SALVATORE MAZZAMUTO
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Professore emerito di Diritto civile – Università Roma Tre
IL CONTRATTO: VERSO UNA NUOVA SISTEMATICA? *
L’autonomia privata suole essere definita come autonomia privata negoziale e come autonomia privata contrattuale. La prima – secondo l’opinione tradizionale – ha una maggiore ampiezza ri- comprendendo l’intera gamma dei suoi atti di esercizio, i c.d. negozi giuridici, ossia le manifesta- zioni di volontà – ovvero più modernamente gli atti di auto-regolazione dei propri interessi – che si rivolgano al raggiungimento di uno scopo garantito dalla legge o comunque meritevole di tutela e che abbiano struttura unilaterale, bilaterale o addirittura plurilaterale e un contenuto patrimoniale o non patrimoniale. La seconda – sempre secondo l’opinione tradizionale – è una specificazione della prima e si realizza soltanto per il tramite dello strumento del contratto che il codice civile de- finisce come l’accordo di due o più parti per costituire, regolare o estinguere un rapporto giuridico patrimoniale (art. 1321 c.c.) e che rappresenta l’istituto fondamentale ed insopprimibile di una economia di libero mercato basata sulla produzione e sullo scambio di beni.
La volontà è stata a lungo ritenuta il fulcro della privata autonomia – che non a caso ancora si denomina in Francia autonomie de la volonté e in Spagna autonomia de la voluntad – in quanto espressione della fiducia illuministica e giusnaturalistica nell’uomo e nelle sue capacità di governo dell’esistente: il concetto di volontà è stato poi soppiantato dal concetto di libertà, il quale si estende al contenuto ed agli effetti dell’atto di autonomia, che in linea di principio non possono rimanere del tutto soverchiati dalle fonti eteronome di integrazione del negozio.
Dopo anni di tentativi, circoscritti all’ambito culturale italiano, di rimozione 1 e di speculare mantenimento 2 del negozio giuridico 3, il diritto europeo in formazione, contro ogni aspettativa, sembra volerne rilanciare oggi la categoria in modo netto: l’art. II-1:101 DCFR adotta la figura del juridical act che ricalca perfettamente il negozio giuridico della tradizione ed addirittura se ne serve per definire la nozione di contratto 4.
* Relazione tenuta al Convegno in onore di Xxxxxxxx Xxxxxxx su “Complessità e integrazione delle fonti nel diritto privato in trasformazione», Università di Messina, 27-28 maggio 2016.
1 X. Xxxxxxx, Il negozio giuridico, Tratt. Cicu-Messineo-Mengoni (Milano 1988), 1-33, ma già Id., Negozio giuridico, in Enc. dir., XXVII (Milano 1977), 935 s.
2 G.B. Xxxxx, Il negozio giuridico2 (Padova 2004), passim, in part. 1-12; ma anche Id., Xxxxxx, presupposizione e l’idea di meritevolezza, in questa Rivista, 2009, 329 s.; Id., Equivoci e verità sul negozio giuridico e sulla sua causa, in Riv. int. fil. dir., 2008, 171 s.; Id., Xxxxxxx giuridico, in Digesto disc. priv., sez. civ., XII, Torino, 1995, 61 s.
3 Sul dibattito di cui nel testo v. X. Xxxxxxxxx, Il contratto di diritto europeo2 (Torino 2015), 75 s.
4 X. Xxxxxxxxx, L’autonomia negoziale e le situazioni giuridiche soggettive, in X. Xxxxxxxxx (a cura di),
Manuale del diritto privato, Torino, 2016, 41 s.
Al riguardo conviene sin d’ora svolgere i seguenti rilievi: il rilancio del negozio giuridico ben si giustifica con l’espansione della tutela della persona e dei suoi diritti fondamentali al cui cospetto la volontà mantiene un’importanza maggiore 5 (v. il consenso informato nel rapporto medico-paziente o il consenso al trattamento dei dati personali ecc.) mentre per ciò che concer- ne il contratto grazie alla procedimentalizzazione dell’affare viene in evidenza, più dell’atto in sé – che peraltro si protende non solo nel common law verso l’atto unilaterale – l’attività ed il rapporto contrattuale nonché la costellazione di rimedi.
Nell’attuale panorama giuridico e culturale, a dispetto dell’apparente centralità normativa del contratto, il negozio giuridico mostra per alcuni osservatori una inaspettata vitalità in connes- sione con l’emergere di interessi che non si prestano ad essere realizzati mediante il contratto o a causa della loro intrinseca natura o delle particolari vicende che li riguardano (si pensi al tra- sferimento mortis causa o alla destinazione di una massa patrimoniale a uno specifico scopo: art. 2645-ter c.c.). Il negozio presidia, dunque, un ampio territorio: quello della realizzazione degli interessi individuali e collettivi al di fuori dei dispositivi dello scambio di beni e di servizi. Il tipo di operazione sociale che il negozio realizza è quello descritto in maniera estremamente efficace da Xxxx Xxxxxxx, in uno splendido saggio della fine degli anni ‘90 dedicato proprio al tema dell’attualità della categoria del Rechtsgeschäft, come «la complessiva operazione risultan- te dalla confluenza di tre distinti ma concorrenti elementi: un interesse a rilevanza inattuosa, un programma pratico di azioni dirette alla sua realizzazione, una situazione finale rappresentata da corrispondenti effetti intesi a procurare l’attuazione giuridica dell’interesse» 6.
