UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI NAPOLI FEDERICO II
UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI XXXXXX XXXXXXXX XX
FACOLTA’ DI GIURISPRUDENZA
DOTTORATO DI RICERCA IN
DIRITTO COMUNE PATRIMONIALE XVIII CICLO
TESI
LA PROPORZIONE
TRA LE PRESTAZIONI CONTRATTUALI
Coordinatore Xx.xx Xxxx. XXXXXX XXXXXX
Dottorando Xxxx.
XXXXX XXXXXXX
ANNO ACCADEMICO 2004-2005
INDICE SOMMARIO
PARTE PRIMA
L’EQUILIBRIO CONTRATTUALE NEL DIRITTO COMUNE DEI CONTRATTI
CAPITOLO I
LA NOZIONE DI EQUILIBRIO CONTRATTUALE: EQUILIBRIO NORMATIVO ED ECONOMICO; OGGETTIVO E SOGGETTIVO. LA GIUSTIZIA CONTRATTUALE Pag. 1
CAPITOLO II
L’AUTONOMIA CONTRATTUALE E I CONTRATTI A PRESTAZIONI CORRISPETTIVE Pag. 12
CAPITOLO III
LA TUTELA DELLA PROPORZIONE FRA LE PRESTAZIONI NEL CODICE CIVILE DEL 1942: LA RESCISSIONE; LA RISOLUZIONE PER ECCESSIVA ONEROSITÀ SOPRAVVENUTA.
ALTRI ISTITUTI E MISURE A TUTELA DELLA PROPORZIONALITÀ
Pag. 24
CAPITOLO IV
RILEVANZA DELL’INCAPACITÁ, DEL DOLO E DELL’ERRORE NEI CONTRATTI SPEREQUATI Pag. 59
PARTE SECONDA
L’EQUILIBRIO CONTRATTUALE NELLA GIURISPRUDENZA
CAPITOLO V
DISTINZIONE TRA PREZZO “VILE” E PREZZO “SIMBOLICO” Pag. 67
CAPITOLO VI
EVOLUZIONE SUCCESSIVA VERSO LA “OGGETTIVAZIONE CONTRATTUALE” Pag. 73
CAPITOLO VII
EQUILIBRIO CONTRATTUALE E CLAUSOLA GENERALE DI BUONA FEDE Pag. 105
CAPITOLO VIII
EQUILIBRIO CONTRATTUALE E PRINCIPIO DI EQUITÀ Pag. 157
PARTE TERZA
L’EQUILIBRIO CONTRATTUALE NELLA LEGISLAZIONE SPECIALE
CAPITOLO IX
I CONTRATTI DEL CONSUMATORE Pag. 168
CAPITOLO X
ALTRE NORMATIVE A TUTELA DEL CONSUMATORE Pag. 192
CAPITOLO XI
TUTELA DELL’IMPRENDITORE DEBOLE. LA LEGGE 18 GIUGNO 0000,
X. 000 X XX D. LGS. 9 OTTOBRE 2002, N. 231 Pag. 202
CAPITOLO XII LEGGE7MARZO1996,N.108:DISPOSIZIONIINMATERIADIUSURA Pag. 226
PARTE QUARTA
L’EQUILIBRIO CONTRATTUALE NEI PRINCIPI UNIDROIT E NEI PROGETTI DI CODIFICAZIONE EUROPEA Pag. 253
NOTE DI RIEPILOGO Pag. 277
Bibliografia Pag. 282
PARTE PRIMA
L’EQUILIBRIO CONTRATTUALE NEL DIRITTO COMUNE DEI CONTRATTI
CAPITOLO I
LA NOZIONE DI EQUILIBRIO CONTRATTUALE: EQUILIBRIO NORMATIVO ED ECONOMICO; OGGETTIVO E SOGGETTIVO. LA GIUSTIZIA CONTRATTUALE
Occorre preliminarmente chiarire la nozione di equilibrio in materia contrattuale1.
L’equilibrio può riferirsi tanto al profilo normativo del contratto, inteso come sintesi delle posizioni normative dei contraenti, come assetto contrattuale allocativo di diritti, obbligazioni, oneri, responsabilità e rischi2, quanto al profilo economico, che invece riguarda più specificamente il valore economico delle prestazioni oggetto di scambio, considerate non in se stesse, ma nel complesso dell’operazione economica cui accedono3.
Inoltre, l’equilibrio può essere riferito, oltre che agli elementi oggettivi del contratto (regole e prestazioni), anche alle persone dei contraenti. A tale
1 Sull’argomento, v. X. Xx Xxxx, La nozione di equilibrio nella tematica del contratto, Incontro di studio del C.S.M., 22-24 aprile 2002, in xxx.xxxxxx.xx.; X. Xxxx, Lo
<<squilibrio>> contrattuale tra diritto civile e diritto penale, in Riv. dir. civ., 1999, I, p. 533 ss..
2 X. X’Xxxxxx, Il contratto in generale. La buona fede, in Trattato di Diritto Privato diretto da X. Xxxxxxx, Torino, 2004, pp. 89, 97, 165.
3 X. Xxxxxxxxxx, Studi di Diritto Civile, II, Xxxxxxx, 2003, p. 1690.
xxxxxxx si è soliti distinguere un contraente “forte” e uno “debole”, alludendo alla disparità di forza contrattuale tra le parti4.
La tematica dell’equilibrio contrattuale è strettamente collegata con il concetto di giustizia5.
Infatti, l’istituto dell’equilibrio contrattuale - tanto soggettivo, quanto oggettivo - tende a preservare un assetto di rapporti equi fra le parti contrattuali e, quindi, in definitiva, giusto6.
Pertanto, il quesito fondamentale che si pone in relazione al concetto di equilibrio contrattuale consiste nel chiedersi se quest’ultimo coincida o meno con la nozione di giustizia contrattuale7.
L’espressione “giustizia contrattuale” è molto diffusa nella dottrina civilistica italiana8, sintomo della sempre più crescente attenzione da questa rivolta al problema del contratto “giusto” (o equo)9.
4 A tale distinzione è ispirata tutta la più recente normativa consumeristica.
5 Sulla nozione di giustizia contrattuale x. X. Xxxxxx, Ingiustizia dello scambio e lesione contrattuale, in Riv. critica dir. priv., 1986, p. 257 ss.; X. Xxxxxxx, Autonomia privata e contratto giusto, in Riv. dir. priv., n. 1/2000, p. 21 ss.; U. Breccia, Prospettive nel diritto dei contratti, in Riv. critica dir. priv., 2001, p. 194 ss.. Si può anticipare (ma sul punto si tornerà più avanti) che, in chiave storica, il problema della giustizia contrattuale è stato sempre collegato alla necessità che lo scambio fosse caratterizzato da un “giusto prezzo”, con la conseguente necessità di dover determinare, nel modo più preciso possibile, cosa si dovesse intendere per prezzo giusto e quale potesse essere il valore oggettivo dei beni. Sulla evoluzione dei principi di giustizia in materia contrattuale, v. X. Xxxxxxxx, La proporzione fra le prestazioni contrattuali, Padova, 2003, p. 47 ss..
6 Cfr. X. Xxxxxx, op. cit., p. 257 ss.
7 Sul rapporto tra equilibrio contrattuale e giustizia contrattuale, v. X. Xxxxxxxxxx, op. cit., p. 1691, secondo cui “è evidente che, con buona probabilità, un assetto contrattuale
<<equilibrato>> sia in concreto anche <<giusto>>”. Maggiori perplessità manifesta sul punto
X. Xx Xxxx, op. cit., p. 1 ss., secondo cui <<non è neanche del tutto pacifico se la nozione di “equilibrio contrattuale” debba e/o possa o meno coincidere con quella della “giustizia contrattuale”. In senso negativo possono portarsi argomenti secondo cui la nozione di “equilibrio” si muove e si colloca nell’ottica dello “scambio” (di merci e/o di prestazioni) mentre la nozione di “giustizia contrattuale” vola più alto. Ha riguardo ad esiti o risultati dall’assetto contrattuale che siano conformi ai parametri oggettivi della “giustizia”, ove per “giustizia” si intendono esiti conformi ai dettami della morale sociale, il che coinvolge un giudizio etico, non già solo mercantilistico>>.
Secondo la concezione liberista classica – ormai superata – l’autonomia contrattuale delle parti non può che garantire ai contraenti un risultato giusto: “Qui dit contractuel, dit juste”10.
Infatti, la parte non acconsentirebbe mai ad un accordo destinato ad arrecarle più perdite che vantaggi, e, se il contratto assicura all’una e all’altra parte un vantaggio maggiore della perdita, e le conseguenze dell’accordo sono
8 X. Xxxx, Introduzione alla nuova giurisprudenza, in X. Xxxxxxx-X. Xxxx (a cura di), I contratti in generale, I, Torino, 1991, p. 297 ss.; C. M. Xxxxxx, Diritto civile, III, Il contratto, II ed., Milano, 2000, pp. 32 e 36; X. Xxxxx-X. Xx Xxxx, Xx xxxxxxxxx, XX, Xxxxxx, 0000, p. 3 ss.;
X. Xxxxx, Il contratto, in Trattato di diritto privato, a cura di X. Xxxxxx e X. Xxxxx, Milano 2001, p. 928 ss.; U. Breccia, Causa, in Trattato di diritto privato, diretto da X. Xxxxxxx, vol. XIII, t. XXX, Torino, 1999, p. 71 ss.; X. X’Xxxxxx, Contratto e operazione economica, Torino, 1992, p. 309 ss.; X. Xxxxxxxxxxx, L’autonomia privata e i suoi limiti, in Giur. It., 1999, p. 231;
X. Xxxxxxxxxx, La buona fede e il controllo giudiziale del contratto, in X. Xxxxxxxxx (a cura di), Il contratto e le tutele: prospettive di diritto europeo, Torino, 2002, p. 305 ss.; F. D. Xxxxxxxx, Note in tema di buona fede ed equità, in Riv. dir. civ., 2001, I, p. 556 ss.; X. Xxxxxx, Ingiustizia dello scambio e lesione contrattuale, cit., p. 257 ss.; X. Xxxxx, L’autonomia privata. Diritto dei contratti e disciplina costituzionale dell’economia, Milano, 1999, p. 180 ss.; X. Xxxxx, Autonomia privata e struttura del consenso contrattuale. Aspetti storico-comparativi di una vicenda concettuale, Milano, 2000, p. 405 ss.; Id., Il diritto privato liberista. A proposito di un recente contributo in tema di autonomia privata, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2001, p. 263 ss.; X. Xxxxx, Libertà e giustizia contrattuale, in Studi in onore di X. Xxxxxxxx, XXX, 0, Xxxxxx, 1998, p. 11 ss.; X. Xxxxxxx, Equità e autonomia privata, Milano, 1970, p. 328;
X. Xxxx’Xxxxxx, L’adeguatezza tra i vantaggi nei contratti onerosi, in Studi senesi, XCI, III serie, XXVIII, 1979; X. Xxxxxxxx, Il problema dell’equivalenza fra le prestazioni, in Studi Parmensi, 1983; Ead., Regole del mercato e congruità dello scambio contrattuale, in Contratto e Impresa, 1985, p. 309; T. O. Xxxxxxxxxx, Il problema dell’adeguatezza della prestazione nella rescissione per lesione, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1978, p. 353; X. Xxxxxxxx, Meritevolezza degli interessi ed equilibrio contrattuale, in Contratto e Impresa, 1987, p. 423; X. Xxxxxxx, La categoria del contratto alle soglie del terzo millennio, in Contratto e Impresa, 2000, p. 918; X. Xxxxxxxxxxx, Nuovi profili del contratto, in Riv. critica dir. privato, 2001, p. 223; X. Xxxxx, Errore sul valore e congruità dello scambio contrattuale, in Contratto e Impresa, 2001, p. 987; X. Xxxxxx, L’equilibrio delle posizioni contrattuali nei Principi Unidroit, in Eur. dir. priv., 2002, p. 23; X. Xxxxxxx (a cura di), Equilibrio delle posizioni contrattuali ed autonomia privata, Milano, 2002.
9 Cfr. X. Xxxxx-G. De Nova, Il contratto, t. I, in Trattato di diritto civile, diretto da X. Xxxxx, Torino, 2004, p. 22, “Il giurista desidera - ha sempre desiderato - che il contratto, previsto e regolato dal diritto, sia giusto. Egli respinge istintivamente l’idea di un contratto ad un tempo ingiusto ed efficace”.
10 È questa la celebre massima di Fouillé, citata in Xxxxxxx, Le contrat, in Xxxxxx xx xxxxx xxxxx, XX, Xxx xxxxxxxxxxx, 0, XX xx., Paris, 1988, p. 20.
conformi alla volontà dei contraenti, non possono residuare altri problemi di giustizia contrattuale11.
In sostanza, l’autonomia è non solo la garante della giustizia, ma è anche l’unica garante possibile; fuori dell’autonomia non esiste giustizia12.
Da ciò consegue l’equazione automatica della regola contrattuale con la regola giusta13.
Tuttavia, l’ottimismo ispirato dalla visione liberista è stato duramente contestato. La libertà contrattuale, infatti, per essere effettiva, presuppone che l’accesso al mercato sia fondato su di un equilibrio di opportunità e di poteri, con riguardo a profili economici, sociali, psicologici, di reciproca relazione tra le parti, di esperienza, attitudine agli affari e informazione14.
11 I principi dell’economia liberista, portato della rivoluzione francese, nascevano come reazione all’immobilismo medioevale, fondato sul principio di derivazione aristotelica della giustizia commutativa che imponeva di rispettare un giusto prezzo nella compravendita. Per maggiori approfondimenti, v. X. Xxxxx, La buona fede nei contratti dei consumatori, Napoli, 2001, p. 45 ss. L’A. sottolinea che il passaggio dal solidarismo medievale all’individualismo liberistico fu accompagnato dall’abbandono della concezione del contratto inteso come scambio - in virtù della quale la validità del rapporto contrattuale veniva ricollegata all’equilibrio sinallagmatico tra le prestazioni - e dall’adesione al volontarismo, cioè, alla concezione del contratto inteso come accordo, secondo la quale per la conclusione di un valido regolamento contrattuale era sufficiente il mero scambio dei consensi, prescindendo dal contenuto concreto dello scambio.
12 Così X. Xxxxx-G. De Nova, Il contratto, t. I, in Trattato di diritto civile, cit. p. 23.
13 Di diverso avviso è X’Xxxxxx, Il contratto in generale. La buona fede, cit., p. 157, secondo cui l’espressione “giustizia contrattuale” ricomprenderebbe la stessa forza vincolante del contratto e le regole che la assicurano, assumendosi il brocardo “pacta sunt servanda” quale precetto etico, espressivo di valori di giustizia, senza che ciò implichi un giudizio di necessaria conformità a giustizia dei contenuti pattizi. Secondo X. Xxxxxxxxxxx, op. cit., p. 230, il richiamato brocardo “non ha alcuna validità intrinseca, ma si limita soltanto a sottolineare il valore di principio del rispetto della parola data ed a ribadire la constatazione statistica della normale reciproca convenienza a dare stabilità alle relazioni intersoggettive, non revocando di continuo in dubbio, senza più che giustificabili motivi, l’affidabilità di impegni formalmente e specificamente assunti”.
14 A tale proposito, X. Xxxxx-X. Xx Xxxx, Il contratto, cit., p. 23, osservano come il contratto venga concluso “in un quadro economico dominato da cento strettoie”, che, evidentemente, alterano il corretto funzionamento del mercato, allontanandolo dal modello di mercato perfetto, postulato dalla concezione liberista.
Conseguenze di tali osservazioni sono la sottoposizione a vaglio critico della summenzionata equazione tra autonomia contrattuale e giustizia, nonché lo spostamento dell’attenzione, da parte di molti giuristi contemporanei, dal piano della volontà e dell’autonomia del volere – e, quindi, dal principio di libertà contrattuale – al piano della giustizia del contratto15.
Il problema, quindi, non è più la libertà contrattuale, ma la giustizia contrattuale16; si diffida, pertanto, dall’autonomia e si fa appello ad interventi eteronomi, a garanzia e salvaguardia della giustizia17.
Alla luce di tali riflessioni, il significato che appare implicato dall’uso corrente della formula “giustizia contrattuale”, sembra esprimere una contrapposizione o, quantomeno, una tensione, una conflittualità potenziale tra vincolo contrattuale e giustizia, tra osservanza del contenuto delle pattuizioni e salvaguardia di interessi che sono da esse pregiudicati e che appare giusto proteggere18.
Alla nozione di giustizia contrattuale così intesa, parte della dottrina19 riconduce regole che, in vario modo, limitano o escludono la forza vincolante dei patti, in presenza di determinate situazioni tipiche previste dalla legge. Basti pensare – nell’ambito dello statuto generale dei contratti – al regime
15 Sul punto v. U. Xxxxxxx, Causa, cit., p. 72.
16 L’argomento è affrontato in modo puntuale da U. Breccia, op. ult. cit., p. 73 ss..
17 X. Xxxxx-X. Xx Xxxx, Il contratto, cit., p. 23. Sul punto, v. anche X. Xxxxxxxxxx, Studi di diritto civile, cit., p. 1691, il quale osserva che “la scienza economica ha da tempo evidenziato come l’autonomia privata sia insufficiente ad assicurare la giustizia contrattuale, la quale può essere garantita soltanto attraverso interventi eteronomi”. Dello stesso avviso X. Xx Xxxx, op. cit., p. 2, secondo cui la giustizia contrattuale è “un valore aggiunto ossia un plus valore normativo rispetto al valore espresso dall’autonomia contrattuale. Per assicurare la “giustizia contrattuale” più non si confida nell’autonomia delle parti contraenti, si invocano invece interventi eteronomi (norme di legge, controlli xxx.xx o giudiziali)”.
18 A. X’Xxxxxx, Il contratto in generale. La buona fede, cit., p. 157.
19 X. X’Xxxxxx, op. ult. cit., p. 158; X. Xxxxx-G. De Nova, Il contratto, cit., p. 24.
delle incapacità, dei vizi della volontà, della rescissione, alle regole che impongono lo scioglimento del vincolo in virtù di circostanze sopravvenute, considerate con esso incompatibili, alla disciplina delle clausole vessatorie.
Frequenti, inoltre, sono i richiami alla giustizia, all’equità, alla buona fede, specie in tema di arbitrio mero e boni viri, di interpretazione e integrazione del contratto, senza dimenticare l’importanza notevole riservata al requisito della causa.
A questi riferimenti normativi occorre aggiungere quelli desumibili dalla legislazione speciale – in particolare, di derivazione comunitaria – in tema di clausole abusive nei contratti dei consumatori 20 , di abuso di dipendenza economica nei contratti tra imprese21, di termini di pagamento dei corrispettivi contrattuali22.
La giustizia contrattuale diviene, quindi, in seno alla materia contrattuale, giustizia di carattere commutativo e di carattere procedurale23.
Pertanto, l’ampio spazio riservato dal diritto italiano alla giustizia contrattuale, induce l’interprete a verificare l’esistenza, nel nostro ordinamento giuridico, di un principio generale di giustizia contrattuale24, sul
20 L. n. 52/96, attuativa della direttiva n. 93/13/CEE, il cui art. 25 ha introdotto gli artt. 1469 bis e ss. c.c..
21 L. n. 192/98, art. 9, così come modificato e integrato dall’art. 11 della L. n. 57/2001.
22 Art. 7, d. lgs. 9 ottobre 2002, n. 231, attuativo della direttiva n. 2000/35/CE.
23 Sul punto v. X. Xxxxxxxxxx, Profili del problema dell’equilibrio contrattuale, Milano, 2004,
p. 6 ss. L’A. distingue, appunto, tra giustizia di carattere commutativo, riferita alla tematica della giustizia “sinallagmatica”, ovvero alla possibilità di un intervento esterno (della legge ex ante e del giudice ex post) volto a determinare una certa congruità fra i valori dello scambio, e giustizia di tipo procedurale, intesa come possibilità da parte del legislatore e del giudice di sanzionare eventuali asimmetrie di carattere informativo, tendenti a generare un eccessivo squilibrio di diritti ed obblighi.
24 Pare opportuno precisare che il riferimento è alla giustizia commutativa, ossia del singolo e concreto scambio operato dalle parti, non alla giustizia distributiva, finalizzata ad una redistribuzione della ricchezza tra i consociati in senso perequativo.
quale fondare un controllo circa la conformità del contratto ad un modello ideale di giusto equilibrio economico-normativo, e un conseguente controllo ed adeguamento giudiziale delle condizioni convenute dalle parti.
Occorre, inoltre, stabilire se il supposto principio di giustizia o equilibrio contrattuale – e di conseguente sindacabilità e modificabilità giudiziaria dei contenuti delle private convenzioni – debba appuntarsi sull’equilibrio economico-normativo considerato di per se stesso, ovvero in rapporto alle circostanze del negoziato, alle condizioni dei contraenti, e alla loro condotta nella fase precontrattuale e formativa.
Il parametro di riferimento del sindacato giudiziario di giustizia contrattuale più consueto ed attendibile25 è il mercato26, quale luogo in cui si incontrano domanda ed offerta, si scambiano beni e servizi economici27.
Secondo autorevole dottrina, infatti, “l’equità del contratto è la sua aderenza al mercato, la giustizia contrattuale è la sua adeguatezza al mercato, le prestazioni sono proporzionate se la loro misura riflette il mercato”28.
Inoltre, si aggiunge che “non può avvenire che uno scambio sia giusto perché contraddice al mercato, o ingiusto perché collegato al mercato”29.
25 Al riguardo, occorre osservare che, se il parametro di giudizio si identificasse con un ideale modello di equilibrio contrattuale giusto, non mediato dai valori offerti (o espressi) dal mercato, né da altri criteri di ordine economico, il sindacato giudiziario risulterebbe estremamente soggettivo, se non addirittura arbitrario e difficilmente controllabile, soprattutto in riferimento ad un eventuale intervento riequilibrativo, che dovrebbe seguire all’apprezzamento negativo circa la conformità a giustizia del contratto. Sul punto, v. X. X’Xxxxxx, op. cit., p. 165.
26 Cfr. X. Xxxxxxxxxx, La buona fede e il controllo giudiziale del contratto, cit., p. 306, secondo cui <<è il mercato che fa da metro allo squilibrio, e, perciò anche alla “giustizia”, alla “morale” che vengono chiaramente a fondarne la repressione>>.
27 Cfr. X. Xxxxx, Il contratto, cit., p. 903.
28 Così X. Xxxxx-G. De Nova, Il contratto, cit., p. 26.
00 X. Xxxxx-X. Xx Xxxx, op. ult. cit., p. 26.
Invero, non poche perplessità sono state manifestate da altra parte della dottrina sull’attendibilità del mercato quale parametro valutativo, attesa la molteplicità di fattori che possono alterarne il corretto funzionamento30.
Del resto, gli stessi Autori che individuano nel mercato il parametro per valutare la giustizia del contratto, prendono atto della precarietà che può presentare una tale valutazione qualora il mercato stesso non funzioni correttamente31.
Al riguardo, si può precisare che il parametro di riferimento dovrà essere costituito, ovviamente, da valori espressi da un mercato in cui sia lasciata, a coloro che scambiano determinati beni, un’area di libertà in ordine alla scelta del contraente e delle condizioni dell’operazione, altrimenti non sarà possibile individuare condizioni di mercato dello scambio di quei determinati beni32.
Si tratterà, poi, di stabilire - come già anticipato - se, per il nostro ordinamento giuridico, la semplice divergenza tra i valori di mercato e le
30 Si pensi, ad esempio, alle strategie di produttori monopolisti o oligopolisti, ai cartelli, alle pratiche volte a limitare l’afflusso di beni sul mercato per mantenere alta la domanda e scarsa l’offerta, ottenendo, così, lievitazioni artificiose dei prezzi, alla disinformazione, alla propaganda disorientante. Al riguardo, v. X. Xxxxxxxxxxx, I contratti incompleti nel diritto e nell’economia, Padova, 2000, p. 41; X. Xxxxxxxxxx, La disciplina dell’atto e dell’attività in contratti tra imprese e tra imprese e consumatori, in X. Xxxxxx (a cura di), Trattato di diritto privato europeo, III, II ed., Padova, 2003, p. 23 ss., il quale osserva che “il mondo reale difficilmente ed assai raramente vede il concorso di tutte quelle condizioni che, secondo il paradigma teorico, assicurano il dispiegarsi della concorrenza e, dunque, il raggiungimento di quell’equilibrio cui si lega il miglior soddisfacimento degli interessi in campo”.
00 X. Xxxxx-X. Xx Xxxx, Xx contratto, cit., p. 25 ss.: “La stipulazione del venditore è ingiusta se si allontana dal prezzo che si determinerebbe in un onesto mercato. Ma non sempre può esistere un <<prezzo di mercato>>, perché non esiste un mercato ove si negozino beni unici e irripetibili; perché accanto al mercato dotato di più ampia generalità esistono mercati sussidiari, cui accede un numero limitato di contraenti, e qui è naturale che i valori si alterino dato che si altera il rapporto fra domanda e offerta; perché non sempre il contratto è basato sul puro calcolo economico”.
32 X. X’Xxxxxx, Il contratto in generale, cit., p. 175.
condizioni contrattuali della singola operazione assuma rilevanza in sé e per sé, ovvero costituisca un semplice indizio di un’anomalia nella formazione del regolamento convenzionale, che necessiti, per così dire, di un approfondimento, mediante la valutazione di condotte e circostanze ulteriori che possano giustificare la divergenza medesima33.
Si tratta di un’indagine che si svolge attraverso una dialettica tra l’autonomia contrattuale e i suoi limiti, senza, nel contempo, obliterare l’esigenza di salvaguardia dei valori della stabilità nel tempo degli effetti delle operazioni economiche e della prevedibilità degli esiti dei giudizi34.
Infatti, la possibilità di attivare un sindacato giudiziario sul contenuto del contratto - specie se fondato sull’ingiustizia intrinseca dell’equilibrio contrattuale e non subordinato alla ricorrenza di fattispecie attinenti alla formazione del contratto o a definite circostanze che di esso costituiscano il contesto, originario o sopravvenuto - consentirebbe al contraente pentito, che volesse sottrarsi alla efficacia vincolante del contratto, di limitarsi ad affermarne l’ingiustizia, senza specifici oneri di prova in ordine a circostanze o condotte inerenti a definite fattispecie35.
33 La conclusione di un contratto sperequato potrebbe, infatti, dipendere da ragioni personali, motivi soggettivi, oppure da condotte non corrette - perché, ad esempio, ingannevoli, reticenti, coercitive, speculative - di una parte in pregiudizio dell’altra.
34 Sul punto v. X. Xxxxx-X. Xx Xxxx, Il contratto, cit., p. 25: “Un legislatore che si impegnasse con troppo entusiasmo nella lotta per la giustizia dovrebbe offrire al contraente pentito l’impugnativa intitolata al vizio dell’ingiustizia, e ciò creerebbe un clima di incertezza incompatibile con una delle funzioni primarie del contratto, che è quella di offrire alle parti, impegnate nella programmazione della loro attività, l’appoggio che possono garantire rapporti giuridicamente certi e indiscutibili”.
35 Appare evidente come questa sorta di generale causa di pentimento si ponga in forte tensione con il dettato dell’art. 1372, comma 1, c.c., in virtù del quale il contratto “ha forza di legge tra le parti” e “non può essere sciolto che per mutuo consenso o per cause ammesse dalla legge”. L’esigenza di preservare la certezza dei rapporti giuridici e la sicurezza degli
Va da sé, inoltre, che l’incertezza sulla stabilità degli effetti dei contratti si ripercuoterebbe sulla valutazione da parte dei terzi circa la effettiva e stabile consistenza patrimoniale dei contraenti e, quindi, sulla garanzia patrimoniale generica da essi offerta, con evidenti conseguenze sulle decisioni relative alle concessioni di credito36.
Le osservazioni formulate testimoniano la delicatezza e la complessità del problema dell’equilibrio contrattuale, nonché della individuazione dei rimedi contro i contratti sperequati. Esse, inoltre, impongono un’attenta ed accurata selezione degli strumenti adeguati, da un lato, a contrastare le cause degli squilibri e, dall’altro, a salvaguardare le suindicate esigenze di certezza e stabilità dei rapporti, su cui si fonda la disciplina dei contratti.
Come già in precedenza evidenziato, il tema della giustizia contrattuale non è affatto estraneo al nostro ordinamento giuridico37; al riguardo, se è vero che non esiste un precetto generale che espressamente e specificamente stabilisca la sindacabilità giudiziaria dell’equilibrio contrattuale e commini la nullità del contratto ingiusto38, è pur vero che nemmeno sussiste un precetto che esplicitamente e specificamente le escluda39.
Si impone, pertanto, una ricerca “a tutto campo” nel contesto normativo, per verificare il fondamento positivo di ipotetiche direttive di
scambi è evidenziata da X. Xxxxx, L’adeguatezza fra le prestazioni nei contratti con prestazioni corrispettive, in Riv. dir. comm., 1963, I, p. 454.
