della gestione delle strutture in questione. Resisteva ovviamente l’ENPA, che ripro-
Infatti, la legge n. 281/91 avrebbe solo inteso amplia- re il novero dei soggetti abilitati a svolgere tale servizio rispetto all’art. 22 della legge n. 142/90, anziche´ restrin- gerlo fino a riservarlo esclusivamente in favore degli en- ti protezionistici. Sul punto, il Consiglio evidenzia che nessuna norma, tra quelle applicabili alla fattispecie, e` formulata in modo tale da far pensare ad un regime di esclusiva in favore di Xxxxxx o di enti protezionistici.
D’altra parte, l’esistenza di un simile regime richiede, ai sensi del gia` citato art. 22 della legge n. 142/90, un’e- spressa previsione di legge. Per di piu`, l’art. 1 della stessa legge stabilisce, al comma 3, che eventuali deroghe alle disposizioni in essa contenute debbano farsi in modo esplicito ed inequivocabile, mentre cio` non si rileva nella fattispecie in commento.
E` ben vero che tale ultima disposizione non si sot-
trae a critiche, dal momento che una fonte primaria non puo` condizionare fonti successive di pari rango, e pertanto non essere da queste disattesa. E` vero pero` an-
poneva altres`ı grado.
il motivo giudicato assorbito in primo
che che, come rileva il Consiglio, di fronte ad un dub- bio interpretativo, prevale quell’interpretazione che si ponga in termini di maggiore coerenza sistematica, al-
Sull’esistenza di un regime di esclusiva
Xxx` premesso, conviene esaminare il primo motivo di appello, che il Consiglio di Stato, a parere di chi scri- ve, ha affrontato e risolto in maniera senz’altro condivi- sibile.
Rileva infatti il Collegio che la materia e` disciplinata dall’art. 22 della legge n. 142/90, che prevede anche la concessione a terzi come strumento per l’affidamento della gestione dei servizi pubblici locali. Accanto a tale previsione, la legge n. 281/91 ha contemplato la possi- bilita` di gestire tali strutture anche da parte di enti ed associazioni di protezione degli animali.
Sulla presenza o meno di un regime di esclusiva del servizio di gestione del canile municipale in favore di enti ed associazioni protezionistiche il Consiglio di Sta- to si esprime negativamente.
l’interno del tessuto normativo nel suo complesso.
Proprio tale coerenza sistematica si rinviene, con ri- ferimento al caso di specie, nell’interpretazione resa dal Consiglio con la decisione in esame, dal momento che le disposizioni citate non sembrano potersi leggere in chiave di incompatibilita`, ma di piena complementarie- ta`.
Inoltre, esattamente il Collegio rileva che per un as- serito regime di esclusiva non sarebbe facile individuare una ratio convincente: non si vede infatti il motivo per
Nota:
(1) Premesso che le opinioni espresse in questo lavoro sono state elabora- te e condivise da entrambi gli autori, si sottolinea, ad ogni buon fine, che i paragrafi 1, 2, 4, 5 e 9 sono stati redatti da Xxxxxxxxx Xxxxxxxxxx, mentre i paragrafi 3, 6, 7 ed 8 sono stati redatti da Xxxxxxx Xxxxxxx.
1020
URBANISTICA E APPALTI 9/2001
cui solo i Comuni o gli enti protezionistici debbano es- sere i soggetti abilitati all’esercizio del servizio in questio- ne. A sostegno di questa lettura vi e` la circostanza che da un lato la gestione imprenditoriale di un servizio non e` incompatibile con le finalita` istituzionali sottese all’esercizio stesso, e che dall’altro le finalita` sociali e sa- nitarie cui il servizio in questione deve rispondere ven- gono comunque garantite dai controlli che la legge stes- sa prevede da parte dei servizi veterinari locali sulla sua gestione.
Individuazione del problema
I tratti piu` significativi della decisione oggetto del presente lavoro riguardano essenzialmente il secondo motivo di appello. In proposito, la sesta sezione del Consiglio di Stato ha stabilito che:
a) per l’affidamento a terzi della gestione di pubblici servizi i comuni hanno facolta` di ricorrere, alternativa- mente e indifferentemente, all’istituto della concessione ovvero a quello dell’appalto;
b) l’art. 22 della legge n. 142/90, che contempla an- che lo strumento concessorio per l’affidamento della ge- stione di pubblici servizi, non implica, a differenza del- l’appalto di servizi, il ricorso alle procedure ad evidenza pubblica;
c) per importi inferiori alla soglia comunitaria fissata dal D.Lgs. n. 157/95, «non esiste nell’ordinamento in- terno una disciplina generale che imponga l’utilizzo del- l’appalto ad evidenza pubblica in luogo della concessio- ne intuitu personae»;
d) allo stesso modo, per tali importi sottosoglia non deve ritenersi applicabile la legge di contabilita` generale dello Stato, che disciplina i contratti e non le conces- sioni.
Parallelamente, possono formularsi, in corrisponden- za di ogni singolo punto, alcune obiezioni, che nel pro- seguio della trattazione saranno piu` diffusamente affron- tate: a) l’affermazione in base alla quale e` possibile ricor- rere alternativamente all’appalto o alla concessione sembra non tenere conto della differenza - peraltro rece- pita in ambito comunitario - tra concessione di pubblici servizi (intesa quest’ultima come trasferimento da un soggetto pubblico ad uno privato di una funzione che abbia come destinatario un terzo soggetto, di solito la collettivita`) e appalto di servizi («privati»), che ha co- me beneficiario l’ente appaltante, ossia l’amministrazio- ne stessa. Nel caso di specie, trattandosi di un servizio, quale e` quello di gestione di un canile municipale, di si- curo rilievo sociale e sanitario - ed avente quindi indub- bia natura «pubblica» - lo strumento piu` idoneo non poteva che essere quello della concessione (di pubblico servizio);
b) la procedura di scelta del concessionario rappre- senta il cuore del problema. Come si vedra` anche in se- guito, si trattera` di stabilire se tale fase debba operarsi o meno nel rispetto delle procedure ad evidenza pubblica. Ad ogni modo, il ragionamento secondo il quale la
scelta del concessionario non richiede l’applicazione dei principi dell’evidenza pubblica - non essendo tale proce- dura contemplata espressamente dall’art. 22 della citata legge n. 142/90 - sembra non essere in linea con l’orien- tamento ormai consolidato, in dottrina e in giurispru- denza, che considera necessario e indefettibile il ricorso alla gara pubblica per la scelta del socio di minoranza delle societa` miste di cui al medesimo articolo;
c) il D.Lgs. n. 157/95 disciplina l’affidamento in ap- palto di servizi «privati», e non di servizi «pubblici». Per di piu`, l’asserita inesistenza di una normativa nazio- nale relativa alla scelta del concessionario di pubblici servizi sembra non tener conto dell’art. 267 della legge 1175/1931, che disciplina proprio tale aspetto;
d) contrariamente a quanto affermato dal giudice amministrativo, l’applicabilita` della disciplina di conta- bilita` pubblica risulterebbe pienamente coerente con quella tesi che, ormai da tempo, ha determinato il pas- saggio dall’idea di concessione-provvedimento a quella di concessione-contratto (2).
Posto che il problema non e` costituito dalla scelta tra appalto e concessione, ma tra procedura negoziata e procedura ad evidenza pubblica per la scelta del conces- sionario, ci si deve ora soffermare su tale ultimo aspetto.
E` possibile notare, in via preliminare, che mentre
per la concessione di opere pubbliche, intesa nelle pos- sibili configurazioni che essa puo` assumere (concessione di sola costruzione, di costruzione e gestione, di commit- tenza), il problema della scelta del contraente e` stato or- mai risolto, prima attraverso l’intervento comunitario, poi dall’elaborazione dottrinaria e giurisprudenziale e, infine, con gli ultimi sviluppi legislativi interni (legge n. 415/98), non cos`ı si puo` dire a proposito della scelta del concessionario di servizi.
