Contract
4 Maggio/Giugno 2022
4 SETTORE SANITARIO
Il contratto di consulenza tra impresa e operatori del settore sanitario
14 PRIVACY
I trasferimenti internazionali di dati personali dall’UE verso Paesi Terzi
22 COWORKING
Il contratto di coworking
28 CAR ADVERTISING
1 Gennaio 2022
Il contratto di car advertising
Modulo24 è una nuova formula editoriale, curato dal Comitato Scientifico costituito dai principali Esperti del Sole 24 Ore, che garantisce un servizio di aggiornamento continuo su tutte le novità legislative, interpretative e giurisprudenziali, grazie alle news, alle rassegne quotidiane, all’approfondimento offerto dalla pubblicazione periodica di commenti e la trattazione specialistica del Manuale.
Il nuovo Modulo24 ospita la rivista: nuova, originale nell’impianto e nelle soluzioni, che si propone di affrontare con taglio operativo le problematiche di ordine tecnico che il professionista è chiamato quotidianamente ad affrontare e risolvere, coniugando nozioni istituzionali a novità normative e giurisprudenziali.
Negli articoli della rivista sono presenti link a contenuti di approfondimento presenti nella banca dati Modulo24, per consentire una lettura integrata tra il commento e la documentazione di approfondimento.
La Redazione
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DIREZIONE SCIENTIFICA E CONDIREZIONE SCIENTIFICA
Avv. Xxxxxxxxxx De Xxxxxx e Avv. Xxxxxx Xxxxx
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COMITATO SCIENTIFICO
Avv. Xxxxxxxxxx De Xxxxxx e Avv. Xxxxxx Xxxxx
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Questo numero è stato chiuso in redazione il 13 Maggio 2022
2 Maggio/Giugno 2022
Sommario
Il contratto di consulenza tra impresa e operatori del settore sanitario
A cura di: Avv. Xxxxxx Xxxxx Xxxxx Xxx. 4
I trasferimenti internazionali di dati personali dall’Unione Europea verso Paesi Terzi
A cura di: Avv. Xxxxxxxxx Xxxxxxxxxx – Avv. Xxxxxxxx Xxxxxxx Xxx. 14
Nuove esigenze, nuovi contratti: il contratto di coworking
A cura di: Avv. Xxxxxx Xxxxxxx Pag. 22
Il contratto di car advertising
A cura di: Professore Xxxxxxx Xxxxxx Xxxxxx Xxx. 28
3 Maggio/Giugno 2022
Il contratto
di consulenza tra impresa e operatori del settore sanitario
A cura di: Avv. Xxxxxx Xxxxx Xxxxx
1. Elementi di contesto
Nel sentire comune, attività di laboratorio e pratica clinico – chirurgica rappresentano il principale motore del progresso medico scientifico e dell’avanguardia nel settore farmaceutico; tuttavia, un’articolata rete di relazioni professionali, confronti, collaborazioni e attività di divulgazione sostiene parimenti lo sviluppo del settore della ricerca e di nuove soluzioni medicali.
Come noto, l’industria privata gioca un ruolo chiave nel panorama sanitario e scientifico nazionale ed internazionale anche dal punto di vista degli importanti finanziamenti messi a disposizione della ricerca, sponsorizzata o indipendente, della formazione e dell’aggiornamento scientifico, del settore congressuale e divulgativo, del contesto editoriale.
Il forte accreditamento e lo stabile posizionamento dell’industria nel panorama della sanità e della medicina derivano in larga parte da quella rete di relazioni poc’anzi menzionata, sostenuta da interlocuzioni e collaborazioni a tutto tondo con esponenti del settore sanitario, che ad oggi includono medici (o figure cliniche in generale) e una sempre crescente rappresentanza di professionisti impiegati, con differenti mansioni, nel settore sanitario. Sono riconducibili a quest’ultima categoria, ad esempio, profili manageriali ed amministrativi, le cui competenze si vanno ad integrare, in maniera accrescitiva, con il know-how industriale.
Lo scopo di questo contributo è analizzare la tipologia di contratto più ricorrente, vale a dire il contratto di consulenza, con cui è prassi disciplinare le collaborazioni tra industria privata e professionisti del settore sanitario operanti nel pubblico e/o nel privato convenzionato. Il segmento industriale oggetto di disamina (in qualità di “committente” della consulenza) è quello farmaceutico.
2. Le relazioni tra azienda privata e dipendente pubblico del settore sanitario: la genesi del rapporto consulenziale
L’azienda privata che commercializza farmaci, benché al suo interno consti di un’organizzazione articolata e molto differenziata
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in termini di competenze e know – how, reca in sé una fisiologica lacuna sull’esperienza e conoscenza che solo la pratica clinica, amministrativa o gestionale, coltivata all’interno di un comparto ospedaliero, universitario o amministrativo territoriale può offrire rispetto al concreto impiego dei prodotti sul mercato. Il settore industriale del farmaco, la cui missione commerciale necessita di un approccio a tutto tondo al mercato, dalla scoperta della nuova molecola, alla negoziazione del prezzo, alla promozione del prodotto, in alcun modo può rinunciare ad acquisire quelle competenze specifiche che possono
essere attinte solo all’esterno del perimetro aziendale.
Da questo contesto prende forma la viva esigenza di uno scambio, di un rapporto strutturato, che avendo come obiettivo l’acquisizione di competenze e know – how, dal punto di vista giuridico assume la veste di un rapporto di consulenza, in cui all’operatore sanitario viene richiesta una prestazione d’opera intellettuale, multiforme, al servizio di un comparto industriale il cui operato è in grado di fare la differenza nella prospettiva economico sanitaria di un paese.
3. Il conferimento dell’incarico di consulenza: la necessità di un contratto
Può apparire scontato, ma è tuttavia necessario evidenziare che il rapporto di consulenza in esame, per le ragioni oggetto di successiva disamina, suggerisce l’opportunità di regolarne una disciplina dettagliata all’interno di un contratto (o lettera di incarico). Il Codice Covile prevede una regolamentazione specifica in materia di prestazione d’opera intellettuale agli artt. 2230 e ss., inquadrando il contratto d’opera intellettuale quale sottocategoria del contratto d’opera. Elementi distintivi di questo rapporto sono: a) il carattere intellettuale della prestazione; b) la discrezionalità del prestatore d’opera nell’esecuzione della prestazione; c) il mero compimento di un’attività come oggetto della prestazione, indipendentemente dal risultato che sarà raggiunto (c.d. obbligazione di mezzi), pur essendo possibili anche fattispecie di obbligazioni di risultato, laddove il prestatore d’opera sia vincolato alla consegna di un deliverable oggettivo della propria attività.
Quanto al regime di responsabilità del prestatore d’opera (1), in linea generale è richiesto che nell’adempimento della sua obbligazione osservi l’obbligo di diligenza adeguato alla natura dell’attività esercitata, determinando, di conseguenza, una possibile responsabilità del professionista anche per colpa lieve.
Come vedremo, una pattuizione scritta e negoziata gioca un ruolo chiave nella definizione di un rapporto, oneroso o gratuito che sia, in cui il committente non coincide con il datore di lavoro del prestatore dell’opera. Nella maggioranza dei casi infatti, il consulente è un professionista alle dipendenze di un ente pubblico (o privato convenzionato), verso il quale, come vedremo, vigono una serie di obblighi e adempimenti non solo a suo carico, ma anche in capo all’industria committente. La pattuizione espressa delle attività da svolgersi nel rispetto delle modalità stabilite rappresenta il primo strumento di garanzia dell’osservanza di prescrizioni dal rango normativo e regolamentare.
4. Le parti, la causa e l’oggetto del contratto
4.1 Il contratto azienda – operatore sanitario
Se, alla luce di quanto esposto sino ad ora, è chiaro che nella fattispecie in trattazione la parte contrattuale committente è un’azienda privata operante nel settore farmaceutico, è necessario soffermarsi sull’identità concreta della controparte: il consulente.
Come illustrato nelle premesse, il medico (ospedaliero o universitario) non è l’unico profilo professionale di cui le aziende possono necessitare ai fini dell’integrazione di un know-how esterno. Il panorama attuale è molto più complesso e la competenza clinica e scientifica non è più la sola ad avere un ruolo determinate nella definizione e studio del c.d. patient journey, che si alimenta anche grazie all’interazione tra figure sempre nuove. All’interno del contesto di cura, ad esempio, anche il personale non prescrittore (si pensi ad esempio all’infermiere, al terapista, al case manager) assume un ruolo sempre più centrale rispetto alle esigenze del paziente e alla gestione della terapia. Valga ciò in particolare nel mondo delle malattie rare e delle cronicità, in cui la presenza e l’operato del personale
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non prescrittore risulta chiave per lo svolgimento di tutta una serie di attività e servizi di cui il paziente in trattamento beneficia sul piano personale ancor prima che terapeutico.
Uscendo dal perimetro del contesto di prima cura, si pensi poi a tutto lo scenario amministrativo e gestionale di contorno, in cui profili professionali quali direttori generali, provveditori, assessori… sono ad oggi riconosciuti come solido target delle funzioni aziendali che operano sul fronte dell’accesso del farmaco e della sua gestione regolatoria, portatori di un know how essenziale in materia di economia sanitaria, procedure approvative e negoziazione dei prezzi.
È dunque necessario confermare che tutte queste figure professionali ad oggi possono assurgere al rango di “controparte” del contratto di consulenza stipulato con l’azienda privata.
4.2 Il contratto azienda – agenzia
Rispetto a quanto descritto nel precedente paragrafo, va specificato che nell’organizzazione di eventi ed attività più complesse, che richiedano il coinvolgimento di un certo numero di operatori sanitari in qualità di consulenti (es. relatori ad eventi multidisciplinari, advisor all’interno di expert panel, simposi, progetti editoriali), sovente l’azienda committente demanda ad un soggetto terzo – generalmente un’agenzia organizzativa – la gestione degli incarichi ai consulenti esterni. Si parla in questi casi di incarichi “indiretti”, in cui la catena contrattuale prevede un accordo di servizi tra l’azienda e l’agenzia e specifici incarichi di consulenza sottoscritti tra l’agenzia e gli advisor identificati. Ricade pertanto sotto un’entità terza la gestione del rapporto con l’operatore sanitario (es. conferimento dell’incarico, pagamento del corrispettivo, verifica del rispetto delle normative, ottemperanza ai profili autorizzativi, invio delle comunicazioni informative… come meglio descritte ne paragrafi seguenti).
4.3 Il contratto azienda – ente pubblico
Non sempre il consulente – operatore sanitario è rappresentato da una persona fisica. Si fa sempre più largo, a fronte della eterogenea regolamentazione adottata da ciascuna azienda ospedaliera, corpo universitario, azienda territoriale sanitaria... l’alternativa di contratti in cui la controparte – soggetto che presta attività di consulenza – è rappresentata dalla persona giuridica (ente pubblico o privato convenzionato) presso cui il professionista della sanità è impiegato. Tale alternativa, seppur talvolta più onerosa dal punto di vista della negoziazione e dei tempi di sottoscrizione dell’accordo, alleggerisce tuttavia una serie di passaggi burocratici richiesti in capo al consulente nei confronti del proprio datore di lavoro (es. adempimenti autorizzativi e informativi), che consentono di mitigare in via preventiva la gestione del conflitto di interessi e gli oneri di trasparenza.
4.4 La causa del contratto
Mantenendo un focus generale sulla fattispecie di contratto azienda – operatore sanitario, che rappresenta la casistica più ricorrente, è doveroso evidenziare che nei confronti di questi professionisti l’azienda è solita conferire incarichi di consulenza tecnico-scientifica allorquando al suo interno: a) non siano disponibili le competenze specifiche e/o le infrastrutture tecniche necessarie allo svolgimento dell’attività; b) non siano disponibili risorse sufficienti a garantire l’esecuzione dell’attività nei tempi e con le modalità richiesti. Valgano queste due circostanze come sintesi esemplificativa delle possibili cause da cui origina la tipologia di contratto in esame.
4.5 L’oggetto del contratto
L’incarico di consulenza nasce in forza di una ben precisata attività, necessaria all’industria per la realizzazione degli scopi previsti dallo statuto e dalla propria mission e la sua attivazione è subordinata alla garanzia di utilità, congruità, adeguatezza e documentabilità dell’iniziativa. L’attività richiesta può spaziare da: (i) redazione di protocolli di ricerca, relazioni, pubblicazioni scientifiche, articoli giornalistici, revisione di dossier di farmaci; (ii) coordinamento o esecuzione di ricerche medico-farmaceutiche relative ai prodotti; (iii) organizzazione e realizzazione di eventi formativi e del relativo materiale didattico; (iv) analisi, commento e condivisione dei “big data” a livello aggregato; (v) speech, relazioni, coordinamento, presidenza nell’ambito di riunioni (ivi inclusi advisory board in presenza o virtuali, expert
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meeting, e working group), simposi, congressi; (vi) partecipazione ad attività consulenziali di carattere scientifico o farmaco – economici nell’ambito di extended boards, anche a composizione mista; (vii) traduzioni di testi tecnico-scientifici; (viii) ricerche bibliografiche.
5 - La durata e la retribuzione
5.1 La durata del contratto
Non vi è naturalmente una regola generale e universalmente valida a definizione della durata del contratto di consulenza. È tuttavia possibile distinguere alcune situazioni maggiormente ricorrenti che consentono di delineare tre scenari tipo.