36 Secondo X. X’Xxxxxx, op. ult. cit., p. 182, “ne risulterebbero favorite scelte astensionistiche dagli scambi”.
37 X. xxxxx, x. 0.
38 X. Xxxxx, Errore sul valore e congruità dello scambio contrattuale, cit., p. 987, 994 ss.; X. Xxxxxx, L’equilibrio delle posizioni contrattuali nei Principi Unidroit, cit., p. 23 ss; X. Xxxxxxxxxx, Il contratto e l’autonomia privata, in Breccia e altri, Diritto privato, I, Padova, 2003, p. 361; X. Xxxxx-X. Xx Xxxx, xx. xxx., x. 00; X. X’Xxxxxx, op. cit., p. 190.
39 X. X’Xxxxxx, op. cit., p. 190.
giustizia contrattuale che legittimino un sindacato giudiziario sulle convenzioni private, come, del resto, sembrano “suggerire” gli artt. 1322, comma 1, e 1372 c.c.40.
A tal fine, pare opportuno prendere le mosse proprio dall’ “ambiente codicistico”, dalla parte generale dei contratti, soffermandosi, dapprima, sulle norme che disciplinano fattispecie analitiche (quali la rescissione, la sopravvenienza, l’incapacità naturale, il dolo, l’errore) e, in seguito, sulle clausole generali; ricostruire i percorsi tracciati dall’elaborazione giurisprudenziale e dottrinale; valutare, infine, le influenze evolutive esercitate dalla legislazione speciale, in particolar modo di derivazione comunitaria.
40 Cfr. X. Xxxxxx, Corrispettività e alea nei contratti, Milano, 1960, p. 62: “La legge consente, ed in che limiti, un sindacato del giudice (che non può essere se non obiettivo) sulla corrispondenza di valore tra le prestazioni? La legge consente, e quando, alla parte pregiudicata, di reagire contro il danno cagionato dal divario tra le prestazioni?”.
CAPITOLO II
L’AUTONOMIA CONTRATTUALE E I CONTRATTI A PRESTAZIONI CORRISPETTIVE
Prima di addentrarci nel vivo del problema (concernente, appunto, l’esistenza o meno nel nostro ordinamento giuridico, di un principio che imponga o, quanto meno, salvaguardi l’equilibrio economico fra le prestazioni cui sono tenuti i contraenti), appare, però, opportuno svolgere una indagine sui principi che presiedono ai concetti di “autonomia contrattuale” (e ai suoi limiti), e di “consensualità”, e ciò al fine di individuare se, e in che termini, il rapporto di congruità nello scambio contrattuale costituisca o meno un vincolo del rapporto negoziale; e, qualora tale vincolo sia ritenuto sussistente, se sia nella disponibilità delle parti apporvi deroghe, e in che limiti.
Il principio di autonomia contrattuale 41 , implicitamente presupposto dall’art. 1321 c.c.42, trova la sua esplicita codificazione nel successivo art.
41 Su tale principio, v. C. M. Xxxxxx, Diritto civile, Il contratto, cit., p. 30 ss.; X. Xxxxx, Il contratto, cit., p. 80 ss.; X. Xxxxx, Autonomia privata, cit., p. 597 ss.; X. Xxxxxxxxxxx, L’autonomia privata e i suoi limiti, cit., p. 229 ss.; X. Xxxxx, Autonomia privata, cit., p. 180 ss.; A. Di Majo, Libertà contrattuale e dintorni, in Riv. critica dir. priv., 1995, p. 9 ss.; X. Xxxxxxx, I principi giuridici fondamentali del sistema contrattuale. La libertà contrattuale e i suoi limiti, in Giur. sist. civ. e comm., fondata da Bigiavi, vol. I, Torino, 1980, p. 38 ss.; Id., Autonomia privata e ordinamento giuridico. Il concetto di causa, ivi, vol. II, p. 717 ss.; X. Xxxxxxxxxxxx, Dei contratti in generale, in Commentario al codice civile, diretto da Scialoja- Branca, sub. artt. 1321-1352, Bologna-Roma, 1970, p. 2455; X. Xxxxxxxxxx, Teoria generale del diritto, Roma, 1951; X. Xxxxxxx Xxxxxxxxxx, Dottrine generali del diritto civile, Napoli, 1974; Id., Variazioni sul contratto, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 1970, p. 155; X. Xxxxxxxx, Il contratto in genere, I, in Trattato di diritto civile e commerciale diretto da Cicu e Messineo, Milano, 1973; X. Xxxxxxx, Il contratto e l’autonomia contrattuale, in Dir. civ. e comm., vol. II, t. I, Le obbligazioni e i contratti, Padova, 1990, p. 121 ss.; X. Xxxxxxx, Il contenuto del contratto, in Riv. dir. civ., I, 1963, p. 365; X. Xxxxx, Obbligazioni e contratti, in Trattato di diritto privato, diretto da Xxxxxxxx, Torino, 1992; X. Xxxxx, Il contratto: problemi
1322, che rimette alle parti non solo la determinazione del contenuto del contratto 43 , ma anche la scelta del tipo contrattuale (consentendo la stipulazione anche di contratti “atipici”), con il limite della meritevolezza dell’interesse perseguito44.
L’autonomia contrattuale è, inoltre, trasfusa nella struttura del contratto, in virtù dell’art. 1325 c.c., che prevede, come primo requisito necessario per la validità del contratto stesso, l’accordo delle parti45.
Per autonomia contrattuale o libertà contrattuale46, bisogna intendere “il potere del soggetto (concordemente con altro o altri soggetti) di affermare e attuare interessi, o di modificare situazioni, fissandone anche la disciplina, ossia, i presupposti e i modi”47.
fondamentali trattati con il metodo comparativo e casistica, lineamenti generali, vol. I, Milano, 1954.
42 Tale norma, infatti, dopo aver definito il contratto, da un punto di vista soggettivo, come “l’accordo di due o più parti”, richiede, affinché possa adempiere ala sua funzione di costituire, regolare o estinguere un rapporto giuridico patrimoniale, un atto di volontà.
43 Sul contenuto del contratto si veda, in particolare, X. Xxxxxxx, op. ult. cit., p. 365; X. Xxxxxxxxxx, Sul contenuto del contratto, Milano, 1974.
44 V. R. Cicala, Produttività, solidarietà e autonomia privata, in Xxx. xxx. xxx., 0000, XX, x. 000;
X. Xxxxxxxxx, voce Autonomia privata, in Enc. Dir., IV, Milano, 1959, p. 368 ss.; X. Xxxxxxxxxxxx, Dei contratti in generale, cit., p. 24 ss.; X. Xxxxxxxx, Meritevolezza degli interessi ed equilibrio contrattuale, cit., p. 423 ss.; X. Xx Xxxx, op. cit., p. 211 ss.; X. Xxxxxxx, Atipicità del contratto, giuridicità dei negozi e funzionalizzazione degli interessi, in Riv. dir. civ., 1978, I, p. 53 ss..
45 Tale requisito comporta, da un punto di vista negativo, che a nessun soggetto giuridico possa essere unilateralmente imposto di aderire ad una pattuizione contrattuale. V. F. Xxxxxxx, Il contratto e l’autonomia contrattuale, cit., p. 130.
46 Secondo l’espressione comunemente adoperata dal X. Xxxxxxxx, Il contratto in genere, cit.,
p. 40 ss., secondo il quale la libertà contrattuale è il principale equivalente giuridico della libera iniziativa economica privata. Sui rapporti tra autonomia privata e Costituzione, v., inoltre, X. Xxxxxxx, Autonomia privata e Costituzione, in Banca, borsa e titoli di credito, 1997, I, p. 1 ss.; X. Xxxxxxx, I principi giuridici fondamentali, cit., p. 38 ss.; X. Xxxxx, L’adeguatezza fra le prestazioni nei contratti con prestazioni corrispettive, cit., 1963, I, p. 440.
47 X. Xxxxxxxx, op. ult. cit., p. 40 ss..
Attraverso l’autonomia contrattuale, cioè, le parti selezionano gli interessi che intendono perseguire48, e danno vita ad un regolamento avente, tra di esse, “forza di legge” (art. 1372 c.c.)49.
Tuttavia, nel perseguimento dei propri interessi, le parti non godono di una libertà illimitata50, in quanto l’ordinamento giuridico rivendica un proprio controllo, attraverso “i limiti imposti dalla legge” (secondo il dettato dell’art. 1322, comma 1, c.c.) ed il giudizio di meritevolezza (di cui all’art. 1322, comma 2, c.c.) 51.
48 Secondo X. Xxxxxxx, Il contratto e l’autonomia contrattuale, cit., p. 130, “fra i tanti modi di costituzione, regolazione o estinzione dei rapporti (in particolare: fra i modi di acquisto del diritto o di assunzione dell’obbligazione) il contratto si segnala per il ruolo che, con esso, svolge la volontà: le parti contraenti si accordano per <<costituire, regolare o estinguere tra loro un rapporto giuridico patrimoniale>>. L’effetto giuridico, costitutivo o regolatore o estintivo del rapporto, è qui prodotto dalla volontà delle parti interessate: l’acquisto della proprietà, in altre parole, è l’effetto della concorde volontà dell’alienante e dell’acquirente (del venditore e del compratore, del donante e del donatario, e così via); ed il sorgere dell’obbligazione è effetto, anch’esso, della concorde volontà del creditore e del debitore (del locatore o del locatario, del mutuante o del mutuatario, e così via)”.
49 I contraenti, pertanto, sono tenuti agli obblighi che, autonomamente e spontaneamente, si sono autoimposti e dai quali potranno liberarsi, al di fuori dell’adempimento, soltanto con un altro atto concorde di volontà con cui decidano di sciogliere il vincolo contrattuale. Sull’argomento, x. Xxxxxxx-Xxxxxxxxx, Degli effetti del contratto, della rappresentanza, del contratto per persona da nominare, in Comm. al c.c., diretto da Scialoja-Branca, sub artt. 1372-1386, Bologna-Roma, 1993; X. Xxxxxxx, xx. xxx., x. 000; X. Xxxxxxxx, xx. xxx., x. 00; X. Xxxxxxxxxxx, op. cit., p. 230, evidenzia proprio il legame intercorrente tra autonomia contrattuale e art. 1732 c.c.: “La parola <<autonomia>> - regola autodisposta dagli interessati
- ben riassume il principio fondamentale per cui <<il contratto ha forza di legge tra le parti>>”.
50 In realtà, ciascuna parte incontra una prima limitazione nel volere dell’altra; da questo punto di vista, quindi, nessuna decisione può essere assunta liberamente. X. Xxxxxxxxxxx, L’autonomia privata, cit., p. 230, afferma che: “In tanto si perfezionerà l’accordo in quanto ciascuna delle parti si rassegnerà a contemperare il proprio interesse con quello dell’altra, fino a raggiungere un punto di equilibrio che necessariamente non rispecchia i rispettivi punti di vista iniziali e <<sovrani>>, ma solo quella mediazione che si realizza con il regolamento concordato. Xxxxxxxx parte accetta il proprio sacrificio non già perché corrisponde ad un suo
<<intento>>, bensì soltanto perché si tratta del sacrificio indispensabile affinché la controparte si induca, a sua volta, ad accettare il suo sacrificio, che per il primo costituisce, invece, il beneficio atteso”.
51 Sui limiti all’autonomia contrattuale, v. X. Xxxxxxx, op. cit., p. 37, secondo cui “l’autonomia del volere … deve attuarsi quale strumento di cooperazione per il
Da ciò scaturisce una costante dialettica tra il piano della libertà e quello della autorità (dialettica che, del resto, emerge dal disposto dell’art. 1322, comma 1, c.c.)52.
In tale rapporto dialettico, il ruolo dell’ordinamento giuridico è di fissare le condizioni e i limiti, in presenza dei quali, accordi privati assumono, per le parti, forza di legge53.
Tali limiti possono essere raggruppati in due ambiti distinti: da un lato, si pongono tutti quelli che attengono al procedimento di formazione dell’accordo 54 ; dall’altro, quelli che riguardano direttamente il contenuto dell’accordo55.
raggiungimento dei fini sociali, di funzioni che abbiano una rilevanza sociale, e, come tali, meritino di essere tutelati dal diritto”; X. Xxxxxxx Xxxxxxxxxx, op. cit., p. 125, per il quale la volontà contrattuale “non è una volontà sovrana indipendente, essa è idonea a produrre effetti, perché un’altra volontà, questa sì sovrana, quella che si esprime nell’ordinamento giuridico, a ciò l’autorizza”; X. Xxxxxxxxxxx, op. cit., p. 230: “Ogni ordinamento, tuttavia, non accetta mai di assumere acriticamente il ruolo di tutore incondizionato delle private pattuizioni”. Infatti, secondo l’A., il diritto si riserva sempre una funzione di controllo e di sindacato sugli atti di autonomia, “per decidere se, quando e come, concedere <<giustiziabilità>> agli impegni assunti dai privati”.
52 Osserva X. Xxxxxxxxxx, op. cit., p. 17: “È noto come, insito nel concetto di libertà, sia il concetto di limite, in quanto in una collettività organizzata la potestà del volere individuale, che non incontri limitazioni nei confronti degli altri soggetti o dell’ordinamento, non può essere qualificata libertà, ma arbitrio, e come tale non può ricevere tutela giuridica”.
53 Xx xxxxxxxx, x. X. Xxxxxxxxxxx, xx. xxx., x. 000: “Al contrario delle apparenze, non è la libertà contrattuale il prius ed i suoi limiti il posterius, bensì, proprio all’incontrario, il prius è costituito dalla determinazione da parte dell’ordinamento dei confini entro i quali si preferisce lasciare ai privati una effettiva discrezionalità di scelta ed il posterius è rappresentato dal concreto esercizio, entro l’ambito così tracciato, dei poteri di scelta lasciati ai singoli”.
54 Quali, ad esempio, i requisiti di forma delle dichiarazioni delle parti, la determinazione di tempi e modalità per le manifestazioni dei consensi o per la loro revoca, i vizi del volere, lo stato di bisogno, la simulazione, i doveri di informazione, gli oneri di trasparenza.
55 Tali limiti possono essere ulteriormente distinti in tre sottocategorie: illiceità dell’intesa per contrarietà ai bonos mores o all’ordine pubblico; contrarietà a specifici divieti (v., ad esempio, gli artt. 1379, 1501, 2125, 2596 c.c.); contrarietà a norme imperative, senza esplicita comminatoria di una nullità testuale. Sul punto, cfr. X. Xxxxxxxxxxx, op. cit., p. 231.
Quanto osservato, ripropone il problema del rapporto tra autonomia contrattuale ed equità, concetto, quest’ultimo, presente in diverse norme codicistiche, con significati non del tutto coincidenti.
Talvolta, infatti, esso indica un carattere del regolamento contrattuale (artt. 1450 e 1467, comma 3, c.c.), talaltra, l’attività valutativa discrezionale del giudice, diretta alla specificazione della regola legale (art. 1374 c.c.), senza chiarire, però, quali siano i criteri cui il giudice deve uniformare la propria attività56.
Con riferimento alla reductio ad aequitatem, è incontestabile che essa comporti creazione o restaurazione dell’equilibrio contrattuale, inteso in senso economico57.
Ciò è a dirsi anche per l’ipotesi prevista dall’art. 1374 c.c., in cui l’attività discrezionale deve finalizzarsi al risultato equo, cioè equilibrato58; sotto questo profilo, essa può essere accomunata all’art. 1384 c.c., ove è il giudice l’autore della reductio59.
Nell’ipotesi di cui all’art. 1374 c.c., dunque, l’equità del contenuto contrattuale passa necessariamente attraverso l’attività discrezionale del giudice. Deve rilevarsi, allora, che allorché il giudice sia chiamato ad integrare il contratto secondo equità, debba tendere a realizzare “l’equo contemperamento degli interessi delle parti”, cioè l’equilibrio delle
56 Sui rapporti tra autonomia contrattuale ed art. 1374 c.c., v. X. Xxxxxxxx, Buona fede ed equità tra le fonti di integrazione del contratto, in Contratto e impresa, 1999, p. 83 ss.
57 Cass., 22 novembre 1978, n. 5458, in Foro it., 1979, I, c. 1206: “La modificazione necessaria per ricondurre ad equità il contratto rescindibile per lesione deve essere tale da rendere il valore dell’una prestazione uguale a quello dell’altra con riferimento alla data della pronuncia del giudice”; Cass., 9 ottobre 1989, n. 4023, in Giur. it., 1990, I, 1, c. 944, parla di “giusto rapporto di scambio che ristabilisca l’equilibrio tra le prestazioni”.
58 In questo caso l’equilibrio è da intendersi sia in senso economico, che in senso giuridico.
59 Su questo argomento, x. xxxxx, x. 000.
contrapposte posizioni contrattuali, così come gli è imposto già in sede di interpretazione dall’art. 1371 c.c.60
In sostanza, l’equità cui fa riferimento il Codice civile, sia essa prodotta dall’iniziativa delle parti, sia essa, invece, risultato dell’attività discrezionale del giudice, è da intendere sinonimo di equilibrio contrattuale, economico61 (riguardante, cioè, il rapporto di valore tra i vantaggi patrimoniali), e giuridico62 (riguardante la proporzione tra diritti e doveri).
Secondo un Autore, “in ogni caso, il diritto all’equità dei rapporti contrattuali individua una pretesa ad una valutazione che superi la mera legalità quando essa sembri espellere dal proprio seno la giustizia”63.
Resta aperto il problema dei criteri che il giudice deve seguire per realizzare il risultato equo o per valutare l’equità del contenuto contrattuale64.
Posto, quindi, che nel Codice il termine “equità” indica l’equilibrio contrattuale, nonché l’attività giudiziale discrezionale talvolta chiamata a realizzarlo, ne deriva che la discussione circa l’equità del contratto attiene
60 Cfr. X. Xxxxxxx e X. Xxxxx, Equità interpretativa ed economia del contratto. Osservazioni sull’art. 1371 del codice civile, in Giur. it., 1974, IV, c. 248. Contra, X. Xxxxxx, Le fonti di integrazione del contratto, Milano, 2004, p. 223, secondo cui il giudice non può adeguare il proprio giudizio ad un rapporto di proporzione tra le prestazioni, che l’art. 1371 c.c. prevede per il solo caso di oscurità del regolamento.
61 È il caso degli artt. 1384, 1450, 1467, 1474, 1657, 1709, 1733, 1736, 1755, 2225, 2233 c.c.
62 Artt. 1349, 1371, 1374 c.c.
63 Così X. Xxxxxxx,., Autonomia privata e contratto giusto, cit., p. 29. Secondo l’A., “quanto all’equità … il suo significato può identificarsi con un principio etico, con un <<criterio logico contrapposto al giudizio di diritto>>, con la valorizzazione di circostanze soggettive o oggettive che non avrebbero altrimenti rilievo nella valutazione del contratto”.
64 Sul punto, v. X. Xxxxx, Xxxx’equità dei contratti, in Quaderni della Rassegna di diritto civile diretta da Xxxxxx Xxxxxxxxxxx, Napoli, 2001, p. 19: <<Se però il risultato equo, cioè equilibrato, è quello che realizza il contemperamento degli interessi delle parti, il giudizio che ad esso risultato conduce, per definirsi “d’equità”, non può punto prescindere dalla valutazione della concreta situazione in cui il contratto si inserisce e dai concreti interessi che hanno mosso i privati posto che il contratto è atto di autoregolamentazione di privati interessi>>.
all’interrogativo sul se, come ed in che limiti è garantito un equilibrio del contenuto contrattuale; ossia, più sinteticamente, se sia argomentabile un generale principio di equità o equilibrio contrattuale65.
A tal fine è necessario richiamare la distinzione - già effettuata in precedenza - nell’ambito del concetto di equilibrio contrattuale, tra equilibrio normativo ed equilibrio economico, non senza avere effettuato, però, con specifico riferimento a quest’ultimo, una precisazione di carattere preliminare.
Infatti, occorre considerare che la questione del rapporto di valore che deve sussistere tra le prestazioni cui sono tenute le parti, si pone per i contratti commutativi e non per quelli aleatori66.
Invero, sia i contratti commutativi che quelli aleatori appartengono al genus dei contratti a prestazioni corrispettive, intendendosi, con questi ultimi, “tutte le ipotesi in cui il contratto produce a vantaggio di una parte effetti patrimoniali che stanno in posizione corrispettiva ad effetti patrimoniali prodotti a vantaggio dell’altra parte”, ossia “attribuzioni patrimoniali corrispettive, indipendentemente dal mezzo tecnico con cui vengono realizzate” 67.
La corrispettività, pertanto, è caratterizzata dal nesso di reciprocità tra le prestazioni o le attribuzioni patrimoniali68.
65 X. Xxxxx, op. cit., p. 21.
66 I contratti aleatori, infatti, sembrerebbero costituire una categoria sottratta all’applicazione dei principali rimedi di carattere riequilibratorio, in virtù della loro intrinseca struttura causale, che li rende incompatibili con il concetto di giustizia contrattuale.
67 Cfr. Relazione del Ministro Guardasigilli al Re sul libro delle obbligazioni, n. 128.
68 X. X. Xxxxxxxx, Xxxxxxxxx, xx Xxx. Xxx., XX, Xxxxxx, 0000, p. 139; X. Xxxxxx, Corrispettività e alea nei contratti, cit., p. 57 ss.; X. Xx Xxxxxx, Il contratto con prestazioni corrispettive, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 1948, p. 48 ss.; X. Xxxxxxxxxx, Sul contenuto del contratto, cit., p. 319 ss.
A ben vedere, la corrispettività, così definita, coincide con la nozione, elaborata dalla dottrina, di sinallagmaticità69, la quale si sostanzia nel “nesso di interdipendenza tra le prestazioni”70.
Di conseguenza, la causa di tali contratti va individuata proprio nell’esistenza e nell’esecuzione delle reciproche prestazioni, poiché solo in questo modo viene realizzata la funzione economica e sociale del contratto stesso, ossia il soddisfacimento dei diversi interessi dei contraenti71.
Nell’ambito dei contratti a prestazioni corrispettive, si colloca il contratto commutativo, “nel quale la valutazione del rispettivo sacrificio, o vantaggio, possa farsi, da ciascuna delle parti, all’atto stesso in cui il contratto si perfeziona, sì che ciascuna sappia, in anticipo, quale entità economica il contratto costituisca per essa”72.
69 Su tale concetto, v. G. Osti, voce Contratto in Nuovissimo digesto it., p. 491 ss.; X. Xxxxxxx, Causa e simultaneità del sinallagma funzionale nell’esecuzione dei contratti con prestazioni corrispettive, in Giur. Cass. Civ., 1949, p. 124; X. Xxxxx, L’adeguatezza fra le prestazioni nei contratti con prestazioni corrispettive, cit., p. 424 ss.; X. Xxxxxx, voce Attribuzione patrimoniale, in Enc. Dir., vol. IV, Milano, 1959, p. 283 ss.; Xxxxxxxxxxx, Appunti in tema di contratti reali, contratti restitutori e contratti sinallagmatici, in Riv. dir. civ., 1955, p. 816 ss.;
X. Xxxxx, Obbligazioni e contratti, cit., p. 456 ss.; X. Xxxxxxxx, Il contratto in generale, cit.,
p. 746 ss.; I. Xxxxxxxx, Causa e categoria generale del contratto, vol. I, Torino, 1997; X. Xxxx, Scambi senza accordo, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 1998, p. 347 ss.; X. Xxxxxxx, Diritto civile e commerciale, II, in Commentario Scialoja e Branca, 1, Padova, 1999, p. 441 ss.; X. Xxxxx, op. cit., p. 1024; X. Xxxxxxxxxx, I contratti, parte generale, Torino, 1999.
70 X. Xxxxxxxx, Il contratto in genere, cit., p. 749, osserva che “nel contratto con prestazioni corrispettive si stabilisce, fra le due prestazioni (e fra le due obbligazioni), un nesso speciale, che non è di mera reciprocità, ma appunto consiste nell’interdipendenza (o causalità) reciproca fra esse, per cui ciascuna parte non è tenuta alla propria prestazione, se non sia dovuta, ed effettuata, la prestazione dell’altra; l’una prestazione è il presupposto indeclinabile dell’altra”. Secondo il consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità, nei contratti a prestazioni corrispettive, “il nesso di interdipendenza delle opposte prestazioni delle parti fa sì che ciascune delle parti è tenuta alla propria prestazione solo in quanto l’altra adempie contemporaneamente alle proprie”. In termini, cfr. Cass., 16 ottobre 1967, n. 2481, in Giust. civ. Mass., 1967, 1290; Cass., 27 marzo 1962, n. 623, in Foro it. Mass., 1962, c. 181.
71A. Xxxxxxxxxx, I contratti, cit., p. 319 ss..
72 X. Xxxxxxxx, Il contratto in genere, cit., p. 781.
Al contrario, il contratto aleatorio - anch’esso species del contratto a prestazioni corrispettive - viene definito come il contratto nel quale l’entità del sacrificio, messa in rapporto con l’entità del vantaggio al quale ciascuna parte si espone contraendo, non è certa né nota e quindi non valutabile all’atto della stipulazione73.
Pertanto, mentre i contratti commutativi non implicano l’assunzione da parte dei contraenti di alcun rischio, permettendo alle parti di valutare in termini di quasi certezza quali saranno i risultati patrimoniali conseguenti alla esecuzione del contratto 74 , i contratti aleatori sono caratterizzati dalla incertezza sulla portata economica delle prestazioni delle parti75.
Da ciò discende l’esclusione dei contratti aleatori da ogni discorso sull’equilibrio contrattuale (in senso economico), perché, identificandosi la loro causa con il rischio, è di per sé esclusa ogni valutazione sul rapporto di valore intercorrente tra le rispettive prestazioni76.
Del resto, tale considerazione trova piena conferma nella disciplina dei rimedi riequilibratori previsti dal Codice civile, i quali non operano nei confronti dei contratti aleatori, atteso che, in questi, l’eventuale sproporzione tra le prestazioni è una conseguenza normale del contratto, voluta ed accettata dalle parti77.
Al contrario, nei contratti commutativi le prestazioni vengono stabilite in precedenza, come punto d’arrivo delle trattative, per cui ciascuno dei
73 X. Xxxxxxxx, Il contratto in genere, cit., p. 774.
74 X. Xxxxxxxxxx, Profili del problema dell’equilibrio contrattuale, cit., p. 33. 75 X. Xxxxxxx, Teoria generale delle obbligazioni, II, Milano, 1954, p. 289. 76 X. Xxxxxxxxxx, op. ult. cit., p. 37.
77 Si pensi alla risoluzione per eccessiva onerosità sopravvenuta (art. 1467 c.c.) e alla rescissione per lesione (art. 1448 c.c.).
contraenti sa, fin dal momento della conclusione, quale sarà l’ammontare del suo sacrificio e quale bene dovrà essergli corrisposto78.
A questo punto, pare opportuno segnalare un orientamento dottrinale che, proponendo una netta distinzione tra onerosità e corrispettività, ritiene che il problema della equivalenza attenga al primo concetto, più che al secondo79.
Contrariamente all’assunto tradizionale che definisce la corrispettività come species del genus rappresentato dalla onerosità 80 , tale orientamento colloca i due concetti su due piani autonomi e distinti: il primo, infatti, atterrebbe al profilo della qualificazione dell’atto 81 ; il secondo, invece, a
00 X. X. Xx Xxxxxxxxxxxx, Xx contratto e l’alea, Padova, 1987; X. Xxxxxx, Corrispettività e alea nei contratti, cit.; X. Xxxx, Contratto aleatorio, contratto corrispettivo e alea, in Riv. Trim. dir. e proc. civ., 1960. Parte della dottrina, tuttavia, precisa che anche nei contratti commutativi è presente un fattore d’incertezza economica, un certo livello di rischio: v., per tutti, X. Xxxxxxxxx, Istituzioni di diritto civile, Padova, 1995, p. 663.
79 X. Xxxx, Il contratto con prestazioni corrispettive. Bilateralità, onerosità e corrispettività nella teoria del contratto, Padova, 1963, p. 78 ss.: “Di equivalenza, oggettiva, soggettiva, tendenziale, si può parlare a proposito della onerosità, non della corrispettività”; l’A., ancora, ribadisce “l’estraneità rispetto al contratto con prestazioni corrispettive dei concetti di vantaggio e sacrificio patrimoniali, nonché della equivalenza (soggettiva o tendenziale) tra vantaggi e sacrifici”. X. Xxxxxxxxxx, Onerosità, corrispettività e qualificazione dei contratti. Il problema della donazione mista, Napoli, 2001, p. 59 ss.: “Alla corrispettività … è estranea qualsiasi valutazione sulla proporzionalità economica o sulla equivalenza soggettiva degli effetti. La prima … attiene al profilo della onerosità, la seconda alla valutazione personale delle parti e quindi ai motivi che le hanno indotto a concludere il contratto”.
