Codice dei contratti pubblici
Schema definitivo di
Codice dei contratti pubblici
in attuazione dell’articolo 1 della legge 21 giugno 2022, n. 78, recante “Delega al Governo in materia di contratti pubblici”
III – Relazione agli articoli e agli allegati
Roma
7 dicembre 2022
INDICE
PREMESSA
LIBRO I
DEI PRINCIPI, DELLA DIGITALIZZAZIONE, DELLA PROGRAMMAZIONE E DELLA PROGETTAZIONE
PARTE I
DEI PRINCIPI
Titolo I – I principi generali
Titolo II – L’ambito di applicazione, il responsabile unico e le fasi dell’affidamento
PARTE II
DELLA DIGITALIZZAZIONE DEL CICLO DI VITA DEI CONTRATTI
PARTE III
DELLA PROGRAMMAZIONE
PARTE IV
DELLA PROGETTAZIONE
LIBRO II DELL’APPALTO
PARTE I
DEI CONTRATTI DI IMPORTO INFERIORE ALLE SOGLIE EUROPEE
PARTE II
DEGLI ISTITUTI E DELLE CLAUSOLE COMUNI
PARTE III
DEI SOGGETTI
Titolo I – Le stazioni appaltanti
Titolo II – Gli operatori economici
PARTE IV
DELLE PROCEDURE DI SCELTA DEL CONTRAENTE
PARTE V
DELLO SVOLGIMENTO DELLE PROCEDURE
Titolo II – I bandi, gli avvisi e gli inviti
Titolo III – La documentazione dell’offerente e i termini per la presentazione delle domande e delle offerte
Titolo IV – I requisiti di partecipazione e la selezione dei partecipanti
Capo I – La commissione giudicatrice Capo II – I requisiti di ordine generale
Capo III – Gli altri requisiti di partecipazione alla gara Titolo V – La selezione delle offerte
PARTE VI DELL’ESECUZIONE
PARTE VII
DISPOSIZIONI PARTICOLARI PER ALCUNI CONTRATTI DEI SETTORI ORDINARI
Titolo I – I servizi sociali e i servizi assimilati
Titolo II – Gli appalti di servizi sociali e di altri servizi nei settori ordinari
Titolo III – I contratti nel settore dei beni culturali
Titolo IV – I servizi di ricerca e sviluppo
Titolo V – I contratti nel settore della difesa e sicurezza; i contratti secretati
Titolo VI – Le procedure in caso di somma urgenza e di protezione civile
LIBRO III DELL’APPALTO NEI SETTORI SPECIALI
PARTE I
DISPOSIZIONI APPLICABILI E AMBITO SOGGETTIVO
PARTE II
DELLE PROCEDURE DI SCELTA DEL CONTRAENTE
PARTE III
DEI BANDI, DEGLI AVVISI E DEGLI INVITI
PARTE IV
DELLA SELEZIONE DEI PARTECIPANTI E DELLE OFFERTE
LIBRO IV
DEL PARTENARIATO PUBBLICO-PRIVATO E DELLE CONCESSIONI
PARTE I
DISPOSIZIONI GENERALI
PARTE II
DEI CONTRATTI DI CONCESSIONE
Titolo I – L’ambito di applicazione, i principi generali e le definizioni
Titolo II – L’aggiudicazione delle concessioni: principi generali e garanzie procedurali
Titolo III – L’esecuzione delle concessioni
Titolo IV – La finanza di progetto
PARTE III
DELLA LOCAZIONE FINANZIARIA
PARTE IV
DEL CONTRATTO DI DISPONIBILITÀ
PARTE V
ALTRE DISPOSIZIONI IN MATERIA DI PARTENARIATO PUBBLICO-PRIVATO
PARTE VI
DEI SERVIZI GLOBALI
LIBRO V
DEL CONTENZIOSO E DELL’AUTORITÀ NAZIONALE ANTICORRUIZIONE. DISPOSIZIONI FINALI E TRANSITORIE
PARTE I
DEL CONTENZIOSO
Titolo I - I ricorsi giurisdizionali
Titolo II - I rimedi alternativi alla tutela giurisdizionale
PARTE II
DELLA GOVERNANCE
PARTE III
DISPOSIZIONI TRANSITORIE, DI COORDINAMENTO E ABROGAZIONI
RELAZIONE ILLUSTRATIVA
PREMESSA
In data 30 giugno 2022 il Presidente del Consiglio dei Ministri ha comunicato al Presidente del Consiglio di Stato di voler affidare la formulazione del progetto di codice dei contratti pubblici al Consiglio di Stato, ai sensi del comma 4 dell’art. 1 della legge n. 78 del 21 giugno 2022. Ha ricordato che l’approvazione di questa riforma costituisce un importante obiettivo del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR), che ne dettaglia il contenuto.
Il successivo 4 luglio il Presidente Xxxxxxxx ha istituito una Commissione speciale, da lui presieduta e col supporto di un board composto dal Presidente aggiunto e da altri due vice, presidenti titolari di sezione del Consiglio di Stato, di cui uno con compiti di coordinatore.
In particolare, della Commissione speciale del Consiglio di Stato hanno fatto parte: Xxxxxx Xxxxxxxx - Presidente del Consiglio di Stato, Presidente.
Xxxxx Xxxxxxxx - Presidente aggiunto del Consiglio di Stato, Vice Presidente.
Xxxxx Xxxxxxx - Presidente di sezione del Consiglio di Stato, Vice Presidente e Coordinatore. Xxxxxxx Xx Xxxxxxxx - Presidente di sezione del Consiglio di Stato, Vice Presidente.
Presidenti di Sezione del Consiglio di Stato: Xxxxx Xxxxxxxx, Xxxxxxxxx Xxxxxxxxx, Xxxxxxx Xxxxxxxxx, Xxxxxxxx Xxxxxxxx, Xxxxxxx Xxxxxxxxxx, Xxxxxxx Xxxxxxxx, Xxxxx Xxxxxxxx, Xxxxxxx Xxxxxxxxx.
Consiglieri di Stato: Xxxxx Xxxxxxxxxxx, Xxxxx Xxxxxxxxxxx, Xxxxx Xxxxxxx, Xxxxxxxx Di Xxxxxx, Xxxxxxxx Xxxxxxxxx, ItaloVolpe, Xxxxxx Xxxxxxx, Xxxxxxx Xxxxxxx, Xxxxxxxx Xxxxxx, Xxxxxxx Xxxxxxx, Xxxxxx Xxxxxxx, Xxxxxx Xxxxx, Xxxxxxx Xxxxxxxxx, Xxxxxxx Xxxxxxx, Xxxxxxxxx Xxxxxxx, Xxxxxxxxxx Xxxxxxx Xxxxxxx, Xxxxxxxxx Xx Xxxx, Xxxx Xxxxxxxxx Xxxxxxxx, Xxxxxxx Xxxxxxxx, Xxxxx Xxxxxx, Xxxxxxxxx Xxxxxxx, Xxxxxxx Xxxxxxxxxxx, Xxxxxxxx Xxxxxxxxx, Xxxxx Xxxxxx Xxxxxxxxx, Xxxxxxx Xxxxx, Xxxxxx Xx Xxxxxxxxxx, Xxxxxx Xxxxx, Xxxxxx Xxxxxxxx, Xxxxxxxx Xxxxxxx, Xxxxxxxx Xxxxx, Xxxxxx Xxxxxxxxx, Xxxxxxxx Xxxxxxxxx.
Consiglieri di Tribunale amministrativo regionale: Xxxxxxxxxxxx Xxxxxxxxxxx, Xxxxxxxx Xxxxx, Xxx Xxxxxx, Xxxxxxxxxx Xxxxxxxx, Xxxxx Xxxxxxxxx, Xxxx Xxxxxxx, Xxxxxxxx Xx Xxxxx, Xxxxxxxx Xxxxxxxx, Xxxxxx Xxxxx, Xxxxx Xxxxx.
Avvocati dello Stato: Xxxxxxxx Xxxxxxxx, Xxxxx Xxxxxxxxx Xxxxxxx. Consiglieri della Corte di Cassazione: Xxxxxxx Xxxxxx, Xxxxxx Xxxxxxx. Consigliere della Corte dei Conti: Xxxxxxxx Xxxxx Xxxxxxxxx.
Professori e Avvocati: Xxxx. Xxxxxxxx Xxxxxxx Xxxxxx, Xxxx. Xxxxx Xxxxxxxx, Xxxx. Xxxxxxxx Xxxxxxx, Avv. Xxxxxxx Xxxxxxx, Xxxx. Xxxxxxxx Xxxxxxxx, Avv. Xxxxxxxxx Xxxxxxxxxx, Xxxx. Xxxxxxxx Xxxxxx, Xxxx. Xxxxxxxx Xxxxxx, Xxxx. Xxxxx Xxxxxxxxxx Xxxxxxxx, Avv. Xxxxx Xxxxxx, Xxxx. Xxxxxxxxx Xxxx, Avv. Xxxxxxx Xxxxxx.
Esperti tecnici: Xxxx. Xxxxxxxx Xxxxx, Xxx. Xxxxxxx Xxxxxxx, Dott. Xxxxx Xx Xxxx, Xxxx. Xxxxxxxxx Xxxxxxxxx, Xxx. Xxxxxxx Xxxxx, Xxxx. Xxxx Xxxxx.