La fattispecie più semplice e lineare è quella in cui viene commissionata al consulente una singola attività (es. partecipazione ad un advisory board; conduzione di un training…): in tale caso, la durata del contratto è scandita dalla sottoscrizione dell’accordo quale momento inziale e dal compimento effettivo dell’attività come momento conclusivo, dovendosi considerare incluse in tale arco temporale anche eventuali attività preparatorie richieste in capo al consulente (predisposizione slides, studio di materiali).
Caso più articolato è quello in cui l’attività commissionata consta di più puntate, in cui la prestazione d’opera richiesta viene ripetuta più volte in contesti differenti: si pensi al caso dei road show o della formazione replicata in luoghi differenti, su target di discenti diversi tra loro o semplicemente dislocati in molteplici territori. In questo caso la disciplina della durata del contratto dovrà naturalmente tenere conto del completamento di tutte le attività previste a calendario e il consulente sarà materialmente legato al vincolo e agli adempimenti contrattuali sino al completamento dell’ultima attività richiesta. Ciò rileva soprattutto ai fini degli oneri di declaratoria della propria affiliazione all’azienda committente nel caso in cui un diverso committente avanzi richiesta di prestazioni professionali aventi ad oggetto i medesimi argomenti.
La terza casistica è invece quella dei cosiddetti “contratti quadro”. Tali accordi ricorrono principalmente nel caso in cui, in corrispondenza del lancio di nuovi prodotti, l’azienda committente, già all’inizio dell’anno solare, abbia ben chiara la pianificazione delle attività scientifiche, divulgative e promozionali che avranno luogo, e possa pertanto disporre una pianificazione quanto più anticipata. Questo tipo di accordi ricorrono inoltre per le attività consulenziali prestate, ad esempio, nell’ambito delle malattie rare: la presenza di un esiguo numero di specialisti esperti sul territorio nazionale fa sì che vi sia una maggiore concentrazione delle attività su un medesimo professionista, non essendoci la possibilità di differenziare interlocutori e aree territoriali come invece accade con aree terapeutiche e patologie che hanno un’estensione su più larga scala. Il contratto quando viene solitamente stipulato ad inizio anno, prevede, per quanto possibile, un dettaglio quanto più accurato delle attività da svolgersi nel corso dei successivi dodici mesi, disciplinando in maniera specifica le modalità di conferma dell’avvio di ciascuna attività programmata (ad esempio, mediante formalizzazione di una semplice lettera di incarico, che di volta in volta rimanda ai termini e garanzie già negoziati nel contratto quadro, alleggerendo le tempistiche di scambio e accettazione).
5.2 Il corrispettivo della prestazione
L’aspetto retributivo è tra quelli maggiormente attenzionati, ai fini contrattuali, dal comparto industriale committente: non solo rappresenta un elemento fortemente concorrenziale sul mercato di riferimento, ma guida anche la solidità e l’accreditamento del rapporto agli occhi della struttura pubblica di appartenenza, dell’opinione pubblica e delle autorità ispettive, tenuto conto che, come meglio vedremo, gli obblighi di trasparenza rendono tutto ampiamente visibile ed opinabile anche da parte di soggetti e istituzioni esterni al rapporto di specie.
È ormai prassi del settore e in uso presso larga parte delle aziende farmaceutiche committenti adottare in via preventiva delle regole di “fair market value”, stabilite sulla base di ricerche di mercato nazionali e allineamento con le funzioni globali di gruppo. I c.d. “tabellari di fair market value” prevedono range tariffari differenziati per tipologia di attività, modalità di calcolo della retribuzione (tariffa oraria,
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tariffa giornaliera, tariffa a corpo) e livello professionale del consulente incaricato. A tale ultimo riguardo sono previste tariffe diverse tra un neo-specialista, dalla prassi puramente locale e generalista, e il Therapeutic Area Expert di fama mondiale, dalla prassi estremamente specializzata, con un profilo accademico elevato e un prestigioso ranking di pubblicazione su riviste indicizzate. Così operando l’azienda committente riesce a gestire al suo interno e con il consulente negoziazioni tariffarie quanto più solide ed “evidence-based”, spendibili anche in sede di ispezione da parte di autorità inquirenti. È naturalmente ammessa la deroga, a fronte della quale, di prassi, viene richiesto un percorso autorizzativo specifico in capo all’azienda committente e un razionale solido e dettagliatamente argomentato.
5.3 Gli incarichi a titolo gratuito
Non è infrequente che l’operatore sanitario a cui l’azienda propone una collaborazione per lo svolgimento di un’attività consulenziale richieda di poterla eseguire senza percepire alcuna retribuzione. Le ragioni alla base di tale richiesta possono essere di varia natura ma, nella maggior parte dei casi, sono riconducibili ad una regolamentazione interna dell’ente pubblico di appartenenza che non ammette in capo al proprio personale la prestazione di attività remunerate nei confronti di aziende che hanno in corso (o hanno avuto in passato) forniture aggiudicate di beni e servizi.
5.4 Il corrispettivo in caso di contratti azienda- ente pubblico
Un discorso leggermente diverso viene invece fatto per la commisurazione della retribuzione dei compensi allorquando il contratto sia stipulato con la struttura sanitaria / amministrativa pubblica (o privata convenzionata). In questo caso, i range di fair market value adottati dall’azienda committente vengono presi come riferimento generale e base negoziale, rimettendo poi ad una negoziazione trasparente e ad hoc l’accordo su una retribuzione equa e bilanciata, che tenga adeguatamente conto delle attività richieste, del tempo impiegato, dei dipartimenti coinvolti e del prestigio scientifico della struttura incaricata.
6 - I rapporti tra lavoratore dipendente e struttura pubblica di appartenenza
La tipologia di rapporto di lavoro esistente tra l’operatore sanitario destinatario dell’incarico consulenziale e la struttura pubblica presso cui svolge la propria attività professionale determina l’applicazione della specifica normativa dettata in materia di ordinamento del lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni (D.Lgs.165/2001 (2)). Ai fini dell’applicazione normativa si distinguono diverse fattispecie, che richiedono di volta in volta specifici adempimenti.
6.1 Personale della Pubblica Amministrazione con rapporto di lavoro esclusivo
Nel caso di personale dipendente della pubblica amministrazione con rapporto di lavoro esclusivo, l’articolo 53, 6° comma D.Lgs. 165/2001 prevede che per lo svolgimento dei c.d. compiti e doveri d’ufficio non debba essere richiesta alcuna autorizzazione all’ente di appartenenza, essendo possibile il libero svolgimento di: (i) collaborazione a giornali, riviste, enciclopedie e simili; (ii) utilizzazione economica da parte dell’autore o inventore di opere dell’ingegno e di invenzioni industriali; (iii) partecipazione a convegni e seminari; (iv) impegni per i quali è corrisposto solo il rimborso delle spese documentate; (v) impegni per lo svolgimento dei quali il dipendente è posto in posizione di aspettativa, di comando o di fuori ruolo.
In questi casi si può pertanto procedere al conferimento dell’incarico libero professionale senza necessità di autorizzazione preventiva da parte dell’ente di appartenenza: è sufficiente stipulare con il soggetto interessato il contratto di consulenza, nel quale quest’ultimo autodichiari, tra l’altro, la tipologia di rapporto in essere con la Pubblica Amministrazione di appartenenza e la non necessarietà dell’autorizzazione sulla base dell’incarico conferito.
Diverso scenario invece riguarda gli incarichi non previsti dall’art. 53, 6° comma D.Lgs. 165/2001, che non rientrano nei compiti e doveri d’ufficio del dipendente e per i quali, come anticipato, si può procedere tramite un accordo con l’ente pubblico, che si fa carico di retribuire direttamente il proprio
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dipendente ovvero l’incarico può essere conferito direttamente al dipendente, purché non sia incompatibile con l’attività svolta e il dipendente stesso abbia chiesto ed ottenuto l’autorizzazione dall’ente di appartenenza. In tal caso, è sempre necessario che nel contratto di consulenza il consulente autodichiari la tipologia di rapporto in essere con la Pubblica Amministrazione di appartenenza e l’ottenimento dell’autorizzazione.
6.2 Personale della Pubblica Amministrazione con rapporto di lavoro non esclusivo
Per il personale dipendente della Pubblica Amministrazione con rapporto di lavoro non esclusivo (es. professionisti che abbiano optato per l’attività libero professionale extramuraria), docenti universitari (a tempo pieno o parziale) ed operatori sanitari dipendenti di strutture private è consentito svolgere, al di fuori dell’orario di lavoro, ogni attività professionale senza alcuna autorizzazione da parte dell’ente di appartenenza. È bene tenere conto che, nei fatti, i regolamenti interni delle amministrazioni pubbliche spesso prevedono una regolamentazione più stringente rispetto alla normativa di riferimento e che resta fermo il divieto di accettare incarichi che comportino un conflitto di interesse con l’ente e che comunque incidano sull’attività lavorativa del dipendente.
6.3 Medici di medicina generale
Le collaborazioni fra medici di medicina generale e azienda farmaceutica sono ammesse, purché si operi in un contesto generale di assenza di conflitti di interesse. Per questo motivo, è considerato illecito qualsiasi rapporto intrattenuto con il medico di medicina generale che comporti forme – anche indirette
– di condizionamento e che limitino la libertà del medico nella scelta del farmaco che egli ritenga, in concreto, più adatto al trattamento della patologia, nell’interesse dell’assistito. Le norme da seguire negli incarichi di consulenza per il medico di medicina generale convenzionato con il Servizio Sanitario Nazionale sono assimilate a quelle previste per il dipendente della Pubblica Amministrazione con rapporto non esclusivo.
7 - Il conflitto di interessi
Il conflitto di interessi rappresenta una dimensione ampiamente calata nel settore sanitario, benché, anche a livello più generale la sua definizione sia incerta sul piano normativo. L’unica regolamentazione asseritamente organica in materia, la legge n. 215 del 20 luglio 2004 (3), riguarda esclusivamente i titolari di cariche di governo, i quali, “nell’esercizio delle loro funzioni, si dedicano esclusivamente alla cura degli interessi pubblici e si astengono dal porre in essere atti e dal partecipare a deliberazioni collegiali in situazione di conflitto di interesse” (4).
7.1 Definizione generale di conflitto di interessi in ambito sanitario
Nel settore sanitario, ancor più se osservato sotto la lente di ingrandimento del rapporto tra industria privata, fornitrice di farmaci oggetto di prescrizione e acquisto sulla base di procedure di gara competitive ed esponenti del settore pubblico, il conflitto di interessi trova vasta disciplina.
In primo luogo, come generale riferimento è utile richiamare il rapporto Conflict of Interest in Medical Reaserch, Education, and Practice (5), secondo il quale un conflitto di interessi si configura quando un interesse secondario (privato o personale) interferisce o potrebbe tendenzialmente interferire con la capacità di una persona di agire in conformità con l’interesse primario di un’altra parte. Un conflitto di interessi, dunque, non è un comportamento, attivo o passivo, del professionista, ma una condizione in cui questi viene a trovarsi quando vi sono relazioni che possono compromettere la sua indipendenza, o quando il giudizio professionale riguardante un interesse primario (salute del paziente) è suscettibile di essere influenzato da interessi secondari (vantaggi economici o di altra natura, diretti o indiretti).
Non si discosta da questo concetto la definizione elaborata dal Codice di etica dell’Istituto Superiore di Sanità (6), e neppure quella formulata dal Collegio Italiano dei Primari Oncologi medici Ospedalieri (CIPOmO) nel Position Paper del luglio 2018, in base alla quale “il conflitto di interessi, prima che un comportamento, rappresenta una condizione, nella quale il giudizio professionale riguardante un interesse primario (la salute di un paziente o la veridicità dei risultati di una ricerca o l’imparzialità nella
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presentazione di un’informazione) tende a essere indebitamente influenzato da un interesse secondario (per esempio un guadagno economico o un vantaggio di carriera)”.
Le definizioni qui riportate a titolo esemplificativo, mutuate da riflessioni nazionali o estere, e originate da esperienze di ricercatori o di clinici ospedalieri, convergono quindi in modo omogeneo nell’identificare il conflitto di interessi in una situazione in cui vi sia il rischio che un interesse primario, tendenzialmente di carattere collettivo, sia subordinato a valutazioni di possibile convenienza individuale, e dunque estranea a un vantaggio generale, che dovrebbe essere invece oggetto di una tutela prioritaria (7).
7.2 Il conflitto di interessi nel rapporto consulenziale
Nei rapporti contrattuali oggetto di trattazione, il primo elemento distintivo a cui si rimanda la preliminare garanzia di indipendenza e terzietà risiede nell’attestazione del fondamento della consulenza in una reale e legittima esigenza scientifica o di business, volta a fronteggiare la mancanza di competenze interne per la gestione di specifiche attività. In aggiunta a ciò, è prassi delle aziende tenere evidenza della specifica competenza / esperienza del consulente nell’area di interesse nonché la verifica di assenza di rapporti di parentela con personale aziendale e la preventiva valutazione di altri potenziali consulenti.
In aggiunta a ciò, vanno comunque richiamate le previsioni di cui al Codice di comportamento dei dipendenti pubblici (8), in forza delle quali i dipendenti della pubblica amministrazione non possono accettare incarichi di consulenza retribuiti da parte dell’industria privata fornitrice di prodotto oggetto di acquisto, qualora gli stessi appartengano ad un ufficio le cui decisioni o attività abbiano o abbiano avuto, nel biennio precedente, un interesse economico significativo per la committente. Ad esempio, si pensi al caso di farmacisti ospedalieri o provveditori che abbiano contribuito alla predisposizione di capitolati di gara e/o al processo di approvvigionamento dei farmaci di cui l’azienda sia stata aggiudicataria, membri di commissioni dei Prontuari terapeutici regionali o emananti Linee Guida vincolanti recepite in capitolati di gara e prontuari, componenti di commissioni tecniche di AIFA.