La decisione in epigrafe si riallaccia all’esistenza - ai fini dell’affidamento di un pubblico servizio attraverso lo strumento concessorio - di un rapporto fiduciario tra amministrazione e concessionario, sicche´ essendo la concessione intuitu personae, non sarebbe concepibile l’applicazione dell’evidenza pubblica ai fini della scelta.
Detta impostazione risente della piu` tradizionale teo- ria pubblicistica della concessione, in base alla quale si esclude che si possa procedere all’aggiudicazione di un provvedimento amministrativo. In particolare, si e` so- stenuto che la natura della concessione amministrativa di pubblico servizio, comportando la sostituzione di un terzo all’amministrazione ed essendo tesa al persegui- mento di un fine pubblico, fa s`ı che l’amministrazione possa godere di una certa liberta` e discrezionalita` nella scelta del soggetto cui affidare il servizio in concessione. Appare utile, a questo punto, delineare brevemente,
Nota:
(2) Nella stessa decisione, tra l’altro, si fa espressamente richiamo alla no- zione di concessione contratto, ossia di un atto concessorio cui accede una convenzione volta a regolare gli aspetti privatistici del rapporto tra concedente e concessionario.
URBANISTICA E APPALTI 9/2001
1021
dopo una breve riflessione sulla nozione di servizio pub- blico, i caratteri essenziali dell’istituto della concessione, soffermandoci in particolare su quello che e` stato l’am- xxx xxxxxxxxx dottrinale e giurisprudenziale sulla sua na- tura giuridica. Nei paragrafi successivi, si analizzera` inol- tre la questione relativa alla scelta del concessionario sia sotto il profilo comunitario, sia sotto quello piu` propria- mente interno.
Riflessioni sul significato di servizio pubblico
La questione dell’individuazione di una definizione giuridicamente soddisfacente di servizio pubblico richie- de di prendere le mosse da una nozione piu` generica di servizio: questa sottintende un’attivita` economica che si caratterizza, per quanto qui interessa, per la differenzia- zione da quelle che formano il tradizionale oggetto del- l’attivita` contrattuale della pubblica amministrazione, e cioe` le forniture ed i lavori.
Con riferimento a questi ultimi, non vi e` dubbio che la scelta del contraente privato vada effettuata secondo le regole dell’evidenza pubblica, e cio` non tanto (o non soltanto) per una scelta positiva dell’ordinamento, sia nazionale che comunitario, quanto per una logica con- seguenza dell’essere, sia le forniture che i lavori, attivita` oggetto di scambi di mercato sia dal lato della domanda che dal lato dell’offerta.
In altre parole, forniture e lavori sono, pur nella di- versita` dei singoli oggetti contrattuali, entrambi ricon- ducibili al funzionamento di meccanismi di domanda e di offerta in relazione ai quali la pubblica amministrazio- ne non dispone di alcuna «rendita di posizione» sui ri- spettivi mercati, ed e` quindi costretta a parteciparvi in concorrenza con tutti gli altri soggetti, pubblici e privati, che nello stesso momento chiedono ed offrono tali pre- stazioni.
Cio` posto, si deve riconoscere che la categoria «ser- vizi» si atteggia in modo affatto diverso, in primo luogo per la molteplicita` di prestazioni che in essa rientrano, e che non sono facilmente riconducibili ad unita`. Vi sono infatti servizi la cui prestazione avviene in regime di mercato, ed altri per i quali vige un inevitabile mono- polio; vi sono quelli che devono necessariamente essere prestati dalla pubblica amministrazione e quelli che pos- sono esserlo anche da soggetti privati; esistono servizi per i quali e` il beneficiario stesso che sceglie di goderne (servizi «a domanda individuale»), e servizi dei quali tutti usufruiscono a prescindere da un atto volontario in tal senso (servizi «ad uso collettivo»).
Tradizionalmente, servizi pubblici sono stati ritenuti quelli per la prestazione dei quali non esiste un mercato, ma una situazione di monopolio, naturale o legale. Se- nonche´, anche sulla spinta della legislazione comunita- ria, sempre attenta ad evitare ostacoli al libero esplicarsi delle attivita` economiche, il novero dei servizi per i quali si riconosce estraneo ogni elemento concorrenziale e` andato sempre piu` diminuendo, tanto da rendere in- soddisfacente una definizione di pubblico servizio basata
sulla situazione di mercato, per le ragioni che saranno meglio esaminate nel prosieguo dell’analisi.
Altrettanto insoddisfacente allo scopo si mostra l’ap- plicazione di un criterio distintivo «soggettivo», basato sull’esistenza di un qualche ruolo rivestito dalla pubblica amministrazione nella prestazione o nell’approvvigiona- mento del servizio. Non si deve dimenticare, infatti, che la p.a., oltre ad essere un prestatore di servizi, ne e` anche fruitore, senza che per questo i servizi di cui essa gode possano essere qualificati come pubblici in virtu` della sua mera partecipazione al rapporto che viene ad instaurarsi.
In tale ambito cos`ı complesso, un elemento partico-
larmente significativo al fine dell’identificazione della specie «servizio pubblico» all’interno del genere «servi- zio» sembra essere costituito dal destinatario di questo. Infatti, non sembra possa parlarsi di servizio pubblico se l’attivita` richiesta dall’amministrazione risulta diretta a soddisfare un’esigenza propria di questa: si avra` in tale ipotesi, quindi, un servizio prestato ad un soggetto pub- blico, non un servizio pubblico. Se invece l’attivita` ri- chiesta dall’amministrazione e` diretta a soddisfare le esi- genze della collettivita`, ci si trovera` in presenza di un servizio pubblico (3).
Nel primo caso, e` evidente che la pubblica ammini- strazione, nel richiedere il servizio per se´, non si diffe- renzia da un qualsiasi altro soggetto che si approvvigio- na dello stesso servizio sul mercato, e dunque non vi sa- rebbe motivo per introdurre nel rapporto con il fornito- re elementi autoritativi tipicamente pubblicistici. Cos`ı, l’affidamento del servizio di pulizia degli uffici non diffe- risce in nulla se a richiederlo e` un imprenditore privato ovvero la p.a., e pertanto il detto affidamento avverra` secondo i normali schemi contrattuali (4). Con riferi- mento alla pubblica amministrazione cio` significa che dovra` farsi luogo ad un contratto di appalto (di servizi), con le consuete procedure ad evidenza pubblica.
La situazione e` meno chiara nel secondo caso, quello in cui i destinatari del servizio richiesto dalla p.a. si identificano con i membri della collettivita` sociale. In questa ipotesi, in cui l’amministrazione agisce per il sod- disfacimento dell’interesse pubblico ad essa affidato, ben si giustifica il ricorso ai poteri pubblicistici, e si pongono dunque sia il problema delle modalita` di affidamento che quello dell’individuazione del gestore.
Tali problemi vengono tradizionalmente superati
Note:
(3) Cfr. A. Romano, Profili della concessione di pubblici servizi, in Dir. Amm., 1994, 459, il quale osserva che le prestazioni nelle quali i servizi pubblici da concedere si risolvono, devono essere offerte, e comunque ri- volte al pubblico, e non all’amministrazione: «Da questo punto di vista, l’aggettivo pubblico attribuito al sostantivo servizio, acquista qui il signifi- cato di a disposizione del pubblico».
(4) Distingue efficacemente tra servizi «pubblici» (nell’interesse del pub- blico) e servizi «privati» (nell’interesse della p.a.) A. Police, La concessione di servizi pubblici: regole di concorrenza e «privilegi» dell’amministrazione, in Riv. Trim. Appalti, 1995, 361.