Alcuni componenti della Commissione (ad esempio, l’avvocato dello Stato Xxxxxxxx Xxxxxxxx, il xxxx. Xxxxxxxxx Xxxxxxxxx dell’Università Bocconi e il xxxx. Xxxx Xxxxx della Banca d’Italia) hanno messo a disposizione non soltanto il loro sostegno personale, ma anche quello dei loro collaboratori e delle loro Istituzioni di appartenenza.
L’attività di segreteria dei gruppi di lavoro, coordinata dal cons. Xxxxxxxx Xxxxxxx, e del gruppo di drafting, coordinato dal cons. Xxxxxxx Xxxxxxx, è stata svolta dal personale interno del Consiglio di Stato e dai tirocinanti volontari, con la massima disponibilità e dedizione.
Nella seconda fase di lavoro si è aggiunto al gruppo dei coordinatori il presidente di Sezione Xxxxxxxx Xxxxx, che ha svolto un lavoro prezioso di accurata revisione, armonizzazione e integrazione di tutti gli allegati predisposti dai vari gruppi.
Ha altresì fornito un qualificato contributo ai lavori della Commissione anche il Consigliere di Tribunale amministrativo regionale, Xxxxxx Xxxxxxx.
Come si ricava dalla composizione della Commissione speciale, nel compito di redazione dello schema di codice i consiglieri di Stato sono stati affiancati non solo da magistrati dei T.a.r., della Cassazione, della Corte dei conti, nonché da Avvocati dello Stato, ma anche da esperti esterni quali professori, avvocati, economisti, ingegneri, esperti di drafting, un informatico e un accademico della Crusca.
Tale variegata composizione ha consentito alla Commissione, arricchita del fondamentale apporto di saperi non giuridici, di seguire un metodo di redazione normativa rigorosamente multidisciplinare, sottoponendo le disposizioni man mano formulate a una verifica di “fattibilità tecnico/economica”, ossia a una realistica simulazione applicativa da parte di esperti di altre discipline e non soltanto da giuristi.
La Commissione si è articolata, al suo interno, in sei gruppi di lavoro, ciascuno guidato da uno o due presidenti di sezione del Consiglio di Stato (Xxxxxxxx Xxxxxxxx e Xxxxxxx Xxxxxxxxxx - gruppo I; Xxxxxxxx Xxxxxxxx e Xxxxx Xxxxxxxx - gruppo II; Xxxxx Xxxxxxxx e Xxxxxxx Xxxxxxxxx - gruppo III; Xxxxx Xxxxxxxx e Xxxxxxx Xxxxxxxx - gruppo IV; Xxxxxxxxx Xxxxxxxxx - gruppo V; Xxxxxxx Xxxxxxxxx - gruppo VI), con il coordinamento generale del presidente della Sezione del Consiglio di Stato per gli atti normativi, Xxxxx Xxxxxxx, supportato dal cons. Xxxxxxxx Xxxxxxx.
I gruppi hanno elaborato – lavorando in parallelo – gli schemi di articolato dei singoli Libri del codice (il lavoro dei gruppi II e III è poi confluito prevalentemente nell’unico Libro II).
Un compito così delicato e difficile, stante la mole e la rilevanza dei formanti giuridici dei quali tener conto, ha richiesto uno sforzo enorme al sistema della Giustizia amministrativa e agli esperti esterni; tutti si sono dedicati all’opera senza alcun compenso e senza alcuno sgravio di lavoro.
In considerazione dei tempi molto ristretti, i vari gruppi e i rispettivi coordinatori si sono riuniti con assidua frequenza e i singoli componenti hanno lavorato individualmente su specifici adempimenti praticamente ogni giorno, anche nel periodo estivo e nei giorni festivi.
I lavori della Commissione si sono articolati in riunioni plenarie di gruppo, in sottogruppi che riferivano periodicamente sull’attività svolta in occasione delle plenarie di gruppo, nonché in riunioni tra i coordinatori di gruppo, sovrintese dal coordinatore generale, per un totale di oltre 170 riunioni. Le riunioni si sono svolte quasi tutte online e si è deciso su ogni questione sulla base delle posizioni prevalentemente espresse dai componenti della Commissione con il filtro, per ciascun gruppo, dei rispettivi coordinatori.
Su richiesta degli uffici del Governo, si è tenuto un incontro con i tecnici della Commissione europea responsabili per il PNRR italiano.
Sono state acquisite per iscritto, via mail, le istanze delle parti sociali, sollecitate con una consultazione pubblica pubblicata sul sito della Giustizia amministrativa, e sono state effettuate alcune audizioni in presenza.
L’Ufficio studi della Giustizia Amministrativa, con il coordinamento del presidente Xxxxxxxx Xxxx, ha svolto in tempi molto rapidi un’analisi comparata dei principali sistemi europei in materia di contratti pubblici.
Il 20 ottobre, nel pieno rispetto del termine che il Governo aveva assegnato, è stato consegnato uno “Schema preliminare di codice dei contratti”.
Dopo l’insediamento del nuovo Governo, sulla base di una nuova interlocuzione avvenuta con nota del 14 novembre del Presidente del Consiglio dei Ministri, la Commissione ha continuato a lavorare, in composizione più ristretta, con l’apporto soprattutto dei coordinatori, per affinare gli ultimi miglioramenti tecnici, curare il drafting, sciogliere alcune questioni giuridiche di particolare impatto, redigere un’accurata relazione illustrativa per ogni singolo articolo (che intende fornire anche le linee guida per l’applicazione delle nuove norme) e predisporre gli allegati che garantiranno l’autoesecutività del nuovo codice.
Lo “Schema definitivo di codice” che si sottopone al Governo ha un numero di articoli analogo a quelli del codice vigente, ma ne riduce di molto i commi, riduce di quasi un terzo le parole e i caratteri utilizzati e, con i suoi allegati, abbatte in modo rilevante il numero di norme e linee guida di attuazione.
Eventuali refusi – sempre possibili, visti i tempi ristrettissimi di lavorazione – verranno, se del caso, segnalati tramite errata corrige.
Gli allegati sono 35, molti consistono di poche pagine. Si tratta di un numero comunque contenuto, specie se si considera che solo le tre direttive da attuare hanno, in totale, 47 annessi e che nel nuovo codice gli allegati sostituiranno ogni altra fonte attuativa: oltre ai 25 allegati al codice attuale, essi assorbiranno 17 linee guida ANAC e 15 regolamenti ancora vigenti, alcuni dei quali di dimensioni molto ampie (tra cui il d.P.R. n. 207 del 2010, risalente addirittura all'attuazione del codice del 2006, nonché quello sui contratti del Ministero della difesa, ridotto da oltre 100 articoli a poco più di 10).
Ciò è stato possibile anche rinviando, in vari casi, direttamente agli allegati delle direttive, assicurando sia uno sfoltimento della legislazione interna sia il suo adeguamento immediato e automatico alle future modifiche delle norme europee.
In non pochi casi si è scelto di conservare – verificandone preventivamente il positivo impatto – le norme del codice vigente che, in sede applicativa, hanno dato buona prova di sé.
Un testo a fronte le indica con chiarezza, per facilitarne la lettura e la riconoscibilità da parte di chi dovrà rispettarle.
Ma anche le novità sono molteplici, tutte analiticamente illustrate nella relazione di accompagnamento, un “materiale della legge” (Gesetzmaterial) che si propone come un vero e proprio manuale operativo per l’uso del nuovo codice, assorbendo anche la funzione di indirizzo attuativo sinora rivestita dalle “linee guida non vincolanti”.
Si è scelto di redigere un codice che non rinvii a ulteriori provvedimenti attuativi e sia immediatamente “autoesecutivo”, consentendo da subito una piena conoscenza dell’intera disciplina da attuare. Ciò è stato possibile grazie a un innovativo meccanismo di delegificazione che opera sugli allegati al codice (legislativi in prima applicazione, regolamentari a regime).
Si è cercato di scrivere un codice “che racconti la storia” delle procedure di gara, accompagnando amministrazioni e operatori economici, passo dopo passo, dalla fase iniziale della programmazione e progettazione sino all’aggiudicazione e all’esecuzione del contratto.
L’indice del codice sintetizza questa storia: si inizia con i principi, si prosegue con il libro dedicato all’appalto in tutte le sue singole fasi, si finisce con i rimedi e con l’autoesecutività e, in mezzo, si dedicano due libri “autoconclusivi” a settori speciali e concessioni (dove si valorizza il partenariato pubblico privato, rendendo i contratti più solidi e aumentando la bancabilità), libri che erano oggetto di direttive autonome che sono state recepite più puntualmente, superando un rinvio incerto alle norme sugli appalti.