Inoltre, in conformità a quanto previsto dall’art. 53, c. 16 ter D.Lgs. 165/2001, gli ex dipendenti della Pubblica Amministrazione non possono accettare incarichi di consulenza retribuiti da parte dell’azienda nei tre anni successivi alla cessazione del rapporto di pubblico impiego degli stessi, laddove durante tale impiego abbiano esercitato poteri autoritativi o negoziali per conto delle pubbliche amministrazioni di appartenenza e l’azienda committente sia stata destinataria dell’attività della Pubblica Amministrazione svolta attraverso i medesimi poteri.
Al fine di mitigare i rischi correlati alle normative citate, l’azienda privata che si appresta a formalizzare un accordo contrattuale con un attuale o ex dipendente pubblico deve necessariamente autotutelarsi: una possibile è che il consulente, che meglio conosce la propria situazione lavorativa, i propri obblighi ed i regolamenti della propria struttura di appartenenza, renda un’autodichiarazione in cui confermi la possibilità di prestare l’attività richiesta nel rispetto del perimetro delineato dal DPR n. 62/2013.
8 - La trasparenza a 360°
Premesso quanto precede sul ricorrente tema del conflitto di interessi, la trasparenza è classicamente riconosciuta come uno degli strumenti maggiormente efficaci al fine di prevenire e meglio gestirne il rischio.
8.1 La trasparenza dei trasferimenti di valore
Come di noto, nel 2018 è stato presentato alla Camera dei Deputati il disegno di legge “Disposizioni in materia di trasparenza dei rapporti tra le imprese produttrici, i soggetti che operano nel settore della salute e le organizzazioni sanitarie”, il c.d. Sunshine Act italiano, successivamente approvato al Senato nel marzo del 2022 (9). Tale previsione non ha tuttavia colto di sorpresa il comparto che, già adempiente alla deontologia del proprio settore, in linea con quanto dettato dal filone europeo dell’EFPIA (European Federation of Pharmaceutical Industries and Associations) (10) recepito da Farmindustria (11), già dal 2016 prevede in capo a ogni azienda farmaceutica l’obbligo di documentare i trasferimenti di valore
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disposti dalle aziende private del settore farmaceutico in favore di operatori sanitari e organizzazioni sanitarie, rientrando tra le voci di spesa contemplate anche i compensi corrisposti per la prestazione dell’attività consulenziale.
Nell’accezione di trasparenza relativa ai rapporti onerosi per attività consulenziale da parte dei dipendenti pubblici verso l’industria privata, le previsioni deontologiche del settore non sono tuttavia le uniche ricorrenti. Basti pensare che lo stesso art. 53, c.11 del D.Lgs 165/2001 (12) richiede che, una volta terminato l’incarico e corrisposto il compenso in favore del consulente, l’azienda committente trasmetta all'amministrazione di appartenenza del dipendente l'ammontare dei compensi erogati.
8.2 La trasparenza dei rapporti a fini autorizzativi
In aggiunta a quanto previsto in materia di trasparenza finanziaria, come già anticipato al precedente paragrafo 6 in tema di autorizzazioni preventive e autodichiarazioni, è bene considerare che, rispetto ai rapporti consulenziali in trattazione, oltre alla trasparenza finanziaria assume rilievo anche la trasparenza a fini autorizzativi nei confronti dell’amministrazione pubblica di appartenenza del consulente. Per questo motivo, in aggiunta all’autodichiarazione con cui il dipendente pubblico garantisce di aver informato il proprio datore di lavoro della richiesta di incarico consulenziale, talune aziende scelgono la via di una trasparenza ancor più profonda e radicale, facendosi esse stesse carico dell’invio di una comunicazione preventiva alla struttura pubblica, al fine di dare preventiva informazione del prossimo conferimento di incarico, specificandone destinatario, oggetto e durata temporale.
9 - I rischi 231 e la normativa anticorruzione
Lo strumento contrattuale, presidio di uno schema auto-dichiaratorio e garantista per la tutela del committente e del consulente, non può prescindere da una esplicita menzione ed assunzione degli obblighi derivanti dalla normativa 231 e anticorruzione.
L’impegno ad osservare le prescrizioni del D.lgs. 231/2001 (13) nello svolgimento dell’attività oggetto del contratto e a non porre in essere atti o comportamenti tali da determinare la violazione del Codice Etico aziendale, del Modello di organizzazione e controllo adottato e, più in generale della normativa anticorruzione è un elemento fondante del vincolo contrattuale tra azienda e consulente, a garanzia di una collaborazione trasparente, etica e compliant.
Tra i reati presupposto contemplati dalla normativa 231 e potenzialmente ricorrenti nell’ambito dei rapporti in esame, il comparaggio, l’induzione indebita, la concussione e la corruzione sono quelli maggiormente rappresentativi dei rischi caratterizzanti il settore sanitario, e su cui si concentra una rilevante parte dell’attività ispettiva rivolta al comparto farmaceutico e su cui, di conseguenza, la giurisprudenza (14) trova fertile terreno di espansione.
10 - Quali strumenti di mitigazione del rischio per il committente?
Le fattispecie e implicazioni passate in rassegna nell’analisi del rapporto di consulenza tra azienda ed operatore sanitario spingono doverosamente l’industria committente ad una valutazione integrata delle strategie, comportamenti o azioni che possano essere preventivamente intraprese al fine di mitigare i rischi considerati.
Riconoscendo che la pletora di azioni concretamente adottabili è molto vasta e differenziabile a seconda di specifici contesti commerciali o scientifici, si pensi in linea generale che, ad esempio, la definizione di un piano di governance che consenta di monitorare sistematicamente il numero degli incarichi conferiti ad un medesimo operatore sanitario e i corrispettivi pagati nel corso di un anno solare potrebbe rappresentare un primo passo di generale applicazione. In questo modo per l’azienda è possibile dare solida evidenza ad un’accurata risk analysis preventiva, spendibile come standard di compliance scevro da approcci personalistici e preferenziali nei confronti dei singoli operatori sanitari. In aggiunta a ciò, la predisposizione di meccanismi di tracciatura delle attività di consulenza, dei relativi flussi approvativi e della gestione di eventuali approvazioni in deroga rispetto alle regole stabilite rende la governance del processo più solida.
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Come già discusso, anche la scelta di adottare meccanismi di trasparenza ulteriori rispetto a quelli già richiesti dalla normativa consente di giocare d’anticipo sull’eventuale contestazione circa l’elusione dei processi approvativi richiesti dalla Pubblica Amministrazione, la quale si trova sempre più partecipe del dialogo fra l’azienda e l’interlocutore clinico.
11 - Conclusioni
Il rapporto di consulenza tra azienda privata e operatori sanitari è un elemento essenziale del progresso scientifico e di un modello di dialogo continuo e accrescitivo tra il mondo della sanità (clinica, gestionale e operativa) e il mondo dell’industria del farmaco, dalla ricerca alla sua commercializzazione. Gli accordi di consulenza e le forme contrattuali alla base di tali rapporti rappresentano il mezzo che in concreto dà vita a questo rapporto e che consente di garantire entrambe le parti rispetto a opportunità e rischi che ne derivano.
Nei tempi più recenti, le strutture sanitarie hanno profondamente valutato il posizionamento dei contratti di consulenza rispetto ai propri piani di gestione del conflitto di interessi e prevenzione della corruzione, talvolta rendendo molto burocratico il processo di formalizzazione degli accordi e ponendo il clinico incaricato nella posizione di valutare la rinuncia al compenso, la rimodulazione delle ferie per conciliare le attività o, in casi più estremi, la rinuncia generale alla collaborazione. Tale scenario spinge fortemente a ritenere che ulteriori passi avanti possano essere fatti, al fine di non precludere, bensì sostenere a agevolare forme di scambio di valore a cui il contratto di consulenza dia una veste solida e garantista.
(1) Art. 2336 c.c., Responsabilità del prestatore d’opera “Se la prestazione implica la soluzione di problemi tecnici di speciale difficoltà, il prestatore d’opera non risponde dei danni se non in caso di dolo o colpa grave”.
(2) Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni, decreto legislativo 30 marzo 2001 n. 165, come aggiornato al decreto legge 21 ottobre 2021 n. 146
(3) Norme in materia di risoluzione dei conflitti di interesse, legge 20 luglio 2004, n. 215
(4) Il conflitto di interessi nel settore farmaceutico, fra trasparenza, disciplina normativa e autoregolamentazione delle imprese, X. Xxxxxxxxx, da Osservatorio del farmaco 2020, Egea editore, p. 56
(5) Conflict of Interest in Medical Reaserch, Education, and Practice, editori Xxxxxxx Xx and Xxxxxxx X Xxxxx. Institute of Medicine (US) Committee on Conflict of Interest in Medical Research, Education, and Practice, 2009
(6) Codice di Etica dell’IIS, capitolo 2 versione 1 del 13 gennaio 2015
(7) Il conflitto di interessi nel settore farmaceutico, fra trasparenza, disciplina normativa e autoregolamentazione delle imprese, X. Xxxxxxxxx, da Osservatorio del farmaco 2020, Egea editore, p. 58
(8) Regolamento recante il codice di comportamento dei dipendenti pubblici, Decreto del Presidente della Repub- blica del 16 aprile 2013 n. 62, adottato ai sensi dell’art. 54 del D.lgs. 165/2001.
(9) Il Senato ha approvato il disegno di legge in merito alle disposizioni in materia di trasparenza dei rapporti tra le imprese produttrici, i soggetti che operano nel settore della salute e le organizzazioni sanitarie. Il c.d. “Sunshine Act” (dal nome della normativa americana che ha ispirato il disegno di legge) introdurrà una disciplina per garantire la trasparenza ed il diritto alla conoscenza dei rapporti, con rilevanza economica o di vantaggio, tra le imprese produttrici di farmaci, strumenti, apparecchiature, beni e servizi, anche non sanitari, ed i soggetti che operano nel settore della salute, comprese le organizzazioni sanitarie. Il testo dovrà ora essere approvato nuovamente dalla Camera.
La norma prevede un regime obbligatorio di pubblicità per i trasferimenti di valore, convenzioni e accordi, oltre che per partecipazioni societarie o proventi legati allo sfruttamento dei diritti di proprietà intellettuale. Saranno soggette a pubblicità innanzitutto le convenzioni e le erogazioni in denaro, beni, servizi o altre utilità effettuate da un’impresa produttrice in favore soggetti operanti nella salute e organizzazioni sanitarie, anche per la partecipazione a conve- gni, eventi formativi, comitati, commissioni, organi consultivi o comitati scientifici ovvero nella costituzione di rapporti di consulenza, docenza o ricerca.
(10) EFPIA code on disclosure of transfers of value from pharmaceutical companies to healthcare professionals and healthcare organisations (2014).
(11) Codice Deontologico Farmindustria, 2022, cap. 5 “La trasparenza dei trasferimenti di valore tra le industrie farmaceutiche, gli operatori sanitari e le organizzazioni sanitarie”.
(12) […] c. 11) Entro il 30 aprile di ciascun anno, i soggetti pubblici o privati che erogano compensi a dipendenti pubblici per gli incarichi di cui al comma 6 sono tenuti a dare comunicazione all'amministrazione di appartenenza dei dipendenti stessi dei compensi erogati nell'anno precedente […].
(13) Responsabilità amministrativa delle società e degli enti, d.lgs. 8 giugno 2001 n. 231.
(14) Si riportano, a titolo esemplificativo, i riferimenti di alcune sentenze e rispettive massime intervenute in materia.
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Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 26 settembre 2011 – 16 gennaio 2012, n. 1207, in Modulo24 Contratti “Il medico convenzionato con la Asl che prescrive i farmaci segnalati dai rappresentanti farmaceutici dietro compenso di denaro risponde del reato di corruzione”.
Corte di Cassazione, sez. Vi Penale – sentenza 28 agosto 2008, n. 34415, in Modulo24 Contratti “[…] Né rileva in contrario che lo scopo perseguito dalla XXX con i vari “donativi” e “benefits” in favore dei sanitari o degli enti di appartenenza fosse quello di promuovere la vendita dei propri farmaci, perché questa finalità non può dare automaticamente luogo a un reato di corruzione, considerato in particolare che il legislatore ha apprestato, nel tempo, un ventaglio di illiceità, scalari e progressive, il quale, partendo dalla base generica dei reati contravvenzio- nali quali quelli previsti negli artt. 170-172 r.d. 27 luglio 1934, n. 1265 e art. 11 decreto legislativo n. 541/1992 (concessione o promessa di premi o vantaggi pecuniari o in natura), ha il suo epilogo sanzionatorio nelle norme distali in tema di delitti di corruzione, propria ed impropria.”
Corte di Cassazione, sez. penale, sentenza n. 51946 del 16 novembre 2018, in Modulo24 Contratti “Non sussiste il reato di «comparaggio farmaceutico» per chi corrompe il medico di base al fine di fargli prescrivere ai pazienti i parafarmaci prodotti dalla propria azienda. Il reato, infatti, caratterizza soltanto le «specialità medicinali» o altro «prodotto farmaceutico» e non è dunque applicabile agli integratori che sono «prodotti alimentari»”.