Le più recenti epifanie del contratto si caratterizzano per: il ridimensionamento della possibilità di entrambe le parti di incidere sulla struttura giuridica dell’operazione economica; la conseguente perdita di centralità della volontà come categoria pre-giuridica ordinante del contratto a favore del- la categoria della scelta razionale, se libera e consapevole; la connessa riconsiderazione del con- tratto da parte dell’ordinamento secondo una veduta che privilegia la dimensione dell’attività, spe- cie sotto il profilo della procedimentalizzazione dell’esercizio dell’autonomia privata e della valu- tazione di tali atti di esercizio posti in essere dal professionista; la possibilità di conformare il con- tenuto del contratto mediante l’intervento giudiziale fondato sui rimedi invalidatori; una più cor- posa eterointegrazione del contratto mediante disposizioni analitiche di legge e non soltanto trami- te la clausola generale di buona fede; il ricorso a rimedi che mirano al recupero dell’effetto utile per il consumatore e che, per questa ragione, si possono indicare come rimedi in natura.
Una precisazione: il tentativo di razionalizzazione appena abbozzato non consegue a un pro- cesso evolutivo della figura del contratto lineare, armonico, progressivo, incontrastato. Lo ha sottolineato con particolare enfasi Xxxx Xxxxx e l’osservazione è corretta 7. Banditi, dunque,
5 X. Xxxxxxxxxx, Il negozio giuridico dal patrimonio alla persona, in Europa dir. priv., 2009, 87 s.
6 X. Xxxxxxx, La teoria del negozio giuridico a cento anni dal BGB, in Riv. dir. civ., 1998, I, 535 s.
7 X. Xxxxx, Sul diritto privato dei contratti: per un approccio costruttivamente critico, in Europa dir. priv., 2004, 439 s. ora in Id., Il contratto del duemila3, Torino, 2011, 35 s.
irenismo e apologia, va riconosciuto che il diritto privato europeo del contratto procede a strap- pi, acceso da momenti di grande entusiasmo, nel corso dei quali si vagheggia come prossimo l’obiettivo del codice civile europeo comune, cui seguono momenti di profondo scetticismo; e si svolge non senza contrasti, resistenze, ripensamenti, di cui puntuale traccia si trova nella legi- slazione e nella giurisprudenza della Corte di giustizia. Ebbene, il contratto, insieme alla disci- plina della concorrenza, diviene il luogo elettivo del perseguimento degli obiettivi di politica economica e del diritto da parte del legislatore europeo – e con meno frequenza di quello nazio- nale – ed in tale guisa si presenta come una figura sempre più connotata all’insegna di obiettivi particolari, perde significativi gradi di generalità e di astrattezza, e soprattutto diviene lo stru- mento di esplicazione di una forma di libertà individuale meno ampia e corposa qual è la libera scelta tra offerte predefinite dal proponente. Eppertanto il negozio giuridico si afferma ancora una volta – esattamente come è già accaduto nel corso dell’800, anche se in un contesto note- volmente diverso e meno complesso – come uno strumento intimamente connesso alla centralità della persona e all’esaltazione della libertà individuale. È – come sempre Xxxxxxx chiarisce – nel- lo spazio tra l’interesse e la sua realizzazione che il negozio giuridico si colloca, esplicando la propria funzione assiologica e pratica 8. E oggi, più e meglio del contratto, il negozio giuridico incarna i principi dell’eguaglianza formale dell’individuo dinanzi alla legge e la libertà di rego- lare da sé le vicende dalle quali dipende il soddisfacimento dei propri interessi.
È sempre più difficile, dunque, postulare un rapporto di genere a specie tra autonomia nego- ziale e autonomia contrattuale: il genere sembra essere ormai l’autonomia privata tout court e le specie l’autonomia della volontà (volontà dell’atto ma non degli effetti: gli atti giuridici in senso stretto ma anche molti negozi familiari); l’autonomia negoziale (volontà dell’atto e degli effetti); l’autonomia contrattuale che tende ad inglobare anche gli atti unilaterali a contenuto patrimonia- le (deperimento della volontà, procedimentalizzazione dell’atto, rilevanza dell’attività, integra- zione crescente degli effetti da parte di fonte esterne).
Il quesito cui occorre rispondere è il seguente: è possibile ricostruire una sistematica unitaria del contratto ovvero si deve prendere atto della compresenza di più sottosistemi?
Cominciamo dal paradigma del contratto del consumatore che si contraddistingue per lo squilibrio di potere contrattuale delle parti, legato non tanto alle condizioni economiche dell’una rispetto all’altra, quanto piuttosto all’asimmetria informativa che consente al detentore delle in- formazioni di preventivare costi e rischi dell’operazione economica così da trarre dal contratto il massimo delle utilità a discapito di controparte, la quale, a sua volta, rischia di non compiere scelte negoziali consapevoli. Il contratto rispecchia, pertanto, la diseguaglianza del potere delle parti di determinarne contenuti e modalità, oltre che prefigurare scenari in sede esecutiva, e ciò non si riallaccia ad una situazione di patologia sociale – com’è quella che, nella disciplina gene- rale del contratto, dà adito alla rescissione o a talune cause di annullamento – ma consegue tutto all’opposto ad una situazione di fisiologia sociale ed è assunto come un elemento dato, di cui,
8 Xxxxxxx, ibidem.
non potendone estirpare le radici, si tenta la correzione degli effetti una volta consacrati nel re- golamento contrattuale.