80 X. Xxxxxxxxxx, Bilateralità, corrispettività ed onerosità del contratto, in Studi senesi, 1968,
p. 146 ss.; Id., Sul contenuto del contratto, cit., p. 319; X. Xxxxxxx Xxxxxxxxxx, Dottrine generali del diritto civile, cit., p. 224 ss.; M. Xx Xxxxxx, Il contratto con prestazioni corrispettive, cit.,
p. 48 ss.; X. Xxxxxxxx, Contratto, in Enc. Dir., IX, Milano, 1961, p. 129 ss.
81 V. G. Xxxxxxxxxx, op. cit., p. 77: “La corrispettività si pone quale elemento idoneo a distinguere i rapporti e, di conseguenza, i tipi contrattuali che, di volta in volta, nella configurazione legislativa ne postulano l’assenza o la presenza. Essa designa un modo di essere del regolamento atto ad incidere sulla qualificazione della fattispecie, rendendo possibile l’individuazione della categoria nella quale va collocato il singolo contratto”.
quello della determinazione della disciplina da applicare, in considerazione del regolamento in cui hanno trovato composizione gli interessi delle parti82.
Ne consegue che nel contratto con prestazioni corrispettive non deve necessariamente essere presente l’onerosità del rapporto, in quanto la corrispettività postula esclusivamente l’esistenza di due attribuzioni funzionalmente collegate, sicché l’una trova giustificazione nell’altra; pertanto, vi possono essere contratti corrispettivi non onerosi e contratti onerosi non corrispettivi.
L’onerosità, dal suo canto, pur non richiedendo una stretta equivalenza economica, non può essere individuata dal mero requisito formale della semplice presenza di un sacrificio del terzo83.
In tale contesto, lo squilibrio economico tra le prestazioni dedotte in un contratto corrispettivo, anziché determinarne la nullità, potrà incidere sul carattere oneroso o gratuito dell’operazione, individuando la disciplina applicabile tra le parti e rispetto ai terzi84.
Di contrario avviso è la dottrina prevalente, la quale afferma che, nei contratti a prestazioni corrispettive, il sinallagma dà origine ad una corrispettività economica tra le prestazioni, intesa come valutazione da parte
82 Secondo X. Xxxxxxxxxx, op. cit., p. 62, onerosità e gratuità sono concetti che rilevano “per delimitare la tutela accordata al terzo acquirente (artt. 2038, 1445, 534, comma 2, 2901 cod. civ.; artt. 64 e 67, n. 1, l. fall.; artt. 192 e 193 cod. pen.), i limiti di responsabilità o di garanzia tra le parti (artt. 1266, 1710, 1768, 1725, comma 2, 1681, comma 3, 1812, 797 s. cod. civ.; art. 413 cod. nav.), la disciplina dell’errore e della rilevanza dei motivi (artt. 809, 1809, 800 s. cod. civ.), i criteri di interpretazione (art. 1371 cod. civ.)”.
83 Così X. Xxxxxxxxxx, op. cit., p. 66.
84 Ad avviso di X. Xxxxxxxxxx, op. cit., p. 68, “Non si può ammettere che qualora il valore delle prestazioni sia sensibilmente diverso da quello del bene ottenuto, in difetto di un reale scambio economico, il contratto concluso sarebbe nullo qualora manchino anche la gratuità e, ove occorra, la forma. Delle due l’una: o v’è uno scambio economico reale ed allora non v’è spazio per il carattere della gratuità; o non v’è scambio economico reale ed allora l’attribuzione patrimoniale di maggior valore non potrà essere che gratuita”.
dei contraenti del valore che ciascuna prestazione, di cui sono rispettivamente creditori, arreca ad essi in rapporto alla diminuzione patrimoniale che essi subiscono per effetto dell’adempimento della prestazione di cui sono debitori85.
Ciò comporta, ai fini dell’equilibrio contrattuale, che il valore delle prestazioni tende, sulla base della valutazione degli interessi in gioco compiuta dai contraenti, ad essere omogeneo.
Pertanto, in linea di massima ed in attuazione del principio di cui all’art. 1322 c.c., nei contratti commutativi, il corrispettivo economico è liberamente determinato dalle parti, con conseguente esclusione di interventi giudiziali volti a modificare il contenuto del contratto secondo un criterio di giustizia distributiva86.
85 X. Xxxxx, L’adeguatezza fra le prestazioni, cit., p. 456 ss.. Più precisamente, secondo l’A., oltre alla corrispettività economica, il sinallagma origina anche una corrispettività “immediata” (nel senso che l’utilità viene conseguita da una parte con l’esecuzione della prestazione da parte dell’altra); una “teleologica” (ciascuna parte intende procurare all’altra una attribuzione patrimoniale al fine di ottenere da questa un’attribuzione corrispondente); una “temporale” (le parti intendono conseguire i propri vantaggi patrimoniali e adempiere ai correlativi obblighi contemporaneamente).
86 V. F. Xxxxxxx, Sull’equitas delle prestazioni contrattuali, in Contratto e Impresa, 1993, p. 419 ss.; X. Xxxxxx, Il controllo giudiziale della libertà contrattuale: l’equità correttiva, in Contratto e Impresa, 1999, p. 939 ss.; X. Xxxxxx, Le fonti di integrazione del contratto, cit., p. 223; X. Xxxxxxx, Nuove regole in materia di squilibrio contrattuale: l’art. 3.10 dei Principi UNIDROIT, in Contratto e Impresa/Europa, n. 1/1997, p. 141; X. Xxxxxxxx, Regole del mercato e congruità dello scambio contrattuale, cit., 1985, p. 309 ss.; X. Xxxxxxx, Equità e autonomia privata, cit., p. 320 ss.; X. Xxxxxx, Ingiustizia dello scambio e lesione contrattuale, cit., 1986, p. 274 ss.; T. O. Xxxxxxxxxx, Il problema dell’adeguatezza negli scambi e la rescissione del contratto per lesione, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 1978, 1, p. 309 ss.; X. Xxxxxxxx, Meritevolezza degli interessi, cit., p. 423 ss.
CAPITOLO III
LA TUTELA DELLA PROPORZIONE FRA LE PRESTAZIONI NEL CODICE CIVILE DEL 1942: LA RESCISSIONE; LA RISOLUZIONE PER ECCESSIVA ONEROSITÀ SOPRAVVENUTA.
ALTRI ISTITUTI E MISURE A TUTELA DELLA PROPORZIONALITÀ
Occorre, a questo punto, indagare se l’ordinamento giuridico tuteli in modo assoluto ed incondizionato l’assetto di interessi predisposto dalle parti, o se, al contrario, preveda degli istituti o rimedi atti a garantire un rapporto di proporzionalità o di equilibrio tra le prestazioni a prescindere dal volere privato, ed eventualmente anche in contrasto con esso87.
A tal fine, pare opportuno prendere in esame preliminarmente le norme dettate dal Codice civile in tema di rescissione88 e di risoluzione del contratto per eccessiva onerosità sopravvenuta 89 ; norme che, per il loro carattere
87 Cfr. X. Xxxxxxxxxx, op. cit., p. 39: “Nei contratti commutativi, in cui ciascuna prestazione ripete la propria validità e trova la propria giustificazione nell’altra, si è in passato ampiamente controvertito […] se tra i sacrifici patrimoniali sopportati dai contraenti debba esserci un rapporto di equivalenza, per cui il valore economico di una prestazione debba essere (tendenzialmente) uguale a quello dell'altra, oppure se questa relazione di corrispondenza non sia necessaria, per essere la valutazione di congruità rimessa alla volontà dei contraenti”.
88 X. Xxxxxxx, Rescissione, Diritto civile, in Enc. Giur. Treccani, XXVI; Id., La fattispecie della rescissione per lesione, in Studi in onore di Xxxxx Xxxxx, Milano, 1965, p. 13; X. Xxxxxxx, voce Rescissione, in Digesto disc. Priv., Sez. civ., XVI, p. 628; X. Xxxxxx, Rescissione (diritto vigente), in Enc. Dir., XXXIX, p. 966; X. Xxxxxxxxx, La rescissione del contratto, Napoli, 1962; Id., voce Rescissione (diritto civile), in Novissimo Digesto, p. 579; X. Xxxxxx, Il fondamento dell’azione di rescissione, in Temi, 1949, p. 39.
89 X. Xxxxxx, Risoluzione del contratto I), in Enc. Giur. Treccani, XXVII; X. Xxxx, L’eccessiva onerosità della prestazione, Padova, 1952; A. De Martini, Eccessiva onerosità, diminuita utilità della controprestazione e principio di corrispettività nella dinamica del contratto, in Giur. compl. Cass. civ., 1951, III, p. 681; Id., L’eccessiva onerosità nell’esecuzione dei contratti, Milano, 1950; X. Xxxxxxx, Adempimento e rischio contrattuale, Milano, 1975.
generale, non possono non riflettere le scelte di fondo inerenti alla portata ed ai limiti dell’autonomia privata90.
Xxxxxxxx, infatti, di rimedi previsti dal legislatore del 1942 per far fronte ad ipotesi in cui vi sia una alterazione del sinallagma che determini uno squilibrio tra le prestazioni, il quale dipenda dallo stato di pericolo o dallo stato di bisogno in cui si trovava uno dei contraenti, oppure dipenda dal verificarsi di avvenimenti straordinari ed imprevedibili successivi alla conclusione del contratto91.
In tutti e tre i casi, elemento costitutivo della fattispecie è l’inadeguatezza fra prestazione e controprestazione, con la differenza che, mentre nelle ipotesi rescissorie si tratta di uno squilibrio originario, presente già al momento della conclusione del contratto, nella ipotesi risolutoria si tratta di inadeguatezza verificatasi successivamente alla sua conclusione, in conseguenza di accadimenti obiettivi, imprevisti ed imprevedibili, che hanno alterato il valore delle prestazioni92.
I casi di rescissione sono due, previsti rispettivamente dagli artt. 1447 e 1448 c.c..
Il primo contempla l’ipotesi di chi abbia assunto obbligazioni a condizioni inique, per la necessità, nota alla controparte, di salvare sé od altri dal pericolo attuale di un danno grave alla persona.
90 X. Xxxxx, Xxxx’equità dei contratti, cit., p. 22.
91 Queste tre azioni, pur fondandosi su presupposti oggettivi e soggettivi diversi, consentono al contraente svantaggiato dal rapporto negoziale di scambio di svincolarsi dal contratto, a meno che l’altra parte non intenda ristabilire un rapporto di equità tra le prestazioni.
92 Sul diverso ambito di operatività della rescissione e della risoluzione per eccessiva onerosità, v. X. Xxxxxxx, Diritto civile e commerciale, cit., p. 439 ss..
Si tratta di una fattispecie costituita da tre elementi, di cui due oggettivi ed uno soggettivo.
Il primo requisito oggettivo consiste nell’assunzione, da parte di uno dei contraenti, di obbligazioni “a condizioni inique”. A tale riguardo, va osservato che a, differenza del successivo art. 1448 c.c. (che richiede la lesione “ultra dimidium”), la norma in esame non fissa un limite quantitativo al di là del quale l’obbligazione deve ritenersi iniqua, ma rimette all’interprete il compito di dare un contenuto sostanziale alla nozione di iniquità, comunemente individuata in una forte sperequazione fra il valore della prestazione che il contraente in pericolo dà ed il valore della prestazione che riceve93.
Natura oggettiva ha anche il requisito dello stato di pericolo - che deve sussistere al momento della stipulazione - per la persona del contraente, o di un terzo e dal quale possa derivare un danno imminente94.
Sotto il profilo soggettivo, l’art. 1447 c.c., richiede che la situazione di pericolo sia nota alla controparte che si avvantaggi dall’esecuzione del contratto iniquo. A tale riguardo dottrina autorevole ha precisato che rileva soltanto la effettiva conoscenza e non anche la astratta conoscibilità95.
93 Sul concetto di prestazione iniqua, x. X. Xxxxxx, Ingiustizia dello scambio e lesione contrattuale, cit., p. 292; X. Xxxxxxx, Dir. civ. e comm., cit., p. 450 ss.; X. Xxxxxxxxx, Rescissione per lesione e alienazione di pacchetto azionario strategico, in Contratto e Impresa, 2002, p. 510 ss..
94 X. Xxxx., sez. V, 14 gennaio 1987, in Giust. pen., 1988, II, p. 165 ss.., secondo cui il pericolo, al momento della stipulazione, deve essere già individuato e circoscritto, nel suo oggetto e nei suoi effetti. Si discute se lo stato di pericolo, oltre ad essere attuale, debba essere anche concreto e reale (in tal senso, X. Xxxxxxxxxx, op. cit., p. 72, secondo cui il pericolo deve “effettivamente sussistere in base a circostanze oggettive”), ovvero possa essere anche meramente putativo (secondo C. M. Xxxxxx, op. cit., p. 645, “ai fini della rescissione non ha importanza che il pericolo sia reale. Anche il pericolo putativo è infatti idoneo a menomare la libertà di contrattazione del soggetto”).
95 Così X. Xxxxxxx, op. ult. cit., p. 447.
È interessante notare che, sempre in un’ottica equitativa, la norma in esame conferisce al giudice il potere di attribuire al contraente che subisce la pronuncia di rescissione un equo compenso per la prestazione eseguita.
Il secondo caso, previsto dall’art. 1448 c.c., rubricato “Azione generale di rescissione per lesione”, richiede la presenza contestuale di tre presupposti:
a) lesione obiettiva di oltre il 50%; b) stato di bisogno di una parte; c) abuso che l’altra parte fa di tale stato, ossia la consapevolezza di approfittare dello stato di bisogno in cui versa la controparte.
Quanto al primo presupposto, di natura oggettiva, la stessa legge indica espressamente la misura oltre la quale il rapporto di valore tra le prestazioni è da intendersi sproporzionato; infatti, l’azione non è ammissibile se la lesione non eccede la metà del valore che la prestazione eseguita o promessa dalla parte danneggiata aveva al tempo del contratto (art. 1448, comma 2, c.c.)96.
96 In altre parole, occorre che la parte lesa abbia dato o promesso una prestazione che valga più del doppio di quella ottenuta come corrispettivo. È necessario, inoltre, che tale lesione permanga fino alla domanda di rescissione (art. 1448, comma 3, c.c.). Con riferimento a quest’ultima disposizione, la dottrina si è chiesta se possa essere applicata in via analogica anche alla precedente ipotesi di stato di pericolo. In particolare, secondo X. Xxxxx (op. ult. cit.,
p. 432 ss.), la soluzione deve essere affermativa, “stante la dimostrata fondamentale unità delle figure rescissorie. Inoltre, se la reductio ad aequitatem, adeguamento dei valori delle contrapposte attribuzioni ad opera delle parti, si applica sia all’ipotesi dell’art. 1448 che all’ipotesi dell’art. 1447, perché la condizione di cui al terzo comma dell’art. 1448 –la cui mancanza si presenta come una sorta di reductio- non dovrebbe essere richiesta per il contratto rescindibile ex art. 1447? Il fenomeno che il legislatore mostra di aver preso in considerazione è in sostanza analogo a quello della reductio ad aequitatem. Anche qui, infatti, abbiamo un adeguarsi dei valori delle prestazioni reciproche, originariamente squilibrati, ma non ad opera di un contraente, bensì per il verificarsi di eventi estranei alla sfera d’azione delle parti. Come nel caso della reductio ad aequitatem, anche ex terzo comma dell’art. 1448 l’eliminazione di uno solo dei tre requisiti ha sanato il negozio; l’inadeguatezza fra le prestazioni viene ancora una volta in primo piano, viene confermata come il vizio del negozio rescindibile”.
L’art. 1448 c.c. richiede, quale ulteriore elemento di natura oggettiva, lo stato di bisogno in cui deve versare il contraente iugulato97.
Lo stato di bisogno non coincide necessariamente con l’indigenza assoluta o totale incapacità patrimoniale, potendo essere ravvisato anche nella semplice difficoltà economica o nella contingente carenza di liquidità 98 , purché idonee ad incidere in modo determinante sulla libertà contrattuale della parte99.
Come nella ipotesi di cui all’art. 1447 c.c., anche la rescissione per lesione richiede il ricorrere di un elemento soggettivo, ossia l’approfittamento dell’altrui stato di bisogno, presente quando sussiste la duplice consapevolezza dello stato di bisogno dell’altro contraente e della grave sproporzione esistente tra le reciproche prestazioni100.
00 X. X. Xxxxx, op. ult. cit., p. 425.
98 Cass., 6 dicembre 1988, n. 6630, in Giust. civ. Mass., 1988: “Ai fini della rescissione per lesione, lo stato di bisogno non coincide con l'indigenza, e ricorre anche nel caso di una deficienza di mezzi pecuniari che abbia costituito il concreto impulso alla stipulazione del contratto svantaggioso”. (Nella specie, lo stato di bisogno era stato desunto dall'esistenza di debiti e dalla necessità del contraente svantaggiato di vendere i propri beni per estinguerli); Cass., 5 settembre 1991, n. 9374, in Giur. it., 1992, I, 1, c. 861 ss..
99 Cass., 24 maggio 1990, n. 4630, in Giust. civ. Mass., 1990, secondo cui: “Ai fini dell'azione di rescissione per lesione, lo stato di bisogno, di cui all'art. 1448 c.c., pur potendo consistere anche in una situazione di difficoltà economica, tuttavia non può prescindere da un nesso di strumentalità tale da incidere sulla libera determinazione del contraente, in mancanza degradandosi, nella possibilità della libera scelta dei mezzi, a quella mera esigenza della realizzazione più conveniente del fine perseguito dal contraente che è presente in ogni negozio. (Nella specie, in base all'enunciato principio la S.C. ha annullato la decisione dei giudici del merito, che avevano accolto la domanda di rescissione con riguardo ad un contratto preliminare di costituzione di una servitù di passaggio a favore di un fondo già collegato alla via pubblica, rispondente al fine di attuare un sistema di trasporti più economico, e quindi di realizzare un risparmio).
100 X. Xxxx., 0 dicembre 1988, n. 6630, cit.: “Ai fini della rescissione per lesione, perché sussista l'approfittamento dell'altrui stato di bisogno, non è richiesta, da parte del contraente avvantaggiato, un'attività diretta a promuovere o sollecitare la conclusione del contratto, essendo sufficiente che la conoscenza dello stato di bisogno costituisce la spinta psicologica a contrarre, desumibile anche dal contegno passivo integrato e lumeggiato dalla realizzazione effettiva del vantaggio conseguito”; Cass., 24 febbraio 1979, n. 1227, in Giust. civ. Mass.,
In entrambi i casi, la pronuncia di rescissione libera dall’obbligo di adempiere le prestazioni non eseguite e fa restituire quanto già adempiuto.
Da una prima lettura delle disposizioni in esame e, in particolare dell’art. 1448 c.c., emerge il riferimento esplicito ad uno squilibrio originario tra le prestazioni101.
Da ciò potrebbe inferirsi l’esistenza di un principio di equità, cioè di equilibrio sinallagmatico di tipo oggettivo, la cui violazione sarebbe sanzionata, appunto, con la rescissione, salva la realizzazione dell’equità attraverso la reductio102.
Proprio tale possibilità (cioè di evitare la rescissione attraverso la reductio) sarebbe riprova della ratio dell’istituto, ravvisata, dunque, nel principio di adeguatezza o equilibrio caratterizzante i contratti con prestazioni corrispettive103.
1979: “Ai fini della rescissione del contratto per lesione a nulla rileva che il contraente avvantaggiato abbia soltanto aderito alla pressante offerta del contraente bisognoso senza aver svolto alcuna attività più o meno maliziosa intesa a promuovere o sollecitare la stipulazione del contratto, perché ai fini dell'art. 1448 c.c., è sufficiente che egli abbia profittato della situazione - a lui nota - di menomati potere e libertà contrattuale dell'altra parte consentendo alla stipulazione di un contratto, a prestazioni fortemente sperequate, con suo consapevole vantaggio”.
101 X. Xxxxxx, Corrispettività e alea nei contratti, cit., p. 69, precisa che nell’ipotesi dell’art. 1447 c.c. “l’iniquità di una prestazione può emergere anche da circostanze che non comportano divario di valore”.
102 Tale rimedio ha sostituito il potere, attribuito all’acquirente di immobile, di pagare il giusto prezzo onde evitare la efficacia della sentenza di rescissione già pronunciata (art. 1534 c.c. 1865). Nella disciplina attuale, la reductio, invece, preclude la rescissione del contratto, perché fa venir meno un elemento della fattispecie complessa. Per una critica sulla reductio, in quanto rimedio rimesso alla scelta dell’approfittatore, v. X. Xxxxxxx, voce Rescissione, cit.,
p. 644. Sulla natura giuridica di tale istituto, v. X. Xxxxxxxxx, La rescissione, cit., p. 586; C. M. Xxxxxx, Diritto civile, III, Il contratto, cit., p. 656; X. Xxxxxx, L’equità nella giurisprudenza, in Nuova giur. civ. comm., 1986, p. 16; X. Xxxxxxxxx, Poteri del giudice ed equità del contratto, in Contratto e Impresa, 2, 1991, p. 478.
103 X. Xxxxxxx Xxxxxxxxxx, Dottrine generali del diritto civile, cit., p. 164.
Da tale principio parte della dottrina deduce che la rescissione sanziona un difetto parziale della causa104.
A ben considerare, però, sia nell’ipotesi di contratto concluso in stato di pericolo (art. 1447 c.c.) che in quella di contratto concluso in stato di bisogno (art. 1448 c.c.), le fattispecie di rescindibilità richiedono, oltre allo squilibrio (le “condizioni inique” nella prima e la lesione “ultra dimidium” nella seconda), la ricorrenza di determinate circostanze (stato di pericolo di una parte e sua conoscenza dall’altro contraente, stato di bisogno) o condotte (approfittamento), inerenti alla fase di formazione del contratto.
Tra i suddetti elementi non v’è rapporto di alternatività, né di subordinazione, priorità o precedenza, essendo, invece,necessaria la loro simultanea ricorrenza nel caso concreto105.
000 X. Xxxxxxx Xxxxxxxxxx, op. ult. cit., p. 164, il quale afferma: “Può darsi che la causa manchi solo in parte. Per intendere questa possibilità si deve tener presente che la legge accoglie un principio di massima per i contratti, salvo gli aleatori, e specialmente per i contratti con prestazioni corrispettive, il principio dell’adeguatezza del sacrificio patrimoniale, in relazione al sacrificio della controparte o alle previsioni, secondo la valutazione della coscienza sociale. In quanto questa adeguatezza manchi, per le ragioni e nei modi dalla legge previsti, la causa è viziata”.
105 Ciò è stato più volte ribadito dalla giurisprudenza: cfr. Cass. 1 marzo 1995, n. 2347 e Cass. 5 settembre 1991, n. 9374, in Il codice civile, Piacenza, 1998; Cass., 9 dicembre 1982, n. 6723,
in Foro it. Mass., 1982; Cass., 6 novembre 1978, n. 5040, in Foro it. Mass., 1978; Cass., 26
aprile 1978, n. 1947, in Foro it. Mass., 1978; Cass., 5 settembre 1991, n. 9374, in Giur. it., 1992, I, 1, c. 861, secondo cui “L’azione generale di rescissione per lesione prevista dall’art. 1448 c.c., richiede la simultanea ricorrenza di tre requisiti e cioè l'eccedenza di oltre la metà della prestazione rispetto alla controprestazione, l'esistenza di uno stato di bisogno, inteso non come assoluta indigenza ma come una situazione di difficoltà economica che incide sulla libera determinazione a contrattare e funzioni cioè come motivo della accettazione della sproporzione fra le prestazioni da parte del contraente danneggiato ed, infine, l’avere il contraente avvantaggiato tratto profitto dall'altrui stato di bisogno del quale era consapevole. Fra i tre elementi predetti non intercede alcun rapporto di subordinazione od alcun ordine di priorità o precedenza, per cui riscontrata la mancanza o la mancata dimostrazione dell'esistenza di uno dei tre elementi, diviene superflua l'indagine circa la sussistenza degli altri due e l'azione di rescissione deve essere senz'altro respinta”.
Dalla necessaria ricorrenza dei tre requisiti può ricavarsi che gli istituti rescissori sono posti a tutela dell’autonomia privata, in linea col principio generale della libera determinabilità del contenuto delle prestazioni; ciò comporta che, qualora lo scambio a condizioni sperequate sia stato liberamente voluto, non vi è spazio per alcuna impugnazione106.
Diversamente opinando, non si spiegherebbe perché il legislatore non abbia ritenuto sufficiente la semplice esistenza di uno squilibrio oggettivo nel valore delle prestazioni scambiate107.
Pertanto, dall’analisi del dato normativo consegnato all’art. 1448 c.c., si desume che l’istituto della rescissione non tutela il “giusto prezzo”108.
106 Così X. Xxxxxxxx, Regole del mercato e congruità dello scambio contrattuale, cit., p. 311. Sull’istituto della rescissione cfr. anche A. Di Majo, op. cit., p. 3, secondo cui <<la normazione codicistica è diretta in larga parte a salvaguardare il corretto esercizio della libertà negoziale. Una volta garantito questo obiettivo, non si incarica di guardare al quid actum tra le parti. I problemi del c.d. “giusto prezzo” sono ignoti alla legislazione codicistica, perchè del resto, oltre che scarsamente praticabili, contrari al principio che sono le stesse parti a contribuire a determinare il prezzo di mercato. Potrebbe richiamarsi a contrario il rimedio della rescissione dei contratti conclusi in stato di pericolo (art. 1447) o di bisogno (art. 1448), quale testimonianza della rilevanza del profilo dello “equilibrio” delle prestazioni. Ma la risposta è anche prevedibile. Anche in tali casi il rilievo dello “equilibrio” è efficacemente mediato dalla condizione soggettiva del contraente (stato di pericolo o di bisogno di cui l’altra parte ha approfittato). In definitiva, è la condizione soggettiva che si mira a garantire, perchè fonte dello squilibrio>>.
107 Per X. Xxxxxxxx, La proporzione fra le prestazioni contrattuali, cit., p. 311, il rimedio della rescissione è previsto “contro i contratti conclusi a condizioni inique o fortemente sperequate per valore, ma iniquità e sperequazione rilevano solo in quanto siano frutto di particolari situazioni soggettive: stato di pericolo o stato di bisogno di una delle parti, da cui l’altra abbia tratto vantaggio”. V. anche Xxxxxxxxx, op. ult. cit., p. 514: “In mancanza di significative anomalie della procedura contrattuale ed in presenza dell’adeguato sostegno causale, il diritto considera di regola irrilevante lo squilibrio economico tra le prestazioni, quando sia originario e non sopravvenuto successivamente alla conclusione del contratto. La valutazione della adeguatezza fra prestazione e controprestazione, in assenza di regole volte a salvaguardare il rispetto dei principi di giustizia commutativa, va dunque in via di principio rimessa esclusivamente ai contraenti; è di loro stretta pertinenza quale espressione primaria della libertà di autodeterminazione contrattuale di cui sono depositari”.
108 Sul punto pare opportuno osservare che la generalizzazione dell’istituto in parola operata dal legislatore del 1942 ne ha determinato uno stravolgimento rispetto alla disciplina dettata dall’art. 1529 del codice Xxxxxxxxx (“Il venditore che è stato leso oltre la metà nel giusto prezzo
Infatti, si osserva che tali prescrizioni non avrebbero utilità e senso ove da altre norme o principi dell’ordinamento si potesse trarre la regola della invalidità dei contenuti negoziali, o comunque, della loro sindacabilità e modificabilità giudiziaria, in presenza di iniquità delle condizioni o di sproporzione tra le prestazioni, pur in mancanza di ogni altra circostanza o condotta relativa alla formazione del contratto109.
Una tale regola, infatti, assorbirebbe e soddisferebbe ogni esigenza di protezione e di disciplina pertinente alle fattispecie previste dal regime della rescissione, così che da questa si desume l’esclusione dal sistema del codice di quella regola110.
Inoltre, la natura, i caratteri e il regime del rimedio, quale che ne sia il controverso fondamento, lo distinguono da quello della nullità, al quale invece dovrebbero attenere ragionamenti che riconducano il problema dello squilibrio alle nozioni di “interesse meritevole di tutela”, di causa, di ordine pubblico, suggerendo che, se per la rescissione occorrono, oltre lo squilibrio, le circostanze e le condotte indicate dagli artt. 1447 e 1448 c.c., non potrebbe dal solo squilibrio discendere il differente, e per certi versi più radicale111, rimedio della nullità del contratto, in virtù di un giudizio di non meritevolezza
di un immobile, ha il diritto di chiedere la rescissione della vendita, ancorché nel contratto avesse rinunziato espressamente alla facoltà di domandare una tale rescissione, ed avesse dichiarato di donare il di più del valore”).