13 Maggio/Giugno 2022
I trasferimenti internazionali
di dati personali dall’Unione Europea verso Paesi Terzi
A cura di: Avv. Xxxxxxxxx Gior- xxxxxx – Avv. Xxxxxxxx Xxxxxxx
Introduzione
La magmatica evoluzione normativa scaturita dalla nota sentenza “Xxxxxxx II” della CGUE (1) ha cambiato irreversibilmente lo scenario normativo e geopolitico dei trasferimenti internazionali (extra europei) di dati personali.
Il significativo stravolgimento della materia ha inevitabilmente imposto a tutte le aziende un profondo e repentino ripensamento dei modelli di gestione dei flussi transfrontalieri di dati nelle proprie relazioni commerciali – cosa non facile se si pensa che i primari provider di cloud e applicativi sono proprio le piattaforme oltreoceano - chiamandole ad interrogarsi sulle necessarie azioni da implementare.
In un contesto – ça va sans dire - ancora colmo di incertezze e instabilità che gravitano attorno ai trasferimenti internazionali di dati, è doveroso un tentativo di chiarimento della tematica che questo articolo si propone di intraprendere attraverso una panoramica dei recenti sviluppi in materia ed un’analisi empirica degli strumenti da adottare per “blindare” la sicurezza e la trasparenza del trasferimento dei dati personali che intendiamo trasferire.
Contesto normativo
Uno degli obiettivi dichiarati dal GDPR consiste nel facilitare la libera circolazione dei dati all’interno dei Paesi membri dell’Unione Europea; infatti, alla base di un simile intento vi è indubbiamente la considerazione che, in presenza di principi e garanzie condivise, lo scambio di dati personali debba essere incentivato in ragione dei relativi, connessi ed indiscutibili effetti pro-concorrenziali, nonché in virtù del fatto che tale fenomeno agevola, in particolar modo, la creazione di un vero e proprio mercato comune digitale europeo, motore di sviluppo dell’economia e industria 4.0.
Se da un lato, è vero che i dati sono il nuovo petrolio dell’economia mondiale, dall’altro, è altrettanto vero che tutte le piattaforme digitali USA (Meta) e Cina (Tik-Tok) ambiscano a monetizzare i dati dei cittadini europei. Proprio per questo, il GDPR costituisce il check point affinché il traffico dei dati avvenga in modo sicuro, trasparente e senza sopprimere i diritti
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fondamentali dei cittadini europei. Ecco perché la Commissione europea vuole sincerarsi che Titolare e Responsabile del trattamento dei dati siano consapevoli della necessità che il trasferimento dei dati personali al di fuori dello Spazio Economico Europeo avvenga alle stesse o equivalenti condizioni di protezione giuridica garantite dal GDPR.
Come opera il GDPR in tale ambito? Il Capo V del GDPR, rubricato “Trasferimenti di dati personali verso paesi terzi o organizzazioni internazionali” (agli artt. 44-50) introduce specifici obblighi e cautele in caso di trasferimento di dati personali al di fuori del territorio dell’Unione Europea.
Tale disciplina si fonda su un principio generale formalizzato nell’art. 44, norma di apertura del Capo in commento, in base al quale è possibile identificare tre diverse modalità secondo le quali i dati possono essere traferiti fuori dall’Unione:
• trasferimento sulla base di una decisione di adeguatezza della Commissione europea (art. 45 GDPR);
• trasferimento soggetto a garanzie adeguate (tra cui, sottoscrizione di clausole contrattuali stan- dard o adozione di Binding Corporate Rules - art. 46 GDPR);
• in xxx xxxxxxxxx, xxxxxxx xx specifiche situazioni (art. 49 GDPR).
In presenza di una decisione di adeguatezza, quindi, il trasferimento di dati non necessita di ulteriori autorizzazioni specifiche. La Commissione ha finora adottato decisioni di adeguatezza in relazione ai seguenti Paesi: Andorra, Argentina, Canada, Faer Oer, Giappone, Guernsey, Isola di Man, Israele, Jersey, Nuova Zelanda, Svizzera, Uruguay, Regno Unito (2). Un’attenzione a sé stante merita il caso degli Stati Uniti – oggetto di specifico approfondimento nel prossimo paragrafo - per i quali tutte le decisioni precedentemente adottate dalla Commissione sono poi state dichiarate invalide.
In mancanza di una decisione di adeguatezza, ai sensi dell’art. 46, il Titolare o il Responsabile possono esportare dati personali fuori dall’Unione Europea solo se hanno fornito garanzie adeguate ai loro clienti e a condizione che gli stessi dispongano di diritti azionabili e mezzi di ricorso effettivi. Tra queste, particolare importanza rivestono le cd. Standard Contractual Clauses, ovvero clausole tipo di protezione dei dati personali adottate dalla Commissione europea, in forma di testi contrattuali standard, che solitamente vengono allegate ai contratti di servizio o agli intercompany agreement tra un soggetto europeo e un altro extra-UE, con lo scopo di vincolare contrattualmente l’importatore dei dati all’adozione di tutele adeguate sui dati trattati.
Le Binding Corporate Rules (“BCR”) costituiscono uno strumento molto importante di semplificazione dei rapporti intercompany e di fluidificazione della circolazione dei dati personali. Si tratta di un complesso di accordi, clausole, policy interne con le quali l’azienda (in genere, si tratta di gruppi societari multinazionali) si vincola all’osservanza dei principi e diritti privacy, adottando misure privacy by design interne e sistemi di sicurezza tecnici e organizzativi sofisticati. Le BCR sono approvate dal Comitato europeo per la protezione dei dati su proposta della cd. Lead Authority (“Autorità guida”) ove ha sede legale il gruppo societario. Una mal compresa macchinosità della procedura tiene lontane molte aziende da tale strumento, eppure nel mondo dominato dalla geometrica produzione e obsolescenza dei dati, sarebbe uno strumento molto utile per creare data quality ed evidenziare la centralità del cliente.
In via residuale, in assenza di ogni altro presupposto e solo a determinate condizioni - specificatamente individuate per singola situazione - è possibile trasferire dati personali nell’ambito delle cd. “deroghe” di cui all’art. 49 del GDPR (tra cui, consenso, contratto, interesse pubblico, difesa in giudizio, interesse vitale, registro pubblico, cogente interesse legittimo del Titolare). In merito, è opportuno considerare che il termine “deroga” include di per sé una connotazione di eccezionalità (3) rispetto al principio dell’adeguatezza e alle altre garanzie e che, pertanto, l’ambito di operatività delle suddette deroghe deve essere soggetto ad un’interpretazione restrittiva (4).
Ma come mai l’ambito di operatività di questa terza ipotesi è così limitato? Proviamo a fare riferimento ad un possibile caso concreto per comprenderne la ratio. L’articolo in esame trova applicazione quando,
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a titolo esemplificativo, un’azienda (Titolare del trattamento) – nel comunicare ai propri clienti, con apposita informativa privacy, la necessità di trasferire i loro dati al di fuori dell’Europa per consentire la corretta erogazione del servizio prestato – richieda il loro consenso al trasferimento, informandoli che, in ogni caso, tale trasferimento potrebbe essere esposto a rischi connessi alle peculiarità delle legislazioni locali in materia di trattamento dei dati personali. Certamente, la fattispecie appena esposta reggerà validamente come ottimo caso di scuola; tuttavia, suona più difficile immaginare che, nella pratica, un’azienda scelga di richiedere il consenso dei propri clienti al trasferimento dei dati personali (necessario per la fornitura del servizio base offerto) in un Paese extra-UE in cui non è presente una normativa privacy affidabile.
Rebus sic stantibus, allora, due sono le principali strade tramite cui legittimare e favorire il libero scambio di dati tra l’Unione Europea e altri Paesi extra-europei.
La prima è quella di natura istituzionale e che passa per un fitto dialogo tra Xxxxx finalizzato a raggiungere un accordo sul reciproco riconoscimento dell’adeguatezza del proprio quadro normativo privacy, affinché gli interessati godano degli stessi diritti e garanzia assicurate dal sistema europeo. Peraltro, tenendo conto che il GDPR si sta diffondendo celermente in tutto il mondo come primario schema normativo Data Protection (si veda, la LGPD in Brasile, il CCPA in California, il CDPA in Virginia, la PIPL in Cina, il POPIA in Sud-Africa, ecc. (5), assottigliando sempre di più il discrimen tra normativa privacy europea e transoceanica, non vi è dubbio che questo debba essere il sentiero maestro da percorrere per semplificare ed eliminare oneri per le aziende.
La seconda, più immediata, è invece, quella di matrice contrattuale che si attua attraverso la pedissequa applicazione delle Standard Contractual Clauses emesse dalla Commissione europea nei contratti che comportino un trasferimento extra-UE di dati. Tale soluzione contrattuale - in assenza di iniziative istituzionali o in caso di tensioni e conflitti commerciali molto forti (es. scontro USA-UE) - rappresenta l’unica soluzione percorribile a condizione che, però, il contenuto di tali clausole venga recepito e applicato alla lettera dagli operatori economici, in quanto frutto di un atto vincolante della Commissione UE e come tale non modificabile.
Le sentenze Xxxxxxx I e II: l’origine della diatriba in materia di trasferimenti internazionali di dati personali
Nell’ambito dei trasferimenti di dati personali verso Paesi terzi, particolare rilevanza assume il trasferimento di dati verso gli Stati Uniti d’America. La Commissione europea ha, infatti, dapprima adottato la decisione 2000/520 (6) (relativa al “Safe Harbor”) e, successivamente, la decisione 2016/1250 (7) (relativa al “Privacy Shield”), entrambe poi dichiarate invalide dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea.
Nello specifico, la decisione 2000/520 - con cui la Commissione europea aveva aderito al programma
c.d. “Safe Harbor Agreement (8) - è stata poi annullata dalla Corte di Giustizia che, con la sentenza del 6 ottobre 2015 (cd. “sentenza Xxxxxxx I”) ha dichiarato l’invalidità dell’accordo Safe Harbour, quale strumento idoneo a consentire il trasferimento di dati personali verso gli Stati Uniti garantendo un adeguato livello di protezione dei dati personali relativi a cittadini comunitari che venivano trasferiti oltreoceano.
Il caso era stato portato all’attenzione della CGUE dall’Alta Corte irlandese, cui si era rivolto Xxx Xxxxxxx, cittadino austriaco che, a seguito delle rivelazioni fatte da Xxxxxx Xxxxxxx nel 2013 circa le attività dei servizi di intelligence USA, aveva sostenuto l’inadeguatezza del quadro giuridico degli Stati Uniti nel garantire la protezione dei dati personali dei cittadini europei. La Corte di Giustizia con la sua decisione ha, da un lato, riconosciuto che le Autorità nazionali di garanzia possono sovrintendere o valutare i trasferimenti di dati personali verso Paesi terzi extra-UE, anche qualora questi siano stati oggetto di una Decisione della Commissione UE, dall’altro, si è espressa in modo piuttosto netto nel senso dell’invalidità della Decisione Safe Harbour, sostenendo che una regolamentazione quale quella
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statunitense che consenta alle Autorità pubbliche l’accesso in xxx xxxxxxxxxxxxx xx contenuto di dati e comunicazioni elettroniche, deve essere valutata come in grado di compromettere l’essenza del diritto fondamentale al rispetto della vita privata.
A seguito di tale pronuncia, l’Unione Europea e gli Stati Uniti avviarono prontamente dei negoziati per raggiungere un nuovo accordo in materia di trasferimenti transfrontalieri di dati personali tra i due Paesi. Pertanto, nel 2016, UE e USA stipularono il cd. Privacy Shield, in relazione al quale la Commissione europea si pronunciò emanando la Decisione 2016/1250, riconoscendone così l’adeguatezza. L’accordo Privacy Shield imponeva alle imprese americane obblighi più stringenti di tutela dei dati personali degli europei e prevedeva che le Autorità americane vigilassero con più forza sul rispetto dell’accordo, collaborando in misura maggiore con le Autorità europee per la protezione dei dati.
Tuttavia, anche l’efficacia di tale accordo è stata posta in discussione e poi invalidata da una nuova pronuncia della Corte di Giustizia del 16 luglio 2020 (cd. “sentenza Xxxxxxx II”), che ha segnato un punto di svolta per quanto riguarda il trasferimento dei dati personali al di fuori dell’Unione Europea (9).
In particolare, con questa sentenza, la Corte di Giustizia, pronunciandosi in merito al regime di trasferimento dei dati tra Unione Europea e Stati Uniti:
• ha dichiarato invalida la Decisione della Commissione europea del 2016 contenente il cd. “Privacy Shield” (10) che legittimava il trasferimento di dati personali negli Stati Uniti, imponendo agli esportatori di dati un riesame della base giuridica del trasferimento;
• ha stabilito che il titolare o il responsabile possono trasferire dati personali verso un Paese terzo
solo se quest’ultimo ha previsto un livello di protezione essenzialmente equivalente a quello ga- rantito nell’UE e a condizione che gli interessati dispongano di diritti azionabili e mezzi di ricorso effettivi, che possono essere assicurati mediante le clausole contrattuali standard (Standard Con- tractual Clauses o anche “SCC”) approvate dalla Commissione. In relazione a quei trasferimenti internazionali di dati basati sul ricorso alle SCC, la Corte ha sottolineato la necessità che espor- tatore e importatore dei dati, in aggiunta all’utilizzo di tali garanzie contrattuali, eseguano anche
– prima del trasferimento stesso – una valutazione di impatto del trasferimento (Data Transfer Impact Assessment), volta a verificare che la legislazione del Paese terzo consenta al destinata- rio di conformarsi a quanto previsto nelle clausole tipo (e quindi che il Paese terzo rispetti il livello di protezione richiesto dal diritto dell’Unione) (11).