1022
URBANISTICA E APPALTI 9/2001
mediante il ricorso ad una concessione (di servizi), nel- l’ambito della quale il concessionario, che si asserisce debba essere scelto intuitu personae, concorda con l’am- ministrazione, per mezzo di uno strumento convenzio- nale accessivo al provvedimento amministrativo, moda- lita`, termini e livello qualitativo della prestazione del servizio.
In altre parole, la distinzione secondo i destinatari conduce ad una differenziazione di strumenti per l’affi- damento della gestione del servizio: nel primo caso, in cui destinatario e` una pubblica amministrazione, si fara` luogo ad un appalto; nel secondo caso, ove destinatario e` la collettivita`, ad una concessione.
Lo strumento adottato per l’affidamento del servizio, come meglio si vedra` in seguito, dipende anche dalla si- tuazione di mercato in cui opera il servizio stesso: qualo- ra ci si trovi dinanzi ad un contesto monopolistico (si veda anche la questione degli «organismi di diritto pub- blico»), si ricorrera` all’affidamento diretto tramite con- cessione (cui accede lo strumento negoziale della con- venzione); nel caso in cui, al contrario, il servizio dovra` essere prestato in un regime di libero mercato, il rispetto dei principi di imparzialita` e buon andamento imporra` il ricorso al confronto concorrenziale tra le diverse op- zioni disponibili, ai fine della scelta del contraente, e quindi all’appalto.
La natura giuridica della concessione di pubblico servizio
Al riguardo, conviene esaminare in primo luogo, sia pure per cenni, la natura giuridica dell’atto di concessio- ne di un pubblico servizio. Ci si chiede, in altre parole, se esso costituisca una delle possibili modalita` organizza- torie utilizzate per la gestione di un servizio pubblico che spetterebbe alla pubblica amministrazione prestare (secondo un’ipotesi di trasferimento di pubbliche fun- zioni, che renderebbe quindi il concessionario un orga- no indiretto della p.a.), ovvero se esso costituisca un’e- splicazione dell’autonomia negoziale della stessa pubbli- ca amministrazione. Si deve rilevare in proposito che la dottrina ha presentato in tempi recenti, anche sulla scorta dei nuovi modelli di concessione affermatisi nella pratica, un notevole ripensamento dell’istituto, che ha portato da un’iniziale ricostruzione in termini organizza- tori ad un’analisi volta a valorizzare i momenti negoziali sempre piu` presenti e significativi.
Nel quadro tradizionale, infatti, il concessionario si
vedrebbe attribuire, con il provvedimento concessorio, l’esercizio di competenze di cui e` titolare l’amministra- zione concedente. Cio` potrebbe avvenire, evidentemen- te, solo nei casi in cui l’oggetto della concessione, e cioe` il servizio pubblico, sia un’attivita` in qualche modo ri- servata alla p.a., per esempio in virtu` di un monopolio di diritto o naturale, ovvero consista in funzioni pubbli- che, poteri o compiti comunque attribuiti in via esclusi- va alla stessa amministrazione. Il concessionario, quindi, si sostituirebbe alla p.a. nell’esercizio di tali attivita`, e di
qui discenderebbe la natura organizzatoria del provvedi- mento di concessione (5).
In altri termini, l’amministrazione concedente effet- tuerebbe una valutazione circa le modalita` piu` idonee per il perseguimento dell’interesse pubblico ad essa affi- dato, e da tale valutazione risulterebbe l’opportunita` di affidare ad un privato l’esercizio delle attivita` specifiche in cui l’interesse medesimo si compendia. Poiche´, peral- tro, la pubblica amministrazione non perde la titolarita` delle competenze concesse, e continua ad assicurare, sia pure mediatamente, lo svolgimento del servizio pubbli- co, ne deriverebbe che il privato concessionario - pur agendo nel proprio interesse - assumerebbe la veste di
«organo», sia pur «indiretto», dell’amministrazione.
E` evidente che, cos`ı ricostruita la vicenda, l’atto di
concessione non puo` essere altro che un provvedimento autoritativo con il quale l’amministrazione, ampliando unilateralmente la sfera soggettiva del concessionario, gli attribuisce poteri e facolta` ad essa originariamente appartenenti, al fine di prestare nel modo migliore il servizio pubblico oggetto della concessione.
La situazione sembra atteggiarsi in modo del tutto di- verso se, come la dottrina e la giurisprudenza piu` sensi- bili hanno evidenziato, si considera l’importanza che nel rapporto concessorio assume la convenzione che ac- cede all’atto amministrativo.
Il rapporto tra i due atti, quello pubblicistico e quello iure privatorum, e` infatti il punto focale per intendere esattamente la natura della concessione di pubblico ser- vizio. Al riguardo, come si e` detto, la tendenza e` quella di ribaltare, in esito all’analisi dell’istituto, la concezione tradizionale sopra delineata.
Non sembra essere dubbio, comunque, che il rappor- to che si instaura tra amministrazione pubblica e con- cessionario debba trovare la sua fonte in primo luogo in un’espressione della potesta` amministrativa, sicche´ la sua caducazione determinerebbe comunque l’estinzione del rapporto concessorio, a prescindere dalla sussistenza e validita` della convenzione accessiva. Una volta in- staurato il rapporto concessorio, peraltro, esso appare costituito da un complesso eterogeneo di reciproche ob- bligazioni, nascenti e dall’atto amministrativo e da quel- lo convenzionale.
In considerazione di cio`, la dottrina prevalente sem-
bra accogliere l’idea che la concessione di servizio pub- blico realizzi, nel suo svolgersi, un rapporto a carattere sinallagmatico tra p.a. e concessionario, sinallagma ulte- riormente evidenziato dalla circostanza che l’accordo ac- cessivo possa costituire, eventualmente, un limite per il successivo esercizio di potesta` amministrative (cui l’am-
Nota:
(5) Per una disamina delle varie posizioni della dottrina si veda, tra gli al- tri, X. Xxxxxxxx, Servizi pubblici e scelta del concessionario, in Dir. Amm., 1993, 367, che propende comunque per la natura di provvedimento orga- nizzatorio della concessione.
URBANISTICA E APPALTI 9/2001
1023
ministrazione concedente si obblighi, ad esempio, a non ricorrere).
Il rapporto sinallagmatico, inoltre, sembra rappresen- tare il vero fondamento dell’istituto, dal momento che in tanto l’amministrazione attribuisce al privato la ge- stione di un pubblico servizio in quanto questi assuma specifici obblighi in relazione alla tempestivita`, alla con- tinuita` ed alla qualita` della prestazione del servizio stes- so, nonche´ all’adempimento di quanto altro convenzio- nalmente stabilito. Dall’altro lato, ovviamente, il con- cessionario accetta tali obblighi in considerazione della possibilita` di conseguire un profitto dalla gestione cui si impegna.
Solo una ricostruzione in termini convenzionali, co- me e` stato rilevato, rende conto della complessita` dei rapporti sottesi alla concessione di pubblico servizio, ga-
rantendone l’equilibrio complessivo (6).
Secondo l’impostazione in esame, quindi, non e` ipo- tizzabile una ricostruzione della concessione in termini di atto amministrativo unilaterale e autoritativo. Infatti, poiche´ esso e` privo di effetti se considerato separata- mente dalla convenzione accessiva, ne deriva la carenza di autoritativita`; se considerato come contributo voliti- vo dell’amministrazione nella formazione dell’accordo, invece, perderebbe il carattere di unilateralita`. Si deve allora concludere che la fattispecie prevede un’unica re- golamentazione negoziale e bilaterale del rapporto (la convenzione), nel cui ambito confluiscono, sia pure sul- la base di posizioni diverse, sia la volonta` dell’ammini- strazione che quella del privato (7).
Per completezza, si deve esaminare la ricostruzione che parte della dottrina effettua della concessione di pubblico servizio in termini di contratto ad oggetto pub- blico: secondo tale ricostruzione, l’ipotesi del contratto ad oggetto pubblico rappresenta una soluzione interme- dia tra le due finora analizzate (8).
