UNIVERSITÀ DEL SALENTO
UNIVERSITÀ DEL SALENTO
DIPARTIMENTO DI SCIENZE GIURIDICHE
CORSO DI LAUREA MAGISTRALE IN GIURISPRUDENZA
TESI DI LAUREA IN ISTITUZIONI DI DIRITTO PRIVATO
IL CONTRATTO DI SPONSORIZZAZIONE SPORTIVA: ORIGINI, SVILUPPI E PROSPETTIVE FUTURE.
RELATORE:
Xxxxx.xx Xxxx. Xxxxxxx Xxxxxxx De Xxxxx
LAUREANDO:
Xxxxxxxxxx Xxxxxxx
ANNO ACCADEMICO 2022/23
Non abbiate paura di sognare cose grandi
INDICE
IL FENOMENO “SPONSORIZZAZIONE”
1.1. Il termine “sponsorizzazione” 3
1.2. L’evoluzione della sponsorizzazione: da mecenatismo a contratto commerciale 10
1.3. La sponsorizzazione parassitaria: il fenomeno dell’ambush marketing 17
1.4. Le forme della sponsorizzazione sportiva. 23
1.5. I livelli della sponsorizzazione sportiva 31
1.6. I nuovi orizzonti della sponsorizzazione sportiva 36
IL CONTRATTO DI SPONSORIZZAZIONE: UN CONTRATTO “ALIENO”
2.1. La qualificazione giuridica del contratto di sponsorizzazione 39
2.1.1. (Segue): Il c.d. “contratto alieno” 45
CLAUSOLE CONTRATTUALI E SCENARI DI INADEMPIMENTO:
UNO SGUARDO CRITICO AI CONTRATTI DI SPONSORIZZAZIONE SPORTIVA
3.1. Clausole inerenti ai rapporti tra le parti 72
3.1.1. (Segue): “Morality clauses” 73
3.1.2. (Segue): Clausola risolutiva 78
3.1.3. (Segue): Clausola di valorizzazione e clausola di riduzione del corrispettivo 80
3.1.4. (Segue): Clausola di esclusiva 82
3.1.5. (Segue): Clausola di non concorrenza e accordo di riservatezza 83
3.1.6. (Segue): Clausole di durata: opzione, prelazione e rinnovo 85
3.1.7. (Segue): Clausole relative alla disciplina della fase successiva alla scadenza del contratto
....................................................................................................................................................... 87 3.1.8. (Segue): Ulteriori clausole rilevanti ................................................................................... 89
3.2. Le c.d. “boilerplate clauses” nell’esperienza degli ordinamenti di common law 91
3.3. L’inadempimento della sponsorizzazione sportiva nella prassi giurisprudenziale 97
CONCLUSIONI 102
BIBLIOGRAFIA 104
GIURISPRUDENZA 110
Il presente elaborato si pone l'obiettivo di delineare gli aspetti teorici, pratici e giuridici della sponsorizzazione in ambito sportivo, analizzandone alcuni aspetti nazionali e internazionali e soffermandosi sulle tematiche di maggiore attualità.
La sponsorizzazione rappresenta un fenomeno che negli ultimi decenni ha assunto un ruolo fondamentale nel mondo dello sport come preziosa – ed ormai imprescindibile – risorsa per il finanziamento di società e atleti, ma anche di manifestazioni e impianti altrimenti difficili da sostenere economicamente. Considerando invece il punto di vista dello sponsor, si tratta indubbiamente di uno strumento utile in un periodo storico nel quale l’adozione di strategie comunicative efficaci rappresenta uno dei fattori critici maggiormente rilevanti per il successo di un’attività imprenditoriale.
È indubbio, in ogni caso, che il termine “sponsorizzazione” rappresenti oggi un concetto molto lontano da quello originario: se un tempo tale pratica consisteva in un’opportunità a disposizione degli imprenditori per celebrare e sfoggiare i propri successi e la propria potenza economica senza ricevere nulla in cambio oltre ad una mera soddisfazione personale, oggi, da atto di liberalità quale era, essa si sviluppa in un vero e proprio rapporto sinallagmatico funzionale ad entrambe le parti, che sottoscrivono accordi precisi ed estremamente dettagliati.
A ben vedere, anche lo sport nel corso degli anni ha sperimentato profondi cambiamenti, seguendo lo sviluppo della società. A causa dell’importante crisi economica che ha caratterizzato l'ultimo decennio, le compagini sportive, da semplici realtà a cui facevano capo intere famiglie di imprenditori che agivano seguendo le proprie convinzioni senza curarsi più di tanto del criterio di economicità, hanno necessariamente dovuto affrontare rilevanti cambiamenti, fino ad essere considerate e trattate come aziende a tutti gli effetti da proprietà riconducibili a importanti gruppi multinazionali o a fondi di investimento, che agiscono nel segno dell'auto sostenibilità. In un tale contesto, una gestione oculata delle società sportive al fine di aumentarne il fatturato è diventata imprescindibile per il loro sviluppo. Sul piano dei ricavi, in particolare, si è resa necessaria una diversificazione del business, che prima era limitato ai proventi garantiti dalla cessione dei diritti televisivi e da poco altro, soprattutto in Italia. Una delle strade percorse dai club è stata proprio quella di aumentare gli introiti assicurati dalle sponsorizzazioni, in grado di fornire – come detto
– un quantitativo di risorse economiche rilevante. Inoltre, se è vero che i contratti di sponsorship garantiscono la veicolazione dell’immagine dello sponsor, è altrettanto
corretto affermare che ciò avviene anche nei confronti dello sponsorizzato, che vede il proprio marchio veicolato assieme ai segni distintivi dello sponsor.
Quanto agli atleti, essi hanno beneficiato della forte capacità attrattiva da sempre vantata dallo sport, che, unita al grande sviluppo dei social media, ha permesso loro di diventare delle vere e proprie icone a livello globale. Ciò, chiaramente, ha favorito l'avvicinamento delle imprese, che hanno visto nello sfruttamento dei diritti di immagine degli sportivi un'opportunità di business non indifferente per alimentare la crescita dei propri brand.
Di fronte a tale prospettiva sono tuttavia nate varie problematiche relative all’inquadramento giuridico e alla disciplina di un fenomeno che di fatto ha subito uno sviluppo talmente veloce e importante da non permettere una regolamentazione tempestiva, univoca ed efficace.
Alla luce di tali premesse, oggetto di analisi in questa trattazione saranno le origini, lo sviluppo e i caratteri di un fenomeno in continuo aggiornamento, aprendo anche ai possibili i scenari futuri. Si accenderà un riflettore sull’anatomia di un contratto ibrido, per taluni addirittura “alieno”, esaminandone i requisiti essenziali e la normativa applicabile. In particolare, nel terzo ed ultimo capitolo, si dedicherà spazio all'analisi di alcune clausole ricorrenti in tali contratti e che hanno ricoperto un ruolo inaspettatamente rilevante negli ultimi anni a causa della pandemia da Covid-19: le
c.d. "force majeure clauses". A chiusura, si presterà attenzione a tutti quegli scenari di inadempimento che gioco-forza non rientrano nell’alveo delle pattuizioni accessorie.
Il fine ultimo è quello di offrire una conoscenza approfondita ed aggiornata delle tematiche relative alle sponsorizzazioni, vista la loro crescente rilevanza nel mondo dello sport e non solo.
CAPITOLO I
IL FENOMENO “SPONSORIZZAZIONE”
SOMMARIO: 1.1. Il termine “sponsorizzazione”. – 1.2. L’evoluzione della sponsorizzazione: da mecenatismo a contratto commerciale. – 1.3. La sponsorizzazione parassitaria: il fenomeno dell’ambush marketing. – 1.4. Le forme della sponsorizzazione sportiva. – 1.5. I livelli della sponsorizzazione sportiva. – 1.6. I nuovi orizzonti della sponsorizzazione sportiva.
1.1. Il termine “sponsorizzazione”.
Il termine sponsorizzazione affonda le sue radici etimologiche nel solenne giuramento latino della Sponsio, “Centum mihi dari spondes? Spondeo”, in forza del quale un soggetto, lo sponsor, si impegnava a garantire l'adempimento di un'obbligazione assunta da un terzo, mediante l’altra formula solenne della Stipulatio, esponendosi a una eventuale e sussidiaria esecuzione personale. Sicché per il diritto romano la Sponsio indicava principalmente una forma di garanzia dell’obbligazione e lo sponsor era il garante, il mallevatore, il padrino1.
L’utilizzo del termine sponsor conserva tracce della sua accezione originaria nel II secolo, come testimoniano le definizioni inglesi del tempo “one who is patron for an infant at baptism” ma anche “one binds himself to answer to another”2, mentre permane nel XXI secolo solo in via residuale, come nel caso dei contratti di joint- venture e di consorzio internazionali. Qui, lo sponsor emerge come soggetto parte del contratto che, vantando un quid pluris rispetto agli altri contraenti in termini di esperienza e conoscenza, rappresenta una forma di garanzia della capacità tecnica e finanziaria della joint-venture o del consorzio. Parimenti l’arcaico riferimento ai
1 In questi sensi M. BIANCA, I contratti di sponsorizzazione, Rimini, 1990, p.13
2 X. XXXXXXXXXXXXX, I contratti di sponsorizzazione, in Giurisprudenza commentata, 1987, II, p. 289, secondo cui il concetto di “sponsorhip” era originariamente legato all'ambito religioso, e indicava l'atto attraverso il quale un individuo si impegnava a guidare un giovane o un nuovo convertito in preparazione alla cresima o all'iniziazione, oppure accettava di essere padrino di battesimo.
concetti di garanzia e di fiducia è ancora presente nel mondo arabo moderno, ove il termine sponsor si riferisce a un vecchio principio di diritto islamico secondo cui lo straniero-imprenditore che voglia intraprendere attività commerciali in alcuni Stati arabi deve necessariamente avvalersi di un soggetto (lo sponsor, appunto) che garantisca le autorità locali del pieno rispetto delle leggi nazionali.3
Lo sponsor, quindi, ha perso gradualmente i suoi originari connotati di garante e ha assunto un significato moderno e polisenso che racchiude in sé diversi aspetti di uno stesso fenomeno, la sponsorizzazione, che si atteggia alternativamente a negozio commerciale, a strumento di comunicazione aziendale e a particolare forma di investimento-finanziamento, in settori eterogenei: da quello radiotelevisivo a quello sportivo, da quello artistico-culturale a quello sociale.
Nel 1931, per mano dell’Oxford Universal Dictionary, si assiste ad una transizione dall’originario significato latino di sponsor quale garante a quello innovativo di finanziatore di programmi a scopo pubblicitario. In tal senso sponsor sarebbe “a business firm or a person who pays for a broadcast program which introduces advertisements commercial product”4. Tale evoluzione è limitata però, inizialmente, al solo settore radiotelevisivo a causa dell’influenza dell’esperienza americana che col termine sponsorizzazione definisce il rapporto in base al quale “a business enterprise finances the broadcasting as a television or radio program and receives in return the advertisement of its service or product"5. Negli USA infatti la mancanza di un monopolio statale sulle reti televisive e il rifiuto da parte delle stesse "Public Televisions" di ricorrere ai messaggi pubblicitari tradizionali (i c.d. spots) perché ritenuti invasivi, unitamente alla tradizione ed educazione sportiva fondata su di un grande attaccamento ai colori sociali e ai propri simboli che impone di non cambiare la denominazione della squadra o apporre loghi pubblicitari sulle divise da gioco, ha contribuito in maniera determinante alla nascita e allo sviluppo della sponsorizzazione nel settore radiotelevisivo6.
3 X. X. XXXXXXXX, Il significato e l’uso del termine sponsor nell’esperienza statunitense, in X. XXXXXXXX (a cura di), Sponsorizzazione e pubblicità, Atti del convegno di Parma, 15 aprile 1988, Milano, 1989, p. 69-71
4 Oxford Universal Dictionary, London, 1968, II, p. 1979
5 Oxford American Dictionary, New York, 1980, p. 660
6 X. XXXXXXXXXXXXX, op. cit., p. 288-289
In Europa, e nello specifico in Italia, per contro, radio e televisione sono state tradizionalmente oggetto di monopolio statale, sicché il fenomeno sponsorizzazione trova terreno fertile nel mondo dello sport, in ragione della grande popolarità delle manifestazioni sportive nel vecchio continente e a causa di una crescente aziendalizzazione dei club e degli atleti, per poi estendersi ulteriormente anche ad altri settori come quello culturale e sociale7. Così anche nei dizionari italiani si assiste all’evoluzione della figura dello sponsor che da semplice “garante, mallevatore, padrino” assurge a “casa commerciale che aiuta finanziariamente un costruttore, una scuderia, una squadra ricevendone in cambio una manifesta pubblicità”8, per identificarsi oggi con “chi, per ricavarne pubblicità, finanzia l’attività di singoli atleti o di club, di artisti, l’organizzazione di spettacoli pubblici e mostre d’arte, la diffusione di trasmissioni radiofoniche e televisive”9.
Analogo fenomeno di importazione si è verificato in Francia con il termine "sponsoring", corrispondente all’italiano sponsorizzazione, anche se le autorità francesi, con provvedimento ministeriale del 17 marzo 1982, pubblicato sul Journal Officiel de la Republique Française del 3 aprile 1982, hanno introdotto il divieto (disatteso nella pratica) di utilizzo del termine "sponsoring" e di tutte le sue derivazioni nei documenti e nella corrispondenza della pubblica amministrazione, a causa dell’impura origine inglese. Così i francesi definiscono con le espressioni “parrainage” (patronato) e “commandittaire” (accomandante) le corrispettive espressioni sponsorizzazione e sponsor. Unico termine tollerato è “sponsorè”, equivalente di sponsorizzato10.
In ogni caso, sponsorizzazione è divenuto un vocabolo polisenso, utilizzato sia nel linguaggio comune, che in quello tecnico, per indicare una serie di fenomeni economico-giuridici così eterogenei tra loro che il termine ha finito per non avere un’efficace capacità distintiva se non riferito ad uno specifico campo di applicazione.
7 A. XXXXXXXX, Contratto di sponsorizzazione e cessione d'immagine in ambito sportivo. Aspetti civilistici e profili di comparazione, in xxxxx://xxx.xxxxxxxx-xxxxxxxx.xx/, p. 29
8 Il Lessico Universale Italiano, Roma, 1979, XXI, p. 566
9 A. XXXXXXXX, op. cit., p. 30
10 X. X. XXXXXXX – G. SAVORANI, Il fenomeno "sponsorizzazione" nella dottrina, nella giurisprudenza e nella contrattualistica, in Il Diritto dell’informazione e dell’informatica, 1990, p. 633 ss.
Il primo tentativo definitorio internazionale, seppur limitato al settore sportivo, è quello formulato dal Consiglio d’Europa nell’ambito della Terza Conferenza dei Ministri europei dello sport tenutasi nel 1981 a Palma di Majorca, secondo la quale: “By sport sponsorship is meant any agreement under which one of the parties (the sponsor) supplies materials, financial or other benefits to another (the sponsored) in exchange for its association with a sport or sportsman, and in particular permission to use this association for advertising, especially television advertising purpose”11.
Nel 1992, la Camera di Commercio Internazionale (CCI) ha proposto un'ulteriore definizione, di ampio respiro, nell’ambito del Code on Sponsorship. Questo documento, considerato all'epoca lo strumento di autodisciplina più avanzato e completo nel panorama internazionale, ha contribuito a delineare in modo più generale il concetto di sponsorizzazione, quale “comunicazione per mezzo della quale uno sponsor fornisca contrattualmente un finanziamento od un supporto di altro genere al fine di associare positivamente la sua immagine, identità, marchio, prodotti o servizi ad un evento, una attività, un’organizzazione o una persona sponsorizzata”12. Tale definizione, però, altro non è che una riproposizione in chiave estensiva di quella contenuta all’interno del Decanswer, il Codice di autoregolamentazione proposto in Italia nel 1987 dall’Associazione Italiana Sponsorizzazioni (Answer), adottato proprio come working paper da Xxxxxxx Xxxxxx, Rapporteur Internazionale del Code. L'interpretazione dell'Answer prevede che la sponsorizzazione comprenda “ogni comunicazione di impresa, privata o pubblica, che associ contrattualmente i propri segni distintivi o l’immagine dell’impresa stessa, con un evento, noto o creato ad hoc, un prodotto od una persona, al fine di promuoverne l’attività, i prodotti o l’immagine”. Il Codice della CCI, avendo un’estensione maggiore rispetto al Decanswer, al termine “impresa” sostituisce quello di “sponsor” in quanto vi ricomprende anche taluni soggetti, come le fondazioni, le associazioni o le istituzioni per le quali la qualificazione in termini di impresa non sempre può essere congrua13.
In Italia, il fenomeno sponsorizzazione è oggetto di diverse disposizioni legislative in materia civile e tributaria, sia a livello statale sia regionale, le quali però si limitano
11 X. XXXXXXX – E. XXXXXXX, Sponsorship of sports, arts, and leisure, Londra, 1984, p. 256 ss.
12 X. XXXXXX, Il nuovo codice delle sponsorizzazioni della Camera di commercio internazionale, in Il diritto dell’informazione e dell’informatica, 1994, p. 796
13 X. XXXXXX, op. cit., p. 798
a dettarne la disciplina in relazione al settore di appartenenza senza fornirne una definizione specifica.
Un primo esempio è rappresentato dall’art. 8, comma 12, Legge n. 223/1990, c.d. Xxxxx Mammì (poi confluito nell’art. 2, lett. t), D.Lgs 31 luglio 2005, n. 177 “Testo Unico della radiotelevisione”) sulla disciplina del sistema radiotelevisivo pubblico e privato, dove viene statuito che “ai sensi della presente legge, per sponsorizzazione si intende ogni contributo di un'impresa pubblica o privata, non impegnata in attività televisive o radiofoniche o di produzione di opere audiovisive o radiofoniche, al finanziamento di programmi, allo scopo di promuovere il suo nome, il suo marchio, la sua immagine, le sue attività o i suoi prodotti”.
Sempre in questa accezione, la Direttiva europea sui servizi di media audiovisivi transfrontalieri, nell’edizione del 24 maggio 2016, definisce la sponsorizzazione come “ogni contributo di imprese pubbliche o private o di persone fisiche, non impegnate nella fornitura di servizi di media audiovisivi o nella produzione di opere audiovisive, al finanziamento di servizi o programmi di media audiovisivi al fine di promuovere il loro nome, il loro marchio, la loro immagine, le loro attività o i loro prodotti”.
Tali interventi, però, riguardano esclusivamente il settore radiotelevisivo, limitandosi a collocare la sponsorizzazione accanto alla pubblicità tradizionale al fine di poterne stabilire i “tetti” massimi di utilizzazione.
In mancanza di un preciso riferimento normativo, la fattispecie è stata oggetto di riflessioni essenzialmente dottrinarie e giurisprudenziali.
In dottrina, romantica è la definizione data dal giornalista economico Xxxxxx Xxxxxxx, in base alla quale la sponsorizzazione è “l’arte di far parlare di sé parlando d’altro”14.
Efficaci quelle per cui trattasi di una “forma estrema, sofisticata e indiretta di comunicazione che si sostanzia in una attività che tende a valersi della notorietà e/o dell’immagine associabile a certi eventi, fenomeni, manifestazioni, per abbinare temporaneamente il nome di una azienda, di un prodotto o di un marchio al fine di usufruire per effetto mediato delle valenze positive che tale abbinamento può determinare e con ciò stimolare un interesse attivo in definite fasce di consumatori”15,
14 Riportata da X. XXXXXXXXXX, X. XXXXXX (a cura di), Diritto sportivo, II ed., Milano, 2020, p. 254
15 X. XXXXXXXX – X. XXXXXXXXXX – X. XXXXXXXX, Manuale tecnico pratico per le attività di sponsorizzazione, Milano, 1988, p. 18
ma anche di una “autonoma tecnica comunicazionale volta ad integrare le tradizionali campagne pubblicitarie e ad aumentare in ogni caso le vendite e i profitti dell’impresa”16.
La dottrina di ambito giuridico, invece, focalizza la propria analisi sul fenomeno dal punto di vista contrattuale, sottolineandone le caratteristiche (sinallagmaticità) e lo scopo commerciale (ritorno di immagine) di tali xxxxxxx00. Di conseguenza, la sponsorizzazione viene definita come “l’accordo con il quale il soggetto sponsorizzato si obbliga a fornire prestazioni di veicolazione del marchio o di altri messaggi dello sponsor dietro pagamento di un corrispettivo”18, o anche, in maniera più precisa, come “il contratto sinallagmatico in base al quale lo sponsor fornisce prestazioni in denaro o in natura allo sponsorizzato in cambio della possibilità di associare il proprio marchio o la propria immagine all’attività, al nome o all’immagine dello sponsorizzato al fine di trarne direttamente o indirettamente vantaggi commerciali”19. Nella prospettiva di descrivere il fenomeno nel suo complesso, evidenziandone tanto gli aspetti giuridico–contrattuali quanto quelli economico–comunicazionali, si collocano, invece, quelle proposte, sempre della dottrina di ambito giuridico, di definire la sponsorizzazione come “quel contratto in forza del quale una parte (sponsorizzato, sponsee) contro corrispettivo in denaro, beni, servizi o altro si impegna a prestazioni di tipo attivo o permissivo verso l’altra parte (sponsor) in modo da consentirle di sfruttare, mediante abbinamenti o collegamenti, la propria notorietà e la risonanza delle attività e degli eventi che ad essa fanno capo, al fine di incrementare tra il pubblico la conoscenza del nome o dei marchi dello sponsor e di favorirne l’immagine”20 o come “forma di comunicazione pubblicitaria moderna per cui un soggetto, lo sponsee, si obbliga, generalmente dietro corrispettivo, ad associare alla propria attività il nome o il segno distintivo di un altro soggetto, lo sponsor, il
16 A. DE XXXXXXXXX, Le operazioni di sponsorizzazione e il merchandising delle società calcistiche, Terza relazione del II convegno di diritto sportivo organizzato con il patrocinio del C.O.N.I., in Rivista di diritto sportivo, 1983, p. 133
17 X. X. XXXXXXX – G. SAVORANI, I contratti di sponsorizzazione, in G. ALPA – X. XXXXXXX (a cura di) Giurisprudenza Sistematica di Diritto Civile e Commerciale, vol. I, Contratti in generale - I contratti atipici, Torino, 1991, p. 435
18 X. XXXXX, Sponsorizzazione e pubblicità sponsorizzata, in Rivista del diritto commerciale, 1985, I, p. 150
19 H. XXXXX, Xxx sponsoring in ottica comparatistica, in Rivista di diritto sportivo, 1998, p. 45
20 V. M FUSI – P. TESTA, I contratti di sponsorizzazione, in Il diritto dell’informazione e dell’informatica, 1985, p. 473
quale attraverso tale abbinamento si propone di incrementare la propria notorietà e la propria immagine verso il pubblico”21.
Per quanto riguarda, invece, l’apporto della giurisprudenza, si deve sottolineare come le pronunce sull’argomento siano, ancora oggi, piuttosto esigue, dal momento che le relative controversie sono in genere risolte in via arbitrale, in forza della clausola compromissoria che viene inserita di rito nei contratti di sponsorizzazione e, in alcuni casi, ricorrendone i presupposti, anche dal Giurì di autodisciplina pubblicitaria22.
Nelle prime pronunce, infatti, a livello di “obiter dictum”, si riscontrano descrizioni della sponsorizzazione ancora confuse ed imprecise quali “concessioni temporanee dell’uso di spazi considerati atipici fino a qualche tempo fa ma ormai pienamente recepiti nella prassi, in cambio di contributi di vario genere, in denaro, in materiali, in strutture, a seconda dei diversi tipi di sponsorizzazione, di squadra, di atleta, di maestri, di allenatori, di manifestazioni, di oggetti”23 e “sostegni finanziari, sicché sponsor ufficiale è, in definitiva, chi nella licitazione avrà addotto argomenti di tipo contributivo capaci di prevalere sugli argomenti degli altri concorrenti in gara”24.
Nelle risoluzioni che hanno visto approdare il contratto di sponsorizzazione in Cassazione, sussistono decisioni che, sulla base delle definizioni elaborate dalla dottrina, intendono la sponsorizzazione come “figura non specificamente disciplinata dalla legge, che comprende una serie di ipotesi nelle quali si ha che un soggetto, il quale viene detto sponsorizzato, si obbliga a consentire ad altri l’uso della propria immagine pubblica e del proprio nome per promuovere un marchio o un prodotto specificamente marcato, dietro corrispettivo”25.
Una delle più recenti definizioni giurisprudenziali è stata formulata dal Tribunale di Milano che individua il contratto di sponsorizzazione come “negozio atipico a titolo oneroso e prestazioni corrispettive. Le obbligazioni dello sponsorizzato sono di mezzi e non di risultato, in quanto il debitore è tenuto a svolgere solo quelle attività previste
21 X. XXXXXXXX – C. ELESTICI, I contratti di pubblicità. Il contratto di agenzia. Il contratto di sponsorizzazione, Milano, 1994, p. 188
22 X. XXXXXXXXXX, op. cit., p. 256
23 Trib. Milano, 18 aprile 1983
24 Giurì Autodisc. Pubbl., decisione 10 aprile 1984, n. 21, in L. C. UBERTAZZI (a cura di)
Giurisprudenza completa del giurì di autodisciplina pubblicitaria, Milano, 1986, p. 678
25 Cass., Sez. I, 11 ottobre 1997, n. 9880 (c.d. sentenza Xxxxxx), con nota di E. PODDIGHE, in Nuova giurisprudenza civile commentata, 1998, V, p. 625
dal contratto, ma senza garantire un ritorno pubblicitario al creditore. Detto tipo di rapporto negoziale è caratterizzato da un rilevante carattere fiduciario, rispetto al quale assumono particolare importanza i doveri di correttezza e buona fede, che gli artt. 1175 e 1375 x.x. xxxxxxx a carico delle parti nello svolgimento e nell’esecuzione del rapporto obbligatorio”26.
1.2. L’evoluzione della sponsorizzazione: da mecenatismo a contratto commerciale.
Accostare il proprio nome a quello dell’impresa, per acquisirne prestigio e notorietà, è sicuramente un fenomeno antico.
Secondo una suggestiva e audace ricostruzione dottrinaria, le origini del fenomeno sponsorizzazione risalirebbero addirittura ai tempi della Guerra di Troia, raccontata dal celebre xxxx Xxxxx, il quale avrebbe inserito nel Libro Secondo dell’Iliade una rassegna interminabile di navi per accontentare gli “sponsor-finanziatori dell’opera”, i quali erano appunto importanti costruttori di navi27. Oltre a questa ipotesi, il fenomeno era senz’altro presente in epoca romana, dove nobili e patrizi traevano vanto e fama da giochi e gare che finanziavano, e sicuramente in tempi ben più recenti anche in Inghilterra, dove mercanti e produttori si fregiavano del titolo di “fornitori ufficiali” della Casa Reale28.
Tali vicende, nell’arco del tempo, si sono riflesse nelle fortune e nella storia di un fenomeno che, in Italia, è nato e si è affermato nel campo dello sport di massa. Come sostengono alcuni autori “lo sport è l’evento sociale che meglio si adatta ad un’utilizzazione volta a diffondere un marchio, un nome, o più in generale un’immagine aziendale, data la vastità del pubblico che, direttamente o per tramite dei media è spettatore di una competizione (pubblico eterogeneo per età, sesso ed appartenenza a classi sociali e culturali). In questo senso, la natura stessa della sponsorizzazione, in cui il messaggio non è predeterminato nella sua intensità,
26 Trib. Milano, 12 dicembre 2016, n. 13557, in X. XXXXXXXXXX, op. cit., p. 256
27 G. VIDIRI, Il contratto di sponsorizzazione: natura e disciplina, in Giustizia Civile, 2001, I, p. 3
28 Così X. XXXXXXXXXXXXX, op. cit., p. 289
frequenza e durata, ma è in stretta dipendenza dalle vicende dell’evento sponsorizzato, fa dello sport il proprio terreno di elezione. Non solo: un secondo ordine di motivi è riscontrabile nella frequenza, all’interno dello sport esercitato professionalmente, della gestione commerciale, da parte tanto delle società quanto dei singoli atleti, della rispettiva immagine fisica e sportiva”29.
La storia dei rapporti tra azienda e sport in Italia ha avuto inizio nell'immediato dopoguerra. Il primo caso di sponsorizzazione nello sport risale al 1947 quando la Borletti, azienda milanese produttrice di orologi, macchine da cucire e altri strumenti di misura, con seicentomila lira all’anno, legò il proprio nome a quello della formazione nata dalla fusione tra il Dopolavoro cestistico e la Triestina Milano. Nasceva così l’Xxxxxxx Xxxxxxxx Milano, squadra storica nel panorama cestistico italiano che, diventata poi Simmenthal-Milano e conosciuta al mondo con il nome di “scarpette rosse”, calca i parquet più prestigiosi d’Europa fregiandosi oggi, con il nome EA7 Emporio Armani-Milano, del titolo di squadra più vincente nel panorama italiano30.
A quei tempi non era però conosciuto il fenomeno dell'utilizzo a fini puramente pubblicitari dell'immagine di un campione dello sport.
Anche se, in realtà, già negli anni ‘30, Xxxxxxxx Xxxxxx, famoso calciatore dell’Ambrosiana (oggi, FC Inter), raccomandava in uno spot l'uso del dentifricio Diadermina; poco tempo dopo, il volto di Xxxx Xxxxxxx apparve stampato sulle etichette di un vino pregiato e sulle confezioni di alcune lamette da barba, mentre l’immagine del pugile Xxxxx Xxxxxxx fu utilizzata per incarnare la robustezza delle macchine da cucire Necchi31. Queste iniziative rappresentano in realtà una forma di “pubblicità testimoniale”, piuttosto che una vera e propria sponsorizzazione, ma risultano rilevanti, poiché dimostrano come l’idea di utilizzare lo sport come strumento di comunicazione cominciava a prendere vita già prima della Seconda Guerra Mondiale. Nel 1954 iniziò anche l’era del ciclismo quando un campione intelligente e visionario di nome Xxxxxxxx Xxxxx, considerato il pioniere della sponsorizzazione sportiva “pura”, ebbe l’intuizione di appore sulla propria tenuta un marchio che non
29 Così A. XXXXXXXX, X. XXXXX, X. XXXXXXXXXX, Sponsorizzazione. Merchandising. Pubblicità, Torino, 1993, p. 18
30 X. XXXXXXXXX, Il marketing sportivo, Milano, 1997, p. 189
31 Ibidem
fosse necessariamente quello di un produttore di biciclette, bensì di un’azienda extrasettore, la Nivea. Per conformarsi al regolamento della Federazione che vietava la presenza esclusiva sulle divise di un marchio extrasettoriale, Magni coinvolse una fabbrica milanese di biciclette poco più che artigianale, la Xxxxx: nacque così il sodalizio Nivea-Xxxxx, con cui il Leone delle Fiandre vinse il Giro d’Italia 195532.