Le principali iniziative UE sul trasferimento di dati verso Paesi terzi dopo la sentenza Xxxxxxx II
Il clima di incertezza in materia di data transfer a cui la sentenza Xxxxxxx II ha indotto l’EDPB (European Data Protection Board, il Comitato Europeo per la protezione dei dati) ad intervenire sul punto, esplicitando alcuni passaggi che la CGUE aveva lasciato nell’ombra.
Così, per agevolare gli esportatori di dati nel condurre una Data Transfer Impact Assessment (o anche “DTIA”) richiesta dalla sentenza Xxxxxxx II e, dunque, nel valutare l’adeguatezza del livello di protezione offerto dal Paese di destinazione dei dati, l’11 novembre 2020, l’EDPB ha adottato le “Recommendations 01/2020 on measures that supplement transfer tools to ensure compliance with the EU level of protection of personal data (12)”.
Tali Raccomandazioni tracciano una roadmap che, in sei step, ripercorrono tutte le fasi essenziali che ogni operatore del settore dovrà attraversare per eseguire una DTIA prima di un trasferimento internazionale di dati:
1) il primo step consiste nel realizzare una mappatura dei flussi di dati personali verso Paesi terzi che implica una verifica dell’adeguatezza e pertinenza dei flussi in questione nonché della loro limitazione a quanto necessario in relazione alle finalità del trattamento;
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2) il secondo step consiste nel verificare che i metodi di trasferimento prescelti (quali, tra gli altri, le SCC) siano conformi al GDPR. Qualora il Paese di destinazione sia già stato oggetto di una decisione di adeguatezza da parte della Commissione, l’esportatore non dovrà adottare ulteriori misure. In caso contrario, invece, sarà necessario passare al terzo step;
3) il terzo step consiste in una verifica da parte dell’esportatore dell’eventuale presenza, nella legi- slazione o nella prassi del Paese di destinazione, di elementi che potrebbero inficiare l’efficacia dello strumento di trasferimento prescelto;
4) il quarto step si rende necessario qualora la suddetta valutazione rilevi elementi normativi che potrebbero interferire con il rispetto della normativa europea e consiste nell’adozione delle misure di sicurezza supplementari necessarie per far sì che il livello di protezione dei dati trasferiti all’estero sia conforme o quantomeno equivalente agli standard europei. Tali misure sono indivi- duate, in modo non esaustivo, nell’allegato II della Raccomandazione, che le ripartisce in tecniche (13), contrattuali (14) ed organizzative (15);
5) il quinto step prevede che, una volta individuate le misure supplementari applicabili, queste debbano essere documentate e previste all’interno di uno degli strumenti contrattuali di cui all’art. 46 GDPR;
6) il sesto step impone all’esportatore di monitorare costantemente il livello di protezione dei dati offerto dal Paese di destinazione, di modo tale da adottare, qualora ve ne fosse bisogno, le ulte- riori misure necessarie.
In tale quadro d’insieme, dopo anni di incertezze definitorie dovute alla difficoltà di tracciare un perimetro netto intorno al tema in esame, il 18 novembre 2021, l’EDPB, con le Linee Guida n. 5/2021 (16), inaugura una prima chiara definizione di trasferimento internazionale di dati personali. Il Comitato europeo, infatti, individua tre criteri cumulativi, in presenza dei quali, è possibile qualificare un trattamento come “trasferimento”:
1) l’esportatore di dati (un titolare o responsabile del trattamento) è soggetto al GDPR per il dato trattamento;
2) l’esportatore divulga mediante trasmissione o mette a disposizione secondo modalità diverse i dati personali in favore dell’importatore (altro titolare, contitolare o responsabile);
3) l’importatore di dati si trova in un paese terzo o è un’organizzazione internazionale.
Il primo criterio stabilisce che il titolare o responsabile, in qualità di esportatore, qualora siano soggetti al GDPR, ancorché non stabiliti nell’UE, avranno l’obbligo di rispettare le prescrizioni del Capo V del GDPR quando trasferiscono i dati personali verso un Paese terzo.
Il secondo criterio, invece, richiede che l’esportatore divulghi mediante trasmissione o rende altrimenti disponibili i dati all’importatore. Conseguentemente, l’interpretazione di un trattamento come trasferimento presuppone, a buon diritto, la sussistenza di un flusso di dati dall’esportatore all’importare. Al riguardo, l’EDPB precisa che il trasferimento non si configura quando i dati sono comunicati direttamente dall’interessato al destinatario.
Il terzo criterio prevede che l’importatore sia collocato “geograficamente” in un Paese terzo, indipendentemente dal fatto che questi sia soggetto o meno al GDPR per quanto riguarda il trattamento. Sebbene al momento della redazione del presente articolo non è ancora possibile conoscere le reali ripercussioni che tale nuovo orientamento avrà nell’ambito delle operazioni commerciali, è tuttavia evidente che la definizione coniata dall’organismo europeo ha permesso di compiere un sostanziale
passo in avanti nella normativa in materia.
Il nuovo modello di Standard Contractual Clauses come scudo nei trasferimenti
Il 4 giugno 2021, la Commissione europea – per adeguarsi agli effetti della sentenza Xxxxxxx II - ha emanato la Decisione n. 2021/914 con cui ha approvato una nuova versione di SCC (17), conformi alle novità normative intercorse, sostituendo quelle precedentemente adottate con le Decisioni 2001/497/UE e 2001/87/UE.
18 Maggio/Giugno 2022
Le nuove SCC sono le prime ad essere rilasciate in conformità al GDPR e, come tali, ne riflettono i requisiti. Il loro ambito di applicazione è più ampio rispetto alle precedenti: a differenza di queste ultime, che riguardavano solamente due tipi di trasferimenti (da Titolare a Titolare e da Titolare a Responsabile), le nuove SCC adottano un approccio “per moduli” che risponde a quattro diversi scenari di trasferimento (Titolare a Titolare; Titolare a Responsabile; Responsabile a Responsabile; Responsabile a Xxxxxxxx).
Ciascuna clausola delle nuove SCC contiene diversi moduli applicabili a seconda del tipo di trasferimento di dati oggetto del contratto, consentendo così ai titolari e ai responsabili del trattamento di adattare i rispettivi obblighi alle particolarità del caso concreto.
Oltre agli obblighi previsti nel corpo delle clausole contrattuali, le SCC in questione contengono una serie di allegati – da compilare a cura delle parti - con il compito di fornire una descrizione maggiormente dettagliata su specifici aspetti del trasferimento, quali i dati personali oggetto del trasferimento, l’Autorità Garante competente, le misure di sicurezza adottate dalle parti e gli eventuali sub-responsabili impiegati.
Inoltre, rispetto alle precedenti clausole, le nuove SCC: (i) incorporano i requisiti di cui all’art. 28, comma 3, del GDPR, permettendo alle parti di non dover stipulare un separato accordo per la nomina a Responsabile (18); (ii) impongono alle parti di eseguire una DTIA per verificare l’adeguatezza del livello di protezione dei dati del Paese di destinazione, prescrivendone l’obbligo di documentabilità; (iii) introducono obblighi di trasparenza in capo all’importatore, tra cui quello di notificare all’esportatore la ricezione di eventuali richieste di accesso ai dati da parte di Autorità governative locali.
Dando uno sguardo ai risvolti operativi della vicenda, tale Decisione richiede che tutti i nuovi contratti
- implicanti un trasferimento internazionali di dati - vengano aggiornati con le nuove SCC, secondo le seguenti tempistiche:
• per i contratti conclusi a partire dal 27 settembre 2021 (data in cui le precedenti SCC hanno cessato la loro validità), questi dovranno tempestivamente recepire le nuove SCC;
• per i contratti conclusi prima del 27 settembre 2021, vi sarà tempo fino al 27 dicembre 2022 (data in cui si chiuderà il “grace period” concesso agli esportatori) per sostituire le precedenti SCC con le nuove.
Conclusioni
La sempre maggiore presenza di gruppi societari multinazionali, unitamente alla crescente digitalizzazione dei servizi forniti, dà luogo ad una notevole quantità di flussi di dati da e verso Paesi terzi che, talvolta, rischiano di diventare motivo di tensione geo-politica.
In questa prospettiva, accade che la Data Protection diventi sempre più spesso il presupposto logico e cronologico della trasformazione digitale degli Stati e, dunque, del loro progresso.
Ciò comporta, dal punto di vista delle aziende, la necessità di mappare su base continua l’insieme di trasferimenti (infragruppo e non) di dati personali, tenendo sotto attento monitoraggio l’intera supply- chain e prevenendo così potenziali rischi di duplice matrice privacy e cyber.
Ed è, dunque, in un rinnovato approccio integrato di compliance, che deve essere individuato il percorso virtuoso da intraprendere per garantire un’effettiva sicurezza dei trasferimenti internazionali di dati.
L’implementazione di una strategia di Data Governance – contemporaneamente in grado di mappare i trattamenti e renderli sin dall’inizio in linea con la privacy, valutarne i potenziali rischi, prevenirne eventuali incidenti di sicurezza, controllarne i trasferimenti tramite previe valutazioni di impatto e strumenti contrattuali (BCR e SCC) – rappresenta ad oggi l’unico rimedio realmente capace di gestire in maniera responsabile un processo che preveda un flusso di dati personali verso l’estero.
Dopo la distruzione dei porti sicuri e lo scioglimento dello “Scudo Privacy”, non possiamo prevedere dove approderà il terzo capitolo della saga UE-USA. Certamente, in questi giorni, Xxxx Xxxxxxxxxx sta facendo sentire la sua voce, tuonando contro il GDPR e minacciando l’Unione Europea di impedire ai clienti europei di accedere alle piattaforme social.
19 Maggio/Giugno 2022
Quel che è certo è che è in atto una massiccia opera di europeizzazione di molte delle normative privacy mondiali. Infatti, tra i cd. “Paesi BRICS”, Brasile, Cina e Sud-Africa - rispettivamente con i loro LGPD, PIPL e POPIA - hanno adottato una regolamentazione della protezione dei dati molto simile al GDPR, mentre in India è stato presentato nel 2021 il Data Protection Act che rafforzerà gli obblighi privacy, sulla falsa riga di quelli europei. Inoltre, non è un caso che, a fronte dello stallo del governo USA nel processo di emanazione di una legge federale sulla privacy, gli Stati americani che hanno maggiormente interesse affinché le loro imprese acquisiscano una dimensione internazionale si siano comportati allo stesso modo dei Paesi BRICS, affrettandosi ad implementare un quadro regolatorio Data Protection ispirato ai medesimi principi posti dalla normativa UE (si pensi, tra gli altri, alla California con il suo CCPA, la Virginia con il CDPA e il Colorado con il CPA) (19).
In pratica, stiamo assistendo a ciò che è già avvenuto in materia di cambiamenti climatici, dove l’Unione Europea, attraverso la propria normativa, è riuscita in qualche modo a far convergere i maggiori Paesi del G20 su obiettivi di abbattimento delle emissioni ambiziosi.
Mentre, dunque, da un lato, il GDPR si sta velocemente affermando, a livello globale, come importante standard internazionale, dall’altro, auspichiamo che presto Unione Europea e Stati Uniti – primi fra tutti - possano sedersi attorno allo stesso tavolo di trattativa con il comune obiettivo di ristabilire un accordo intergovernativo in grado di mettere in sicurezza il trasferimento di dati verso gli USA.
(1) Sentenza del 16 luglio 2020 – CAUSA C-311/18 FACEBOOK IRELAND E XXXXXXX (si veda meglio in seguito) che ha sancito: a) l’invalidità del regime dello scudo UE-USA per la privacy (cd. Privacy Shield); b) la coerenza dell’ordinamento giuridico del Paese extra europeo importatore con il GDPR e la tutela dei diritti dei cittadini europei a fronte delle ingerenze dei Governi sui dati personali degli stessi; c) la necessità che il trasferimento extra-UE di dati personali avvenga in condizioni di sicurezza, tramite l’adozione di validi strumenti normativi di trasferimento come le Standard Contractual Clauses e l’esecuzione di una previa valutazione d’impatto del trasferimento stesso (cd. Data Transfer Impact Assessment) da parte di esportatore e importatore.
(2) Cfr. successivo paragrafo 7 “Il trasferimento di dati verso il Regno Unito post-Brexit”.
(3) Orientamento espresso dall’Autorità Garante per la protezione dei personali italiana nella pagina dedicata al trasferimento transfrontaliero di dati e consultabile al seguente link: xxxxx://xxx.xxxxxxxxxxxxxx.xx/xxxx/xxxxxxxx- mento-dati-estero
(4) Un’analisi dettagliata dei presupposti di applicazione di tali deroghe è contenuta nel documento del Comitato europeo per la protezione dei dati “Linee guida 2/2018 sulle deroghe di cui all’articolo 49 del Regolamento 2016/679” del 25 maggio 2018, consultabile al seguente link: xxxxx://xxxx.xxxxxx.xx/xxx-xxxx-xxxxx/xxx-xxxx- ments/directrices/guidelines-22018-derogations-article-49-under-regulation_en
(5) Tra le normative più avanzate in materia di privacy, costruite seguendo il modello del GDPR, adottate da Paesi extra-europei, si annoverano: la Lei Geral de Proteçao de Dados in Brasile, il California Consumer Privacy Act in California, il Consumer Data Protection Act in Virginia, la Personal Information Protection Law of the People in Cina e il Protection of Personal Information Act in Sud-Africa.