La categoria del contratto del consumatore si impernia sulla contrapposizione di due classi di soggetti distinte per capacità di incidere sulla predisposizione del regolamento contrattuale e sulla successiva esecuzione del rapporto: il professionista ed il consumatore.
Il ripudio della concezione del consumatore come appartenente ad una specifica classe socia- le ha suggerito l’abbandono delle letture più spiccatamente soggettivistiche per approdare inve- ce ad una concezione oggettivistica orientata al sindacato in concreto dello scopo finale perse- guito dalla controparte del professionista: ne è venuta una rivisitazione della normativa sul con- tratto del consumatore come disciplina dell’atto di consumo a prescindere dalla formale qualifi- cazione soggettiva dei contraenti. Il dibattito sorto intorno alla nozione di consumatore ha anzi chiarito, pur tra notevoli contrasti, che determinanti a tal fine sono l’interesse concreto in vista del quale il contratto è concluso e la condizione di assenza di forza contrattuale, sicché è legit- timo considerare consumatore anche l’imprenditore individuale o il professionista mosso, nella stipulazione del contratto, dall’esigenza di appagare un bisogno di consumo.
La ratio della normativa consumeristica per quanto riguarda la disparità di forza contrattuale sembra consistere nella predisposizione di regole di riequilibrio del contratto ancorate ad una presunzione astratta di disparità di potere contrattuale che si ricava dal fatto oggettivo del compimento di un atto di consumo e prescinde, dunque, dalle qualità soggettive dell’autore: ciò esonera da una valutazione in concreto della sussistenza del divario di potere contrattuale per ritenere integrata la qualificazione di consumatore. Questo passaggio è importante perché, inve- ce, l’impresa debole non è identificata di norma sulla base di una valutazione astratta ma piutto- sto attraverso una verifica in concreto della situazione di dipendenza economica.
I diversi sistemi giuridici sogliono poggiare su di una teoria dell’agente e forse non si è ri- flettuto a sufficienza sul paradigma antropologico fatto proprio dal diritto contrattuale europeo. Il codice civile, per lo meno nella disciplina generale delle obbligazioni e del contratto, presup- pone la parità formale delle parti e adotta il modello dell’uomo di medie capacità, rappresentato dalla figura, tanto romantica quanto anacronistica, del buon padre di famiglia. Si tratta di un pa- radigma antropologico disegnato sulle capacità realizzative dell’individuo e, dunque, orientato all’attuazione dell’obbligazione e all’esecuzione del contratto. In altri termini, il codice civile ricorre alla potente semplificazione collegata all’adozione di un agente-modello e lo fa sul ter- reno dell’individuazione dei criteri di determinazione dell’adempimento e, per contrapposizio- ne, di determinazione dell’inadempimento, lasciando invece alla valutazione in concreto l’accertamento della validità e dell’efficacia della scelta negoziale. Tutt’al contrario, il diritto contrattuale europeo adotta il paradigma antropologico del massimizzatore intenzionale del pro- prio utile, ossia del c.d. agente razionale, e in questo caso il modello di attore è disegnato sui processi decisionali e, dunque, orientato al momento della scelta negoziale.
La semplificazione collegata all’adozione del paradigma dell’agente razionale consiste nel-
l’assunzione che, ove siano garantite le condizioni per operare una scelta consapevole e libera
da condizionamenti, essa è per definizione razionale e, quindi, tale da assicurare l’utile indivi- duale e il corretto funzionamento del mercato tramite la più adeguata selezione del panorama dell’offerta. La conseguenza sul piano della disciplina del contratto consiste nella sostanziale marginalità riservata al rimedio dell’annullamento che, pur servendosi anch’esso di qualche ge- neralizzazione come la riconoscibilità dell’errore, istituisce comunque un giudizio individualiz- zato e, dunque, in concreto, che tiene conto anche delle capacità cognitive, rielaborative, cultu- rali, esperienziali del singolo contraente, di cui va vagliata la scelta. Il diritto contrattuale euro- peo – per lo meno allo stato attuale – sembra prediligere la nullità, ancorché di protezione, la quale è quanto meno sul piano dei presupposti del tutto sganciata da una valutazione individua- lizzata. Un tale valutazione ritorna, tuttavia, prepotentemente in sede di irrogazione del misura grazie al vincolo dell’interesse del consumatore.
L’elemento di novità di maggiore portata sistematica e concettuale è rappresentato, dunque,
non tanto dal copioso ricorso del legislatore agli obblighi di informazione – giacché le strategie informative sono ben note ai diritti nazionali anche se, per lo meno in Germania e Italia, affidate per lo più all’integrazione ex fide bona 9 – né dalla previsione di contenuti contrattuali imposti – giacché l’eterointegrazione del contenuto del contratto, in misura più o meno marcata a seconda delle stagioni, caratterizza da tempo i diritti nazionali continentali – quanto piuttosto dall’im- piego delle invalidità, e in particolare della nullità, in funzione di rimodulazione per via giudi- ziale del contenuto del contratto affetto da uno squilibrio di diritti e di obblighi estorto o carpito dal professionista tramite l’abuso della propria predominanza.