Si deve considerare, infatti, che l’attribuzione di rile- vanza fondamentale al momento convenzionale del rap- porto concessorio ha come conseguenza necessaria la costruzione del rapporto stesso come sostanzialmente paritario tra i contraenti, il che rappresenta, ovviamen- te, un incremento significativo nella garanzia della posi- zione del concessionario nei confronti della p.a..
Specularmente, la ricostruzione del rapporto conces- sorio in termini unilaterali ed autoritativi ha l’effetto di rendere la stessa p.a. il vero dominus della situazione, che verrebbe in pratica a svolgersi esclusivamente in ambito pubblicistico.
Secondo la posizione in esame, la teoria della con- cessione come contratto ad oggetto pubblico ha trovato la propria consacrazione nell’istituzionalizzazione dei
«contratti amministrativi» operata dal disposto dell’art. 11 della legge n. 241/90.
Il discorso finora condotto sul piano dogmatico non e` privo di conseguenze concrete: e` del tutto evidente, infatti, che la ricostruzione «contrattuale» della conces- sione di pubblico servizio pone, immediatamente e ne-
cessariamente, il problema delle modalita` per la scelta del concessionario.
La concessione nel diritto comunitario
Relativamente alla nozione giuridica dell’istituto della concessione e alle connesse modalita` di scelta del concessionario, si deve tracciare una prima di- stinzione tra diritto comunitario e diritto interno. L’ordinamento comunitario ha affrontato la que- stione relativa alla prestazione di servizi con la di- rettiva 92/50, recepita nel nostro ordinamento con il decreto legislativo n. 157/95.
La proposta originaria della direttiva servizi 92/50/ CEE presentata dalla Commissione (9), conteneva al- cune disposizioni relative anche alle concessioni di ser- vizi. Esso veniva descritto come «un contratto, diverso dalla concessione di lavori pubblici ai sensi dell’art. 1, lett. d) della direttiva 71/305/CEE, concluso tra un’am- ministrazione ed un ente di sua scelta, in forza del quale l’amministrazione demanda all’ente l’esecuzione di un servizio al pubblico di sua competenza e l’ente accetta di svolgere tale attivita` avendo come corrispettivo il di- ritto di sfruttare il servizio oppure tale diritto accompa- gnato da una controprestazione pecuniaria». Tale pro- posta, tuttavia, non fu recepita a causa dell’opposizione di molti degli stati membri.
La direttiva «servizi» non si applica pertanto ai rap- porti in virtu` dei quali un’amministrazione pubblica tra- sferisce l’esecuzione di un servizio pubblico di sua com- petenza ad un’impresa di sua scelta; ne deriva che tale istituto, almeno a livello comunitario, non gode di una adeguata «copertura normativa» (10).
Per sopperire a tale tipo di carenza e` intervenuta, a
piu` riprese (24 febbraio 1999 e, da ultimo, 12 aprile 2000), la Commissione dell’Unione Europea, attraverso l’adozione di alcuni progetti di comunicazione interpre- tativa.
Note:
(6) X. Xxxxx, Gli appalti pubblici di servizi e le concessioni di pubblico servizio, in F. Mastragostino (a cura di), Appalti pubblici di servizi e concessioni di ser- vizio pubblico, Padova 1998, 21.
(7) X. Xxxxx, Le concessioni di pubblici servizi tra provvedimento e contratto, in Dir. Amm., 1999, 381.
(8) X. Xxxxxxx, La concessione di pubblico servizio come provvedimento a con- tenuto convenzionalmente determinato. Un nuovo modello per uno strumento antico, in Diritto Pubblico, 1995, 567.
(9) COM (90) 372 def. SYN. Del 6 dicembre 1990. In realta`, secondo alcuni autori (Xxxxx), l’applicazione della direttiva in esame si riferisce ai
«contratti a titolo oneroso stipulati in forma scritta tra un prestatore di servizi e un’amministrazione aggiudicatrice»; xxxxxx, un’interpretazione letterale di questa definizione potrebbe anche portare ad includervi il c.d.
«contratto di concessione», essendo quest’ultimo stipulato a titolo oneroso e in forma scritta. Siffatta impostazione comporterebbe che l’attribuzione di una concessione di servizi sia soggetta alla totalita` delle disposizioni pre- viste dalla direttiva 92/50/CEE.
(10) X. Xxxxx, Appalti, servizi pubblici e concessioni. Procedure di gara, tute- la amministrativa e processuale a livello comunitario e nazionale, Padova, 1999, 440.
1024
URBANISTICA E APPALTI 9/2001
In sintesi, la posizione della Commissione puo` essere cos`ı riassunta: in primo luogo, ci si propone di precisare il regime giuridico applicabile, allo stato attuale del di- ritto comunitario, alle concessioni. Al riguardo, si am- mette la distinzione tra appalti e concessioni di servi- zi (11), fondata su un complesso di criteri, tra cui il piu` importante e` costituito da quello del destinatario o be- neficiario del servizio reso: mentre nel caso degli appalti il beneficiario del servizio reso e` ritenuto essere lo stesso ente appaltante, «nel caso della concessione il benefi- ciario del servizio e` un terzo estraneo al rapporto con- trattuale, di norma la collettivita`, che riceve la presta- zione e che paga, in relazione al servizio ricevuto, un corrispettivo» (12). Per di piu`, come la concessione di lavori, anche la concessione di servizi e` caratterizzata da un trasferimento del rischio e della responsabilita` di ge- stione.
In secondo luogo, per quanto il concedente sia libe- ro nella scelta delle forme procedurali di individuazione del concessionario, si ritiene che tale liberta` non sia in- condizionata, ma incontri i limiti indicati dalle norme del Trattato in materia di libera prestazione di servizi e dai principi generali del diritto comunitario, quali la non discriminazione, la parita` di trattamento, la traspa- renza e il reciproco riconoscimento. In proposito, e` stato affermato che la concessione deve essere attribuita sulla base di criteri obiettivi e trasparenti, tali da assicurare in ogni caso la concorrenza fra i soggetti interessati alla concessione. Il che comporta a volte l’applicazione, per la scelta del concessionario, delle stesse procedure previ- ste dalle direttive Appalti, in tema di forniture, servizi o lavori, in quanto tali da garantire la scelta migliore.
In terzo luogo, «gli elementi distintivi propri della nozione di concessione di lavori, quale definita dal legi- slatore comunitario nella direttiva 93/37/CEE (ed a cui si estende il regime giuridico previsto per gli appalti di lavori), sono comuni anche alla concessione di servizi.
In conclusione, il diritto comunitario impone che la concessione nel settore dei servizi pubblici venga attri- buita in seguito ad una procedura (che potra` talora coincidere, se ritenuto opportuno, con quella prevista
nerale - anche se successivamente talvolta derogata per singoli settori di servizio - diretta a stabilire, in materia di servizi pubblici locali, che le concessioni «devono, di regola, essere precedute da asta pubblica. Tuttavia, quando circostanze speciali in rapporto alla natura dei servizi lo consigliano, il prefetto puo` consentire che i contratti seguano al licitazione privata o a trattativa pri- vata» (art. 267 T.U. 1175/1931).
Tale impostazione risulta suffragata da quell’orienta- mento in virtu` del quale e` stato rilevata l’illegittimita` dell’operato della Pubblica Amministrazione che ha im- motivatamente optato, ai fini della scelta del concessio- nario, per la trattativa privata e non invece per quella dell’asta pubblica, come espressamente previsto dal combinato disposto degli artt. 267 e 265 T.U. 14 set- tembre 1931, n. 1175 e dell’art. 26 T.U. 15 ottobre 1925, n. 2578 (14) (per la verita`, attenendosi al tenore letterale di quest’ultima disposizione, i servizi di canilato non compaiono all’interno dell’elenco dei servizi comu- nali).