(6) Cfr. Decisione n. 2000/520, consultabile in Modulo 24 Contratti.
(7) Cfr. Decisione n. 2016/1250, consultabile in Modulo 24 Contratti.
(8) costituito da una serie di principi redatti dal Dipartimento del Commercio USA in accordo con la Commissione medesima, finalizzati a garantire un livello adeguato di protezione dei dati personali trasferiti da persone o enti residenti in Europa alle imprese statunitensi aderenti al programma.
(9) CGUE 16.07.2020, Causa C-311/18, Data Protection Commissioner c. Facebook Ireland Ltd e Xxxxxxxxxx Xxxxxxx. Il testo è consultabile in Modulo 24 Contratti al seguente link: xxxxx://xxxxxx00xxxxxxxxx.xx- xxxx00xxx.xxx/xxxxxxx/xxxxxxx.xxxx?xxxxxx00000000
(10) Decisione di esecuzione (UE) 2016/1250 della Commissione, del 12 luglio 2016, a norma della direttiva 95/46/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, sull'adeguatezza della protezione offerta dal regime dello scudo UE-USA per la Privacy, GUUE L 207 del 01.08.2016.
(11) Una disposizione che potrebbe rientrare in tale novero è il cosiddetto “Cloud Act” statunitense il quale stabilisce, tra l’altro, che le Autorità giudiziarie ed amministrative statunitensi, al fine di accelerare e rendere più efficienti le loro indagini, possano richiedere ai fornitori di servizi cloud soggetti alla giurisdizione statunitense la produzione, la conservazione o il backup di dati ed informazioni contenuti in documenti elettronici conservati in Paesi terzi, tra i quali ovviamente anche l’UE. Il testo è consultabile al seguente link: xxxxx://xxx.xxxxxxxx.xxx/xxxx/000xx-xxx- gress/senate-bill/2383/text
20 Maggio/Giugno 2022
(12) EDPB, “Recommendations 01/2020 on measures that supplement transfer tools to ensure compliance with the EU level of protection of personal data”, testo disponibile al seguente link: xxxxx://xxxx.xx- xxxx.xx/xxxxx/xxxx/xxxxx/xxxxxxxxxxxx/xxxx_xxxxxxxxxxxxxxx_000000_xxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxx- stools_en.pdf. Tali linee guida sono state successivamente aggiornate nel mese di giugno 2021 a seguito della pubblicazione della Decisione n. 2021/914 della Commissione europea recante le nuove SCC, Sul punto si veda: EDPB, Recommendations 01/2020 on measures that supplement transfer tools to ensure compliance with the EU level of protection of personal data Version 2.0, adottate il 18 giugno 2021, disponibili al seguente link: xxxxx://xxxx.xxxxxx.xx/xxxxxx/xxxxx/0000-00/xxxx_xxxxxxxxxxxxxxx_000000xx.0.0_xxxxxxxxxxxxxxxxxxxx- stransferstools_en.pdf
(13) Xxxxx, ad esempio, il trasferimento di dati pseudonimizzati, il trattamento di dati suddivisi in sottoparti o il mero transito di dati crittografati attraverso il Paese in questione.
(14) Quali, ad esempio, la previsione di obblighi positivi e di trasparenza.
(15) Quali, ad esempio, l’adozione di best practice o policy conformi agli standard europei.
(16) EDPB, Guidelines 05/2021 on the Interplay between the application of Article 3 and the provisions on interna- tional transfers as per Chapter V of the GDPR, disponibili al seguente link: xxxxx://xxxx.xxxxxx.xx/xxx-xxxx- tools/documents/public-consultations/2021/guidelines-052021-interplay-between-application_en
(17) Pubblicazione in Gazzetta Ufficiale dell’Unione Europea del 7 giugno 2021, DECISIONE DI ESECUZIONE (UE) 2021/914 DELLA COMMISSIONE del 4 giugno 2021 relativa alle clausole contrattuali tipo tra titolari del trat- tamento e responsabili del trattamento a norma dell'articolo 28, paragrafo 7, del regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio e dell'articolo 29, paragrafo 7, del regolamento (UE) 2018/1725 del Parlamento europeo e del Consiglio, testo disponibile consultabile In Modulo 24 Contratti al seguente link: xxxxx://xxxxxx00xxx- xxxxxx.xxxxxx00xxx.xxx/xxxxxxx/xxxxxxx.xxxx?xxxxxx00000000
(18) Cfr. considerando 9 della Decisione.
(19) California Consumer Privacy Act in California, Consumer Data Protection Act in Virginia e Colorado Privacy Act in Colorado.
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Nuove esigenze, nuovi contratti: il contratto di coworking
A cura di: Avv. Xxxxxx Xxxxxxx
§ 1 - (Ancora) Sulla libertà contrattuale Nella cultura del privatista è chiara – o quantomeno: dovrebbe esser chiara – la consapevolezza che il diritto è “una realtà preesistente che il potere non crea, non pretende di creare, non sarebbe in grado di creare; che può invece soltanto dire, dichiarare” (1). Il che presuppone che l’esperienza giuridica precede lo, e non dipende dallo, stato. Tale considerazione trova ulteriore conferma nell’ambito dello sviluppo dei contratti, in particolare nello sviluppo di nuovi modelli (recte:
tipi) contrattuali (2).
Il sistema giuridico italiano nella sua codificazione del diritto civile si mostra consapevole, riconoscendo, all’art. 1322 cod. civ., il principio dell’autonomia contrattuale, salvo filtrarlo tramite la richiesta che i contratti c.d. xxxxxxx, frutto della riconosciuta autonomia, rispondano all’esigenza di rappresentare interessi meritevoli di tutela (3). La meritevolezza degli interessi faceva il paio con la c.d. funzione economico- sociale (4), normalmente individuata nella causa del contratto, che pone però risalto più alla funzione del contratto che non al suo scopo. Funzione che rischia di sollevare “nebulose astrazioni ed equivoche generalizzazioni” (5) che limiterebbero la stessa libertà contrattuale espressamente riconosciuta (6).
Ma nonostante la preoccupazione del codificatore, la realtà del diritto contrattuale, e della prassi, ha via via elaborato e diffuso nuove tipologie di contratto per far fronte alle nuove e mutevoli esigenze del mercato. Dopotutto, la funzione dell’art. 1322 cod. civ. ha prodotto l’effetto benefico di impedire al giudice di dichiarare nullo un accordo per il solo fatto che esso non rientra in nessuno dei tipi previsti dalla legge (7). Tanto che la regola di autonomia pare esaurire qui il proprio compito: tanto che si è autorevolmente affermato che il contratto atipico non ha mai fatto apparizione in un ufficio giudiziario (8).
Questo perché il giudice non appena diviene necessario e rilevante statuire in merito alla natura del contratto stesso si prodiga per ricondurre la fattispecie ad uno (o più) dei tipi legali oppure,
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subordinatamente, ad un tipo fondato sulla prassi giudiziaria, che poi vuol dire: sulla prassi mercantile (9).
§ 2 - L’economia dell’accesso e nuovi modelli di servizio
Tra le pieghe di questo sistema, quindi, la prassi commerciale ha elaborato nuovi strumenti contrattuali, maggiormente confacenti alle sempre mutevoli necessità del mercato ed ai bisogni che questo tende a soddisfare.
Lo sviluppo della tecnologia e delle reti, si pensi al ruolo svolto da internet, ha in un breve lasso di tempo ridotto e quasi annullato le distanze tra operatori, accelerando la mobilità territoriale e, di risulta, potendo essere proficuo strumento di mobilità sociale.
Il tradizionale paradigma proprietario esclusivo ed assoluto in quanto espressione di un concetto unitario del diritto di proprietà, particolarmente negli ordinamenti di civil law, si è visto insidiare la propria primazia dall’affermarsi via via sempre maggiore dell’utilità diffusa del bene, dell’economia orizzontale e dematerializzata della condivisione o “à la demande” (10), della più o meno maggiore disintermediazione, della semplificazione dei processi preesistenti, del consumo collaborativo (11) e delle c.d. disruptive technologies (12).
Diviene quindi più agevole accedere al mercato, da parte dei soggetti che mirano al soddisfacimento di un proprio bisogno, senza dover necessariamente affrontare, ad esempio, elevati oneri economici di immobilizzazione (si pensi, sol per fare uno dei tanti esempi possibili, al car sharing: si utilizza un’automobile quando necessaria, senza esserne proprietari, senza dover premurarsi di manutenzioni, ricoveri del veicolo etc.).
Ciò diviene maggiormente possibile grazie ad economie di scala realizzabili con la polverizzazione, ad esempio, dei classici vincoli del mercato del lavoro ed alla c.d. sharing economy, alla cui base vi è la disponibilità, da parte del titolare di un bene, a far accedere terzi ai benefici derivanti dal suo godimento (13).
Questo nuovo modello (14) di accesso all’utilizzo di beni o servizi, ovvero l’accesso c.d. plurale è stato visto, ai suoi albori (15), come una diversa prospettiva dell’eccesso di disponibilità da parte di un soggetto che consente, quindi, di sfruttare un bene oltre le proprie limitate capacità di trarne vantaggio, concedendo quindi ad altri gli spazi di utilità residuale.
§ 3 - L’affermazione del contratto di coworking. La sua qualificazione giuridica
Tra le ultime manifestazioni di tale tendenza merita di esser annoverato l’affermarsi di una nuova modalità di godimento dei beni, tramite lo strumento giuridico del c.d. contratto di coworking.
Volendo mantener fede alla tassonomia del sistema contrattuale italiano, l’interprete deve quindi individuare innanzitutto la causa, intesa quale requisito indefettibile del contratto ai sensi dell’art. 1325 cod. civ., di tale accordo.
Con il contratto di coworking (16), di norma, un soggetto ha la disponibilità (17) di une bene, un immobile, che per le sue caratteristiche può prestarsi ad esser concesso, per brevi periodi di tempo (normalmente modulari: un mese o multipli di mese, ad esempio), in godimento a, di norma, professionisti che così possono acquisire (accedere) ad una postazione di lavoro già attrezzata e fornita di servizi (come la connessione internet, caffetteria, sale riunione attrezzate, segreteria etc.), a fronte di un corrispettivo per tale accesso ed utilizzo.
Lo spazio diviene quindi un servizio.
Apparentemente una simile tipologia di contratto, che è evidentemente atipico nel nostro sistema giuridico, parrebbe avere molte analogie con il contratto di locazione, la cui causa, recita l’art. 1571 (Nozione), è rappresentata dal godimento di una cosa mobile o immobile per un dato tempo verso un determinato corrispettivo, il canone.
Tale approdo, però, non risulta esser affatto soddisfacente, e risulta immediatamente smentito ad una più attenta analisi del nuovo fenomeno contrattuale.
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Di fronte ad un nuovo modello (che poi altro non sarebbe che un nuovo tipo non previamente codificato o altrimenti normato dal legislatore), l’interprete deve operare una prima operazione preliminare.
E’ nota al giurista la vexata quaestio relativa al rapporto esistente tra qualificazione ed interpretazione del contratto. In termini generali, si ritiene che la prima permetta all’interprete di individuare i connotati della fattispecie contrattuale, la seconda di inquadrare l’atto di autonomia in uno schema, in una struttura giuridica contemplata dal diritto positivo (18). Per il vero, posto che il nostro sistema giuridico non si caratterizza come sistema di c.d. tipicità delle azioni, diviene normale ritenere che la qualificazione non risulti di per sé attività essenziale al fine della risoluzione della controversia (19), essendo sufficiente arrestarsi alla considerazione secondo cui nell’ambito dell’interpretazione può farsi la stessa qualificazione (20), al fine di individuare la concreta fattispecie e la conseguente regola giuridica applicabile, anche mediante il ricorso, sempre più frequente ogniqualvolta ci si trovi innanzi ad un nuovo modello contrattuale, ad elementi mutuati da diversi tipi contrattuali.
§ 4 - I contenuti del coworking e le clausole
Le condizioni generali per il servizio di coworking che sono state esaminate di norma chiariscono espressamente la non riconducibilità di tale contratto alle ipotesi di locazione e/o affetto, escludendo quindi che il cliente possa vantare diritti (di godimento) sull’immobile.
Tale previsione risulta coerente con lo scopo perseguito da entrambe le parti del rapporto contrattuale.
Innanzitutto, ed in particolare nell’attuale sistema giuridico italiano, tale esclusione consente di poter derogare alle previsioni vincolistiche relative alla durata di una locazione per uso diverso da quello abitativo, di cui alla Legge 27 luglio 1978, n. 392 (Locazione di immobili urbani), il cui termine minimo legale è di 6 anni (art. 27). E’ evidente, infatti, che tale conformazione legale della durata male si attaglierebbe ad esigenze temporanee da parte del cliente, che è un cliente professionale (impresa o professionista) che necessità di uno spazio ad uso ufficio per un periodo breve, riducendo in questo modo i costi e gli oneri derivanti da un rapporto maggiormente stabilizzato.
Merita particolare attenzione, sempre con riferimento al profilo della durata del rapporto contrattuale, il tema delle clausole di rinnovo automatico e del conseguente diritto di recesso, in quanto uno delle esigenze tipiche che hanno condotto allo sviluppo del contratto di coworking è rappresentata proprio dall’esigenza del cliente di poter avere a disposizione, per limitati periodi di tempo, uno spazio-ufficio, già munito di servizi, senza obbligarsi con un rapporto la cui durata minima è stabilita dalle legge, e con la correlativa necessità di rispettare termini e modalità maggiormente onerosi per l’esercizio del diritto di recesso. Dall’altro lato, il fornitore del servizio deve poter essere in grado di prevedere flussi finanziari in entrata sufficienti ad assicurare una adeguata rimuneratività del servizio, proprio in considerazione della minor stabilità temporale dei singoli rapporti conclusi con i clienti (21).