Più travagliato invece il percorso delle sponsorizzazioni nello sport più popolare e seguito d’Italia, il calcio.
La pratica delle sponsorizzazioni – riguardante sia fornitori tecnici che sponsor commerciali – venne a lungo osteggiata e proibita dalla Federazione Italiana Giuoco Calcio, che per molti decenni vietò alle società di "sporcare" le divise da gioco con dei marchi estranei al mondo del calcio33: il connubio sport-sponsor era infatti generalmente malvisto, in quanto si riteneva che la purezza dell'agonismo dovesse essere in qualche modo salvaguardata da qualsiasi venalità commerciale.
Per ovviare al divieto della Federazione, tra i club italiani iniziò a farsi strada la formula dell'abbinamento, consistente nell'affiancare il nome di un'azienda alla denominazione societaria di un club sportivo, unendo le rispettive ragioni sociali34. Come ancora oggi stabilisce il Regolamento delle divise da gioco, la FIGC e la Lega Serie A hanno il veto sul disegno delle maglie ma non sullo stemma societario di un club: una squadra può quindi scegliere liberamente il proprio nome e il proprio stemma, senza il rischio di violare le regole e incorrere in sanzioni. Approfittando di questo vuoto normativo è nel secondo dopoguerra che la pratica dell'abbinamento prese piede nel mondo del calcio italiano. Tra i vari esempi affacciatisi nella storia della Serie A, il più noto, fortunato e longevo rimane quello del Lanerossi-Vicenza, risultato dell'acquisizione della squadra berica da parte del Lanificio Rossi. Altre società seguirono a ruota i berici, portando all'immediata nascita di operazioni analoghe come la Simmenthal-Monza, la Del Duca-Ascoli e la Talmone-Torino35. Si
32 X. XXXXXXXX, X. XXXXXXX, X. XXXXXX, Per sport e per business: è tutto parte del gioco, Milano, 1997, p. 172
33 Recitava l'articolo 16 comma M del regolamento organico della FIGC, ora soppresso: “Durante qualsiasi gara non è permesso ai giocatori portare sulle maglie distintivi di natura politica, confessionale o scritte pubblicitarie. Eventuale deroga, limitatamente alle scritte pubblicitarie, è ammesso per le società del settore giovanile e dei dilettanti, sempre se debitamente autorizzate dal proprio comitato regionale.” in M. XXXXXXX, Dizionario del calcio italiano, Milano, 2000, p. 1734
34 Ivi, p. 1731
35 Come osserva X. XXXXXXXXX, op. cit., p. 189, tale abbinamento, però, durò solo fino al 1969, anno in cui si optò per un ritorno alla purezza e all’autonomia del calcio da interferenze esterne.
trattava di sponsorizzazioni “emotive” da parte di imprenditori-mecenati che, con spirito di liberalità, si preoccupavano di finanziare la propria squadra per consentirle di ottenere risultati sempre migliori.
Soltanto agli albori della stagione 1978/79 la Federazione, guidata dall’allora presidente Xxxxxxx Xxxxxxx, per la prima volta consentì ufficialmente ai fornitori tecnici di apporre il proprio logo su maglia, pantaloncini e calzettoni per uno spazio non superiore a 12 cm² (poi portati a 16 cm²)36.
Proprio nel campionato di Serie B 1978/79, grazie all’allora presidente della società calcistica A. C. Udinese, Xxxxxxx Xxxxxx, proprietario di un’azienda produttrice di gelati, l’8 ottobre 1978 avvenne la comparsa del primo sponsor commerciale nel calcio italiano. Sfruttando le pieghe del Regolamento delle divise da gioco – che norma esclusivamente le maglie – fece inserire il marchio “Gelati Xxxxxx” sui pantaloncini della xxxxxxx00.
Bastò attendere un solo anno, e il 26 agosto 1979 cadde l'ultimo tabù, con l'esordio in Coppa Italia della prima maglia di calcio italiana griffata da uno sponsor, quella del Perugia38. Artefice di ciò fu il presidente dei grifoni, Xxxxxx X'Xxxxxx, il quale per reperire i 700 milioni di lire necessari al prestito in Umbria dell'attaccante Xxxxx Xxxxx, si accordò col gruppo alimentare Buitoni-Perugina da cui ne ottenne 400; in cambio, il nome del loro pastificio Xxxxx sarebbe comparso sulle divise della squadra, nonché, in maniera pionieristica, perfino sulle reti e sull'erba dello stadio Xxxxxx Xxxx. Dato che l'unica forma di sponsorizzazione permessa era quella relativa all'abbigliamento tecnico, D'Attoma aggirò le regole federali fondando un maglificio col nome del pastificio, la “Ponte Sportswear”39, che di diritto figurava come semplice fornitore tecnico, ma che di fatto fu il primo vero sponsor di maglia del calcio italiano.
Questo servì per dare uno scossone a tutto il mondo del calcio, nel quale iniziarono a voler intervenire numerose altre aziende. Soltanto con l'inizio della stagione 1981/82, però, la Federazione consentì l'apposizione sulle divise da gioco anche di un marchio extrasettore (oltre a quelli tecnici già arrivati tre anni prima), permettendone
36 M. SAPPINO, op. cit., p. 1732
37 “L'Udinese apre alla pubblicità”, in Stampa Sera, 9 ottobre 1978, p. 11
38 “Dieci perugini (Xxxxx escluso) con la pubblicità sulle maglie”, in Stampa Sera, 27 agosto 1979,
p. 13
39 “Spaghetti o linea sportiva?”, in La Stampa, 28 agosto 1979, p. 14
un'esposizione massima di 100 cm² sulla parte anteriore delle maglie (aumentata a 144 cm² due anni dopo)40.
Proprio in questi anni, con l'aumento degli spazi pubblicitari, favorito dall'avvento delle televisioni commerciali e dal crescente interesse del pubblico per lo sport, si assistette ad una significativa evoluzione delle sponsorizzazioni in termini sia qualitativi sia quantitativi41. Gli operatori della pubblicità iniziarono a valorizzare le potenzialità della sponsorizzazione come autonomo strumento di comunicazione aziendale42 introducendola nei circuiti di intermediazione gestiti dalle agenzie pubblicitarie. Da atto unilaterale di natura liberale, la sponsorizzazione assunse le vesti di contratto commerciale a prestazioni corrispettive43.
La via della sponsorizzazione sportiva era, quindi, ufficialmente aperta e, a partire da quell'anno, si ebbe una vera e propria corsa da parte delle aziende per potersi assicurare un legame con le squadre più blasonate, tant'è vero che iniziarono ad entrare nella scena sportiva anche i grandi gruppi industriali.
In effetti, rispetto ad un impatto internazionale, l'esperienza probabilmente più significativa risulta essere quella della Parmalat, dove il fenomeno sponsorizzativo assunse i caratteri della razionalità, abbandonando l’approccio passionale di tipo mecenatistico44. La Parmalat, coniugando investimenti sportivi e crescita aziendale, trasformò il latte da bevanda per timidi ragazzini ad alimento per campioni
40 X. XXXXXXXXX, op. cit., p. 189
41 Cfr. X. XXXXXX, Sport, pubblicità e sponsor nella società moderna, in Enciclopedia dello Sport, xxxxx://xxx.xxxxxxxx.xx, 2003. L’autore riporta un dato emblematico relativo agli investimenti delle aziende per le sponsorizzazioni di società calcistiche in Italia: dai 6 miliardi e mezzo di lire investiti nel corso del 1981, si passò agli oltre 18 miliardi del 1988.
42 Una significativa definizione, data da Xxxxxxx Xxx, riassume efficacemente come lo sport si sia trasformato da evento a sé stante a canale per veicolare mediaticamente gli interessi industriali: “Nelle riprese calcistiche appariva un pallone marrone, spesso invisibile, perché quello era il pallone vero con cui giocavano i calciatori. È solo dopo che il pallone è diventato a scacchi bianchi e neri, e gli stadi si sono trasformati in muraglie di pubblicità. A quel punto i ruoli hanno cominciato ad invertirsi. La tv non è più andata a riprendere un gioco che esisteva per conto proprio, era il gioco ad essere messo in scena per permettere alla televisione di mostrarlo.” In U. XXX, X. XXXXXXX (a cura di), Sulla televisione: Scritti 1956 – 2015, Milano, 2018
43 X. XXXXXXXXXXXXX, op.cit., pp. 291-292, ha delineato tre fasi di evoluzione storica del contratto di sponsorizzazione: in una prima fase la sponsorizzazione era un fenomeno caratterizzato da spirito di liberalità e si esprimeva nelle forme della donazione; in una seconda fase, in cui si può parlare di sponsorizzazione impropria o impura, il negozio aveva una struttura simile a quella di una donazione modale in cui il beneficiario soffre un pati, ossia tollerare che lo sponsor rendesse noto il fatto della sponsorizzazione; nella terza, ed attuale, fase la sponsorizzazione propria o pura è qualificabile come contratto a prestazioni corrispettive.
44 X. XXXXXXXXX, Marketing e management dello sport. Analisi, strategie, azioni, Milano, 2015, p.
37
sponsorizzando, nel triennio 1975-1978, ben quarantuno manifestazioni degli sport invernali, dalla finale di Coppa del Mondo di sci del 1975 alle Ski World Series Parmalat del 1978. In seguito al raggiungimento del livello di saturazione e al crescente disinteresse dei media e del pubblico per le specialità sciistiche, l’azienda rivolse la propria attenzione al mondo dei motori, ponendo il proprio marchio sulla tuta del celebre pilota della Xxxxxxx Xxxx Xxxxx. Ma fu grazie al calcio che l’azienda si consacrò definitivamente a livello mondiale. Negli anni ’90, partendo dalla squadra della città sede dell’azienda, il Parma Calcio, si rese protagonista espansione senza precedenti, passando per Spagna (Real Madrid), Portogallo (Benfica), Russia (Dinamo Mosca), fino al Sud America con Brasile (Palmeiras), Argentina (Boca Juniors) e Uruguay (Penarol)45.
Sempre nel segno dello sponsor, in Italia partì nel 1983 l'operazione “Azzurra”, barca a vela armata da un consorzio di imprese nazionali che partecipò all'America's Cup: nucleo iniziale di un progetto velistico sempre più ambizioso e costoso, come avrebbero dimostrato le vicende successive del “Moro” di Venezia nel 1992 e di “Luna Rossa” nel 1999 e nel 2002, tenute rispettivamente a battesimo e interamente finanziate da Montedison e da Prada. Nel 1985 l'esempio di “Azzurra” fu seguito anche dagli azzurri del calcio: otto sponsor che per 6 miliardi di lire all'anno e sino al 1988 potevano sfruttare l'immagine della nazionale per iniziative commerciali. Alla sponsorizzazione collettiva subentrò poi quella in esclusiva: l'azienda petrolifera IP divenne sponsor unico degli azzurri a Italia 1990, Mondiale che registrò un'ulteriore svolta commerciale, rilevata anche dalla grande visibilità dei marchi delle aziende che lo sostenevano (fra esse Canon, Philips, Gillette, Alfa Romeo) e di quelle fornitrici ufficiali delle divise nazionali (Adidas, Diadora e Puma)46.
Nel decennio Novanta, il progressivo allargamento dei media classici e l’avvento dei new media, unitamente ad una politica federale aperta alle opportunità economiche e commerciali offerte dallo sport, hanno costituito un acceleratore del mercato delle
45 Nel 1987, l’ex direttore commerciale dell’azienda di Collecchio, Xxxxxxxx Xxxxxxx, affermava come la Parmalat “dal 1975 al 1986, in dodici anni, ha speso in sponsorizzazioni una cifra record: 64 miliardi di lire. In molti sport ha vinto tutto quello che c'era da vincere, dando di sé l'immagine di un'azienda giovane, forte, dinamica, vincente. Ha generato notorietà, simpatia, credibilità, ma soprattutto vendite, fatturato, sviluppo. Dal 1975 al 1986, in soli dodici anni, è passata da un fatturato annuo di 46 miliardi di lire a 920, collocandosi fra le primissime aziende alimentari del nostro paese” in X. XXXXXXX, Parola di sponsor, Milano, 1987, p. 13
46 In questi precisi termini X. XXXXXX, op. cit.
sponsorizzazioni, il cui valore, dal 1990 al 2000, ha conosciuto a livello nazionale un incremento del 100%47. Numeri che, nell’arco di un ventennio (dal 2000 sino ad oggi) hanno fatto registrare un’ulteriore e straordinaria crescita nel nostro Paese: si è passati dai 561 milioni di euro investiti dagli sponsor in eventi sportivi nel 2000, al superamento del miliardo nel 202048.
Le ragioni del successo della sponsorizzazione sportiva, anche a scapito di altri settori (sociale, culturale), si possono desumere da alcune considerazioni. Come detto precedentemente49, lo sport costituisce l’evento sociale che meglio si adatta ad un’operazione di diffusione dell’immagine aziendale, data la vastità di pubblico spettatore di un evento, tifoso di una squadra o fan di un atleta. Peraltro, trattandosi di un pubblico eterogeneo per sesso, età e professione, offre opportunità a qualsiasi tipo di azienda, che sia produttrice di beni e servizi strumentali all’esercizio dell’attività sportiva (sponsor di settore), oppure produttrice di beni e servizi estranei al settore sportivo (sponsor extra-settore).
Inoltre, lo sport mette a disposizione una vasta serie di soggetti da sponsorizzare (squadre, atleti, Federazioni, eventi, impianti) e un’articolata gamma di livelli di sponsorizzazione (sponsor unico, main sponsor, sponsor tecnico, sponsor secondario, fornitore ufficiale), ciascuna delle quali offre varie opportunità di veicolazione del marchio, cui corrispondono impegni finanziari differenti.
A ciò si devono aggiungere gli effetti legati alla natura stessa della sponsorizzazione, in cui il messaggio veicolato dipende strettamente dalle vicende dell’evento sponsorizzato, risultando di più discreta penetrazione e, quindi, di più efficace ricezione da parte del pubblico, rispetto alla predeterminazione dell’intensità, della frequenza e della durata del messaggio tipica della pubblicità tradizionale50.
47 Ibidem. In Italia, nel 1990 la spesa degli sponsor in eventi sportivi fu di 561 milioni di euro, contro i 1058 milioni del 2000. Tra l’altro, lo sport si confermò il campo privilegiato di investimenti di aziende sponsor, considerando che, sempre nel 2000, rispetto ai 1064 milioni di euro dell’intero comparto, il 66% proveniva dalle sponsorizzazioni sportive.
48 Nonostante il calo degli investimenti in sponsorizzazioni nel 2020 a causa della pandemia, il mercato ha fatto registrare una crescita grazie alla base di accordi pluriennali siglati negli anni precedenti. Dei 2,02 miliardi di euro investiti in sponsorizzazioni, il 70% (circa 1,4 miliardi) è legato allo sport. Dati tratti dal report “L'impatto del 2020 sulle sponsorizzazioni” in xxxxx://xxxxxxxxxxxxx.xxx/
49 V. supra, p. 8
50 A. XXXXXXXX, X. XXXXX, X. XXXXXXXXXX, op. cit., p. 18
1.3. La sponsorizzazione parassitaria: il fenomeno dell’ambush marketing.
Lo scenario appena descritto costituisce lo sfondo per riflettere sullo sport moderno, investito da quell’ombra che è il profitto e governato da logiche che esulano sempre più dal puro atletismo.
In questo precario equilibrio tra gioco e business, l’impiego dei contratti di pubblicità e sponsorizzazione, finalizzato a diffondere la notorietà del segno distintivo della società sportiva tra il bacino dei consumatori, sembra aver condotto, negli ultimi due decenni, allo sviluppo di fenomeni pubblicitari ingannevoli.
È in questa dimensione che si inserisce il fenomeno denominato ambush marketing51, espressione con la quale si suole definire quella “pratica pubblicitaria, impiegata all’interno di una manifestazione sportiva di particolare rilievo, con la quale un soggetto, c.d. ambusher, tenta di assicurarsi una visibilità di grande impatto agganciandosi in maniera parassitaria all’evento pur non avendo nessun tipo di legame negoziale con l’organizzazione dello stesso”52.
L’obbiettivo perseguito dallo sponsor parassita consiste quindi nello sfruttare la cornice di una manifestazione sportiva di particolare visibilità e rilevanza mediatica per collegare il proprio marchio a quel contesto, figurando come sponsor ufficiale, senza sottoscrivere alcun accordo con gli organizzatori e senza sostenere alcun costo53. Oltre a danneggiare i licenziatari ufficiali dell’evento, che vedono pregiudicato il
51 Il termine è stato coniato negli anni ’80 da Xxxxx Xxxxx, direttore del marketing di American Express
52 X. XXXXXX, Ambush marketing: fenomeno e sua rilevanza nel mondo sportivo, in Rivista di diritto sportivo, I, 2018, p. 91. Cfr. X. XXXXXXX, Merchandising, sponsorizzazioni e diritti audiovisivi e di immagine nello sport. Il fenomeno dell’ambush marketing, in Profili di diritto internazionale dello sport, Catanzaro, 2017, p. 149. Sulla definizione di ambush marketing si veda anche X. XXXXXXX – X. MINA, Ambush marketing e autodisciplina pubblicitaria, in Il diritto industriale, I, 2015, p. 78, ove viene ricordata la definizione di ambushing offerta dall’European Sponsorship Association quale: “qualsiasi attività di marketing realizzata intorno ad uno sponsor da un soggetto che non è tale, traendo beneficio commerciale senza pagare nessuna commissione per risultare come tale”.
53 X. XXXXXXX, op. cit., p.149. Secondo X. VERONESE, Quello sconosciuto fenomeno dell’Ambush marketing, in La newsletter del Consorzio Camerale per il credito e la finanza, 2017, LXVII, p. 15, in dottrina c’è chi definisce l’ambusher quale vero e proprio “free rider” che coglie l’occasione di cavalcare l’onda della risonanza mediatica di uno specifico evento senza incorrere nello svantaggio di dover pagare l’affiliazione, ingenerando consapevolmente nel pubblico la convinzione di essere uno degli sponsor “autorizzati” della manifestazione stessa.
ritorno economico e d'immagine della sponsorizzazione, soprattutto nel caso – molto frequente – in cui l'ambusher sia un diretto competitor, tale fenomeno ha anche l’effetto di diminuire la propensione delle imprese ad investire negli eventi sportivi, mettendo a rischio l’esistenza stessa delle manifestazioni che proprio da tali investimenti privati traggono la loro fonte principale di finanziamento54.
La dottrina maggioritaria sembra concordare nel distinguere tre macro-categorie di ambush marketing, denominate rispettivamente: diretto, indiretto e incidentale55.
Nella prima categoria si distinguono quattro sotto-tipologie: l’ambushing predatorio o predatory ambushing, fenomeno attraverso il quale lo sponsor parassita (c.d. ambusher) dichiara nelle sue pubblicità, in maniera ingannevole, di essere lo sponsor ufficiale di una determinata manifestazione sportiva, confondendo così i consumatori e guadagnando, allo stesso tempo, quote di mercato rispetto alla concorrenza dello sponsor ufficiale; l’ambushing di sfruttamento o coattail ambushing, consistente nel tentativo da parte del titolare di un marchio di associarsi indirettamente ad un evento vantando un rapporto legittimo, ma non necessariamente sancito come accordo di sponsorizzazione ufficiale56; l’ambushing in violazione di marchio registrato/figurativo, il quale si verifica mediante l’uso intenzionale, ma non autorizzato, della proprietà intellettuale protetta57; ed infine, l’ambushing graduato o auto-ambushing, riguardante le attività di marketing da parte di uno sponsor ufficiale in misura maggiore di quanto consentito nel contratto di sponsorizzazione58.
In secondo luogo, all’interno della categoria dell’ambushing indiretto è possibile distinguere tre tipologie: l’ambushing per associazione, consistente nell’uso di
54 X. XXXXXXX, Il fenomeno dell’ambush marketing e la sua disciplina tra sfruttamento dei diritti di immagine e la tutela dei segni distintivi dello sport caratterizzanti i grandi eventi sportivi, in Rivista di diritto sportivo, 2016, II, p. 476
55 Tale distinzione che appare per la prima volta in Senato della Repubblica, Disegno di legge (Misure per la tutela dei segni distintivi caratterizzanti eventi, società aventi fini di lucro e non, società sportive, Federazioni ed enti sportivi, Comitato olimpico nazionale per il contrasto del fenomeno dell’ambush marketing) n. 1635, XVII legislatura, 2 ottobre 2014
56 M. BELLEZZA – X. XXXXXXX, Expo 2015 e ambush marketing: resta il problema ma manca il decreto, in Diritto Mercato Tecnologia, 2014, p. 1
57 Tali proprietà possono includere i loghi delle squadre o eventi, o l’uso di riferimenti non autorizzati a competizioni, squadre o atleti.
58 Si pensi alla distribuzione gratuita di magliette da parte di uno sponsor a fini promozionali senza l’autorizzazione della lega sportiva che supervisiona l’evento. Lo sponsor ufficiale, infatti, potrebbe aver già sfruttato gli spazi dove si tiene l’evento, coprendoli con i suoi segni distintivi, oppure la lega sportiva o le stesse squadre partecipanti potrebbero aver stipulato un precedente accordo, anche esclusivo, al fine di affidare ad un brand diverso la distribuzione gratuita di merchandise promozionale. Si veda X. XXXXXX, op. cit., p. 93
immagini o di terminologia non protetta da leggi di proprietà intellettuale, al fine di creare l’illusione che un’organizzazione abbia collegamenti con un evento sportivo o con una data proprietà intellettuale59; l’ambushing per apprezzamento del valore, posto in essere da uno sponsor non ufficiale, facendo riferimento agli stessi valori o alle stesse tematiche di un certo evento e della relativa campagna pubblicitaria, in modo che il pubblico dell’evento sia ugualmente attratto anche verso quanto promosso dallo sponsor parassita60; l’ambushing per distrazione o insurgent ambushing, consistente nello sfruttare l’ambiente circostante all’evento sponsorizzato, al fine di attirare l’attenzione del pubblico sull’azienda parassita dell’ambusher e, allo stesso tempo, sottrarla a quello dello sponsor ufficiale.
La terza ed ultima categoria è quella dell’ambushing incidentale, la quale ricomprende al suo interno due differenti tipologie: la prima denominata ambushing involontario, la quale si verifica nel caso in cui i media diano involontariamente risalto ad un marchio utilizzato da parte di un'atleta nel suo equipaggiamento oppure da parte del personale tecnico di un evento o persino da un membro del pubblico61; la seconda ed ultima forma di ambushing incidentale è denominata ambushing per saturazione ovvero saturation ambushing, e si verifica nel caso in cui gli sponsor non ufficiali aumentino intenzionalmente la frequenza delle loro campagne pubblicitarie in occasione dell’avvicinarsi di un evento, senza farvi diretto riferimento. Si tratta di una particolare forma di ambushing per distrazione, che interessa principalmente i mezzi televisivi e il loro pubblico.
La prima apparizione dell’ambush marketing sembra risalire ai Giochi Olimpici di Los Angeles del 1984; il caso riguardò Fujifilm (sponsor ufficiale) e Kodak (sponsor parassita)62. Quest’ultima decise di non stipulare un contratto di sponsorizzazione ufficiale con la manifestazione olimpica, bensì di investire le proprie risorse per
59 Tale forma si differenzia sia dall’ambushing di sfruttamento, in quanto non esiste alcuna legittima connessione tra sponsor non ufficiale e l’evento/proprietà, sia dall’ambushing in violazione di marchio registrato/figurativo, in quanto lo sponsor non ufficiale non dispone di alcun diritto di proprietà intellettuale sulle immagini o sulle parole che creano tale illusione promozionale.
60 A differenza dell’ambushing per associazione, la condotta parassitaria è posta in essere con l’osservazione preliminare della campagna promozionale dello sponsor ufficiale, per poi proseguire nell’interferenza nei confronti di questa.
61 Sebbene la maggior parte di coloro che vengono interessati da ambushing involontario siano in grado di comprendere che tale marchio non sia quello dello sponsor ufficiale, è possibile che altri subiscano tale pubblicità gratuita e siano indotti a credere che si tratti di una campagna pubblicitaria ufficiale dell'evento cui partecipano.
62 M. XXXXXXXX, X. XXXXXXX, op. cit., p. 1
sponsorizzare, piuttosto, una serie di programmi televisivi che raccontavano le gesta degli atleti statunitensi presenti a quelle Olimpiadi. Mediante tale strategia di ambushing di sfruttamento, la Kodak riuscì a risultare agli occhi del pubblico come sponsor ufficiale dell’evento, alla pari, quindi, della Fujifilm.
Analoga situazione si verificò nel 1996, durante i Giochi Olimpici di Atlanta, quando Nike attraverso una strategia di ambushing per distrazione danneggiò notevolmente l’immagine di Reebok, unico sponsor ufficiale di quell’evento. Dapprima, inaugurò, nei pressi del villaggio olimpico, un Villaggio Nike, ove la stessa distribuì bandiere con il proprio logo che poi vennero sventolate durante le manifestazioni olimpiche; successivamente, fece indossare a Xxxxxxx Xxxxxxx, insieme alle medaglie vinte, delle scarpette d’oro con il logo Nike, oscurando completamente il marchio Reebok sulla maglia dell’atleta.
Tale fattispecie, però, non è circoscritta al solo panorama Olimpico. Infatti durante il Campionato mondiale di calcio del 2010, nonostante uno degli sponsor ufficiali della manifestazione fosse la birra statunitense Budweiser, una concorrente, la birra olandese Bavaria, riuscì a spostare l’attenzione mediatica e a far parlare di sé facendo entrare allo stadio, in occasione del match Olanda – Danimarca, un gruppo di trentasei ragazze olandesi con delle bluse arancioni notoriamente collegate al marchio dei Paesi Bassi.
Dal punto di vista normativo, sebbene a livello comunitario non esista una un’apposita normativa in tema di ambush marketing, è possibile individuare due interventi finalizzati ad armonizzare gli ordinamenti dei vari Stati membri: si tratta della direttiva 2005/29/CE63, avente ad oggetto le pratiche commerciali sleali, e della direttiva 2006/114/CE64, che riguarda la pubblicità ingannevole e comparativa.
L’art. 6 della direttiva 2005/29/CE definisce ingannevoli tutte le pratiche commerciali nelle quali siano inserite informazioni false, tali da ingannare
63 La direttiva 2005/29/CE definisce le pratiche commerciali sleali tra imprese e consumatori vietate nell’Unione europea; si applica a qualsiasi omissione o atto direttamente collegato alla promozione, vendita o fornitura di un prodotto da parte di un professionista ai consumatori, tutelando gli interessi economici dei consumatori prima, durante e dopo lo svolgimento di un’operazione commerciale; garantisce lo stesso grado di protezione a tutti i consumatori indipendentemente dal luogo di acquisto o di vendita nell’Unione. Sul punto, si veda X. XXXXX, Rapporti di consumo e pratiche commerciali, in Jus Civile, 2013, pp. 295-304
64 La direttiva mira a tutelare i professionisti dalla pubblicità ingannevole delle altre imprese, assimilabile ad una pratica commerciale sleale. In tale contesto, essa fissa anche le condizioni alle quali la pubblicità comparativa può essere ritenuta lecita. Sul punto si veda X. XXXXX, Ibidem
complessivamente il consumatore medio, nonostante l’informazione sia corretta riguardo determinati elementi. Allo stesso modo, la direttiva 2006/114/CE, tra i criteri in base ai quali stabilire l’ingannevolezza della pubblicità, indica “l’affiliazione o i collegamenti e i diritti di proprietà industriale, commerciale o intellettuale” e definisce pubblicità “qualsiasi forma di messaggio che sia diffuso nell’esercizio di un’attività commerciale, industriale, artigianale o professionale, allo scopo di promuovere la fornitura di beni o servizi”. Il criterio dell’affiliazione e del collegamento, contemplato in tale disposizione, sembra idoneo a rappresentare l’effetto ingenerato dalle pratiche parassitarie dell’ambusher agli occhi dei consumatori.
Nel panorama nazionale si registrano disposizioni ad hoc adottate dal legislatore per disciplinare la sponsorizzazione parassitaria. Nello specifico, in vista dei Giochi Olimpici Invernali "Torino 2006", l’art. 2 della Legge 167/2005, recante “Misure per la tutela del simbolo Olimpico in relazione allo svolgimento dei Giochi Invernali Torino 2006”, aveva previsto il divieto, efficace fino al 31 dicembre 2006, di "intraprendere attività di commercializzazione parassita (“ambush marketing”), intese quali attività parallele a quelle esercitate da enti economici o non economici, autorizzate dai soggetti organizzatori dell'evento sportivo, al fine di ricavarne un profitto economico"65. Grazie alla summenzionata norma fu, infatti, possibile tutelare gli sponsor ufficiali e i relativi marchi, garantendo una regolare concorrenza e salvaguardia del mercato che si sviluppò intorno all’evento Olimpico italiano.