109 X. X’Xxxxxx, Il contratto in generale. La buona fede,cit., p. 190.
110 X. Xxxxx, L’adeguatezza fra le prestazioni nei contratti con prestazioni corrispettive, cit., p. 438 ss.; T. O. Xxxxxxxxxx, Il problema dell’adeguatezza della prestazione nella rescissione per lesione, cit., p. 324 ss.; X. Xxxxxxxx, Regole del mercato, cit.,p. 311; X. Xxxxxxxx, Meritevolezza di interessi e equilibrio contrattuale, cit., p.432; X. Xxxxx, Il contratto, cit., p. 384.
111 Si pensi alla legittimazione, alla rilevabilità d’ufficio, alla prescrizione.
degli interessi, o per mancanza di causa, o per contrarietà all’ordine pubblico112.
Sempre su questo punto, un Autore ribadisce che non sarebbe sensato supporre che la disciplina della rescissione sia compatibile con la sanzione di nullità di squilibri contrattuali ancor più gravi, rispetto alle misure previste dagli artt. 1447 e 1448 c.c., che sarebbero per la loro entità sanzionabili di per se stessi, indipendentemente da ogni altro requisito inerente alle circostanze e alle condotte relative alla fase formativa. Da un lato, infatti, l’art. 1447 c.c., riferendosi a “condizioni inique”, ricomprende ogni misura dello squilibrio, dall’altro, l’art. 1448 c.c., indica nell’ultra dimidium una soglia minima, ricomprendendo ogni maggiore sproporzione113.
Né tali indicazioni di carattere generale vengono smentite dal disposto dell’art. 763 c.c., il quale prevede la rescissione della divisione per il solo fatto della lesione oltre il quarto114.
Infatti, la ratio di tale previsione è specifica e attiene alla particolare funzione del contratto volto alla conversione in porzioni concrete delle quote astratte spettanti a ciascun condividente115.
A conferma di ciò, può risultare utile richiamare la Relazione del Guardasigilli (n. 656), nella quale, pur riconoscendosi che “l’equilibrio tra le
112 X. Xxxxxxxxxx, Sul contenuto del contratto, cit., p. 311; T. O. Xxxxxxxxxx, op. ult. cit., p. 342 ss; X. Xxxxxx, Ingiustizia dello scambio e lesione contrattuale, cit. p. 260; X. Xxxxxxx, La rescissione del contratto - Artt. 1447-1457, in Il Codice civile. Commentario, diretto da X. Xxxxxxxxxxx, Xxxxxx, 0000, p. 2.
113 Così X. X’Xxxxxx, op. ult. cit., p. 191.
114 In materia di divisione ereditaria, l’art. 763 c.c., rubricato “Rescissione per lesione”, al comma 1 prevede che “La divisione può essere rescissa quando taluno dei coeredi prova di essere stato leso oltre il quarto”.
115 X. Xxxxxxxx, op. ult. cit., p. 311 ss.. Secondo X. Xxxxxxxxxxx, Equilibrio normativo e principio di proporzionalità nei contratti, in Rass. dir. civ., 2001, p. 349, l’art. 763 c.c., invece, è espressivo di un generale principio di proporzionalità.
prestazioni delle parti o l’equità del vantaggio conseguito da una di esse costituisce l’ideale di una sana circolazione dei beni”, si afferma che “una norma generale che avesse autorizzato il riesame del contenuto del contratto per accertare l’equità o la proporzione delle prestazioni in esso dedotte, sarebbe stata, non soltanto esorbitante, ma anche pericolosa per la sicurezza delle contrattazioni; tanto più che avrebbe resa necessaria una valutazione obiettiva delle situazioni contrapposte, là dove spesso, nella determinazione dei vantaggi di ciascuna parte, operano imponderabili apprezzamenti soggettivi, non suscettibili di un controllo adeguato”.
Si è posto, quindi, il problema di individuare il fondamento dell’istituto rescissorio.
Alcuni autori lo ravvisano in un vizio del volere, determinato dal bisogno116.
È stato, però, obiettato che i vizi del volere sono tipici ed, inoltre, che lo stesso dato normativo richiede ulteriori elementi per la configurabilità della categoria in esame117.
Inoltre, si è osservato che lo stato di pericolo e lo stato di bisogno sono circostanze che agiscono esternamente ed oggettivamente sul contraente
116 X. Xxxxxx, Teoria generale del contratto, Torino, 1955, p. 205 ss.; X. Xxxxxx, Il fondamento dell’azione di rescissione, cit., p. 43 ss., che parla di “vizio nella determinazione causale del volere”; X. Xxxxxxx, La causa del contratto secondo il nostro codice, in Studi in onore di Xxxx, II, Milano, 1951, p. 308 ss.; X. Xxxxxxxx, La compravendita secondo il nuovo codice, Genova, 1946, p. 87 ss.; X. Xxxxxx, Della rescissione del contratto, in Commentario al codice civile, a cura di D’Xxxxxx e Xxxxx, Libro delle obbligazioni, I, Firenze, 1948, p. 758 ss.; X. Xxxxxxxx, Sul fondamento dell’azione di rescissione nei contratti, in Giur. Compl. Cass. Civ., 1946, II,
p. 677 ss.; X. Xxxxxxxxx, voce Rescissione (diritto civile), cit., p. 583; X. Xxxxxxx, La fattispecie della rescissione per lesione, cit., p. 113 ss..
000 X. X. Xxxxxxx, Xxxxx stato di bisogno, come requisito soggettivo, di natura patrimoniale, della rescissione per lesione, in Rass. dir. civ., 2, 1987, p. 512, il quale riconduce il fondamento dell’istituto della rescissione alla violazione del principio dell’equilibrio contrattuale.
xxxxxxxx, a differenza della violenza, la quale, identificandosi con la minaccia proveniente dalla parte o da un terzo, ha carattere soggettivo118.
Ne consegue che “il timore provocato da una qualsiasi forza naturale (stato di pericolo), o da una particolare situazione economica (stato di bisogno), non può essere identificato con il timore derivante dalla minaccia di un male ingiusto e notevole, e non si può sostenere l’esistenza di un vizio della volontà, di violenza, in senso tecnico”119.
Del resto, a favore della diversità tra i due istituti (rescissione e annullabilità) militano evidenti argomenti di carattere normativo.
Basti pensare ai diversi strumenti previsti dal legislatore per mantenere in vita il contratto “viziato”.
Il contratto annullabile, infatti, può essere convalidato, ex art. 1444 c.c., soltanto dal contraente cui spetta l’azione di annullamento; il contratto rescindibile, invece, può essere conservato solo mediante la riduzione ad equità, ex art. 1450 c.c., su iniziativa del contraente contro cui è domandata la rescissione e non è suscettibile di convalida, per espressa previsione dell’art. 1451 c.c.120.
118 X. Xxxxx, L’adeguatezza fra le prestazioni, cit., p. 434.
119 X. Xxxxx, op. ult. cit., p. 435. Sul punto v. anche X. Xxxxxx, op. cit., p. 270.
120 Secondo X. Xxxxxxx, Dir. civ. e comm., cit., p. 450 s., tale scelta legislativa “si coordina con gli interessi che le norme in materia mirano a proteggere: esse non tutelano, come si è appena rilevato, la libertà del contraente, che non potrà mai liberarsi del vincolo contrattuale per il solo fatto di avere contratto in stato di pericolo o in stato di bisogno. Proteggono solo il contraente che, versando in un tale stato, abbia contratto <<a condizioni inique>>; pongono rimedio allo squilibrio determinatosi fra le prestazioni contrattuali. Non è ammessa, perciò, la convalida del contratto rescindibile (art. 1451), come è ammessa per quello annullabile; è invece ammessa la sua riconduzione ad equità, come per il contratto soggetto a risoluzione per eccessiva onerosità sopravvenuta”.
Altri Autori ravvisano la ratio della rescissione nella illiceità o immoralità dell’approfittamento dell’altrui menomata condizione121.
Secondo tale orientamento, la rescissione sanzionerebbe la violazione di un obbligo di rispettare l’altrui sfera di interessi, che si sostanzia nei doveri di buona fede e correttezza contrattuale (art. 1337 c.c.) e nel dovere di solidarietà previsto dall’art. 2 della Costituzione.
Sul punto, però, si obietta che se l’approfittamento fosse stato ritenuto dal legislatore un comportamento illecito contrastante con norme imperative, di rango costituzionale, al contratto, in cui una parte si avvantaggia dell’altrui situazione di pericolo o di bisogno, avrebbe dovuto essere comminata la sanzione della nullità per illiceità, ai sensi dell’art. 1414 c.c.122.
Ancora, è stato osservato che il contratto rescindibile non presenta alcun connotato di illiceità in senso tecnico-giuridico123, poiché il contratto mediante il quale un contraente ottiene la prestazione, che si consenta di
121 Secondo C. M. Xxxxxx, Il contratto, cit., p. 644, “la rescindibilità esprime sul piano giuridico una valutazione socialmente negativa in ordine a tale approfittamento”. Per X. Xxxxxxxxx, La rescissione del contratto, cit., p. 97 “la reale essenza del rimedio rescissorio…altro non è che la sanzione nel campo del diritto privato di un illecito o immorale comportamento di uno dei soggetti del contratto”. V., ancora, X. Xxxxxxx, Contributo alla dottrina dell’usura e della lesione, Milano, 1946, p. 61 ss.; X. Xxxxxxx, Teoria generale delle obbligazioni, cit., p. 446 ss.; X. Xxxxxxx, Considerazioni intorno all’abuso dello stato di bisogno e al fondamento dell’azione generale di rescissione per lesione, in Giur. cass. Civ., 1950, III, p. 262 ss.; M. Comporti, Fondamento e natura della rescissione, in Studi senesi, 1956-1957, p. 7; X. Xxxxxxx, voce Rescissione, cit., p. 631. Di tale orientamento riferisce anche X. Xxxxx, L’adeguatezza, cit., p. 436: “In una società ben regolata ogni comportamento deve essere improntato al dovere di solidarietà, perché ogni uomo nei rapporti della vita sociale, per procurarsi i beni e i servizi che gli sono necessari e per difendersi dai rischi, ha bisogno della cooperazione degli altri”.
122 Così X. Xxxxxxxxxx, Profili del problema dell’equilibrio contrattuale, cit., p. 76.
123 Secondo X. Xxxxxxxxx, op. ult. cit., p. 104 ss., l’atto del profittatore è immorale, ma non illecito, perché non comporta responsabilità per il risarcimento del danno, bensì provoca la rescissione del contratto; X. Xxxxxxxxxxx, Mercato e rescissione, in Xxx. xxx. xxxx., 0000, x. 000, xxxxxxxxx il comportamento del profittatore “antisociale…perché ha consentito un vantaggio percepito dalla collettività come iniquo”.
sottrarsi allo stato di bisogno o di necessità, è lecito, avendo una funzione socialmente utile e realizzando un interesse meritevole di tutela giuridica124.
Del resto, come già osservato per l’annullabilità, notevoli sono le differenze di disciplina tra nullità e rescissione: il contratto nullo non è mai sanabile ex se, potendo tutt’al più convertirsi in un’altra figura negoziale, qualora ne possegga i requisiti di forma e di sostanza, e qualora, avuto riguardo allo scopo perseguito dalle parti, si possa ritenere che esse lo avrebbero voluto se avessero conosciuto la nullità dell’accordo originario (art. 1424 c.c.); il contratto nullo non produce effetti, nemmeno nei confronti di xxxxx, mentre la rescissione non pregiudica i diritti acquistati dai terzi (art. 1452 c.c.)125; l’azione di nullità è imprescrittibile (art. 1422 c.c.), mentre l’azione di rescissione si prescrive nel termine di un anno 126 , così come l’eccezione (art. 1449, comma 2, c.c.).
Tali profili di disciplina inducono a ritenere che, se il legislatore avesse considerato illecito il contratto caratterizzato da uno squilibrio tra le prestazioni, avrebbe dettato una disciplina differente, specie con riferimento al termine prescrizionale127.
In realtà, la rescissione fonde in sé diverse anime in una fattispecie complessa, in cui i singoli elementi di rilevanza non possono giustificare l’istituto senza viziare di unilateralità la prospettiva dogmatica.
È vero, infatti, che la volontà del contraente è influenzata dallo stato di bisogno, che è necessaria la presenza e il permanere della lesione, che è
124 X. Xxxxx, op. ult. cit., p. 438.
125 La disposizione in esame fa salvi gli effetti della trascrizione della domanda di rescissione. 126 “Ma se il fatto costituisce reato, si applica l’ultimo comma dell’articolo 2947” (art. 1449, comma 1, c.c.).
127 X. Xxxxxxxxxx, op. ult. cit., p. 77.
rilevante lo stato soggettivo del contraente avvantaggiato, ma la ricerca di una ratio che intenda esprimere il significato dell’istituto nel sistema deve considerare tutti questi elementi della fattispecie per trarre dal loro collegamento la unica ed unitaria funzione128.
Per tale ragione, altra parte della dottrina ravvisa la ratio della rescissione nella tutela indiretta della libertà contrattuale129.
Secondo tale orientamento, la rescissione disciplina il caso in cui la menomazione dell’autonomia privata influisce sulla valutazione del rapporto sinallagmatico, in particolare dei vantaggi patrimoniali, tanto che si parla di vizio originario del sinallagma, e cioè, del rapporto di corrispettività130.
In tale contesto, lo squilibrio economico oggettivo, inteso come lesione enorme determinata in base ai valori di mercato, è soltanto un indice legale, al pari dello stato di bisogno e di pericolo, di una eccessiva disuguaglianza di fatto tra i contraenti, la cui rilevanza è, tuttavia, subordinata all’accertamento dello stato soggettivo della controparte131.
128 Di tale avviso è X. Xxxxx, Xxxx’equità dei contratti, cit., p. 25.
129 V. C. M. Xxxxxx, Il contratto, cit., p. 643, che parla di alterazione della libertà contrattuale;
X. Xxxxxxxxx, Il diritto comune dei contratti e degli atti unilaterali tra vivi a contenuto patrimoniale, Napoli, 1997, p. 59; X. Xxxx, L’ordine giuridico del mercato, Bari-Roma, 1998, p. 70.
130 X. Xxxxx, L’adeguatezza, cit., 457 ss., secondo cui il vizio causale deriva non tanto dalla sproporzione, che sembrerebbe un corollario del principio dell’equilibrio oggettivo tra le prestazioni, ma dalla inadeguatezza, vale a dire dalla non attendibilità della valutazione della corrispettività. A conferma di ciò, l’A. richiama l’esclusione del rimedio rescissorio per i contratti aleatori: “Una spiegazione logica del 4° comma dell’art. 1448 si può avere soltanto ove si riconosca a fondamento dell’istituto rescissorio l’esigenza di adeguatezza fra le contrapposte prestazioni”… “Data la variabilità della misura delle reciproche prestazioni, caratteristica essenziale di questa categoria contrattuale, non è nemmeno concepibile una valutazione comparativa delle attribuzioni reciproche”.
131 In tal senso, v. X. Xxxxx, op. ult. cit., p. 452; C. G. Terranova, L’eccessiva onerosità nei contratti, in Commentario, diretto da Xxxxxxxxxxx, Milano, 1995, p. 202.
In questo modo si realizzerebbe la tutela dell’autonomia negoziale del singolo, nel rispetto dell’analoga ed insopprimibile libertà della controparte132.
In tale ottica, il rimedio della reductio ad aequitatem mira a realizzare un equilibrio contrattuale oggettivo quale surrogato dell’equilibrio contrattuale soggettivo di fatto irrealizzatosi, a causa della mancanza di libertà negoziale in uno dei contraenti133.
Alla luce di tali considerazioni, può affermarsi che l’istituto rescissorio non sanziona l’iniquità contrattuale in sé e, pertanto, non pone alcun limite all’autonomia privata, al cui servizio, invece, è posto134.
È chiaro, a questo punto, il collegamento con la risoluzione per eccessiva onerosità sopravvenuta, fondata sul rispetto del rapporto sinallagmatico, così come liberamente disegnato dalle parti135.
Tale istituto, al pari della rescissione, rappresenta un rimedio previsto dal legislatore per ripristinare l’equilibrio contrattuale nell’ipotesi un cui si verifichino delle “sopravvenienze” 136.
132 Da questo angolo visuale, la lesione ultra dimidium indicherebbe il margine del sacrificio che il contraente debole deve sopportare.
133 Così X. Xxxxx, Xxxx’equità, cit., p. 27, secondo cui <<l’equilibrio sinallagmatico … appare requisito, richiesto a pena di rescindibilità, dei soli contratti non negoziabili che sono “tipici” in quanto individuati dalla ricorrenza di tutti gli elementi dell’art. 1448 [il quale] insomma tipizza un contratto diverso da quello normale fondato sulla uguaglianza dei contraenti … e per esso dispone un “requisito” ulteriore rispetto a quelli generali: l’equità del sinallagma>>. 134 C. M. Xxxxxx, Il contratto, cit., p. 643; X. Xxxxxxxxx, Il diritto comune dei contratti e degli atti unilaterali tra vivi a contenuto patrimoniale, cit., p. 59; X. Xxxx, L’ordine giuridico del mercato, cit., p. 70.
135 Sui punti di contratto tra i due istituti, v. X. Xxxxxxx, op. ult. cit., p. 450 ss., il quale, dopo averne evidenziato i tratti di disciplina comuni relativi alla riconduzione ad equità, osserva che “anche gli effetti della rescissione rispetto ai terzi sono regolati (art. 1452) in modo corrispondente alla risoluzione”.
000 X. X. Xxxxxxx, Xx risoluzione del contratto per eccessiva onerosità sopravvenuta, Torino, 2002; A. Di Majo, Eccessiva onerosità sopravvenuta e reductio ad aequitatem, in Corr. giur., 1992, p. 662 ss.; Id., La nozione di equilibrio nella tematica del contratto, cit., p. 8 ss., il quale osserva che <<in pressocché tutti i sistemi giuridici (anche in quello di Common Law) non
L’art. 1467 c.c. si applica ai rapporti contrattuali ad esecuzione continuata o periodica, oppure ad esecuzione differita, quindi suscettibili di essere eseguiti in tutto o in parte137.
Anche l’istituto in esame si fonda sullo squilibrio fra le prestazioni (la “onerosità”), il quale, però, a differenza delle ipotesi rescissorie, ove è presente ab origine, deve essere successivo rispetto al valore di scambio delle prestazioni originariamente stabilito dai contraenti, e deve essere la conseguenza di accadimenti straordinari e imprevedibili, come tali estranei alla sfera del “voluto” dei paciscenti al momento della conclusione del vincolo negoziale138.
L’onerosità, ossia lo squilibrio tra il valore economico delle prestazioni, oltre che sopravvenuta, deve essere anche “eccessiva”, vale a dire tale da
passano inosservate le sopravvenienze, che sono tali da alterare l’equilibrio contrattuale. In Common Law si ha riguardo alla volontà delle parti. Nella dottrina francese si ricorre all’istituto della “imprevision”. Nel nostro codice si è soliti fare riferimento alla risoluzione per eccessiva onerosità (art. 1467 ss.)>>.
137 La giurisprudenza ha ampliato l’ambito di applicazione dell’art. 1467 c.c., estendendolo a tutte le ipotesi in cui, al di fuori di una predeterminazione delle parti, avvenimenti straordinari e imprevedibili ritardino, senza colpa degli obbligati, l’esecuzione del contratto, e si verifichi una alterazione del rapporto di proporzionalità tra le reciproche prestazioni. Cfr. Cass., 11 novembre 1986, n. 6584, in Nuova giur. civ. comm., 1987, I, p. 677. Una specifica applicazione dell’istituto dell’eccessiva onerosità sopravvenuta, prevista dal legislatore, si può rinvenire nell’art. 1664 c.c. in tema di appalto (cfr. X. Xxxxxxxxx, Eccessiva onerosità ed appalto, Milano, 1983; X. Xxxxxxxx, Appalto e sopravvivenza contrattuale, Milano, 1979; X. Xxxxxx, Dell’appalto, in Commentario del codice civile, Scialoja-Branca, sub artt. 1655-1677, Bologna-Roma, 1982).
138 Tuttavia, analogamente a quanto previsto in materia rescissoria, laddove sussistano i presupposti per l’applicabilità del rimedio della risoluzione per eccessiva onerosità sopravvenuta, il legislatore accorda alla parte contro cui la risoluzione medesima è domandata di evitarla, offrendo di “modificare equamente le condizioni del contratto” (art. 1467, comma 3, c.c.). Il meccanismo della reductio è previsto anche per i contratti con obbligazioni di una sola parte, su domanda, in questo caso, del debitore (art. 1468 c.c.).
rendere il contratto sensibilmente xxxxxxxx per uno dei contraenti139 e non deve rientrare nell’ “alea normale del contratto”(art. 1467, comma 2, c.c.)140.
Dal carattere straordinario ed imprevedibile degli accadimenti ex art. 1467 c.c., si ricava la irrilevanza per l’ordinamento giuridico dello squilibrio dell’assetto negoziale stabilito dai contraenti.
Infatti, se le vicende sopravvenute fossero state previste, o fossero anche soltanto state prevedibili dai contraenti, il rimedio non potrebbe operare; da ciò consegue che la finalità di tale istituto non è garantire un equilibrio oggettivo tra i valori delle prestazioni, bensì assicurare l’assetto risultante proprio dalle pattuizioni, assetto che costituisce il parametro per l’apprezzamento dei presupposti della risoluzione xxxxxx000.
Quindi, se lo squilibrio è riconducibile all’ambito delle scelte delle parti, non è rimediabile.
Inoltre, ai sensi dell’art. 1469 c.c., il rimedio non potrà operare nemmeno se l’eccessiva onerosità inerisce all’alea pattuita142, senza che tale
139 X. Xxxxxxxx, La proporzione fra le prestazioni, cit., p. 311; X. Xxxxxxxxxxx, Equilibrio normativo e principio di proporzionalità nei contratti, cit., p. 236, secondo cui “istituti quali la rescissione per lesione e la risoluzione per eccessiva onerosità si configurano come gli antesignani di una sia pur timida ed eccezionale necessità di evitare sproporzioni macroscopiche a favore di chi non le merita”.
140 Ci si è chiesti se lo squilibrio dovuto a fenomeni inflattivi rientrasse o meno nel concetto di alea normale. Secondo l’attuale orientamento giurisprudenziale, la svalutazione monetaria può giustificare la risoluzione per eccessiva onerosità sopravvenuta, qualora, ancorché non provocata da avvenimenti eccezionali, presenti caratteri di imprevedibilità e straordinarietà (Cass., 15 dicembre 1984, n. 6574, in Giust. civ., 1985, 1, p. 2794; Cass., 3 agosto 1990, n.
7833, in Giur. it., 1991, I, 1, c. 143).
141 X. Xxxxxxxx, op. ult. cit., p. 311, rileva che l’equilibrio che il regime della reductio ad aequitatem tende a ristabilire è proprio quello originariamente convenuto dalle parti. In giurisprudenza, x. Xxxx., 13 luglio 1984, n. 4114, in Rep. Foro it., 1984, voce Contratto in genere, n. 276; Cass., 9 ottobre 1989, n. 4023, in Giur. it., 1990, I, 1, c. 944; Cass., 8
settembre 1998, n. 8857, in Giust. civ. Mass., 1998, 1865.
142 Il rimedio in esame non trova applicazione nemmeno nei contratti aleatori per loro natura (art. 1469 c.c.).
xxxxx xxxxxxxxx l’esclusione della risoluzione per eccessiva onerosità dei contratti convenzionalmente aleatori alla verifica, secondo calcoli attuariali, della congruità delle condizioni convenute rispetto all’assunzione del rischio.
In altre parole, anche lo squilibrio sopravvenuto in conseguenza di eventi straordinari non inficia il vincolo contrattuale se le conseguenze dell’attuazione del rapporto sperequato sono il frutto dell’originario assetto negoziale stabilito dai contraenti. Ne consegue, necessariamente, la insindacabilità nel merito della congruità delle pattuizioni aleatorie143.
Tale disciplina appare coerente con un regime che escluda la sindacabilità delle condizioni pattuite dai contraenti ed incompatibili con un regime che la prescriva144.
Quest’ultimo, infatti, non potrebbe che essere inderogabile, così che dovrebbe escludersi la validità di una pattuizione che implicasse l’assunzione, non remunerata da contropartite adeguate secondo criteri attuariali, del rischio
143 X. Xxxxxx, voce Alea, in Enc. Dir., I, Milano, 1958, p. 1024 ss.; X. Xxxxxx, voce Alea, in Dig. IV ed., Sez. civ., I, Torino, 1987, p. 253 ss.; U. A. Xxxxxxxx, Contratti onerosi con prestazione incerta, Milano, 2003, p. 135 ss.; F. Delfini, Autonomia privata e rischio contrattuale, Milano, 1999, p. 195 ss.
144 V. C. G. Terranova, L’eccessiva onerosità nei contratti, cit., p.233: “Gli istituti in esame non si prestano né ad applicazioni finalizzate al recupero al recupero di operazioni contrattuali compromesse, né ad un potere modificativo del giudice diretto ad attuare astratti criteri di equilibrio dello scambio contrattuale, il che provocherebbe un appiattimento dell’operazione- contratto, privandola di ogni carattere di specificità e cioè del proprium della specifica operazione economica”. Secondo X. Xx Xxxx, Nozione di equilibrio nella tematica del contratto, cit., p. 8 ss., “si tratta dunque di preservare il mantenimento dell’equilibrio contrattuale ma nei termini inizialmente convenuti dalle parti”. L’A., inoltre, evidenzia come, in presenza di sopravvenienze, i principi di diritto contrattuale europeo vadano <<ben oltre>>. Infatti, <<nel caso di “mutamento di circostanze”, ove le parti non raggiungano un accordo per adeguare il contratto, il giudice può modificare il contratto in modo da distribuire tra le parti in maniera giusta ed equa le perdite e i vantaggi derivanti dal mutamento di circostanze (art. 6.111). Si tratta veramente di garantire un equilibrio contrattuale tale da sostituire quello eventualmente manchevole dettato dalle parti. Quasi paradossalmente si può dire che, in occasione del “mutamento di circostanze”, il contratto, in termini di equilibrio, venga ridefinito, se non altro sul piano di una equa distribuzione tra i vantaggi e le perdite>>.
dello squilibrio eccessivo per evenienze sopravvenute, straordinarie e imprevedibili.
Al contrario, la disciplina dell’eccessiva onerosità e l’esclusione della sua applicazione ai contratti convenzionalmente aleatori, muovono da un presupposto contrario145.
Gli istituti della rescissione e della risoluzione per eccessiva onerosità denotano che non necessariamente le parti sono tenute ad elaborare un assetto di interessi in cui le diverse prestazioni abbiano un equivalente valore economico e che anche in presenza di prestazioni non equivalenti il contratto concluso deve essere eseguito, in ossequio al principio “pacta sunt servanda”146.
Ciò trova conferma nel fatto che tali istituti hanno un ambito di applicazione limitato a fattispecie tassativamente determinate, in cui qualche fatto abbia influito negativamente sulla formazione o sullo svolgimento del rapporto contrattuale, conferendogli una configurazione patologica che ne consiglia l’eliminazione147.
In particolare, con riferimento agli artt. 1447 ss. c.c., non è sufficiente per pretendere legittimamente la rescissione del contratto la sola iniquità del
145 In tal senso, v. X. X’Xxxxxx, op. cit., p. 200. Secondo l’A., alla luce della disciplina dettata dagli artt. 1467 ss. c.c., “non si vede come potrebbe invece ammettersi la sindacabilità di un assetto negoziale che appaia squilibrato non già in virtù dell’assunzione dei rischi di evenienze future straordinarie ed imprevedibili, ma per la ragione, assai meno meritevole di rimedio, dell’accettazione di uno squilibrio che sia già attuale al momento della stipulazione del contratto, e lo sia quindi in termini conosciuti o conoscibili, e non variabili e incerti”.
146 Qualora, infatti, la valutazione del rapporto di corrispettività sia avvenuta liberamente e l’assetto sinallagmatico non sia turbato da eventi sopravvenuti ed imprevedibili, trova applicazione, in nome della certezza del diritto, il contratto avrà efficacia di legge privata (art. 1372 c.c.).
147 X. Xxxxxx, Corrispettività e alea nei contratti, cit., p. 70; X. Xxxxxxxxxx, Sul contenuto del contratto, cit., p. 311; X. Xxxxxxxxx, La rescissione del contratto, cit., p. 47 ss.
regolamento o la sola lesione ultra dimidium, essendo altresì necessario che l’alterazione dell’equilibrio patrimoniale sia dipeso da uno stato di pericolo o di bisogno, del quale l’altra parte abbia approfittato e che abbia determinato l’accettazione di un regolamento pregiudiziale148.
Al contrario, un’alterazione, liberamente scelta, dell’equilibrio economico risulta accettata dall’ordinamento che si preoccupa di salvaguardare soltanto un comportamento di correttezza e buona fede nella materia delle trattative contrattuali149.
Analogamente, nella risoluzione per eccessiva onerosità, emerge l’insufficienza del solo profilo economico a legittimare l’eliminazione della vicenda contrattuale.