La giurisprudenza amministrativa ha spesso fatto ri- corso all’applicazione di tale complesso normativo, so- stenendo che «ai sensi del combinato disposto del X.X. 00 settembre 1931, n. 1175 e del X.X. 00 ottobre 1925,
n. 2578, nel campo dei servizi pubblici e` escluso che la concessione e l’appalto siano due istituti inconciliabili, risultando al contrario prescritto che per i servizi di competenza comunale il rapporto concessorio deve co- stituirsi a mezzo di contratto, al quale si deve addivenire a seguito di tipico procedimento di evidenza pubbli- ca» (15).
Profili giurisprudenziali e dottrinali
Non mancano in dottrina orientamenti favorevoli, in sostanza, a quello adottato dal Consiglio di Stato con la presente decisione che in questa sede si commenta; in particolare, alcuni autori ribadiscono il carattere fidu- ciario della concessione, da cui discenderebbe una certa liberta`, e quindi di discrezionalita`, da parte dell’ammini- strazione nella scelta del soggetto concessionario (16).
dalla «direttiva servizi», pur non essendo da questa for-
malmente disciplinata) che preveda un confronto con- correnziale fra i concorrenti interessati e che sia caratte- rizzata da una adeguata pubblicita`, concorrenza, obietti- vita` e non discriminazione (13).
La concessione nel dibattito «interno»: profili normativi
Laddove il giudice amministrativo, nella decisione in commento, denuncia l’inesistenza di una disciplina ge- nerale nazionale che imponga l’utilizzo di procedure ad evidenza pubblica per la scelta del concessionario di ser- vizi, si deve tuttavia rilevare che, anche sulla falsariga di dottrina e giurisprudenza consolidate, tali aspetti risulta- no positivamente disciplinati dal R.D. 1175/29, dove all’art. 267 e` prevista una disciplina tendenzialmente ge-
Note:
(11) In dottrina (Police, La concessione, cit.) si distingue anche tra servizi pubblici (resi, per conto dell’amministrazione, alla collettivita`) e servizi «pri- vati» (resi per soddisfare i bisogni propri delle amministrazioni pubbliche).
(12) Conclusioni dell’Avvocato generale La Pergola nella causa C 360/ 96.
(13) X. Xxxxx, Appalti, cit., 444.
(14) T.A.R. Lombardia, Brescia, 27 ottobre 1992, n. 1138, in Giur. It., 1992, 863; T.A.R. Sardegna, 17 marzo 0000, x. 000, xx XXX, 0000, X, 0000.
(15) T.A.R. Piemonte, sez. II, 11 aprile 1995, n. 235, in Foro Amm., 1995, 1946.
(16) X. Xxxxxxxx, Servizi pubblici e scelta del concessionario, in Dir. Amm., 1993, 392. Lo stesso Autore, dopo avere esposto la tesi contraria, sembra pero` aderire, in un momento successivo e con diverse considerazioni, alla tesi favorevole all’adozione delle regole dell’evidenza pubblica.
URBANISTICA E APPALTI 9/2001
1025
Tale impostazione si ricollega al silenzio serbato dalla normativa di contabilita` generale dello Stato relativa- mente alla scelta del concessionario, da interpretare co- me implicito riconoscimento di potere discrezionale in capo all’amministrazione (17).
Secondo autorevole dottrina (18), tuttavia, costitui- sce principio generale quello per cui l’affidamento del pubblico servizio debba «rispettare il principio della concorsualita` e della par condicio». In particolare, trat- tandosi di esercizio di potesta` essenzialmente ampliativa, normalmente appetibile da una pluralita` di imprendito- ri, tale necessita` scaturisce dai ben noti principi costitu- zionali di imparzialita` e buon andamento.
In proposito, la giurisprudenza amministrativa ha
manifestato in piu` occasioni la tendenza a privilegiare gli aspetti relativi alla procedimentalizzazione della scel- ta del concessionario. E` stato infatti sostenuto che, «pur
essendo comunemente affermato che in materia di affi- damento di una concessione non trovano applicazione le procedure di contabilita` pubblica per la scelta del contraente, tale affermazione non assurge a principio ge- nerale ed anzi comincia ad essere progressivamente de- rogata dal diritto comunitario e dal principio della tra- sparenza dell’azione amministrativa» (19).
E` stato inoltre affermato che «nell’ambito della scel-
ta del soggetto privato cui affidare una concessione per la distribuzione del gas, i soggetti operanti nel medesimo settore economico, sia che abbiano o che non abbiano potuto partecipare al procedimento, sono titolari di un interesse strumentale ad impugnare l’affidamento, ad ot- tenerne l’annullamento ed a far indire una gara pubbli- ca per l’affidamento del servizio» (20).
Ed ancora, si e` ritenuta «illegittima l’attribuzione da parte di un comune di un pubblico servizio in conces- sione attraverso la trattativa privata, in assenza di speci- fiche e motivate ragioni che sconsiglino l’utilizzo di pro- cedure concorsuali» (21).
Sul tema e` intervenuta anche l’Autorita` Garante della Concorrenza e del Mercato la quale, con la deci- sione AS125 del 26 febbraio 1998 (22), ha sottolineato che pure in tema di concessioni di servizi «il ricorso a meccanismi di gara puo` rappresentare uno strumento appropriato, ove opportunamente congegnato, per indi- viduare configurazioni di mercato efficienti ... Soprattut- to, l’Autorita` ritiene opportuno sottolineare come gli obiettivi di efficacia, efficienza ed economicita` e l’auspi- cata riduzione del volume dei sussidi possono essere rag- giunti laddove i bisogni collettivi di mobilita` siano sod- disfatti da imprese selezionate attraverso periodici mec- canismi di gara (c.d. «concorrenza per il mercato», cui si accompagnerebbe una «concorrenza nel mercato», connessa alla presenza di piu` gestori del medesimo servi- zio). Al riguardo, si e` ritenuto che, anche per l’affida- mento di concessioni di pubblici servizi, «si va affer- mando l’esigenza che, per una corretta allocazione delle risorse, la concessione sia assegnata in base a gara, sup- plendo cos`ı, con la concorrenza per il mercato, l’assenza
o la compressione della concorrenza nel mercato, una volta affidata la concessione, a titolo riservato o meno». Le conseguenze che possono trarsi da tali posizioni della giurisprudenza e della dottrina sono le seguenti: in primo luogo, si ravvisa il tentativo di tracciare un paral- lelismo tra il percorso nazionale e quello comunitario, a proposito del processo logico-interpretativo diretto a ri- costruire un sistema di analogie (si vedano le considera- zioni gia` svolte in precedenza al paragrafo ) tra appal-
to di lavori e concessione di lavori da un lato, e tra concessioni di lavori e concessioni di servizi dall’altro.
In secondo luogo, comincia a farsi strada un orienta- mento piuttosto consolidato in base al quale i principi di buon andamento ed imparzialita` dell’azione ammini- strativa impongono che anche nelle concessioni di pub- blici servizi, pur ove non sia prescritto uno specifico procedimento concorsuale, la Pubblica Amministrazio- ne sia tenuta a ricercare e comparare posizioni ed offerte diverse, al fine di poter consentire l’individuazione tra piu` aspiranti del soggetto ritenuto piu` rispondente alla convenienza amministrativa (23), dovendo essere il piu` possibile limitato il ricorso alla trattativa privata (24). In altre parole, la p.a. e` tenuta a garantire la continuita` e stabilita` del servizio pubblico: il profilo organizzativo e` rilevante per dimostrare che la stessa, nel concedere mediante concessione la gestione o l’erogazione di beni e servizi, non fa altro che trasferire una vera e propria attivita` economica organizzata (e tale era da considerare il servizio da affidare nel caso di specie) e come tale de- ve essere fatta in regime di concorrenza, soprattutto per una migliore allocazione delle risorse a vantaggio dei consumatori, sotto il profilo di efficienza e buon anda- mento della p.a.