Un altro tentativo di disciplinare il fenomeno, seppur con efficacia circoscritta, è rappresentato dal Disegno di legge n.1635 del 2014, che prevedeva l'adozione di misure volte a reprimere le azioni di ambush marketing in occasione di Expo 2015. All’interno di tale normativa, il disposto dell’art. 3, rubricato “Divieto di commercializzazione parassitaria – ambush marketing”, stabiliva che: “è vietato intraprendere attività di commercializzazione parassitaria e attività inconfutabilmente dirette ad intraprendere attività di commercializzazione parassitaria (c.d. ambush marketing), intese quali attività parallele a quelle esercitate da enti economici o non economici autorizzati dai soggetti organizzatori dell’evento,
65 Sul caso riguardante i Giochi Invernali di Torino 2006 si veda A. XXXXXXXXX, Marchio sportivo ed Ambush Marketing, in Contratti, 2007, II, p. 166
dalle società aventi fini di lucro e non, dalle società sportive, dagli enti sportivi, dalle Federazioni sportive e dal CONI, al fine di ricavarne un profilo economico”66. Sulla scorta del disegno di legge sopra richiamato, il Consiglio Nazionale Anticontraffazione (CNAC) elaborò la “Legge Speciale Expo” per la tutela dei segni distintivi collegati all’Esposizione Universale. Tuttavia tale legge non trovò mai la luce, lasciando, di fatto, l’evento dell’Expo privo di uno strumento normativo capace di tutelare gli sponsor dell’evento da possibili aggressioni pubblicitarie parassitarie67. L’ultima disposizione nazionale in ordine di tempo è quella entrata in vigore il 14 marzo 2020: il Decreto Legge 11 marzo 2020, n. 16 recante “Disposizioni urgenti per l’organizzazione e lo svolgimento dei Giochi Olimpici e Paralimpici invernali Milano Cortina 2026 e delle finali ATP Torino 2021 – 2025, nonché in materia di divieto di pubblicizzazione parassitaria” (c.d. Decreto Ambush Marketing). Con questo provvedimento il Consiglio dei Ministri ha – da un lato – dato le prime disposizioni per l’organizzazione delle prossime olimpiadi e finali del circuito professionistico di tennis che si terranno in Italia, e – dall’altro – cercato di rafforzare “il quadro regolatorio in materia di pubblicizzazione parassitaria e di tutela dei segni notori”68 legati a queste manifestazioni. Il decreto vieta le attività parassitarie poste in essere in occasione di eventi sportivi o fieristici di rilevanza nazionale o internazionale,
66 Il Disegno di legge n. 1635, inoltre, al comma 2 dell’art. 3, precisava come costituissero attività di commercializzazione parassitaria: a) la creazione di una associazione indiretta fra un marchio ed un evento che induca confusione sull’identità degli sponsor ufficiali; b) la dichiarazione nella propria pubblicità di essere sponsor ufficiale di una certa manifestazione della quale altro marchio è sponsor; c) l’intensificazione della pressione pubblicitaria sui media in un periodo temporale corrispondente a quello in cui si svolge il «grande evento», anche senza creare collegamenti espliciti fra la pubblicità e l’evento stesso; d) la promozione del proprio marchio tramite azioni a sorpresa che si svolgono durante l’evento o in luoghi attigui a quello in cui esso si tiene, in modo da attirare l’attenzione del pubblico e sottrarla agli sponsor ufficiali; e) in relazione alle società e agli enti sportivi, la vendita e la commercializzazione di prodotti o di servizi che fanno uso dei colori sociali o dei loghi delle società sportive, degli enti sportivi, delle Federazioni sportive, del CONI, o di proprietà di organizzatori di un dato evento, abbinati ad altri segni distintivi, anche di sponsor, o a simboli geografici, storici o caricaturali, nonché ai nomi, pseudonimi o immagini di uno o più atleti, anche non più in attività, che, direttamente o indirettamente, richiamano le attività d’impresa dei predetti soggetti, ovvero le attività di pubblicità e di promozione, televisiva, radiofonica, e nei social network, di prodotti o di servizi che, nel periodo di svolgimento delle manifestazioni sportive o nei periodi che precedono o immediatamente seguono le medesime manifestazioni, sono accostati o abbinati ai colori sociali delle squadre di appartenenza ovvero a segni, suoni o immagini che, direttamente o indirettamente, richiamano le stesse squadre. Sul punto, si veda Senato della Repubblica, Disegno di legge (Misure per la tutela dei segni distintivi caratterizzanti eventi, società aventi fini di lucro e non, società sportive, Federazioni ed enti sportivi, Comitato olimpico nazionale per il contrasto del fenomeno dell’ambush marketing) n. 1635, XVII legislatura, 2 ottobre 2014
67 X. XXXXXX, op. cit., p. 98
68 Così i considerando inclusi nelle premesse del Decreto Ambush Marketing.
non autorizzate dai soggetti organizzatori ed aventi la finalità di ricavare un vantaggio economico o concorrenziale69. I divieti previsti dal provvedimento hanno tuttavia una limitazione temporale: operano dal novantesimo giorno antecedente alla data ufficiale di inizio dell’evento sportivo o fieristico fino al novantesimo giorno successivo alla sua conclusione.
Al termine di tale disamina, di fronte ad una palese lacuna normativa di carattere generale contro il fenomeno dell’ambushing, ciò che appare pacificamente riconosciuto in dottrina è che in tale scenario le uniche fonti in grado di offrire una qualche forma di tutela contro le pratiche parassitarie siano proprio le discipline speciali adottate di volta in volta dai legislatori nazionali in occasione di grandi eventi sportivi70.
1.4. Le forme della sponsorizzazione sportiva.
Lo sport offre alle imprese sponsor un’ampia gamma di veicoli comunicazionali per promuovere la propria immagine e reputazione sul mercato, e cioè:
69 Il Decreto Ambush Marketing al comma 2 dell’art. 10, rubricato “Divieto di attività parassitarie”, precisava come costituissero attività di pubblicizzazione e commercializzazione parassitarie vietate: a) la creazione di un collegamento indiretto fra un marchio o un altro segno distintivo e uno di tali, idoneo a indurre in errore il pubblico sull’identità degli sponsor ufficiali; b) la falsa dichiarazione nella propria pubblicità di essere sponsor ufficiale di uno di tali eventi; c) la promozione del proprio marchio o di altro segno distintivo tramite qualunque azione, non autorizzata dall’organizzatore, che sia idonea ad attirare l’attenzione del pubblico, posta in essere in occasione di uno di tali eventi e idonea a generare nel pubblico l’erronea impressione che l’autore della condotta sia sponsor dell’evento sportivo o fieristico medesimo; d) la vendita e la pubblicizzazione di prodotti o di servizi abusivamente contraddistinti, anche soltanto in parte, con il logo dell’evento sportivo o fieristico ovvero con altri segni distintivi idonei a indurre in errore circa il logo medesimo e a ingenerare l’erronea percezione di un qualsivoglia collegamento con l’evento ovvero con il suo organizzatore. Si veda Decreto-Legge 11 marzo 2020, n. 16, in Gazzetta Ufficiale - Serie generale - n. 66 del 13 marzo 2020
70 Così X. XXXXXX, op. cit., pp. 100-101
a) Le squadre
La sponsorizzazione di un sodalizio sportivo rappresenta la più diffusa e con ogni probabilità anche la più nota forma di sponsorizzazione.
Con la sponsorizzazione di una squadra lo sponsor può garantirsi innanzitutto la possibilità di apporre il suo marchio sull’abbigliamento degli atleti, dei tecnici e degli accompagnatori ufficiali (così come sulle scocche di una vettura o sulla carena di una moto nel caso delle scuderie). Questa iniziativa commerciale permette all’azienda sponsor di ottenere elevata visibilità per il proprio marchio dal momento che le riprese televisive, le fotografie pubblicate sui quotidiani e sui social network, e persino le figurine della squadra mettono in risalto inevitabilmente anche il suo logo stampato sulla maglia71. Inoltre, per il tifoso la divisa della propria squadra rappresenta un vero e proprio oggetto di culto che viene indossato non solo per recarsi allo stadio ma anche nel tempo libero, trasformandosi così in un inconsapevole, quanto efficacissimo, strumento di diffusione del marchio dell’azienda sponsor.
In particolare, con quella specifica forma di sponsorizzazione di una squadra denominata abbinamento, consentita in molti sport ma non più nel calcio, che permette allo sponsor non solo di apporre il proprio logo sulle maglie ma anche di abbinare il suo nome a quello del sodalizio sponsorizzato (per esempio, da “Pallacanestro Olimpia Milano” a “EA7 Emporio Armani Milano” o da “Roma Volley” a “Aeroitalia Smi Roma”), l’interferenza d’immagine raggiunge livelli esponenziali. Si pensi ai notiziari sportivi in cui viene detto solo il nome della squadra ed il risultato della gara oppure all’effetto procurato dalle tifoserie che, per sostenere la propria squadra, gridano e riproducono su striscioni il nome dello sponsor.
Sempre più spesso, gli accordi di sponsorizzazione prevedono la presenza del nome o del logo dell’azienda sponsor su ulteriori spazi, diversi da quelli delle divise da gioco, quali i mezzi di trasporto della squadra, i cartelloni rotor multiface a bordo campo, le tettoie delle panchine, i backdrop delle interviste, le strutture gonfiabili esposte sul terreno di gioco (i c.d. mock up), i tagliandi di ingresso alla gara e qualsiasi altro spazio e supporto pubblicitario concesso dalla società stessa72.
71 Si veda X. XXXXXXXXXX, op. cit., p. 262
72 In questi sensi M. XXXXXX, op. cit., pp. 66-67
Allo stesso tempo nella sponsorizzazione in esame si tende sempre più a concedere allo sponsor la possibilità di sfruttare l’immagine della squadra per scopi promo- pubblicitari e/o di merchandising (si pensi alla possibilità di utilizzare la presenza di membri del club per sessioni fotografiche o eventi di lancio di nuovi prodotti dell’azienda sponsor). La sponsorizzazione di una squadra consente, quindi, allo sponsor di ricevere un’ampia visibilità e, di conseguenza, un rilevante ritorno d’immagine, la cui positività o negatività, però, essendo direttamente proporzionale all’immagine della squadra, dipende da fattori quali i risultati ottenuti dalla squadra nelle competizioni e le vicende sportive e non che la riguardano, che sono indipendenti e incontrollabili dallo sponsor73.
Talvolta, la società sportiva può obbligarsi a garantire allo sponsor un’esclusiva, che può significare tanto il divieto (assoluto) di stipulare altri accordi di sponsorizzazione con qualsiasi altra impresa, quando il divieto (relativo) di farsi sponsorizzare da imprese concorrenti allo sponsor. In questo secondo caso, il sodalizio potrà avere più sponsor purché appartenenti a settori merceologici differenti.
b) Il singolo atleta
La sponsorizzazione di un singolo atleta si presenta quale fenomeno più complesso e articolato di quello di un club. Ciò, specialmente, se l’atleta è un’icona internazionale, legata a più aziende che abbinano il loro brand all’immagine dello sportivo.
In questo caso, l’atleta non è considerato come componente di una squadra, ma come singolo e specifico veicolo attraverso il quale diffondere il marchio dello sponsor. L’atleta assume così l’obbligo, dietro corrispettivo, di utilizzare le attrezzature, l’abbigliamento e, in genere, i prodotti dello sponsor durante la propria attività sportiva agonistica e in tutte le sue apparizioni in pubblico. Il corrispettivo consiste, per lo più, in una somma di denaro, oltre alla fornitura gratuita
73 Cfr. in tali termini X. XXXXXXXXXX, La sponsorizzazione sportiva, in I contratti, 2006, XI, p. 1009
dell’attrezzatura e dell’abbigliamento; tuttavia, specie quando l’atleta non è (o non è ancora) famoso, l’equipaggiamento gratuito può essere l’unica forma di compenso74.
Quanto maggiori sono la notorietà e il prestigio dello sportivo, tanto maggiori saranno non solo i corrispettivi cui lo sponsor si obbliga, ma anche le prestazioni accessorie richieste allo sponsorizzato: partecipare ad eventi promo-pubblicitari organizzati dall’azienda e a volte persino operare in veste di public relation man dell’azienda, prestare il proprio nome e la propria immagine per campagne pubblicitarie. Talvolta, sui prodotti (racchette, palloni, magliette, scarpe da gioco), lo sponsor ha la facoltà di imprimere la firma, il nome o l’immagine dell’atleta: in tal caso, di regola, oltre al corrispettivo pattuito, spesso sono previste royalties sui profitti75.
Il ritorno di immagine derivante da tale forma di sponsorizzazione, riguardando una singola persona, dipende non solo dai suoi risultati sportivi, ma soprattutto dalla sua personalità e dalla sua particolare forza comunicativa76. Talvolta è prevista una clausola risolutiva espressa, operante qualora l’atleta sia coinvolto in fatti che ne possano ledere la reputazione77.
c) Le Federazioni sportive
Con le sponsorizzazioni delle Federazioni sportive nazionali il messaggio viene veicolato attraverso l’immagine di una selezione nazionale. Questo tipo di partnership gode quindi di una minore visibilità a livello quantitativo ma anche dal punto di vista temporale, dati gli scarsi e concentrati impegni delle squadre nazionali, compensata però a livello qualitativo dal prestigio del soggetto sponsorizzato e dalla caratura delle
74 In questi precisi termini M. V. DE GIORGI, Sponsorizzazione e mecenatismo, I. Le sponsorizzazioni, Padova, 1988, pp. 47-48
75 A. DE XXXXXXXXX, op. cit., p. 123
76 Esempi lampanti di personalità e forza comunicativa sono “i Re Mida del calcio”, Xxxxxx Xxxxx e Xxxxxxxxx Xxxxxxx, protagonisti di un matrimonio contrattuale vita natural durante con i rispettivi sponsor, Adidas e Nike, che dovrebbe fruttare a entrambi una cifra vicina al miliardo di dollari. Fu proprio il leggendario brand americano a inaugurare la pratica dei “lifetime contracts” quando utilizzò il nome del più grande cestista di tutti i tempi, nonché “suo” sponsee, per una linea di sneakers che fino ad oggi ha fruttato a Xxxxxx oltre 1.3 miliardi di dollari. Negli ultimi anni anche le stelle NBA XxXxxx Xxxxx e Xxxxx Xxxxxx hanno siglato un accordo con il brand dello swoosh che li accompagnerà anche quando decideranno di appendere le scarpe al chiodo.
77 M. V. DE GIORGI, op. cit., p. 47
manifestazioni cui questo partecipa. Inoltre, alla sponsorizzazione di una Federazione in genere e soprattutto di recente non partecipa più un solo sponsor, come accadeva negli anni ’90 nel calcio (si pensi al sodalizio tra la FIGC e il marchio di carburanti IP78), ma piuttosto una pluralità di partner sia di settore sia extrasettore, spesso organizzati nel c.d. pool.
La formazione di un pool si concretizza sul piano giuridico attraverso la creazione di un consorzio tra imprese con attività esterna79 che assumono l’obbligo nei riguardi di una Federazione di fornire materiale sportivo o prodotti/servizi più generici (finanziamenti, servizi tecnici, trasporti, etc), dietro il riconoscimento del diritto di potersi fregiare della qualifica di “fornitore ufficiale” della stessa Federazione.
Il sodalizio più famoso ed importante a livello di pool di sponsor di una Federazione è quello denominato “Casa Italia” che si riscontra durante le spedizioni delle nazionali italiane nelle competizioni internazionali quali i Campionati mondiali o i Giochi Olimpici80 81.
d) Le manifestazioni sportive
In questo caso, lo sponsor, finanziando la realizzazione dell’evento, ha la possibilità di ottenere la qualifica di “partner ufficiale”, oltre a potersi accordare per la presenza del suo marchio su specifici elementi connessi all’evento, come i manifesti,
78 Il contratto concluso fra la FIGC e la IP all’art. 2 sanciva che: “La IP ha diritto di essere riconosciuta unico sponsor delle Nazionali di Calcio con obbligo della FIGC di astenersi dall’attribuire tale qualifica a qualunque altro soggetto. La IP avrà quindi diritto di qualificarsi sponsor ufficiale e/o unico delle Nazionali di cui sopra. IP si impegna a non sponsorizzare alcuna squadra di calcio, nazionale o internazionale, oltre a quelle considerate nel presente contratto, nessun giocatore, nessuna manifestazione calcistica nazionale o internazionale. IP si impegna inoltre a non assumere il ruolo di fornitore comunque collegato allo sport del calcio, al di fuori di regolari rapporti contrattuali con FIGC. La FIGC si impegna a non concedere ad alcun fornitore operante in concorrenza con IP il diritto di fornire prodotti e/o servizi alle Nazionali con il conseguente diritto di qualificarsi fornitore delle Nazionali stesse.” Contratto pubblicato in M. XXXXXX, op. cit., p. 307.
79 Cfr. X. XXXXX, voce Sponsorizzazione, in Enciclopedia del Diritto, XLIII, Milano, 1990
80 In questi precisi termini X. XXXXXXXXXX, op. cit., p. 264.
81 Il pool di partner mondiali che, insieme alle squadre del Comitato Organizzatore, è coinvolto nella realizzazione dei Giochi Olimpici e Paralimpici di Parigi 2024 è composto da: Airbnb, Alibaba, Allianz, Atos, Bridgestone, Coca Cola, Corona, Deloitte, Intel, Omega, Panasonic, P&G, Samsung, Toyota, Visa. Accanto ai partner mondiali (membri del programma TOP del CIO), Armani, Eni, Esselunga, Gruppo FS, Herbalife e Randstad saranno a sostegno del progetto di Casa Italia. Dati tratti dal sito xxxxx://xxxxxx0000.xxxx.xx/xx/.
le locandine, i biglietti, il maxischermo, ma anche gli spot pubblicitari e i contenuti postati sui social network82. Inoltre, sempre più frequentemente, al c.d. “main sponsor” dell’evento viene anche concesso, sulla falsariga dell’abbinamento con un club, di aggiungere il suo nome a quello della manifestazione come è avvenuto per esempio in Italia con la “Serie A TIM” per il calcio o a livello europeo con la “Turkish Airlines Euroleague Basketball” per il basket.
Soprattutto nel mondo dilettantistico, con questa forma di finanziamento, si possono realizzare eventi che altrimenti non avrebbero accesso a quei fondi necessari per svilupparsi.
Alcune manifestazioni, specie quelle di dimensioni moderate, come fu il Trofeo Birra Moretti83, possono essere organizzate con il sostegno di un unico sponsor, altre, di dimensioni maggiori, ad esempio l’Acea Run Rome The Marathon84, richiedono il supporto finanziario e tecnico di diversi sostenitori che svolgeranno un ruolo differente all’interno dell’evento.
La sponsorizzazione dell’evento sportivo, da un lato, elimina o riduce in modo rilevante quei rischi tipici della partnership di una squadra o di un atleta e consente allo sponsor, soprattutto nelle manifestazioni più importanti, di ricevere una visibilità a livello internazionale; dall’altro, però, incontra un limite sostanziale nella breve durata e nella bassa frequenza dell’evento stesso. Infatti, anche nei c.d. world sport events rappresentati dai Giochi Olimpici, dai Campionati del Mondo di calcio, dal Campionato di Formula 1, dal Campionato NBA e dal Campionato NFL85, si presentano, rispetto agli elevati costi dovuti per la loro sponsorizzazione, evidenti e differenti limiti comunicazionali86.
82 Cfr. V. M. FUSI – P. TESTA, op. cit., p. 458
83 Il Trofeo Xxxxx Xxxxxxx, organizzato da Heineken per sponsorizzare la Birra Xxxxxxx in Italia, è stato un triangolare calcistico amichevole tenutosi ogni estate nel mese di agosto dal 1997 al 2008.
84 La maratona tenutasi nella Capitale il 17 marzo 2024 ha potuto fregiarsi del titolo di evento italiano di running più grande di sempre, con 40.000 partecipanti, grazie anche e soprattutto all’apporto di ben 32 sponsor (tra cui per l’appunto il title sponsor “Acea”).
85 Gli spot che vengono venduti durante il “Super Bowl” di football americano sono i più ambiti dalle aziende tanto che da anni risultano i più dispendiosi tra gli eventi sportivi mondiali. Nella finalissima numero 58, andata in scena l’11 febbraio 2024, gli spazi pubblicitari sono finiti sold out già dallo scorso autunno con un prezzo che oscilla tra i 6 e i 7 milioni di dollari per un commercial di 30 secondi (nel 2014 il costo era di 4 milioni, nel 2004 circa 2,5 milioni). Dati tratti da M. XXXXXXXXXX, Follie per il Super Bowl, dai prezzi dei biglietti agli spot pubblicitari, 11 febbraio 2024, in xxxxx://xxx.xxxxxx00xxx.xxx/
86 In questi precisi termini X. XXXXXXXXXX, op. cit., p. 264
Una prassi sempre più recente vede la possibilità per i singoli partner di un sodalizio sportivo di sponsorizzare una o più gare durante la stagione sportiva acquisendo la qualifica di “match sponsor”. Questa particolare forma di sponsorizzazione permette all’azienda sponsor di avere una maggiore visibilità rispetto agli altri partner relativamente a quel particolare evento attraverso la gestione delle Aree Hospitality, la predisposizione di corner per diffondere materiale pubblicitario e gadget, oltre alla possibilità per i propri ospiti di svolgere attività di “walk about” all’interno dell’impianto sportivo.
e) L’impianto sportivo
Quest’ultima forma di sponsorizzazione, largamente diffusa nei paesi anglosassoni, sta provando con difficoltà a emergere anche nel panorama italiano. Questa fattispecie prevede la cessione dei diritti di denominazione (c.d. naming rights) dell’impianto sportivo all’azienda sponsor, insieme alla possibilità di organizzare una serie di iniziative promozionali e di hospitality volte a promuovere l’immagine del brand.
Il fenomeno si è consolidato dapprima negli Stati Uniti, tant’è che il primo accordo fu firmato a Boston più di 100 anni fa: l’apertura del “Fenway Park” nel 1912, sede della squadra di baseball dei Boston Red Sox, coinvolse la Fenway Realty Company, società immobiliare del proprietario dello stadio. Inoltre, nel 2021 è stato siglato in California uno degli accordi più onerosi di sempre, con i 700 milioni di dollari versati dalla piattaforma di criptovalute Xxxxxx.xxx per i naming rights dello “Staples Center” (oggi, “Xxxxxx.xxx Arena”), casa della franchigia NBA dei Los Angeles Lakers e dei Los Angeles Clippers87.
In Europa, la Premier League inglese è stata la culla di questo fenomeno. Si pensi, ad esempio, all’Arsenal che nel 2006 lasciò lo storico impianto di Highbury per trasferirsi al neonato stadio di Xxxxxxxxx Grove, i cui naming rights (insieme al diritto
87 Dati tratti da X. XXXXXXXX, Naming Rights, fenomenologia di un business, 3 luglio 2022, in
di apporre il proprio logo sulle maglie da gioco) erano già stati venduti due anni prima alla nota compagnia aerea Emirates.
In Italia, la difficoltà di diffusione di questa tipologia di sponsorizzazione è dovuta al fatto che i proprietari degli stadi raramente sono i club sportivi, bensì più spesso le Amministrazioni Comunali, anche se la tendenza, negli ultimi tempi, sta decisamente cambiando ed evolvendo verso un nuovo concetto di impianto multifunzionale, aperto 7 giorni su 7 e dedicato allo sport, alle attività commerciali e all'intrattenimento.
La prima a muoversi in tale direzione è stata la Juventus FC che ha saputo costruire il nuovo sopra il vecchio: infatti lo “Stadium”, inaugurato nella stagione 2011/12, sorge nel punto esatto in cui venne costruito il “Delle Alpi” in occasione dei Mondiali di calcio di Italia ‘90. Il progetto è frutto di una partnership tra il club bianconero e la società di marketing “SportFive Italia” che, in virtù degli accordi, si è fatta carico di tre obbligazioni principali: vendere personalmente i naming rights dello stadio, commercializzare il 50% degli Sky-box e gestire l’assegnazione dei posti di una tribuna premium88. Soltanto il 1º giugno 2017, però, la Juventus ha ufficializzato l'accordo con la società di servizi finanziari Allianz che dagli anni 2000 aveva già legato il suo marchio a vari impianti sportivi nel resto del mondo89, e che nell'occasione ha acquisito i naming rights dello stadio torinese fino al 30 giugno 2023, rinominandolo “Allianz Stadium”. Nel 2020 l'accordo è stato ulteriormente esteso fino al 30 giugno 2030.
Altro esempio è, poi, rappresentato dallo stadio di Reggio Xxxxxx, già “Stadio Giglio” e “Stadio Città del Tricolore”. L’impianto, finito sotto la gestione del Tribunale dopo il fallimento della Reggiana Calcio, fu acquistato nel 2013 dalla Mapei S.p.A., gruppo proprietario dell’U.S. Sassuolo Calcio, e ribattezzato “Mapei Stadium”. Emblematico il caso dell’Udinese Calcio che ha inaugurato la prima case history italiana di sponsorizzazione di un impianto calcistico da parte di un brand commerciale. Nel 2013 la famiglia Xxxxx, proprietaria del sodalizio bianconero, ha
88 Cfr. X. XXXXXXXXXX, op. cit., p. 265
89 Nel mondo, la famiglia degli Allianz Stadium comprende l’Allianz Arena di Monaco (Germania), l’Allianz Stadium di Sydney (Australia), l’Allianz Park di Londra (Regno Unito), l’Allianz Riviera di Nizza (Francia), l’Allianz Parque di San Paolo (Brasile), l’Allianz Stadion di Vienna (Austria), l’Allianz Stadium di Torino (Italia) e l’Allianz Field di Saint Xxxx (Stati Uniti). Inoltre, sempre in Italia, Allianz ha acquisito i naming rights e ulteriori diritti di sponsorizzazione del nuovo Palalido di Milano, ribattezzandolo “Allianz Cloud Milano”, e del palazzetto dello sport di Trieste, rinominato “Allianz Dome Trieste”. Dati tratti dal sito xxxxx://xxx.xxxxxxx.xx
acquistato dal Comune di Udine il diritto di superficie dello “Stadio Friuli” per 99 anni e nel 2016, al termine degli interventi di ristrutturazione che lo hanno reso uno degli impianti più moderni d’Italia, è stato ribattezzato “Dacia Arena”, in forza della sponsorship del club friulano da parte di Dacia, già presente come main sponsor sulle maglie della Prima Squadra dal 2008. In seguito alla conclusione del rapporto con il brand automotive, nel settembre 2023 l’Udinese ha siglato un accordo quinquennale per la cessione dei naming rights dello stadio al Bluenergy Group che, con l’installazione di 2409 pannelli solari sulla copertura delle tribune, punta a farlo diventare il primo impianto italiano parzialmente autosufficiente dal punto di vista energetico.
Nel frattempo anche Atalanta (“Gewiss Stadium”), Cagliari, (“Unipol Domus”), Frosinone (“PSC Arena”) e Monza (“U-Power Stadium”) hanno ceduto i diritti di denominazione dello stadio di proprietà, mentre Inter e Milan in attesa di lasciare il comunale “San Siro” si sono accordate per i naming rights dei propri centri d’allenamento (oggi, rispettivamente, “Suning Training Centre” e “PUMA House of Football”).
I recenti progetti rappresentano la prova del fatto che anche per i club italiani le strutture di proprietà e gli accordi per il naming right siano diventati elementi ormai imprescindibili, sulla base delle quali fondare i ricavi per le future programmazioni sportive.
1.5. I livelli della sponsorizzazione sportiva.
Quando un’azienda decide di intraprendere una politica comunicazionale di sponsorizzazione, non solo ha l’opportunità di scegliere quale “soggetto” sponsorizzare, ma può anche optare tra diversi livelli di intervento, in base ai quali il marchio godrà di una diffusione tanto maggiore quanto ingenti saranno le risorse economiche investite.
a) Lo sponsor unico
Rappresenta la soluzione alla possibile confusione tra i diversi livelli di sponsorizzazione. Tale accordo permette una completa fusione tra l’immagine dell’evento sponsorizzato e quella dello sponsor determinando, quindi, un altissimo ritorno di immagine potenziale90. Tale intervento, però, a causa dell’elevato impegno economico che richiede e vista l’aleatorietà del ritorno pubblicitario, rappresenta ormai una possibilità in forte declino rispetto alle più vantaggiose pratiche del c.d. pool e della sponsorizzazione principale e secondaria.
b) Lo sponsor principale
Il c.d. “main sponsor” è il partner che si impegna maggiormente dal punto di vista economico nei confronti del soggetto o dell’evento sponsorizzato e, quindi, è colui che gode di maggiori spazi e opportunità nell’ambito dell’offerta come configurata dallo sponsee.
Nel caso della sponsorizzazione di una squadra lo sponsor principale può apporre il proprio logo sulla maglia da gara, sui kit d’allenamento e su tutti gli altri spazi messi a disposizione dalla società (mezzi di trasporto della squadra, cartelloni rotor multiface a bordo campo, backdrop delle interviste), mentre nella sponsorizzazione di un evento è quello che viene associato al nome dell’evento o che comunque viene indicato come promotore dello stesso oltre ad avere a disposizione tutti gli altri spazi concessi dagli organizzatori. Sempre più frequentemente, tuttavia, si assiste alla compartecipazione di una pluralità di sponsor principali soprattutto per quegli eventi che offrono una visibilità a livello pubblicitario di rilievo mondiale, quali i Mondiali di Calcio o i Giochi Olimpici91. Anche per quanto riguarda gli sport di squadra professionistici si registra una sempre maggiore apertura da parte delle normative federali, tant’è che oggi taluni club di vertice presentano uno sponsor per il campionato, uno per la coppa
90 X. XXXXXXXXXX, op. cit., p. 266
91 Cfr. L. CAVANDOLI, Le sponsorizzazioni, in L. DI NELLA (a cura di), Manuale di diritto dello sport, Napoli, 2010
nazionale ed uno per le competizioni europee, mentre quelli di medio bassa classifica si orientano verso la possibilità di annoverare due main sponsor, uno per il girone di andata ed uno per quello di ritorno92.
c) Lo sponsor secondario
Lo sponsor secondario è tale in quanto elargisce un contributo inferiore rispetto a quello dello sponsor principale e quindi gode di meno spazi ed opportunità. Lo sponsor minore, infatti, non compare sulle divise degli atleti o, se vi compare, ha a disposizione spazi più ridotti93, così come non aggiunge il proprio nome a quello dell’evento sponsorizzato. In particolare, poi, essendo in genere lo sponsor minore un fornitore di beni o servizi, ottiene, spesso, l’esclusiva merceologica del prodotto fornito e la qualifica di “fornitore ufficiale” (c.d. official supplier) di cui può avvalersi per iniziative promo-pubblicitarie nelle quali, peraltro, in genere può utilizzare anche immagini e simboli della squadra, dell’atleta o dell’evento. La sponsorizzazione come fornitore ufficiale può essere pattuita per qualsiasi prodotto commerciabile; può accadere, tuttavia, che alcune tipologie di prodotto, come tabacco e alcool, non risultino particolarmente gradite all’opinione pubblica94. A questo proposito l’art. 8, comma 14, Legge n. 223/1990, c.d. Legge Mammì, ha previsto l’espresso divieto di effettuare sponsorizzazioni da parte di persone fisiche o giuridiche la cui principale attività consista nella vendita o nella fabbricazione di prodotti da tabacco in generale, nonché superalcolici o medicinali95.
