LE DEROGHE LEGALI E CONVENZIONALI ALL’EFFICACIA DEL CONTRATTO:
LE DEROGHE LEGALI E CONVENZIONALI ALL’EFFICACIA DEL CONTRATTO:
l’art.1372 c.c. ed il principio “pacta sunt servanda”
A cura di XXXXXXX XXXXXXXXXX
Ai sensi dell’art. 1372 c.c. il contratto, quale esplicazione dell’autonomia contrattuale volta a costituire, regolare o estinguere un rapporto giuridico patrimoniale, ha forza di legge tra le parti. Principio fondamentale, del sistema contrattuale, è dunque la irrevocabilità : tuttavia, non avendo tale regola portata assoluta, il legislatore ha previsto – all’interno delle disposizioni codicistiche – alcune deroghe legali e convenzionali idonee a limitare la vincolatività degli effetti giuridici prodotti dal contratto stipulato.
Al fine di comprendere quali siano gli strumenti predisposti dal legislatore (e quando questi siano azionabili dalle parti) per sciogliere il vincolo contrattuale, occorre ricostruire il quadro normativo di riferimento.
L’espressione “forza di legge”, utilizzata dal legislatore nell’art. 1372 c.c. dedicato all’efficacia del contratto, racchiude la ratio ultima dell’autonomia contrattuale : quale dichiarazione di volontà diretta alla produzione di effetti giuridici che l’ordinamento giuridico riconosce e garantisce nei
limiti della corrispondenza tra essi e la volontà che li persegue, è specificazione dell’autonomia negoziale e della libertà di iniziativa economica di cui all’art. 41 Cost.
Attraverso il riconoscimento dell’impegno assunto dalle parti il legislatore consente, attraverso
l’adozione dello strumento contrattuale, la produzione di effetti giuridici che assumono valore ai sensi della legge: prima conseguenza della stipulazione diviene dunque la irretrattabilità del vincolo giuridico posto in essere dalle parti.
Tali principi, racchiusi nella massima latina “pacta sunt servanda”, impongono come non sia possibile liberarsi unilateralmente dagli obblighi assunti con il contratto: le parti non possono, in definitiva, imporre unilateralmente modifiche o integrazioni del regolamento contrattuale.
L’esigenza di tutelare il contenuto contrattuale, nonché la volontà dei contraenti al momento della previsione del futuro regolamento contrattuale, nasce dal rispetto dei principi costituzionali di buona fede e solidarietà sociale reciproca ex art. 2 Cost. : il vincolo nato tra le parti, le impegna, nel senso che esse non possono più sottrarsi ai suoi effetti.
Tale volontà del legislatore non ha, tuttavia, portata assoluta.
E’ la stessa autonomia negoziale, riconosciuta dalla legge, che legittima le parti a modificare il sinallagma contrattuale sempre che ciò non incida sugli interessi generali dell’ordinamento giuridico.
Infatti, nel consentire alle parti di scegliere liberamente l’ “an” ed il “quomodo” del contrarre, il legislatore consente alle stesse (nei limiti previsti dalla legge) di apportare deroghe convenzionali alla disciplina codicistica del procedimento di formazione della fattispecie contrattuale nonché modulando la produzione dei suoi effetti.
Le deroghe alla portata imperativa del principio in esame sono consentite dallo stesso art. 1372 c.I
c.c. nonché dalla disciplina consumeristica e comunitaria che riconosce il diritto al recesso contrattuale.
Le cause di scioglimento previste dalle legge sono conseguenza dell’adempimento, della risoluzione giudiziale e della comune volontà delle parti (risoluzione convenzionale).
In primo luogo, lo stesso art. 1372 c.c. consente che le parti sciolgano in vincolo negoziale attraverso mutuo consenso o per cause strettamente ammesse dalla legge : il testo della norma consente alle parti di estinguere un vincolo contrattuale, sorto precedentemente, in via convenzionale ovvero stipulando un ulteriore contratto estintivo di muto dissenso.
Il mutuo dissenso è dunque il successivo negozio risolutorio, dotato di propria causa ed oggetto, attraverso il quale le parti manifestano la propria volontà di estinguere il precedente vincolo.
L’ammissibilità di tale forma di negozio è ammessa dagli artt. 1321 (il quale ammette che il contratto possa essere strumento utilizzato anche per estinguere un rapporto giuridico patrimoniale), 1372 c.I (in punto di mutuo consenso) ed ha portata retroattiva.
Sono fatti salvi i diritti acquisiti dai terzi durante l’esecuzione del contratto.
La figura principale che pone alcune problematiche in punto di irretrattabilità del vincolo contrattuale è il recesso.
Il legislatore consente alle parti, nonché in via legale, nell’esplicazione della loro autonomia privata di pattuire la facoltà di recesso: contrariamente alla regola per cui, unilateralmente, il contraente non possa sciogliersi dal vincolo, nel codice civile sono previste norme che ammettono la facoltà di recedere dal contratto.