Si è inteso dare un senso effettivo ad alcune parole chiave, spesso utilizzate in tema di contratti pubblici:
- la semplificazione, ottenuta aumentando la discrezionalità delle amministrazioni e rimuovendo il goldplating ovunque possibile. Il rischio di fenomeni corruttivi è prevenuto da un più ampio ricorso a digitalizzazione, trasparenza e qualificazione;
- l’accelerazione, intesa come massima velocizzazione delle procedure, ma non solo “sulla carta”, perché il termine ridotto è stato individuato avendo sempre presente la sua effettiva “fattibilità”: assieme alla rapidità occorre garantire anche certezza nei tempi di affidamento, esecuzione e pagamenti alle imprese;
- la digitalizzazione, completa, delle procedure e la interoperabilità delle piattaforme, secondo il principio dell’once only, ossia dell’unicità dell’invio di dati, documenti e informazioni alle stazioni appaltanti;
- la tutela, dando piena attuazione alla delega a protezione dei lavoratori (tramite clausole sociali, valorizzazione dei CCNL e lotta ai “contratti pirata”) e delle imprese (per esempio, in tema di rinegoziazione e revisione prezzi, o di suddivisione in lotti).
Appare utile ricordare, come spesso fa la recente giurisprudenza consultiva del Consiglio di Stato, che la legge, anche se riordinata e semplificata grazie a un codice, è un elemento necessario ma non sufficiente per una riforma di successo, giacché tutte le riforme iniziano “dopo” la loro pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale e si realizzano soltanto se le norme sono effettivamente attuate “in concreto”.
Emblematico in questa prospettiva è il caso dei contratti pubblici, per la cui reale riforma occorre avverare, attraverso una intensa attività operativa, almeno tre condizioni essenziali “non legislative”, che costituiscono peraltro l’oggetto di impegni in sede di PNRR: i) una adeguata formazione dei funzionari pubblici che saranno chiamati ad applicare il nuovo codice; ii) una selettiva riqualificazione delle stazioni appaltanti; iii) l’effettiva attuazione della digitalizzazione, consentendo, pur nel rispetto di tutte le regole di sicurezza, una piena interoperabilità delle banche dati pubbliche.
Nel testo si innova, non a caso, anche sotto questo profilo, ponendo le basi normative sia per la digitalizzazione che per la riqualificazione (in coerenza con il tavolo istituito dalla Presidenza del Consiglio e l’ANAC, secondo gli obiettivi PNRR) e prevedendo, da un lato, la possibilità di procedure sperimentali e, dall’altro, l’integrazione della Cabina di regia (già prevista dal codice vigente) con un help desk che accompagni le amministrazioni durante il primo anno di vita del codice. Queste misure possono rivelarsi decisive per l’effettivo funzionamento della riforma.
La Commissione speciale auspica dunque di aver posto le premesse giuridiche più chiare e stabili possibile perché anche queste tre condizioni si realizzino e perché questa fondamentale riforma possa prendere avvio, nel rispetto degli impegni del PNRR e a beneficio del sistema non solo giuridico ma soprattutto economico e sociale del Paese.
LIBRO I
DEI PRINCIPI, DELLA DIGITALIZZAZIONE, DELLA PROGRAMMAZIONE E DELLA PROGETTAZIONE
PARTE I DEI PRINCIPI
Titolo I – I principi generali
Il decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50 non contiene una parte iniziale dedicata ai principi generali.
Il suo Titolo I, intitolato “Principi generali”, si limita, in realtà, a delineare l’ambito di applicazione del codice (art.1), le competenze legislative tra Stato e regioni (art. 2) e a introdurre un corposo elenco di definizioni (art. 3).
Segue, al Titolo II, la disciplina dei contratti esclusi in tutto o in parte dal campo di applicazione del codice (e solo con riferimento a questi l’art. 4 fissa alcuni generalissimi principi, destinati, però, ad operare nei casi in cui il codice non trova applicazione) e al Titolo III la disciplina della pianificazione, programmazione e progettazione delle opere pubbliche. Il Titolo IV, pur letteralmente intitolato “Modalità di affidamento – principi comuni”, contiene in realtà una normativa già dettagliata e operativa, che non ha la valenza generale e orientativa che dovrebbe richiedersi ad un principio della materia, e questo vale anche per l’art. 29, dedicato al “principio di trasparenza”.
Il ruolo dei principi nel codice dei contratti subisce, così, una compressione rilevante da parte delle norme puntuali, che finiscono per erodere ambiti di discrezionalità alle amministrazioni pubbliche, indotte a considerare tali principi come valori astratti a cui deve rispondere, in via solo tendenziale, la loro azione.
Il progetto di nuovo codice ha inteso, invece, dedicare una parte generale (la Parte I del Libro I) alla codificazione dei principi che riguardano l’intera materia dei contratti pubblici.
Come è noto, infatti, rispetto alle altre fonti primarie la caratteristica di un codice è la sua tendenza a costituire un “sistema” normativo (ciò vale anche per la nuova codificazione cd. “di settore”; espressione approfondita dal parere dell’Adunanza Generale del Consiglio di Stato n. 2 del 2004). Nell’ambito di tale sistema, i principi rendono intellegibile il disegno armonico, organico e unitario sotteso al codice rispetto alla frammentarietà delle sue parti, e consentono al tempo stesso una migliore comprensione di queste, connettendole al tutto (cfr. Cons. Stato, Ad. plen. 7 maggio 2013, n. 13).
I principi generali di un settore esprimono, infatti, valori e criteri di valutazione immanenti all'ordine giuridico, che hanno una “memoria del tutto” che le singole e specifiche disposizioni non possono avere, pur essendo ad esso riconducibili. I principi sono, inoltre, caratterizzati da una prevalenza di contenuto deontologico in confronto con le singole norme, anche ricostruite nel loro sistema, con la conseguenza che essi, quali criteri di valutazione che costituiscono il fondamento giuridico della disciplina considerata, hanno anche una funzione genetica (“nomogenetica”) rispetto alle singole norme.
Il ricorso ai principi assolve, inoltre, a una funzione di completezza dell’ordinamento giuridico e di garanzia della tutela di interessi che altrimenti non troverebbero adeguata sistemazione nelle singole disposizioni. Così, ad esempio, il principio del risultato (art. 1) è destinato ad operare sia come criterio prioritario di bilanciamento con altri principi nell’individuazione della regola del caso concreto, sia, insieme con quello della fiducia nell’azione amministrativa (art. 2), come criterio interpretativo delle singole disposizioni. I principi di solidarietà e sussidiarietà orizzontale (art. 6) perimetrano il campo di applicazione del codice consentendo, alle condizioni stabilite, l’affidamento diretto di servizi sociali agli enti del terzo settore.
È vero che, di recente, si è diffusa una certa insofferenza per l’uso inappropriato e ripetitivo dei principi generali/generici, o di formule a cui si attribuisce la qualificazione di principi generali, paventandosi il rischio che un eventuale “abuso dei principi” porti a un eccessivo potere interpretativo del giudice, che condurrebbe a un basso livello di certezza del diritto e di prevedibilità delle soluzioni giudiziali dei conflitti. Si è riportata, così, l’attenzione sulla distinzione tra principi generali e altri strumenti interpretativi con cui i principi generali condividono il ruolo di “attrezzi del mestiere” del giurista-interprete.
Il progetto di nuovo codice, nella consapevolezza dei rischi che sono talvolta correlati a un uso inappropriato dei principi generali (e in particolare alla frequente commistione tra principi e regole), ha inteso affidare alla Parte I del Libro I il compito di codificare solo principi con funzione ordinante e nomofilattica.
In questa direzione, si è voluto dare un contenuto concreto e operativo a clausole generali altrimenti eccessivamente elastiche (si veda ad esempio la specificazione del concetto di buona fede, anche ai fini delle reciproche responsabilità della stazione appaltante e dell’aggiudicatario illegittimo), oppure utilizzare la norma-principio per risolvere incertezze interpretative (ad esempio, i principi che delimitano il campo di applicazione del codice, enucleando i rapporti tra appalti e contratti gratuiti da un lato e affidamenti di servizi sociali agli enti del terzo settore dall’altro) o per recepire indirizzi giurisprudenziali ormai divenuti “diritto vivente” (come ad esempio nel caso della norma sulla tassatività delle cause di esclusione e sul correlato regime delle clausole escludenti atipiche).
Più in generale, attraverso la codificazione dei principi, il nuovo progetto mira a favorire una più ampia libertà di iniziativa e di auto-responsabilità delle stazioni appaltanti, valorizzandone autonomia e discrezionalità (amministrativa e tecnica) in un settore in cui spesso la presenza di una disciplina rigida e dettagliata ha creato incertezze, ritardi, inefficienze. Ciò in quanto la legge – soprattutto un codice – non può inseguire la disciplina specifica di ogni aspetto della realtà, perché si troverà sempre in ritardo, ma deve invece fornire gli strumenti e le regole generali e astratte per regolarla.
L’idea, quindi, è stata quella non tanto di richiamare i principi “generalissimi” dell’azione amministrativa (già desumibili dalla Costituzione e dalla legge n. 241/1990), ma di fornire una più puntuale base normativa anche a una serie di principi “precettivi”, dotati di immediata valenza operativa, che vanno in parte a soppiantare la struttura normativa rigida, dettagliata, a volte contraddittoria, attraverso la quale detti principi hanno finora trovato spazio angusto, nel tessuto normativo.