92 X. XXXXXXXXXX, op. cit., p. 267
93 A tal proposito si parla di second sponsor, il quale compare sempre sul fronte della maglia ma al di sotto e in misura inferiore rispetto al main sponsor, di sleeve sponsor, che compare sulla manica della maglia gara, e di back sponsor, collocato sul retro della maglia. Al giorno d’oggi, però, anche la sponsorizzazione secondaria porta nelle casse delle società cifre elevate, specialmente per quelle di vertice. Si pensi al Real Madrid che, per il primo contratto di sleeve sponsorship della propria storia, ha ottenuto ben 70 milioni di euro a stagione dal colosso tecnologico HP.
94 Sebbene in passato gli “sponsor tabaccai” abbiano fatto la fortuna del motorsport griffando le carene delle vetture di F1 e delle motociclette al via nel Motomondiale. Basti pensare alla Marlboro, prima sulla McLaren e poi sulla Ferrari, oppure alla Camel e alla Xxxx Player rispettivamente su Xxxxxxxx e Renault. Ad oggi, però, le multinazionali del tabacco hanno lasciato il posto ai brand di energy drink: XxxXxxx e Monster possiedono team in Formula 1 e MotoGp, sponsorizzano atleti pagando loro parte dello stipendio e sostenendo diversi team nella corsa alla vittoria mondiale.
95 X. XXXXXXXXXX, op. cit., p. 269
d) Lo sponsor tecnico
Tra il livello dello sponsor principale e quello dei partner secondari si colloca l’ambito rappresentato dall’azienda di settore che fornisce il materiale indispensabile per lo svolgimento dell’attività sportiva dello sponsee. Lo sponsor tecnico (technical supplier) si propone di sfruttare il potenziale di notorietà di determinati atleti, club, manifestazioni o eventi, per esporre un prodotto, oggettivamente collegabile all’attività sponsorizzata, al fine di stimolare, in determinate fasce di pubblico, un interesse attivo nei confronti di alcune caratteristiche qualitative della produzione96.
La sponsorizzazione tecnica, al pari di quella pura, è un contratto oneroso e a prestazioni corrispettive, in quanto la fornitura dei materiali da parte dello sponsor, generalmente, non è considerata come una liberalità d’uso, ma costituisce oggetto di un’obbligazione e si pone in rapporto sinallagmatico con le prestazioni dello sponsorizzato97.
Questo tipo di sponsorizzazione, inoltre, assume un particolare risalto allorché la stessa riguardi l’abbigliamento tecnico di una squadra professionistica, in quanto si accompagna generalmente ad un accordo di merchandising, in virtù del quale il technical supplier della squadra non è soltanto il produttore, con il proprio marchio, degli indumenti utilizzati dal club ma acquisisce altresì il diritto di distribuire e commercializzare, in modo esclusivo e per tutta la durata dell’accordo, l’abbigliamento tecnico sportivo fornito allo sponsee98. Inoltre, la società sponsorizzata si impegna a rendere una serie di prestazioni promo-pubblicitarie in favore dello sponsor (come ad esempio, l’esposizione del marchio dello sponsor sui cartelloni rotor multiface a bordo campo e sulle tribune dello stadio, sul backdrop ufficiale nell’area delle interviste, sulla cartella stampa, sulla “home” del sito internet ufficiale; una fornitura di biglietti per i match; la possibilità di organizzare eventi con
96 Così X. XXXXXX, Sport & Sponsor, Milano, 1984, p. 138
97 In questo senso, Cass., Sez. III, 29 maggio 2006, n. 12801, in Responsabilità civile e previdenza, 2007, III, p. 554, relativa alla fornitura di biciclette da corsa ad una squadra ciclistica. In senso diverso, a favore della liberalità d’uso, ex art. 770 c.c., nell’ambito della sponsorizzazione tecnica, si veda X. XXXXXXXX, Sponsorizzazione, in Contratto e Impresa, 1985, I, p. 254.
98 Sul punto X. XXXXXXXXXX, Merchandising, sponsorizzazioni e diritti di immagine, in X. XXXXXXXXXX – G. M. RICCIO – X. XXXXXXXXXXXXX, Lineamenti di diritto sportivo, Milano, 2008, p. 519
la partecipazione di alcuni giocatori della prima squadra). Quale controprestazione, lo sponsor tecnico si impegna, nei confronti dello sponsee, a corrispondere sia una fornitura di prodotti e materiale tecnico, sia un eventuale corrispettivo in denaro, sia una royalty sulla vendita dei prodotti realizzati recanti il logo del club.
Un caso più unico che raro nel panorama del calcio europeo è quello che riguarda la compagine societaria dell’FC Bayern Monaco costituita per l’8,33% dallo sponsor tecnico del club: la multinazionale tedesca Adidas. Molto più, quindi, di un accordo commerciale, un legame praticamente indissolubile che va avanti dal 1974 e che ha portato ad una totale sovrapposizione tra squadra e technical supplier.99
Con riguardo al diritto del singolo atleta di stipulare contratti promo-pubblicitari, è senza dubbio significativo il contenuto della Convenzione stipulata tra Lega Nazionale e Lega Nazionale Serie C, da una parte, e Associazione Italiana Calciatori (A.I.C.), dall’altra, in data 23 luglio 1981, relativa alla regolamentazione delle attività promozionali e pubblicitarie riguardanti le società calcistiche ed i calciatori loro tesserati100. All’art. 6 è stabilito che il calciatore ha la facoltà di concludere singolarmente contratti concernenti le scarpe da gioco da usare durante le gare e gli allenamenti. Così facendo, può verificarsi la seguente situazione, alquanto diffusa, in cui un atleta, pur tesserato per una società che abbia come sponsor tecnico per l’abbigliamento da gara e da allenamento una determinata azienda, utilizzi legittimamente scarpe, durante le gare e gli allenamenti, recanti il logo di un’azienda concorrente allo sponsor tecnico del club. Solitamente alla fornitura delle scarpe da gioco si accompagna anche quella di abbigliamento da utilizzare nell’attività extrasportiva, anzi, addirittura può accadere che l’atleta sia anche testimonial di un’azienda concorrente, purché l’immagine non sia associata a quella della società sportiva in cui milita.
99 F. P. XXXXXXXX, Quando tra club e sponsor tecnici nasce l'amore, le collaborazioni più longeve e più belle, 26 settembre 2023, in xxxxx://xxx.xxxxxxxx.xx/xxxxx
100 Su tale convenzione G. Facci, La sponsorizzazione tecnica e lo sfruttamento commerciale del marchio sportivo, in La nuova giurisprudenza civile commentata, 2010, XII, p. 654; M. V. DE GIORGI, op. cit., p. 166
1.6. I nuovi orizzonti della sponsorizzazione sportiva.
Il continuo ed inarrestabile sviluppo della tecnologia unitamente al sempre maggiore bisogno di comunicazione col consumatore da parte delle imprese ha determinato una diffusione della sponsorizzazione sportiva anche in nuovi settori – quasi tutti relativi al mondo digitale – e con innovative forme.
La prima da annoverare, tra queste, è la c.d. Virtual Sponsorship, ossia quella tecnica che consente di far apparire sullo schermo televisivo, e quindi agli occhi dei soli telespettatori, messaggi pubblicitari che utilizzano supporti, strutture e veicoli non realmente presenti sul luogo oggetto della ripresa televisiva101.
L’introduzione delle tecniche digitali in Italia risale al 9 dicembre 1999: la Rai trasmetteva il match di ritorno tra Juventus e Olympiakos, valevole per il terzo turno di Coppa UEFA, di scena allo stadio “La Favorita” di Palermo e all’intervallo, utilizzando la tecnica digitale, sovraimpresse su tutti gli schermi della nazione gli scudetti delle squadre, il risultato del primo tempo, la comparsa del tabellone elettronico – di cui, al tempo, lo stadio era sfornito – su cui vennero replicati episodi di gioco102.
Dal punto di vista comunicazionale sono molteplici i vantaggi offerti da tale tecnica: utilizzo di nuove superfici, anche virtuali, per il supporto dei marchi dello sponsor103; targeting flessibile affinché il messaggio pubblicitario possa modificarsi nella prospettiva di realizzare specifici obiettivi commerciali; presenza anche dinamica e tridimensionale dei marchi degli sponsor. Il tutto, però, richiede un importante investimento in tecnologia, prevedendo un costo logicamente più elevato di quello richiesto dalle forme tradizionali di sponsorizzazione.
101 In questi precisi termini X. XXXXXXXXXX, op. cit., p. 284
102 C. D’ORTA – X. XXXXXXXXXX, Riflessioni civilistiche sul contratto di sponsorizzazione sportiva, in xxxxx://xxx.xxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxx.xx/, 2014, pp. 54-55
103 Ciò permette di esibire il marchio dello sponsor non essendo più “vincolati” alle strutture fisiche tradizionali (come i classici led a bordocampo). Si pensi all’inserimento di loghi/animazioni dello sponsor nel cerchio di centrocampo oppure all’inserimento di nuovi tappeti, i cosiddetti cam carpet, lato porta piuttosto che nei pressi delle panchine. Ad es., i club di Serie A commercializzano per l’Italia 4 cam carpet lato porta (2 per ciascuna metà campo, posizionati accanto a quelli di TIM, main sponsor del Campionato). Lo spazio può essere messo in vendita per l’intera stagione piuttosto che per flight di comunicazione della durata di 2 o 3 mesi.
Nella fase attuativa l’accordo di Virtual Sponsorship coinvolge quattro soggetti104: la società che dispone della tecnica digitale per realizzare messaggi pubblicitari virtuali, il broadcaster dell’evento sportivo trasmesso (Sky, DAZN, Prime Video), lo sponsor e il titolare dei diritti di sfruttamento commerciale-pubblicitario degli spazi reali su cui verranno apposti i messaggi virtuali (il proprietario dell’impianto, la Federazione sportiva, la lega, le società sportive, gli organizzatori dell’evento).
Un altro nuovo settore in cui la sponsorizzazione ha avuto un rapidissimo sviluppo è quello di internet e in particolare quello dei c.d. sport web sites. Nei più recenti contratti di sponsorizzazione, infatti, i singoli sponsee sono ormai capaci di offrire ai propri sponsor ampi spazi pubblicitari anche sui propri siti sportivi mediante finestre elettroniche che appaiono sulla pagina web, i c.d. banner. Il vantaggio di questa Internet Sponsorship, rispetto alle forme tradizionali di diffusione del marchio, emerge dalla sinergia tra la veicolazione del messaggio pubblicitario e l’attitudine a conoscere i contenuti del messaggio stesso. Il banner infatti non si limita a riportare il nome o marchio dell’impresa sponsor o di un suo prodotto, ma consente, con un semplice click, di collegarsi direttamente col sito ufficiale dell’impresa sponsor, in cui è possibile conoscere tutte le informazioni relative all’azienda e ai suoi prodotti e acquistare gli stessi on-line. Un ulteriore vantaggio deriva dalla mancanza di una regolamentazione specifica per questo fenomeno. Finora non è stata adottata una normativa dedicata e non è sembrato opportuno estendere i limiti temporali previsti per la pubblicità e la sponsorizzazione televisiva, data la diversità dei media coinvolti. 105.
L’evoluzione tecnologica, poi, ha attecchito in un altro grande settore che da sempre coinvolge la sfera emozionale dell’utente-tifoso: quello dei videogiochi sportivi. Partendo dal presupposto che in un videogioco sportivo il realismo è la caratteristica più importante, i programmatori sono “costretti” a riprodurre fedelmente gli elementi dell'evento di gioco, inclusi i marchi degli sponsor su circuiti, vetture, piloti, cartelloni a bordo campo, divise degli atleti. Il dato statistico accredita un’età media degli utenti-fruitori relativamente bassa, tra i 10 e i 40 anni, e la circostanza che tale hobby preveda il coinvolgimento di più persone, contemporaneamente e in modo ripetuto (social hobby), spiega perché le aziende-sponsor abbiano scelto di non opporsi
104 Così X. XXXXXXXXXX, op. cit., p. 284; C. D’ORTA – X. XXXXXXXXXX, op. cit., p. 56.
105 X. XXXXXXXXXX, op. cit., p. 285
ai primi casi di riproduzione non autorizzata dei propri marchi nei videogiochi sportivi, ma anzi di iniziare ad acquistare gli spazi pubblicitari nei videogame e persino prevedere clausole di esclusiva, proprio come nella sponsorizzazione nel mondo reale, fino ad arrivare ad acquistare i naming rights del videogioco106.
Questo rapporto commerciale peraltro si è venuto a completare anche in direzione opposta, essendo ormai sempre più frequente la presenza di aziende produttrici di videogiochi e consolle tra gli sponsor di un singolo atleta, di un club, di una Federazione, di un evento e di un impianto107.
106 Si pensi al videogioco calcistico “Adidas Power Soccer” sviluppato e pubblicato dalla casa di sviluppo britannica Psygnosis nel 1996 e sponsorizzato dalla multinazionale tedesca delle three stripes. Dati tratti da xxxxx://xx.xxxxxxxxx.xxx/Xxxxxx_Xxxxx_Xxxxxx.
107 Si pensi agli iconici cartelloni pubblicitari della PlayStation, prodotta da Sony, che da decenni figurano negli stadi più blasonati d’Europa durante i match di UEFA Champions League. Oppure alla Konami, azienda di sviluppo giapponese famosa per il videogioco calcistico “Pro Evolution Soccer”, che dal 1° luglio 2021 ha ribattezzato il centro sportivo del Napoli calcio in “SSC Napoli Konami Training Center” e al cui interno ha realizzato un'area gaming dedicata ai membri societari e agli ospiti. O ancora, alla statunitense Electronic Arts, ideatrice della serie di videogiochi “FIFA”, che dal 2022 è title sponsor della Supercoppa italiana di calcio.
CAPITOLO II
IL CONTRATTO DI SPONSORIZZAZIONE: UN CONTRATTO “ALIENO”
SOMMARIO: 2.1. La qualificazione giuridica del contratto di sponsorizzazione. – 2.1.1 (Segue): Il c.d. “contratto alieno”. – 2.2. La normativa federale. – 2.3. Sponsor. – 2.4. Sponsee. –
2.5. Accordo. – 2.6. Causa. – 2.7. Oggetto. – 2.8. Forma.
2.1. La qualificazione giuridica del contratto di sponsorizzazione.
Il contratto di sponsorizzazione sportiva, nella sua conformazione attuale, si pone quale evoluzione di storiche pratiche negoziali che, seppur prive di una specifica normativa legale, si sono dimostrate funzionali all’assolvimento di nuove esigenze economiche e commerciali. La reazione iniziale di dottrina e giurisprudenza alla varietà e multiformità del fenomeno è stata di tipo “difensivo”108, ovvero sorretta dalla necessità di rifugiarsi nel rassicurante richiamo degli archetipi conosciuti, sebbene difficilmente essi abbiano superato il vaglio critico che i più in dottrina hanno reiterato109.
Non è stata salutata con favore, in primo luogo, la teoria che ha collocato il contratto di sponsorizzazione nell’ambito della categoria dei contratti c.d. di inserzione pubblicitaria, in forza dei quali un’impresa che ha in gestione uno o più veicoli di comunicazione al pubblico si obbliga, dietro corrispettivo, a diffondere i messaggi dell’impresa committente. I sostenitori di siffatta posizione, sebbene riconoscano le peculiarità esclusive della sponsorizzazione, precisano che esse comunque non vanno a minare l’appartenenza alla richiamata categoria110. Al di là dalla scarsa attenzione
108 In questi termini D’ORTA – X. XXXXXXXXXX, op. cit., p. 18
109 Analoga reazione è stata rinvenuta in altri ordinamenti, si veda H. XXXXX, op. cit., pp. 40 ss., il quale precisa che sia la dottrina svizzera che tedesca hanno ricercato all’interno dei contratti nominati le soluzioni a tutte le conseguenze giuridiche del contratto di sponsoring, anche se poi sono giunte ad affermare che si tratta di un contratto sui generis.
110 Così X. XXXXXX, Le forme contrattuali dell'intervento dell'industria nello sport, in Atti del Convegno IPSOA «La riforma del diritto dello sport», Sanremo, 1981, pp. 159-160
che tale orientamento ha recepito in giurisprudenza, è stato precisato che esso ha il torto di svilire la complessa realtà dei contratti di sponsorizzazione, ossia quella trama di obbligazioni di cui l’inserzione ne rappresenta al massimo una componente, così che risulta eccessivamente riduttivo parlare di tale fenomeno multiforme alla stregua di una mera concessione temporanea di spazi pubblicitari111.
Altra opinione, invece, ha inteso qualificare il contratto di sponsorizzazione come contratto di appalto112, in particolare appalto di servizi, con conseguente applicazione analogica della disciplina propria di tali tipi contrattuali, che viene estesa secondo la regola della prevalenza, cioè avvalendosi della regolamentazione del contratto che presenta maggiori somiglianze con quello da disciplinare113. Tali teorie, invero, appaiano colpevolmente negligere le peculiarità del rapporto obbligatorio nonché le caratteristiche proprie dello sponsee. Si è obiettato, in primo luogo, che mentre nell’appalto l’obbligazione dedotta in contratto è di risultato e non di mezzi, nella sponsorizzazione, invece, lo sponsee non è obbligato al raggiungimento di alcun risultato nei confronti dello sponsor e solo eccezionalmente riveste la qualifica di imprenditore114. E, sempre in senso critico, si è anche aggiunto che lo sponsee svolge la propria attività per il raggiungimento di obiettivi sportivi, tipici della disciplina praticata, che nulla hanno a che vedere con la prestazione di un servizio in favore dello sponsor.
Depongono nella stessa direzione le critiche mosse all’inquadramento della sponsorizzazione nello schema del contratto d’opera, peraltro supportate dalla differente finalità cui i due contratti sono diretti, individuabile, per l’uno, nella realizzazione di un qualsiasi bene, per l’altro, nell’interesse dello sponsor alla divulgazione pubblicitaria del suo nome o marchio, attraverso l’esplicazione di un’attività non pubblicitaria115.
111 In tal senso A. DE XXXXXXXXX, op. cit., p. 127
112 Si veda A. PASCERINI, L’abbinamento delle associazioni sportive a scopo pubblicitario, Bologna, 1979, pp. 68 ss, il quale ha sostenuto l’applicazione dello schema dell’appalto al contratto di abbinamento sul presupposto che nell’appalto “l’attività dell’appaltatore è diretta a soddisfare un determinato interesse del committente senza elaborazione della materia”.
113 Cfr. G. VIDIRI, op. cit., p. 8
114 Sul punto si veda A. DE XXXXXXXXX, op. cit., p. 128
115 Parlando di locatio operis a proposito della sponsorizzazione: M. V. DE GIORGI, op. cit., pP. 97-98; D. A. ANICETI, Lo sfruttamento pubblicitario della notorietà tra concessione di vendita e contratto di sponsorizzazione, in Giustizia Civile, 1998, I, pp. 1061 ss., la quale patrocina la sussumibilità del contratto di sponsorizzazione sotto il tipo dell’appalto di servizi o del contratto d’opera sulla base dell’elemento discriminante costituito dalla rilevanza dell’organizzazione dei mezzi.
Parimenti criticata è stata la configurazione del contratto di sponsorizzazione quale contratto di tipo associativo alla stregua del carattere fiduciario e duraturo del rapporto, della comunanza dell’interesse perseguito e dell’intensità del vincolo incentrato su una sorta di interdipendenza tra immagine economica dello sponsor ed attività dello sponsee, nonché della possibile previsione di un patto di esclusiva116. È manifesto, però, il carattere forzato di tale orientamento che sopravvaluta a dismisura l’elemento fiduciario e la supposta interdipendenza tra le posizioni dei due contraenti, tentando di trarre implicazioni giuridiche da ciò che invece resta confinato nel sociale. Allo stesso modo si contesta la pretesa di cogliere nell’esercizio in comune dell’attività sportiva la causa del contratto di sponsorizzazione, che resta invece un contratto di scambio in cui le prestazioni dello sponsor e dello sponsee si pongono in posizione sinallagmatica, operando gli stessi su piani differenti117.
Una posizione maggiormente considerata ma ugualmente respinta è stata quella che identificava nella sponsorizzazione lo schema della donazione modale, dove il modus è rappresentato dall'obbligo per lo sponsee di utilizzare i beni forniti dallo sponsor durante l’allenamento o lo svolgimento della gara. Tuttavia, è evidente che questa interpretazione distorce significativamente il concetto di donazione; l’animus donandi, quale elemento essenziale della donazione, certamente non regge l’attività dello sponsor, il quale mira al potenziale ritorno pubblicitario conseguenziale all’uso che durante l’attività agonistica faccia lo sponsee dei beni fornitigli118. Non è da sottovalutare altresì la carenza di obblighi formali per la validità del contratto di sponsorizzazione, laddove invece la donazione richiede la forma dell’atto pubblico a pena di nullità.
116 Cfr. per tale opinione U. DAL LAGO, Aspetti giuridici nella sponsorizzazione dello sport, in Relazione al Convegno POPAI Italia «Comunicazione aziendale attraverso la sponsorizzazione», Verona, 1981, pp. 103 ss., sebbene lo stesso dichiari di riferire la propria ricostruzione ai soli “rapporti organici e duraturi”.
117 Xxxxx sollevato tali critiche A. DE XXXXXXXXX, op. cit., pp. 129-130; A. XXXXXXXX, X. XXXXX, X. XXXXXXXXXX, op. cit., p. 50
118 Si veda V. XXXXXXXXXXXX, op. cit., pp. 296-297, secondo cui solo la verifica caso per caso del contenuto del contratto, attraverso l’esame delle singole clausole, permette di determinare se ci si trova di fronte ad una donazione o a un contratto di sponsorizzazione vero e proprio. Egli continua sostenendo che il tratto unitario di questi tipi contrattuali (donazione, donazione modale, sponsorizzazione impropria e pura) è l’incertezza delle prestazioni, tant’è che la prestazione dello sponsee è a tal punto incerta da chiedersi se il contenuto aleatorio della stessa potrebbe essere di tale intensità da caratterizzarne la fattispecie; I. XXXXX, Sponsorizzazione e figure affini, in X. XXXXXX (a cura di), I nuovi contratti nella prassi civile e commerciale. Pubblicità e promozione, XVIII, Torino, 2003, pp. 294-295
La tendenza all’assimilazione del contratto de quo a modelli tipizzati è giunta sino a ricomprendere nell’operazione di sussunzione gli schemi del contratto di locazione, di vendita e finanche del mandato, con epiloghi altrettanto rivedibili. Nell’ipotesi della locazione non si vede quale possa essere l’oggetto da locare, non certo la manifestazione sportiva che rimane nella disponibilità degli organizzatori119. Altrettanto opinabile è l’ipotesi che riguarda la vendita, in quanto nel contratto di sponsorizzazione non si riscontra lo scambio della proprietà di un bene verso un prezzo in denaro. Analoghe riserve, infine, solleva l’accostamento al mandato, che anche nell’ipotesi di contratto oneroso obbliga una parte, alla stregua del dettato dell’art. 1703 c.c., al compimento di uno o più atti giuridici per conto dell’altra, laddove nella sponsorizzazione l’oggetto è costituito dallo svolgimento di una specifica attività sportiva tale da fungere da strumento pubblicitario a vantaggio dello sponsor120.
Dunque, allo stato emerge l’inopportunità metodologica di un’operazione di sussunzione della fattispecie de quo, consolidatasi nella prassi per soddisfare esigenze
– sempre più numerose e variegate, sia della moderna comunicazione d’impresa sia, con riguardo all’ambito sportivo, dei soggetti facenti parte di tale ordinamento – rispetto alle quali, invece, i contratti tipici mostrano talvolta la loro inadeguatezza121.
In tal senso, come dottrina maggioritaria ha sostenuto, non resta altro che prendere atto della peculiarità del contratto de quo, della sua rilevanza sociale e delle fonti normative che ne riconoscono il nomen juris. A ben vedere, infatti, si è in presenza di un contratto socialmente tipico e legalmente atipico. Nonché a struttura bilaterale, con la previsione di un sinallagma dato dalle prestazioni corrispettive e a titolo oneroso122. Socialmente tipico, in quanto fa parte ormai di una prassi contrattuale consolidata che, grazie alla sua diffusione e frequenza, ha acquistato una fisionomia ben delineata123. Tuttavia, vi è chi ritiene che il contratto di sponsorizzazione benché sia socialmente tipico, risulti legalmente atipico, poiché la normativa esistente non
119 Cfr., al riguardo, M. XXXXXX, op. cit., p. 124; V. M. FUSI – P. TESTA, op. cit., p. 473. Al più, secondo X. VERDE, Il contratto di sponsorizzazione, Napoli, 1989, p. 122, si potrebbe ipotizzare la locazione allo sponsor di uno spazio fisico dello sponsee – proprietario di un impianto sportivo, come ad esempio potrebbe essere un singolo cartellone pubblicitario posizionato a bordo campo.
120 Cfr. ancora M. XXXXXX, op. cit., p. 125
121 Così G. FACCI, op. cit., p. 647; X. XXXXXXXXXXXXX, op. cit., p. 288; G. VIDIRI, op. cit., p. 10
122 Per tale opinione M. XXXXXX, op. cit., p. 127; G. VIDIRI, op. cit., p. 10; X. XXXXXXXXXX, op. cit., p. 257
123 E. XXXXX, Teoria generale del negozio giuridico, in X. XXXXXXXX (a cura di), Trattato di Diritto Civile, Torino, 1952, p. 183
fornisce una completa analisi del contratto e della sua disciplina, ma introduce limiti e regola alcuni effetti e modalità, solamente in relazione a determinati settori, come visto in precedenza.
Il contratto di sponsorizzazione è ricondotto, quindi, nell'àmbito dell'atipicità legale ex art. 1322, comma 2, c.c., per cui sono espressione dell'autonomia contrattuale quei contratti privi di una espressa disciplina legislativa. A mente dell'art. 1322, comma 2, c.c., le parti possono anche concludere contratti che non appartengono ai tipi aventi una disciplina particolare, purché siano meritevoli di tutela secondo l'ordinamento giuridico.
Si ritiene che il contratto di sponsorizzazione abbia superato il controllo di meritevolezza ex art. 1322, comma 2, c.c., in quanto la sua causa, data dallo scambio tra lo sfruttamento dell'attività, del nome, o dell'immagine dello sponsee dietro corrispettivo dello sponsor, è conforme ai parametri costituzionali ex artt. 21 e 41 Cost.124.
Bilaterale, dal momento che le parti contrattuali sono: lo sponsor, in genere un imprenditore, una società commerciale, ma anche enti pubblici territoriali o istituti di credito e lo sponsee, un soggetto che gode di una certa notorietà (ad esempio, una squadra, un singolo atleta, un personaggio pubblico, una manifestazione sportivo o un impianto). Sono escluse, quelle imprese commerciali alle quali è vietata espressamente dalla legge l'attività di sponsorizzazione, a causa dell'oggetto delle loro commercializzazioni, come avviene per i superalcolici, il tabacco e i medicinali. Diverso è il caso della Xxxxxxx Xxxxxx (nota società produttrice di tabacco) che sponsorizza la Ferrari, in quanto non viene commercializzato il prodotto, bensì la campagna contro il fumo promossa proprio dalla stessa compagnia.
A prestazioni corrispettive, visto che entrambe le parti sono obbligate a una controprestazione. Lo sponsee ha un'obbligazione principale e una eventuale, quella principale consiste nell'acconsentire all'utilizzo e/o allo sfruttamento commerciale del proprio nome, della propria immagine e di tutti i propri segni distintivi abbinati al marchio dello sponsor. L'obbligazione “eventuale” può consistere in una prestazione sportiva (la partecipazione di un atleta ad un meeting o ad un match), o l'apparizione
124 Cass., Sez. I, 19 febbraio 2000, n. 1898, in Giustizia civile, 2001, I, pp. 241 ss.; Cass., Sez. III, 19 giugno 2009, n. 14343, in Vita notarile, 2009, pp. 1440 ss.
dello stesso ad un evento (inaugurazione, convention, fiera) di natura commerciale organizzato dallo sponsor e, in alcuni casi, nell'indossare un certo abbigliamento sportivo. Lo sponsor dovrà effettuare, invece, una prestazione di carattere economico125, oppure dovrà fornire materiali specifici, quali attrezzature sportive, abbigliamento, prodotti alimentari.
Alla difficoltà di determinare precisamente lo schema contrattuale, dovuta all'atipicità legale del contratto di sponsorizzazione, si ovvia sia con l'applicazione dei principi generali sui contratti previsti dal codice civile sia con la sua integrazione ai sensi degli artt. 1374 e 1375 c.c. Si pensi, ad esempio, alla risoluzione del contratto di sponsorizzazione ex art. 1453 c.c., laddove vi sia un inadempimento dello sponsee, per cui per valutare la gravità dell'inadempimento si utilizzerà il criterio della diligenza ex art. 1176 c.c.126 e la gravità dell'inadempimento127. Spesso, però, si riscontra nella prassi negoziale, la presenza di una clausola risolutiva espressa, che ha lo scopo di tutelare lo sponsor, nel caso in cui si presentino situazioni in cui sia lesa la sua reputazione128.
125 In base alla prestazione richiesta allo sponsor, si distingue tra: 1) sponsor extrasettore: si tratta di produttori e distributori, che non realizzano beni e prodotti utilizzabili direttamente, per cui la controprestazione sarà una dazione in denaro; 2) sponsor di settore, ossia gli sponsor ufficiali che forniscono prodotti come alimenti e bevande, direttamente utilizzabili ma non necessari all'attività sportiva; 3) sponsor tecnici sono quelli che forniscono materiali tecnici specifici per la disciplina sportiva che sponsorizzano, è la prima forma di sponsorizzazione realizzata e consente un importante ritorno d'immagine, non solo per lo sponsor in sé, ma anche rispetto ai prodotti utilizzati dallo sponsee, soprattutto tra gli spettatori o i tifosi che praticano quel determinato sport, anche a livello amatoriale.
