COLLEGIO DI NAPOLI
COLLEGIO DI NAPOLI
composto dai signori:
(NA) QUADRI Presidente
(NA) XXXXXXXX Membro designato dalla Banca d'Italia
(NA) MAIMERI Membro designato dalla Banca d'Italia
(NA) XXXXXXX FARINA Membro designato da Associazione rappresentativa degli intermediari
(NA) XXXXXXXXXXXX Membro designato da Associazione rappresentativa dei clienti
Relatore XXXXXXX XXXXXXXX
Nella seduta del 18/02/2014 dopo aver esaminato:
- il ricorso e la documentazione allegata
- le controdeduzioni dell’intermediario e la relativa documentazione
- la relazione della Segreteria tecnica
FATTO
Con ricorso presentato in data 19 ottobre 2013, il ricorrente riferisce di essere titolare di un conto corrente in essere presso l’intermediario resistente, da circa quindici anni. Tuttavia, in data 11 settembre 2013, apprendeva - in modo occasionale - che il giorno prima l’intermediario aveva esercitato il recesso in relazione a tutti incarichi di pagamento RID conferitigli dal ricorrente medesimo, senza alcuna comunicazione né tanto meno preavviso. Ciò in palese violazione dell’art. 23 del contratto di conto corrente che, riepilogando gli obblighi del prestatore dei servizi di pagamento, statuisce la necessità di comunicare il recesso con un preavviso di almeno due mesi, salvo giustificato motivo. Nel caso di specie, ha pure puntualizzato il ricorrente, l’intermediario non può invocare alcuna giusta causa, considerato che tutti i pagamenti domiciliati erano stati puntualmente onorati, come pure le rate del mutuo in essere con la medesima resistente. Anche l’affidamento, che insisteva sul medesimo conto corrente, non aveva mai evidenziato alcuno sconfinamento; subita l’improvvisa revoca, il ricorrente riferisce di avere provveduto immediatamente al rientro, non appena avutane conoscenza.
La resistente ha innanzitutto precisato di avere tempestivamente notificato al cliente la
comunicazione di recesso dal contratto che regola i servizi RID a mezzo di due
raccomandate inviate il 24 agosto 2013 e l’1 settembre 2013 “recapitate senza esito positivo ma con rilascio dell’avviso di ricevimento”. Le affermazioni al riguardo del ricorrente, che sostiene di avere ricevuto la comunicazione solo in data 11 settembre 2013 non impedisce di ritenere già efficace il recesso; in ogni caso, l’intermediario ha ritenuto, nelle more, di consentire l’addebito dei RID pervenuti fino alla data dell’11 settembre 2013. In merito al giustificato motivo, esso si rinviene nelle motivazioni del provvedimento di licenziamento “che evidentemente sono ben note al ricorrente”, in quanto oggetto di contestazione con lettere del 3 ottobre 2012 e del 7 dicembre 2012. In queste, veniva tra l’altro imputato al ricorrente un uso del conto corrente non in linea con gli obblighi di buona fede e fedeltà a cui dovrebbe essere improntata l’attività del dipendente di un intermediario finanziario: nello specifico, dall’analisi delle movimentazioni, “sono stati accertati dei rapporti di natura economica con altri clienti [dell’intermediario] – anche classificati come “sofferenze” – che non potevano trovare giustificazione anche in relazione al delicato ruolo ricoperto dal [ricorrente] nell’azienda, ovvero quello di Istruttore Fidi Centrale”.
In sede di repliche alle controdeduzioni, il ricorrente ha osservato che la comunicazione di
recesso richiamata nelle controdeduzioni riguardava unicamente il recesso dall’apertura di credito in conto corrente, non i servizi RID. Per questi ultimi, nessuna comunicazione è stata mai effettuata. Ha poi fornito alcuni dettagli, invero poco rilevanti ai fini della controversia in esame, in merito alle circostanze del proprio licenziamento, tuttora oggetto di impugnazione.
Sono infine pervenute, in data 6 e 17 febbraio 2014 due note dell’intermediario che illustrano ancora la vicenda del licenziamento e ribadiscono che esso rappresenta la giusta causa giustificativa del recesso dal rapporto di conto corrente e dalla prestazione dei servizi di pagamento.
In relazione alle rispettive argomentazioni, il ricorrente chiede al Xxxxxxxx ABF di dichiarare l’illegittimità del comportamento tenuto dall’intermediario e, per l’effetto, dichiarare tenuto l’intermediario medesimo al risarcimento del danno nella misura ritenuta più congrua dal Collegio decidente. L’intermediario, da parte sua, chiede che il ricorso sia rigettato, in quanto la giusta causa della revoca “è integrata nella motivazione del provvedimento di licenziamento causato da alcune condotte connesse all’utilizzo dell’apertura di credito”.
DIRITTO
In sede di controdeduzioni, l’intermediario fornisce alcune precisazioni in ordine al contestato recesso dall’accordo disciplinante i servizi RID, esercitato in forza dell’art. 23 delle relative condizioni generali in conseguenza di alcune presunte condotte infedeli dell’ex dipendente, che pure avevano costituito fondamento del licenziamento per giusta causa (peraltro tuttora sub iudice). Non produce le condizioni generali di contratto, mentre nelle note da ultimo pervenute offre qualche spunto in più circa l’“infedeltà” del ricorrente licenziato. La resistente, inoltre, come pure sottolineato dal ricorrente in sede di repliche, fa riferimento alla comunicazione, effettivamente notificata a mezzo raccomandata, inerente al recesso dall’apertura di credito: in essa, alcuna indicazione si coglie in merito ai servizi RID, per i quali quindi – sulla base della documentazione agli atti – non risulta effettuato alcun preavviso di revoca.
