COLLEGIO DI BOLOGNA
COLLEGIO DI BOLOGNA
composto dai signori:
(BO) MARINARI Presidente
(BO) XXXXXXX Membro designato dalla Banca d'Italia
(BO) XXXXX Membro designato dalla Banca d'Italia
(BO) SOLDATI Membro di designazione rappresentativa degli intermediari
(BO) ALVISI Membro di designazione rappresentativa dei clienti
Relatore XXXXXX XXXXXX
Seduta del 21/01/2020
FATTO
Il ricorrente, che si qualifica non consumatore, deduce di aver sottoscritto con l’intermediario convenuto, in data 16.12.2016, un contratto di leasing finanziario automobilistico con opzione finale di acquisto. La locazione finanziaria prevedeva, oltre al pagamento del prezzo dell’autovettura in 48 rate mensili, la corresponsione di commissioni e spese per Euro 488,00 e di interessi passivi per Euro 1.629,10, per un totale di Euro 2.117,10 (cfr. all. b) al ricorso).
Il ricorrente deduce che l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, con provvedimento n. 27492/2018 del 20.12.2018 (prodotto sub all. c) al ricorso), ha accertato l’esistenza e l’attuazione, dal giugno 2003 all’aprile 2017, di un’intesa restrittiva della concorrenza tra svariate case automobilistiche e le loro captive banks, ivi compreso l’intermediario convenuto. Il provvedimento ha quindi comminato una sanzione nei confronti dell’intermediario convenuto per violazione del divieto di accordi tra imprese e di pratiche concordate che possano pregiudicare il commercio fra gli Stati membri di cui all’art. 101 del TFUE. Deduce altresì che tale provvedimento sanzionatorio è stato impugnato dagli intermediari sanzionati, ivi compreso l’intermediario convenuto, davanti al Tar del Lazio che, con ordinanza n. 2047/2019, ne ha disposto la sospensione in via cautelare fino alla decisione del merito, per la quale è stata fissata l’udienza del 26 febbraio 2020.
In data 26.02.2019 il ricorrente aveva proposto reclamo all’intermediario convenuto chiedendo la restituzione di quanto corrisposto a titolo di interessi e costi del contratto di finanziamento (sul presupposto della nullità delle relative clausole del contratto di leasing per violazione del divieto di intese restrittive) nonché, ai sensi dell’art. 7 del d.lgs. n. 3/2017, il risarcimento del danno subito a causa della violazione del diritto della concorrenza imputata all’intermediario convenuto dalla decisione dell’AGCM. In seguito al riscontro negativo, in data 19.03.2019, dell’intermediario convenuto, che opponeva di aver ceduto il rapporto controverso ad altra società finanziaria del medesimo gruppo automobilistico, il ricorrente proponeva ricorso all’ABF in data 18.10.2019 nei confronti dell’intermediario cedente, senza convenire la finanziaria cessionaria. Il ricorrente concludeva chiedendo: “1. in via principale, la restituzione di tutte le commissioni, spese e interessi pagati in esecuzione del contratto di finanziamento sottoscritto, previa dichiarazione di nullità delle relative clausole contrattuali, ovvero la liberazione dall’obbligo di pagare queste commissioni, spese e interessi, nella misura in cui essi non siano ancora stati pagati; 2. in via alternativa, il risarcimento dell’intero danno subito a causa della violazione, in misura pari all’intero importo delle commissioni, spese e interessi pagati o dovuti in base al contratto di finanziamento; 3. in via subordinata, il ricalcolo dei tassi applicati al tasso sostitutivo di cui all’art. 117 TUB con eventuale rimborso della differenza per i finanziamenti già estinti; 4. in via ulteriormente subordinata, il risarcimento di un danno almeno pari al 20% di tutte le commissioni, spese e interessi previsti dal contratto o nella diversa misura ritenuta equa dal Collegio; 5. in ogni caso, con rivalutazione e interessi”.
L’intermediario, costituitosi, eccepisce di aver ceduto in data 1.03.2019 ad altra finanziaria del medesimo gruppo automobilistico l’intero ramo di azienda dedicato al business del leasing finanziario, comprensivo dell’intero portafoglio prodotti, ivi incluso il contratto di leasing automobilistico perfezionato col ricorrente. Eccepisce conseguentemente l’improcedibilità del ricorso per suo difetto di legittimazione passiva ed indica come unico soggetto legittimato passivamente la finanziaria cessionaria. Conclude chiedendo di respingere il ricorso poiché improcedibile per difetto di legittimazione passiva.
DIRITTO
Occorre esaminare preliminarmente l’eccezione di carenza di legittimazione passiva sollevata dall’intermediario convenuto, il quale ha prodotto agli atti copia della Gazzetta Ufficiale del 18.04.2019, contenente la pubblicità dichiarativa della cessione del ramo di azienda cui inerisce il contratto di leasing finanziario per il quale pende controversia. Come è noto, l’art. 58, comma 5 TUB prevede, per il caso di “cessione a banche di aziende e rami d’azienda” che “i creditori ceduti hanno facoltà, entro tre mesi dagli adempimenti pubblicitari previsti dal comma 2, di esigere dal cedente o dal cessionario, l’adempimento delle obbligazioni oggetto di cessione. Trascorso il termine di tre mesi, il cessionario risponde in via esclusiva”.