Le condizioni generali esaminate, infatti, si caratterizzano per la presenza di una clausola di rinnovo automatico, per il medesimo periodo originariamente contratto, del contratto. Tale meccanismo male si attaglia alle finalità del contratto di coworking, e rappresenta un privilegio che il fornitore vuol riservarsi imponendo alla controparte un simile automatismo. Come si è detto, il contratto di coworking è fisiologicamente un contratto business-to-business e pertanto il requisito formale della doppia sottoscrizione delle clausole c.d. vessatorie sarà sufficiente ad assicurare, per il fornitore, la piena efficacia di tale previsione.
L’unico temperamento a tale clausola di automatico rinnovo può esser rappresentato dal recesso del cliente dal contratto che, a differenza del contratto di locazione, come risultante dalle varie stratificazioni prima codicistiche e poi legislative, non sarebbe (o quantomeno: non dovrebbe esser) sottoposto a limitazioni in ragione della natura del contratto di coworking.
In realtà, l’esigenza del fornitore di assicurare un adeguato livello di occupazione degli spazi concessi
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in temporaneo godimento spinge verso la formulazione di clausole di recesso che, per struttura e tempistiche, mal si concilierebbero con questo nuovo modello contrattuale.
Infatti, la prassi pare prediligere termini di preavviso per il recesso a carico del cliente che sono particolarmente impegnativi per durate brevi (22).
Il rischio, in un simile assetto ed a fronte delle esigenze che in astratto hanno giustificato la nascita di questo rapporto contrattuale, è che il bisogno di flessibilità subisca un eccessivo irrigidimento.
Altro profilo caratteristico dei contratti di coworking è l’esclusione del rilievo, all’interno dell’assetto contrattuale, della individuazione del bene (recte: dello spazio) oggetto del contratto.
Il fornitore, infatti, si impegna a fornire una tipologia di spazio, che viene definita sulla base delle caratteristiche, della dimensione e dei servizi accessori che vengono forniti (di solito mediante diverse gamme di servizio, e correlativamente di prezzo). Pertanto, il cliente accetta di poter esser collocato fisicamente negli spazi disponibili sulla base di una scelta discrezionale da parte del fornitore.
La circostanza, poi, che le parti escludano espressamente e necessariamente un rapporto di godimento diretto ed esclusivo rispetto all’immobile, comporta anche il rilievo che il cliente non possa esser qualificato detentore qualificato dell’immobile, con conseguente responsabilità da cosa in custodia che permane, ai sensi dell’art. 2051 cod. civ., in capo al fornitore. Su questo punto, le condizioni generali di contratto, predisposte unilateralmente dal fornitore senza alcuno spazio per la trattativa individuale, si premurano di inserire clausole di esonero della responsabilità ovvero di predeterminazione dei limiti massimi di responsabilità, del fornitore. Va da sé che mentre le seconde possono ritenersi generalmente valide ed efficaci, maggiori dubbi sorgono nei confronti delle prime, posto che una simile esclusione di responsabilità si porrebbe in contrasto con il divieto di esclusione della responsabilità per dolo o colpa grave di cui all’art. 1229 cod. civ.
Quanto al corrispettivo per il servizio, la prassi sembra far riemergere un tratto tipico del rapporto tradizionale di locazione. Nel contratto di locazione, infatti, di norma il conduttore non può eccepire l’inadempimento del locatore per poter sospendere il pagamento del canone. Anche nel contratto di coworking, dove tra l’altro la relazione stretta del fornitore rispetto al bene permane in modo assai più stretto rispetto a questo nuovo contratto, la prassi spinge per clausole che escludono la possibilità, in capo al cliente, di poter sospendere il pagamento del canone per il servizio, in forza del principio generale dei contratti a prestazione corrispettive inadimplenti non est adimplendum, qualora il fornitore risulti inadempiente alle obbligazioni su di esso gravanti (si pensi, ad esempio, alla inaccessibilità dei locali, al mancato funzionamento della rete internet, etc.).
Ed ancora, non mancano, in tale assetto, clausole che invece facoltizzano il fornitore ad interdire l’accesso ai locali (tra l’altro particolarmente agevole come tutela atteso il moderno ricorso a badge per l’accesso) immediatamente e come reazione all’inadempimento di controparte.
§ 5 - Conclusioni
Da quanto qui esposto in termini generali, si possono trarre alcune iniziali conclusioni circa la concreta possibilità di diffusione del contratto di coworking.
Innanzitutto, la sua diffusione può esser favorita da esigenze sistemiche – le abbiamo viste all’inizio e sono collegate allo sviluppo delle tecnologie di comunicazione – e da esigenze contingenti, come quelle rappresentate dall’emergenza pandemica che ha sicuramente facilitato il ricorso a nuove modalità di svolgimento della prestazione lavorativa, con possibili conseguenze, a medio termine, anche con riguardo alla necessità che, ad esempio, i dipendenti di una società debbano necessariamente occupare i locali aziendali per lo svolgimento delle proprie mansioni.
Altro elemento che può senz’altro contribuire alla diffusione di tale rapporto contrattuale è collegato alla sua potenziale aderenza alle esigenze, temporali, professionali e logistiche, del c.d. terziario avanzato, facilitando una maggiore mobilità territoriale.
I possibili limiti ad una sua piena diffusione, invece, sono rappresentati dal rischio di una sua
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eccessiva rigidità. Si è visto, infatti, che esiste un’intima tensione tra esigenze di flessibilità, da un lato, e necessarie previsioni di adeguati flussi finanziari, dall’altro lato. Tale ultimo profilo, in particolare, spinge verso una tendenziale rigidità del rapporto (oneri gestori e contrattuali per il recesso, associati a clausole di automatico rinnovo, piuttosto che indiretta incentivazione a rapporti parametrati su base mensile come scelta modulare).
Questi elementi, uniti al rilievo che la diffusione di tale nuovo contratto è strettamente connessa alla esigenza di operatori professionisti, può condurre ad un consolidamento di prassi negoziali e clausole standard che possono render più difficile la piena diffusione.
L’eventuale entrata in questo specifico mercato di una pluralità di operatori che offrano tipologie di servizio caratterizzate da una piena flessibilità può essere un elemento, non immediatamente contrattuale, che può giovare allo sviluppo di questo nuovo mercato.
(1) P. GROSSI, L’ordine giuridico medievale, Bari, 1997, 135.
(2) M.R. FERRARESE, Le istituzioni della globalizzazione, Bologna, 2000 e X. XXXXXXX, La Globalizzazione nello specchio del diritto, Bologna, 2005.
(3) In origine, il riferimento agli interessi meritevoli di tutela rivestiva – nelle codificazioni novecentesche – la fun- zione di vincolare il cittadino alle finalità perseguite, a livello generale, dalla politica e dall’economia nazionale: in tal senso si veda la Relazione al Re-Imperatore del Ministro Guardasigilli al Libro del Codice Civile “Delle Obbliga- zioni”, Torino, 1941, in part. n. 615 e 603.
(4) Sul punto: G.B. XXXXX, Causa e tipo nella teoria del negozio giuridico, Milano, 1966, 113 ss., che osserva come l’attività del privato deve tendere, in forza della c.d. funzione economico sociale, ad interessi generali ed in tanto potrà esser tutelata, in quanto attraverso l’interesse privato se ne realizzi uno sociale generale: così, al concetto di scopo si sostituisce quello di funzione.
(5) X. XXXXX, Il contratto, vol. I, Milano, 1955, 199 ss., secondo il quale in un sistema contrattuale preoccupato delle esigenze di certezza e di giustizia, la funzione del diritto e del contratto è quella di evitare che i conflitti nati da un affare privato vengano composti fuori dai Tribunali in modi pericolosi per l’ordine sociale. Entro un simile sistema, l’unica limitazione (ulteriore rispetto ai c.d. vestimenta contractus) che si pone alla sanzionabilità del contratto in vista dell’interesse pubblico dovrebbe essere quella della illiceità, ovvero della contrarietà alle norme imperative, all’ordine pubblico ed al buon costume.
(6) Sulla portata ideologica del concetto di “funzione sociale” si vedano le riflessioni critiche di X. XXXXX, Il contratto, op. cit., 224 ss., secondo il quale tale concetto pare fortemente influenzato dalla concezione che lo stato ammette o permette lo scambio privato di beni o servizi tipicamente economici, la c.d. iniziativa privata, in vista dell’utilità sociale che tale scambio presenta come mezzo ritenuto adatto per la produzione e la distribuzione di quei beni al fine del “benessere sociale”. Idea questa che si sviluppa di pari passo con gli sviluppi dello stato moderno, come ente o legislatore razionale, e della quale furono antesignani più gli economisti che i giuristi. Sul punto, per una prospettiva storica, X. XXXXX, Commento a Tocqueville, Milano, 1948, in particolare parte II, cap. V, § 5.
(7) Nel senso di cui al testo X. XXXXX-X. XX XXXX, Il contratto, IV ed., Torino, 2016, 1406.
(8) X. XXXXX-G. DE NOVA, Il contratto, op. loc. cit.
(9) G. DE NOVA, Il tipo contrattuale, Milano, 1974, 13, 35.
(10) X. XXXXXXXX, Xxxxxx e Uber. Dall’età dell’accesso all’economia dell’eccesso, in Il diritto dell’informazione e dell’informatica, 6, 2015, 957 ss.
(11) X. XXXXXXX.X. XXXXXX, What’s mine is Yours. The Rise of Collaborative Consumption, Xxxxxx, 0000; P. AIGRAIN, Sharing: Culture and the Economiy in the Xxxxxxxx Xxx, Xxxxxxxxx, 0000; X. XXXXX-X. XXXXXXXXXXXX, Self-Regulation and Innovation in the Peer-to-Peer Sharing Economy, in 82 Univ. Chi. L. Rev. Dialogue (2015), 116-133.
(12) Per economia collaborativa si intende un sistema economico di reti decentralizzate e di mercati che sbloccano il valore di beni sottoutilizzati facendo incontrare bisogni e disponibilità, secondo modalità che superano il normale criterio di intermediazione; per economia della condivisione (sharing economy) si intende un sistema economico sulla condivisione di beni o servizi sottoutilizzati, gratuitamente o a fronte di un corrispettivo; per consumo collabo- rativo si intende il ripensamento di tradizionali condotte di mercato – affitto, prestito, scambio, condivisione, baratto, donazione – tramite il ricorso alla tecnologia, che riesce ad esser praticato grazie in modi e dimensioni che non erano immaginabili prima dell’avvento di internet; per servizi a richiesta si fa riferimento a piattaforme che provve- dono direttamente a far incontrare bisogni e soggetti pronti a fornire il bene o servizio richiesto.
(13) Così X. XXXXXXXX, Xxxxxx e Uber. Dall’età dell’accesso all’economia dell’eccesso, op. loc. cit.
(14) Non si intende, ovviamente, affermare che prima di questo periodo storico non vi fosse la possibilità di accedere al godimento temporaneo di beni o servizi. La vera differenza è data, da un lato, dal maggior numero di beni o
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servizi per i quali oggi, a differenza di un tempo, è possibile beneficiare di nuove e più flessibili modalità di godimento e, dall’altro lato, dal rilievo, coessenziale alle nuove forme e più raro in quelle precedenti, che le nuove forme di godimento sono offerte per frazioni di tempo minori, più flessibili, superandosi, per molti versi, i regimi comunque vincolistici che in precedenza erano offerti sul piano giuridico.
(15) X. XXXXXX, The Age of Access: The New Culture of Hypercapitalism Where All of Life is a Paid-For Experience, New York, 2000, secondo cui la presente fase dell’economia condurrebbe a render sempre meno rilevante la pro- prietà del bene, divenendo invece determinante la possibilità di poter accedere all’utilizzo di quel bene, o di un servizio, sulla base delle specifiche, puntuali ed anche occasionali necessità. Diviene quindi maggiormente impor- tante la possibilità di accesso più che non il possesso del bene. Si pensi, sol per fare un esempio, alle mutate modalità di fruizione della musica: oggi sempre meno si avverte la necessità di acquistare il disco fisico, e si favo- risce, invece, l’utilizzo di programmi di streaming: con il prezzo di un disco, si paga un abbonamento mensile che consente all’utente di ascoltare tutti i brani che preferisce di una pluralità di autori.
(16) X. XXXXXX-X. XXXXXX, The Financial Impacts of Coworking. Rental Prices and Market Dynamics in the Com- mercial Office Market, disponibile su xxxx://xxxx.xxx/xxxxxxxxx0000000. Il primo spazio in coworking è stato svilup- pato nel 2005 a San Xxxxxxxxx, California, come spazio condiviso tra liberi professionisti che condividevano servizi: per una ricostruzione si veda A. CHEGUT-X. XXXXXXXXX-X. XXXXXXX-Y. TITELBOIM, Valuing the co-working asset class, Working Paper.
(17) E qui tale disponibilità può derivare tanto dalla proprietà del bene quanto dal suo godimento secondo il tradi- zionale rapporto di locazione, a condizione che tale contratto consenta, evidentemente, la sublocazione, secondo una clausola normalmente negoziabile tra le parti dell’originario rapporto.