In terzo luogo, e sulla falsariga di quanto gia` esposto
in precedenza, sembra potersi affermare che la soluzione del problema relativo alle modalita` di scelta del conces- sionario di pubblici servizi si atteggia diversamente a se- conda se, nell’ambito della fattispecie concessoria, ven- ga data prevalenza alla natura o, quantomeno, all’aspet-
Note:
(17) X. Xxxxxxxx, Servizi pubblici, cit., 403.
(18) X. Xxxxx, Appalti di servizi,cit., 27.
(19) Cons. Stato, sez. IV, 30 marzo 1993, n. 362, in Giur. It., 1993, 609. Sul punto, si vedano anche: T.A.R. Liguria, 4 marzo 1986, n. 73, in Quad. reg., 1986, 366; T.A.R. Sicilia, sez. I, 24 agosto 0000, x. 000, xx XXX, 0000, X, 0000.
(20) Cons. Stato, sez. V, 23 aprile 1998, n. 475, in Giust. Civ., 1998, 2668.
(21) T.A.R. Lombardia, Brescia, 18 ottobre 1996, n. 261, in Giust. Civ., 1996, I, 870.
(22) Bollettino AGCM n. 8/98.
(23) Cons. Stato, sez. V, 20 maggio 1992, n. 441.
(24) Cfr. T.A.R. Lombardia, sez. I, 8 giugno 1988, n. 767, in Riv. Trim. App., 1988, 1041; T.A.R. Lazio, sez. I, 8 aprile 0000, x. 000, xx XXX, 0000, X, 0000; Cons. Stato, sez. VI, 22 ottobre 1971, n. 749, in Cons. Sta- to, 1971, I, 1898.
1026
URBANISTICA E APPALTI 9/2001
to contrattuale della concessione, con conseguente ap- plicazione delle norme di contabilita` pubblica sulla scel- ta del contraente (legge n. 2440/1923 e regolamento di attuazione n. 827/1924), oppure sul preminente caratte- re provvedimentale, con conseguente inapplicabilita` della predetta normativa.
Tale argomento appare decisivo laddove anche la dottrina contraria, in via di principio, all’estensione dei criteri dell’evidenza pubblica ammette l’applicazione in via analogica di detti principi qualora si configurasse in termini privatistici, o meglio contrattuali, la fattispecie concessoria (25).
In altre parole, una volta ricondotta la figura della concessione al modello contrattuale, non vi e` motivo per cui negare l’attribuzione a tale istituto delle stesse caratteristiche del contratto di appalto. In questo modo, si potrebbe sostenere la non necessarieta` di una norma di estensione della disciplina dell’appalto alla concessio- ne, data la fondamentale rilevanza, in entrambe le figu- re, degli aspetti negoziali. Cio` naturalmente nella misura in cui si ammetta una rivisitazione dell’istituto della fi- gura della concessione e del suo carattere autoritativo, in quanto riconducibile ai modelli consensuali e privati- stici applicati dall’amministrazione per l’esplicarsi della propria azione (26).
A conferma di tali orientamenti si colloca la posizio- ne recentemente espressa dalla Corte Costituzionale, se- condo il cui parere, qualora non sia dubbia in linea di principio la diversita` tra appalto di opere pubbliche e concessione di pubblico servizio, non puo` negarsi che anche le concessioni di pubblico servizio partecipano ad una regolamentazione c.d. «contrattuale» del contenuto dell’attivita` devoluta all’imprenditore privato; «regola- mentazione che, nell’introdurre elementi di disciplina del diritto comune, si pone, gia` di per se´, in funzione la- tamente assimilativa tra le due figure». Continua il giu- dice costituzionale, sostenendo che «inoltre, anche se pertiene indefettibilmente all’appalto il profilo, istituzio- nalizzato, della scelta del contraente, finalizzata alla mi- gliore realizzazione dell’interesse pubblico, secondo i principi della concorrenza tra imprenditori (per ottenere la pubblica amministrazione le condizioni piu` favorevo- li) e della parita` di trattamento dei concorrenti nella ga- ra (per assicurare il miglior risultato della procedura concorsuale senza alterazioni e/o turbative), non si puo`
ge la ricerca di modalita` di esercizio del potere che assi- curino efficienza e adeguatezza dell’azione allo scopo pubblico, e cioe`, con riferimento alla scelta del conces- sionario, quanto meno l’applicazione della regola di concorsualita` (29).
Concessione di pubblico servizio e mercato
Come si e` visto finora, la questione relativa alla scel- ta del concessionario, ossia se questo momento debba o meno osservare un confronto di tipo concorrenziale, sembra trovare una soluzione affermativa sotto il profilo del diritto positivo, sia con riferimento all’ordinamento comunitario che a quello nazionale.
Ulteriori indicazioni in tal senso possono essere rica- vate da quanto a suo tempo rilevato in ordine alla natu- ra giuridica della concessione di pubblico servizio, so- prattutto in relazione all’indistinguibilita` del profilo con- venzionale-privatistico rispetto a quello pubblicistico- amministrativo.
Infatti, come ha evidenziato parte della dottri- na (30), se nel rapporto concessorio la convenzione ac- cessiva disciplina su un piano paritario le modalita` di prestazione del servizio e le reciproche obbligazioni as- sunte dalla p.a. concedente e dal privato concessionario, cio` e` possibile solo in quanto il trasferimento di funzioni pubbliche dalla prima al secondo non rappresenta una caratteristica indefettibile dell’atto di concessione, ma una mera eventualita` con un campo di applicazione sempre piu` eroso sia dall’azione dell’ordinamento comu- nitario che dall’attenta lettura di quello nazionale.
Allo stesso modo, il carattere monopolistico della prestazione del servizio non puo` piu` ritenersi un ele- mento fondante del rapporto concessorio, risultando co- s`ı confermato, sul piano della generalita` e dell’astrattez- za, il riconoscimento della titolarita` in capo a tutti i sog- getti dell’ordinamento della liberta` di iniziativa econo- mica privata effettuato dall’art. 41 della Costituzione.
Con questo non si vuole dire che i servizi pubblici, soprattutto quelli che si sono definiti in precedenza ad uso collettivo, non debbano essere generalmente presta- ti in regime di monopolio. Si vuole peraltro affermare che tale monopolio non discende dall’essere tali servizi oggetto di esclusiva in favore della p.a., bens`ı deriva dalle modalita` concrete di svolgimento degli stessi (si pensi in proposito alla raccolta dei rifiuti urbani).
certo ignorare che il principio di acquisizione della pre-
stazione alle condizioni piu` favorevoli per la pubblica amministrazione non rimane estraneo neppure alla con- cessione di pubblico servizio» (27).
Infine, alcuni autori hanno cercato di sottolineare i profili organizzatori, strettamente attinenti all’istituto della concessione; secondo tale tesi, se la funzione di or- ganizzazione trova il suo fondamento nell’art. 97 della Costituzione, ne deriva che tutti i fenomeni di organiz- zazione amministrativa - tra cui rientra anche la conces- sione - debbono ispirarsi ai noti principi dell’imparzialita` e del buon andamento (28). Il rispetto di tali criteri esi-
Note:
(25) X. Xxxxxxxx, Servizi pubblici, cit., 403.
(26) A. Police, La concessione di servizi pubblici: regole di concorrenza e «pri- vilegi» dell’amministrazione, in Riv. Trim. App., 1996, 366.
(27) Xxxxx Xxxx., 00 giugno 1998, n. 226, in Cons. Stato, 1998, II, 790.
(28) X. Xxxxxxxx, I servizi pubblici, cit., 408.
(29) Cfr. T.A.R. Lazio, sez. I, 8 aprile 1981, n. 317, in TAR, 1985, I, 1469 e Cons. Stato, sez. VI, 22 maggio 1992, n. 400, in Cons. Stato, 1992.