Al tema Xxxxxxx ha dedicato alcuni degli studi più significativi apparsi in Italia e in essi ha evidenziato la funzione conformativa di questa particolare variante della nullità indicata come nullità di protezione 10. Le questioni collegate sono enormi e investono alcuni dei fronti più si- gnificativi del diritto civile della contemporaneità: la riformulazione del paradigma positivistico a seguito del rinnovamento del quadro delle fonti, se non addirittura, secondo alcuni, del suo superamento 11; il ruolo della giurisprudenza; la commistione tra regole di fattispecie e regole di comportamento; l’obiettivo, non solo politico ma addirittura giuridico, del conseguimento, se non proprio dell’equilibrio del contenuto delle singole negoziazioni, per lo meno di una misura accettabile di xxxxxxxxxx: tema meglio noto come il problema della giustizia contrattuale; il bi- lanciamento tra autonomia ed eteronomia; il ruolo e la portata dei poteri officiosi del giudice.
La sensazione che personalmente ho tratto dopo i lunghi anni di studio dedicati al diritto pri- vato europeo è che la riflessione scientifica sia corsa molto più in avanti rispetto alle posizioni istituzionali dell’Unione europea. Il diritto europeo posto dal legislatore e dalla Corte di Giusti- zia a me pare improntato a una rigida ortodossia positivistica di stampo legalistico: il diritto le-
9 Sul punto cfr. X. Xxxxxxx, La buona fede in senso oggettivo, Torino, 2015, 147 s.
00 X. Xxxxxxx, Xx contratto in trasformazione. Invalidità e inefficacia nella transizione al diritto europeo, Mi- lano, 2011, passim, in part. 167 s.
11 X. Xxxxxx, Le fonti del diritto, Milano, 2008, 3 s.
gislativo si presenta analitico oltre ogni misura in passato immaginabile e le clausole generali, pur adoperate nella legislazione, sono allo stato poco sfruttate perché esautorate dalle capillari previsioni analitiche (le famigerate elencazioni); mentre il diritto giurisprudenziale si mostra assai aderente al dato testuale, quasi esegetico, piuttosto che animato dalla creatività anche anti-letterale che, per lo meno in Italia, sta ispirando la giurisprudenza nazionale degli ultimi decenni 12.
La nuova categoria del contratto del consumatore comporta l’adozione di una prospettiva ar- ticolata che rinuncia programmaticamente a una teoria unitaria e monolitica del contratto in ge- nerale e distingue – quanto meno con riguardo alla formazione, alle clausole, all’interpretazione e all’esecuzione del contratto – il trattamento giuridico del contratto a seconda dei criteri e degli ambiti di applicazione del diritto di fonte comunitaria 13. La prospettiva tradizionale è abbando- nata e si inaugura un nuovo corso, specie nell’ordinamento italiano: prima dell’unificazione ad opera del codice civile del 1942 vigeva accanto al codice civile del 1865 il codice di commercio del 1882, con una separata disciplina dei contratti di commercio e, più in generale, dei contratti di impresa (discendenti dagli atti di commercio) in cui si consacravano privilegi a favore della parte economicamente e contrattualmente più forte. Dopo l’unificazione del 1942, molte regole del codice di commercio sono confluite nel codice unificato, dando luogo alla c.d. commercia- lizzazione del diritto privato. Si sono introdotte nel codice civile regole sui contratti per adesio- ne e sulle clausole vessatorie in essi contenute (artt. 1341, 1342, 1370 c.c.), le quali tuttavia non distinguono lo status delle parti, ma si limitano a considerare chi abbia predisposto il testo o chi ne abbia subito la predisposizione da parte di terzi. L’oggi, accanto a quelle regole, che sono tut- tora vigenti, annovera nuove regole come quelle che individuano le clausole c.d. «abusive» con criteri diversi dal codice civile e vi applicano una diversa disciplina.
Non può essere trascurato il movimento in atto in Europa che si ripropone di sollecitare una
riflessione sul contratto tra consumatore e professionista volta alla sua assunzione a paradigma di un nuovo modello contrattuale assai divergente dal contratto di diritto comune. Il tratto prin- cipale del nuovo modello si ravvisa nell’attribuzione al giudice di un potere di controllo sul- l’equilibrio dell’accordo che va ben al di là delle tradizionali ipotesi codicistiche, connotate in- vece dallo stato di patologia congiunturale in cui viene concluso il negozio (si pensi, ad esem- pio, alla rescissione, rispetto alla quale in letteratura si parla di disparità microeconomica ossia di carattere episodico e non strutturale, contrapponendola alla disparità macroeconomica ossia conseguente alla conformazione del mercato che invece sta alla base del contratto tra consuma- tore e professionista); ed a tale potere di controllo si affiancano il proliferare dei recessi di pen- timento, la previsione di nullità c.d. di protezione, la reviviscenza dei vincoli di forma e di con- tenuto, la commistione tra regole di validità e regole di comportamento.
12 Per un’acuta analisi della doppia anima che caratterizza il c.d. diritto privato europeo cfr. X. Xxxxxxxxxx,
Eclissi del diritto civile, Milano, 2015, 227 s.
13 Esempio riuscito della adozione di questa prospettiva, adeguatamente supportata sul piano metodologico, è il recente volume di X. Xxxxxx, La disciplina generale del contratto, Torino, 2015.