(18) X. XXXXXXXX, Il contratto atipico, Milano, 1981, 176.
(19) In tal senso, X. XXXXXXX, Contratti moderni, Factoring Franchising Leasing, in Trattato di diritto civile dir. da X. Xxxxx, Torino, 2004, 20. Sul tema, in termini approfonditi, basti il richiamo a X. XXXXXXX, Il contratto e l’interpreta- zione, Milano, 1961, 70-71, 165-166 e X. XXXXXXXXX, L’interpretazione del negozio giuridico, Padova, 1939, 103.
(20) Nel senso di cui al testo si veda X. XXXXXXXXXXXX, Interpretazione del contratto e interessi dei contraenti, Padova, 1992, 222 ss.
(21) W. C. XXXXXXX, Xxxx XxXxxxxxx Work?, 2nd Draft, February 19, 2019, Massachusetts Institute for Technology, disponibile su xxxx://xxxx.xxx/xxxxxxxxx0000000 , il quale, su base empirica, dimostra come le imprese clienti del servizio debbano affrontare un costo maggiore per unità di tempo, in ragione proprio della minor stabilità del rap- porto, onere compensato dalla maggior flessibilità. Dall’altro lato, il fornitore del servizio, in particolare qualora abbia la disponibilità dell’immobile all’interno di un contratto di locazione, può correre il concreto rischio di dover remune- rare al proprietario dell’immobile il maggior rischio derivante dall’incertezza della propria attività, con canoni di lo- cazione più alti, a parziale copertura del maggior rischio per il proprietario di non vedersi corrisposto puntualmente il canone di locazione.
(22) Si pensi, ad esempio, a quella presente in alcune condizioni generali di contratto esaminate, che prevede, per durate mensili del rapporto, un periodo di preavviso non inferiore ad un mese: il risultato è paradossale, posto che il cliente dovrebbe esercitare il recesso all’inizio del rapporto. La situazione diviene lievemente meno grave via via che la durata iniziale si allunga, a conferma di quanto si diceva nel testo con riferimento alla tensione tra flessibilità (per il cliente) e programmabilità dei flussi finanziari (per il fornitore).
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Il contratto di car advertising
A cura di: Professore Xxxxxxx Giu- lio Cianci
Nozione
Con il contratto di car advertising una parte (il guidatore) si obbliga nei confronti dell’altra (l’organizzatore del servizio) ad apporre su un veicolo in sua disponibilità determinate pubblicità commerciali, in spazi dedicati sulle superfici del veicolo, a fronte di un corrispettivo.
Questa figura contrattuale permette lo sfruttamento dei veicoli per finalità diverse dal trasporto di persone e di cose, utilizzando la loro circolazione come mezzo utile per diffondere della pubblicità commerciale.
In ragione delle prestazioni corrispettive, precedentemente individuate, che prevedono lo scambio tra la diffusione di pubblicità ed un corrispettivo, il car advertising può essere senza difficoltà inquadrato nel tipo della diffusione pubblicitaria (1): il guidatore assume la posizione del mezzo, mentre il committente è l’organizzatore del servizio.
Obbligazioni del guidatore
La principale obbligazione del guidatore consiste nella prestazione caratteristica del contratto: quella di circolare (2) con il veicolo, per consentire la diffusione della pubblicità. In mancanza di questa attività, il contratto non può essere eseguito, perché la circolazione consente di portare il messaggio commerciale all’attenzione del pubblico, con un’iniziativa dinamica sul territorio. Essa risulta idonea a differenziare questa particolare forma di diffusione pubblicitaria rispetto alle forme tradizionali della pubblicità tabellare – cartelloni pubblicitari, diffusione di spot pubblicitari per radio e televisione – sollecitando la curiosità dei destinatari della comunicazione commerciale anche in ragione dell’elemento della novità di questa soluzione operativa.
Altre obbligazioni gravanti sul guidatore sono relative a profili accessori: il mantenimento del veicolo in condizioni di piena idoneità alla diffusione pubblicitaria (pulizia, manutenzione della carrozzeria); la cooperazione all’apposizione delle scritte pubblicitarie, che richiedono la presenza fisica del veicolo presso delle officine che provvedano alla prima apposizione ed alle successive sostituzioni;
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l’invio di dati statistici, che consentono all’organizzatore del servizio di provvedere all’efficientamento della diffusione pubblicitaria mediante la sua ottimale localizzazione.
Obbligazioni dell’organizzatore del servizio
La principale obbligazione dell’organizzatore del servizio consiste nel pagamento di un corrispettivo in favore del guidatore, che può essere variamente commisurato. Ad esempio, in caso di acquisto di un’auto nuova, le parti possono convenire di determinarlo nel rateo di credito al consumo concesso da una finanziaria.
Inoltre, l’organizzatore del servizio provvede a gestire tutte le attività strumentali che permettono la diffusione pubblicitaria (apposizione delle scritte e sostituzioni; raccolta di dati statistici).
Car advertising e società dell’informazione
Il contratto di car advertising costituisce una figura diretta a permettere nuove modalità d’uso di beni tradizionali, quali i veicoli: automobili, furgoni, moto e motocicli, oltre ad assolvere al trasporto di persone e cose, possono offrire nuovi spazi pubblicitari a disposizione di agenzie pubblicitarie e utenti dei relativi servizi in occasione della circolazione.
L’organizzatore del servizio svolge un’attività di intermediazione tra i mezzi, da una parte, e le agenzie di pubblicità e gli utenti dei servizi pubblicitari, dall’altra.
Il beneficio per il guidatore consiste nella possibilità di utilizzare, senza costo alcuno, il veicolo per una funzione diversa da quella del trasporto di persone e di cose, sfruttando la circolazione ai fini della diffusione pubblicitaria.
Dal punto di vista della meritevolezza di tutela degli interessi (art. 1322, co. 2, c.c.), non sembra possibile dubitare che la figura in esame – un contratto atipico – possa realizzare un utile scambio tra la diffusione di pubblicità sui veicoli e corrispettivo per il guidatore, consentendo una significativa riduzione, se non un vero e proprio azzeramento, dei costi di acquisto o di noleggio del veicolo.
Si tratta, dunque, di un uso nuovo del veicolo, reso possibile dall’evoluzione tecnologica che consente, anche mediante la geolocalizzazione delle attività, la creazione di un nuovo modello di diffusione pubblicitaria in movimento.
Sul piano economico, risulta significativo notare che i costi connessi alla funzione tradizionale del veicolo vengono compensati dalla nuova attività consistente nella diffusione pubblicitaria.
La compatibilità con il codice della strada: questione di legittimità costituzionale
Il contratto di car advertising è oggetto di una recente questione di legittimità costituzionale, sollevata con due Ordinanze del Tribunale di Roma del 1°-17 maggio 2021 (3).
Tali Ordinanze traggono spunto da una giurisprudenza, ormai consolidata, che si è pronunciata nel senso dell’incompatibilità tra il contratto di car advertising e le previsioni di cui agli artt. 23, co. 2, c.c. D.Lgs. 285/1992 e 57 D.P.R. 495/1992 (4).
Il testo delle norme è il seguente: “È vietata l’apposizione di scritte o insegne pubblicitarie luminose sui veicoli. È consentita quella di scritte o insegne pubblicitarie rifrangenti nei limiti ed alle condizioni stabiliti dal Regolamento, purché sia escluso ogni rischio di abbagliamenti o di distrazione dell’attenzione nella guida per i conducenti degli altri veicoli”.
“L’apposizione sui veicoli di pubblicità non luminosa è consentita, salvo quanto previsto ai commi 3 e 4, unicamente se non effettuata per conto di terzi a titolo oneroso e se realizzata con sporgenze non superiori a 3 cm rispetto alla superficie del veicolo sulla quale sono applicate, fermi restando i limiti di cui all’art. 61 del codice. Sulle autovetture ad uso privato è consentita unicamente l’apposizione del marchio e della ragione sociale della ditta cui appartiene il veicolo”.
A fronte di queste norme, sulla base della prassi amministrativa (5), è emerso l’orientamento giurisprudenziale per cui il contratto di car advertising, essendo diretto a consentire la diffusione di
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messaggi diversi dal marchio e della ragione sociale del proprietario del veicolo, dovesse essere ritenuto nullo ex artt. 1418, co. 1, c.c., e 1346 c.c., stante l’impossibilità della prestazione posta a carico del guidatore (6).
Il Tribunale di Roma ha evidenziato la sussistenza di dubbi di costituzionalità al riguardo, ravvisando un contrasto tra le norme del Codice della strada e del regolamento attuativo che prevedono il divieto con gli artt. 3, 41, 42, 76 Cost.
La questione ex art. 76 Cost. è legata alla completa assenza di qualsiasi elemento relativo alla disciplina della pubblicità sui veicoli nella legge di delegazione relativa al Codice della strada (L. 13 giugno 1991, n. 190).
Le altre questioni (artt. 3, 41, 42 Cost.) derivano dall’evidente irragionevolezza di una previsione che distingue tra l’apposizione di una scritta pubblicitaria nel proprio interesse – consentita – e nell’interesse altrui – vietata.
In ciò, la normativa risulta contraria al principio di eguaglianza, distinguendo irragionevolmente tra l’utilizzo in proprio dello spazio pubblicitario e la cessione a terzi.
Infatti, sotto questo profilo non è in alcun modo ipotizzabile una minore invasività della scritta pubblicitaria sotto il profilo della sicurezza stradale. Essa dipende dal contenuto del messaggio pubblicitario e non certo dalla riconducibilità al titolare del veicolo o ad un terzo soggetto (art. 3 Cost.).
È del pari evidente l’incidenza irragionevole sull’iniziativa economica privata (art. 41 Cost.) e sulla proprietà privata, sotto forma della facoltà di uso del veicolo (art. 42 Cost.).
La soluzione che sarà assunta dalla Corte Costituzionale costituirà certamente un precedente di particolare interesse sotto il profilo dei valori coinvolti: libertà di iniziative economica privata, nuove modalità di uso di beni tradizionali, applicazioni delle nuove tecnologie della società dell’informazione.
Il collegamento negoziale con il credito al consumo
Altra questione di interesse attiene al collegamento negoziale tra il contratto di diffusione pubblicitaria (intercorrente tra guidatore e organizzatore del servizio), e due ulteriori contratti eventualmente stipulati dal guidatore o da terzi: il contratto di compravendita o di noleggio del veicolo e il contratto di credito al consumo sotteso al finanziamento dell’acquisto.
A fronte della nullità del contratto di diffusione pubblicitaria, può sussistere un rilevante interesse del guidatore ad ottenere la declaratoria di nullità del contratto di compravendita o noleggio del veicolo o del contratto di credito al consumo sotteso al finanziamento dell’acquisto, sostenendo il collegamento negoziale tra i vari contratti, con la nullità del primo che debba esplicare i suoi effetti anche sugli altri.
Sul tema del collegamento negoziale, si riscontrano varie pronunce emesse in sede di Arbitro Bancario Finanziario, alcune in senso favorevole al riconoscimento della figura e dei conseguenti effetti, altre in senso opposto, a seconda delle varie situazioni di fatto dedotte nel procedimento arbitrale.
(1) V. sulla figura D’XXXXXXX, Principi di diritto della comunicazione commerciale, Napoli, 2012, 17 s. Cfr. specifica- mente LOBIANCO, La diffusione pubblicitaria tramite autoveicoli, in Dir. trasp., 2007, 423 ss.
(2) La circolazione comprende anche la sosta, come da principio consolidato della materia della circolazione stra- dale: x. Xxxx. S.U. 29 aprile 2015, n. 8620, in Modulo24 Contratti, in tema di responsabilità ex art. 2054 c.c. Nello specifico, la sosta in spazi pubblici consente la visibilità delle scritte pubblicitarie in misura non dissimile da quanto si verifica con la circolazione del veicolo in movimento.
(3) Inedite. Per un commento, x. XXXXXXX e XXXXXX, Alla Consulta il divieto di pubblicità sui veicoli, in Il Sole 24 Ore, Norme e Tributi, 2 giugno 2021; in XXXXXX, Divieto di pubblicità sulle auto per conto terzi: il Tribunale di Roma solleva una questione di legittimità costituzionale, in Il Sole 24 Ore, NT+Diritto, 20 maggio 2021.
(4) La questione della compatibilità tra attività di car advertising e normativa del Codice della strada e del regola- mento attuativo è stata posta in Cass. 20 gennaio 2022, n. 1793, in Modulo24 Contratti, che tuttavia non fornisce un orientamento sul punto, limitandosi a rilevare l’inammissibilità di un ricorso dell’amministrazione “nel senso della contestazione della pubblicità non luminosa effettuata su mezzo ad uso speciale per conto terzi a titolo oneroso”, ritenuto “questione che nella sua estrema genericità prospetta anche profili di novità, neanche chiarendo quando e
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dove la problematica della onerosità sarebbe stata introdotta dalla ricorrente nel corso del giudizio di merito”. V. invece Trib. Oristano 8 luglio 2020, in Modulo24 Contratti, nel senso del divieto dell’attività sulla base delle norme del Codice della strada, in riforma di Giud. pace Oristano 10 luglio 2018, inedita, nel senso invece della compatibilità con esse.
(5) Parere Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti 5 febbraio 2019, inedito.
(6) Precedenti inediti: Trib. Roma 17 maggio 2019; Trib. Roma 15-19 luglio 2019; Trib. Roma 28 aprile-2 luglio 2020; Trib. Roma 2-3 agosto 2021.
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