La codificazione dei principi mira a realizzare, fra gli altri, i seguenti obiettivi:
a) ribadire che la concorrenza è uno strumento il cui fine è realizzare al meglio l’obiettivo di un appalto aggiudicato ed eseguito in funzione del preminente interesse della committenza (e della collettività) (cfr. art. 1, comma 2);
b) accentuare e incoraggiare lo spazio valutativo e i poteri di iniziativa delle stazioni appaltanti, per contrastare, in un quadro di rinnovata fiducia verso l’azione dell’amministrazione, il fenomeno della cd. “burocrazia difensiva”, che può generare ritardi o inefficienze nell’affidamento e nell’esecuzione dei contratti (cfr. art. 2, comma 2).
Fondamentale, in questo rinnovato quadro normativo, è l’innovativa introduzione dei principi del risultato, della fiducia e dell’accesso al mercato (la cui pregnanza è corroborata dalla stessa scelta sistematica di collocarli all’inizio dell’articolato) i quali, oltre a cercare un cambio di passo rispetto al passato, vengono espressamente richiamati come criteri di interpretazione delle altre norme del codice e sono ulteriormente declinati in specifiche disposizioni di dettaglio (ad esempio, in tema di assicurazioni).
Più nel dettaglio, la codificazione dei principi si articola in due titoli distinti: il Titolo I, dedicato ai principi generali veri e propri (risultato, fiducia, accesso al mercato, buona fede e tutela dell’affidamento, solidarietà e sussidiarietà orizzontale, auto-organizzazione amministrativa, autonomia negoziale, conservazione dell’equilibrio contrattuale, tassatività delle cause di esclusione, applicazione dei contratti collettivi di lavoro),
e il Titolo II, che invece codifica principi comuni a tutti i Libri del codice in materia di campo di applicazione, di responsabile unico dell’intervento e di fasi della procedura di affidamento.
Art. 1
Il comma 1 codifica il principio del risultato ed enuncia quindi l’interesse pubblico primario del codice, come finalità principale che stazioni appaltanti ed enti concedenti devono sempre assumere nell’esercizio delle loro attività: l’affidamento del contratto e la sua esecuzione con la massima tempestività e il miglior rapporto possibile tra qualità e prezzo, sempre nel rispetto dei principi di legalità, trasparenza e concorrenza, che vengono espressamente richiamati.
Il comma 2 enuncia il valore funzionale della concorrenza e della trasparenza, che sono tutelate non come mero fine, ma, più correttamente, come mezzo in vista del raggiungimento del risultato.
La concorrenza, in particolare, è funzionale a conseguire il miglior risultato possibile nell’affidare ed eseguire i contratti. Si collega così il risultato, inteso come fine, alla concorrenza, intesa come metodo (sulla scorta di quanto avviene per l’art. 97 Cost., in cui il buon andamento è legato all’imparzialità, al punto da essere stati considerati per lungo tempo una vera e propria endiadi). Il nesso tra “risultato” e “concorrenza”, la seconda in funzione del primo, è già rafforzato dalla dizione del comma 1, dove si specifica che non si persegue “un risultato purché sia”, ma un risultato “virtuoso”, che accresca la qualità, diminuisca i costi, aumenti la produttività, etc. Una diversa impostazione (secondo cui la P.A. non cura più l’interesse pubblico, perché il suo obiettivo diventa la gara) sarebbe, oltre che irragionevole, ancor più difficile da sostenere in un contesto economico-sociale che, nel quadro di un drammatico conflitto bellico, oggi richiede una nuova leva economica, da realizzare anche (e soprattutto) nel settore delle commesse pubbliche.
La trasparenza è funzionale alla massima semplicità e celerità nella corretta applicazione delle regole del codice e ne assicura la piena verificabilità. Il riferimento espresso alla “verificabilità” evoca il concetto di accountability, inteso come responsabilità per i risultati conseguiti. In quest’ottica, la logica del risultato, attraverso la definizione degli obiettivi e il controllo trasparente sull’attività amministrativa, costituisce un mezzo per assicurare l’accountability, in un’ottica di crescente efficienza e responsabilizzazione delle amministrazioni pubbliche.
La disciplina introdotta è in linea con il diritto U.E. e con la Costituzione.
La CGUE, sempre attenta agli aspetti sostanziali del singolo caso, non ha mai dato seguito ad approcci meramente formalistici, ispirati al solo rispetto della legalità o a una tutela fideistica della concorrenza. Basti pensare al ripetuto rifiuto di ogni automatismo e alla continua valorizzazione dei poteri discrezionali della stazione appaltante, specie in merito all’affidabilità degli operatori economici.
Si pensi, ancora, al rapporto tra in house e mercato, rispetto al quale la Corte di giustizia ha tante volte ribadito (pur salvando la disciplina italiana sui limiti all’in house) che il diritto UE non impone il mercato, ma solo il rispetto della concorrenza se si sceglie di andare sul mercato. Il che significa che se un “risultato” può essere realizzato meglio in "autoproduzione”, la P.A. lo può (e forse lo deve) fare, perché il suo compito è curare gli interessi della collettività, che non necessariamente coincide con la sollecitazione proconcorrenziale degli interessi economici delle imprese a competere per avere un contratto.
Significativa è anche la posizione assunta dalla nostra Corte costituzionale nella sentenza n. 131/2020, sui rapporti tra tutela della concorrenza, da un lato, e solidarietà/sussidiarietà orizzontale dall’altro, dove si afferma che la concorrenza non è un fine, ma uno strumento, che può essere “sacrificato” se ci sono interessi superiori da realizzare. La “demitizzazione” della concorrenza come fine da perseguire ad ogni costo è alla base, inoltre, anche della dichiarazione di incostituzionalità dell’art. 177 del vigente codice appalti (sentenza n. 218/2021, che pure chiarisce che il perseguimento della tutela della concorrenza incontra pur sempre il limite della ragionevolezza e della necessaria considerazione di tutti gli interessi coinvolti).
L’idea che l’Amministrazione in materia di appalti debba perseguire solo la concorrenza rischia, allora, di contrastare con il più generale principio di buon andamento, di cui il “principio del risultato” rappresenta una derivazione “evoluta”, sulle orme di studi di autorevolissima dottrina, che ormai da decenni auspica e teorizza “l’amministrazione del risultato”. Il risultato si inquadra nel contesto della legalità e della concorrenza: ma tramite la sua codificazione si vuole ribadire che legalità e concorrenza da sole non bastano, perché l’obiettivo rimane la realizzazione delle opere pubbliche e la soddisfazione dell’interesse della collettività. Questa “propensione” verso il risultato è caratteristica di ogni azione amministrativa, perché ogni potere amministrativo presuppone un interesse pubblico da realizzare.
Il comma 3, recependo gli approdi di numerosi studi sulla c.d. amministrazione del risultato, chiarisce che il principio del risultato costituisce attuazione, nel settore dei contratti pubblici, dei principi di efficienza, efficacia ed economicità ed è perseguito nell’interesse della comunità e per il raggiungimento degli obiettivi dell’U.E.
Il comma 4 prevede che il principio del risultato costituisce criterio prioritario per l’esercizio del potere discrezionale e per l’individuazione della regola del caso concreto. Si tratta, quindi, di un principio-guida nella ricerca della soluzione del caso concreto, al fine di sciogliere la complessità, spesso inevitabile, che deriva dall’intreccio di principi, norme di diritto dell’Unione europea, norme di legge ordinaria, atti di regolazione e indirizzi della giurisprudenza.
La previsione finale del comma 4, alla lettera a) in coerenza con il principio della fiducia declinato nell’art. 2, valorizza il raggiungimento del risultato come elemento da valutare, in sede di responsabilità (amministrativa e disciplinare), a favore del personale impiegato nei delicati compiti che vengono in rilievo nella “vita” del contratto pubblico, dalla programmazione fino alla sua completa esecuzione. Lo scopo è quello di contrastare, anche attraverso tale previsione, ogni forma di burocrazia difensiva: in quest’ottica si “premia” il funzionario che raggiunge il risultato attenuando il peso di eventuali errori potenzialmente forieri di responsabilità
La lettera b) del comma 4 specifica, nella stessa ottica, che il risultato rappresenta anche criterio per l’attribuzione e la ripartizione degli incentivi economici, rimandano alla naturale sede della contrattazione collettiva per la concreta individuazione delle modalità operative.
Art. 2
L’art. 2 codifica l’innovativo principio della fiducia nell’azione legittima trasparente e corretta delle pubbliche amministrazioni, dei suoi funzionari e degli operatori economici. Si tratta di una segno di svolta rispetto alla logica fondata sulla sfiducia (se non sul “sospetto”) per l’azione dei pubblici funzionari, che si è sviluppata negli ultimi anni, anche attraverso la stratificazione di interventi normativi non sempre coordinati tra loro, e che si è caratterizzata da un lato per una normazione di estremo dettaglio, che mortificava l’esercizio della discrezionalità, dall’altro per il crescente rischio di avvio automatico di procedure di accertamento di responsabilità amministrative, civili, contabili e penali che potevano alla fine rivelarsi prive di effettivo fondamento.