Un così ricco complesso di regole tanto eccentriche rispetto al diritto comune si ritiene ispi- rato all’esigenza di porre rimedio alla fisiologica condizione di disparità economica e di potere contrattuale tra le parti, secondo un modello per l’innanzi incarnato dal solo contratto di lavoro subordinato. Questo particolare stato di fisiologia sociale, in effetti, non è esclusivo dei soli con- tratti tra consumatore e professionista, ma è anzi comune a contratti privi di una siffatta caratte- rizzazione socio-economica delle parti, quali ad es. – per limitarci all’esperienza italiana – il contratto di subfornitura (l. n. 192/1998), la disciplina dei ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali (d.lgs. n. 231/2002) ed il contratto di affiliazione commerciale (l. n. 129/2004): non a caso, proprio a partire da tali ultime novità normative un’altra dottrina, come vedremo, vuole edificare la categoria del c.d. terzo contratto, di un contratto cioè dell’impresa debole, che andrebbe ad affiancarsi al contratto di diritto comune ed al contratto del consumatore.
Come si diceva, tutto ciò spinge a proporre per un verso un nuovo paradigma generale di
contratto che xxxxxxxx ad affiancarsi al contratto di diritto comune: un paradigma definito come
«contratto con asimmetria di potere contrattuale» per meglio evidenziarne il nucleo costituito dalla condizione intrinseca di debolezza di una parte rispetto all’altra 14. La tendenza della dot- trina e della giurisprudenza europee ad allargare le maglie della nozione di consumatore appare, del resto, strumentale all’approdo di un modello generale di contratto: il fine perseguito da tale tendenza, infatti, è quello di porre i presupposti per proiettare il contratto del consumatore nella dimensione di un rinnovato diritto comune mediante l’estensione della normativa di protezione a soggetti, magari non istituzionalmente deboli ed in balia dell’aggressività commerciale di im- prese e di professionisti, ma non per questo meno vulnerabili dinanzi ai rischi della contratta- zione standardizzata e dell’assenza di un’adeguata informazione, quali ad es. gli enti senza di scopo di lucro o anche il professionista impegnato a procurarsi un bene o un servizio per finalità miste.
Come s’è già anticipato, il paradigma del contratto del consumatore poggia, tuttavia, sulla presunzione astratta che il compimento di un atto di consumo sottenda una disparità di forza contrattuale e, dunque, giustifichi interventi normativi di stampo correttivo e ciò lo rende strut- turalmente inadatto a candidarsi a nucleo di una nuova disciplina generale del contratto poiché il diritto comune per sua natura deve risultare applicabile a qualsiasi contraente ed in ogni conte- sto, mentre le norme a tutela del consumatore presuppongono una specifica situazione di fatto rappresentata dal rapporto negoziale unilateralmente predisposto tra soggetti individuati sulla
14 X. Xxxxx, Contratto di diritto comune, contratto del consumatore, contratto con asimmetria di potere contrattuale: genesi e sviluppi di un nuovo paradigma, in Riv. dir. priv., 2001, 769 s. e X. Xxxxxxxxx (a cura di), Il contratto e le tutele. Prospettive di diritto europeo, Torino, 2002, 639 s.; Id., Parte generale del contrat- to, contratti del consumatore e contratti asimmetrici (con postilla sul «terzo contratto»), in Riv. dir. priv., 2007, 669 s.; Id., Regolazione del mercato e interessi di riferimento: dalla protezione del consumatore alla protezione del cliente?, ivi, 2010, 19 ss.; Id., Behavioural Law and Economics, regolazione del mercato e si- stema dei contratti, ivi, 2013, 167 s.; Id., Ancora sul contratto asimmetrico e terzo contratto. Le coordinate del dibattito con qualche elemento di novità, X. Xxxx-X. Xxxxx (a cura di), La vocazione del giurista. Saggi dedi- cati a Xxxxxxx Xxxxxx, Roma-Bari, 2013, 178 s.
base del diverso potere di incidere sul contratto, non soltanto in sede di conclusione ma anche in sede di esecuzione 15.
Né varrebbe obiettare che la negazione di uno status sociale di consumatore conferisce alla normativa consumeristica la vocazione di diritto generale dal momento che chiunque può vestire i panni del consumatore. E infatti è sufficiente rilevare che il legislatore comunitario ha prescel- to una tecnica normativa che, col dedurre dalla posizione di consumatore la condizione di debo- lezza contrattuale, ha rinunziato proprio al carattere della generalità scegliendo come fattore di agglutinamento non direttamente la situazione di squilibrio dei diritti e degli obblighi ma una particolare tipologia di atti negoziali, per l’appunto gli atti di consumo, e in tal modo ha conno- tato in maniera troppo specifica sul piano soggettivo le vicende del traffico che procede a disci- plinare.