Invero, la disciplina della eccessiva onerosità sopravvenuta non riflette l’esigenza di porre rimedio ad una ingiustizia particolarmente grave del sinallagma, non ha la funzione di assicurare che il contratto sia in ogni caso vantaggioso per le parti, bensì provvede all’inattuabilità del programma negoziale, non imputabile alle parti150.
Inoltre, la libertà riconosciuta alle parti di estendere l’alea normale del contratto o di trasformarlo in contratto aleatorio è ulteriore indice della
148 Tale istituto è considerato espressione dello “statuto del diritto all’approfittamento” (X. Xxxxxxxxx, Solidarietà e autonomia privata, Napoli, 1970, p. 56; Id., Lesione d’interesse e annullamento del contratto, Milano, 1964, p. 91 ss.).
149 X. Xxxxxxxxx, op. ult. cit., p. 267 ss..
150 Ossia non riferibile alla loro autoresponsabilità. Infatti, soltanto il verificarsi di un evento straordinario (cioè anormale secondo una valutazione statistica) ed imprevedibile (dall’uomo medio in base ad un giudizio ex ante in concreto), produttivo di uno squilibrio sinallagmatico eccessivo, non assorbito nell’alea normale del tipo contrattuale, determina la trasformazione dell’economia dell’affare rilevante per il diritto. Ne consegue che, in questo caso, l’esecuzione delle prestazioni non sarebbe attuazione del contratto programmato dalle parti; al contrario, l’alterazione prevedibile del sinallagma e, quindi, il non perfetto soddisfacimento dell’interesse di una parte, non assurge a problema disfunzionale del contratto.
inesistenza di un principio di equilibrio imperativo, idoneo, cioè, ad imporsi alle parti stesse.
In definitiva, gli istituti della rescissione e della risoluzione hanno quale elemento comune l’esistenza di un rapporto giuridico il cui assetto economico sarebbe stato diverso se non influenzato da determinati fatti perturbatori151.
L’ordinamento giuridico reagisce ad uno squilibrio patrimoniale delle prestazioni soltanto se l’assetto di interessi non è stato liberamente voluto; in tale contesto, l’inadeguatezza fra le prestazioni si pone, accanto ad elementi eterogenei, quale requisito generale per le due forme di reazione152.
Tali conclusioni non vengono contraddette dalla previsione, nell’ambito della disciplina di entrambi gli istituti in esame, del rimedio della reductio ad aequitatem.
Ciò è evidente nel caso di contratto risolubile per eccessiva onerosità sopravvenuta, in quanto con la reductio si ovvia all’alterazione tra il valore delle prestazioni, riportando il rapporto tra queste nell’ambito dell’alea normale, e cioè nell’ambito dell’equilibrio soggettivo153.
Infatti, in questa ipotesi, è stata effettuata dalle parti una libera determinazione di valore; successivamente, però, il rapporto di scambio, così
151 A tale proposito pare opportuno richiamare il contributo di X. Xxxxx, L’adeguatezza fra le prestazioni, cit., p. 429 ss., in cui l’A. fornisce una soluzione unitaria al problema del fondamento della rescissione e della risoluzione per eccessiva onerosità, individuandolo nella inadeguatezza soggettiva delle prestazioni. Secondo X. Xxxxx, “il principio che è alla base delle diverse disposizioni, e che tutte le ispira non ostante le particolarità di atteggiamenti, è il principio di soggettiva adeguatezza fra le prestazioni, portato necessario dell’autonomia privata”.
152 V. F. Xxxxxxxxx, Solidarietà e autonomia privata, cit., p. 58; X. Xxxxxxxx, Sulla reductio ad aequitatem del contratto rescindibile, in Giust. Civ., 1979, p. 1091.
153 X. Xxxxx, Il contratto, in Trattato Xxxxxxxx, XX, 0, Xxxxxx, 1975, p. 1003.
come voluto dai contraenti, si è alterato a danno di uno di essi per il sopraggiungere di eventi straordinari ed imprevedibili.
Di conseguenza, il rimedio della reductio deve ricostruire il rapporto di valori concordato pattiziamente, anche se alle prestazioni sia stato attribuito un valore diverso da quello oggettivo di mercato154.
L’art. 1467 c.c., infatti, non impone al convenuto, che voglia evitare la risoluzione, di offrire una modifica tale da ristabilire esattamente l’equilibrio tra le rispettive posizioni esistenti al momento della conclusione del contratto; l’offerta di modifica deve ritenersi equa se riporta il contratto in una dimensione sinallagmatica tale che, se fosse esistita al momento della stipulazione, la parte onerata non avrebbe avuto il diritto di domandare la risoluzione155.
In caso di contratto rescindibile, invece, manca una attendibile determinazione delle parti sul rapporto di scambio contrattuale, poiché quella effettuata non è idonea a sorreggere il contratto156.
Pertanto, per la sua riconduzione ad equità si deve fare ricorso all’equilibrio oggettivo157.
154 In altre parole, in tema di offerta di riduzione ad equità della prestazione, si tende solo ad eliminare riduttivamente la “eccessività” della sproporzione così da ricondurre il rapporto sinallagmatico entro l’alea normale e non anche ad instaurare un vero e serio equilibrio tra entrambe le rispettive prestazioni.
155 Cass., 11 gennaio 1992, n. 247, in Foro it. Rep., 1992, voce Contratto in genere, nn. 413-
414.
156 X. Xxxxx, op. ult. cit., p. 461; X. Xxxxxxx, Dir. civ. e comm., cit., p. 450.
157 Secondo X. Xxxxxxxxxxx, Xxxxxxx e rescissione, cit., p. 686, il parametro di riferimento per ricondurre ad equità il contratto è rappresentato “dal valore di mercato, il quale viene a costituire il riferimento per valutare se l’offerta sia idonea a ricondurre ad equità il rapporto tra prestazione e controprestazione”. Quanto all’entità dell’integrazione della prestazione, richiesta per paralizzare il rimedio rescissorio, dottrina e giurisprudenza prevalenti ritengono che, per ridurre ad equità il contratto rescindibile, sia necessario pareggiare il valore delle prestazioni, eliminando totalmente lo squilibrio del nesso sinallagmatico, e non
Invero, l’applicazione del principio dell’equilibrio contrattuale oggettivo, la necessaria persistenza dello squilibrio (e non anche, ad esempio, dello stato di bisogno) fino alla proposizione della domanda, lo stesso rimedio della reductio, sembrerebbero testimoniare l’esistenza di un principio di equilibrio imperativo.
In realtà, occorre ribadire che, nell’ambito della fattispecie rescissoria, la sproporzione non rileva in sé e per sé, ma solo nel concorso degli altri presupposti - di natura soggettiva - normativamente previsti158.
Inoltre, il richiamo all’equilibrio oggettivo soltanto in sede di reductio, dimostra che “il legislatore, lungi dal sancire un principio contrastante con quello della privata autonomia, ha posto l’adeguatezza oggettiva solo come criterio suppletivo rispetto ad essa”159.
La tutela equitativa riconducibile alle norme su richiamate, pertanto, interviene soltanto in caso di mancanza di libertà nella valutazione del rapporto di corrispettività fra le prestazioni; al di fuori di questa ipotesi, vige il principio pacta sunt servanda, che protegge, senza distinzioni, in nome della
semplicemente riducendolo al di sotto della metà (Cass., 8 febbraio 1983, n. 1046, in Rep. Xxxx xx., xxxx Xxxxxxxxx xx xxxxxx, x. 000; Cass., 22 novembre 1978, n. 5458, in Giust. civ., 1979, I, 1046; X. Xxxxxxxx, Sulla reductio ad aequitatem del contratto rescindibile, cit., p. 1091; C. M. Xxxxxx, Diritto civile, III, Il contratto, cit., p. 694; X. Xxxxx-G. De Nova, Il contratto, t. II, cit., p. 594).
158 Sul punto, v. X. Xxxxxxxxxxx, op. ult. cit., p. 685, secondo cui “è l’abuso della posizione di forza di una parte, il cui indice rivelatore è costituito dalla iniquità del contenuto del contratto che rende il contratto rescindibile”. Secondo l’A., se mancasse la consapevolezza dell’iniquità delle condizioni, ovvero se il contenuto del contratto fosse solo casualmente iniquo, “non vi sarebbe ragione di consentire la rescissione del contratto in assenza di un principio che fissi o consenta di fissare il rapporto tra le prestazioni, e quindi l’iniquità dello scambio”.
159 Così X. Xxxxx, op. ult. cit., p. 440. Secondo l’A., “le prestazioni di un contratto di scambio risultano bilanciate in un rapporto di adeguatezza, non di <<equilibrio>> o <<equivalenza>>, ossia un giusto rapporto di reciproca convenienza la cui valutazione è rimessa completamente alle parti”.
certezza del diritto, pattuizioni giuste e meno giuste, e cioè, obiettivamente equilibrate o squilibrate160.
A conclusioni non differenti conduce l’esame di altre norme codicistiche che ineriscono al profilo economico del regolamento negoziale, attribuendo al giudice, in alcuni casi, un potere determinativo del contenuto contrattuale.
Gli artt. 1537 e 1538 c.c., in tema di rettifica del prezzo nella compravendita a misura e a corpo, hanno lo scopo di evitare sperequazioni non espressamente previste e volute.
Infatti - come ha chiarito la giurisprudenza - le azioni previste da tali articoli presuppongono il solo fatto obiettivo che sia stata consegnata una quantità maggiore o minore della cosa rispetto a quella pattuita161.
In buona sostanza, le norme in questione intervengono nell’ipotesi in cui vi sia uno scarto tra misura reale del bene e quella indicata nel contratto, ma non impongono un rapporto di necessaria equivalenza tra i valori dei beni scambiati 162 ; infatti, le parti potrebbero legittimamente derogare alle disposizioni stesse, atteso il loro carattere dispositivo163.
Analoghe considerazioni possono farsi per l’art. 1664 c.c., in tema di revisione dei prezzi nell’appalto.
160 Così X. Xxxxx, op. cit., p. 34.
161 Cass., n. 27/1975, in Foro it., 1975, I, c. 846.
162 Cass., 27 dicembre 1993, n. 12791, in Giust. civ. Mass., 1993, fasc. 12.
163 Cass., 6 giugno 1980, n. 3666, in Giust. civ. Mass., 1980, fasc. 6. Con specifico riferimento alla vendita a corpo, Cass., 26 giugno 1995, n. 7238, in Giust. civ. Mass., 1995, fasc. 6 e Cass., 9 luglio 1991, n. 7594, in Giust. civ., 1992, I, 1551, escludono la possibilità di chiedere la rettificazione del prezzo se, dall’interpretazione del contratto, risulta che le parti medesime abbiano considerato irrilevante la effettiva estensione dell’immobile, qualunque essa sia.
Più precisamente, tale disposizione costituisce una particolare applicazione del più ampio istituto della eccessiva onerosità, disciplinato dall’art. 1467 c.c., riscontrandosi in entrambe le ipotesi il medesimo fondamento giuridico, rappresentato dal turbamento dell’equilibrio di valore tra le prestazioni, verificatosi in modo oggettivo ed imprevedibile nel corso del rapporto contrattuale164.
La norma in esame, peraltro, è derogabile dalle parti, le quali potrebbero escluderne la operatività mediante la pattuizione della invariabilità del corrispettivo165.
In materia di liberalità, l’art. 809 c.c., nell’assoggettare alla disciplina della revocazione e all’azione di riduzione le liberalità che risultano da atti diversi dalla donazione, estendendosi anche alle implicazioni attributive liberali di contratti corrispettivi, sembra presupporre che la validità di questi ultimi non sia compromessa dalla non equivalenza del valore delle reciproche prestazioni166.
Ancora, in materia di società, la legge vieta la totale esclusione di uno dei soci dalla partecipazione agli utili o alle perdite (art. 2265 c.c.), non la mera disparità di trattamento fra i soci, quanto a tale partecipazione; quindi, ammette che taluno possa trarre dal contratto di società utili obiettivamente non corrispondenti ai sacrifici che ha affrontato per la partecipazione all’impresa.
164 Cfr. Cass., 3 novembre 1994, n. 9060, in Giust. civ. Mass., 1994, fasc. 11 e Cass., 5
febbario 1987, n. 1123, in Giust. civ. Mass., 1987, fasc. 2.
165 Cass., 23 agosto 1993, n. 8903, in Giust. civ. Mass., 1993, 1318; Cass., 14 dicembre 1989,
n. 5619, in Giust. civ. Mass., 1989, fasc. 12.
166 X. Xxxxx, Il contratto, cit., p. 384. L’A. trae argomento anche dall’art. 67, comma 1, n. 1,
l. fall., per escludere che il contratto oneroso notevolmente squilibrato possa essere invalido, essendo per esso prevista la diversa sanzione della revocabilità, che ne presuppone la validità.
In realtà, il codice civile presume, in mancanza di diverso accordo, che la partecipazione debba essere proporzionale al conferimento (art. 2263, comma 1, c.c.), così come altre volte integra il contenuto del contratto in modo che sembrerebbe orientato a realizzare un assetto di interessi equo: la determinazione dell’oggetto del contratto da parte del terzo si presume rimessa al suo equo apprezzamento (art. 1349, comma 1, c.c.) 167 ; il corrispettivo della compravendita non determinato dalle parti va individuato con riferimento ai prezzi normalmente praticati dal venditore, od ai prezzi di borsa o di mercato (art. 1474 c.c.)168; il corrispettivo di appalto, mandato, commissione, spedizione, mediazione, lavoro autonomo, lavoro professionale, va determinato, nel silenzio delle parti, con riferimento alle tariffe, od agli usi, oppure va stabilito dal giudice secondo equità (artt. 1657, 1709, 1733, 1736,
1740, comma 1, 1775, comma 2, 2225, 2233 c.c.)169.
A ben considerare, pertanto, si tratta di disposizioni che hanno uno specifico e circoscritto ambito di applicazione e che autorizzano l’intervento determinativo del giudice in via del tutto residuale170.
In ogni caso, resta fermo che l’ambito dell’intervento e della discrezionalità del giudice non si estende - come confermano anche le
167 Secondo X. Xxxxx, op. cit., p. 56, l’intento di tale norma è semplicemente quello di attribuire un valore certe della prestazione che possa garantire la sopravvivenza dell’accordo. 168 Si noti che l’art. 1474, comma 3, c.c. prevede l’ipotesi che le parti non abbiano fissato il prezzo del bene, ma si siano limitate al richiamo ad un giusto prezzo. Tale disposizione sarebbe priva di significato se il prezzo comunque dovesse essere adeguato al bene oggetto del contratto; da ciò discende la ulteriore conferma che il prezzo non deve essere necessariamente equivalente al valore del bene acquistato.
169 Sulle varie ipotesi normative, v. X. Xxxxxxxx, op. ult. cit., p. 312 ss.
170 In riferimento alle ipotesi normative sopra richiamate, osserva X. Xxxxx, op. ult. cit., p. 444, che “solamente quando una valutazione dell’adeguatezza ad opera delle parti manchi del tutto si attua un intervento dell’ordinamento giuridico, il quale stabilisce - in via suppletiva - che debba essere costituito un rapporto fra le prestazioni tale da risultare adeguato sulla base dell’oggettiva valutazione dei prezzi di mercato dei beni scambiati”.
disposizioni codicistiche da ultimo richiamate - alla sindacabilità del convenuto equilibrio economico-normativo, di per se stesso considerato, indipendentemente dalla ricorrenza di anomalie formative o sopravvenute che, secondo l’ordinamento giuridico, comportano la esclusione o la rimozione del vincolo171.
Particolare attenzione merita l’art. 1349, comma 2, c.c., secondo cui “la determinazione rimessa al mero arbitrio del terzo non si può impugnare se non provando la sua mala fede”; non quindi per iniquità od errore, sia pur manifesti, come previsto dal comma 1 per il caso in cui manchi la rimessione al mero arbitrio172.
Il solo limite alla stabilità della determinazione del terzo ai sensi del comma 2 è la sua malafede, cioè un’attuazione del suo compito deliberatamente volta a favorire una parte, o danneggiare l’altra, o a soddisfare un interesse comunque alieno rispetto al suo ufficio, in genere al perseguimento di finalità illecite, riprovevoli173.
171 Secondo X. Xxxxxxxx, op. ult. cit., p. 312, “l’esigenza cui rispondono le norme integrative non è tanto quella di attribuire alla prestazione indeterminata un valore adeguato a quello della controprestazione, quanto piuttosto quella di attribuirle un valore certo, evitando l’inefficacia del contratto. Il prezzo delle merci che il venditore vende abitualmente è quello da lui normalmente praticato (art. 1474 comma 1°), anche se per avventura superiore al prezzo di mercato. Il prezzo di borsa o di listino in vigore al momento della consegna (art. 1474, comma 2°) è richiamato senza eccezione per i casi in cui peculiari circostanze (penuria o rarefazione delle merci, manovre speculative, sovrabbondanza ecc.) alterino il regolare funzionamento del mercato, determinando prezzi difformi da quelli normalmente praticati. Il compenso risultante dalle tariffe professionali o dagli usi è certamente conforme a ciò che normalmente si pratica, ma non è detto che rappresenti sempre il compenso adeguato al valore della prestazione, dal punto di vista di chi la dà o di chi la riceve”.
172 L’art. 1349 c.c. ammette, accanto alla determinazione della prestazione secondo l’arbitrium boni viri, anche quella secondo l’arbitrium merum. Sul punto, v. X. Xxxxxxxxxx, Sul contenuto del contratto, cit., p. 340 ss..
000 X. Xxxxx-X. Xx Xxxx, Xx contratto, cit., II, p. 135; X. Xxxxx, Il contratto, cit., p. 354; X. Xxxx-X. Xxxxxxx, Oggetto e contenuto, in Trattato di diritto privato diretto da X. Xxxxxxx, vol. XIII, t. III, p. 379; Cass., 2 febbraio 1999, n. 858, in Giust. civ. Mass., 1999, p. 229.
Lo squilibrio che consegue alla determinazione del terzo, per suo errore o per un suo non equo apprezzamento174, senza tuttavia essere frutto della sua malafede, non costituisce ragione di impugnazione e non inficia il vincolo contrattuale che risulta dalla integrazione di quella determinazione con le pattuizioni dei contraenti.
Da tale regime si desume la validità e stabilità della pattuizione dei contraenti che, rimettendosi al mero arbitrio del terzo, preventivamente ne accettano la determinazione che pur produca uno squilibrio contrattuale175.
A questo punto, va osservato che, se l’ordinamento giuridico - attraverso la disposizione appena esaminata - riconosce la validità e stabilità di una pattuizione che solo potenzialmente può essere foriera di squilibrio, a maggior ragione deve ritenersi che esso attribuisca la stessa forza vincolante alla convenzione con la quale i contraenti direttamente ed attualmente stabiliscono un assetto negoziale sperequato.
Anche dall’art. 1349, comma 2, c.c. si traggono, dunque, univoche indicazioni che confermano la non sindacabilità dell’equilibrio contrattuale stabilito dai contraenti, di per sé considerato, indipendentemente dalla ricorrenza di anomalie formative o sopravvenute alle quali la legge riconduca l’effetto di escludere o rimuovere il vincolo contrattuale.
Accanto alle ipotesi normative sopra richiamate si può collocare quella di cui all’art. 1371 c.c.176, che prevede - qualora, nonostante l’applicazione dei
174 Secondo X. Xxxx-X. Xxxxxxx, op. ult. cit., l’iniquità consiste nell’ingiustificato sacrificio dell’interesse di una parte.
175 La determinazione della prestazione rimessa al mero arbitrio del terzo, infatti, ben si potrà allontanare da una stretta equivalenza economica, specie per l’adozione del corrispettivo di beni che non abbiano una valutazione corrente.
vari criteri ermeneutici, il contratto rimanga oscuro - il ricorso all’interpretazione integrativa, alla ricerca di una volontà astratta che possa considerarsi come obiettivamente voluta per quel tipo di negozio, in quella tipica situazione economico-sociale177.
In base a tale norma, ove, nei contratti a titolo oneroso, non si possa in alcun modo stabilire la valutazione delle prestazioni compiuta dai contraenti, occorre fare ricorso al criterio oggettivo di adeguatezza178.
Tale criterio, che rappresenta la massima oggettivazione delle prestazioni, è doppiamente subordinato, potendo il giudice farvi ricorso soltanto quando prima il criterio soggettivo, e poi quello oggettivo, si siano rilevati insufficienti179.
176 Su cui v. X. Xxxxx, Xxxxxx xxxxxx xxxxxxxx x xxxx xx Xxxxxxxxxxx, Xxxxxx, IV, 1, p. 488 ss.; X. Xxxxxxxxx, Diritti civili e istituti privatistici, Padova, 1983, p. 263 ss.; X. Xxxxxxx e X. Xxxxx, Equità interpretativa ed <<economia>> del contratto. Osservazioni sull’art. 1371 del codice civile, cit., c. 250 ss.; X. Xxxxx, Interpretazione del contratto e regole finali (art. 1371 cod. civ.), in Temi, 1976, p. 238.
177 X. Xxxxx, Teoria generale del negozio giuridico, in Trattato di diritto civile italiano diretto da Xxxxxxxx, Torino, 1960, p. 362; Id., Interpretazione della legge e degli atti giuridici, Milano, 1949, p. 300 ss.; X. Xxxx, Profili dell’interpretazione oggettiva del negozio giuridico, Bologna, 1943, p. 41 ss.; X. Xxxxxxx Ferrara, Il negozio giuridico nel diritto privato italiano, Xxxxxx, x.x., x. 000 ss..
178 Dottrina e giurisprudenza consolidate suddividono in due gruppi le regole ermeneutiche: il primo, che comprende gli artt. da 1362 a 1365 c.c., regola l’interpretazione soggettiva del contratto, finalizzato a porre in luce la concreta volontà delle parti; il secondo (artt. da 1366 a 1370 c.c.), disciplina l’interpretazione oggettiva del contratto, con funzione suppletiva rispetto al primo, nell’ipotesi in cui residuino ambiguità ed incertezze. In dottrina, v. X. Xxxxxxx, op. ult. cit., p. 7; X. Xxxxxxxxx, L’interpretazione del negozio giuridico con particolare riguardo ai contratti, Padova, 1983; X. Xxxx, Profili dell’interpretazione oggettiva del negozio giuridico, cit.; G. Osti, voce Contratto, cit., p. 524; X. Xxxxxxxxx, Dei contratti in generale, in Comm. Cod. civ. UTET, IV, II,2, Torino, 1980, p. 281. In giurisprudenza, x. Xxxx., 00 giugno 1991, n. 6610, in Dir fall., 1992, II, p. 75 ss.; Cass., 20 gennaio 1989, n. 345, in Giust. civ. Mass.,
1989; Cass., 14 gennaio 1983, n. 287, in Foro it., 1983, I, c. 1273; Cass., 17 maggio 1982, n.
3040, in Foro it. mass., 1992.
179 La norma in esame, pertanto, pone nei contratti di scambio l’adeguatezza oggettiva delle prestazioni come criterio suppletivo, applicabile solamente in assenza di una chiara ed espressa previsione delle parti in merito alle reciproche attribuzioni patrimoniali. V. S. Xxxxx, op. ult. cit., p. 440; X. Xxxxxxxxxx, op. ult. cit., p. 310.
Alla luce di tale disposizione, appare evidente come nell’intenzione, almeno originaria, del legislatore, l’oggettivazione contrattuale180 non avrebbe dovuto costituire uno strumento per indirizzare le scelte economiche soggettive al fine della realizzazione di una presunta parità sociale, ma avrebbe dovuto costituire uno strumento di supporto ai fini della applicazione del principio di conservazione contrattuale, allorché le scelte soggettive dei contraenti non si fossero rivelate sufficienti nella costruzione della struttura negoziale181.
Dalle norme codicistiche esaminate finora si evince che l’ordinamento giuridico non si preoccupa di salvaguardare l’equilibrio oggettivo delle prestazioni182.
Ciò è confermato anche dall’art. 1174 c.c., norma di fondamentale importanza nella disciplina delle obbligazioni in generale.
180 Sulla esistenza, nel Codice civile del 1942, di un processo di “oggettivazione dello scambio contrattuale”, v. X. Xxxxx, La buona fede, cit., p. 51. In tal senso, secondo l’A., deporrebbe, da un lato, la scelta operata dal legislatore del ‘42 di non recepire la categoria del negozio giuridico - basata sulla esaltazione della volontà creatrice di effetti giuridici - e di spostare, conseguentemente, il fulcro del contratto dal requisito del consenso a quello della causa, onde consentire al giudice un controllo circa la funzione economico-sociale dell’atto di autonomia; dall’altro, la prevalenza della dichiarazione sulla volontà,quando la divergenza fra la prima e la seconda non fosse riconoscibile dal destinatario della dichiarazione.
181 X. Xxxxxxxxxx, Profili del problema, cit., p. 49.
182 Cfr. X. Xxxxx, op. cit., p. 55: “Il legislatore si è quindi preoccupato soltanto che sussistessero i presupposti perché le parti potessero determinarsi liberamente alla conclusione dell’accordo e così ha predisposto una serie di norme (artt. 428, 1438, 1447, 1448 c.c.) con il compito di colpire quei contratti sproporzionati o iniqui in cui una parte traesse vantaggio approfittando di una situazione di debolezza della controparte. È però evidente che, in realtà, anche in tali ipotesi l’ordinamento reagisce per porre rimedio ad una mancanza di consenso o di volontà piuttosto che al mero squilibrio tra prestazioni”. L’A. prosegue, osservando che “la mera iniquità non è dunque sufficiente per giustificare una reazione dell’ordinamento essendo necessario anche un comportamento scorretto del contraente forte che approfitta della situazione di debolezza della sua controparte”.
Secondo l’art. 1174 c.c., “la prestazione che forma oggetto della obbligazione deve essere suscettibile di valutazione economica e deve corrispondere a un interesse, anche non patrimoniale, del creditore”.
L’interesse alla prestazione, pertanto, può essere, oltre che economico, anche morale, sociale, religioso e soltanto in sua presenza il rapporto è considerato meritevole di tutela183.
Tale interesse, in sostanza, costituisce un ulteriore elemento di giudizio atto ad individuare in maniera più completa il perché sia stato ritenuto conveniente un determinato assetto di interessi in cui la valutazione economica delle prestazioni potrebbe essere estremamente favorevole ad uno dei contraenti184.
Applicato ai contratti commutativi, il principio della non patrimonialità dell’interesse perseguibile comporta che i contraenti, nell’apprezzamento dell’interesse in concreto perseguito, possano tener conto anche di fattori che si pongono al di là del mero incremento patrimoniale, e quindi valutare l’utilità per loro delle prestazioni non solo in senso economico185.
Ciò rende meritevole di tutela, ad esempio, un contratto di compravendita in cui una parte acquista un bene ad un prezzo anche di gran
183 X. Xxxxx, Teoria generale delle obbligazioni, I, Prolegomeni: funzione economico-sociale dei rapporti d’obbligazione, Milano, 1953, p. 52 ss.; X. Xxxxxxxxxx, L’obbligazione, Milano, 1968, p. 58 ss.; X. Xxxxxxxx, Obbligazioni (nozioni), in Enc. dir., XXIX, Milano, 1979, p. 180 ss.; A. Di Majo, Obbligazioni e contratti, Roma, 1978, p. 101.
184 Secondo X. Xxxxxxx, Il contenuto del contratto, cit., p. 391, “i vantaggi debbono trovarsi in rapporto di subiettiva equivalenza, ma non è detto che consistano sempre in una modificazione del patrimonio del contraente, come si desume anche dalla fondamentale norma dell’art. 1174 secondo cui la prestazione può corrispondere anche ad un interesse non patrimoniale del creditore. Stando così le cose, dovranno definirsi contratti onerosi anche la transazione e il contratto d’accertamento, sebbene trattasi di contratti che non modificano latu sensu la situazione patrimoniale preesistente”.
185 X. Xxxxxx, Ingiustizia dello scambio, cit., p. 295.
lunga superiore al suo valore intrinseco, qualora tale bene soddisfi un interesse morale della parte stessa186.
In buona sostanza, il legislatore ha previsto in alcune ipotesi l’operatività di un criterio di oggettività tra il valore delle prestazioni, allorché una o entrambe non siano state sufficientemente determinate dalle parti187; ma tale criterio ha solo funzione integrativa dell’elemento volontaristico, in quanto la sua funzione non è quella di attribuire alla prestazione indeterminata un valore corrispondente a quello della controprestazione, ma quello di “attribuire un valore certo, evitando l’inefficacia del contratto”188.
A questo punto dell’indagine, riprendendo il rapporto tra autonomia privata e suoi limiti189, si può affermare che l’ordinamento giuridico - almeno con riferimento alle norme codicistiche - tende a stabilizzare l’assetto di interessi concordato dalle parti al momento della stipulazione del contratto, rendendo così intangibile quanto da loro voluto mediante le reciproche manifestazioni di volontà190.