Ciò ha generato una forma di “burocrazia difensiva”, spesso descritta evocando l’efficace immagine del dipendente che ha “paura di firmare”, a causa della quale i funzionari, frenati dal timore delle possibili conseguenze del loro agire, preferiscono astenersi dal farlo, con inevitabile pregiudizio dell’efficienza e, più in generale, del buon andamento dell’azione amministrativa, scaricando sul legislatore o sul giudice la soluzione di problemi che spetterebbe invece alla p.a. affrontare e risolvere (si è parlato efficacemente anche di tendenza ad “amministrare per legge” e “amministrare per sentenza”). Come ha ben evidenziato anche la Corte costituzionale con la sentenza n. 8 del 2022, “paura della firma” e “burocrazia difensiva”, rappresentano fonte di inefficienza e immobilismo e, quindi, un ostacolo al rilancio economico, che richiede, al contrario, una pubblica amministrazione dinamica ed efficiente.
In questa prospettiva, il nuovo codice vuole dare, sin dalle sue disposizioni di principio, il segnale di un cambiamento profondo, che – fermo restando ovviamente il perseguimento convinto di ogni forma di irregolarità – miri a valorizzare lo spirito di iniziativa e la discrezionalità degli amministratori pubblici, introducendo una “rete di protezione” rispetto all’alto rischio che accompagna il loro operato.
Non si tratta, peraltro, di una fiducia unilaterale o incondizionata. Da un lato, invero, la disposizione precisa che la fiducia è reciproca e investe, quindi, anche gli operatori economici che partecipano alle gare. Molti istituti del codice, anche di derivazione europea (dal soccorso istruttorio al c.d. self-cleaning) presuppongono, d’altronde, la fiducia dell’ordinamento giuridico anche verso i soggetti privati che si relazionano con la pubblica amministrazione. Dall’altro lato, la fiducia è legata a doppio filo a legalità, trasparenza e correttezza, rappresentando, sotto questo profilo, una versione evoluta del principio di presunzione legittimità dell’azione amministrativa.
Non si tratta, allora, di “regalare la fiducia” a funzionari che non la meritano, né tanto meno di incidere sull’intensità del sindacato giurisdizionale. Si tratta, al contrario, di dettare una regola chiara: ogni stazione appaltante ha la responsabilità delle gare e deve svolgerle non solo rispettando la legalità formale, ma tenendo sempre presente che ogni gara è funzionale a realizzare un’opera pubblica (o ad acquisire servizi e forniture) nel modo più rispondente agli interessi della collettività. Il raggiungimento di questo risultato implica il superamento di ogni forma di inerzia e l’esercizio effettivo della discrezionalità di cui la P.A. dispone. Ciò presuppone la fiducia dell’ordinamento giuridico sulle scelte compiute dalla P.A., alla quale, in assenza di detta fiducia, non si attribuirebbe il potere. Ogni conferimento di potere (specie se di natura discrezionale) presuppone, infatti, la fiducia dell’ordinamento giuridico verso l’organo destinatario dell’attribuzione: esplicitare a livello normativo questo presupposto culturale e giuridico promuove il senso di appartenenza dell’Amministrazione allo Stato-comunità, scongiura l’inerzia, valorizza le capacità e orienta verso il rispetto della legalità sostanziale.
Il comma 2, nell’enunciare il principio, lo collega al principio del risultato: la fiducia che viene riconosciuta ai pubblici funzionari non è incondizionata, ma costituisce una sorta di contropartita di ciò che l’ordinamento si aspetta dall’azione amministrativa, ossia la realizzazione del risultato declinato dall’art. 1. La norma chiarisce che il principio della fiducia implica un ampliamento dei poteri valutativi e della discrezionalità della P.A.
La valorizzazione dei poteri discrezionali del funzionario pubblico è, inoltre, in linea, nell’ottica del superamento della c.d. “paura della firma”, con la nuova formulazione dell’art. 323 c.p. (ad opera del d.l. n. 76 del 2020), che ai fini dell’integrazione del reato di abuso d’ufficio richiede che l’atto sia adottato “in violazione di specifiche regole di condotta espressamente previste dalla legge o da atti aventi forza di legge e dalle quali non residuano margini di discrezionalità”. La norma ora introdotta, alla luce del nuovo testo dell’art. 323 c.p., segna, quindi, il definitivo superamento di quell’orientamento giurisprudenziale che, attraverso la valorizzazione dei principi generali di buon andamento e imparzialità, aveva in passato ricondotto nel campo di applicazione dell’abuso d’ufficio anche l’eccesso di potere, con conseguente sindacato da parte del giudice penale delle scelte discrezionali del pubblico ufficiale.
Il comma 3 contiene una perimetrazione del concetto di colpa grave rilevante ai fini della responsabilità amministrativa dei soggetti sottoposti alla giurisdizione della Corte dei conti. La norma risulta necessaria in quanto in passato il labile confine tra colpa grave e colpa lieve ha generato incertezze interpretative, contribuendo a quella forma di burocrazia difensiva che il principio della fiducia si propone di superare. Per questo, in coerenza con l’obiettivo, sotteso al principio della fiducia di valorizzare la discrezionalità del dipendente pubblico, la norma in esame ricollega la colpa grave esclusivamente alla violazione delle norme di diritto, degli auto-vincoli, nonché alla palese violazione di regole di prudenza, perizia e diligenza, con la precisazione, tuttavia, che non costituisce mai colpa grave la violazione o l’omissione che sia stata determinata dal riferimento a indirizzi giurisprudenziali prevalenti o a pareri delle autorità competenti. Si evidenzia che la disposizione in esame codifica il diritto vivente formatosi nell’ambito delle sezioni giurisdizionali della Corte dei conti.
Il comma 4, al fine di promuovere la fiducia nell’azione legittimità, trasparente e corretta dell’amministrazione, prevede che le stazioni appaltanti e gli enti concedenti adottano azioni per la copertura assicurativa dei rischi per il personale, nonché per qualificare le stazioni appaltanti e per rafforzare e dare valore alle capacità professionali dei dipendenti.
Art. 3
L’art. 3 introduce il principio dell’accesso al mercato che le stazioni appaltanti e gli enti concedenti devono garantire agli operatori economici, secondo le modalità indicate dal codice e attraverso il rispetto dei principi generali dell'azione amministrativa, che deve essere improntata alla correttezza, all’imparzialità e alla non discriminazione, alla pubblicità e alla trasparenza, nonché alla proporzionalità.
Il principio in questione risponde all’esigenza di garantire la conservazione e l'implementazione di un mercato concorrenziale, idoneo ad assicurare agli operatori economici pari opportunità di partecipazione e, quindi, di accesso alle procedure ad evidenza pubblica destinate all’affidamento di contratti pubblici.
Il principio dell’accesso al mercato rappresenta a sua volta un risultato che le stazioni appaltanti e gli enti concedenti devono perseguire attraverso la funzionalizzazione dei principi più generali richiamati.
Più in particolare, la correttezza si ricollega al principio di tutela dell’affidamento che viene poi esplicitato dal successivo articolo 5 e si sostanzia nell’esigenza che le stazioni appaltanti, gli enti coincidenti e gli operatori economici si comportino in maniera reciprocamente leale nell’ambito della procedura di evidenza pubblica.
L’imparzialità e la non discriminazione, che per la loro stretta complementarità sono richiamate “in coppia”, quasi come si trattasse di un’endiadi, hanno un diretto fondamento nell’art. 97 Cost. e nei principi europei in materia di tutela della concorrenza e libera circolazione e rappresentano principi che, calati nella fase di affidamento dei contratti pubblici, impongono alle stazioni appaltanti e agli enti concedenti di assicurare la parità di trattamento fra gli operatori economici, contribuendo anch’essi al conseguimento del miglior risultato possibile nell’affidamento e nell’esecuzione dei contratti pubblici.
La pubblicità e la trasparenza, a loro volta richiamati “in coppia” per segnalarne la complementarietà, impongono alle stazioni appaltanti e agli enti concedenti di rendere quanto più visibile e controllabile dall'esterno il proprio operato con lo scopo sia di permettere una valutazione sulla legalità dell'azione amministrativa sia di incentivare la partecipazione degli operatori economici alle procedure di evidenza pubblica.
La proporzionalità, in generale, richiede alle stazioni appaltanti e agli enti concedenti di adottare, nell’esercizio della loro potere discrezionale, la soluzione più congrua che comporti il minor sacrificio possibile di tutti gli interessi, pubblici e privati, coinvolti.
In particolare, il principio di proporzionalità nella fase di accesso al mercato obbliga le stazioni appaltanti e gli enti concedenti a predisporre la documentazione di gara in modo tale da permettere la maggiore partecipazione possibile tra gli operatori economici, soprattutto di piccole e media dimensione (v. considerando 3 direttiva n. 24/2014/UE).
Art. 4
L’art. 4 si collega ai primi tre principi e stabilisce un chiaro criterio interpretativo e applicativo, in forza del quale al quale, appunto, le disposizioni del codice si interpretano e si applicano in base ai principi della fiducia, del risultato e dell’accesso al mercato.
La disposizione in esame evidenzia la natura fondante dei primi tre principi, che devono essere utilizzati per sciogliere le questioni interpretative che le singole disposizioni del codice possono sollevare. Nel dubbio,
quindi, la soluzione ermeneutica da privilegiare è quella che sia funzionale a realizzare il risultato amministrativo, che sia coerente con la fiducia sull’amministrazione, sui suoi funzionari e sugli operatori economici e che permetta di favorire il più ampio accesso al mercato degli operatori economici.