(30) R. Cavallo Perin, Riflessione sull’oggetto e sugli effetti giuridici della con- cessione di servizio pubblico, in Dir. Amm., 1994, 113.
URBANISTICA E APPALTI 9/2001
1027
Sempre con riferimento alla Costituzione, si deve te- nere presente che l’art. 43 prescrive che sia la legge ad identificare quali siano i servizi pubblici che possono es- sere riservati in via esclusiva all’iniziativa economica pubblica. Tale disposizione trova ulteriore eco nell’art. 22 della legge n. 142/90, laddove si stabilisce che «i ser- vizi riservati in via esclusiva ai comuni ed alle province sono stabiliti dalla legge».
Al di fuori di queste ipotesi, dunque, non vi sono ri- serve in favore della mano pubblica, e pertanto nemme- no puo` aversi un trasferimento di funzioni pubbliche al concessionario.
In altri termini, gli artt. 41 e 43 della Costituzione (e, per quanto qui interessa, l’art. 22 della legge n. 142/ 90) pongono da un lato il principio di liberta` di impre- sa, e dall’altro la necessita` della previsione di legge per la riserva in capo alla p.a. della prestazione di servizi pubblici: alla stregua di tali principi va interpretato il rapporto concessorio per determinare se con esso si e` in- teso trasferire al privato qualcosa che e` in potesta` esclu- siva della p.a., ovvero se si e` inteso semplicemente indi- viduare in esso il soggetto, tra i tanti che in astratto lo potrebbero, piu` adatto allo svolgimento di un’attivita` volta alla prestazione di un servizio pubblico.
Cio` in quanto, anche ricorrendo allo strumento della concessione di pubblico servizio, se manca una precisa
disposizione di legge che istituisca una situazione di mo- nopolio in favore della pubblica amministrazione, se- condo la dottrina in esame, non puo` ritenersi che la
p.a. «conceda» al privato un’attivita` economica consi- stente nella produzione di servizi, giacche´ l’ordinamento gia` attribuisce al privato stesso, in via generale ed astrat- ta, liberta` di iniziativa anche in questo campo.
Se quanto precede e` esatto, ne deriva che anche per la concessione di pubblico servizio devono essere le re- gole della concorrenza a determinare il contraente piu` idoneo per la p.a.: le regole stesse, peraltro, devono esse- re adattate alla realta` cui fanno riferimento.
Pertanto, poiche´ le modalita` di prestazione del servi- zio pubblico conducono, come si e` rilevato, ad una ge- stione monopolistica, e` necessario che la fase concor- renziale trovi esplicazione nel momento in cui la pub- blica amministrazione concedente risolve di affidare il servizio ad un soggetto privato.
In sostanza, posto che non puo` esservi concorrenza
«nel mercato», il rispetto dei principi costituzionali so- pra indicati, inclusi quelli di imparzialita` e buon anda- mento sanciti dall’art. 97, viene assicurato dalla realizza- zione di forme di concorrenza «per il mercato», che si incarnano nella necessita` di seguire il procedimento ad evidenza pubblica per la scelta del gestore del servizio.
IN VETRINA Le ANNATE ARRETRATE
delle riviste giuridiche Ipsoa sono raccolte in comodi
ed eleganti volumi!
Ipsoa, da sempre attenta alle esigenze dei propri abbo- nati, mette da oggi a disposizione le annate arretrate delle riviste giuridiche a condizioni estremamente vantaggiose.
Potranno infatti essere acquistate annate di:
«Il Fallimento e le altre procedure concorsuali» (a partire dal 1985)
«Le Societa`» (a partire dal 1982)
«Il Corriere Giuridico» (a partire dal 1984)
«I Contratti» (a partire dal 1993)
«Ambiente. Consulenza e pratica per l’impresa» (a partire dal 1993)
«Il Lavoro nella giurisprudenza» (a partire dal 1994)
«Famiglia e Diritto» (a partire dal 1994)
«Il Diritto Industriale» (a partire dal 1994)
«Immobili e proprieta`» (a partire dal 1994)
«Diritto Penale e Processo» (a partire dal 1995)
«Giornale di Diritto Amministrativo» (a partire dal 1995)
«Notariato» (a partire dal 1995)
«Danno e Responsabilita`» (a partire dal 1996)
«GIUS» (a partire dal 1996)
«Urbanistica e appalti» (a partire dal 1997)
Da oggi quindi e` possibile completare la propria bi- blioteca con eleganti volumi rilegati.
Per ordinarli subito rivolgersi al Servizio Informazioni Commerciali
(Tel. 02/00000000 - fax 02/00000000) o l’Agente IP- SOA di zona o consultare xxxx://xxx.xxxxx.xx
1028
URBANISTICA E APPALTI 9/2001
Ambito di operativita` delle societa` miste
T.A.R. Toscana, sez. I, 15 gennaio 2001, n. 24 Pres. Virgilio - Est. Nicolosi
L’art. 22, comma terzo, lett. e), legge 8 giugno 1990, n. 142, come sostituito dall’art. 17, comma 58, legge 15 maggio 1997, n. 127, prevedendo la possibilit`a dei Comuni e delle Province di gestire i servizi pubblici a mezzo di societ`a per azioni a prevalente capitale pubblico locale, qualora la partecipazione di piu` soggetti pubblici o privati sia opportuna in relazione alla natura o all’ambito territoriale del servizio, pone in evidenza l’intento perseguito dalla novella legislativa di imprimere, attraverso tale relazione, un vincolo funzionale, di scopo, alla nascita ed all’operativit`a gestionale della societ`a stessa, cui viene per- tanto inibita l’assunzione di altre attivit`a gestionali extraterritoriali.
Diritto
(...) 5.3 Occorre esaminare, ora, la censura contenuta nel decimo motivo nel quale si contesta la partecipazio- ne, nel raggruppamento vincitore, della societa` AM- GA, ex azienda speciale del comune di Genova.
Anche tale censura e` fondata.
Sulla questione dell’assunzione, da parte delle societa` derivate dalla trasformazione delle aziende speciali costi- tuite per la gestione dei servizi pubblici locali, di servizi pubblici operanti in ambiti territoriali diversi da quelli propri degli enti titolari dei servizi stessi, si e` formata una giurisprudenza oscillante che le parti costituite si so- no fatte carico di richiamare con riferimento, in partico- lare, alla AMGA facente parte del raggruppamento vin- citore.
Com’e` noto la questione attiene al c.d. principio di strumentalita` dell’attivita` di gestione, inteso come iden- tificazione dello scopo sociale nella cura degli interessi delle comunita` locali perseguibili attraverso l’attivita` di gestione funzionalmente svolta dalla societa` nei settori dei servizi pubblici per i quali la stessa e` stata costituita. Sulla questione e` intervenuto, ad avviso del Collegio, in via risolutiva l’art. 17, comma 58, legge 15 maggio 1997, n. 127, che ha sostituito la lett. e) del terzo com- ma dell’art. 22 della legge 142 del 1990.
Il nuovo testo dell’art. 22 stabilisce, sul punto, che i Co- muni e le Province possono gestire i servizi pubblici nel- le seguenti forme:
(...)
e) a mezzo di societa` per azioni o a responsabilita` limita- ta a prevalente capitale pubblico locale costituite o par- tecipate dall’ente titolare del pubblico servizio, qualora sia opportuna in relazione alla natura o all’ambito terri-
toriale del servizio la partecipazione di piu` soggetti pub- blici o privati.