126 X. XXXXXXX, Contratto di sponsorizzazione, sanzioni sportive e responsabilità contrattuale, in
Danno e Responsabilità, 2007, VII, p. 824
127 G. VIDIRI, Società sportive e contratti di sponsorizzazione, in Giurisprudenza Italiana, 1993, IX, p. 428
128 X. X. XXXXXXXXX, I contratti di sponsorizzazione in ambito sportivo, in Rivista di diritto ed economia dello sport, 2016, II, p. 90
2.1.1. (Segue): Il c.d. “contratto alieno”.
Un autorevole orientamento dottrinario129 valica i confini della qualificazione giuridica all’interno dei modelli nazionali, portando il contratto di sponsorizzazione ad assumere una dimensione sovranazionale. Ormai da diversi anni è in voga il fenomeno del contratto senza legge, senza stato, “alieno”130 per l’appunto, un accordo che, in linea con la dimensione globale dei mercati, pur se destinato a regolare rapporti interni ad uno Stato, rapporti interni all’Italia, nel nostro caso, è pensato e scritto sulla base di un modello del tutto estraneo all’ordinamento italiano, che pure costituisce la legge applicabile al contratto. Tale fenomeno è considerato più ampio di quello dell’atipicità contrattuale ex art. 1322 c.c. perché appunto i contratti c.d. “alieni” sono pensati, costruiti e scritti in funzione di un modello diverso da quello italiano, e cioè un modello di common law, ed ignorano il diritto italiano anche quando esso prevede norme potenzialmente applicabili alla struttura e allo schema negoziale131.
In tema di sponsorizzazioni sportive, spesso, gli accordi negoziali vengono strutturati sullo schema imposto dalle multinazionali per sponsee di nazionalità e diritto italiano, ossia quando un soggetto non italiano (ad esempio un’azienda che fornisce materiale tecnico-sportivo) stipula un contratto in Italia con un soggetto italiano (ad esempio un atleta, una società sportiva) che ha forza contrattuale sufficiente per imporre come legge applicabile il diritto italiano132.
I contratti di sponsorizzazione, nella prassi comune, sono infatti sempre più spesso il frutto di numerose e complesse trattative che, solitamente, sfuggono dalla normale struttura di accordo tra le parti che avviene attraverso la sequenza tipica: trattativa, contratto preliminare e contratto definitivo. Essi sono sempre più caratterizzati da strutture assai più vicine a quelle che caratterizzano ad esempio le vendite di
129 In particolare G. DE NOVA, I contratti atipici e i contratti disciplinati da leggi speciali: verso una riforma?, in Atti del Convegno di Treviso 23-25 marzo 2006, in Rivista di diritto civile, 2006, VI, pp. 345-349
130 Dove il termine “alieno” ha come calco “alius”, e quindi “altro, straniero”, ma anche “alien”, e quindi “extraterrestre”, in G. DE NOVA, op. cit., p. 345
131 G. DE NOVA, “The law which governs this agreement is the law of the Republic of Italy”: il contratto alieno, in Il diritto del commercio internazionale, 2007, I, p. 3
132 X. XXXXXXXXXX, op. cit., p. 259, richiamando quanto affermato da G. DE NOVA, Il contratto alieno, Torino, 2008, pp. 48 ss.
partecipazioni sociali qualificate, ossia: letter of intent, due diligence, memorandum of understanding, closing133. Tali sequenze possono suscitare una serie di interrogativi inediti, in relazione al diritto italiano applicabile, riguardanti, ad esempio, la vincolatività del c.d. closing piuttosto che la tipologia di rapporto che si instaura tra agreement e closing134.
In chiusura dei contratti de quo si suole trovare un inventario di clausole finali, prive di contenuto economico, indicate come miscellaneous clauses135, volte a chiarire gli aspetti più disparati: dalla previsione di indennizzi in caso di negligenza di una delle parti alle modalità di risoluzione delle controversie, fino alla riservatezza delle pattuizioni.
Alla luce di quanto esposto, appare evidente che sarà possibile qualificare come “alieni” rispetto alla natura giuridica negoziale solo quei contratti di sponsorizzazione sportiva che sono stipulati tra sponsee italiani e sponsor di nazionalità estera oppure qualora le parti decidano di regolamentare i propri interessi utilizzando uno schema contrattuale di stampo angloamericano, con soggetti dell'ordinamento sportivo italiano che di fatto ne accettano sia il contenuto che la legge applicabile. Tale prassi è, solitamente, in auge nel motorsport, quindi in Formula 1, motociclismo e rally, ove team e piloti italiani stipulano accordi di sponsorizzazione con aziende e compagnie estere solitamente regolate da legislazione di common law.
Da sottolineare che la regola interpretativa che si applica a questa tipologia di contratti è la c.d. Parol Evidence Rule, ossia il contratto deve essere interpretato oggettivamente, a seconda di quanto esprimono le sue “parole”, senza dare ingresso, in funzione interpretativa, all’intenzione dei contraenti e tanto meno a ciò che si è verificato in sede di trattative136.
133 G. DE NOVA, op. ult. cit., p. 3
134 Per approfondire agreement e closing si veda G. DE NOVA, Il “Sale and Purhase Agreement”: un contratto commentato, Torino, 2011, pp. 14-17
135 Ivi, pp. 41-42
136 A. BUSANI, Introduzione ai Contratti Commerciali Internazionali B2B e alle Joint Ventures, Padova, 2012, p. 76
In ambito sportivo, il contratto di sponsorizzazione è soggetto anche alle specifiche disposizioni adottate in materia dalle varie Federazioni, Associazioni e Leghe, che non devono essere viste come una risposta all’inerzia del legislatore in materia, ma piuttosto come l’esigenza del mondo sportivo, evidenziata peraltro dalle diverse soluzioni adottate dalle varie Federazioni, di risolvere propri specifici problemi che altre fonti non sarebbero in grado di affrontare137.
Tale normativa è direttamente vincolante per gli sponsee che appartengono alla relativa Federazione o Associazione sportiva, mentre produce effetti nei confronti delle imprese sponsor solo se espressamente riconosciuta e richiamata attraverso una specifica clausola inserita nel contratto di sponsorizzazione. Le Federazioni, così come le Associazioni e le Leghe, non avendo natura pubblicistica, non godono di quell’autonomia normativa che si concretizza nel potere di emanare norme aventi natura di regolamenti in senso tecnico vincolanti anche al di fuori dell’ambito federale138. L’inserimento di tale clausola e, quindi, la soggezione e il rispetto della normativa federale anche da parte delle imprese sponsor è già sul piano pratico inevitabile dal momento che tali disposizioni, limitando fortemente la capacità contrattuale dei soggetti sportivi, devono necessariamente essere osservate anche dai soggetti esterni alla Federazione di appartenenza dell’atleta o del club con il quale si intende instaurare un rapporto di sponsorizzazione. Sul piano formale, però, non è possibile considerare l’automatica l'inclusione di tali clausole nel contratto di sponsorizzazione senza un esplicito richiamo delle parti, né come clausole d'uso né come usi negoziali, poiché al momento non esiste ancora una normativa emanata da Federazioni sportive che abbia raggiunto quella applicazione costante e generalizzata tipica degli usi139. Sono le stesse Federazioni o connesse Leghe, di regola, che impongono ai propri atleti e alle proprie squadre di inserire nei contratti di sponsorizzazione una clausola in cui i rispettivi sponsor dichiarano di aver preso
137 Così M. XXXXXX, op. cit., pp. 152-153; X. XXXXXXXXXX, La sponsorizzazione sportiva, op. cit., p. 1012
138 A. DE XXXXXXXXX, op. cit., p. 116
139 M. XXXXXX, op. cit., p. 153
conoscenza e di accettare i vincoli normativi dettati in materia dalla relativa Federazione. La normativa federale in materia di sponsorizzazione, pur variando nel contenuto da Federazione a Federazione, si occupa principalmente di stabilire sia le tipologie di sponsorizzazioni ammesse per i propri affiliati (come dimostra il caso dell’abbinamento non ammesso nel calcio dalla FIGC ma autorizzato nel basket, nella pallavolo, nel rugby e nel ciclismo), sia gli spazi che possono essere occupati dalle scritte pubblicitarie degli sponsor e i relativi limiti di dimensione e contenuto140.
Le norme federali poi possono anche sospendere l’efficacia dei contratti di sponsorizzazione stipulati dai propri affiliati subordinandola alla condizione dell’avvenuta ratifica o autorizzazione da parte di appositi organi della Federazione o della Lega che controllano e valutano la conformità del contenuto degli accordi alle disposizioni de quo141. Un esempio in tal senso è quello della Lega Nazionale Professionisti (Lega Calcio) che, fino alle fine degli anni ’90, prevedeva il deposito dei contratti di sponsorizzazione conclusi dalle società Serie A e di Serie B unitamente al prototipo della divisa da gioco completa (maglia, pantaloncini e calzettoni). A sua volta la L.N.P., se riscontrava che i contratti depositati erano stati stipulati nel rispetto dei Regolamenti Federali e delle disposizioni emanate dalla Lega stessa, e che i prototipi di divisa erano conformi alle prescrizioni regolamentari in materia di marchi, concedeva la ratifica per l’intera durata del contratto, riservandosi comunque la facoltà di revocarla o di richiedere l’adeguamento dell’accordo qualora vi fossero state delle modifiche ai Regolamenti Federali. Nel caso contrario in cui la L.N.P. non concedeva la ratifica, o la revocava, le squadre erano costrette a scendere in campo con divise da giuoco prive di marchi e di scritte pubblicitarie di qualsiasi tipo. Con la modifica apportata nel 1999 all’art. 25 del Regolamento della L.N.P., non è più previsto l’obbligo di sottoporre a ratifica i contratti di sponsorizzazione, ma alle società è richiesto solo il deposito degli stessi. Tuttavia, sempre la medesima disposizione,
140 Il Consiglio Federale della FIGC, nella riunione del 30 maggio 2023, ha deliberato che le società della Lega Italiana Calcio Professionistico, limitatamente alle stagioni sportive 2023/2024, 2024/2025 e 2025/2026, possono utilizzare oltre agli spazi pubblicitari individuati nel numero e nelle dimensioni dal Comunicato Ufficiale n. 3/A del 3 luglio 2019, ulteriori tre spazi pubblicitari: sul retro della maglia, sotto il numero, un ulteriore spazio per la pubblicità di un solo sponsor commerciale fino a 150 cm2; sulla manica destra della maglia, un ulteriore spazio riservato alla Lega per la pubblicità di un solo partner istituzionale fino a 50 cm2; sulla manica sinistra della maglia, un ulteriore spazio per la pubblicità di un solo sponsor commerciale fino a 50 cm2. Dati tratti da xxxxx://xxxx.xx/.
141 A. DE XXXXXXXXX, op. cit., pp. 116-117; X. XXXXXXXXXX, op. ult. cit., p. 1013
prevede che le società non possono apporre sulle maglie e sui pantaloncini scritte o marchi pubblicitari senza aver ottenuto la preventiva autorizzazione della Lega142.
Per quanto concerne il profilo soggettivo, si può notare che i titolari del rapporto contrattuale sono essenzialmente due: lo sponsor, colui che sponsorizza, e lo sponsee, vale a dire il soggetto sponsorizzato.
Lo sponsor è il soggetto che tramite il contratto di sponsorizzazione persegue un ritorno di immagine. Sebbene astrattamente qualsiasi soggetto possa servirsi del contratto di sponsorizzazione per divulgare un messaggio (nel rispetto delle eventuali normative di settore), la prassi contrattuale dimostra che il ruolo di sponsor è stato assunto, soprattutto nel passato, da una singola persona esercente attività imprenditoriale, mentre ai giorni nostri, in genere, da una società commerciale, anche se si deve sottolineare come siano sempre più frequenti i casi in cui la veste di sponsor sia attribuita, con le dovute limitazioni, ad enti a struttura associativa, Enti Pubblici Territoriali e istituti bancari.
Per quanto riguarda le forme associative a cui ricorrono le imprese sponsor si va da quelle più semplici del comitato, utilizzate soprattutto nell’ambito del patrocinio di manifestazioni sportive, a quelle più sofisticate e complesse dei c.d. pool, che sono invece nati nell’ambito dei rapporti di sponsorizzazione tecnica di Federazioni sportive. Come accennato in precedenza, il loro scopo è quello di soddisfare, da un lato, le esigenze della Federazione stessa di ricevere da diversi sponsor tecnici i materiali e gli strumenti sportivi nonché finanziamenti per equipaggiare le proprie squadre, senza che questa debba provvedere alla complessa e dispendiosa organizzazione e coordinamento dei vari fornitori; dall’altro lato, mira a superare la situazione di squilibrio che la disparità di peso contrattuale tra le singole aziende e la
142 X. XXXXXXXX, I contratti di sponsorizzazione sportiva, Firenze, 2000, p. 93
Federazione può determinare143. Dal punto di vista giuridico nel comitato costituito dalle imprese sponsor le responsabilità per l’attività svolta e per le obbligazioni di sponsorizzazione assunte dallo stesso nei confronti dello sponsee ricadono, ai sensi degli artt. 39 – 42 c.c., su ciascuna delle imprese aderenti. La struttura giuridica del pool, invece, viene inquadrata in quella del consorzio, che, ai sensi dell’art. 2602 c.c., rappresenta il contratto con cui più imprenditori istituiscono un’organizzazione comune per la disciplina o per lo svolgimento di determinate fasi delle rispettive imprese e, in particolare, in quella del c.d. consorzio “con attività esterna” ex art 2612
c.c. Infatti, la caratteristica fondamentale del pool è rappresentata dalla gestione unitaria dell’attività pubblicitaria svolta da organi del consorzio appositamente istituiti, che negoziano direttamente col potenziale sponsee, escludendo pertanto la possibilità di autonome e parallele iniziative pubblicitarie da parte dei singoli associati, i quali, quindi, acquisteranno il diritto di qualificarsi come “fornitori ufficiali” dello sponsee e di utilizzare eventualmente il nome dello stesso, i simboli e le immagini per farsi pubblicità, non in forza del contratto stipulato dal consorzio, al quale essi rimangono singolarmente estranei, ma in virtù della loro appartenenza al pool. La dotazione patrimoniale a disposizione del pool per la conclusione degli accordi di sponsorizzazione è rappresentata dal fondo consortile, formato dalle partecipazioni dei consorziati, i quali godono nei confronti del soggetto sponsorizzato del beneficio della responsabilità limitata. Per sua natura, poi, il pool ha una durata limitata, che in assenza di espressa pattuizione è fissata in dieci anni, come stabilito dall’art. 2604 c.c., salvo il diritto dei consorziati di recedere in qualunque momento previa notifica di un congruo avviso144. Dal punto di vista negoziale, quindi, si può concludere che, a parte le suddette peculiarità derivanti dalla forma associativa dello sponsor, non sussiste alcuna diversità tra i contratti di sponsorizzazione conclusi da un singolo sponsor o da un comitato o un pool di imprese sponsor, poiché in entrambi i casi rimangono contratti a struttura bilaterale con prestazioni corrispettive a titolo oneroso145.
Per quanto riguarda invece la possibilità per la Pubblica Amministrazione di assumere il ruolo di sponsor in un rapporto di sponsorizzazione sportiva (c.d.
143 V. M. FUSI – P. TESTA, op. cit., pp. 471-472
144 Cfr. G. VIDIRI, Il contratto di sponsorizzazione: natura e disciplina, op. cit., pp. 13-14; X. XXXXXXXXXX, Diritto sportivo, op. cit., pp. 267-268
145 X. XXXXX, voce Sponsorizzazione, in Enciclopedia giuridica Treccani, XXX, Roma, 1993, p.
3
sponsorizzazione attiva), si deve sottolineare come tale ipotesi è stata ampiamente utilizzata da Enti Pubblici Territoriali per sostenere lo sport locale. A tal riguardo alcuni autori hanno sostenuto che, almeno in linea teorica, non è configurabile un contratto di sponsorizzazione in cui un ente pubblico assuma il ruolo di sponsor in quanto il contratto in questione rappresenta uno strumento pubblicitario destinato all’attività d’impresa e non alla funzione tipica degli enti pubblici. Per contro, una tale attività di sponsorizzazione sarebbe quindi configurabile solo in capo agli enti pubblici economici i quali, appunto, al pari dei privati, perseguono fini commerciali perfettamente compatibili con l’attività di sponsorizzazione146. Altri autori invece ritengono che il presupposto per l’assunzione della qualifica di sponsor da parte degli enti pubblici territoriali vada ricercato nel riconoscimento della piena capacità di diritto privato di questi, che potrebbe essere desunta ex art. 11 c.c. che riconosce alle Province e ai Comuni nonché agli enti pubblici riconosciuti come persone giuridiche, il godimento dei diritti secondo le leggi e gli usi osservati come diritto pubblico147, ma che soprattutto viene previsto, seppur coi limiti derivanti dalle finalità istituzionali di tali soggetti, dall’art. 11 della Legge 7 Agosto 1990 n. 241 che, ammettendo largamente la conclusione di accordi integrativi o sostitutivi di provvedimenti e sottoponendo tali accordi al regime dei contratti, riconosce una tendenziale equivalenza tra l’attività amministrativa di diritto pubblico e quella di diritto privato, che consente quindi di ammettere la stipulazione di contratti di sponsorizzazione da parte degli enti pubblici territoriali al fine di conseguire l’utilità sociale costituita dal beneficio dell’immagine148. Questa progressiva apertura della sponsorizzazione sportiva anche agli enti pubblici territoriali operata dal legislatore ha determinato, soprattutto nel calcio, la nascita e la diffusione del fenomeno commerciale della sponsorizzazione del ritiro pre-campionato delle società sportive. Nel 1997 la Juventus FC siglò un accordo con la Regione Val D’Aosta in base al quale la società sportiva riceveva un corrispettivo monetario unitamente a vitto e alloggio nel periodo della preparazione estiva e la Regione in cambio appariva tra i partner della società sportiva, godendo quindi dei relativi ritorni di immagine ma soprattutto assicurandosi la
146 M. XXXXXX, op. cit., p. 109
147 X. XXXXX – X. XXXXXXX, Accordi di collaborazione e contratti di sponsorizzazione, Milano, 1998,
p. 24
148 G. SAVORANI, I contratti di sponsorizzazione sportiva nella giurisprudenza, in Economia e diritto del terziario, 1998, I, pp. 116-118
presenza sul proprio territorio dei grandi campioni nel periodo estivo e la loro partecipazione ad amichevoli e tornei, incrementando notevolmente nelle proprie località turistiche il flusso di turisti attirati dall’idea di una vacanza in montagna a stretto contatto coi propri idoli sportivi. Sull’esempio del sodalizio della Juve e della Val d’Aosta ormai quasi tutte le principali società stipulano convenzioni con comuni e aziende di promozione turistica.
Dal punto di vista normativo, il primo organico intervento in materia si è avuto con l’art. 43 della Legge 27 dicembre 1997 n. 449 (c.d. Legge Finanziaria 1998) che ha espressamente consentito la stipula di contratti di sponsorizzazione da parte delle pubbliche amministrazioni purché essi siano diretti al perseguimento di interessi pubblici, escludano forme di conflitto di interesse tra l’attività pubblica e quella privata e comprimano i risparmi di spesa rispetto agli stanziamenti disposti. Con il successivo D.Lgs. n. 267/2000 (c.d. Testo Unico degli Enti Locali) si è, inoltre, espressamente riconosciuta a favore dei Comuni, delle Province e degli Enti Locali ivi indicati la facoltà di stipulare contratti di sponsorizzazione. Tuttavia, la previsione del requisito del risparmio di spesa ex art. 43 Legge n. 449/1997 unitamente alla contrazione delle risorse delle pubbliche amministrazioni a causa dei vincoli di bilancio, hanno notevolmente ridotto la sottoscrizione di contratti di sponsorizzazione da parte di queste ultime. Questo limite si è poi aggravato, dapprima con la Legge n. 133/2008 che ha introdotto per le pubbliche amministrazioni inserite nell’elenco Istat, a decorrere dal 2009, un divieto di stipulare contratti di sponsorizzazione per un ammontare superiore al 30% della spesa sostenuta nell’anno 2007 per le medesime finalità, successivamente, con la L. n. 122/2010 (c.d. Legge Tremonti) di conversione del D.L. n. 78/2010, con cui si è stabilito, a decorrere dall’anno 2011, il generale divieto di spese di sponsorizzazione al fine del contenimento della spesa pubblica. La portata di tale divieto è stata, tuttavia, contenuta entro specifici limiti dalla giurisprudenza della Corte dei Conti149 così da lasciare margini di operatività alle
149 La Corte dei Conti si è espressa in diverse sedi sulla questione. Particolarmente significativa risulta essere la deliberazione n. 7/2011 ad opera della Sezione Regionale di Controllo per la Liguria, in risposta all'istanza promossa dal Sindaco del Comune di Loano (SV), il quale chiedeva alla Sezione un parere sull' effettivo ambito di applicazione dell'art. 6, D.L. 31.05.2010 n. 78, che imponeva agli enti locali l'abbattimento dell’80% del costo delle spese riferite a relazioni pubbliche, convegni, mostre e manifestazioni pubblicitarie nonché il menzionato divieto totale di spese per sponsorizzazioni. Con riferimento alle ultime, la Sezione si è espressa in questi termini: "si può affermare che anche a seguito dell'entrata in vigore di tale norma, siano ammissibili le contribuzioni, a prescindere dalla concessione
amministrazioni per la stipula di contratti di sponsorizzazione attiva in tutti i casi in cui essi siano finalizzati non alla mera promozione dell’immagine dell’ente pubblico, bensì al sostegno di iniziative che siano diretta espressione dei compiti istituzionali dell’ente e, pertanto, si pongano quali modalità alternative alla diretta erogazione dei servizi da parte dell’amministrazione150. È necessario precisare come in realtà la Corte, nell' affermare quanto detto, operi preventivamente un vaglio di natura teleologica e consideri “spesa di sponsorizzazione solo quella che ha per finalità la segnalazione ai cittadini della presenza del Comune, così da promuoverne l'immagine, mentre «non si configura quale sponsorizzazione il sostegno di iniziative di un soggetto terzo, rientranti nei compiti del Comune, nell'interesse della collettività anche sulla scorta dei principi di sussidiarietà orizzontale ex art. 118 Cost.», in quanto tali contribuzioni sono connotate dallo svolgimento di un'attività propria del Comune in forma sussidiaria, esercitata cioè in via mediata da soggetti privati destinatari di risorse pubbliche”151. Dopo aver operato tale distinzione, la Corte effettivamente ha sostenuto che anche a seguito dell'entrata in vigore del citato art. 6, D.L. 78/2010, “siano ammissibili le contribuzioni, a prescindere dalla concessione del patrocinio che per sua natura è gratuito, a soggetti terzi per iniziative, anche culturali, di diretto sostegno di finalità sociali o comunque istituzionali e che rappresentano, in via sussidiaria, una modalità alternativa della realizzazione del fine pubblico, rispetto alla scelta da parte dell'Amministrazione di erogare direttamente un servizio di utilità per la collettività, con la necessità di evidenziare, nella motivazione del provvedimento, i presupposti di fatto e l'iter logico alla base dell'erogazione a sostegno dell'attività svolta dal destinatario del contributo nonché il rispetto dei principi di efficacia, efficienza ed economicità nelle modalità prescelte di resa del servizio”.
del patrocinio che per sua natura è gratuito, a soggetti terzi per iniziative, anche culturali, di diretto sostegno di finalità sociali o comunque istituzionali e che rappresentano, in via sussidiaria, una modalità alternativa della realizzazione del fine pubblico, rispetto alla scelta da parte dell'Amministrazione di erogare direttamente un servizio di utilità per la collettività, con la necessità di evidenziare, nella motivazione del provvedimento, i presupposti di fatto e l'iter logico alla base dell'erogazione a sostegno dell'attività svolta dal destinatario del contributo nonché il rispetto dei principi di efficacia, efficienza ed economicità nelle modalità prescelte di resa del servizio"
In questo parere, il Collegio ha aderito all'indirizzo interpretativo già espresso dalla Sezione Regionale di Controllo per la Lombardia in due deliberazioni precedenti: la n. 1075 del 23/12/2010 e la n. 6 del 10/01/2011.
150 Cfr. X. XXXXXX – X. XXXXXXX, Lezioni di diritto sportivo, Milano, 2020, pp. 232-233; X. XXXXXXXXXX, Diritto sportivo, op. cit., p. 271
151 Corte dei Conti, Sezione Regionale di Controllo per la Liguria, deliberazione n.7/2011
A seguito di tale precisazione, nell'opinione di chi scrive, l'intervento giurisprudenziale non avrebbe legittimato la stipulazione di contratti di sponsorizzazione con le caratteristiche menzionate, ma si sarebbe limitato a distinguere tra le spese di sponsorizzazione propriamente dette e il mero sostegno finanziario di iniziative di soggetti terzi all'ente pubblico. E proprio a seguito a questa distinzione, la Corte avrebbe considerato ammissibili le contribuzioni a soggetti terzi per iniziative dirette a sostenere finalità sociali, diversamente dalle spese di sponsorizzazione che mirano ad ottenere un ritorno di immagine. Dunque, alla luce della preliminare analisi teleologica condotta dalla stessa Corte, sarebbe forse improprio affermare che l'intervento della Corte dei Xxxxx avrebbe legittimato i contratti di sponsorizzazione dotati di alcune caratteristiche precise, ponendo una eccezione a quanto disposto dall'art. 6 del D.L. 78/2010.
Sulla base della situazione normativa e giurisprudenziale appena descritta, si consideri il caso che ha coinvolto un ente pubblico territoriale – la Regione Sardegna
– e un club calcistico iscritto al campionato di Serie A 2012/13 – il Cagliari Calcio. La Regione, attraverso l'Agenzia Governativa Regionale “Sardegna Promozione”, aveva stipulato in data 6 dicembre 2013 un'intesa con il club della durata di due anni finalizzata ad ottenere un beneficio di immagine per sé stessa attraverso l'apposizione del marchio “Sardegna” ad un'ampia gamma di prodotti e supporti collegati al Cagliari Calcio, a partire dalle maglie per le partite, fino ai tabelloni luminosi e ai biglietti cartacei. Tuttavia, dopo pochi mesi, la stessa Agenzia Regionale “Sardegna Promozione” aveva deciso di avviare un procedimento per ottenere l'annullamento in autotutela della determinazione posta a base della convenzione stipulata; il procedimento aveva avuto esito positivo per la Regione e la convenzione era stata risolta per “grave inadempimento tale da far ricadere l'azione nel divieto di sponsorizzazione (...) rendendo indirettamente l'oggetto convenzionale illecito”152. Ecco dunque che alla base della decisione si era posto proprio il divieto di stipulare contratti di sponsorizzazione per le amministrazioni pubbliche, di cui si è discusso in precedenza. Inoltre, degno di nota è il contenuto della sentenza n. 1023 del 23 settembre 2015, pronunciata dal Tribunale Amministrativo Regionale per la Sardegna, chiamato ad esprimersi sul ricorso proposto dal Cagliari Calcio a seguito della
152 T.A.R. Sardegna, Cagliari, sez. I, 23 settembre 2015, n. 1023
risoluzione della convenzione. Il TAR aveva ritenuto che l'assetto negoziale della convenzione che legava le parti si traducesse “in una serie di prestazioni da parte della società sportiva volte alla enfatizzazione dell'immagine dell'ente Regione Sardegna, attraverso la diffusione del logo e della denominazione dell'ente nelle varie modalità (...)”, affermando inoltre che “tale schema negoziale appare rientrare pienamente nella nozione di contrato di sponsorizzazione (...). Con la conseguenza che la convenzione risulta viziata da nullità per il contrasto con la norma imperativa di cui al citato art. 6, comma 9, che – imponendo il divieto di effettuare spese per sponsorizzazioni – implica anche il divieto di adottare provvedimenti amministrativi o stipulare accordi o contratti che comportino spese del tipo di quelle vietate”153. Nel motivare la propria decisione, inoltre, il TAR aveva richiamato anche la deliberazione della Corte dei Conti, Sezione Regionale di Controllo per la Liguria, ponendosi sullo stesso orientamento e rigettando dunque il ricorso proposto dal club di Serie A.
In sintesi, alla luce di quanto esposto, è possibile affermare che ad oggi, almeno per quanto riguarda l'ordinamento italiano, per un ente pubblico non è possibile stipulare un contratto di sponsorizzazione in nessun ambito, compreso quello sportivo. Sul tema la giurisprudenza ha applicato in modo piuttosto rigido l'art. 6 del D.L. 78/2010, permettendo unicamente quelle contribuzioni - il termine "sponsorizzazioni" sarebbe forse improprio - che risultino in linea con il principio costituzionale di sussidiarietà orizzontale ex art. 118, comma 4, Cost.
Esattamente dieci anni dopo, però, nell’agosto 2023, la Regione Friuli Venezia Giulia, per il tramite del suo braccio operativo PromoTurismoFVG, si è accordata con l’Udinese Calcio affinché il claim della promozione turistica regionale “Io Sono Friuli Venezia Giulia” compaia come main sponsor sulle maglie della società sino al termine della stagione sportiva 2025/26. Allo stesso modo, ma per una durata e una retribuzione nettamente inferiori, tale accordo è stato siglato anche con la Triestina Calcio militante nella terza serie nazionale. Ciò è stato reso possibile sfruttando il comma 16 dell’art.12 della Legge Regionale n.22/2010154, in cui si esclude Promo
153 Ibidem
154 L’art. 12 – Disposizioni urgenti in materia di razionalizzazione e contenimento della spesa pubblica – statuisce al comma 16 che “Le disposizioni di cui ai commi 14 e 15 non si applicano al Fondo speciale per l'internazionalizzazione della Regione Friuli Venezia Giulia istituto ai sensi dell'articolo 9, commi 7 e 8, della legge regionale 25 gennaio 2002, n. 3 (Legge finanziaria 2002), all'Agenzia regionale per lo sviluppo rurale (ERSA), alla PromoTurismoFVG, all'Agjenzie regjonâl pe
Turismo FVG dal divieto per la Regione, e gli altri enti pubblici il cui ordinamento è disciplinato dalla stessa, di stipulare contratti di sponsorizzazione.