Il recesso è l’atto negoziale, unilaterale e recettizio, con il quale la parte esercita il diritto potestativo di sciogliere il rapporto contrattuale: a seconda che la fonte sia di natura legale o negoziale si distingue tra le due forme codicistiche di recesso legale (es. art. 1596 c.II; 1660 c. II) o convenzionale (1373 c.c.).
La ratio sottesa al potere di recesso è rinvenibile in due processi storici: da un lato lo sfavor del legislatore per i vincoli perpetui (dunque lesivi della libertà contrattuale futura che pregiudicherebbe
a sua volta l’interesse generale dell’ordinamento), dall’altro vi è l’avvento della disciplina consumeristica europea che ha consentito il “ripensamento” del consumatore (quale strumento di tutela dello stesso dai rischi connessi alle particolari modalità di negoziazione generalmente impiegate dalle imprese).
A fronte di queste, appurate, esigenze dottrina e giurisprudenza hanno ritenuto di poter desumere una regola generale in ordine alla libera recidibilità (previo preavviso) dai contratti a tempo indeterminato, pur in assenza di esplicita previsione normativa o pattizia: in base alla natura giuridica assunta, il recesso si atteggia nelle forme di recesso determinativo (con riferimento ai contratti che non presentino un termine conclusivo), impugnazione (per fronteggiare i vizi genetici del contratto e le sopravvenienze), jus poenitendi (contemplato con riferimento ad alcuni contratti di durata – diritto di ripensamento del consumatore).
Il legislatore ha previsto due distinte forme di recesso: quello convenzionale – che consente
l’inserimento nel contratto di una clausola attributiva della facoltà di recesso in favore di uno od entrambi i contraenti (ex art. 1373 c.c.) – e quello legale, con riferimento al quale è lo stesso legislatore ad attribuire il diritto di recesso alle parti.
Il recesso legale si articola nelle forme del recesso “ad nutum” e “straordinario”.
Il primo consente ai contraenti di recedere in qualunque momento a propria discrezione e fa riferimento ai contratti per i quali non è previsto un termine e va esercitato nel rispetto del principio di buona fede ed in modo che la controparte possa tempestivamente adottare tutte le misure idonee ad evitare i danni derivanti dal venire meno del rapporto contrattuale.
Il secondo, invece, attribuisce alla parte il diritto di recedere per giusta causa o giustificato motivo: pur sollevando (in dottrina) dubbi in merito alla portata interpretativa di tale disposizione, secondo l’opinione prevalente con questa il legislatore ha inteso fare riferimento a qualsiasi fattore sopravvenuto che possa compromettere l’interesse della parte alla prosecuzione del rapporto contrattuale.
Esempi più importanti di recesso legale sono il recesso dal contratto di appalto (art.1660 c.II),dal contratto di locazione (1596 c. II) ed il recesso dal contratto di lavoro (art.2224 c.II).
Il recesso convenzionale, invece, è la forma di recesso con la quale le parti inseriscono nella pattuizione una clausola che consente tale facoltà ad una od entrambe le parti.
Ai sensi dell’art. 1373 c.c., può essere esercitato solo xxxxxx il contratto non abbia avuto un principio di esecuzione: ratio di tale limite è data dal fatto che, con l’esecuzione della prestazione, si manifesterebbe un intento palesemente contrastante con la volontà di recedere.
E’ tuttavia ammesso un eventuale patto contrario, consentendo l’esecuzione della prestazione dedotta in contratto se previsto dalle parti.
La forma che maggiormente collide con il principio per cui il sinallagma contrattuale sia irrevocabile è il recesso consumeristico.
La legislazione speciale, di derivazione comunitaria, ha introdotto questa ulteriore forma di recesso in attuazione delle direttive comunitarie: il legislatore nazionale, con il D.lgs 50/92, 185/99 e con il Codice del Consumo, ha inteso proteggere il consumatore dai rischio connessi alle particolari modalità di negoziazione generalmente impiegate dalle imprese che intendano collocare sul mercato particolari prodotti e servizi.
Il consumatore, spesso, giunge alla conclusione del contratto senza aver valutato adeguatamente la convenienza dello stesso e sulla base di scelte rapide e non ponderate: riconoscendo allo stesso il diritto di ripensamento, ex art 64 cod. cons., il legislatore agevola l’incremento dei traffici giuridici attraverso la sottoposizione dell’azione del consumatore ad un termine breve decadenziale, alla discrezionalità dell’esercizio ed alla sua gratuità.
In tal modo il consumatore è libero di riconsiderare l’opportunità dell’affare concluso ed, eventualmente, sciogliersi dal vincolo assunto.