Lo schema che si sarebbe dovuto adottare, allora, è quello delle tradizionali clausole vessato- rie di cui all’art. 1341 c.c. o della rescissione per stato di pericolo di cui all’art. 1447 c.c. e per stato di bisogno di cui all’art. 1448 c.c. od ancora del gap informativo di qualsivoglia parte per via di incapacità e di errore violenza o dolo quali cause di annullamento del contratto, di cui agli artt. 1425 ss. c.c. È questa la via prescelta dai Principi di Diritto Europeo dei Contrattti (PDEC), che tendenzialmente ripudiano il criterio selettivo del riferimento ad una tipologia di atti nego- ziali, individuati tramite la figura di un soggetto, ora il consumatore ora il cliente, tipizzato co- me parte debole, accogliendo quello del significativo squilibrio nei diritti e nelle obbligazioni frutto di una condotta contraria a buona fede e correttezza (art. 4:110); ed introducono, inoltre, la fattispecie dell’ingiusto profitto e del vantaggio iniquo di una parte a danno dell’altra, nella quale assume rilievo la situazione di dipendenza o di bisogno della parte svantaggiata di cui la parte avvantaggiata è a conoscenza o avrebbe dovuto essere a conoscenza (art. 4:109). I PDEC recepiscono, nel modo più corretto, l’istanza diffusa dell’elaborazione di un modello generale di contratto con asimmetria di potere contrattuale che, nell’ordinamento italiano, si avvale dell’estensione analogica della normativa sul contratto del consumatore anche ai rapporti tra imprese connotati da disparità di potere contrattuale: l’estensione è giustificata da affinità di fat- to e dall’equivalenza dei bisogni di tutela sottostanti sia alla disciplina delle clausole abusive sia alla disciplina dell’abuso di dipendenza economica nei rapporti di subfornitura tra imprese, giacché in entrambi i casi la protezione trae spunto da un significativo o, rispettivamente, ecces- sivo squilibrio e si traduce nel medesimo effetto invalidatorio. Se di analogia si tratta, è di ana- logia legis che si discorre e, dunque, non è legittimo compiere l’ulteriore passo dell’afferma- zione di un principio generale di giustizia contrattuale che finirebbe fatalmente per tradursi nel- l’imposizione incontrollata di limiti all’autonomia privata la cui specificazione viene rimessa al- l’opera di concretizzazione del giudice.
La discussione sui possibili scenari del diritto contrattuale europeo e sull’elaborazione di
nuove regole generali destinate a comporre un rinnovato paradigma di contratto nel quale acqui-
15 Sul punto cfr. Xxxxxxxxx, Il contratto di diritto europeo, cit., 157 s.
sti piena rilevanza la condizione di squilibrio di potere tra le parti ha trovato alimento non solo nel diritto di fonte comunitaria, ma anche nelle codificazioni private o fonti scientifiche che dir si voglia: Principi Unidroit e PDEC. Il dibattito si è acceso in Italia soprattutto sulla funzione da assegnare alla clausola generale di buona fede-correttezza, cui i due testi fanno ampio ricorso e, di conseguenza, sulla natura dei rapporti tra autonomia privata, legge e giurisprudenza.
L’introduzione, ad opera del d.lgs. n. 79/2011, della figura del «turista» potrebbe fornire un sostegno insperato al battesimo del c.d. contratto asimmetrico. All’art. 33 (allegato 1, che intro- duce il codice del turismo) il turista viene infatti indicato come «l’acquirente, il cessionario di un pacchetto turistico o qualunque persona anche da nominare, purché soddisfi tutte le condi- zioni richieste per la fruizione del servizio, per conto della quale il contraente principale si im- pegna ad acquistare senza remunerazione un pacchetto turistico». Rispetto alla vecchia formula- zione dell’art. 82 del codice del consumo è significativo l’abbandono del termine di consumato- re in favore di quello di turista in quanto mette in risalto talune differenze: l’irrilevanza della qualità di persona fisica e del requisito della finalità di acquisto per scopi estranei all’attività imprenditoriale, commerciale, artigianale o professionale eventualmente svolta. Ed invero, ve- nuto meno il vestimento di consumatore, risulta più difficile negare che l’acquirente di un pac- chetto turistico, il quale può anche essere un ente organizzato e acquistare per scopi professiona- li o imprenditoriali, sia riconducibile ad una diversa categoria, più ampia, di soggetto debole.
Al consumatore, dunque, sembra sostituirsi la nuova figura del turista-cliente quale epifania del cliente tout court attorno a cui una parte della dottrina ricostruisce la macrocategoria del contratto asimmetrico. Il contratto del turismo organizzato potrebbe in altri termini elevarsi – ma non mancano di certo significative controindicazioni di carattere generale – a paradigma di quel rapporto contrattuale che si sviluppa tra un fornitore e un destinatario di un bene o di un servizio (il cliente) nel quale il destinatario della prestazione viene tutelato quale parte debole in quanto sostanzialmente estraneo alla prestazione, indipendentemente dalla qualificazione sog- gettiva (persona fisica/persona giuridica) e dalle ragioni che giustificano la sua presenza sul mercato.
A sua volta e malgrado le apparenze non costituisce per nulla un appiglio utile per la sorte del contratto asimmetrico la recente estensione della tutela consumeristica, senza distinguere tra scopo di consumo e non, ai clienti di forniture di acqua, gas, elettricità e teleriscaldamento effet- tuate da operatori anche pubblici su base contrattuale. La norma in discorso, infatti, si ispira ad una filosofia – quella comune all’art. 2597 c.c. della tutela del cliente, qualsivoglia ne sia il pro- filo soggettivo, avverso il monopolio pubblico o privato – che ha tratto al modello del mercato sospeso e non al modello del mercato concorrenziale nel cui seno si è affermato il contratto del consumatore e solamente può trovare ospitalità il contratto asimmetrico.