Art. 5
Il comma 1, in linea con la giurisprudenza sia dell’Adunanza Plenaria che delle Sezioni Unite, e con il modello generale stabilito dalla legge n. 241 del 1990 (art. 1, comma 2-bis), introduce una norma specifica sull’obbligo reciproco di correttezza (per p.a. e operatore economico) che a maggior ragione si giustifica nell’ambito delle procedure di evidenza pubblica, le quali hanno una xxxxxx xxxxxxx pre-contrattuale.
Il comma 2 recepisce i principi sulla tutela dell’affidamento incolpevole (anche con riferimento al danno da provvedimento favorevole poi annullato) enunciati dall’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato con le sentenze n. 5 del 2018 e nn. 19 e 20 del 2021. In linea con tale giurisprudenza, il senso della norma è quello di evidenziare che l’affidamento rappresenta un limite al potere amministrativo che può venire in considerazione sia in materia di diritti soggettivi che di interessi legittimi ed inerire, pertanto, anche ai rapporti connotati da un collegamento con l’esercizio del potere.
Pur non intervenendo sul riparto della giurisdizione (che non rientra nell’oggetto della legge-delega), la norma si basa, comunque, sul presupposto secondo cui la lesione dell’affidamento che viene in rilievo nell’ambito del procedimento di gara, anche quando realizzato attraverso comportamenti, presenta un collegamento forte con l’esercizio del potere e, pertanto, anche quando il privato lamenta la lesione della propria libertà di autodeterminazione negoziale, la relativa controversia risarcitoria non può che rientrare nella giurisdizione amministrativa, specie in considerazione del fatto che, nella materia degli appalti pubblici, il giudice amministrativo gode di giurisdizione esclusiva (art. 133, comma 1, lett. e), n. 1, c.p.a.), che si estende, oltre che ai comportamenti amministrativi (in base alla previsione generale contenuta nell’art. 7 c.p.a.), anche alla “controversie risarcitorie”. Sotto tale profilo, l’espressa menzione delle “controversie risarcitorie” nel testo dell’art. 133, c. 1, lett. e) n. 1 – in un contesto ordinamentale in cui la tutela risarcitoria dell’interesse legittimo non richiede previsioni di giurisdizione esclusiva (cfr. Corte cost. n. 204 del 2004) – non può che leggersi come volontà del legislatore di includere nella giurisdizione esclusiva in materia di appalti proprio le controversie di risarcimento del danno da responsabilità precontrattuale, a cui fa riferimento la norma in commento. Sarebbe, tuttavia, opportuno che le incertezze in punto di giurisdizione (come chiaramente emergente dal conflitto interpretativo delineatosi fra Sezioni Unite della Corte di Cassazione e Adunanza plenaria del Consiglio di Stato) vengano risolte con una norma ad hoc, che espliciti che, almeno in materia di procedure di evidenza pubblica e in tutti gli altri casi di giurisdizione esclusiva, quest’ultima include anche il danno da lesione dell’affidamento, laddove esso matura in un contesto procedimentale e il comportamento “scorretto” imputato all’amministrazione presenta collegamenti, anche indiretti o mediati con l’esercizio del potere.
Il comma 3 disciplina le “condizioni” di risarcibilità del danno da provvedimento favorevole poi annullato. La norma, nell’escludere il carattere incolpevole dell’affidamento in caso di illegittimità agevolmente rilevabile in base alla diligenza professionale richiesta ai concorrenti, recepisce nella sostanza i principi espressi dall’Adunanza plenaria n. 20 del 2021, in attuazione di quanto previsto dall’art. 1, comma 1, della legge- delega, che prevede l’adeguamento della disciplina vigente “ai principi espressi dalla giurisprudenza … delle giurisdizioni superiori, interne ed internazionali”.
Si precisa, infine, che il danno risarcibile è quello correlato alle conseguenze negative che la scorrettezza della
p.a. ha avuto sulle scelte contrattuali dell’operatore economico. Sul piano del quantum, il riferimento è quindi al c.d. interesse negativo, ossia secondo gli insegnamenti tradizionali che si ricavano dalla giurisprudenza in materia di responsabilità precontrattuale, ai costi inutilmente sostenuti per partecipare alla gara e alla c.d. chance contrattuale alternativa. Tali danni devono essere effettivi e provati.
Il comma 4, riprendendo alcuni spunti già delineati dall’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato con la sentenza n. 2 del 2017 (in materia di ottemperanza per equivalente in caso di impossibilità di ottenere in forma specifica l’aggiudicazione di un appalto), dà un fondamento normativo all’azione di rivalsa da parte dell’amministrazione (condannata al risarcimento del danno a favore del terzo illegittimamente pretermesso nella procedura di gara) nei confronti dell’operatore economico che sia risultato aggiudicatario sulla base di una (sua) condotta illecita. La norma, oltre a coordinarsi con la coeva modifica dell’art. 124 c.p.a. (dove appunto si disciplina sotto il profilo processuale l’azione di rivalsa dell’amministrazione contro l’aggiudicatario originario), trova giustificazione anche in criteri di giustizia sostanziale, specie se si considera che in materia di appalti la responsabilità della p.a. è oggettiva e, talvolta, prescinde anche dall’originaria adozione di un provvedimento illegittimo: si veda il caso esaminato dalla citata sentenza dell’Ad. plen. 2 del 2017, in cui l’aggiudicazione poi rivelatasi illegittima era stata disposta in esecuzione di una sentenza di primo grado poi riformata in appello, in accoglimento del ricorso dell’originario (legittimo) aggiudicatario. Da qui la necessità – specie in un contesto ordinamentale che vede ridurre i casi di tutela specifica mediante subentro a favore della tutela per equivalente – di esplicitare un rimedio (l’azione di rivalsa appunto) che consenta di ritrasferire almeno in parte il danno risarcito dall’amministrazione sull’aggiudicatario illegittimo che, del resto, in assenza di meccanismo di rivalsa, beneficerebbe di un arricchimento ingiusto.
Art. 6
L’articolo recepisce la sentenza n. 131 del 2020 della Corte costituzionale, che ha sancito la coesistenza di due modelli organizzativi alternativi per l’affidamento dei servizi sociali, l’uno fondato sulla concorrenza, l’altro sulla solidarietà e sulla sussidiarietà orizzontale. Il secondo tipo di affidamenti (diretti) riguarda in particolare i servizi sociali di interesse generale erogati dagli enti del Terzo settore (ETS) e non rappresenta una deroga, da interpretare restrittivamente, al modello generale basato sulla concorrenza, bensì uno schema a sua volta generale da coordinare con il primo.
Il fondamento costituzionale di un tale modello si rinviene nell’art. 118, comma 4 Cost., in quanto esso costituisce attuazione del principio di sussidiarietà orizzontale coinvolgendo la società civile nello svolgimento di funzioni amministrative, e nell’art. 2 Cost., configurando altresì uno strumento di attuazione dei doveri di solidarietà sociale necessari a realizzare il principio personalista su cui si fonda la nostra Costituzione. Occorre pertanto consentire un bilanciamento tra concorrenza e sussidiarietà orizzontale, superando la tendenza ad assicurare la prevalenza assoluta della prima sugli altri valori parimenti protetti dalla Costituzione (cfr. Corte cost. n. 218/2021, che ha dichiarato l’incostituzionalità dell’obbligo di esternalizzazione degli affidamenti gravante sui concessionari).
Il modello proposto intende apportare benefici alla collettività in termini di efficacia, efficienza e qualità dei servizi, promuovendo la capacità di intervento dei privati, spesso più rapida di quella delle amministrazioni. A tal fine si prevede che gli enti affidatari dei servizi debbano essere scelti nel rispetto dei principi di non discriminazione, trasparenza ed effettività (e sempre in base al principio del risultato). In tal modo, si attribuisce portata generale a quanto già previsto dagli artt. 55 e 57 del codice del Terzo settore (d.lgs. n. 117 del 2017), chiarendo il rapporto di non conflittualità tra le norme considerate e il Codice dei contratti pubblici.
Si supera così il parere n. 2052 del 20 agosto 2018 con cui il Consiglio di Stato aveva dubitato della compatibilità con il diritto eurounitario delle modalità di affidamento dei servizi sociali previste dal codice del Terzo settore, affermando che “in considerazione della primazia del diritto euro unitario la disciplina recata dal Codice dei contratti pubblici prevale in ogni caso sulle differenti previsioni del codice del terzo settore, ove queste non possano in alcun modo essere interpretate in conformità al diritto euro – unitario: troverà, in tali casi, applicazione il meccanismo della disapplicazione normativa, costituente un dovere sia per il Giudice sia per le Amministrazioni”. Il superamento del rapporto di conflittualità tra il codice del Terzo settore e il codice dei contratti pubblici è già stato messo in evidenza dal parere n. 802 del 3 maggio 2022 del Consiglio di Stato, secondo cui “La Sezione osserva che sia in sede legislativa che in sede di interpretazione giurisprudenziale emerge chiaramente una linea evolutiva della disciplina degli affidamenti dei servizi sociali
che, rispetto a una fase iniziale di forte attrazione nel sistema della concorrenza e del mercato, sembra ormai chiaramente orientata nella direzione del riconoscimento di ampi spazi di sottrazione a quell’ambito di disciplina”.