Il contenuto delle prestazioni costituisce l’oggetto della volontà così come i contraenti l’hanno palesata, ed al giudice non è permesso sostituire il
186 Al contrario, se l’interesse perseguibile fosse solo di natura patrimoniale, sarebbe difficile ammettere una relazione di scambio in cui per un contraente si realizzi uno svantaggio economico, in quanto la nozione di interesse è antitetica con quella di svantaggio. Sul punto v.
X. Xxxxxxxxxx, Patrimonalità della prestazione e interesse del creditore, in Impresa, 2002, p. 1593 ss..
187 Ad avviso di X. Xxxxx, L’adeguatezza fra le prestazioni, cit., p. 440, “il legislatore, lungi dal sancire un principio contrastante con quello della privata autonomia, ha posto l’adeguatezza oggettiva solo come criterio suppletivo rispetto ad essa”.
188 X. Xxxxxxxx, Regole del mercato, cit., p. 313.
189 V. Cap. II.
190 X. Xxxxxxx, Diritto civile e commerciale, cit., p. 4; X. Xxxxx, op. utl. cit., p. 440: “L’affermazione della necessità che le prestazioni siano in rapporto di equivalenza oggettiva avrebbe colpito al cuore l’autonomia privata, il libero apprezzamento delle parti”.
proprio criterio a quello adottato dalle parti per stabilire se lo scambio, così come voluto e realizzato, sia economicamente equo191.
L’equilibrio oggettivo o equivalenza resta estraneo allo schema contrattuale, cedendo il passo alla adeguatezza, ossia alle reciproca convenienza, secondo le valutazioni soggettive delle parti 192 ; il contratto, pertanto, è lo strumento per la realizzazione non di esigenze di giustizia equitativa, bensì di interessi subiettivamente ritenuti rilevanti dai contraenti193. Da questo punto di vista, è rintracciabile una continuità tra il nuovo codice civile ed il vecchio, il quale riconosceva espressamente il carattere
soggettivo dell’adeguatezza fra le prestazioni di un contratto oneroso.
Infatti, l’art. 1101 c.c. 1865, qualificava a titolo oneroso “quel contratto nel quale ciascuno dei contraenti intende, mediante equivalente, procurarsi un vantaggio”, laddove, con il termine “intende”, il legislatore chiariva che la valutazione dell’adeguatezza fra le prestazioni era lasciata all’apprezzamento individuale della parte194.
191 X. Xxxxx, op. ult. cit., p. 441: “Il legislatore non verifica se la valutazione compiuta dai contraenti corrisponde a quella oggettiva del mercato; non interviene, ad es. tramite organi giudiziari o amministrativi, a controllare l’apprezzamento compiuto dai soggetti, perché questo colpirebbe l’istituto contrattuale nella sua intima essenza di mezzo giuridico per il raggiungimento di una giusta distribuzione dei beni mediante la decisione dei singoli contraenti, e porterebbe, invece, ad un regolamento d’autorità”.
192 Le parti, quindi, addivengono alla conclusione di un contratto di scambio solo se esse ritengono adeguate o equivalenti le reciproche prestazioni. Cfr. X. Xxxxx, op. ult. cit., p. 441: “Nei contratti con prestazioni corrispettive le parti sono libere non solo di addivenire o meno allo scambio, ma anche di determinare il rapporto fra le prestazioni, che, in presenza delle condizioni fondamentali dell’economia di mercato, è per principio accettato come adeguato dall’ordinamento”.
193 X. Xxxxxxx, Norme efficienti. L’analisi economica delle regole giuridiche, Milano, 2002, p. 134 ss.;
194 La disposizione de qua era pienamente conforme ai principi liberisti dominanti al tempo della prima codificazione italiana. In termini, X. Xxxxx, op. ult. cit., p. 441. Contra, X. Xx Xxxxxxxx, Istituzioni di diritto civile, III, Milano-Messina, 1935, p. 253.
Pertanto, a conclusione di questo prima indagine, possiamo osservare come la normativa codicistica - almeno in linea di principio 195 - non si preoccupa di garantire una proporzione, o congruenza, fra i valori delle prestazioni scambiate196.
Nell’ottica del codice civile, il giusto rapporto di scambio si ritiene essere quello che gli operatori economici hanno autonomamente stabilito197, oppure quello che viene normalmente praticato nelle transazioni economiche aventi il medesimo oggetto198.
195 X. Xxxxxxxx, Regole del mercato, cit., p. 312 ss., osserva come non manchino eccezioni alla regola che vuole il legislatore indifferente al contenuto economico dell’accordo delle parti. Si pensi, ad esempio, all’art. 1339 c.c., che prevede la fissazione dei prezzi da parte dell’autorità; l’art. 36 Cost., che sottrae alla libera contrattazione la fissazione del corrispettivo alla prestazione di lavoro; la legge 27 luglio 1978, n. 392, che impone l’obbligo di rispettare un equo canone nelle locazioni di immobili urbani.
196 In dottrina è diffusa l’opinione che l’adeguatezza o equivalenza soggettiva fra le prestazioni costituisca la caratteristica della categoria dei contratti a prestazioni corrispettive:
X. Xxxxxxxx, voce Contratto, cit., p. 129 ss.; X. Xxxxxxx, Teoria generale delle obbligazioni, II, cit., p. 276 ss.; Xxxxx e Xxxxxxx, Xxxxx vendita, in Comm. cod. civ. a cura di Xxxxxxxx e Branca, Libro IV, Delle obbligazioni, art. 1470-1457, Bologna-Roma, 1981, p. 99 ss.; Xxxxxxx, Onerosità e gratuità, in Xxx. xxxx. xxx. x xxxx. xxx., 0000, x. 00; X. Xxxxxxxxxxxx, Xxxxxxxxx in generale, in Tratt. dir. civ. diretto da Xxxxxx e Xxxxxxx Xxxxxxxxxx, IV, 2, Milano, 1977, p. 224. 197 Cfr. X. Xxxxx, La buona fede, cit., p. 54: “L’idea di questo codice, ispirato come noto al pensiero liberistico, è dunque quella che in un’economia di mercato l’equilibrio dello scambio sia garantito dal libero accordo delle parti.”
198 Nel senso della irrilevanza della sproporzione tra le prestazioni quale requisito di validità o di efficacia del contratto, v., fra gli altri, X. Xxxxxxx Ferrara Il negozio giuridico nel diritto privato italiano, cit., p. 227 ss.; X. Xxxxxxxx, Il contratto in genere, cit., p. 749; X. Xxxxxx, Corrispettività e alea nei contratti, cit., p. 67 ss.; X. Xxxxx, op. ult. cit., p. 441 ss.; X. Xxxxxxxxxx, op. ult. cit., p. 303 ss.; G. Osti, voce Contratto, cit., p. 489 ss.; G. B. Xxxxx, Causa e tipo nella teoria del negozio giuridico, Milano, 1966, p. 258 ss.; C. M. Xxxxxx, La vendita e la permuta, in Trattato di diritto civile e commerciale diretto da X. Xxxxxxxx, Torino, 1972, p. 28 ss..
CAPITOLO IV
RILEVANZA DELL’INCAPACITÁ, DEL DOLO E DELL’ERRORE NEI CONTRATTI SPEREQUATI
Nell’ambito dei rimedi codicistici contro i contratti conclusi a condizioni inique, parte della dottrina individua, oltre alla rescissione e alla risoluzione per eccessiva onerosità sopravvenuta, anche l’istituto dell’annullabilità per incapacità naturale e per vizio del consenso199.
Con riferimento alla prima, l’art. 428, comma 2, c.c. prevede l’annullabilità del contratto concluso dall’incapace naturale, quando “per il pregiudizio che sia derivato o possa derivare alla persona incapace d’intendere o di volere o per la qualità del contratto o altrimenti, risulta la malafede dell’altro contraente”200.
Pertanto, il pregiudizio dell’incapace e, quindi, lo squilibrio che lo determina, è soltanto uno degli indici dai quali può risultare la malafede del contraente, che è, unitamente all’incapacità, presupposto dell’annullamento.
199 X. Xxxxxx, L’adeguatezza fra le prestazioni nei contratti a prestazioni corrispettive, in Riv. dir. comm., 1963, I, p. 424 ss.; X. Xxxxxxxx, Meritevolezza degli interessi ed equilibrio contrattuale, cit. p. 432; X. Xxxxxxxx, Regole del mercato, cit., p. 333, secondo cui “l’interpretazione delle norme in tema di annullabilità e di rescissione del contratto potrebbe offrire un margine di manovra considerevolmente ampio per privare di effetti le pattuizioni inique, qualora l’interprete si mostrasse sensibile all’esigenza di collegare l’esplicazione dell’autonomia privata alla sussistenza dei presupposti di fatto che ne hanno motivato il riconoscimento”.
200 Sull’argomento, v. X. Xxxxxxxxxx, La cosiddetta incapacità naturale nel primo libro del nuovo cod. civ., in Riv. dir. civ., 1939, p. 408 ss.; X. Xxxxxxxx, Incapacità naturale e adempimento, Napoli, 1950; X. Xxxxxxxxx, voce Incapacità naturale, in Enc. Giur. Treccani, XVI; X. Xxxxxxx, Incapacità naturale e teoria dell’affidamento, Xxxxxx, 0000.
Ne consegue che all’iniquità delle prestazioni contrattuali non è attribuita rilevanza di autonomo elemento della fattispecie201.
Inoltre, la giurisprudenza tende ad applicare restrittivamente la norma in esame, nel senso che - per quanto sia lesivo il contratto - esige la prova rigorosa e specifica di un turbamento grave del processo formativo della volontà202.
Né conduce a diverse conclusioni l’esame della fattispecie disciplinata dall’art. 1440 c.c., relativa all’ipotesi in cui i raggiri abbiano influito, non sulla determinazione a contrarre, ma sulle condizioni convenute203.
Infatti, il dolo è incidente se induce la vittima a promettere, in vista della controprestazione, più di quanto convenisse204.
In sostanza, esso, riguardando l’apprezzamento dei valori delle prestazioni oggetto del contratto e la convenienza delle condizioni pattuite, comporta che le condizioni pattuite siano oggettivamente squilibrate, essendo difformi da quelle che sarebbero state convenute in esito ad una genuina trattativa, non turbata dall’inganno205.
Con riferimento a tale eventualità, l’art. 1440 c.c. prevede espressamente la stabilità del vincolo contrattuale (“il contratto è valido”) ed un rimedio risarcitorio.
201 Secondo X. Xxxxxxxx, op. ult. cit., p. 432, l’art. 428, comma 2, c.c. richiede che alla iniquità fra le prestazioni “si accompagni pure una patologia del consenso, tale da porre su un piano di non parità volitiva gli stipulanti”.
202 Cass., 26 maggio 2000, n. 6999, in …
203 X. Xxxxxxxxx, Vizi incompleti del contratto e rimedio risarcitorio, Torino, 1995, p. 282 ss.
000 X. X. Xxxxx-X. Xx Xxxx, op. cit., p. 573, secondo cui il dolo determinante influisce “sull’oggetto della stipulazione o della promessa”, mentre il dolo incidente “sulla misura della prestazione promessa o stipulata”.
205 X. Xxxxxxx, Diritto civile e commerciale, cit., p. 315; X. Xxxxx, Il contratto, cit., p., 822;
C. M. Xxxxxx, Diritto civile, Il contratto, cit., p. 667.
In questa ipotesi, addirittura, pur in presenza di uno squilibrio oggettivo tra le prestazioni, frutto di raggiri (e, quindi, di un anomalo processo formativo della volontà), il legislatore ribadisce l’intangibilità del regolamento contrattuale, prevedendo quale unico specifico rimedio il risarcimento del danno206.
Come sopra anticipato, l’ipotesi dello squilibrio contrattuale è ricompresa anche negli artt. 1429 e 1432 c.c.207.
Infatti, nelle ipotesi di essenzialità per le quali l’art. 1429 c.c. dispone l’annullabilità del contratto indipendentemente dall’influenza, determinante del consenso, che possa essere esercitata dall’ignoranza o dalla falsa conoscenza, l’effetto di queste può consistere nell’accettazione da parte dell’errante di condizioni economiche o normative per esso svantaggiose208.
In tale ipotesi, il rimedio della rettifica previsto dall’art. 1432 c.c. può implicare, su proposta del contraente immune da errore, la modifica delle condizioni convenute, così da realizzare un nuovo equilibrio contrattuale conforme alle aspettative dell’errante209.
Nell’ambito di tale disciplina, lo squilibrio contrattuale non costituisce elemento di alcuna fattispecie, e le ipotesi di errore essenziale non determinante non rispondono all’esigenza di sanzionare lo squilibrio che sia il
206 In caso di dolo incidente, infatti, non è prevista alcuna forma di invalidità del contratto, né tanto meno alcun sindacato giudiziario circa la conformità delle condizioni convenute al giusto equilibrio contrattuale.
207 Xxxxxxx, La rescissione del contratto, cit., p. 4 ss..
208 X. Xxxxx, op. ult. cit., p. 783 ss.; X. Xxxxx-X. Xx Xxxx, op. ult. cit., I, p. 383 ss..
209 X. Xxxxx, op. ult. cit., p. 854.
frutto dell’ignoranza o della falsa conoscenza, ma, piuttosto, conseguono ad un giudizio di gravità dell’errore in ragione degli elementi su cui cade210.
A questo punto, si pongono problemi di compatibilità tra una supposta regola generale che sanzionasse il contratto squilibrato, di per sé considerato, consentendo il controllo giudiziario sui contenuti contrattuali e un potere conformativo del giudice, e i rimedi dell’annullamento e della rettifica.
Infatti, ne discenderebbero evidenti incongruenze, tra un rimedio di carattere generale in virtù del quale la parte svantaggiata potrebbe sottrarsi all’esecuzione del contratto, allegando la sola circostanza dello squilibrio, e ottenerne la modifica, e un rimedio specifico di annullamento, subordinato alla ricorrenza di un errore essenziale e riconoscibile, rispetto al quale la più intensa protezione della rettifica sarebbe sottratta all’iniziativa della parte svantaggiata e rimessa a quella della controparte211.
Sempre nell’ambito della impugnativa per errore, particolare attenzione merita il problema della rilevanza dell’errore sul valore o sulla convenienza economica212.
Per errore sul valore in senso proprio è da intendere l’errore che cada sulla valutazione economica di una prestazione, che sia per sé chiaramente
210 X. Xxxxx-X. Xx Xxxx, op. ult. cit., I, p. 388 ss..
211 Tale incompatibilità non esclude, comunque, che attraverso una estesa applicazione del requisito dell’essenzialità dell’errore, si possa porre rimedio alla iniquità delle pattuizioni. Sul punto v. X. Xxxxxxxx, Regole del mercato, cit., p. 333.
212 Particolarmente sensibile al problema è X. Xxxxxxxx, op. ult. cit., p. 333, secondo cui la rilevanza dell’errore sul valore, attualmente negata dalla giurisprudenza, “potrebbe consentire di rimediare a taluni casi di abuso dell’inesperienza altrui”.
identificata; non invece l’errore su aspetti, proprietà, caratteristiche della prestazione stessa, che siano rilevanti al fine della sua valutazione213.
In una risalente pronuncia, la Suprema Corte ha affermato che “l’errore giuridicamente efficace a rendere invalido il consenso deve essere reale e scusabile, cioè non dovuto ad una valutazione insufficiente o non informata alla intelligenza, avvedutezza e prudenza di grado comune, che sono sempre necessarie alla trattazione dei propri affari”214.
In un altro caso, la Corte di Cassazione ha affermato il principio secondo cui “l’errore sul prezzo della prestazione può dare luogo all’azione di rescissione per lesione, ma non costituisce errore essenziale ai sensi e per gli effetti dell’art. 1428 c.c., qualunque sia l’entità della sproporzione e non è quindi causa di annullamento del contratto […] salvo che ridondi in errore su una qualità essenziale della cosa”215.
Tale posizione è condivisa da una parte della dottrina favorevole all’annullamento del contratto per errore sul valore, ove si tratti di una conseguenza di un errore sulla qualità del bene oggetto di scambio216.
213 Così X. Xxxxxxxx, La proporzione cit., p. 235.
214 Cass., 16 maggio 1960, n. 1177, in La vendita, a cura di X. Xxx, II, Padova, 1999, p. 1082, che considera, in linea di principio, irrilevante l’errore sul prezzo, in quanto inescusabile, in base alle regole del mercato.
215 Cass., 25 marzo 1996, n. 2635, in Giur. it., I, 1, 476, con nota critica di Xxxxxxxxx. Nel caso di specie, l’impiegato di un’agenzia di viaggi - ricevendo da un cliente £.345.000 in pagamento di un periodo di soggiorno a Parigi di tre persone per cinque giorni (soggiorno il cui prezzo complessivo era pari a £.1.590.750) - aveva erroneamente rilasciato ai clienti una ricevuta a saldo, anziché in acconto sul maggior prezzo. La Suprema Corte ha ravvisato in questa ipotesi un errore sul valore, come tale irrilevante. In senso conforme a tale pronuncia, Cass., 2 febbraio 1998, n. 985, in I contratti, 1998, p. 437; Cass., 24 luglio 1993, n. 8290, in
Giust. civ. Mass., 1993, 1227; Trib. Genova, 20 aprile 1999, in Banca, borsa, tit. cred., 2000, II, p. 451; Xxxxx xx Xxxxxxx xx Xxxx, 00 novembre 1948, in Foro it., 1949, I, c. 991; Trib. Milano, 31 luglio 1947, in Foro it., 1948, I, c. 679.
216 X. Xxxxx, Errore sul valore e congruità dello scambio contrattuale, cit., p. 987 ss.; X. Xxxxx, Errore sul valore, giustizia contrattuale e trasferimenti ingiustificati di ricchezza alla
In buona sostanza, secondo il prevalente orientamento giurisprudenziale e dottrinale, l’errore sul valore o sul prezzo della prestazione, che abbia determinato uno squilibrio tra le prestazioni, non è rilevante ai fini dell’annullabilità del contratto, a meno che non rientri nell’ambito dell’errore su una qualità essenziale della cosa217.
L’orientamento minoritario 218 , invece, distingue l’errore sul valore dall’errore sul prezzo: il primo si riferirebbe alla valutazione di stima del bene e del rapporto tra questo e la moneta219; il secondo, alla erronea indicazione della stima compiuta, cioè del prezzo fissato220.
Da tale distinzione si fanno discendere conseguenze opposte.
Secondo l’orientamento dottrinale in esame, infatti, l’errore sul valore non determina l’annullamento del contratto, in quanto fa parte del rischio che
luce dell’analisi economica del diritto, in Quadrimestre, 1992, p. 656 ss.; X. Xxxxxx, Teoria del negozio giuridico, Padova, 1947, p. 140; X. Xxxxxxxxx, voce Errore (dir. civ.), in Nuovo Dig. It., V, Torino, 1960, p. 668; X. Xxxxxxxx, Dottrina generale del contratto, Milano, 1958, p. 84; X. Xxxxxxxxxxxx, Dei contratti in generale, Milano, 1972, p. 45; X. Xxxxx, In margine ad un errore non essenziale, in Riv. Trim. Dir. e Proc. Civ., 1971, II, p. 281; X. Xxxxx-G. De Nova, Il contratto, cit., p. 394.
217 Il tipico caso prospettato dalla giurisprudenza è quello del venditore che trasferisce la proprietà di un terreno verso il corrispettivo di 100 lire credendolo agricolo e poi scopre che il suo valore era 1.000 lire, in quanto edificabile. In questo caso, l’errore che rileva è quello sulla qualità esenziale dell’oggetto del contratto, come tale ricadente in una delle previsioni dell’art. 1429 c.c. L’errore sul valore, quindi, non rileva di per sé, ma soltanto quale indice o elemento che fa ritenere presente altro tipo di errore. Cfr. Cass., 5 dicembre 1974, n. 4020, in Foro it., 1975, I, c. 1791; Cass., 12 ottobre 1985, n. 4955, in Giur. it., 1986, I, 1, p. 719.
218 X. Xxxxxxxxx, L’errore nella teoria del negozio giuridico, Padova, 1963, p. 433; X. Xxxxxxxx, Sull’essenzialità dell’errore sul valore della cosa venduta, in Riv. not., 1976, p. 187;
X. Xxxxxxxxxx, Sul contenuto del contratto, cit., p. 286; X. Xxxxxxxxx, Errore sulla convenienza economica del contratto e buona fede precontrattuale, in Rass. dir. civ., 1987, p. 924 ss.; X. Xxxxxxxx, voce Errore nel diritto civile, in Dig. Disc. Priv. Sez. Civ., vol. VII, Torino, 1991, p. 516.
219 L’errore sul valore è quello che ricade sulla capacità del bene di essere venduto ad un prezzo invece che ad un altro, e può dipendere sia dall’ignoranza di certe caratteristiche del bene che ne determinano il valore, sia dall’ignoranza circa il prezzo corrente.
220 Trattasi del tipico caso di errore ostativo, ossia di errore sulla dichiarazione che cade sul prezzo oggetto del contratto.
ciascun contraente sopporta ed è, quindi, irrilevante221; l’errore sul prezzo, invece, può determinare l’annullamento del contratto, trattandosi di errore essenziale, ai sensi dell’art. 1429, n. 1, c.c., costituendo il prezzo uno degli oggetti del contratto.
Corollario di tale distinzione è che l’errore sul prezzo, dovendo essere anche riconoscibile ai fini dell’annullabilità del contratto, conferisce rilevanza giuridica alle ipotesi di notevole divergenza tra le prestazioni.
Secondo un altro Autore, la rilevanza dell’errore sul valore sarebbe da escludere quando cada sulla valutazione economica di una prestazione che sia chiaramente identificata, ma non quando l’errore stesso cada sugli elementi di fatto che incidono sul valore222.
Ad ogni modo, la prospettazione della questione appena trattata, muove necessariamente dal presupposto dell’insussistenza di un generale rimedio allo squilibrio contrattuale, che renderebbe inutile la disputa circa la riconducibilità della protezione della parte svantaggiata all’alveo della disciplina dell’errore.
221 È interessante notare come la irrilevanza di questo errore derivi, secondo tali Autori, dalla inesistenza nel nostro ordinamento di un principio di necessaria equivalenza delle prestazioni, con la conseguenza che l’eventuale squilibrio economico di queste, ove non rientri in altre figure portanti all’invalidità del contratto, non ne inficia la validità. Cfr. anche Cass., 16 maggio 1960, n. 1177, in La vendita, a cura di X. Xxx, 2a ed., II, Padova, 1999, p. 1093 ss.: “L’errore giuridicamente efficace a rendere invalido il consenso … deve essere reale e scusabile, cioè non dovuto ad una valutazione insufficiente o non informata alla intelligenza, avvedutezza e prudenza di grado comune, che sono sempre necessarie alla trattazione dei propri affari”.
222 X. Xxxxxxxx, op. ult. cit., p. 236. L’A. cita, quali esempi, la quantità e qualità della clientela, per valutare l’avviamento; l’entità delle scorte o delle esposizioni debitorie, quanto alla valutazione di un’azienda o di una società; l’edificabilità o meno del terreno a cui il prezzo si riferisce; la capacità estrattiva di una cava. “Tuttavia - prosegue l’A. - non sempre la giurisprudenza mostra di percepire la distinzione. Accade che veri e propri errori sul prezzo siano ritenuti rilevanti, e che viceversa errori attinenti ai presupposti di fatti di una data valutazione, addirittura all’identità della prestazione, vengano ritenuti irrilevanti quali errori sulla valutazione economica, avallando operazioni inique”.
Infatti, è stato osservato223 che ove si neghi la rilevanza dell’errore sul valore o sulla convenienza economica, precludendo al contraente caduto in errore di ottenere l’annullamento del contratto, occorre a fortiori escludere che il vincolo possa essere rimosso a ragione della sola oggettiva sussistenza di uno squilibrio economico-normativo, consapevolmente accettato dalla parte pregiudicata, immune da errore224.
Se, al contrario, si ammettesse la rilevanza di un tale errore, si finirebbe per attrarre l’ipotesi di squilibrio nell’ambito della disciplina ex artt. 1428 ss. c.c., con la conseguenza, inaccettabile, di assumere la coesistenza di due regole che implichino entrambe la rimozione del vincolo del contratto squilibrato, l’una subordinatamente alla sola oggettiva sussistenza dello squilibrio, l’altra subordinatamente, oltre che a quest’ultima, anche all’ulteriore presupposto dell’errore sul valore o sulla convenienza economica225.
223 X. X’Xxxxxx, op. cit., p. 198.
224 A tale proposito, pare opportuno osservare che la Suprema Corte, nella succitata sent. n. 2635/1996, in relazione alla domanda di pagamento di parte del prezzo mancante a titolo di ingiustificato arricchimento, ha affermato che “la figura dell’indebito arricchimento non sussiste, allorquando l’eventuale squilibrio economico dipenda dalla volontà degli interessati, legittimamente espressa nell’esercizio della loro autonomia negoziale, a mezzo di libero contratto”.
225 X. X’Xxxxxx, op. cit., p. 198.
PARTE SECONDA
L’EQUILIBRIO CONTRATTUALE NELLA GIURISPRUDENZA
CAPITOLO V
DISTINZIONE TRA PREZZO “VILE” E PREZZO “SIMBOLICO”
Dall’indagine fin qui svolta è emerso che il legislatore, in ossequio al principio di autonomia contrattuale che domina in tema di formazione del contratto, si disinteressa della pura e semplice sproporzione obiettiva originaria tra prezzo e valore, intervenendo solo se la lesione sia ultra dimidium e se ad essa si unisca l’estremo soggettivo dello stato di bisogno di una parte, del quale l’altra abbia approfittato per trarne vantaggio (art. 1448, commi 1 e 2, c.c.).
La tendenza maggiormente seguita dalla giurisprudenza, in seno alle ipotesi di obiettivo squilibrio tra le prestazioni, è di distinguere il caso di pattuizione di un prezzo puramente simbolico da quello di pattuizione di un prezzo vile226.
226 Al riguardo, cfr. X. Xxxxxx, L’ordine della Legge ed il mercato. La congruità nello scambio contrattuale, Torino, 2003, p. 165 ss.. In caso di mancata pattuizione del prezzo, la giurisprudenza non ha mai esitato a dichiarare la nullità del contratto di scambio. Cfr. Cass., 15 novembre 1967, n. 2742, in Giust. civ. Mass., 1967, p. 1432: “Devono considerarsi nulli, per mancanza di valida causa, la convenzione o l’accordo con il quale semplicemente si attribuisce ad un determinato soggetto la proprietà di un immobile senza che risulti dalla convenzione stessa il titolo specifico che qualifichi il negozio (come donazione, vendita, permuta, ecc.). Pur non essendo richiesta l’espressa o precisa definizione del negozio, è sempre necessario che la convenzione chiarisca gli elementi essenziali e, quindi, la causa del medesimo, sicché esso possa, secondo la volontà delle parti, attribuirsi ad un determinato
Infatti, nell’ipotesi di pattuizione di un prezzo vile, in assenza di vizi del volere e dei presupposti per l’esercizio dell’azione di rescissione per lesione, la giurisprudenza, prendendo atto della libertà che ai contraenti è assegnata nella determinazione del rapporto tra le prestazioni, ha ritenuto sussistente la causa del contratto di compravendita.
Il requisito causale è soddisfatto anche se lo scambio è caratterizzato da una grave sproporzione tra il prezzo ed il valore corrente della cosa venduta, poiché ciascuno è libero di contrattare a condizioni a sé svantaggiose e vantaggiose per la controparte227.
schema, con la propria causa e possa essere facilitato il controllo della liceità o illiceità delle attribuzioni patrimoniali”; Trib. Napoli, 2 marzo 1965, in Foro pad., 1966, I, c. 108: “Qualora la cessione di un diritto avvenga senza la indicazione del prezzo e senza la manifestazione dello spirito di liberalità, il negozio è privo di causa”. Con specifico riferimento alla compravendita, assunto quale paradigma dell’intera categoria, v. App. Napoli, 19 maggio 1956, in Giust. civ. Mass. App., 1956, p. 171: “Il prezzo è requisito essenziale per l’esistenza di una compravendita; se esso manca nel contratto né viene determinato nelle forme prevedute dalla legge (art. 1473 c.c.), si è in presenza di una nullità assoluta, onde il negozio è giuridicamente inesistente e l’azione diretta alla dichiarazione relativa può farsi valere da chiunque vi abbia interesse e può essere altresì rilevata d’ufficio dal giudice”; App. Lecce, 31 gennaio 1957, in Giust. civ. Mass. App., 1957, p. 13: “La mancata determinazione di uno dei due elementi del contratto di compravendita -cosa o prezzo- importa l’inesistenza del contratto stesso”; Trib. Messina, 18 agosto 1961, in Giust. sic., 1962, p. 68: “In tema di compravendita può parlarsi di mancanza di causa se nessun prezzo è voluto dalle parti”; per la giurisprudenza di legittimità, x. Xxxx., 18 maggio 1966, n. 1282, in Giust. civ. Mass., 1966, p. 732.