Un’ulteriore ma dubbia sponda alla teoria del contratto asimmetrico è offerta, infine, dalla proposta di Regolamento del diritto comune della vendita transfrontaliera, il cui ambito di ap- plicazione, tracciato dall’art. 7, co. 1, travalica i rapporti tra consumatori e professionisti esten- dendosi anche ai contratti tra imprese di cui almeno una sia da annoverare tra quelle medio-
piccole. L’art. 7, co. 2, fissa le linee per stabilire il carattere di piccola o media impresa, prospet- tando due requisiti concorrenti: uno dimensionale ossia che l’impresa dia impiego a meno di 250 lavoratori; ed uno economico-patrimoniale ossia che l’impresa abbia un volume d’affari in- feriore a cinquanta milioni di euro ed un bilancio consuntivo annuale non superiore ai quaranta- tré milioni di euro.
La soluzione proposta lascia in realtà un po’ perplessi perché l’impresa debole non sembra riconducibile ad una figura astratta e predeterminata, come invece accade per il consumatore, nei cui confronti peraltro sono emerse ugualmente esigenze seppure marginali di diversificazio- ne del trattamento giuridico (vedi il caso del consumatore c.d. esperto). L’indiscutibile debolez- za di talune imprese rispetto alle altre con le quali finiscono per concludere contratti non si pre- sta ad una schematizzazione tramite la tecnica della fattispecie analitica, preordinata a delineare in termini generali e astratti l’impresa strutturalmente debole; ma, tutt’al contrario, va concepita come l’esito di un apprezzamento in concreto, per lo più incentrato sui riflessi che tale debolez- za proietta sul regolamento contrattuale, determinandone l’eccessivo squilibrio, oppure anche sull’attività precontrattuale, specie in sede di rinnovazione o di rinegoziazione dei termini del contratto.
L’apertura alla figura del contratto asimmetrico che la proposta di Xxxxxxxxxxx sembra compiere è però più apparente che reale perché non si assiste ad un piena e compiuta estensione ai contratti tra imprese, di cui almeno una medio-piccola, della disciplina dei contratti del con- sumatore, come invece predica la teoria del contratto asimmetrico. E infatti, su diverse e centrali questioni, la proposta di Regolamento diversifica i presupposti e le disposizioni applicabili nel caso in cui il contratto metta in rapporto due imprese.
Viene da chiedersi allora che cosa della teoria del contratto asimmetrico è accolto dalla pro- posta di Regolamento. Senza dubbio l’idea di fondo che anche nel contratto tra imprese si lasci- no scorgere problemi di disparità tra le parti e di conseguente squilibrio del regolamento nego- ziale tali da imporre la predisposizione di rimedi volti a riequilibrare il rapporto. Tuttavia l’accoglimento di questo assunto non si spinge fino a ritenere che il ventaglio di problemi sia il medesimo del contratto del consumatore, ed anzi l’approdo consiste proprio nella conclusione opposta: il riconoscimento della specificità dell’asimmetria contrattuale tra le imprese. E ciò apre il campo alla diversa prospettiva del contratto dell’impresa «debole».
Un cenno merita, infine la questione del c.d. «terzo contratto» 16. La rottura del paradigma contrattuale unico si deve alla legislazione a tutela del consumatore, ma si è ora consolidata in ragione delle novità normative di matrice europea a tutela dell’impresa «debole». Si pensi
16 Cfr. X. Xxxxxxxxx, Prefazione a X. Xxxxxxxxx, L’abuso di dipendenza economica tra disciplina della con- correnza e diritto dei contratti, Torino, 2004, XIII-XIV; X. Xxxxxxx, Il contratto asimmetrico tra parte genera- le, contratti di impresa e disciplina della concorrenza, in Riv. dir. civ., 2008, I, 529 s.; X. Xxxxxxxxx, Il terzo contratto, Contratti, 2009, 493 s.; Per una valutazione complessiva cfr. X. Xxxxxx, Lezioni di diritto civile2, Torino, 2016, 139 s.; Il terzo contratto. L’abuso di potere contrattuale nei rapporti tra imprese, a cura di X. Xxxxx-X. Xxxxx, Bologna, 2008, passim.
all’abuso di dipendenza economica o alla possibilità offerta al giudice di riconduzione ad equi- tà del contratto nell’ipotesi in cui l’impresa creditrice subisca clausole relative ai tempi di pa- gamento particolarmente inique.
Infine, deve ricordarsi come la legge impone una durata «sufficiente» del contratto di fran- chising a garantire l’ammortamento degli investimenti sostenuti da chi si inserisca in una rete di distribuzione commerciale: nonostante il silenzio del legislatore, tale prescrizione ha fatto rite- nere la nullità dell’accordo che preveda una durata non sufficiente.
Ciò su cui allora attualmente può riflettersi è in che modo il giurista europeo possa o debba procedere ad un riordino della nuova costellazione di segmenti normativi in ambito contrattuale. In questo senso, si possono già intravvedere e delineare due diversi modelli: uno di tipo tede- sco che mira ad una sistemazione caratterizzata dall’incorporazione nel codice civile delle novi- tà provenienti dai diritti di settore; l’altro di stampo francese ed italiano, propenso invece ad af- fiancare al codice civile (ed al suo contratto) un codice del consumo (e dunque un contratto del consumatore). Si tratta allora di capire se la frammentaria disciplina di derivazione europea del contratto d’impresa possa candidarsi a paradigma di un «terzo contratto», il contratto dell’im- presa debole, che si affiancherebbe al tradizionale contratto liberale del codice civile ed al con-
tratto del consumatore.