Se, come visto, la questione delle sponsorizzazioni sportive da parte degli pubblici in Italia è vietata (con le eccezioni del caso), è necessario sottolineare come in questo campo esistano ulteriori importanti limitazioni per gli sponsor. In particolare, il riferimento è alle sponsorizzazioni che coinvolgano aziende produttrici e/o venditrici di prodotti potenzialmente dannosi per la salute e perciò ritenuti non coincidenti con i valori fondamentali dello sport e ben distanti dalle finalità dell'attività sportiva. Infatti, fino a pochi anni fa, vi erano molteplici aziende di questo tipo che promuovevano il proprio marchio attraverso il mondo dello sport, in particolare nel motorsport: si pensi, come già accennato, al lungo rapporto commerciale intercorso tra gli anni ‘80/’90 e i primi anni Duemila tra la multinazionale Xxxxxx Xxxxxx e la Scuderia Ferrari, che aveva come fine la promozione del brand "Marlboro", di proprietà della stessa multinazionale statunitense. La connessione tra le parti era talmente consolidata che lo stesso marchio era stato integrato graficamente nel logo della Scuderia, per formare un unico logotipo155.
In Italia, in termini generali, la pubblicità di prodotti da fumo era stata vietata già a partire dal 1962, per mezzo della Legge n. 165, successivamente modificata attraverso il D.L. n. 4/1983, convertito in legge nello stesso anno. Tale divieto è stato poi ulteriormente confermato ed esteso anche all'ambito più specifico della pubblicità televisiva, per mezzo del Decreto Ministeriale n. 425/1991, il quale, in attuazione della Direttiva 89/552/CEE, attraverso l'art. 1, comma 1, vietava “la pubblicità televisiva delle sigarette e di ogni altro prodotto del tabacco, anche se effettuata in forma indiretta mediante utilizzazione di nomi, marchi, simboli o di altri elementi caratteristici di prodotti del tabacco o di aziende la cui attività principale consiste nella produzione o nella vendita di tali prodotti, quando per forme, modalità e mezzi impiegati ovvero in base a qualsiasi altro univoco elemento tale utilizzazione sia idonea a perseguire una finalità pubblicitaria dei prodotti stessi”. Lo stesso Decreto, con il comma 2, ha fornito le linee guida per determinare quale fosse la attività principale menzionata nel comma 1, sostenendo di dover far riferimento “all'incidenza
lenghe furlane, all'Agenzia Lavoro & SviluppoImpresa e all'Ente regionale per il patrimonio culturale della Regione Autonoma Friuli Venezia Giulia (ERPAC).”
155 H. XXXXX, op. cit., p. 51
del fatturato delle singole attività di modo che quella principale sia comunque prevalente rispetto a ciascuna delle altre attività di impresa nell'ambito del territorio nazionale”.
Premessa la situazione normativa italiana e la certezza del divieto in questione, un argomento dibattuto - in particolare nei primi anni Duemila - ha riguardato la legittimità dell'utilizzo del segno distintivo di note marche di sigarette, con riferimento particolare all'ipotesi di sponsorizzazioni sportive. Come già sottolineato, soprattutto nell'ambito degli sport motoristici, l'abbinamento di brand riconducibili ai prodotti del tabacco con team, scuderie e competizioni ha rappresentato una pratica commerciale molto ricorrente fino a poco tempo fa; tutto ciò nonostante i suddetti divieti in ambito nazionale e internazionale156. Tuttavia, il quadro normativo non risultava essere così completo da permettere di vietare direttamente anche quelle sponsorizzazioni che avevano ad oggetto la promozione dell'immagine di brand riconducibili a prodotti del tabacco157. Ecco che, in tale situazione si è inserita la Direttiva 2003/33/CE158, con l'obiettivo di disciplinare la pubblicità e la promozione del tabacco a mezzo stampa, alla radio, mediante i servizi della società dell'informazione e la sponsorizzazione legata al tabacco. In particolare, essa ha esteso il divieto di sponsorizzazioni per tutti gli eventi e le attività che abbiano luogo in più di un paese dell'Unione Europea.
Appare piuttosto evidente dunque che la Direttiva in questione – in vigore dal 20 giugno 2003 e con obbligo di recepimento per i Paesi membri nel proprio diritto nazionale entro il 3 luglio 2005159 – mirasse nello specifico a porre fine alle
156 Anche gli altri Paesi parte dell’allora Comunità Economica Europea avevano recepito la Direttiva 89/552/CEE. Inoltre, molti di essi si erano già dotati di norme interne in tal senso.
157 In effetti, in Italia, cosi come in numerosi altri stati, pur vigendo un divieto totale di pubblicità del tabacco, la sponsorizzazione di eventi a beneficio dei prodotti derivati da esso non era regolamentata da alcuna normativa interna. In altri paesi, invece, era prevista una specifica deroga per taluni eventi sportivi, che nel caso del Portogallo rimase operativa fino al 2001, come si evince dalla scheda informativa MEMO/01/205 fornita dalla Commissione Europea.
158 La portata del divieto è stata estesa, attraverso la più recente Direttiva 2014/40/UE, anche alle sigarette elettroniche.
159 L'Italia, ad esempio, ha recepito la Direttiva in questione attraverso il D.Lgs. n. 300 del 16 dicembre 2004. Con l'art. 4, il Decreto ha effettivamente proibito la sponsorizzazione atta a promuovere un prodotto del tabacco laddove essa sia rivolta ad eventi o attività transnazionali, perché si svolgono in contemporanea in più Stati membri o perché organizzati da soggetti appartenenti a più Stati, oppure perché la loro organizzazione produce direttamente effetti transfrontalieri. Tuttavia, un aspetto controverso è quello esposto al comma 3 dello stesso art. 4, il quale introduce una particolare deroga al divieto, secondo cui esso non si applica alla sponsorizzazione di eventi o attività praticate nell'ambito di essi quando questi si svolgono interamente ed esclusivamente sul territorio italiano. Tale deroga chiaramente non era prevista dalla Direttiva europea.
sponsorizzazioni sportive che caratterizzavano il motorsport, in quanto i campionati di Formula 1 e di MotoGP, per fornire i due esempi più noti, si articolano proprio in tappe che hanno luogo in vari paesi dell'Unione, oltre a raggiungere altre mete al di fuori del continente. In realtà, è necessario precisare che la Fédération Internationale de l'Automobile (FIA) aveva già provveduto nel 2001 a vietare per il campionato di Formula 1 tutte le sponsorizzazioni e le pubblicità di tabacco, prodotti e brand strettamente collegati, a decorrere dall'anno 2006; in ogni caso, come già affermato, per le tappe europee a partire dal 2005 era diventato operativo il divieto imposto dall'Unione. Nell'immediato, alcuni produttori cercarono di utilizzare escamotage fantasiosi, al limite della pubblicità occulta, per non essere costretti a terminare le sponsorizzazioni in atto e per mantenere la visibilità ottenuta, modificando i propri segni distintivi160; tuttavia, anche questa soluzione durò per poco tempo, prima di essere proibita.
In ogni caso, si può affermare che gli effetti della netta posizione presa dalle istituzioni europee sull’argomento siano stati evidenti non solo per gli sport motoristici, ma per il mondo dello sport in generale, influenzando in particolare la Union of European Football Association (UEFA), l'organo di governo del calcio europeo. Da diverso tempo infatti, all'interno dell'UEFA Equipment Regulations, il quale si propone in particolare di regolamentare l'uso delle attrezzature nelle competizioni UEFA, garantendo parità di trattamento tra club, Federazioni affiliate alla UEFA, produttori e sponsor in uno spirito di fair play161, è presente una specifica disposizione in tal senso. Il riferimento è all'articolo 27, rubricato Advertising restrictions: "All advertising of tobacco and strong alcohol, (i.e. any beverage with an alcohol content of more than 15% abv unless the applicable domestic legislation sets a lower limit) is prohibited. Any bans or restrictions imposed by the domestic legislation of the country in which a UEFA competition match is taking place also apply. Teams must obtain written authorisation from the UEFA administration for all
160 Un esempio è dato dal brand Marlboro, che figurava sulle monoposto Ferrari in Formula 1 e sulle moto Ducati in MotoGP, il quale a seguito del divieto di sponsorizzazioni in questione venne sostituito con il disegno di un codice a barre visivamente simile e riconducibile allo stesso brand.
161 Article 2 – Purpose – UEFA Equipment Regulations: “The aim of these regulations is to regulate the use of equipment in UEFA competitions by ensuring equal treatment of clubs, UEFA member associations, manufacturers and sponsors in a spirit of fair play and support the rapid and unambiguous identification of players by the referees, spectators and TV viewers”, in xxxxx://xxxxxxxxx.xxxx.xxx
sponsor advertising in accordance with Article 6”. Da ciò si evince come la UEFA vieti qualsiasi tipo di sponsorizzazione di tabacco e superalcolici all'interno delle proprie competizioni. Inoltre, il secondo comma avvalora gli eventuali divieti specifici imposti in materia dalle legislazioni nazionali dei paesi nei quali hanno luogo le competizioni, affermandone l'applicabilità.
Una limitazione analoga, lato sponsor, riguarda le aziende operanti nel settore delle scommesse sportive, soprattutto in ragione del fatto che la normativa in materia è piuttosto recente. Nello specifico, il D.L. n. 87 del 2018 (c.d. "Decreto Dignità"), convertito nella L. 9 agosto 2018, n. 96, all'articolo 9, comma 1, ha stabilito il divieto di pubblicità per giochi e scommesse: “Ai fini del rafforzamento della tutela del consumatore e per un più efficace contrasto del disturbo da gioco d'azzardo […] è vietata qualsiasi forma di pubblicità, anche indiretta, relativa a giochi o scommesse con vincite di denaro nonché al gioco d'azzardo, comunque effettuata e su qualunque mezzo, incluse le manifestazioni sportive, culturali o artistiche […]. Dal 1° gennaio 2019 il divieto di cui al presente comma si applica anche alle sponsorizzazioni di eventi, attività, manifestazioni, programmi, prodotti o servizi e a tutte le altre forme di comunicazione di contenuto promozionale, comprese le citazioni visive e acustiche e la sovraimpressione del nome, marchio, simboli, attività o prodotti la cui pubblicità, ai sensi del presente articolo, è vietata”.
Inoltre, attraverso il comma 2 è stata enunciata la sanzione – di natura pecuniaria
– inflitta in caso di inosservanza delle disposizioni citate, fissata per un importo “pari al 20 per cento del valore della sponsorizzazione o della pubblicità e in ogni caso non inferiore, per ogni violazione, a euro 50.000”, a carico del committente (sponsor). Infine, il comma 5 ha previsto un'eccezione per i contratti di pubblicità in corso di esecuzione alla data di entrata in vigore del decreto-legge, per i quali è rimasta applicabile la normativa previgente fino alla scadenza, e comunque per non oltre un anno. Tale eccezione, secondo l'indirizzo fornito dall'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni (AGCOM) e condiviso dal Ministero dell'Economia, era stata ritenuta valida anche per i contratti di sponsorizzazione162.
162 Così si evince dal parere esposto dall'Agcom nel 2019, in risposta alla richiesta di chiarimenti inoltrata dall'allora presidente della Lega Serie A, Xxxxxxx Xxxxxxxx. Dunque, è stato ritenuto che anche i contratti di sponsorizzazione in corso di esecuzione al 12 luglio 2018, data di entrata in vigore del Decreto Dignità, rientrino nell'ambito applicativo della deroga stabilita con l'art. 9, comma 5.
Come si evince dal testo citato, in Italia, a partire dal 2019, è stato introdotto il divieto di sottoscrivere contratti di sponsorizzazione per le aziende del settore delle scommesse. Tale disposizione ha fortemente interessato il mondo dello sport e in particolare del calcio, a maggior ragione se si considera che nel 2017, ad esempio, erano ben 11 i club iscritti al campionato di Serie A ad aver formalizzato un accordo con un "betting sponsor": più della metà163. Il divieto posto dal legislatore ha avuto un impatto economico considerevole sul calcio italiano, con mancati introiti stimati complessivamente per i club in 100 milioni di euro a stagione sportiva164.
In sintesi, si è visto come nell'ambito dei contratti di sponsorizzazione esistano alcuni limiti che caratterizzano la parte dello sponsor. I casi analizzati, riguardanti le sponsorizzazioni pubbliche attive e le società operanti nel settore del tabacco e delle scommesse, ne forniscono una rappresentazione concreta.
Con riferimento agli obblighi contrattuali dello sponsor, egli è tenuto a versare il corrispettivo pattuito in favore del soggetto sponsorizzato; corrispettivo che, come evidenziato in precedenza, può essere di natura economica, ovvero consistere in forniture di prodotti o servizi. Inoltre, il contributo conferito dallo sponsor può essere determinato in un ammontare fisso, oppure rappresentare un importo variabile - in tutto o in parte - attraverso l'inserimento di clausole contrattuali in grado di modularlo con riferimento a parametri quali i risultati raggiunti o dati oggettivi, come, ad esempio, il tasso di ascolto raggiunto da un evento. A tal proposito, parte della dottrina ha ritenuto che, qualora l'ammontare non sia precisamente determinato, possa essere applicato l'art. 2225 c.c. sul contratto d'opera, ove si afferma che il corrispettivo viene stabilito dal giudice “in relazione al risultato ottenuto e al lavoro normalmente necessario per ottenerlo”. Tale tesi, però, non è esente da rilievi critici, in quanto le obbligazioni dello sponsee sono di diligenza e non di risultato165.
163 Dati tratti da "Serie A, spopolano i "betting partner": 11 club sponsorizzati da agenzie di scommesse", 19 ottobre 2017, in xxxxx://xxx.xxxxxxxxxxxxxx.xx
164 Dati tratti da “Scommesse: il fallimento del Decreto Dignità”, 14 aprile 2020, in xxxxx://xxx.xxxxxxxxxxxxxx.xx
165 X. XXXXXXXX, Sport e diritto. L’attività sportiva fra performance e vita quotidiana, Padova- Milano, 2020, p. 236. Con riferimento all’applicabilità dell’art. 2225 c.c., cfr. X. XXXXXXXX – C. ELESTICI, op. cit., p. 226
L’altra parte del contratto di sponsorizzazione è lo sponsee, ossia il soggetto che concede all’azienda sponsor il diritto di utilizzare il proprio nome e la propria immagine, quale controprestazione di un finanziamento in danaro o di una utilità economica. Come si è già osservato, è possibile individuare un’ampia serie di soggetti ed eventi idonei ad essere sponsorizzati: singoli atleti, club (o scuderie), Federazioni e manifestazioni sportive.
Con riferimento alla sponsorizzazione di un singolo atleta, una questione dibattuta in dottrina concerne la possibilità per il minore di età di assumere il ruolo di contraente sponsee. Il contratto di sponsorizzazione, avendo rilevanza patrimoniale, rientra necessariamente nel più ampio concetto di amministrazione, da intendersi come qualsiasi attività economica o giuridica che può essere svolta in relazione ad un determinato patrimonio166. A tal proposito è necessario stabilire se la stipulazione di un contratto di sponsorizzazione da parte di un atleta minorenne sia qualificabile in termini di ordinaria amministrazione, per cui è sufficiente il consenso dei soggetti esercenti la potestà genitoriale oppure, viceversa, rientri negli atti di straordinaria amministrazione, per i quali è necessaria la previa autorizzazione del giudice tutelare. Una parte della dottrina, argomentando che l’atto non comporterebbe alcuna modificazione negativa della situazione patrimoniale del minorenne, ha ritenuto di doverlo qualificare come di ordinaria amministrazione. Un altro orientamento, tuttavia, in considerazione della consistenza degli interessi patrimoniali coinvolti e della circostanza per cui, di solito, al contratto di sponsorizzazione si accompagna l’utilizzazione del diritto di immagine del minore per scopi pubblicitari167, ritiene che
166 Per approfondire si veda A. ALBANESE, Gli atti di ordinaria e straordinaria amministrazione nel diritto privato, Torino, 2007, pp. 1141 – 1167
167 Sul tema della necessità dell’autorizzazione alla diffusione dell’immagine del minore cfr. V. M. XXXX, I contratti della pubblicità, Torino, 1999, p. 138 , il quale ricorda come in proposito si riscontrino nel pensiero giuridico due opposti orientamenti, giacché taluno propende per l’appartenenza dei contratti per l’utilizzazione dell’immagine alla categoria degli atti eccedenti l’ordinaria amministrazione, motivando peraltro tale scelta in base più ad esigenze di protezione della personalità del minore che non a quelle di tutela del suo patrimonio (le quali, secondo la scelta legislativa, stanno alla base della distinzione fra le due categorie di atti), mentre altri sembrano optare per la soluzione contraria sul presupposto che nell’atto siano in primo luogo coinvolti interessi di natura personale del
si tratti di un atto di straordinaria amministrazione168 che, come tale, ai sensi dell’art. 320 c.c., richiederebbe, oltre al consenso di entrambi i genitori esercenti la potestà sul figlio minore, anche l’autorizzazione del giudice tutelare. Il giudice chiamato a concedere l’autorizzazione dovrà, comunque, non solo valutare i profili di opportunità economica del contratto di sponsorizzazione ma anche la compatibilità dello stesso con le necessità formative del xxxxxx000. In relazione a quest’ultima opinione dottrinaria è però stata mossa una prima obiezione circa l’arbitrarietà dell’utilizzazione della distinzione tra atti di ordinaria e di straordinaria amministrazione in merito alla cessione dell’immagine del minore per finalità pubblicitarie: tale suddivisione, infatti, è operata esclusivamente in relazione ai rapporti patrimoniali. In quest’ottica, l’autorizzazione del giudice tutelare, dunque, andrebbe esclusa non in ragione della qualificazione dell’atto in termini di straordinaria amministrazione, ma in quanto atto personale, sia pure caratterizzato da risvolti patrimoniali, per il quale risulta sufficiente la rappresentanza legale dei genitori ai sensi dell’art. 320, comma 1, c.c.170. Una seconda obiezione muove dal fatto che il soggetto sponsorizzato, nell’ipotesi in esame, non è un qualsiasi minore, bensì un soggetto che è già parte dell’ordinamento sportivo per effetto di un precedente atto di tesseramento. Sicché l’esame preventivo del giudice dovrebbe semmai concentrarsi sull’atto del tesseramento ove si ritenga che il tesseramento minorile consista in un atto di straordinaria amministrazione, sebbene anche tale conclusione non sembra condivisibile per la ragione che nell’esercizio di ogni attività sportiva la stipulazione di contratti di sponsorizzazione è una eventualità prevedibile ed anzi auspicabile171.
Talune criticità sono state rilevante anche nell’ambito della sponsorizzazione di Federazioni sportive. Il Decreto legislativo 23 Luglio 1999 n. 242 (il c.d. decreto Melandri di riordino del CONI) all’art. 15, secondo comma, ha eliminato la definizione delle Federazioni sportive come organi del CONI (stabilita dall’art.5 della legge n. 426/1942 e in termini più restrittivi dall’art. 2 del DPR n. 157/1986) e ha sancito per
minore, i quali solo indirettamente possono avere un riflesso sul patrimonio di quest’ultimo, ciò che non renderebbe necessaria l’autorizzazione del giudice tutelare.
168 X. XXXXX, op. cit., p. 2
169 Ibidem
170 M. BIANCA, Sponsorizzazione, in Digesto delle discipline privatistiche - sezione commerciale, XV, Torino, 1998, p. 151
171 X. XXXXXX – X. XXXXXXX, op. cit., pp. 233-234
queste, pur continuando ad escluderne il fine di lucro172, la natura di associazioni con personalità giuridica di diritto privato sottoposte alla disciplina del codice civile per gli aspetti non espressamente disciplinati dal decreto xxxxxx000. In tal modo la nuova normativa ha eliminato tutti i problemi legati alla natura pubblica o privata di tali Federazioni, che nella pratica avevano fatto sorgere discussioni relative alle procedure da adottarsi per la conclusione di contratti di sponsorizzazione con le stesse174. Infatti, prima di tale intervento, sulla natura giuridica delle Federazioni sportive vi erano pareri discordanti, poiché, da un lato, le stesse erano definite come organi del CONI (sulla cui natura pubblica peraltro vi erano altrettanti dubbi) e, dall’altro, godevano però di autonomia organizzativa e gestionale. Di conseguenza, nei casi in cui si propendeva per la natura pubblica delle Federazioni sportive, l’iter di stipulazione di un contratto di sponsorizzazione con esse avrebbe necessariamente richiesto l’osservanza delle rigide procedure pubblicistiche, che essendo volte ad assicurare l’imparzialità e il buon andamento, imponevano l’individuazione del contraente più favorevole mediante gare ad evidenza pubblica. Tale procedura, però, mal si adatta al contratto di sponsorizzazione, nel quale la valutazione comparata delle offerte è assai problematica essendo questo caratterizzato da elementi dinamici e mutevoli e da una forte base fiduciaria. Per superare tali problemi dottrina175 e giurisprudenza176, anticipando le soluzioni della nuova normativa, tendevano, quindi, a riconoscere la natura giuridica pubblica delle Federazioni sportive solo per quelle attività coincidenti coi fini propri del CONI, mentre per le restanti, che erano le più numerose e tra le quali rientravano sicuramente quelle di sponsorizzazione non essendo istituzionalmente
172 Pertanto il ricorso alla sponsorizzazione da parte delle Federazioni sportive è finalizzato al recupero delle somme erogate nell’esercizio della propria attività. Cfr. L. CAVANDOLI, op. cit
173 L’art. 2, comma 2, del DPR n. 157/1986 statuiva che “le federazioni sportive nazionali sono organi del Comitato olimpico nazionale italiano relativamente all'esercizio delle attività sportive ricadenti nell'ambito di rispettiva competenza.”. L’art. 15 del D.Lgs. 242/1999, invece, al comma secondo ha stabilito che “le federazioni sportive nazionali e le discipline sportive associate hanno natura di associazione con personalità giuridica di diritto privato. Esse non perseguono fini di lucro e sono soggette, per quanto non espressamente previsto nel presente decreto, alla disciplina del codice civile e delle relative disposizioni di attuazione”.
174 X. XXXXXXXX, Il contratto di sponsorizzazione e le federazioni sportive nazionali, in Economia e diritto del terziario, 1998, I, pp. 137-144
175 In dottrina, per la natura giuridica ibrida o mista delle Federazioni sportive nazionali si veda X. XXXXXXXX, Le federazioni sportive nazionali fra diritto pubblico e diritto privato, in Diritto e giurisprudenza, 1989, p. 10; X. XXXXXX – F. VERDE, Il diritto sportivo, IV ed., Padova, 2015, p. 119
176 Cass., Sez. Un., 9 maggio 1986, n. 3091 e Cass., Sez. Un., 9 maggio 1986, n. 3092, in Il Foro
Italiano, Vol. 109, n. 5, maggio 1986, pp. 1251 ss.
demandate dal CONI alle Federazioni, propendevano per il loro inserimento tra le c.d. attività di diritto privato. A sostegno di tale tesi, infatti, si faceva riferimento all’autonomia organizzativa e gestionale delle Federazioni sportive e si riteneva che l’art. 9 della Legge 31 gennaio 1992 n. 138, che prevedeva la possibilità per le Federazioni di avvalersi delle norme di diritto privato nella stipulazione dei contratti, non riguardasse tanto la fase di esecuzione del contratto, nella quale non ci sono sensibili differenze tra contratto di diritto privato e quello di diritto pubblico, ma piuttosto quella prodromica, costituita appunto dall’individuazione del contraente e dalle modalità di formazione del contratto. Sulla base di questi orientamenti dottrinali e giurisprudenziali, e soprattutto in seguito al decreto Melandri, si può pacificamente concludere che le Federazioni sportive sono da considerare a pieno titolo soggetti di diritto privato, inquadrati in un sistema pubblicistico, che esercitano ora poteri di autonomia privata ora potestà amministrative, con applicazione di regimi giuridici differenti in ragione della natura dell’atto di volta in volta in rilievo. Non esiste, infatti, alcuna preclusione a che nella medesima figura soggettiva coesistano momenti di autonomia privata e momenti di discrezionalità amministrativa. Dunque, il tradizionale rilievo pubblicistico delle Federazioni sportive può dirsi, oggi, definitivamente transitato dal profilo formale della natura giuridica del soggetto al profilo sostanziale dell’attività svolta e degli interessi perseguiti177.
Dal punto di vista delle prestazioni a carico dello sponsee, è possibile affermare che il campo delle possibilità è maggiormente ampio rispetto al caso della controparte sponsor. In generale, vale il punto fermo rappresentato dalla natura della prestazione a carico del soggetto sponsorizzato, la quale non è di risultato, bensì di diligenza. Ciononostante, è indiscusso il fatto che il comportamento dello sponsee debba risultare propositivo e finalizzato - nei limiti delle possibilità di cui il soggetto sponsorizzato dispone - a permettere alla controparte contrattuale di ottenere i risultati voluti.
177 X. XXXXXXXXXX, voce Sport, in Dizionario di diritto pubblico, diretto da X. XXXXXXX, vol. VI, Milano, 2006, p. 5683
In via generale, ai sensi dell’art. 1325 c.c. i requisiti del contratto sono: l’accordo, la causa, l’oggetto e la forma, quando risulta che è prescritta dalla legge a pena di nullità. Tali elementi sono essenziali per la sussistenza e la validità di qualsiasi contratto, sia esso tipico sia esso atipico come nel caso del contratto di sponsorizzazione, dal momento che la mancanza di uno di questi requisiti è espressamente prevista come causa di nullità del contratto dall’art. 1418. c.c.
L’accordo rappresenta l’espressione della volontà delle parti e può essere definito ai sensi dell’art. 1321 c.c. come il reciproco consenso delle parti in ordine alla costituzione, modificazione o estinzione di un rapporto giuridico patrimoniale, cioè in ordine al programma contrattuale che in questo caso specifico è di sponsorizzazione178. Dall’analisi della prassi emerge come in genere la formazione della volontà delle parti in relazione ad un rapporto di sponsorizzazione, data la mancanza di una espressa e specifica disciplina della fattispecie in questione, avvenga attraverso una intensa fase di trattative nel corso delle quali le parti si preoccupano di prevedere e regolare minuziosamente ogni singolo aspetto del rapporto che intendono instaurare. Allo stesso tempo, però, la sempre maggiore standardizzazione del contenuto dei contratti di sponsorizzazione, unitamente alla forza economica-contrattuale assunta da alcuni sponsor e sponsee nel mondo dello sport consente anche l’affermarsi della prassi dei
c.d. contratti di sponsorizzazione di adesione che, ai sensi dell’art. 1342 c.c., sono predisposti in moduli o formulari da una parte e sottoscritti dall’altra, che se non eliminano del tutto la fase delle trattative la riducono inevitabilmente a singole e particolari clausole179.
Come anticipato, talune Federazioni sportive possono anche prevedere la sottoposizione degli accordi di sponsorizzazione ad una preventiva autorizzazione o ratifica da parte della Federazione stessa, che assume, quindi, come si desume dallo stesso contenuto del contratto, l’efficacia di condizione sospensiva180. In particolare, per i contratti di abbinamento, ammessi per le squadre di pallacanestro, pallavolo,
178 X. XXXXXXXX – C. ELESTICI, op. cit., p. 205
179 Così A. XXXXXXXX, op. cit., pp. 380-381
180 M. XXXXXX, op. cit., p. 130
rugby e ciclismo, è necessaria la preventiva approvazione della relativa Federazione per il cambio di denominazione sociale. Nel calcio, invece, gli abbinamenti non sono ammessi e i contratti di sponsorizzazione, in seguito alla modifica dell’art. 25 Regolamento Lega Nazionale Professionisti apportata dal Comunicato Ufficiale 16 aprile 1999 n. 349, non sono più soggetti ad una specifica procedura di ratifica, sostituita da un preventivo controllo solo sulla divisa per l’autorizzazione all’apposizione di scritte o marchi pubblicitari sulla stessa.
Durante le trattative, si possono verificare delle situazioni o comportamenti che, non permettendo il raggiungimento dell’accordo conclusivo o determinando la conclusione di un accordo invalido e inefficace, vanno a ricadere nell’ambito delle ipotesi di responsabilità precontrattuale ai sensi dell’art. 1337 c.c., che sancisce il dovere di comportarsi secondo buona fede durante lo svolgimento delle trattative e nella formazione del contratto. Una ipotesi di responsabilità precontrattuale per ingiustificata interruzione delle trattative si potrebbe verificare, ad esempio, nel caso in cui lo sponsor, dopo aver formulato un’offerta allo sponsee, abbandona le trattative in quanto il fine della sua proposta non era tanto quello di concludere con esso un accordo di sponsorizzazione, quanto quello di bloccare l’offerta di un’altra impresa commerciale concorrente. In tal caso, lo sponsee, essendo stato indotto dolosamente a confidare ragionevolmente nella conclusione di un contratto che non si è concluso, può chiedere ex art. 1338 c.c. il risarcimento del danno per l’interesse negativo, cioè per aver perso la possibilità di essere sponsorizzato da altre imprese commerciali. A tal riguardo si deve evidenziare nella prassi della sponsorizzazione sportiva la ricorrente stipulazione di accordi preliminari o di patti di opzione attraverso i quali le parti si assicurano, anticipatamente e a titolo oneroso, l’obbligo della controparte di stipulare il contratto definitivo o l’irrevocabilità della proposta di sponsorizzazione o la prosecuzione del rapporto181. Ipotesi, invece, di responsabilità precontrattuale, che comportano la conclusione di accordi invalidi, si potrebbero verificare nel caso in cui lo sponsee taccia dolosamente sul fatto che contemporaneamente abbia stipulato altri contratti di sponsorizzazione con imprese concorrenti dell’impresa-sponsor oppure sulle sue precarie condizioni fisiche, tali da potergli impedire di svolgere la propria attività sportiva così come nei casi in cui l’impresa sponsor taccia dolosamente, al
181 X. XXXXXXXX – C. ELESTICI, op. cit., p. 206
momento della conclusione del contratto, di essere in fase di fallimento. In tali casi, essendo ravvisabile la sussistenza del dolo, si può chiedere l’annullamento del contratto ex art. 1439 c.c. e pertanto il risarcimento del danno ex. art. 1338 c.c., a meno che non si preferisca far valere la responsabilità contrattuale per inadempimento182.