La norma recepisce anche la normativa comunitaria (Considerando 28, 117 e 118 della direttiva 2014/24; art. 10, lettera h), della stessa direttiva, intitolato «Esclusioni specifiche per gli appalti di servizi»; art. 77 della direttiva citata, intitolato «Appalti riservati per determinati servizi»), e la recente giurisprudenza europea, secondo cui:
- “L’articolo 10, lettera h), della direttiva 2014/24/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 febbraio 2014, sugli appalti pubblici e che abroga la direttiva 2004/18/CE, deve essere interpretato nel senso che esso non osta a una normativa nazionale che prevede che servizi di trasporto sanitario di urgenza ed emergenza possano essere attribuiti mediante convenzione, in via prioritaria, soltanto a organizzazioni di volontariato e non a cooperative sociali che possono distribuire ai soci ristorni correlati alle loro attività” (Corte di giustizia dell’Unione Europea, sezione VIII, sentenza 7 luglio 2022, cause riunite C 213/21 e C 214/21, Italy Emergenza Cooperativa Sociale contro Azienda Sanitaria Locale Barletta-Andria-Trani);
- “L’articolo 10, lettera h), della direttiva 2014/24/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 febbraio 2014, sugli appalti pubblici e che abroga la direttiva 2004/18/CE, deve essere interpretato nel senso che rientrano nella deroga da esso prevista all’applicazione delle norme di aggiudicazione degli appalti pubblici l’assistenza prestata a pazienti in situazione di emergenza in un veicolo di soccorso da parte di un paramedico/soccorritore sanitario, di cui al codice CPV [Common Procurement Vocabulary (vocabolario comune per gli appalti pubblici)] 75252000-7 (servizi di salvataggio), nonché il trasporto in ambulanza qualificato, comprendente, oltre al servizio di trasporto, l’assistenza prestata a pazienti in un’ambulanza da parte di un soccorritore sanitario coadiuvato da un aiuto soccorritore, di cui al codice CPV 85143000-3 (servizi di ambulanza), a condizione, con riferimento a detto trasporto in ambulanza qualificato, che esso sia effettivamente assicurato da personale debitamente formato in materia di pronto soccorso e che riguardi un paziente per il quale esiste un rischio di peggioramento dello stato di salute durante tale trasporto” (Corte di giust. U.E., sez. III, sent. 21 marzo 2019, C-465/17. Pres. Vilaras, Est. Šváby, Avv. gen. Xxxxxx Xxxxxxx-Xxxxxxx – Falck Rettungsdienste GmbH, Falck A/S c. Stadt Solingen);
- “1) Gli articoli 49 TFUE e 56 TFUE devono essere interpretati nel senso che non ostano a una normativa nazionale, come quella di cui al procedimento principale, che consente alle autorità locali di attribuire la fornitura di servizi di trasporto sanitario mediante affidamento diretto, in assenza di qualsiasi forma di pubblicità, ad associazioni di volontariato, purché il contesto normativo e convenzionale in cui si svolge l’attività delle associazioni in parola contribuisca effettivamente a una finalità sociale e al perseguimento degli obiettivi di solidarietà ed efficienza di bilancio. 2) Qualora uno Stato membro consenta alle autorità pubbliche di ricorrere direttamente ad associazioni di volontariato per lo svolgimento di determinati compiti, un’autorità pubblica che intenda stipulare convenzioni con associazioni siffatte non è tenuta, ai sensi del diritto dell’Unione, a una previa comparazione delle proposte di varie associazioni. 3) Qualora uno Stato membro, che consente alle autorità pubbliche di ricorrere direttamente ad associazioni di volontariato per lo svolgimento di determinati compiti, autorizzi dette associazioni a esercitare determinate attività commerciali, spetta a tale Stato membro fissare i limiti entro i quali le suddette attività possono essere svolte. Detti limiti devono tuttavia garantire che le menzionate attività commerciali siano marginali rispetto all’insieme delle attività di tali associazioni, e siano di sostegno al perseguimento dell’attività di volontariato di queste ultime” (Corte di giustizia dell’Unione europea, quinta sezione, sentenza 28 gennaio 2016, in causa C-50/14, Consorzio Artigiano Servizio Taxi e Autonoleggio (CASTA) e altri contro Azienda sanitaria locale di Ciriè, Chivasso e Ivrea (ASL TO4), Regione Piemonte).
Già l’art. 17 del decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50, intitolato “Esclusioni specifiche per contratti di appalto e concessione di servizi”, al comma 1 stabilisce: “Le disposizioni del presente codice non si applicano
agli appalti e alle concessioni di servizi: (...) h) concernenti servizi di difesa civile, di protezione civile e di prevenzione contro i pericoli forniti da organizzazioni e associazioni senza scopo di lucro identificati con i codici CPV 75250000-3, 75251000-0, 75251100-1, 75251110-4, 75251120-7, 75252000-7, 75222000-8,
98113100-9 e 85143000-3 ad eccezione dei servizi di trasporto dei pazienti in ambulanza…”.
In merito alla nozione di enti del Terzo settore, l’art. 4 del d. lgs. n. 117 del 2017 definisce questi ultimi come “le organizzazioni di volontariato, le associazioni di promozione sociale, gli enti filantropici, le imprese sociali, incluse le cooperative sociali, le reti associative, le società di mutuo soccorso, le associazioni, riconosciute o non riconosciute, le fondazioni e gli altri enti di carattere privato diversi dalle società costituiti per il perseguimento, senza scopo di lucro, di finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale mediante lo svolgimento, in via esclusiva o principale, di una o più attività di interesse generale in forma di azione volontaria o di erogazione gratuita di denaro, beni o servizi, o di mutualità o di produzione o scambio di beni o servizi, ed iscritti nel registro unico nazionale del Terzo settore”.
Anche la Corte di Giustizia (Corte di giustizia dell’Unione Europea, sezione VIII, sentenza 7 luglio 2022, cause riunite C 213/21 e C 214/21, Italy Emergenza Cooperativa Sociale contro Azienda Sanitaria Locale Barletta-Andria-Trani) ha precisato che la nozione di organizzazioni o di associazioni “senza scopo di lucro” che possono beneficiare di affidamenti diretti, ai sensi dell’art. 10, lettera h), della direttiva 2014/24, deve essere strettamente circoscritta alle organizzazioni e alle associazioni che non perseguono alcun fine di lucro e che non possono procurare alcun utile, neppure indiretto, ai loro membri, non rientrando pertanto in siffatta nozione le cooperative sociali che, distribuendo utili ai soci, non possono definirsi “senza scopo di lucro”. Deve in particolare trattarsi di organizzazioni o associazioni che abbiano l’obiettivo di svolgere funzioni sociali, che non abbiano finalità commerciali e che reinvestano eventuali utili al fine di raggiungere i loro obiettivi (Corte di giustizia dell’Unione Europea, sentenza 21 marzo 2019, C-465/17, punto 59).
Il modello in questione è coerente, infine, con il modello del partenariato pubblico – pubblico di cui al vigente art. 5, comma 6 del Codice dei contratti pubblici, che sarà sostituito dal proposto art. 6 del Codice, fondato sulla collaborazione tra amministrazioni per la realizzazione di attività di interesse comune in mancanza di un rapporto sinallagmatico che preveda uno scambio di prestazioni. La co-amministrazione pubblico-privato proposta non si basa infatti sulla corresponsione di prezzi e corrispettivi dalla parte pubblica a quella privata, ma sulla convergenza di obiettivi e sull’aggregazione di risorse pubbliche e private per la programmazione e la progettazione, in comune, di servizi e interventi diretti a elevare i livelli di cittadinanza attiva, di coesione e protezione sociale, secondo una sfera relazionale che si colloca al di là del mero scambio utilitaristico (secondo le indicazioni della Corte costituzionale, sent. 131/2020).
Art. 7
L’articolo 7 recepisce il principio di auto-organizzazione amministrativa, sancito anche nell’art. 2 direttiva 2014/23/UE, in base al quale le pubbliche amministrazioni scelgono autonomamente di organizzare l’esecuzione di lavori o la prestazione di beni e servizi attraverso il ricorso a tre modelli fra loro alternativi: a) auto-produzione, b) esternalizzazione; c) cooperazione con altre pubbliche amministrazioni.
La codificazione del principio in esame determina un maggiore allineamento del diritto nazionale all’ordinamento dell’Unione, che pone l’autoproduzione e l’esternalizzazione su un piano di tendenziale parità, così superando l’opzione fortemente restrittiva del d.lgs. n.50/2016, sulla quale si erano appuntati i dubbi di compatibilità comunitaria di cui all’ordinanza n. 138 del 7 gennaio 2019 della Quinta Sezione del Consiglio di Stato, poi risolti, in senso negativo, da Corte di Giustizia ord. 6 febbraio 2020, in cause riunite da C‑89/19 a C‑91/19, Rieco S.p.a.