Andando oltre, riteniamo possibile registrare nella riflessione dottrinale dell’ultimo decennio due opzioni di fondo. Per un verso, come abbiamo anticipato, un tentativo di agglutinamento delle novità normative di matrice europea in un’unica macrocategoria, quella del contratto con asimmetria di potere contrattuale: qui il contraente debole è il consumatore, ma anche l’impresa. Per altro verso, la tendenza ad edificare un paradigma autonomo del contratto dell’impresa debole. Quest’ultimo, secondo la teorica del «terzo contratto», non condividerebbe con il con- tratto del consumatore in primo luogo le modalità della contrattazione, poiché la «debolezza» dell’impresa non presuppone l’eterodeterminazione del regolamento contrattuale. Tale «debo- lezza», inoltre, implicherebbe un’asimmetria anche solo potenziale se si guarda ad esempio alla circostanza che, nell’abuso di dipendenza economica, l’impresa forte non deve aver determinato uno squilibrio normativo, ma «deve essere in grado» di determinarlo. Ancora, malgrado vi sia una tendenziale convergenza verso una ratio di tutela del mercato concorrenziale, la disciplina consumeristica «prescinde dall’effettiva esistenza di un vantaggio anticompetitivo»: a ben vedere infatti l’apparato rimediale da essa approntato è indifferente alla circostanza che in concreto nes- suno si avvantaggi perché tutti gli imprenditori utilizzano una certa clausola abusiva (la quale sarà pertanto egualmente nulla); né può dirsi che i rimedi a tutela del consumatore operino soltanto in presenza di un’alterazione significativa del mercato, come accade invece rispetto all’impresa de- bole. Per contro, il contratto «terzo» del contraente imprenditore debole conoscerebbe un controllo dell’equilibrio (anche) economico dello scambio, quando invece è noto che il contratto del consu- matore è sindacabile solo in punto di equilibrio tra diritti ed obblighi, cioè di equilibrio «normati- vo». Infine, la disciplina a tutela dell’impresa debole non può che risentire della relazione tra gli
attori del mercato, per cui in essa il contratto è soltanto uno dei momenti di tale relazione.
Il terzo contratto – se vogliamo riepilogare – designa il contratto tra imprenditori con dispari- tà di potere contrattuale collegata per lo più alla situazione di dipendenza economica di una par- te rispetto all’altra, il che pertanto ne accentua i tratti distintivi rispetto a qualsiasi altro modello. La concettualizzazione di questo schema generale muove in Italia – come s’è già ricordato – da uno sparuto numero di blocchi di disciplina di taluni rapporti contrattuali business to business: la subfornitura (l. n. 192/1998), i ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali (d.lgs. n. 231/2002), il franchising (l. n. 129/2004). La scarsezza degli appigli normativi e la loro non par- ticolare significatività rendono anche la figura di contratto in discorso prevalentemente un pro- dotto della riflessione scientifica, la quale ravvisa elementi di disparità tra la figura del consu- matore e quella dell’imprenditore in condizione di dipendenza economica tali da sconsigliare diversamente dalla teoria del contratto con asimmetria di potere contrattuale l’esportazione di regole e di rationes proprie del contratto del consumatore nei contratti tra imprenditori segnati dalla predominanza economico-contrattuale di una parte sull’altra, senza per questo essere co- stretti a ricorrere alla disciplina di diritto comune di per sé inadatta alle specificità dei rapporti tra imprese caratterizzati dal dato dell’integrazione economica effettiva delle parti ed alla finali- tà ultima di regolazione del mercato.
L’analisi della strategia rimediale prevista per tutti i modelli di contratto europeo lascia tra- sparire la riduttività dell’orientamento che pretende di leggere le fattispecie in questione dalla microprospettiva del contraente debole e, quindi, della ricerca di una giustizia contrattuale mira- ta agli interessi del singolo, rinunciando ad evidenziare gli obiettivi di politica generale che la trascendono.
Nel contratto del consumatore, la strategia rimediale predisposta dal legislatore europeo – che va dall’imposizione di obblighi di informazione e di contenuti, all’individuazione di divieti di comportamento ed all’attribuzione del recesso di pentimento – approda certamente ad un sin- dacato giudiziale ex post sul contenuto del contratto in funzione di ortopedia e di predisposizio- ne a vantaggio del consumatore di mezzi di tutela tesi al recupero del risultato utile dell’affare; ma in tal modo si tende anche alla responsabilizzazione del consumatore che è reso arbitro delle proprie fortune ed al contempo – con un effetto riflesso estremamente significativo – agente del- la razionalità del mercato. La regolazione del mercato su base concorrenziale, in altre parole, si persegue non più solo tramite le politiche economiche e monetarie, e vuole essere innanzitutto costruzione e conservazione di assetti a partire dalle singole negoziazioni tramite un decalogo di condotte delle parti in sede di conclusione e di esecuzione dei contratti.
Un analogo discorso si deve ripetere con riferimento al c.d. terzo contratto, il quale, così co-
me prospettato dai suoi fautori, risponde pur sempre ad esigenze di mercato, in quanto affida ai rimedi contrattuali ed all’intervento correttivo del giudice un ruolo più incisivo di contrasto alle storture della concorrenza, e ciò è reso evidente dalla circostanza che il termine di riferimento per la valutazione dello squilibrio contrattuale è costituito non già dalla buona fede, come nel contratto del consumatore, bensì dalle prassi commerciali e, quindi, dal mercato stesso.