227 In ordine alla nozione di valore o prezzo di mercato del bene, pare opportuno richiamare le osservazioni di X. Xxxxxxx, Prezzo vile e prezzo simbolico nella compravendita, in I contratti,
n. 1/1994, p. 39: “Il mercato … in quanto punto di incontro della domanda e dell’offerta, può determinare due nozioni di prezzo: la prima <<oggettiva>>, quale valore medio di numerose transazioni in un determinato mercato, tende a coincidere con il cosiddetto valore normale o venale del bene; la seconda <<soggettiva>>, quale esito della singola trattativa tra i contraenti, rappresenta la somma, massima e minima, che rispettivamente il compratore è disposto a versare ed il venditore ad accettare. In questa seconda accezione è valore di mercato anche il prezzo, sia pur sproporzionato rispetto al valore normale, che viene convenuto per l’acquisto di un determinato bene per motivi affettivi o morali, ovvero in vista del perseguimento di un fine ulteriore, o infine determinato dallo stato di bisogno o dall’intento di liberalità”. L’A. conclude sul punto osservando che “quando la volontà delle parti si è formata liberamente (quindi in assenza di qualsiasi coartazione, stato di bisogno od approfittamento) non dovrebbe rilevare in alcun modo la non corrispondenza tra il prezzo pattuito e valore del bene”.
Significative e puntuali al riguardo sono le seguenti decisioni:
“Se il prezzo è elemento essenziale della compravendita, ne è indifferente, sotto il profilo dell’essenzialità, l’ammontare, che può essere rilevante solo ai fini di una eventuale azione di rescissione del negozio per lesione. Sotto altro profilo la eccessiva tenuità del prezzo può costituire elemento atto a fare ritenere una eventuale simulazione della vendita”228.
“Nella compravendita l’effettiva corrispondenza tra il valore della cosa e l’ammontare del prezzo riguarda solo i contraenti, disinteressandosi l’ordinamento giuridico della pura e semplice sproporzione obiettiva tra prezzo e valore”229.
“Non esiste nello schema negoziale del contratto di compravendita un principio generale di adeguatezza del prezzo al valore della cosa, la cui determinazione resta riservata all’autonomia privata ed ai motivi soggettivi delle parti. Di conseguenza, accertata l’esistenza in concreto della causa del negozio (astrattamente prevista dalla legge per ogni contratto tipico), l’indagine del giudice non può estendersi alla valutazione economica della congruità del prezzo che - ove esista, ancorché sproporzionato - concretizza l’ipotesi causale della compravendita”230.
Diversa soluzione adotta la giurisprudenza, invece, nell’ipotesi in cui il prezzo convenuto sia puramente simbolico:
228 Cass., 16 luglio 1963, n. 1945, in Giust. civ. Mass., 1963, p. 918.
229 Cass., 6 ottobre 1955, n. 2861, in Giust. civ. Mass., 1955, p. 1062; App. Napoli, 30 gennaio
1956, in Giust. civ. Mass. app., 1956, p. 22.
230 Trib. Roma, 15 febbraio 1963, in Temi romana, 1964, II, p. 367, con nota di Lemme,
Osservazioni sulla vendita con prezzo irrisorio e in Foro it. Rep., 1964, voce Vendita, n. 35.
“La mancanza del prezzo o la pattuizione di un prezzo simbolico rendono priva di causa la compravendita”231.
“In tema di prezzo non può ritenersi inesistente quello che sia semplicemente tenue, vile o irrisorio. Solo la indicazione di un prezzo assolutamente privo di valore, epperò meramente apparente e simbolico, può elevarsi a causa di nullità della compravendita per difetto di uno dei suoi requisiti essenziali”232.
Dalle pronunce richiamate emerge che, fino ad un passato non troppo remoto, era invalsa la tendenza a tracciare - in materia di compravendita - una netta linea di demarcazione tra pattuizioni recanti l’indicazione di un prezzo simbolico, ossia del tutto privo di valore economico, e statuizioni contemplanti un prezzo irrisorio (o vile), ossia manifestamente inadeguato rispetto al valore della res compravenduta, anche se non sprovvisto di una sua valenza patrimoniale.
In ordine alle stipulazioni del primo tipo, la giurisprudenza concludeva nel senso della nullità per difetto dell’elemento causale.
A diversa conclusione si addiveniva in relazione a quelle appartenenti al secondo genere, argomentando dal principio dell’indifferenza dell’ordinamento giuridico alle manifestazioni di autonomia privata e dalla conseguente inammissibilità di un controllo giudiziale in ordine alla rispondenza valoristica tra prezzo e res alienata.
231 App. Roma, 18 febbraio 1965, in Foro pad., 1965, I, c. 862.
232 Cass., 24 febbraio 1968, n. 632, in Giust. civ., 1968, I, p. 1475.
Alla stregua di tale orientamento, dominante fino all’inizio degli anni ’80 del secolo scorso, la giurisprudenza esprimeva il controllo causale sulla misura del corrispettivo con riguardo ad una soglia minima.
Tale orientamento pone necessariamente un quesito: quando, per la giurisprudenza, un prezzo è meramente simbolico ed è, quindi, un “non prezzo”? 233.
La soluzione a tale quesito consente, infatti, di acquisire un elemento importante per valutare il grado di utilizzazione, da parte della giurisprudenza, della causa del contratto, come strumento atto a far sì che lo sviluppo della circolazione dei beni, tutelato dal legislatore, incontri un limite qualitativo nella funzione economico-sociale che l’atto di scambio deve realizzare.
Dalla indagine giurisprudenziale, emerge innanzitutto una esigenza di certezza, al fine di evitare un controllo giurisdizionale sulla determinazione del prezzo, che limiti ed invada l’autonomia delle parti.
Ciò è particolarmente evidente in quelle pronunce che hanno ritenuto sussistere l’ipotesi di prezzo simbolico nei soli ed esclusivi casi di vendita nummo uno, e cioè di vendita per una unità monetaria234: “Purché il prezzo ci sia e sia effettivamente pagato non è consentito al giudice indagare perché sia
233 Sul prezzo simbolico, v. X. Xxxxxxxxxx, Il prezzo simbolico. Profili privatistici, in Contratto e Impresa, 2001, p. 1199 ss..
234 Secondo X. Xxxxxxxxxx, Profili del problema, cit., p. 117, <<la vendita, così come tutti i contratti commutativi, per essere valida ed efficace deve prevedere l’esistenza di “effettive” obbligazioni a carico di entrambi i contraenti; con la conseguenza che, quando viene pattuito per il trasferimento in proprietà del bene un prezzo che sia di entità tale da non poter essere qualificato come corrispettivo, il contratto deve ritenersi nullo per mancanza di uno dei suoi elementi essenziali. Fatto questo che non solo priva la vendita di una delle sue prestazioni determinando il venir meno dell’oggetto dell’obbligazione del compratore, ma soprattutto la rende priva di causa in quanto l’accordo negoziale, così come voluto dai paciscenti, non realizza più lo schema del trasferimento in proprietà di un bene a fronte del pagamento del suo prezzo. È questa l’ipotesi della cosiddetta vendita “nummo uno”>>.
stato pagato quel prezzo, né se quel prezzo sia proporzionato o meno al valore della cosa, poiché, si ripete ancora una volta, tutto ciò attiene ai motivi e non alla causa del negozio. Soltanto quando il prezzo manchi del tutto si verserà nella ipotesi della mancanza di causa. Ed ecco la questione. Quando può dirsi che il prezzo manchi del tutto? In prima ipotesi quando il prezzo non sia vero, cioè soltanto indicato, ma non pagato o voluto. In seconda ipotesi, in riferimento alla serietà del prezzo, soltanto quando tale non serietà possa essere valutata con un criterio assolutamente obiettivo. Ma ciò può avvenire, evidentemente, solo nel caso in cui il prezzo abbia un valore puramente simbolico, come nell’ipotesi di vendita nummo uno. L’espressione nummus unus deve considerarsi però nel suo stretto significato letterale, come prezzo rappresentato da un’unità monetaria, una lira, un centesimo. Nummus unus, una lira non hanno valore intrinseco, ma esclusivamente un valore simbolico, obiettivamente rilevabile, per cui può effettivamente dirsi che il prezzo non assolva la sua funzione e quindi sia un non prezzo”235.
235 Così Trib. Roma, 15 febbraio 1963, in Temi romana, 1964, p. 367, che ritenne valida la vendita a lire 1.000 al mq. di una striscia di terreno il cui valore si diceva fosse di lire 33.000 al mq.; confermata da App. Roma, 18 febbraio 1965, in Foro pad., 1965, I, c. 862. In dottrina,
X. Xxxxxxx, Prezzo vile e prezzo simbolico nella compravendita, cit., p. 39, individua il discrimen tra prezzo irrisorio (comunque frutto del libero accordo) e prezzo simbolico (dunque fittizio) nel criterio del “valore intrinseco”: <<Prezzo vile è dunque quello che pur discostandosi notevolmente dal valore di mercato conserva comunque il carattere di onerosità. Prezzo simbolico è nummo uno: l’entità numeraria minima nel contesto in cui si deve attuare il negozio, l’unità di base del sistema monetario nazionale, ovvero il taglio minimo di carta moneta avente corso legale, in definitiva quella somma di denaro che non è corrispettivo di nulla o quasi>>.
CAPITOLO VI
EVOLUZIONE SUCCESSIVA VERSO LA “OGGETTIVAZIONE CONTRATTUALE”
In pronunce successive si riscontra il venir meno del riferimento esplicito al nummus unus, sicché si intravede la possibilità, per il giudice, di fruire di una certa autonomia circa la valutazione del carattere meramente simbolico del prezzo pattuito.
In particolare, la S.C. afferma che: “Allorquando la sproporzione … urti in modo assolutamente stridente con la valutazione di equivalenza fatta secondo i criteri del comune commercio, si fa luogo ad una duplice alternativa, in quanto: si ha motivo di ritenere che le parti non abbiano affatto voluto vendere; nel qual caso ricorre l’ipotesi di una donazione dissimulata; o si ha invece motivo di ritenere che le parti, contestualmente alla vendita, abbiano voluto conseguire il risultato di un arricchimento del compratore, pari alla differenza fra il valore della cosa ed il prezzo pattuito; nel qual caso si versa in un’ipotesi che, comunque sia qualificata (donazione indiretta, negotium mixtum cum donatione, rinuncia donativa, ecc.) rientra nella previsione e nella disciplina di quelle liberalità diverse dalla donazione vera e propria”236.
236 Cass., 24 febbraio 1968, n. 632, cit.
In questa pronuncia, a ben vedere, lo squilibrio tra le prestazioni viene considerato come una sorta di elemento rivelatore di una figura contrattuale diversa dalla compravendita237.
La giurisprudenza iniziò, quindi, ad attribuire rilievo alla ricorrenza di un prezzo meramente simbolico o non corrispondente all’effettivo valore del bene, ma nel senso che il prezzo simbolico poteva essere indice di una donazione dissimulata o di una donazione indiretta e che il prezzo vile poteva indicare un negotium mixtum cum donatione238.
In questi casi il prezzo simbolico e lo squilibrio tra le prestazioni erano ritenuti indici di una intervenuta simulazione o parametri per individuare la conclusione di un diverso contratto tra le parti239. Ma queste sentenze non spostavano ovviamente i termini della questione sulla rilevanza dello squilibrio tra le prestazioni, in quanto escludevano, comunque, ogni controllo in termini di adeguatezza o, tantomeno, di equivalenza.
237 Nel caso di specie, la S.C. ha seriamente dubitato della sussistenza di una compravendita, pur in presenza di un prezzo reale ed esistente (£.75.000), per quanto eccessivamente inferiore al valore obiettivo della cosa venduta (pari a £.5.000.000).
238 Cfr., ancora, Cass., 24 febbraio 1968, n. 632, cit.: “Giova avvertire che la inesistenza (o nullità) del prezzo non è da confondere con la pattuizione di un prezzo semplicemente tenue od irrisorio: dappoiché solo la indicazione di un prezzo assolutamente privo di valore - epperò meramente apparente e simbolico - può elevarsi a causa di nullità della compravendita per difetto di uno dei suoi requisiti essenziali, laddove la pattuizione di un prezzo, sia pure eccessivamente inferiore al valore di mercato della cosa venduta, ma non <<del tutto privo di valore>>, pone un problema che, concernendo l’adeguatezza o la obiettiva equivalenza della prestazione, afferisce propriamente alla individuazione ed interpretazione della volontà dei contraenti ed alla (diversa) configurazione della causa del contratto, ben più che alla esistenza stessa del prezzo”.
239 Si trattava, per lo più, di casi in cui occorreva verificare se potesse riscontrarsi la sussistenza di un prezzo per lo scambio di beni, e quindi la ricorrenza di una compravendita, e se l’esiguità del corrispettivo non implicasse la simulazione, ovvero una diversa qualificazione del contratto, con conseguenze in ordine alla disciplina del rapporto o alla stessa validità rispetto ai requisiti formali.
Ritorna ad un criterio più rigido un’altra pronuncia della Cassazione, secondo cui “La mancata corrispondenza del prezzo al valore del bene venduto non è, di per sé, causa di nullità del contratto, essendo sufficiente per la validità di questo che al trasferimento della proprietà della cosa da parte del venditore faccia riscontro, da parte del compratore, la corresponsione di un prezzo, quale che ne sia l’ammontare”240.
Di diverso tenore sono le seguenti pronunce: “In materia di compravendita, il prezzo è un elemento essenziale del contratto, che deve ritenersi carente se esso è meramente simbolico e non corrispondente all’effettivo valore del bene venduto”241; “Il negozio con cui un bene venga trasferito in cambio di una somma di danaro irrisoria non può essere qualificato come vendita, ancorché le parti lo abbiano designato come tale, per mancanza dell’elemento prezzo”242.
Se nelle pronunce precedenti si era notato il venir meno della rigida equiparazione tra prezzo simbolico ed il nummus unus, non può non rilevarsi che, nelle pronunce da ultimo richiamate, “prezzo vile” o “irrisorio” e “prezzo simbolico” non compaiono come concetti nettamente contrapposti.
Tale osservazione consente di ritenere che, a partire dagli anni ’80, la giurisprudenza inizia, diversamente dal passato, a valutare il carattere meramente simbolico del prezzo in relazione al valore della cosa venduta,
240 Cass., 26 novembre 1971, n. 3444, in Giust. civ., 1972, I, p. 529.
241 Cass., 24 novembre 1980, n. 6235, in Giust. civ. Mass., 1980, II, p. 2587.
242 Trib. Parma, 16 novembre 1972, in Giur. merito, 1975, I, p. 465, con nota di X. Xxxxxxxx, Appunti in tema di prezzo nella compravendita. In senso conforme, Cass., 14 ottobre 1971, n. 2892, in Giust. civ. Mass., 1971, 1563; X. Xxxxx, La donazione, Milano, 1964, p. 110 ss.; Xxxxxxxx X.X.-Xxxxxxxx-Xxxxxxxx G., Successioni per causa di morte e donazioni, Padova, 1963,
p. 697 ss.; X. Xxxxxxx Ferrara, Il negozio giuridico nel diritto privato italiano, cit., p. 237; X. Xxxxxxxxxx, La donazione mista, Milano, 1970.
riconoscendosi, in tal modo, una maggiore autonomia circa la determinazione del momento in cui il corrispettivo cessa di essere ingiusto per divenire irrisorio.
Difatti, il riferimento al “valore effettivo del bene trasferito” si trova in decisioni che appartengono a due filoni giurisprudenziali in tema di donazioni miste o indirette: la differenza tra corrispettivo e valore può, infatti, denunciare una liberalità. Ma tale rilevanza della non congruità del prezzo non attiene ad un controllo di validità fondato su di un supposto requisito di equivalenza; esso riguarda soltanto la qualificazione dell’atto come donazione o come liberalità risultante da atti diversi, ai sensi dell’art. 809 c.c.243.
È pur vero che tale valutazione può riflettersi in giudizio di validità, ove si segua l’indirizzo che qualifica l’atto come negotium mixtum cum donatione, anziché come donazione indiretta; ma, in tale ipotesi, la nullità sarà dichiarata solo in caso di prevalenza della componente liberale, per mancanza di forma pubblica, mentre, in caso contrario, la validità dell’atto dovrà essere riconosciuta nonostante lo squilibrio: quest’ultimo sarà, quindi, rilevante non di per sé, ma in quanto raggiunga una misura tale da determinare un giudizio
243 In ordine all’elevata sproporzione tra le prestazioni si sono contrapposti due indirizzi: l’uno nel senso della qualificazione della fattispecie alla stregua di una liberalità indiretta, cui si applicano le regole dello schema negoziale adottato e per la quale non sono richiesti i requisiti di forma stabiliti per la donazione (Cass., 21 gennaio 2000, n. 642, in Notariato, 2000, p. 514; Cass., 10 febbraio 1997, n. 1214, in Foro it., 1997, I, c. 743); e l’altro nel senso della configurazione di un contratto misto, applicandosi le norme del tipo contrattuale prevalente e così, ove ne discendesse una qualificazione donativa, l’imposizione dell’onere formale a pena di nullità (Cass., 25 maggio 1999, n. 5265, in Rep. Xxxx xx., xxxx Xxxxxxxxx, x. 00; Cass., 13 luglio 1995, n. 7666, in Giur. it., 1996, I, 1, c. 1120; Cass., 23 febbraio 1991, n. 1931, in
Giust. civ. Mass., 1991, fasc. 2).
di prevalenza della liberalità sulla corrispettività, e solo in quanto difetti la forma dell’atto pubblico244.
In altra sentenza si afferma la nullità per mancanza di causa del “contratto a prestazioni corrispettive nel quale non vi sia una equivalenza, almeno approssimativa o tendenziale, delle prestazioni”, attenuandosi, così, la più rigida formula della “corrispondenza all’effettivo valore del bene trasferito”, ma ribadendosi, nel contempo, una soglia di controllo causale ben più elevata della mera sussistenza di un pur tenue corrispettivo245.
Nonostante che tale affermazione - come osservato da autorevole dottrina246 - si riferisca ad una fattispecie che nulla aveva a che fare con lo squilibrio contrattuale247, la stessa denota, unitamente alle altre in precedenza richiamate, una maggiore propensione in ordine all’utilizzazione della causa del contratto come strumento atto a mantenere, sempre nel rispetto dell’autonomia conferita alle parti nella determinazione del prezzo, il
244 Cass., 17 marzo 1981, n. 1545, in Riv. not., 1982, p. 89; Trib. Milano, 20 marzo 1989, in
Giur. it., 1990, I, 2, c. 748; Cass., 22 novembre 1978, n. 5444, in Rep. Foro it., 1978, voce
Donazione, n. 6.
245 Cass., 27 luglio 1987, n. 6492, in Rep. Foro it., 1987, voce Contratto in genere, n. 365: “È nullo per mancanza di causa il contratto a prestazioni corrispettive nel quale non vi sia una equivalenza, almeno approssimativa o tendenziale, delle prestazioni, come quando una delle parti si obblighi ad una prestazione senza che, in cambio, le venga attribuito nulla di più di quanto già le spetti per legge”.
000 X. Xxxxxxxx, Xx proporzione, cit. p. 222, che considera tale affermazione “irrilevante”.
247 Nella specie i comproprietari di un cortile avevano stipulato un contratto col quale uno di essi si era obbligato a compiervi delle opere a proprie spese in corrispettivo del diritto di trasformare delle luci in vedute e di spostare una porta di accesso. I giudici di merito, ritenendo tale diritto rientrante nelle facoltà già spettanti per legge, ex art. 1102 x.x., xx xxxxxxxxxxxxxxx xxx xxxxxxx, xxxxxxx xxxxxxxxxx xxxxx il contratto e la Suprema Corte ha ritenuto giuridicamente corretta la decisione in base al surriportato principio. A ben considerare, quindi, si trattava di un’ipotesi di scuola di mancanza di causa, non dissimile da quella dell’acquisto di cosa propria; il rapporto di valore tra le prestazioni era pertanto del tutto irrilevante rispetto all’affermazione della nullità.
fenomeno della circolazione dei beni all’interno dei limiti della funzione economico-sociale che l’atto di scambio deve realizzare.
Xxxxxx, la ragione per la quale è sembrato potersi prospettare una interferenza del principio causalistico con il tema dello squilibrio contrattuale si coglie muovendo dalla regola della rilevanza della “causa concreta”, cioè della “ragion d’essere dell’operazione valutata nella sua individualità e singolarità”248.
Essa risponde all’esigenza di controllare l’effettiva sussistenza della giustificazione del vincolo rispetto al singolo contratto, con riguardo sia ad eventuali elementi atipici che esso presenti, sia alla stessa ricorrenza in concreto degli elementi che connotano lo schema causale tipico al quale esso appartiene.
In questo senso si è posta la questione della validità del contratto che presenti una sproporzione tra le prestazioni corrispettive così grave da far dubitare della sussistenza in concreto di una giustificazione causale249.
248 La formula è di U. Breccia, Causa, in Trattato di diritto privato, diretto da X. Xxxxxxx, cit., p. 66. V. anche X. Xxxxxxxxxxxx, Contributo alla teoria del negozio giuridico, Napoli, 1950, p. 245 ss.; X. Xxxxxxxxxx, voce Causa (dir. priv.), in Enc. dir., vol. VI, Milano, 1960, p. 547; G.B. Xxxxx, Causa e tipo nella teoria del negozio giuridico, cit., p. 249 ss.; C. M. Xxxxxx, Il contratto, cit., p. 452 ss.; X. Xxxxx, Il contratto, cit., p. 364 ss.; X. X’Xxxxxx, Xxxxxxxxx e operazione economica, cit., p. 184 ss.
249 Secondo A. Xx Xxxx, Nozione di equilibrio nella tematica del contratto, cit., p. 3 ss., <<è indubbio ad es. che l’elemento della “causa”, ove interpretato non in senso formale ed astratto, quale tipo o quale genericamente funzione economico – sociale del contratto possa rappresentare anche un valido strumento per controllare in concreto l’uso che i contraenti compiono della loro autonomia, così ad es. da arrivare a sostenere che sono manchevoli sotto l’aspetto “causale” contratti e/o negozi sperequati dal punto di vista normativo, nel senso di una totale diseguaglianza tra le posizioni delle parti>>. Al riguardo, l’A. richiama una sentenza del Tribunale di Roma (Trib. Roma 8 luglio 1987 n. 9386, in Corr. Giur. 1987, 1274) con la quale si ritenne privo di causa un contratto riguardante il deposito di valori in cassette di sicurezza perché la banca si era fatta promettere dal contraente che egli non avrebbe immesso nella cassetta valori superiori a 1 milione, ritenendo che, nella specie, si sia realizzata una ipotesi <<esemplare in cui la mancanza di equilibrio tra le prestazioni
Al riguardo, la dottrina sensibile al profilo qui considerato ha proposto varie soluzioni, quale l’accoglimento di una nozione di causa idonea a guidare la formulazione di un giudizio di meritevolezza, in ragione di quanto previsto dall’art. 1322, comma 2, c.c., anche in relazione ai contratti xxxxxx000.
Si sottolinea come la nozione di causa del contratto possa consentire una valutazione in termini di congruità dei reciproci sacrifici e vantaggi, sotto diversi profili, soprattutto là dove si tratti di attribuire effetti a nuove figure contrattuali, esaminando se rispondano ad interessi meritevoli di tutela, ai sensi dell’art. 1322, comma 2, c.c.251.
In merito, parte della dottrina ritiene che la individuazione delle fattispecie di illiceità della causa potrebbe permettere di ampliare i mezzi di impugnazione dei contratti lesivi, come, ad esempio, in talune ipotesi delittuose, che potrebbero dare luogo alla nullità per contrasto con norme imperative, oltre che alla mera rescindibilità od annullabilità, dei contratti che ne conseguono252.
Secondo tale orientamento, se si tiene presente che il concetto di causa ha la funzione pratica di consentire agli interpreti una valutazione di conformità del singolo contratto ai principi ed agli interessi dominanti
contrattuali è ricondotto al criterio della “meritevolezza degli interessi” (art. 1322c.c.). Si è in buona sostanza ritenuto non meritevole di tutela un interesse del cliente della banca a corrispondere un premio per avere in cambio una copertura così bassa>>.
250 X. Xxxxxxx, Adempimento e rischio contrattuale, cit., p. 227 ss.; Id., Causa del contratto, funzione del tipo ed economia dello scambio, in Giur. merito, 1978, p. 1327 ss.
251 Così X. Xxxxxxxx, Regole del mercato, cit., p. 333.
252 Così X. Xxxxxxxx, op. ult. cit., p. 334, in relazione alle ipotesi di usura, truffa, circonvenzione di persone incapaci, frode in commercio, estorsione, ricettazione. L’A. afferma, inoltre, in relazione agli ulteriori strumenti di reazione contro i contratti a prestazioni sperequate, che sarebbe comunque possibile attribuire alla parte lesa da un contratto che sia conseguenza di un reato, il diritto alla restituzione dei vantaggi eccessivi percepiti dalla controparte, quale risarcimento del danno prodotto dal reato, ai sensi dell’art. 185 c.p., indipendentemente dalla dichiarazione di nullità del contratto.
all’interno del sistema, escludendo che esso possa ritenersi valido solo perché voluto, si può mettere in discussione che abbiano causa valida i trasferimenti di ricchezza attuati sulla base di dichiarazioni contrattuali rese in condizioni tali da alterare la libertà o la razionalità delle scelte economiche ad esse sottostanti, cioè sulla base di comportamenti difformi da quelli che la legge presuppone come idonei a realizzare il giusto assetto del mercato253.
In realtà, la relazione tra causa e giustizia contrattuale è soltanto apparente: sussistono, infatti, vari elementi in base ai quali escludere che il controllo causale possa essere piegato all’esigenza di trovare un rimedio allo squilibrio contrattuale.
Innanzitutto, le rilevate univoche indicazioni codicistiche incompatibili con la sindacabilità giudiziaria dell’equilibrio contrattuale, di per sé considerato, inducono ad escludere che possa ritenersi implicata nel principio causalistico una inespressa regola di segno opposto.
Del resto, ciò è confermato dalla configurazione che il controllo causale assume nel nostro ordinamento, in relazione alle sue finalità e all’ambito e alle modalità della sua esplicazione.
Al riguardo, infatti, è generalmente condivisa l’affermazione che il riconoscimento giuridico del vincolo contrattuale e dei suoi effetti è subordinato ad una ragione che lo sostenga e giustifichi il trasferimento di ricchezza che esso implica e la sanzione coercitiva dell’ordinamento254.
253 Cfr. X. Xxxxxxxx, op. ult. cit., p. 333 ed autori ivi citati.
000 X. Xxxxx-X. Xx Xxxx, Xx contratto, cit., p. 649; C. M. Xxxxxx, Il contratto, cit., p. 448; X. Xxxxxxx, Diritto civile, cit., p. 179; X. Xxxxx, Il contratto, cit., p. 361 ss.; U. Breccia, op. ult. cit., p. 5.
Detto vincolo può trovare fondamento in circostanze, relazioni, interessi non riconducibili al rapporto di reciprocità fra prestazioni: tra il contratto a prestazioni corrispettive e la figura della donazione, vi è una varietà tipologica di interessi in vista dei quali si promette una prestazione, si realizza un’attribuzione, si trasferiscono o costituiscono diritti, si modificano o si regolano rapporti.
Difatti, il controllo causale del contratto a vincolo obbligatorio, o a effetto giuridico, unilaterale, o delle prestazioni isolate, è stato oggetto di indagini255 che hanno consentito di enucleare ragioni giustificative diverse dallo scambio corrispettivo, che della causa è solo la più esemplare manifestazione256.
Da tali indagini sono emerse ragioni giustificative diverse dallo scambio corrispettivo che mal si prestano o sono addirittura incompatibili rispetto ad un vaglio della loro adeguatezza comparativa, il quale presupporrebbe una definita relazione di reciprocità, tra vantaggi e svantaggi, sacrifici e benefici, che non si riscontra nella generalità delle giustificazioni causali rinvenute257.
000 X. Xxxxx, Xx contratto, cit., pp. 106 ss., 168 ss.; X. Xxxxx, Il contratto, cit., p. 580 ss..
000 X. X. Xxxxx-X. Xx Xxxx, Xx contratto, cit., p. 650 ss.; X. Xxxxx, Il contratto, cit., p. 369 ss.; X. X’Xxxxxx, Le promesse unilaterali - Artt. 1987-1991, in Il Codice civile. Commentario, diretto da X. Xxxxxxxxxxx, Xxxxxx, 0000, p. 271 ss.; X. Xxxxxxxxxx, voce Causa, cit., p. 564 ss.; X. Xxxxxxxxxx, La causa e le prestazioni isolate, Milano, 2000, p. 321 ss..