Sotto un profilo generale, risultano ormai del tutto marginalizzate le opinioni dottrinali che riconducevano il concetto di causa alla funzione economico-sociale realizzata dal singolo negozio per proiettare il profilo causale nella sfera degli interessi economico-individuali183. Tale evoluzione assume una rilevanza pratica di estremo rilievo dal momento che, mentre l’accezione di causa quale funzione economico- sociale determinava una sorta di astrazione del profilo funzionale del negozio rispetto ai concreti interessi di cui le parti sono portatrici, la sua ricostruzione quale funzione economico-individuale attualizza la causa concretizzandola e colorandola con le specificità del caso concreto. Incastonando tale discorso all’interno dell’analisi del contratto de quo, si dovrà quindi considerare il complesso dei concreti interessi che le parti intendono realizzare attraverso il contratto di sponsorizzazione che non sembrano ricondursi, per lo sponsor, al mero interesse a che il proprio marchio circoli nel mercato “trasportato” dalla notorietà dello sponsee. Al contrario, ciò che sembra caratterizzare la posizione dello sponsor è che il proprio marchio riceva una caratterizzazione positiva in funzione del fatto che lo stesso venga ad essere esposto in occasione di determinate e specifiche attività o venga affiancato all’immagine di altro soggetto184. In questo senso, se si manifesta la propensione ad individuare la causa del contratto nella mera circolazione del marchio dello sponsor, a nulla rilevando eventuali ulteriori condotte del soggetto sponsorizzato, sembra scontato ritenere che obbligo dello
182 M. XXXXXX, op. cit., p. 131
183 Per un’analisi delle varie e distinte ricostruzioni del concetto di causa del contratto, vedi X. XXXXX, Trattato del contratto, Torino, 2010, pp. 992 ss.
184 In questi termini X. XXXXX DE MARINIS, Causa del contratto di sponsorizzazione ed inadempimento imputabile allo sponsee, in Rassegna di diritto ed economia dello sport, 2015, I, p. 6
sponsee sia esclusivamente quello di accostare il marchio dello sponsor al proprio o di esporlo in determinati eventi185.
La questione cambia ove si valuti il profilo causale del contratto di sponsorizzazione in funzione degli effettivi e concreti interessi delle parti. Tale preferibile orientamento, che trova peraltro riscontri nella giustizia arbitrale186, lascia emergere in maniera piena la funzione effettiva del contratto il quale non avrebbe alcun senso per lo sponsor laddove non prevedesse un obbligo per lo sponsee di salvaguardare, nella misura in cui ciò sia possibile, gli interessi pubblicitari del primo187. Questo implicherebbe non solo l'obbligo per il soggetto sponsorizzato di apporre il marchio o i segni distintivi dello sponsor su beni dei quali ha la disponibilità o in occasione di determinati eventi, ma anche l'obbligo di fare in modo che l'attività oggetto di sponsorizzazione venga portata a termine in maniera corretta ed onorevole e tale, cioè, da non porre in pericolo le legittime aspettative di ritorno pubblicitario auspicate dallo sponsor188. Ciò, ovviamente, non vuol dire dare rilevanza al concreto raggiungimento del positivo risultato pubblicitario da parte dello sponsor189 ma, piuttosto, significa dare risalto al fatto che la legittima aspettativa del raggiungimento dello stesso non venga frustrata attraverso condotte riprovevoli o inopportune del soggetto sponsorizzato190.
185 L. XXXXXXXX, Un leading case della Cassazione in materia di sponsorizzazione: l’importanza della correttezza dello sponsee, in Responsabilità civile e previdenza, 2007, III, pp. 558 ss.
186 Coll. Arb. Milano, 25 maggio 1990, in Il Diritto dell’informazione e dell’informatica, 1991, p.
642
187 Si veda V. M. FUSI – P. TESTA, op. cit., p. 473; M. V. DE GIORGI, op. cit., p. 120
188 In questi termini X. XXXXX XX XXXXXXX, op. cit., p. 7; sul punto si veda anche V. M. FUSI, op.
cit., p. 215
189 Questa sembra la preoccupazione della dottrina che aderisce alla posizione che ricostruisce la causa del contratto di sponsorizzazione nella mera diffusione del marchio dello sponsor. Si veda P. TESTA, La tutela aquiliana dei diritti dello sponsor, in Il Diritto dell’informazione e dell’informatica, 1990, p. 185
190 Questa posizione è stata espressa da A. FRIGNANI – A. DESSI – X. XXXXXXXXXX, op. cit., p. 65, ove si afferma: “va ricordato, anzitutto, che obiettivo fondamentale del contratto di sponsorizzazione è il ritorno […]. Non si può, in ogni caso, generalizzare, partendo dal presupposto che tutte le volte che gli effetti del ritorno non si siano verificati, o si siano verificati in misura inferiore al previsto, si è in presenza di un inadempimento. Bisognerà invece considerare se tale mancato effetto, o se tale imprevista riduzione rientri nella c.d. alea normale del contratto, oppure no. Non sempre, infatti, nella sponsorizzazione è possibile stabilire un target di diffusione di immagine”.
Per oggetto del contratto si intende il contenuto sostanziale del contratto, ossia ciò che le parti hanno stabilito per la realizzazione del loro rapporto contrattuale. In relazione ai requisiti dell’oggetto l’art. 1346 c.c. statuisce che l’oggetto del contratto deve essere possibile, lecito, determinato o determinabile e l’art. 1418 c.c. prevede la mancanza di uno di questi requisiti come causa di nullità del contratto con la conseguenza, quindi, che anche l’oggetto del contratto di sponsorizzazione, affinché questo sia valido ed efficace, deve soddisfare tali requisiti.
In primis, quindi, la prestazione deve risultare possibile, realizzabile concretamente, di fatto e di diritto: nel primo caso, si pensi al contratto che coinvolga uno sponsee che non sia mai esistito o che non esista più perché soggetto a fallimento tempo prima; nel secondo caso, invece, si consideri il tentativo di un imprenditore di sottoscrivere una title sponsorship con una squadra del campionato di calcio di Serie A, con il fine di abbinare un proprio brand al nome del club, pratica che risulta essere vietata, come visto in precedenza.
Per quanto riguarda la liceità dell’oggetto, intesa come la non contrarietà dell’oggetto a norme imperative, all’ordine pubblico e al buon costume, la dottrina è unanime nel riconoscere ormai al contratto in questione una sua liceità originaria desumibile sia dalle norme tributarie, statali, regionali che lo riguardano, sia dalla sua intensa diffusione soprattutto nel mondo sportivo. Per riprendere quanto detto precedentemente, un esempio di contratto di sponsorizzazione avente un oggetto illecito potrebbe riguardare ad oggi l'accordo tra uno sponsor produttore di sigarette ed una scuderia iscritta al campionato di Formula 1.
Per quanto riguarda invece la determinatezza o la determinabilità dell’oggetto, si deve fare una distinzione tra l’obbligazione principale dello sponsor e quella dello sponsee. L’obbligazione dello sponsor, consistendo in un versamento in denaro o/e in una fornitura di mezzi o servizi, è in genere sempre determinata o comunque determinabile. Anche nel caso-limite in cui le parti non abbiano fissato l’ammontare del corrispettivo, si è già avuto modo di affermare come la dottrina ritenga che sia applicabile in via analogica l’art. 2225 c.c., in tema di contratto d’opera, che stabilisce
appunto che il corrispettivo, se non è convenuto dalle parti e non può essere determinato secondo le tariffe professionali o gli usi, è stabilito dal giudice.
Per quanto riguarda, invece, l’obbligazione dello sponsee, che si sostanzia nelle varie modalità di veicolazione e diffusione del segno dell’azienda sponsor risultanti dal contratto, autorevole dottrina191 sottolinea che anche nei casi in cui tali prestazioni siano previste con formule generiche, quali “lo sponsee farà quanto necessario per divulgare il marchio dello sponsor”, le stesse sono comunque determinabili e certe sulla base di una interpretazione complessiva delle clausole del contratto o attraverso l’esame della prassi contrattuale192, che permette di individuare una serie di obbligazioni tipiche che hanno dato ormai al contratto di sponsorizzazione una sua precisa fisionomia.
L'ultimo requisito elencato dall’art. 1325 c.c. è quello della forma. Nell'ordinamento giuridico italiano vige il principio della libertà di forma, fatte salve le ipotesi in cui sia prescritta dalla legge sotto pena di nullità. Come è agevole intuire, non è questo il caso del contratto di sponsorizzazione sportiva, a maggior ragione se si considera che esso rappresenta un contratto atipico, non previsto, né disciplinato dalla legge.
Nella prassi, per la tipologia del contratto in questione si è soliti ricorrere sempre alla forma scritta193, soprattutto nelle vesti di scrittura privata, nonostante rimanga comunque possibile il carattere dell’oralità. I motivi di questa scelta sono facilmente intuibili, in quanto in caso di controversia la forma scritta soddisferebbe le esigenze probatorie e contribuirebbe ad eliminare quante più incertezze possibili sul contenuto del contratto, sulle modalità di esecuzione dello stesso e sul contenuto di eventuali clausole inserite, considerando inoltre l'utilità ai fini fiscali - soprattutto per la
191 Per approfondire M. XXXXXX, op. cit., p. 210
192 X. XXXXXX – X. XXXXXXX, op. cit., p. 237
193 C. D’ORTA – X. XXXXXXXXXX, op. cit., p. 41
deducibilità delle spese per lo sponsor - di un contratto scritto. Infine, la previsione della forma scritta permette alle parti di predeterminare il foro competente, nonché il diritto applicabile in caso di controversie194.
194 X. XXXXXXXX – C. ELESTICI, op. cit., pp. 209-211
CAPITOLO 3
SOMMARIO: 3.1. Clausole inerenti ai rapporti tra le parti. – 3.1.1. (Segue): “Morality clauses”.
– 3.1.2. (Segue): Clausola risolutiva. – 3.1.3. (Segue): Clausola di valorizzazione e clausola di riduzione del corrispettivo. – 3.1.4. (Segue): Clausola di esclusiva. – 3.1.5. (Segue): Clausola di non concorrenza e accordo di riservatezza. – 3.1.6. (Segue): Clausole di durata: opzione, prelazione e rinnovo. – 3.1.7. (Segue): Clausole relative alla disciplina della fase successiva alla scadenza del contratto. – 3.1.8. (Segue): Ulteriori clausole rilevanti. – 3.2. Le c.d. “boilerplate clauses” nell’esperienza degli ordinamenti di common law. – 3.3. L’inadempimento della sponsorizzazione sportiva nella prassi giurisprudenziale.
3.1. Clausole inerenti ai rapporti tra le parti.
È necessario, in seguito all’analisi degli requisiti essenziali del contratto di sponsorizzazione sportiva, considerare le pattuizioni accessorie, modellate dallo sponsor e dallo sponsee al fine di personalizzare e caratterizzare al meglio l’accordo sulla base delle rispettive esigenze. Proprio per questo motivo, è assolutamente frequente l'aggiunta di clausole contrattuali con l’obiettivo, ad esempio, di tutelare l'immagine delle parti, di limitarne il potere decisionale o la responsabilità con riferimento a determinate azioni della controparte, di offrire un'esclusiva o semplicemente di garantire la correttezza; per quanto riguarda le sponsorizzazioni sportive è poi consuetudine per lo sponsor ricorrere alle c.d. “clausole di valorizzazione del corrispettivo”, in grado di istituire incentivi da elargire a seguito del raggiungimento di determinati risultati spostivi da parte dello sponsee. In aggiunta, si consideri che è frequente l'inserimento di clausole contrattuali che disciplinino i rapporti tra le parti anche con riferimento ad una fase successiva alla scadenza del contratto.
In effetti, l'insieme delle clausole utilizzate nella prassi contrattualistica risulta essere vasto ed eterogeneo, in quanto – in particolare nel caso di contratti particolarmente onerosi – spesso le parti preferiscono definire e disciplinare ogni singolo aspetto del proprio rapporto, in una logica di tutela preventiva. In realtà, questa tendenza a regolamentare in maniera puntuale ogni aspetto al fine di creare uno strumento utile alla risoluzione di eventuali future controversie direttamente attraverso il contratto stesso è propria degli ordinamenti di common law, nei quali il ruolo del legislatore è differente rispetto a quello che lo stesso ricopre nei sistemi di civil law come quello italiano. Ecco dunque che una buona parte delle clausole utilizzate nei contratti di sponsorizzazione nazionali ed internazionali trova origine nei modelli contrattuali proposti nei Paesi di common law.
3.1.1. (Segue): “Morality clauses”.
Tali clausole possono essere considerate come imprescindibili all'interno dei contratti di sponsorizzazione, in quanto la finalità di accordi di questo tipo è proprio quella di valorizzare l'immagine dello sponsor, nonché accrescerne la notorietà, sfruttando la visibilità che uno sponsee particolarmente noto è in grado di offrire.
Dunque, ogni comportamento o dichiarazione lesivo dell'immagine di una delle parti non solo risulterebbe dannoso così come accadrebbe per qualsiasi altra tipologia di contratto, ma configurerebbe anche un'azione dal significato diametralmente opposto rispetto all'originaria volontà che aveva spinto sponsor e sponsee a contrarre. In effetti, il contratto di sponsorizzazione, come si è già avuto modo di descrivere in precedenza, ritrae l’accordo tra due parti intenzionate ad operare in totale sinergia per il periodo di durata del negozio, con un legame talmente stretto da indurre gli osservatori esterni a sovrapporre le immagini delle parti. È solo in questo modo che una sponsorizzazione può realmente essere efficace: la stretta connessione tra le parti rappresenta un fattore critico di successo.
Ciò detto, l'immagine delle parti può essere tutelata mediante l'inserimento di una specifica clausola contrattuale, attraverso la quale affermare l'impegno reciproco dei contraenti a non mettere in atto comportamenti che possano ledere l'immagine dell'uno o dell'altro.
È opportuno specificare che tali clausole hanno un raggio d’azione maggiormente ampio, nonché obiettivi in parte differenti se si considera il caso dello sponsee singolo atleta. Infatti, se per l'accordo che coinvolge una società sportiva l'interesse primario in tema di tutela dell'immagine e di correttezza è quello di evitare che gli esponenti dell'una o dell'altra parte rilascino dichiarazioni potenzialmente lesive per la controparte contrattuale, nel caso dello sponsee singolo atleta, il significato – ma anche il campo operativo – di una clausola a tutela dell'immagine si amplia notevolmente, in quanto, oltre ad una casistica di possibili lesioni dell'immagine dello sponsor, ampliata dagli eventi che caratterizzano la vita privata dell'atleta e che, se particolarmente gravi, spesso si ripercuotono anche sull'attività sportiva, si coinvolge il c.d. right of publicity, cioè il diritto per ciascun individuo di gestire la propria immagine e trarne profitto. In tal senso, se le prestazioni dell'atleta si riferiscono, ad esempio, ad uno sport individuale, ed egli stesso non risulta in ogni caso essere tesserato da alcuna società, club o scuderia, l'atleta può disporre della propria immagine come meglio crede.
Chiaramente, il fine di una clausola a tutela dell'immagine delle parti è quello di eliminare, o meglio, limitare, il pericolo di azioni lesive che potrebbero concretizzarsi nel caso in cui il rapporto tra i contraenti dovesse deteriorarsi195. A tal fine, si prevede una tutela preventiva in particolare nei confronti dello sponsor, che normalmente viene considerato la “parte forte” del contratto, riservandogli la facoltà, ad esempio, di concludere anticipatamente il rapporto nel caso in cui rilevasse azioni lesive della propria immagine da parte dello sponsee, con il beneficio – se previsto per mezzo di una specifica clausola penale – di ricevere inoltre dalla controparte una somma di denaro prestabilita a titolo di risarcimento del danno cagionato.
Le morality clauses, ormai inserite di prassi nei contratti di sponsorizzazione sportiva, non tutelano esclusivamente l'immagine delle parti, ma più in generale permettono una significativa riduzione dell’alea normale-economica del contratto in
195 Cfr. G. FACCI, La sponsorizzazione sportiva e la violazione della buona fede: questioni vecchie e nuove, in Responsabilità civile e previdenza, 2011, III, pp. 523-540
questione196. Di recente ideazione sono alcune clausole morali che vanno a perseguire comportamenti dello sponsee irrilevanti da un punto di vista penale e/o dell’ordinamento sportivo, ma che tuttavia potrebbero essere potenzialmente idonei ad urtare la sensibilità dell’opinione pubblica197. Inoltre, nel caso di contratti di sponsorizzazione di società sportive, talvolta viene fatto riferimento ad eventuali comportamenti della tifoseria della squadra, riconducibili a violenza o razzismo e perciò considerabili come lesivi dell'immagine di essa. In concreto, tuttavia, ci si domanda se tali comportamenti messi in atto da tifosi, e dunque da soggetti che non rappresentano in modo ufficiale il club, possano effettivamente ledere indirettamente l'immagine di uno sponsor. Ciò che è certo è che lo sponsor nell’ipotesi descritta, qualora non fosse presente nel contratto una clausola specifica – anche con effetti risolutivi – si troverebbe in una situazione di impossibilità oggettiva di agire a tutela della propria immagine, in quanto il “danno ingiusto” descritto dall'art. 2043 c.c. verrebbe provocato solo di riflesso, rendendo di fatto difficile risalire agli elementi soggettivi e oggettivi richiesti. Infine, considerare la possibilità di una responsabilità
196 X. XXXXXXXXXX, op. ult. cit., pp. 274-275
197 Tale tipologia di clausole morali ha trovato, tuttavia, una rigida censura in ambito giurisprudenziale. La Sezione specializzata in materia di impresa (A) del Tribunale di Milano, con sentenza n. 1699 pubblicata il 9 febbraio 2015, ha stabilito che “l’impegno che assume lo sportivo a comportarsi, per l’intera durata del contratto con correttezza e lealtà e nel rispetto di elevati principi etici, senza causare alcun danno alla sua immagine e/o reputazione non può che ritenersi riferito principalmente all'ambito professionale. È chiaro, infatti, che la scelta di un determinato soggetto come testimonial per la promozione di prodotti che non hanno alcuna attinenza con la sua attività deriva proprio dalla notorietà e dalla fama che quel soggetto ha conquistato presso il pubblico dei consumatori per le capacità dimostrate nello svolgimento dell'attività professionale che lo ha reso famoso ed ammirato. Ne deriva che [...] i comportamenti dell'atleta principalmente idonei a minare in modo rilevante la sua immagine pubblica sono quelli che riguardano la sua vita professionale o che comunque risultano in grado di compromettere quelle qualità personali per cui è noto al grande pubblico e che sono indubbiamente alla base della scelta imprenditoriale di farne un testimonial di prodotti a largo consumo. Taluni comportamenti dell'atleta ben possono quindi giustificare la risoluzione del contratto da parte dello sponsor - ad es. una squalifica per doping o il tenere gravi condotte antisportive durante le gare o il venir meno senza giustificato motivo ai suoi impegni professionali ecc. – in quanto costituiscono evidenti violazioni dell'obbligo di comportarsi in modo corretto e leale e il venir meno a taluni principi etici propri di qualunque disciplina sportiva. [...] Il venir meno all'obbligo di non ledere la propria immagine non può ravvisarsi in scelte di carattere strettamente privato che nulla hanno a che vedere con la professionalità del testimonial o in comportamenti dello stesso che attengono alla sua sfera sessuale, alle sue idee politiche o al credo religioso”. In questo modo il Tribunale di Milano, pronunciandosi sul celebre “caso Xxxxxxx”, ha tracciato una netta dicotomia tra le morality clauses realmente in grado di ledere i principi di correttezza e lealtà necessari per la stipula di un contratto – e per i quali è ammissibile individuare una forma precostituita di inadempimento – da altre che rientrano nella sfera personalissima dello sponsee e che quindi non possono essere oggetto di censura contrattuale.
oggettiva imputabile allo sponsee sarebbe probabilmente eccessivo, in quanto i tifosi non sono contrattualmente legati ad esso.
Sebbene l'inserimento di morality clauses ampli notevolmente la tutela delle parti, in assenza di una espressa previsione contrattuale delle stesse rimangono comunque fermi i doveri dello sponsor e dello sponsee di comportarsi secondo i principi di buona fede e correttezza nell'esecuzione del contratto. In ogni caso, vi sono numerose ipotesi di comportamenti dello sponsee in grado di incidere negativamente, in maniera più o meno diretta, sull'immagine dello sponsor198. A titolo esemplificativo, si pensi a quanto accaduto a seguito dello scandalo – noto con il termine “Calciopoli” – prodotto da una serie di atti di frode sportiva ed illeciti sportivi, nonché penali, commessi dai dirigenti della Juventus FC al fine di alterare i risultati sportivi e favorire la squadra bianconera. Dopo la conseguente retrocessione nel campionato di Serie B 2006/2007, l'allora jersey sponsor, Tamoil, aveva comunicato la propria intenzione di esercitare la clausola di rescissione prevista dal contratto, salvo poi decidere di rinegoziarlo a cifre nettamente inferiori199. Ecco dunque che la condotta negativa messa in atto dai dirigenti del club torinese, culminata nell’inevitabile provvedimento adottato dalla Giustizia sportiva, ha prodotto un rilevante danno all'immagine della squadra, sortendo un effetto profondamente significativo anche sul rapporto contrattuale con gli sponsor, i quali hanno in parte rivisto al ribasso le cifre o hanno deciso di terminare la propria collaborazione. È rilevante in tal senso anche la richiesta di risarcimento dei danni avanzata dagli sponsor nei confronti della Federcalcio francese a seguito della partecipazione al Campionato Mondiale di calcio del 2010, svoltosi in Sudafrica con esiti sportivi molto deludenti per la nazionale francese. Alcuni sponsor lamentavano dei danni all'immagine subiti, mentre lo sponsor tecnico Adidas contestava un danno patrimoniale derivante dalla mancata vendita di quasi 200mila maglie da gioco della
198 Si consideri, tuttavia, che il danno può essere causato anche all'immagine dello sponsee, a causa di un comportamento pregiudizievole riconducibile allo sponsor. Si pensi al particolare caso dello Schalke 04, club di calcio tedesco, che il 24 febbraio 2022 ha comunicato che, a seguito dell'azione militare operata dalla Russia sul territorio ucraino, fortemente criticata dall'opinione pubblica perché contraria ai principi del diritto internazionale e al concetto di sovranità, sulle proprie divise da gioco non comparirà più il marchio dello sponsor “Gazprom” azienda energetica russa parzialmente controllata dallo Stato, in quanto riconducibile indirettamente alle azioni intraprese dalla Russia stessa.
199 Questi dati sono pubblicati a p. 72 del Prospetto informativo di sollecitazione e quotazione relativa alla offerta in opzione agli azionisti di massime n. 80.621.332 azioni ordinaria Juventus Football Club S.p.A., in xxxxx://xxx.xxxxxxxx.xxx/xx
stessa selezione nazionale, imputando il mancato guadagno proprio agli scarsi risultati ottenuti sul campo200.
Alla luce di quanto osservato, ci si è domandati se una debacle sportiva possa configurare o meno una violazione della buona fede contrattuale. In tal senso, si ritiene che il buon esito della performance offerta dallo sponsee non rientri nell'ambito dell'obbligazione oggetto di un contratto di sponsorizzazione, ma che invece esso possa configurare, ad esempio, l'attivazione di una clausola di adeguamento del corrispettivo, se inserita nell'accordo201. È possibile dunque affermare che nel caso della Francia sarebbero state vane le richieste avanzate dagli sponsor, almeno in termini generali e in assenza di particolari clausole risolutive inserite nei contratti. Nel caso della Juventus, invece, sarebbe forse necessario prestare maggiore attenzione, dovendo considerare una condotta negativa messa in atto volontariamente dagli stessi dirigenti della società e valutare l'estensione del danno di immagine oggettivamente subito dallo stesso club anche agli sponsor, proprio nell'ottica della citata sovrapposizione di immagine tra le parti, caratteristica principale del contratto de quo. Dunque, si ritiene ben differente il caso di una retrocessione in un campionato minore a seguito di un provvedimento della giustizia sportiva da quello di una retrocessione dettata da scarsi risultati ottenuti sul campo. In effetti, a conferma di ciò nelle Carte Federali si riscontrano segnali di apertura rispetto alla legittimazione dello sponsor, tanto che, ad esempio, l’art. 29 del Codice di Giustizia Sportiva della F.I.G.C., dopo aver conferito la legittimazione ad agire esclusivamente ai soggetti affiliati o tesserati (commi 1 e 2), riconosce detta legittimazione, nei casi di illecito sportivo, anche ai “terzi portatori di interessi indiretti, compreso l’interesse in classifica” (comma 3)202. In ogni caso, per rimediare all’evenienza di sanzioni disciplinari ad opera della Giustizia sportiva nei confronti dello sponsee pare opportuno disciplinare ex ante – per mezzo di una moral clause – le conseguenze sul rapporto contrattuale eventualmente
200 “Francia, conto salato. Sponsor chiedono danni”, in xxxxx://xxx.xxxxxxxxxx.xx/, 29 luglio 2010
201 Cfr. G. FACCI, op. ult. cit., pp. 529-532. Lo stesso Autore rileva un’eccezione in tal senso: qualora si configurasse un insuccesso sportivo riconducibile ad una scorretta ed imprudente gestione tecnica della società e se il risultato negativo non fosse stato determinato da altri eventi rappresentanti l'alea inerente l'attività sportiva (infortuni), ci si troverebbe davanti ad un caso eccezionale, in cui potrebbe ravvisarsi un inadempimento. Pertanto, la buona fede impone allo sponsorizzato di mettere in atto comportamenti che non pregiudichino il ritorno atteso dallo sponsor, sia in termini di immagine, sia in termini economici. Il principio di buona fede pone specifici doveri e regole di condotta, anche se non previsti espressamente nel contratto.
202 Al riguardo, G. FACCI, op. ult. cit., p. 533; G. VIDIRI, op. ult. cit., p. 15
derivanti da una situazione come quella appena descritta, prevedendo ad esempio la facoltà per lo sponsor di recedere dal contratto qualora la sanzione inflitta allo sponsee sia talmente gravosa da incidere sulla partecipazione dello stesso alle competizioni previste, con la conseguente impossibilità sopravvenuta di eseguire la prestazione oggetto della sponsorizzazione.
3.1.2. (Segue): Clausola risolutiva.
In concreto, lo sponsor può essenzialmente assoggettare le obbligazioni dello sponsee a due strumenti di tutela, che se inseriti nel contratto possono essere attivati a seguito di inadempimento della controparte: le clausole risolutive espresse e le clausole penali.
Per quanto concerne le clausole penali gli effetti della loro attivazione sono ben evidenziati nell'ordinamento italiano dall'art. 1382 c.c., il quale prevede che: “La clausola, con cui si conviene che, in caso d'inadempimento o di ritardo nell'adempimento, uno dei contraenti è tenuto a una determinata prestazione, ha l'effetto di limitare il risarcimento alla prestazione promessa, se non è stata convenuta la risarcibilità del danno ulteriore. La penale è dovuta indipendentemente dalla prova del danno”. La particolarità di tale pattuizione è data dalla risarcibilità del danno ulteriore che secondo il codice civile non spetta alla parte che si avvale della clausola, salvo che sia diversamente convenuto. Questa forma di tutela si adatta perfettamente a quei contratti di sponsorizzazione sportiva in cui il finanziamento dello sponsor, destinato ad atleti e club di prima fascia, ha per oggetto ingenti quantità di denaro; in questo caso qualora lo sponsee non adempia i suoi obblighi, lo sponsor ottiene una somma che normalmente coprirà l’intero danno subito. Inoltre, allo sponsor viene riservato il vantaggio di reclamare il danno ulteriore nelle eccezionali ipotesi in cui l’ammontare della penale non copra sufficientemente il danno economico sofferto203.
203 In questi termini M. XXXXXX, op. cit., p. 157
Con riferimento, invece, alle clausole risolutive espresse, esse sono previste dall'art. 1456 c.c., secondo cui “I contraenti possono convenire espressamente che il contratto si risolva nel caso che una determinata obbligazione non sia adempiuta secondo le modalità stabilite. In questo caso, la risoluzione si verifica di diritto quando la parte interessata dichiara all'altra che intende valersi della clausola risolutiva”.
Come si evince dal contenuto dell'articolo, tali pattuizioni rappresentano lo strumento estremo di tutela, in quanto prevedono la possibilità di risolvere il contratto attraverso una semplice dichiarazione qualora la controparte risultasse inadempiente per una o più obbligazioni predeterminate. In effetti, la clausola risolutiva espressa può avere ad oggetto diversi eventi, ma l'obiettivo rimane in generale quello di limitare il normale rischio economico derivante dalla sponsorizzazione sportiva, riservando la possibilità di risolvere il contratto con effetto immediato nelle ipotesi descritte.
Tendenzialmente tali clausole sono legate a tutte quelle situazioni di non appareance dello sponsorizzato e/o di interferenza d’immagine negative, che di fatto comportano ritorni pubblicitari minori e/o negativi204. Riprendendo alcuni esempi di clausole morali, è possibile prevedere la facoltà per lo sponsor di risolvere il contratto con effetto immediato qualora lo sponsee subisca un provvedimento sanzionatorio da parte della Giustizia sportiva, oppure nel caso di risultati sportivi particolarmente deludenti, quali il mancato raggiungimento di determinati obiettivi o la retrocessione in una serie minore. Inoltre, rappresentano ipotesi valide la copertura o la mancata apposizione del logo dello sponsor sugli spazi pattuiti, il mancato rispetto dell'esclusiva rilasciata, la mancata presenza – se prevista – degli atleti in rappresentanza della società sponsorizzata ad uno o più eventi organizzati dallo sponsor, oppure il rilascio di dichiarazioni gravemente lesive dell'immagine della controparte.