Chiarito ulteriormente il quadro fattuale, il Collegio richiama l’art. 126-septies TUB, il cui comma 2 dispone che “il prestatore di servizi di pagamento può recedere da un contratto quadro a tempo indeterminato se ciò è previsto dal contratto e con un preavviso di almeno due mesi, secondo le modalità stabilite dalla Banca d'Italia”. Le Istruzioni di vigilanza sulla trasparenza (sez. VI, § 5.3), da parte loro, stabiliscono che “l’intermediario può recedere da un contratto a tempo indeterminato se questa facoltà è prevista dal contratto, con un
preavviso di almeno due mesi e senza alcun onere per il cliente. Il preavviso è dato in forma scritta, su supporto cartaceo o su altro supporto durevole concordato con il cliente”. La richiamata disciplina non sembra consentire il recesso senza preavviso, in presenza di giustificato motivo.
Le prescrizioni nazionali così ricostruite riprendono testualmente il dettato del paragrafo 3 dell’art. 45 della direttiva PSD; ed invero, il legislatore europeo, al “considerando” n. 29, sottolinea comunque che la garantistica disciplina di tutela nei confronti dell’utilizzatore, con le forti limitazioni al diritto di recesso del prestatore che essa comporta, non può in ogni caso spingersi a esonerare il fornitore dall’obbligo di sciogliere il contratto “in circostanze eccezionali in base ad altra legislazione comunitaria o nazionale pertinente, ad esempio la legislazione in materia di riciclaggio di capitali e finanziamento del terrorismo, le azioni mirate al congelamento di fondi o le misure specifiche legate alla prevenzione e indagine di reati”. È chiaro, perciò, che in questi o analoghi casi, superiori esigenze di tutela aventi spiccati profili di rilevanza pubblicistica, non possono essere aprioristicamente sacrificare in nome del pur assai meritevole obiettivo di tutela della parte debole del rapporto, pena il rischio di vanificare la stessa ratio della direttiva, volta a rafforzare la sicurezza dei processi di pagamento, oltre che la loro efficienza e razionalità. Ciò posto, l’elemento risolutivo per la vertenza qui in esame risulta costituito, in primo luogo, dall’esistenza o meno di un giustificato motivo, tale da rendere inoperante il vincolo dei due mesi, e, in secondo luogo, la prova dell’invio del preavviso. Sotto quest’ultimo aspetto, pare inevitabile concludere, alla luce degli atti di causa, che il preavviso di cui parla l’intermediario sia quello relativo all’apertura di credito e nessun preavviso risulta essere stato trasmesso in relazione ai servizi di pagamento collegati al conto corrente.
Quanto al giustificato motivo, dalle argomentazioni sostenute, sembra che il “giustificato
motivo” del licenziamento – peraltro sub iudice – attenga a comportamenti imputati all’ex- dipendente e relativi a una gestione censurabile per quanto riguarda i rapporti di fido, cui egli in qualche modo presiedeva, attese le funzioni svolte presso l’intermediario. Tuttavia, anche a voler ritenere giustificato motivo (e il Collegio non ha elementi decisivi per farlo), la giustificazione potrebbe, al più, valere per svincolarsi dal rapporto di conto corrente e di apertura di credito, ma non anche dai servizi di pagamento. Ciò tanto più in una situazione dei rapporti assolutamente regolare, come ha affermato il ricorrente e non contestato l’intermediario. Insomma, il rischio è di confondere la posizione del dipendente con quella del cliente, la prima (secondo l’intermediario) di dubbia sostenibilità, ma la seconda del tutto ordinaria e regolare: l’incidenza sulla seconda di fatti attinenti alla prima deve essere attentamente valutata, evitando, appunto, il rischio di confusione di cui si è detto. Se, poi, si confronta il giustificato motivo addotto dall’intermediario con quelli indicati esemplificativamente nel considerando della direttiva, la distanza fra le fattispecie si fa incolmabile e la giustificazione del motivo difficilmente sostenibile. A ciò si aggiunga la distantia temporis fra la data della cessazione del rapporto con il ricorrente (13 gennaio 2013) e la revoca dell’apertura di credito (agosto-settembre 2013), distanza che fa pensare ad un non immediato e automatico ribaltamento del licenziamento sul mantenimento del rapporto di conto affidato (e di esecuzione dei pagamenti).
Pertanto, l’assenza del preavviso e di un giustificato motivo rendono censurabile il
comportamento dell’intermediario nella gestione del recesso dai servizi di pagamento. Quanto ai danni lamentati dal ricorrente, questi non ne offre la minima prova, rimettendosi al giudizio del Collegio. In realtà, il Collegio non può che prendere atto, da un lato, dell’assenza di ogni riferimento concreto al riguardo da parte del presunto danneggiato, e della “collaborazione” dell’intermediario che ha affermato (senza essere smentito dalla controparte) che ha comunque eseguito gli ordini di pagamento fino al 9 settembre 2013, data nella quale il ricorrente ha dichiarato di aver preso conoscenza del recesso
dall’apertura di credito. Di qui il mancato riconoscimento di ogni obbligo di risarcimento del danno a carico della parte resistente.
Invero, la richiesta del ricorrente si appalesa come finalizzata alla determinazione del danno subito, di talché il petitum è riconducibile più al profilo risarcitorio che a quello valutativo del comportamento dell’intermediario. È evidente, infatti, che la censura che il Collegio ha ritenuto di affermare per come è stato gestito il recesso dai servizi di pagamento non può valere a produrre di per sé un effetto risarcitorio, ove il danno non sia stato provato. A ciò consegue, in conclusione, il rigetto totale del ricorso.
P.Q.M.
Il Collegio non accoglie il ricorso.
IL PRESIDENTE
firma 1