257 Giustificazioni causali diverse dallo scambio corrispettivo sono state, ad esempio, individuate nel collegamento negoziale che pur non realizzi un’unitaria relazione di corrispettività, nelle promesse condizionate ad una prestazione del promissario, il quale non si obbliga ad eseguirla, in quelle fondate su di un vincolo obbligatorio preesistente o si di un interesse patrimoniale del promittente diverso dal conseguimento di una controprestazione, nei patti modificativi di un precedente contratto, in vincoli volti al rafforzamento del credito anche in relazione a debiti altrui, nelle promesse in vista di interessi sovraindividuali esterni alla sfera egoistica delle parti. Tali ragioni non sono suscettibili di una misurazione quantitativa e di una valutazione di equivalenza espressa in termini monetari, escludendo,
Conseguentemente, deve escludersi che la nozione di ragione giustificativa della coercibilità del vincolo e dello spostamento di ricchezza, che presiede al controllo causale, possa essere connotata in un senso che implichi equivalenza tra sacrifici e benefici, equilibrio dell’incidenza del contratto sulle rispettive posizioni delle parti258.
Invero, in dottrina259 ed in giurisprudenza260 è diffuso il riconoscimento dell’estraneità alla nozione di causa giustificativa e al controllo causale dell’idea di equivalenza e di equilibrio contrattuale.
Ciò appare coerente con la indicazione della ratio del controllo causale nel rifiuto della sanzione a contratti senza ragione261; in altre parole, si rifiuta la sanzione coercitiva del vincolo contrattuale per effetto della verifica dell’assenza di ragioni del vincolo stesso, così che possa escludersi la stessa esistenza di affidamenti che meritino di essere protetti262.
addirittura, alcune di esse, un interesse proprio del soggetto sul quale unilateralmente grava il vincolo giuridico, con conseguente inammissibilità di qualsiasi considerazione di equilibrio, sia economico che normativo.
258 Sul punto X. X’Xxxxxx, La buona fede, cit., p. 205, osserva: “Né sarebbe attendibile prospettare una diversificazione della configurazione della giustificazione causale che riservasse solo a quella consistente nello scambio corrispettivo il requisito di equivalenza e di equilibrio. Infatti … sarebbe paradossale ammettere la sanzione del vincolo in caso di rapporti solo unilateralmente vincolanti (promesse unilaterali e contratti con obbligazioni di una sola parte), non reciprocamente vantaggiosi (garanzie di obbligazioni altrui), e negarla, invece, in caso di rapporti contrattuali corrispettivi, solo perché le prestazioni non siano equivalenti o pur siano gravemente squilibrate”.
259 X. Xxxxxxxxxxxx, Contributo alla teoria del negozio giuridico, cit., p. 268; X. Xxxxx-X. Xx Xxxx, Il contratto, cit., p. 640 ss.; C. M. Xxxxxx, Il contratto, cit., p. 489 ss.; X. Xxxxx, op. ult. cit., p. 383 ss.; A Di Majo, voce Causa del negozio giuridico, in Enc. giur. Xxxxxxxx, XX, Xxxx, 0000, p. 8; U. Xxxxxxx, Causa, cit., p. 11.
260 Cass., 6 ottobre 1955, n. 2861, cit.; Cass., 16 luglio 1963, n. 1945, cit.; Cass., 24 febbraio
1968, n. 632, cit.; Cass., 26 novembre 1971, n. 3444, cit.; Cass., 28 agosto 1993, n. 9144, in
Foro it., 1994, I, c. 2489; Cass., 25 marzo 1996, n. 2635, in Giur. it., 1997, I, 1, c. 476.
261 X. Xxxxx, op. ult. cit., p. 381; X. Xxxxxxxxxx, op. ult. cit., p. 238.
262 X. Xxxxx-X. Xx Xxxx, op. ult. cit., p. 659 ss.
È stato, però, avvertito che, rispetto all’esigenza di valutare la sussistenza in concreto di una giustificazione causale, la stessa misura del corrispettivo può, nei rapporti di scambio, assumere rilievo al fine di accertare se essa non sia tale da escludere la ricorrenza effettiva della causa; ciò non perché un corrispettivo inadeguato alla controprestazione non sia idoneo a giustificare il vincolo, ma perché occorre vagliare se esso non costituisca un mero artificio per occultare la mancanza di giustificazione, dissimularne una diversa da quella sinallagmatica o, addirittura, celare finalità illecite. Al riguardo si è recentemente parlato di “causa non trasparente”263, ma è molto risalente l’attenzione della giurisprudenza ad una modalità di controllo causale che investa la misura del prezzo come possibile spia di una simulazione della compravendita, ovvero come strumento per la corretta qualificazione del contratto a diversi fini di disciplina264.
Il principio affermato da Cass. n. 6492/87 trova eco in una pronuncia della Corte di Appello di Napoli, secondo cui “è nullo per mancanza di causa il contratto di compravendita se il prezzo sia puramente simbolico, o comunque notevolmente inferiore all’effettivo valore del bene trasferito. La determinazione di un prezzo irrisorio equivale a mancanza di prezzo, qualora la sproporzione tra le prestazioni non sia dovuta ad intento di liberalità” 265.
La motivazione di tale ultima pronuncia prende le mosse dal concetto di causa, quale requisito essenziale del contratto, identificata nella “funzione economico-sociale che il negozio giuridico obbiettivamente persegue e che il
263 U. Breccia, op. ult., cit., p. 15.
264 Cass., 6 ottobre 1955, n. 2861, cit.; Cass., 16 luglio 1963, n. 1945, cit.; Cass., 26 novembre
1971, n. 3444, cit..
000 Xxxxx xx Xxxxxxx xx Xxxxxx, Sezione I, 21 dicembre 1989, n. 1934, in Dir. Xxxx., 1990, p. 510 ss., con nota di X. Xxxxxxx, Osservazioni in tema di negozio riproduttivo.
diritto riconosce rilevante ai suoi fini” 266 e sintetizza la causa della compravendita nella funzione di scambio della cosa contro il prezzo267.
In tale prospettiva, il principio enunciato dalla sentenza in esame (nonché da Cass. n. 6492/87) riconosce ampio margine al giudice del merito per effettuare un controllo di fatto sul reale assetto di interessi emergente dalle clausole negoziali, e fissa, al contempo, un principio teorico di notevole rilevanza concreta, che va ad apportare sostanza al concetto di causa intesa, appunto, come funzione economico-sociale del contratto268.
Riconoscere, infatti, l’esigenza di un prezzo adeguato all’effettivo valore del bene alienato, giova a rafforzare la tutela del potenziale contraente debole e, quindi, a concepire in termini sempre più sostanziali (nel senso di equivalenza) la funzione di scambio269.
Le sentenze sopra richiamate si iscrivono in tale linea di tendenza, a testimonianza di una espansione dell’area di verifica giurisprudenziale in senso diametralmente opposto alla precedente tesi del disinteresse dell’ordinamento giuridico di fronte alla determinazione del prezzo fissato
266 Sotto questo profilo, la pronuncia in esame si colloca nel solco tracciato da un ormai costante orientamento giurisprudenziale che, secondo la formula della Relazione al codice civile (n. 613), definisce la causa quale “funzione economico-sociale” del contratto: cfr., tra le tante, Cass., 13 giugno 1957, n. 2213, in Rep. Foro it., 1957, voce Obbligazioni e contratti, 147; Cass., 13 ottobre 1975, n. 3300, in Rep. Giur. it., 1975, voce Obbligazioni e contratti,
147. In dottrina non sono mancate valutazioni critiche dell’opinione dominante: v. X. Xxxxxxx, Obiter dicta della giurisprudenza, l’accertamento della <<causa>> reale dei contratti, gli equivoci sulla funzione economico-giuridica del negozio, in Riv. not., 1978, I, p. 947; G. B. Xxxxx, Tradizione e novità nella disciplina della causa del negozio giuridico (dal cod. civ. del 1865 al cod. civ. del 1942), in Riv. dir. comm., 1986, I, p. 127.
267 “La compravendita ha, come causa, per il compratore, l’acquisto della proprietà o il trasferimento di un altro diritto e, per il venditore, l’acquisto del prezzo”.
268 Così X. Xxxxxxx, op. ult. cit., p. 516. Secondo l’A., il limite della eccessiva esiguità del prezzo, specie se inteso - alla stregua dell’orientamento espresso da Cass., 24 novembre 1980,
n. 6235, cit.- in modo incisivo, costituisce, accanto ai casi di rescissione, una eccezione alla indifferenza, da parte dell’ordinamento giuridico, al problema della congruità dello scambio. 269 Così X. Xxxxxxx, op. ult. cit., p. 516.
dalle parti270, consentendo il controllo giudiziale della rispondenza della causa concreta del singolo contratto al raggiungimento della obiettiva funzione di scambio, cui si ritiene sempre più connaturata l’esigenza di equilibrio tra le prestazioni271.
In sintonia con tale tendenza si mostra un’altra pronuncia della Cassazione, secondo cui “nei contratti a prestazioni corrispettive, il difetto di equivalenza, almeno tendenziale, delle prestazioni e, a maggior ragione, il difetto tout court della pattuizione di un corrispettivo o comunque, della ragione giustificativa della prestazione prevista, comporta l’assoluta mancanza di causa del contratto e, per l’effetto, la nullità dello stesso”272.
A ben considerare, però, la portata di tale affermazione si ridimensiona, in quanto, nel caso di specie, il contratto non prevedeva alcun corrispettivo e, pertanto, l’indagine dei giudici, sia di merito che - indirettamente - di legittimità, riguardò l’esistenza di una giustificazione causale esterna al contratto e si concluse negativamente, con conseguente dichiarazione di nullità per mancanza di causa; la controprestazione, di conseguenza, non era sperequata, bensì del tutto mancante273.
270 Tale disinteresse o “indifferenza” da parte dell’ordinamento giuridico nei confronti del problema della congruità dello scambio è stato ricondotto da alcuni alla neutralità del sistema codicistica dinanzi ad una fase - la determinazione del valore di scambio - considerata espressione tipica dell’autonomia privata. Cfr. X. Xxxxxxxx, Appunti in tema di prezzo nella compravendita, cit., p. 466; X. Xxxxxxxx, L’uso giurisprudenziale del concetto di causa del contratto, in Contratto e Impresa, 1985, p. 150.
271 X. Xxxxxxx, op. ult. cit., p. 517.
272 Cass., 20 novembre 1992, n. 12401, in Foro it., 1993, I, 1506, con nota di X. Xxxxxxxxxx, Alla ricerca della causa nei contratti gratuiti atipici, in Corr. giur., 1993, p. 174, con nota di Mariconda. La sentenza è anche commentata da Xxxxxxx, Sull’equitas delle prestazioni contrattuali, cit., p. 420 ss..
273 La fattispecie riguardava una cessione di linee di trasporto, di proprietà di una società, la FAP. Tali linee non erano di per sé remunerative e, in vista dell’attuazione di un piano regionale che riservava alla pubblica autorità la titolarità e la gestione di tutte le linee di
In buona sostanza, si trattò di un obiter dictum, che autorevole dottrina ha definito molto pericoloso 274 , con cui veniva addirittura equiparata la mancanza di equivalenza tendenziale - e, quindi, qualcosa di molto meno della grave e stridente sproporzione delle prestazioni - alla mancanza di causa, con conseguente nullità del contratto.
Indubbiamente, quindi, tale pronuncia ribadisce la necessità - già espressa dalle pronunce sopra richiamate - di un controllo più sostanziale sul reale assetto di interessi sotteso al programma negoziale, in un’ottica sempre più propensa ad equiparare le ipotesi di prezzo vile ed apparente, da ritenersi entrambe affette da nullità per mancanza di causa.
La pronuncia in esame ripropone la vexata quaestio dell’ammissibilità e dei limiti di un’interferenza dell’ordinamento giuridico sull’autonomia privata.
Tale problema si è posto all’attenzione degli operatori del diritto in considerazione del progressivo disancoramento del nostro sistema economico da un modello - quale quello recepito dall’impianto codicistico del 1942 - imperniato sui valori della libera esplicazione del gioco concorrenziale e dell’assenza di soverchie concentrazioni monopolistiche, come tale atto a garantire il naturale equilibrio tra i valori oggetto di scambio.
trasporto regionali, la FAP aveva alienato all’Immobiliare turistica, senza corrispettivo, le linee internazionali, al fine di liberarsi dell’onere delle spese di gestione. Il problema non era, quindi, se il corrispettivo fosse adeguato o meno, ma se la cessione delle linee di trasporto senza corrispettivo fosse o meno da considerarsi rispondente ad una valida causa.
274 Così X. Xxxxxxx, op. ult. cit., p. 420 ss., il quale aggiunge: “Va perciò ribadito a chiare note che fuori dei casi, legislativamente previsti, della rescissione per lesione ultra dimidium del contratto concluso con approfittamento dell’altrui stato di bisogno e della risoluzione del contratto per eccessiva onerosità sopravvenuta, provocata da eventi eccezionali ed imprevedibili, al giudice non è consentito di sindacare l’equivalenza delle prestazioni, ogni determinazione circa la congruità dello scambio contrattuale essendo rimessa all’autonomia dei contraenti, secondo il generale principio dell’art. 1322, 1° co., c.c.”.
Infatti, la crescita esponenziale di imprese dotate di potenziale economico di notevole spessore, comportando l’abrogazione del principio, non codificato, della parità delle armi dei paciscenti, ha decretato il venir meno delle condizioni di mercato atte a garantire non solo l’equilibrio oggettivo delle prestazioni, ma anche la tendenziale proporzione valoristica delle stesse275.
Tali circostanze hanno favorito una progressiva attenuazione delle rigide posizioni inizialmente assunte dalla giurisprudenza, sia di legittimità che di merito 276 , fondate sul dogma della indifferenza dell’ordinamento rispetto al piano della valutazione soggettiva dei margini della convenienza stipulatoria277, accompagnata dall’affermarsi di una linea interpretativa più attenta, pur nel rispetto del principio generale della libertà di autodeterminazione privata, a dotare il contraente, specie se versante in condizione di inferiorità, di efficaci strumenti di tutela a fronte di vistosi fenomeni di squilibrio contrattuale.
275 Sul punto, v. X. Xxxxxxxx, Appunti in tema di prezzo, cit., p. 466, secondo cui “in una economia di mercato caratterizzata dalla libera concorrenza e dall’assenza di grandi concentrazioni monopolistiche, pubbliche o private, normalmente lo scambio tende ad un naturale equilibrio fra i valori economici oggetto di scambio. Nell’attuale assetto economico, però, siffatta ipotesi appare esclusivamente scolastica, poiché la presenza sul mercato di imprese ad alto potenziale economico induce fortissime turbative alla libera determinazione degli equilibri fra i valori economici, tanto che l’equivalenza oggettiva delle prestazioni nella vendita risulta praticamente irrealizzabile”. Dello stesso avviso è C. M. Xxxxxx, La vendita e la permuta, cit., p. 29.
276 Cfr. Cass., 16 luglio 1963, n. 1945, cit.; Cass., 24 febbraio 1968, n. 632, cit.; App. Napoli,
30 gennaio 1956, cit.; Trib. Roma, 15 febbraio 1963, cit.; App. Roma, 18 febbraio 1965, cit.;
Trib. Parma, 16 novembre 1972, cit..
277 Cfr. X. Xxxxxx, La compravendita, in Tratt. dir. civ. diretto da Xxxx e Messineo, XXIII, Milano, 1962, p. 184, il quale, prendendo le mosse dall’estraneità, al nostro ordinamento, dell’esigenza di assicurare la corrispondenza tra le prestazioni corrispettive, rinviene nella suddetta indifferenza un felice residuo della concezione liberale della vita.
L’argomento forte a base di siffatte ricostruzioni teoriche è stata proprio la rivisitazione del concetto di causa, quale strumento di controllo della razionalità dell’operazione perseguita278, sulla base della considerazione che la causa del contratto di compravendita è il trasferimento di un diritto contro il pagamento di un xxxxxx000.
A tale proposito, pur non essendo questa la sede adatta per ricostruire la evoluzione dottrinale in tema di causa del contratto, pare opportuno rilevarne, in estrema sintesi, alcuni aspetti280.
L’orientamento tradizionale prevalente nella nostra dottrina fin dagli inizi del secolo scorso ha accolto una nozione di causa intesa quale funzione economico-sociale, cioè tipica ed astratta del negozio281. La funzione che la legge prende in considerazione è quella che il negozio è idoneo da sé, ed egualmente in tutti i casi, a realizzare282. In questa prospettiva, la causa viene considerata un elemento oggettivo del negozio, che, connaturata ad una determinata fattispecie negoziale, dà alla stessa la sua impronta tipica.
278 Cfr. X. Xxxxxxxxx, Causa del contratto e circolazione dei beni, Milano, 1981, p. 112, il quale sottolinea la progressiva tendenza giurisprudenziale a valorizzare la causa del contratto a mò di strumento di controllo dell’autonomia negoziale, nella direzione di una effettiva “saldatura tra quaestio voluntatis e quaestio legis”.
279 Si vedano le indicazioni fornite da X. Xxxxxxx, Adempimento e rischio contrattuale, cit., p. 227 ss.; v., altresì, X. Xxxxxxx, Prezzo vile e prezzo simbolico nella compravendita, cit., p. 39, secondo il quale “nella compravendita la causa contrattuale, come è noto, consiste nella alienazione di una cosa o di un diritto verso il corrispettivo in denaro; pertanto, ai fini della sussistenza del sinallagma genetico, inteso come possibilità originaria della prestazione, il prezzo deve senza dubbio essere reale e non fittizio”.
280 Per tutta l’evoluzione del problema, v. X. Xxxxxxxxxx, Causa ed <<economia>> del contratto: tendenze dottrinali e modelli di sentenza, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 1979, p. 813 ss.
281 X. Xxxxx, Teoria generale del negozio giuridico, cit., p. 171 ss.; X. Xxxxxxx-Xxxxxxx, Il negozio giuridico nel diritto privato italiano, cit., p. 580; X. Xxxxxxxxxx, voce Causa (diritto privato), cit., p. 547 ss.
282 X. Xxxxxxx Xxxxxxxxxx, Dottrine generali del diritto civile,cit., p. 127 ss.
A tale orientamento se ne contrappone uno successivo, diretto a riconsiderare l’impostazione soggettivistica, senza tuttavia giungere ad identificare la causa con lo scopo perseguito dal contraente, ma individuando la causa nella funzione economico-individuale283.
È stato, cioè, affermato che la causa va ravvisata in relazione ai concreti interessi delle parti, con la conseguenza che l’indagine sul tipo, essenzialmente astratta e statica, pone un problema di configurabilità dell’operazione, mentre quella sulla causa, essenzialmente concreta e dinamica, è volta ad indagare sui concreti risvolti dell’operazione economica, vista nella sua complessità284.
L’accoglimento di una nozione di causa in astratto (funzione economico-sociale) preclude il controllo giudiziale, essendo tale valutazione già operata dal legislatore in astratto nell’ambito del tipo285; viceversa, una nozione di causa in concreto (funzione economico-individuale) comporterebbe di volta in volta un controllo del giudice sulle singole pattuizioni in ogni caso poste in essere286.
Invero, l’inadeguatezza della teoria della causa in astratto, è venuta in evidenza in alcuni casi classici, tra cui, appunto, la vendita a prezzo simbolico, dove, nonostante la tipicità del contratto - che dovrebbe garantire, quindi, una valutazione della causa già compiuta dal legislatore - ne è stata dichiarata la nullità per mancanza di causa.
000 X. X. X. Xxxxx, Xxxxx e tipo nella teoria del negozio giuridico, cit., p. 149 ss.; X. Xxxxxxx, Adempimento e rischio contrattuale, cit., p. 207 ss.; Xx Xxxxx, Nuovi orientamenti in tema di causa, in Foro it., 1974, I, c. 228 ss.; X. Xxxxx, Il contratto, cit., p. 574 ss..
284 X. Xxxxxxx, Manuale di diritto privato, Napoli, 2000, p. 762.
285 Pertanto, residuerebbero margini per un tale controllo solo in relazione ai contratti atipici.
286 Sul punto, v. X. Xxxxx, op. ult. cit., p. 579.
Partendo da tali considerazioni, si è giunti a sostenere che un progettato trasferimento di ricchezza non possa trovare idonea giustificazione causale nella previsione di un simulacro di corrispettivo, ma necessiti, se non di un perfetto equilibrio economico, quantomeno di un quid minimum di proporzione tra i rispettivi sacrifici e vantaggi287.
Ne consegue un approccio di marca sostanziale al concetto di corrispettività, atteso che l’esplorazione del programma definito in sede pattizia, non avviene più nell’ottica dell’astratta rispondenza alla schema causale legislativamente cristallizzato, bensì nella stringente prospettiva del collegamento alla realtà sociale ed alla sfera degli interessi (economici e non) in giuoco288.
Di qui la tendenza della giurisprudenza ad ampliare lo spettro della tutela del venditore dalle ipotesi di prezzo meramente simbolico od apparente, a quelle, di più frequente ricorrenza e non meno idonee ad accumulare fenomeni di abuso di posizioni di superiorità economico-contrattuale, di prezzo non rispondente, neanche in linea di approssimazione, al reale valore della cosa venduta289.
287 Cfr., ancora, X. Xxxxxxxx, op. ult. cit., p. 467: “Chi vende una cosa per un dato prezzo intende normalmente procurarsi, col denaro ricavato, delle cose di valore corrente almeno pari a quello della cosa venduta. L’adeguatezza fra le due prestazioni deve perciò tendenzialmente sussistere nella compravendita, sicché lo squilibrio fra esse pone problemi di individuazione della volontà reale delle parti, allo scopo di accertare se queste, al di là della forma adottata, non abbiano in realtà voluto una cosa diversa dallo scambio fra bene e prezzo e non abbiano realizzato uno scopo pratico diverso dalla causa negoziale della vendita, e quale”.
288 Nel senso che l’analisi dell’elemento causale del negozio giuridico debba svolgersi con riferimento alla reale dimensione teleologica della fattispecie contrattuale, ossia al significato pratico dell’operazione, si esprime C. M. Xxxxxx, Il contratto, cit., p. 425.
289 X. Xxxx., 00 luglio 1987, n. 6492, cit.; Cass., 24 novembre 1980, n. 6235, cit.; App. Napoli, 21 dicembre 1989, cit.. Contra, X. Xxxxx, Il contratto, cit., p. 574 ss..
Le considerazioni appena svolte, consentono di meglio inquadrare il contesto in cui è stato enunciato - benché sotto forma di obiter dictum - il principio di cui alla sentenza n. 12401/1992 della S.C., principio, a ben vedere, ribadito nel corso della sentenza, là dove si valuta la possibilità di ravvisare, nella specie, <<una causa diversa da quella “tipica” costituita dalla equivalenza delle prestazioni o dalla conclamata ragione dello scambio>>.
Probabilmente, tale ultima affermazione esprime una posizione, addirittura, ancora più rigorosa di quella assunta dagli Autori che hanno visto con favore la sentenza in esame290 e che riconducono le varie ipotesi di non remuneratività del prezzo - e, quindi, di mancanza di una ragione pratica di scambio - ad un denominatore comune individuato nella grave sproporzione fra il prezzo e il valore corrente della cosa venduta291.
Ciò trova conferma nelle parole di Xxxxxxx, secondo cui <<altro è una “stridente sproporzione fra le prestazioni”, altro il “difetto di equivalenza, almeno tendenziale, delle prestazioni”. C’è la prima se si vende per 10 milioni un bene che vale un miliardo; c’è il secondo se quel bene viene venduto per 600 milioni>>292.
290 V., in particolare, X. Xxxxxxxx, op. ult. cit., e X. Xxxxxxx, op. ult. cit., i quali evidenziano la insufficienza dei correttivi previsti dalla legge alla sproporzione contrattuale, che si riducono, in buona sostanza, ai casi di rescissione. La necessità di congegnare strumenti volti alla salvaguardia di un’esigenza di giustizia sostanziale ed all’assicurazione di una, troppo spesso mortificata aequitas contrahentium, è vigorosamente rimarcata da X. Xxxxxxxxx, Istituzioni di diritto civile, Padova, 1995, p. 661.
291 Così X. Xxxxxxxx, op. ult. cit., al quale, a conclusione del commento a Cass. n. 12401/92, “sembra lecito poter sostenere che l’affermazione che l’ordinamento si disinteressa del tutto del problema della corrispondenza tra il prezzo e il valore economico della cosa venduta è, in questa sua generica formulazione, alquanto errato. In realtà, invece, l’ordinamento presuppone la realtà economica e la funzione sociale della vendita, realtà e funzione che richiedono, almeno tendenzialmente, l’equivalenza economica delle due prestazioni”.
292 X. Xxxxxxx, Sull’equitas delle prestazioni contrattuali, cit., p. 420.
Alla luce di tale precisazione, emerge che, alla stregua dell’orientamento giurisprudenziale sensibile al problema della congruità dello scambio, l’ipotesi della vendita nummo uno ricorre non solo quando il prezzo è meramente simbolico, ma anche quando non corrisponde, almeno tendenzialmente, al valore del bene conferito293.
È evidente, quindi, l’impostazione marcatamente “oggettivistica” di questa interpretazione del concetto di corrispettivo. Essa vuole che, nella vendita, affinché si realizzi la funzione economico-sociale sua propria, è necessario un rapporto tendenziale di equivalenza tra le prestazioni scambiate, la cui assenza determina la nullità del contratto per mancanza di causa.
L’unica ragione giustificatrice della vendita ricorre allorché realizzi l’ingresso nel patrimonio del venditore del corrispondente valore in numerario del bene venduto294.
Tale principio, che sembra totalmente escludere il principio volontaristico di autodeterminazione del contenuto contrattuale, stabilito dall’art. 1322 c.c., è stato vivacemente criticato da autorevole dottrina, la quale ha evidenziato, appunto, l’incongruenza logica dell’assimilazione della mancanza di equivalenza tra il valore delle prestazioni, alla assenza tout-court
293 In proposito, X. Xxxxxxxxxx, Vendita a prezzo irrisorio (o vile) e rilevanza causale della fattispecie traslativa: un (improbabile) ritorno al passato della corte di legittimità, in Foro it., 1994, I, c. 2491 ss., osserva che “la pattuizione di un prezzo non rispondente, neanche in linea di lontana approssimazione, al reale valore della cosa trasferita, nel dar foggia ad un mero simulacro di corrispettività, non si presenta sul piano della ragionevolezza causale, affatto distinguibile rispetto alla previsione di corrispettivo stricto sensu simbolico e, quindi, non diversamente da quest’ultima, appare meritevole di caducazione per carenza del requisito funzionale”.
294 Secondo la dottrina, in termini economici, prezzo, o ragione di scambio, è il rapporto in cui la quantità di un bene si scambia con la quantità di un altro. Il prezzo, inoltre, si esprime in termini di denaro, segno monetario convenzionale, privo di utilità diretta, ma recante l’utilità strumentale di procurare qualsiasi bene suscettibile di scambio ed avente, quindi, la funzione di intermediario degli scambi. X. Xxxx, Xxxxxx, in Noviss. dig. it., vol. X, Torino, 1964.
di corrispettivo, perché simbolico o, comunque, sproporzionatamente inferiore295.
Xxxxxx, non v’è dubbio che, in effetti, le due fattispecie divergono sul piano pratico in modo sostanziale, e che, pertanto, la loro riconduzione ad un modello unitario produca conseguenze giuridiche inaccettabili, quale quella di escludere dal novero degli interessi meritevoli di tutela tutti gli atti privi di contenuto patrimoniale e diversi dalla mera sostituzione nel patrimonio del debitore di un bene con il suo esatto controvalore in denaro296.
Tali considerazioni hanno spinto parte della dottrina a ribadire il primato dell’autonomia contrattuale, secondo il generale principio dell’art. 1322 c.c., limitando la rilevanza dello squilibrio tra le prestazioni alle sole ipotesi in cui lo scambio sia gravemente alterato e ci sia il sospetto di dolo o violenza di una parte a danno dell’altra297.
Secondo tale orientamento, infatti, “l’autonomia contrattuale è, in linea di principio, insindacabile e incensurabile”, ed il criterio del corrispettivo proporzionale al valore della prestazione, che pure si ritrova in diverse norme
295 X. Xxxxxxx, op. ult. cit., p. 420.
000 X. X. Xxxxxxxxxx, Profili del problema, cit., p. 119, il quale osserva sul punto: “E ciò come se non fosse possibile che un soggetto decida di vendere un bene ad un valore diverso da quello reale e ciò nonostante ritenere comunque per lui vantaggiosa la stipulazione del contratto”. Cfr., inoltre, quanto detto in precedenza (Cap….) in ordine all’art. 1174 c.c..
297 X. Xxxxxxx, op. ult. cit., p. 421: “Va perciò ribadito a chiare note che fuori dei casi, legislativamente previsti, della rescissione per lesione ultra dimidium del contratto concluso con approfittamento dell’altrui stato di bisogno e della risoluzione del contratto per eccessiva onerosità sopravvenuta, provocata da eventi eccezionali ed imprevedibili, al giudice non è consentito di sindacare l’equivalenza delle prestazioni, ogni determinazione circa la congruità dello scambio contrattuale essendo rimessa all’autonomia dei contraenti”.