È opportuno ricordare che la clausola risolutiva espressa fornisce la facoltà di risolvere il contratto, ma non opera automaticamente, in quanto è necessario che la parte interessata dichiari alla controparte di volersene avvalere. In effetti, non è certo che lo sponsor abbia sempre e comunque interesse a risolvere il rapporto in caso di inadempimento: in determinati casi, ad esempio, si intende fare leva sulla c.d. pubblicità negativa prodotta dalle azioni dello sponsee. In altre situazioni, invece, si
204 X. XXXXXXXXXX, op. cit., p. 274
ritiene che la colpa della controparte non sia particolarmente grave o certa e si preferisce mantenere l'investimento perché le cifre pattuite risultano in ogni caso vantaggiose in rapporto ai benefici ottenuti.
Nonostante ciò, rimane comunque frequente l'utilizzo di clausole risolutive espresse anche a carico dello sponsor, nel caso in cui durante il periodo di esecuzione del contratto risultasse sottoposto a fallimento o ad altre procedure concorsuali, non versasse il corrispettivo per un certo periodo di tempo, rilasciasse dichiarazioni gravemente lesive dell'immagine dello sponsee o, ancora, violasse determinate clausole presenti nel contratto, come ad esempio quelle relative alla necessaria approvazione preventiva da parte dello sponsee per campagne pubblicitarie messe in atto dallo sponsor.
Pertanto, in sede di negoziazione occorre che le parti determinino esattamente quali obbligazioni siano essenziali a tal punto che il loro inadempimento legittimi la controparte allo scioglimento anticipato del rapporto e quali, viceversa, seguano le previsioni di cui agli artt. 1453 ss. c.c., che affidano alla parte non inadempiente la scelta di agire per la risoluzione o per l’adempimento.
3.1.3. (Segue) Clausola di valorizzazione e clausola di riduzione del corrispettivo.
Nell'ambito delle sponsorizzazioni sportive è particolarmente diffuso l'utilizzo di clausole attraverso le quali si prevedono eventuali futuri aumenti del corrispettivo versato dallo sponsor in relazione a particolari traguardi – sportivi e commerciali – raggiunti dallo sponsee durante una o più stagioni sportive nelle quali il contratto ha efficacia. Le clausole di valorizzazione del corrispettivo, comunemente identificate con il termine “bonus”, rappresentano oggi una consolidata prassi.
Oggetto di tali clausole è l'obbligazione accessoria – assunta dallo sponsor – di corrispondere allo sponsorizzato un importo aggiuntivo prefissato al raggiungimento di determinati obiettivi predeterminati, in aggiunta a quanto pattuito in misura fissa per il solo adempimento della prestazione principale del contratto, ovvero quella di
veicolare i segni distintivi. L'utilità risulte essere duplice e a vantaggio di entrambe le parti: lo sponsor incentiva il soggetto sponsorizzato, squadra o atleta che sia, a fornire prestazioni sportive sempre migliori, in un'ottica premiale e ottenendo maggiore visibilità grazie ai risultati raggiunti dallo stesso; d'altra parte, lo sponsee, sarà maggiormente propenso ad impegnarsi nella propria attività sportiva per ottenere una remunerazione maggiore dalla sponsorizzazione, riducendo almeno idealmente le probabilità che i risultati raggiunti siano talmente insoddisfacenti da comportare evidenti diseconomie per lo sponsor205. In realtà, si potrebbe considerare che tale ultimo presupposto possa valere più che altro nell'ambito di un rapporto contrattuale con un atleta, in quanto le prestazioni sportive in tal caso dipenderebbero esclusivamente dal singolo, il quale riceverebbe la totalità dei benefici da esse derivanti. Nel caso di una società sportiva, invece, il discorso perderebbe forse il proprio significato, in quanto gli atleti da essa tesserati, i quali la rappresentano nelle competizioni, difficilmente potrebbero ricevere i benefici promessi dallo sponsor, che invece andrebbero alla società-sponsee, a meno di una previsione da parte della stessa società di bonus per i medesimi risultati. In questo caso, le motivazioni potrebbero evidenziarsi invece, ad esempio, in un maggiore impegno della società sportiva nel creare una squadra competitiva. A titolo esemplificativo, l'Inter FC con la vittoria del campionato di Serie A 2023/24 potrebbe incassare una somma aggiuntiva al corrispettivo fisso in base agli accordi siglati con diversi sponsor: il club di Via della Liberazione riceverebbe un ingente bonus dal main sponsor Paramount+ per aver raggiunto la qualificazione alla UEFA Champions League, al quale si aggiungerebbero quelli di Nike come sponsor tecnico e U-Power come back sponsor – per citarne alcuni
– come riconoscimento per la vittoria del massimo campionato italiano di xxxxxx000.
È opportuno chiarire che in nessun caso lo sponsee potrà essere considerato inadempiente qualora non dovesse raggiungere uno o più risultati legati ai bonus
205 Inoltre, si rileva che determinati sponsor considerano l'inserimento di numerose clausole di valorizzazione del corrispettivo (in particolare proponendo ingenti premi aggiuntivi) come un modo per abbassare la parte fissa dell'importo previsto contrattualmente senza tuttavia perdere appeal nei confronti dello sponsee e inducendolo a firmare in ogni caso. In questo modo, lo sponsor è in grado di ridurre l'importo che sarà sicuramente tenuto a versare, compensando ciò con un ingente bonus, consapevole del fatto che tale conferimento risulterà obbligatorio esclusivamente se e quando lo sponsorizzato sarà in grado di raggiungere i risultati prefissati.
206 Dati tratti da “Financial Results of Inter Media and Communication S.p.A for the six months ended December 31, 2023” in xxxxx://xxx.xxxxx.xx/
stabiliti attraverso queste clausole, in quanto tali obiettivi sono da considerarsi come accessori all'obbligazione principale assunta dallo xxxxxx000.
Con riferimento, invece, alle clausole di riduzione del corrispettivo, esse assolvono ad una funzione opposta alla precedente. Dunque, le clausole di riduzione del corrispettivo offrono allo sponsor un'alternativa per gestire un ritorno di immagine minore o negativo senza ricorrere alla risoluzione del contratto, che potrebbe risultare eccessiva. Tali pattuizioni consentono semplicemente di ridurre il corrispettivo dovuto, mantenendo intatto il vincolo contrattuale e ristabilendo un equilibrio tra il valore della prestazione economica dello sponsor e quello della prestazione offerta dallo sponsee. Perché l'applicazione di una clausola di questo tipo possa risultare adeguata, è necessario che l'inadempimento della controparte non sia talmente grave da disperdere il senso e l'utilità del contratto. Un esempio pratico potrebbe essere rappresentato da una clausola di riduzione del corrispettivo pattuito attivabile a seguito di un particolare obiettivo sportivo non centrato dallo sponsee, come la permanenza in un determinato campionato di calcio o di basket.
3.1.4. (Segue): Clausola di esclusiva.
La possibilità per lo sponsee di intrattenere contemporaneamente rapporti contrattuali con molteplici aziende, operanti in differenti settori, impone allo stesso di determinare in maniera dettagliata, in ogni singolo contratto, le opportunità di veicolazione del marchio offerte al singolo sponsor, e in particolare i diritti di cui lo stesso è titolare in esclusiva208.
L'esclusiva pattuita contrattualmente può risultare assoluta o relativa, in base alla volontà delle parti. Nel primo caso, lo sponsee non potrà accordarsi con nessun altro sponsor, indipendentemente dal fatto che operi o meno nello stesso settore merceologico dell'azienda che ha ottenuto l'esclusiva, per siglare contratti aventi il
207 In senso analogo si veda X. X. XXXXXXX – G. SAVORANI, op. cit., p. 435
208 In tal senso si veda X. XXXXXX – X. XXXXXXX, op. cit., p. 153
medesimo oggetto di quello già stipulato. Nel secondo caso, invece, il divieto risulta essere meno esteso, in quanto limitato alle sole aziende direttamente concorrenti209. Soprattutto in quest'ultimo caso, frequentemente le parti – su richiesta dello sponsor – si accordano per prolungare il divieto anche oltre la durata del contratto, al fine di scongiurare l'eventualità che alla scadenza la qualifica venga acquisita da un diretto competitor210.
Infine, l'esclusiva può essere concessa anche con riferimento ad un determinato livello di sponsorizzazione, a cui lo sponsee può decidere di far corrispondere diversi diritti ed opportunità altrimenti non ottenibili211.
3.1.5. (Segue): Clausola di non concorrenza e accordo di riservatezza.
Come accennato nel paragrafo precedente, la possibilità di una contemporanea presenza di rapporti contrattuali intrattenuti dallo sponsee con una pluralità di sponsor, oltre a favorire l'inserimento di clausole di esclusiva, ha portato le parti e, in particolare, lo sponsor, a ricercare ulteriori strumenti di tutela attraverso la clausola di non concorrenza. Attraverso tale clausola, per l'intera la durata del contratto, il soggetto sponsorizzato si impegna nei confronti della controparte a non concludere accordi della stessa tipologia con imprese concorrenti dello sponsor, il quale ottiene così l'evidente beneficio di ottenere un migliore ritorno di immagine.
Talvolta, lo sponsor richiede alla controparte di estendere l'efficacia di tali clausole anche oltre la naturale scadenza del contratto, al fine di mantenere maggiormente il
209 X. XXXXXXXXXXXXX, I contratti di sponsorizzazione e la sponsorizzazione occulta (il c.d. “product placement”), in X. XXXXXXXX (a cura di), Sponsorizzazione e pubblicità, Atti del convegno di Parma, 15 aprile 1988, Milano, 1989, p. 69-71, pp. 88-89; M. XXXXXX, op. cit., p. 159; X. XXXXXXXXXX, op. ult. cit., p. 274
210 In tal senso V. FALCE, I contratti di sponsorizzazione, in A. M. GAMBINO (a cura di), I contratti di pubblicità e di sponsorizzazione, in Trattato di Diritto Commerciale, II, 3.VII, Torino, 2012, pp. 66- 67
211 A. XXXXXXXX, op. cit., pp. 414-415
ricordo della propria immagine saldamente legata a quella dello sponsee e sfruttare interamente gli effetti di tale pratica212.
Infine, si è rilevata in dottrina213 l'opinione secondo la quale le clausole di non concorrenza così come intese nell'ambito dei contratti di sponsorizzazione sportiva, ricoprirebbero in concreto una funzione di garanzia nei confronti dello sponsor e non ricadrebbero nell'ambito di applicazione dell'art. 2596 c.c., rubricato “Limiti contrattuali della concorrenza”, il quale dispone che “il patto che limita la concorrenza deve essere provato per iscritto. Esso è valido se circoscritto ad una determinata zona o ad una determinata attività, e non può eccedere la durata di cinque anni. Se la durata del patto non è determinata o è stabilita per un periodo superiore a cinque anni, il patto è valido per la durata di un quinquennio”.
In effetti, come noto, nel caso della sponsorizzazione le parti contraenti non sono due soggetti che operano nello stesso settore commerciale e la clausola in analisi non ha in senso stretto la finalità ultima di limitare la concorrenza per evitare la costituzione di monopoli, mantenendo così inalterati determinati equilibri preesistenti in un settore economico. Come si è detto, tale clausola avrebbe invece una funzione di garanzia di un ritorno di immagine maggiore per lo sponsor.
È inoltre possibile che lo sponsor, sempre con l'obiettivo di non ricevere la concorrenza di altre imprese, richieda allo sponsee di stipulare parallelamente un accordo di riservatezza, c.d. “non-disclosure agreement” o “confidentiality agreement”. Tali pattuizioni solitamente sorgono in relazione alla negoziazione in corso tra le parti per la sponsorizzazione sportiva, in quanto il mondo dello sport, soprattutto se si considerano le singole discipline, rappresenta una realtà relativamente piccola; perciò, vi è una tendenza da parte dei contraenti, ma, in particolare, da parte dello sponsor, a ricercare una maggiore riservatezza nelle fasi preliminari della negoziazione, soprattutto se si desidera limitare la concorrenza. In particolare, si vuole evitare che aziende concorrenti possano essere informate della trattativa e delle relative cifre in discussione, al fine di scongiurare il pericolo che esse possano inserirsi con delle proposte migliori per lo sponsee. Vi sono tuttavia alcuni limiti che vengono riconosciuti nei confronti del rispetto degli obblighi di riservatezza che si
212 In senso analogo X. XXXXXXXX – C. ELESTICI, op. cit., p. 231
213 Si veda, in tal senso, A. XXXXXXXX, op. cit., pp. 412-413
sottoscrivono: in primo luogo, le informazioni riservate potrebbero divenire di dominio pubblico per colpa non imputabile alle parti; in secondo luogo, potrebbe accadere che tali informazioni siano già note ad altri soggetti esterni alla trattativa prima che le parti sottoscrivano l'accordo, oppure che vengano comunicate all'esterno da un soggetto terzo non vincolato dall'accordo di riservatezza; in terzo luogo, laddove una delle parti sia obbligata per legge a condividere le informazioni riservate oggetto dell'accordo a un tribunale o alla Borsa, poiché società quotata.
Infine, si consideri che tali accordi possono essere sottoscritti, come detto, in fase pre-contrattuale, ma sono altrettanto utilizzati anche nel periodo successivo alla scadenza del contratto214.
3.1.6. (Segue): Clausole di durata: opzione, prelazione e rinnovo.
Gli effetti del contratto di sponsorizzazione si estendono, in modo continuo o periodico, sulla base della volontà dei contraenti, i quali ne determinano anche l'estensione temporale. Nello specifico, con riferimento alla sponsorizzazione sportiva, si rileva una sostanziale differenza tra sponsorship di singoli eventi e manifestazioni poco frequenti, per i quali è possibile che il contratto abbia una durata anche limitata al breve intervallo di tempo in cui la manifestazione sportiva si realizza, e contratti conclusi con singoli atleti o società sportive, ove generalmente la durata dell'accordo si estende per un minimo di una o due stagioni sportive. Ad eccezione dei c.d. lifetime contracts215, alla scadenza del contratto lo sponsorizzato è libero da ogni vincolo con lo sponsor e può dunque intavolare trattative o accettare proposte contrattuali da parte di altri soggetti. In questo scenario, al fine di vincolare lo sponsee ed evitare che al termine del contratto egli possa liberamente accordarsi con il miglior offerente, la controparte potrebbe richiedere l'inserimento di due differenti clausole all'interno dell’accordo: la clausola di opzione e quella di prelazione.
214 I. S. BLACKSHAW, Sports marketing agreements: legal, fiscal and practical aspects, Berlin, 2012, pp. 67-72
215 Si veda nota 76.
La clausola di opzione consente allo sponsor di evitare che lo sponsorizzato possa trattare con un altro soggetto per un nuovo accordo immediatamente al termine del rapporto giuridico, fino a una data prefissata216. In questo modo, egli potrebbe assicurarsi indirettamente una sorta di prelazione per un eventuale nuovo contratto qualora ne avesse interesse, essendo l'unico soggetto – almeno con riferimento a una determinata tipologia di sponsorship o a un determinato settore merceologico – in grado di trattare, fino alla scadenza del periodo di operatività della clausola in questione.
In effetti, un vero e proprio diritto di prelazione può essere accordato allo sponsor per mezzo di una clausola specifica. Con la clausola di prelazione, invece, lo sponsor si riserva il diritto di stipulare un nuovo contratto di sponsorizzazione col medesimo soggetto obbligandolo a preferirlo, a parità di condizioni, ad altri potenziali contraenti, nel caso in cui alla scadenza del contratto di sponsorizzazione lo sponsee intenda procedere alla conclusione di un nuovo accordo in materia,
Comunque, è possibile che in alcuni casi vengano adottate dalle parti delle soluzioni personalizzate e particolari, nel segno dell'autonomia contrattuale riservata alle stesse. Ad esempio, è possibile – ed è frequente per quanto riguarda le sponsorizzazioni sportive di atleti – che venga inserito l'obbligo per lo sponsee di informare la controparte nel caso in cui durante gli ultimi sei mesi di validità del contratto, lo stesso dovesse ricevere da concorrenti dello sponsor proposte contrattuali analoghe a quella sottoscritta; qualora lo sponsee non rispettasse tale eventuale obbligo sottoscritto e qualora lo sponsor ne venisse a conoscenza, il primo sarebbe ovviamente chiamato a risponderne.
Infine, un ulteriore strumento di tutela per lo sponsor è rappresentato dalle clausole di rinnovo in forza delle quali lo stesso si riserva il diritto di rinnovare il contratto in essere alle stesse condizioni e per la medesima durata nel caso in cui lo sponsorizzato non comunicasse, entro una determinata data prestabilita, la propria decisione di non rinnovare il rapporto giuridico. In tal caso, dunque, il contratto verrebbe rinnovato unilateralmente qualora lo sponsor avesse interesse a procedere in tal senso e ad avvalersi della clausola e manifestasse tale interesse mediante una comunicazione formale prima della data di scadenza dell'accordo in essere.
216 X. XXXXXXXX, Elementi di diritto privato sportivo, 2013, p. 176
3.1.7. (Segue): Clausole relative alla disciplina della fase successiva alla scadenza del contratto.
Come si è visto, è possibile che nei contratti di sponsorizzazione le parti decidano di inserire delle previsioni contrattuali volte a regolare anche un periodo successivo a quello di validità ed efficacia dell'accordo. Il fine ultimo di questo tipo di iniziative sarebbe da identificare ancora una volta nella volontà reciproca di ridurre – per quanto possibile – l’insorgere di controversie. In effetti, lo sponsor che decidesse di continuare a sfruttare l'immagine dello sponsee anche a seguito della scadenza dell'accordo sottoscritto, attuerebbe un comportamento che inevitabilmente porterebbe a delle conseguenze giudiziarie, anche qualora tale situazione venisse espressamente vietata per mezzo di una clausola ad hoc. Tuttavia, proprio nell'ottica di fare del contratto uno strumento in grado di prevenire eventuali controversie nel modo più efficace e completo, spesso si ritiene che la scelta migliore per le parti sia quella di chiarire preventivamente e in forma scritta la posizione che assumerebbero reciprocamente a seguito di comportamenti scorretti. Tutto ciò, oltre ad offrire certezze alle parti, permette alle stesse di disporre di uno strumento oggettivo – il contratto – con il quale dimostrare l'eventuale scorrettezza o inadempimento della controparte.
Nella prassi, come si evince dalla dottrina217, la tendenza sembra essere quella di inserire un'unica clausola, attraverso la quale stabilire che a seguito della scadenza del contratto, né lo sponsor, né lo sponsorizzato possono vantare reciprocamente alcun diritto correlato all'utilizzo dell'immagine e dei segni distintivi della controparte.
A tal riguardo, a livello giudiziario esiste una tutela a prescindere dall'inserimento effettivo di una clausola di questo tipo: la giurisprudenza del Tribunale di Milano218 ha stabilito in passato che il comportamento dello sponsor che continua ad utilizzare l'immagine e i segni distintivi dello sponsee anche a seguito della scadenza
217 A. XXXXXXXX, op. cit., p. 425
218 Trib. Milano, 8 febbraio 1990, con nota di X. XXXXXXX, in Il Diritto dell’informazione e dell’informatica, 1993, p. 126
dell’accordo di sponsorizzazione e senza una autorizzazione può essere qualificato come concorrenza sleale nei confronti dell'eventuale nuovo sponsor, nonché come contraffazione, in quanto a seguito della scadenza del contratto in essere le parti non possono più vantare un diritto reciproco di sfruttamento dell'immagine e dei segni distintivi: sarebbe dunque un utilizzo non autorizzato espressamente.
Allo stesso modo, qualora fosse invece lo sponsee a comportarsi scorrettamente attuando il medesimo comportamento nei confronti dell'ex sponsor, vi sarebbe margine per considerare l'azione abusiva e censurabile, in quanto anche in questo caso mancherebbe il necessario consenso all'utilizzo dell'immagine e dei segni distintivi, necessario ex art. 10 c.c. e art. 96 Legge sul diritto d'autore. Sarebbe legittima, nell'opinione della Corte di Cassazione219, la richiesta del risarcimento dei danni subiti, facendo riferimento al compenso ricevuto nel medesimo periodo dallo sponsee per una situazione analoga.
Infine, si consideri che nella prassi le parti identificano un breve periodo – solitamente sei mesi – successivo alla scadenza del contratto, durante il quale si acconsente a continuare a usufruire reciprocamente dell'immagine e dei segni distintivi, al fine di terminare le eventuali campagne di marketing avviate e smaltire l'eventuale materiale ancora a disposizione. Allo stesso tempo, qualora lo sponsorizzato dovesse sottoscrivere un nuovo accordo con un differente sponsor già durante tale periodo, sarà opportuno inserire in tale contratto una clausola di tolleranza attraverso la quale il nuovo partner commerciale, preso atto della possibilità che il precedente sponsor sia stato espressamente autorizzato ad utilizzare l'immagine e i segni distintivi dello sponsee ancora per un breve periodo, nulla oppone a tale pratica220.
219 Cass., Sez. I, 11 ottobre 1997, n. 9880 (c.d. sentenza Xxxxxx), con nota di E. PODDIGHE, in Nuova giurisprudenza civile commentata, 1998, V, p. 625
220 A. XXXXXXXX, op. cit., pp. 426-427
3.1.8. (Segue): Ulteriori clausole rilevanti.
Oltre alle clausole fin qui descritte, ve ne sono altre spesso utilizzate nella prassi redazionale dei contratti di sponsorizzazione sportiva.
In primis, vi sono le clausole di non ingerenza, che hanno lo scopo di affermare espressamente l'autonomia delle parti con riferimento alle attività che esse svolgono. Dunque, il contenuto di tali clausole sottolinea come lo sponsor non possa vantare alcun tipo di potere decisionale o diritto di ingerenza riguardo all'attività sportiva, commerciale e gestionale svolta dallo sponsee. Nella prassi, è bene comunque considerare che ciò non sempre accade, soprattutto alla presenza di sponsor particolarmente influenti a livello globale221.
Vi sono poi clausole attraverso le quali è possibile escludere la responsabilità dello sponsee per danni o pregiudizi derivanti da comportamenti riconducibili esclusivamente allo sponsor. L'inserimento di una clausola limitativa della responsabilità è giustificato dalla forte sovrapposizione che si crea tra l'immagine dello sponsor e dello sponsorizzato durante il periodo di efficacia del contratto e l'obiettivo è quello di evitare che tale sovrapposizione possa indurre soggetti terzi a coinvolgere lo sponsee in eventuali vicende giudiziarie riguardanti lo sponsor. In ogni caso, a maggior tutela dello sponsorizzato, è solitamente previsto che lo sponsor sia tenuto a risarcire gli eventuali danni subiti dalla controparte, nonché le spese processuali. Inoltre, è possibile che sia lo sponsor a richiedere una clausola che limiti la responsabilità nei confronti dello sponsee: è questo il caso, ad esempio, delle sponsorizzazioni di manifestazioni sportive, per le quali si ha interesse a limitare la responsabilità relativa a eventuali danni subiti dal pubblico presente o dagli atleti partecipanti. Infine, si rileva che in giurisprudenza222 è orientamento ormai consolidato quello di escludere la responsabilità dello sponsor per danni subiti da soggetti terzi in occasione dell'evento sportivo oggetto della sponsorizzazione, in quanto rappresenta un soggetto diverso rispetto all'organizzatore e al gestore, a prescindere
221 Cfr. X. XXXXXXXX, op. cit., p. 237
222 Cass., Sez. III, 21 maggio 1998, n. 5086, con nota di X. XXXXXX, in Rivista di diritto sportivo, 1998, p. 148
dall'inserimento di una clausola che preveda espressamente la limitazione della responsabilità.
Se si fa riferimento ai contratti di sponsorizzazione tecnica e di fornitura, è inoltre possibile notare come spesso siano presenti delle clausole che tutelano lo sponsorizzato nel caso di eventuali ritardi, imputabili allo sponsor, nella consegna della merce. Con tali clausole si indica un termine preciso entro il quale il fornitore è tenuto ad effettuare la consegna allo sponsee e si prevede che quest'ultimo abbia il diritto di comunicare la risoluzione del contratto – con effetto immediato e senza la necessità di una previa costituzione in mora – nel caso in cui tale termine non venga rispettato per motivi imputabili allo sponsor. Si prevede inoltre un termine entro il quale il fornitore sia tenuto a indicare allo sponsee la presenza di eventuali vizi dei beni oggetto della consegna, con il relativo obbligo di sostituire i beni non idonei entro un ulteriore termine; il rimedio a disposizione dello sponsorizzato è sempre quello della risoluzione del contratto previa contestazione scritta.
Può essere prevista dalle parti – con un'apposita clausola – la possibilità per lo sponsor di cedere a soggetti terzi quanto ad egli spetterebbe in forza del contratto, previa comunicazione allo sponsee della volontà di avvalersi di tale clausola e indicando il soggetto in questione. Dunque, il cessionario, il quale subentra allo sponsor nel rapporto contrattuale, sarà tenuto ad assumere nei confronti dello sponsorizzato i medesimi oneri e diritti previsti. Oltre alla possibilità della cessione dell'intero contratto, può essere prevista la cessione a terzi dei soli diritti di utilizzo dell'immagine dello sponsee, in licenza. La differenza rispetto ad una cessione completa risiede nel fatto che, in questo caso, il licenziatario non ha alcun rapporto diretto con lo sponsee. È necessario tuttavia sottolineare che spesso per i contratti di sponsorizzazione è intenzione delle parti quella di inserire una clausola in senso contrario, a divieto di tale pratica.
Infine, come accade nella gran parte dei contratti, anche nei contratti di sponsorizzazione sono presenti delle clausole relative alla legge applicabile e al foro competente, o clausole arbitrali. Con la prima tipologia, le parti stabiliscono preventivamente la legge che regola il contratto e in base alla quale interpretarlo; ciò risulta essere particolarmente rilevante per le sponsorizzazioni, in quanto frequentemente le parti corrispondono a nazionalità differenti e sono dunque
sottoposte a diritti diversi. Quanto alla clausola relativa al foro competente, l'obiettivo è quello di attribuire la competenza esclusiva ad un determinato tribunale in caso di controversie e qualora fosse necessario l'intervento di un giudice. Con riferimento alle sponsorizzazioni, si consideri tuttavia che solitamente le parti inseriscono una clausola compromissoria o arbitrale, la quale prevede in caso di controversie l'intervento di un collegio di arbitri al fine di interpretare l'accaduto ed eventualmente risolvere il contratto in essere, quantificando anche l'entità dei danni correlati. La possibilità di ricorrere a un collegio arbitrale per dirimere le eventuali controversie viene solitamente preferita, in quanto tale scelta consente di disporre di professionisti competenti non solo dal punto di vista giuridico in generale, ma anche e soprattutto sotto il punto di vista tecnico, con specifico riferimento ai casi di sponsorizzazioni. Inoltre, il ricorso ad un collegio arbitrale può garantire una maggiore riservatezza alle parti e una soluzione della controversia più rapida223.
3.2. Le c.d. “boilerplate clauses” nell’esperienza degli ordinamenti di common law.
Le c.d. “boilerplate clauses” sono clausole ricorrenti nei contratti internazionali. Si tratta di clausole standard solitamente inserite alla fine degli accordi, con lo scopo di rafforzare ulteriormente l'accordo tra le parti, rendendolo giuridicamente “impermeabile” e, per quanto possibile, inattaccabile. Come si è avuto modo di vedere per le clausole trattate in precedenza, anche le boilerplate clauses, per quanto il loro inserimento nei contratti di sponsorizzazione rappresenti ormai una prassi consolidata, devono essere utilizzate solamente qualora si ritenga opportuno farlo e, in ogni caso, personalizzandone il contenuto rispetto alla tipologia e alle caratteristiche dell'accordo in essere tra le parti224. In effetti, spesso tali clausole standard vengono concordate con poca o nessuna negoziazione tra le parti, le quali si limitano a inserirle di prassi alla fine del contratto.
223 Questa è l’opinione di A. XXXXXXXX, op. cit., p. 439
224 I. S. BLACKSHAW, op. cit., p. 471
Tali clausole sono state create e vengono utilizzate regolarmente nei sistemi giuridici di common law in quanto in tali ordinamenti il legislatore non predetermina i principi generali dei rapporti commerciali, ma è proprio lo stesso accordo tra le parti a costituire la legge che disciplina il rapporto. Come conseguenza, diversamente da quanto accade in Italia e negli altri ordinamenti di civil law, nel caso in cui alcune clausole non fossero regolamentate in modo dettagliato nel documento firmato dalle parti, il contratto non potrebbe in alcun modo rinviare a norme generali, come ad esempio avviene in Italia con il Codice Civile. Per questa ragione si sostiene che spesso i contratti internazionali sono molto dettagliati e specifici, soprattutto se una o entrambe le parti provengono da ordinamenti di common law. In uno scenario di questo tipo, le boilerplate clauses ricoprono un ruolo fondamentale al fine di creare un rapporto tra le parti che sia ben regolamentato, nonché uno strumento efficace di risoluzione delle controversie.
Nello specifico, con il termine “boilerplate clauses” viene raggruppato un importante numero di clausole di vario contenuto. Alcune di esse riguardano tematiche già affrontate, come, ad esempio, la scelta della legge applicabile, del foro competente, oppure le modalità di comunicazione ufficiali tra le parti, o, ancora, il requisito della forma scritta e della firma di entrambe le parti per rendere effettive eventuali modifiche al contratto in essere. Molte di queste clausole tendono ad essere standardizzate e, dunque, le parti di solito non trascorrono molto tempo a negoziarle. Tuttavia, proprio perché si tratta di un insieme variegato, vi sono anche alcune di tali clausole che possono avere implicazioni pratiche significative per le parti. Si pensi, ad esempio, che è possibile che alcune di esse includano delle disposizioni in grado di limitare i diritti di cessione del contratto o di definire che determinati eventi di forza maggiore possano giustificare eventuali inadempimenti contrattuali, nonché escludere la responsabilità della parte inadempiente.
Un primo esempio di tale categoria di pattuizioni è la c.d. “amendment clause”, attraverso la quale si enunciano i mezzi a disposizione delle parti per apportare eventuali modifiche al contratto di sponsorizzazione. Di norma, è richiesta la forma scritta, unita all'approvazione per mezzo di una firma apposta da entrambe le parti o da chi le rappresenta. Inoltre, perché siano effettive, le eventuali modifiche sottoscritte dovranno soddisfare il requisito della liceità e, qualora fosse previsto dalle norme poste