Lo specifico riferimento alla relazione dell’attivita` gestio- nale della costituenda societa` alla natura o all’ambito ter- ritoriale del servizio, evidenzia l’intento perseguito dalla novella legislativa di imprimere un vincolo funzionale, potrebbe dirsi di scopo, alla nascita e all’operativita` ge- stionale della societa` stessa, che rende incompatibile l’assunzione di (altre) attivita` gestionali extraterritoriali. E cio` per la ragione che la scelta della forma societaria risponde all’esigenza del migliore impiego delle poten- zialita` proprie dell’organizzazione imprenditoriale al fine del conseguimento dei migliori risultati sul piano dei co- sti e dei risultati della gestione del servizio. L’assunzione di altri impegni imprenditoriali (ovviamente coerenti agli scopi societari) al di fuori dell’ambito territoriale de- gli Enti locali di cui la societa` e` espressione, si tradur- rebbe nella sottrazione - quanto meno - di parte dell’or- ganizzazione societaria (composta di uomini, beni e ri- sorse) alle esigenze della comunita` locale per la sua uti- lizzazione in scopi estranei a quelli per i quali la societa` stessa e` stata costituita. (...).
Ritiene il Collegio che possa continuare ad applicarsi
alla fattispecie quel principio giurisprudenziale, maturato in ordine alle modalita` gestionali di un pubblico servizio da parte di un’azienda speciale di altro comune, secondo il quale l’estensione dell’attivita` delle aziende speciali, al di fuori del territorio dell’Ente locale che le ha costitui- te, presuppone comunque un collegamento funzionale tra il servizio eccedente l’ambito locale e la necessita` della collettivita` del Comune proprietario dell’azienda che assume la gestione per conto del primo; collega- mento che non puo` essere ridotto al puro dato dell’inte- resse imprenditoriale (Cons. Stato, sez. V, 23 aprile
URBANISTICA E APPALTI 9/2001
1029
1998 n. 475; T.A.R. Liguria, sez. II, 8 maggio 1997 n.
134) (...).
Consegue da cio` che l’AMGA, a causa della limitazio- ne derivante sul piano delle attivita` che puo` assumere e svolgere in ambito territoriale, in coerenza con le finali- ta` pubblicistiche che ne hanno determinatola costitu- zione, era ed e` priva della legittimazione in ordine all’as- sunzione del servizio idrico integrato di che trattasi e quindi e` illegittima la selezione compiuta a favore del predetto raggruppamento che ne ha deciso la cooptazio- ne (...).
NOTA
Con la sentenza indicata in epigrafe, il T.A.R. della Toscana ha pronunciato, tra l’altro, in merito al procedimento di sele- zione del socio privato di minoranza, promosso dai comuni fa- centi parte dell’Xxxx x. 0 - Xxxx Xxxxxxxx per la costituzione di una societa` mista di gestione del servizio idrico integrato nell’ambito territoriale ottimale considerato.
La societa` ricorrente censurava la partecipazione nel raggrup- pamento vincitore di una societa` mista, ex azienda speciale di un comune ligure, lamentando la violazione dell’art. 22, com- ma 3, lett. e), e dell’art. 23, legge 142/90, che non consenti- rebbero il conferimento diretto di un servizio pubblico extra- territoriale ad aziende speciali trasformate in societa` a capitale misto.
Il Tribunale dichiara fondata la censura, affermando il divieto per la societa` a partecipazione pubblica locale, costituita a se- guito della trasformazione di azienda speciale, di concorrere per l’affidamento di servizi sul territorio di ente diverso da quello titolare della partecipazione.
Il Collegio pone l’accento sul dettato dell’art. 22, comma 3, lett. e), legge 142/90, sostituito dall’art. 17, comma 58, legge 127/97, per il quale il Comune e la Provincia possono gestire i servizi pubblici a mezzo di societa` miste quando la partecipa- zione di piu` soggetti pubblici o privati sia opportuna in rela- zione alla natura ed all’ambito territoriale del servizio.
L’esistenza di un nesso relazionale tra l’attivita` gestoria, da un
lato, e l’ambito territoriale, dall’altro, pone in evidenza, a det- ta dell’Organo giudicante, l’intento della novella legislativa del 1997 di imprimere un vincolo funzionale, «potrebbe dirsi di scopo», alla nascita ed alle dimensioni spaziali dell’operati- vita` della societa` mista, rispetto al quale sarebbe incompatibi- le l’assunzione di attivita` gestionali extraterritoriali.
Pur concedendo che la scelta societaria risponde all’esigenza del migliore impiego delle potenzialita` proprie dell’organizza- zione imprenditoriale al fine del conseguimento dei migliori risultati sul piano dei costi e della gestione del servizio, il Tri- bunale precisa che l’assunzione di impegni imprenditoriali al di fuori dell’ambito territoriale dell’ente locale di cui la societa` e` espressione, si tradurrebbe nella sottrazione di parte dell’or- ganizzazione societaria (composta di uomini, beni e risorse) al- le esigenze della comunita` locale per la sua utilizzazione in scopi estranei a quelli per i quali la societa` stessa e` stata costi- tuita.
Ne´ vale eccepire che l’assunzione della forma societaria sciol-
ga l’ex azienda speciale dai lacci operativi che inibivano l’atti- vita` extra moenia di quest’ultima forma organizzativa.
Il Tribunale, citando la decisione del Consiglio di Stato, n. 1885 del 18 aprile 2000, osserva che «la dottrina e la giuri- sprudenza si sono orientate nel senso di escludere che la sem-
plice veste formale di S.p.a. sia idonea a trasformare la natura pubblicistica di soggetti che, in mano al controllo maggiorita- rio dell’azionista pubblico, continuano ad essere affidatari di rilevanti interessi pubblici». La decisione condivisa dal
T.A.R. prosegue statuendo che, «ai fini dell’identificazione della natura pubblica di un soggetto, la forma societaria e` neutra e la quasi integrale pertinenza a referenti pubblici del pacchetto azionario dimostra che si e` al cospetto di uno stru- mento alternativo alle forme tradizionali di intervento e con- sente di ritenere che la S.p.a. si possa considerare come una articolazione organizzativa dell’ente di riferimento».
La trasformazione in S.p.a. del precedente organismo pubblico di gestione non implica lo svilimento delle finalita` pubblicisti- che che ne hanno determinato la costituzione e la sostituzio- ne di uno scopo egoistico ad uno scopo piu` latamente sociale, intervenendo solo sulle modalita` concrete della gestione del servizio in vista del conseguimento di migliori livelli di effi- cienza.
D’altra parte, al Collegio pare incongruo ammettere la societa`
mista a concorrere liberamente nel mercato dei servizi, anche al di fuori di ogni collegamento funzionale con il territorio dell’ente di riferimento, in presenza di una norma, l’art. 22, comma 3, lett. e), legge 142/90, che tale collegamento impo- ne, allorche´ qualifica la societa` di capitali a partecipazione pubblica e privata per la gestione di un servizio pubblico co- me organo indiretto dell’ente titolare del servizio medesimo (Cons. Stato, Ad. Gen., 90/96; V, 19 febbraio 1998, n. 192). Ne consegue che, affermata l’identita` dei presupposti, ben puo` estendersi anche alle societa` miste «quel principio giuri- sprudenziale maturato in ordine alle modalita` gestionali di un pubblico servizio da parte di un’azienda speciale di altro co- mune, secondo il quale l’estensione dell’attivita` delle aziende speciali, al di fuori del territorio dell’ente locale che le ha co- stituite, presuppone comunque un collegamento funzionale tra il servizio eccedente l’ambito locale e la necessita` della collettivita` del comune proprietario dell’azienda che assume la gestione per conto del primo; collegamento che non puo` essere ridotto al puro dato dell’interesse imprenditoriale» (Cons. Stato, sez. V, 23 aprile 1998, n. 475; T.A.R. Liguria, sez. II, 8 maggio 1997, n. 134).
Sulla base dei riferiti principi il Tribunale, in ordine all’assun- zione del servizio idrico integrato di che trattasi, ha dichiarato illegittima la selezione compiuta a favore del raggruppamento che aveva cooptato la societa` mista operante extra moenia.
Xxxxxxxx Xxxxxxxxxxx
1030
URBANISTICA E APPALTI 9/2001