Ebbene, nel caso di specie, il ricorrente ha correttamente indirizzato, in data 26 febbraio 2019, la propria eccezione di nullità di pattuizioni contrattuali per violazione del divieto di intese anticoncorrenziali nonché le proprie domande di restituzione delle somme pagate in esecuzione di quanto previsto dalle predette clausole e di risarcimento del danno da sovrapprezzo nei confronti dell’intermediario cedente, odierno convenuto. Egli ha, infatti, dato avvio al procedimento dinnanzi a questo Arbitro presentando reclamo all’intermediario cedente in data 26.02.2019, dunque prima della pubblicazione in GU della cessione del relativo ramo di azienda, avvenuta il 18.04.2019 (da cui decorre il
termine di 3 mesi per l’opponibilità della cessione del ramo d’azienda ai creditori ceduti). La cessione non può pertanto essergli opposta ai sensi di quanto previsto dall’art. 58 comma 5 TUB.
In un caso analogo, questo Collegio si è poi pronunciato sulla necessità di dare rilievo alla natura extracontrattuale delle pretese risarcitorie e restitutorie fatte valere dal ricorrente nei confronti dell’intermediario convenuto, la cui eventuale responsabilità da fatto illecito non sarebbe comunque soggetta a cessione (cfr. Collegio di Bologna, decisione n. 19 del 2020). Ne deriva che l’eccezione di carenza di legittimazione passiva sollevata dall’intermediario convenuto è del tutto infondata e deve essere rigettata.
Passando al merito della controversia, questo Collegio ha avuto modo di ritenere, in conformità con la giurisprudenza ABF in materia, che “una violazione del diritto della concorrenza consistente in un cartello, ove provata, possa dare luogo, rispetto ad un rapporto contrattuale “a valle”, tanto ad un danno risarcibile nella forma del danno da sovrapprezzo, così come identificato all’art. 10 d.lgs. 19.01.2017, n. 3 (la cui esistenza, una volta provata l’intesa anticoncorrenziale a monte, “si presume, salva prova contraria dell’autore della violazione”, ai sensi dell’art. 14 co.2 d.lgs. n. 3/2017) che ad un’ipotesi di nullità totale o parziale, a seconda dell’esito cui conduce nel singolo caso concreto l’applicazione dell’art. 1419 c.c.” (cfr. Collegio di Bologna, decisione n. 24607 del 2019 e, analogamente, Collegio di Milano, decisione n. 16558 del 2019).
In punto di valore probatorio dell’accertamento AGCM, la Suprema Corte ha avuto modo di chiarire, anche recentemente, la funzione di “prova privilegiata” del provvedimento AGCM, il quale è dotato di “elevata attitudine a provare tanto la condotta anticoncorrenziale, quanto l'astratta idoneità della stessa a procurare un danno ai consumatori” (cfr. Cassazione Civile, 22.5.2019, n. 13846). Il dettato normativo è tuttavia chiaro nell’attribuire valenza di definitivo accertamento della violazione del diritto della concorrenza alla decisione dell’AGCM non più soggetta ad impugnazione davanti al giudice del ricorso ovvero alla sentenza del giudice del ricorso passata in giudicato (art. 7 del d.lgs. n. 3/2017).
L’odierno ricorrente si limita a produrre il provvedimento n. 27492/2018 dell’AGCM, sub all. a), quale pretesa prova dell’illecito anticoncorrenziale posto a fondamento di tutte le sue domande – sia di quelle che mirano alla declaratoria di nullità di singole clausole del contratto di leasing finanziario che di quelle restitutorie e risarcitoria, senza che vengano prodotte ulteriori evidenze. Come già chiarito, tuttavia, la questione della violazione della normativa concorrenziale da parte dell’intermediario convenuto è pacificamente pendente dinnanzi al TAR del Lazio, dove il provvedimento in discorso è stato impugnato e risulta attualmente sospeso in via cautelare in attesa della decisione di merito.
Tanto premesso, questo Xxxxxxxx ritiene di condividere l’indirizzo fatto proprio dal Collegio di Torino, secondo cui “[poiché] l’accertamento compiuto dall’Autorità si fa vincolante per il giudice dell’azione civile – e dunque anche per questo Arbitro – quando il provvedimento sanzionatorio non sia più soggetto ad impugnazione dinanzi al giudice amministrativo o sia stato da quest’ultimo confermato con sentenza passata ingiudicato; [ciò] significa, evidentemente, che prima di quello stadio il provvedimento non fa prova, di per sé solo, dell’asserita violazione” (Collegio di Torino, decisione n. 21285 del 2019). Il Collegio di Torino, con motivazione che risulta pertinente anche nel caso in esame, ha pertanto concluso che “al pari del giudice civile, pure questo Xxxxxxx non può reputare provata, allo stato, la violazione sulla quale è fondato il presente ricorso, giacché detta violazione forma oggetto di un provvedimento ancora sub judice […]; e poiché in punto di onere della prova il ricorso rinvia in toto al previo accertamento espletato dall’Autorità col
provvedimento impugnato, la provvisorietà ed instabilità di quest’ultimo equivale a mancata (o non ancora raggiunta) prova dei fatti contestati all’intermediario resistente”.
Alla luce di quanto sopra osservato, il ricorso non può essere accolto in quanto sfornito di prova.
PER QUESTI MOTIVI
Il Collegio non accoglie il ricorso.
IL PRESIDENTE
firma 1