Ultimo, ma importante, connotato del diritto di recesso è la sua irrinunciabilità: l’art. 143 cod.cons. afferma che una eventuale pattuizione che renda più gravoso l’esercizio di tale diritto è nulla per violazione di norme imperative: inoltre, a differenza dell’art. 1373 c.c., può essere esercitato anche se il contratto è in corso di esecuzione, perdurando anche dopo l’adempimento da parte del venditore dell’obbligo di consegnare la res.
Il rispetto dell’autonomia privata negoziale, da parte del legislatore, si spinge sino a consentire
l’inserimento nel sinallagma contrattuale di alcuni elementi accidentali : il contratto, ex art. 1325 c.c., si compone di alcuni elementi essenziali (senza i quali non può sorgere validamente e la cui mancanza comporta una nullità strutturale ex art. 1418 c. II c.c.) ed accidentali, che in virtù del potere conferito dall’art. 1322 c.c. è consentito alle parti apporre.
La figura più importante di accidentalia negotii è la condizione: compiutamente regolamentata nel codice civile, a differenza del termine e del modo.
L’art. 1353 c.c. consente alle parti di “subordinare l’efficacia o la risoluzione del contratto o di un singolo patto ad un avvenimento futuro e incerto”.
Mancando una esplicita definizione, dottrina e giurisprudenza affermano che sia qualificabile condizione ogni avvenimento futuro e incerto al cui verificarsi le parti subordinano la produzione degli effetti ovvero l’eliminazione degli effetti prodotti dal negozio cui accede: a seconda degli effetti prodotti si distingue tra condizione sospensiva ( se da essa dipende l’efficacia del negozio) e risolutiva (se da essa dipende l’eliminazione degli effetti prodotti dallo stesso).
Con riferimento alla tematica esaminata, occorre trattare della condizione risolutiva potestativa.
La condizione potestativa, a differenza di quella casuale, dipende dalla volontà delle parti: all’interno delle condizioni potestative si distingue tra condizioni meramente potestative (consistenti in un comportamento che la parte obbligata può decidere di tenere a proprio arbitrio) e potestativa semplice (consistente in un comportamento che non è frutto di mero arbitrio).
Attraverso l’apposizione di una condizione risolutiva, pur avendosi un contratto valido ed efficace, i suoi effetti si produrranno immediatamente ma si risolveranno al momento di avvera mento della condizione. Tale clausola è quella che maggiormente collide con la doverosità degli impegni assunti dalle parti in sede di stipulazione contrattuale ma il legislatore non fa divieto di apposizione della stessa.
Con riferimento alla condizione risolutiva meramente potestativa, non menzionata nell’art. 1355 c.c., dottrina e giurisprudenza si sono interrogate in ordine alla sua ammissibilità: l’orientamento giurisprudenziale prevalente ne ammette la validità poiché il legislatore non la qualifica come espressamente nulla nella disposizione in esame, differentemente da quanto accade per la condizione sospensiva meramente potestativa.
Una previsione normativa particolarmente vicina alla fattispecie esaminata è costituita dal c.d. patto di riscatto: l’art. 1500 c.c. consente la vendita sottoposta condizione risolutiva potestativa attraverso la quale il venditore si riserva il diritto di riavere la cosa venduta mediante la restituzione del prezzo ed in rimborsi stabiliti dalla legge.
Per tali ragioni, secondo una opinione, il patto di riscatto si sostanzierebbe in un negozio sottoposto a condizione risolutiva: l’esercizio della relativa facoltà del venditore farebbe scattare l’evento dedotto sotto condizione risolutiva potestativa così determinando il ritorno della proprietà del bene in capo al venditore e senza bisogno di una manifestazione di volontà da parte dell’acquirente.
Dovendo il venditore, se intende ritornare proprietario, restituire al compratore il prezzo ed effettuare i rimborsi, non si tratterebbe di condizione meramente potestativa poiché la condotta non sarà indifferente al venditore stesso.
Il compratore ed il venditore rivestono, nell’ipotesi di vendita con patto di riscatto, due posizioni differenti : l’uno è titolare di una proprietà temporanea e ne potrà disporre liberamente ed entro i limiti di cui al 1357 c.c., l’altro è titolare di un diritto personale di natura potestativa poiché il riscatto produce il mutamento automatico della situazione giuridica senza che sia necessaria collaborazione alcuna da parte del compratore.
In definitiva, il recesso, il patto di riscatto e la condizione risolutiva potestativa sono alcune delle forme, tra legali e convenzionali, con le quali il legislatore deroga alla disciplina codicistica della irrevocabilità del sinallagma contrattuale: pur non potendosi unilateralmente sciogliere dal vincolo
contrattuale , il rispetto da parte dell’ordinamento dell’autonomia negoziale legittima le parti alla previsione di alcune espresse deroghe alla vincolatività del contratto stipulato.
Nell’interesse delle parti, il legislatore consente l’apposizione di tali clausole, nei limiti di legge e quando non collidenti con l’interesse generale al quale l’iniziativa economica privata (ex art. 41 Cost.) è funzionale.