La disposizione è in linea con quanto previsto in altri Stati membri dell’U.E. Ad esempio, nell’ordinamento francese, l’art. 1 del Code della commande publique sancisce: “Les acheteurs et les autorités concédantes choisissent librement, pour répondre à leurs besoins, d'utiliser leurs propres moyens ou d'avoir recours à un contrat de la commande publique”.
La disposizione si ricollega ai principi della fiducia e del risultato, che orienta la scelta dell’Amministrazione anche nella scelta tra mercato e autoproduzione, così recuperando, in coerenza anche con alcune indicazioni che provengono dalla giurisprudenza costituzionale (cfr. sentenza n. 131/2020) l’ “amministrazione del fare”, per troppo tempo sacrificata in base a visioni nazionali prive di fondamento unionale, a favore di un’amministrazione che si limita, con l’obbligo di esternalizzazione, a “far fare agli altri”.
Va evidenziato che in base alla normativa introdotta, la parità tra ricorso al mercato e auto-produzione è solo tendenziale in quanto la scelta per l’affidamento in house deve essere sempre motivata (a differenza di quanto accade per il ricorso al mercato, che non richiede specifica motivazione). In coerenza con il principio della fiducia di cui all’art. 2, si è però semplificata la motivazione attraverso la previsione secondo cui, in caso di prestazioni strumentali, l’affidamento in house si intende sufficientemente motivato qualora l’amministrazione dia conto dei vantaggi in termini di economicità, celerità e perseguimento degli interessi strategici. In via generale, viene escluso l’obbligo di dimostrare la situazione di “fallimento del mercato” e di esporre le ragioni che giustificano il ricorso all’istituto, mentre rimane la valutazione della congruità economica dell’offerta.
Nell’ottica del superamento dell’atteggiamento fortemente restrittivo nei confronti dell’in house, si spiega anche la scelta di non riproporre il particolare procedimento di iscrizione nel registro ANAC, previsto dall’art. 192 del d. lgs. n. 50/2016.
Ed invero, sebbene l’iscrizione nel registro ANAC abbia formalmente una funzione dichiarativa, non vi è dubbio che, come chiarito dal Consiglio di Stato con il parere n. 282 del 2017, il procedimento nel suo complesso abbia comunque una natura “ibrida”, presentando diversi ed evidenti profili di autoritatività. Ciò in quanto, il diniego di iscrizione eventualmente adottato dall’ANAC ha effetti costitutivi (nel citato parere viene espressamente qualificandolo come provvedimento amministrativo impugnabile innanzi al giudice amministrativo), il che, alla fine, equipara il meccanismo in esame ad una procedura di segnalazione, nel quale la domanda di iscrizione svolge funzioni analoga alla presentazione di una s.c.i.a.
L’idea sottesa all’art. 192 d. lgs. n. 50/2016 è, quindi, quella che l’in house abbia comunque bisogno di un titolo abilitativo, la cui formazione è “controllata” dall’ANAC, e questo appare sproporzionato rispetto alle funzioni di vigilanza e alle esigenze di trasparenza degli affidamenti (queste ultime già assicurate dagli obblighi di pubblicazione).
Il comma 1 perimetra il campo di applicazione del principio di auto-organizzazione e fa riferimento non solo ai lavori e ai servizi ma anche ai beni, in modo da coprire l’intero panorama dei contratti pubblici e superare alcuni dubbi interpretativi suscitati dalla limitazione ai soli servizi della formulazione dell’art. 192 comma 2 del d.lgs. n. 50 del 2016.
Il comma 2 disciplina la motivazione per il ricorso all’in house, chiarendo, al primo periodo, che il ricorso a tale modello gestionale è accomunato all’affidamento mediante il ricorso al mercato dall’applicazione dei medesimi principi indicati agli artt. 1,2 e 3 (principio del risultato, principio della fiducia, principio dell’accesso al mercato)
Il secondo e terzo periodo del comma 2 rispettivamente prevedono:
- una semplificazione della motivazione rispetto all’art. 192 comma 2 del d.lgs. n. 50/2016, tenuto conto che il principio di libera amministrazione determina il superamento dell’onere di motivazione rafforzata, fondato sulla natura eccezionale e derogatoria dell’in house;
- una motivazione ancorata più a ragioni economiche e sociali (le ricadute positive sul piano sociale rientrano tra le esternalità da valutare ai fini della scelta del modello gestionale) che a ragioni giuridico-formali.
Più nel dettaglio, sono previsti due livelli di complessità della motivazione, a seconda dell’oggetto del contratto:
i) per i servizi all’utenza è necessario che vengano evidenziati i vantaggi per la collettività sotto il profilo della qualità e universalità del servizio, oltre che del risparmio di tempo e del razionale impiego (in un’ottica non
solo di minore spesa ma di spesa efficiente) delle risorse. Si tratta di obiettivi che devono comunque essere perseguiti qualunque sia la forma di gestione prescelta (art. 2 direttiva 2014/23). Analogo modello è previsto anche tra i criteri di delega della legge sulla concorrenza 5 agosto 2022 n. 118 (art. 8, comma 2, lett g) );
ii) per i servizi strumentali alla pubblica amministrazione è sufficiente una motivazione più snella con riferimento alla riduzione di tempi e costi sulla base di parametri predeterminati e oggettivi di raffronto, sul modello dell’art. 10 d.l. 31 maggio 2021 n. 77 relativo alle convenzioni aventi ad oggetto il supporto tecnico operativo delle società in house. Ai fini della legittimità dell’affidamento in house occorrerà, quindi, una motivazione incentrata prevalentemente su ragioni di convenienza economica, anche con riferimento a parametri oggettivi e predeterminati di rapporto qualità/prezzo. Più nello specifico, in linea con quanto previsto dal d.l. n. 77 del 2021, si è fatto riferimento agli standard della società Consip S.p.a.. Si ricorda, a tal proposito, che Xxxxxx è una società per azioni, partecipata al 100% dal Ministero dell’Economia e delle Finanze, che opera – secondo gli indirizzi strategici definiti dall’azionista – al servizio esclusivo della pubblica amministrazione, intervenendo con strumenti e metodologie per la digitalizzazione degli acquisti pubblici. Essa trova il suo fondamento normativo, anche nella funzione di benchmark svolta dalle convenzioni quadro dalla stessa stipulate, nell’art. 29 della legge 23 dicembre 1999, n. 488.
Accanto agli standard Consip sono indicati altri parametri a cui è possibile fare riferimento tenuto conto della tipologia di prestazione e, in mancanza, agli standard di mercato: si tratta di parametri accomunati dalla predeterminazione e dell’oggettività.
Il comma 3 contiene un coordinamento con il decreto legislativo attuativo della delega di cui all’art. 8 della legge 5 agosto 2022, n. 118, cui è demandata la disciplina dell’affidamento in house dei servizi di interesse economico generale di livello locale.
Il comma 4 disciplina gli accordi tra pubbliche amministrazioni per lo svolgimento in comune di compiti di interesse pubblico. La disposizione contiene una riformulazione semplificata della previsione attualmente contenuta dell’art. 5, comma 6, del d.lgs. 50 del 2016, rispetto al quale tiene conto dell’elaborazione giurisprudenziale nazionale e sovranazionale, che ha subordinato la cooperazione tra amministrazioni tramite accordi (che possono essere conclusi senza gara) alle condizioni indicate nel nuovo articolato. In particolare, la giurisprudenza ha chiarito che le amministrazioni che partecipano all’accordo possono avere competenze diverse e perseguire finalità pubbliche diverse, purché la reciproca collaborazione consenta a ciascuna di realizzare il proprio obiettivo. Elemento determinante è l’assenza di una logica di scambio, che in questi accordi deve mancare a favore dello svolgimento in comune di attività dirette a soddisfare interessi pubblici, anche non coincidenti ma rientranti nella missione istituzionale di ciascuna amministrazione partecipante all’accordo.
Art. 8
Il comma 1 sancisce il principio di autonomiacontrattuale , recependo una costante giurisprudenza (cfr. Cass. Sez. Un. 12 maggio 2008, n. 11656), che riconosce alla pubblica amministrazione una generale capacità negoziale, salvo i divieti previsi dalla legge. È ormai pacifico, infatti, che il principio di tipicità dei provvedimenti amministrativi non si estende ai contratti, per i quali vige l’opposto principio di atipicità (art. 1322 c.c.).
Si ribadisce, in tal modo, il principio di tassatività della limitazione della capacità negoziale, richiedendosi una esplicita previsione di legge (come ad es. quella contenuta, per la conclusione del contratto di società, nell’art. 4, c. 1, d.lgs. 19 agosto 2016, n. 175, che fa divieto di “costituire società aventi per oggetto attività di produzione di beni e servizi non strettamente necessarie per il perseguimento delle proprie finalità istituzionali” o in materia di contratti derivati stipulati da Regioni ed enti locali ai sensi dell’art. 62 d.l. 25 giugno 2008, n. 112, convertito dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, così come modificato dall’art. 1, comma
572, l. 27 dicembre 2013, n. 147).
Il comma 2 dà attuazione al criterio direttivo della lettera l) “divieto di prestazione gratuita dell’attività professionale, salvo che in casi eccezionali e previa motivazione”. Il divieto è stato inteso in senso letterale e, quindi riferito solo alle “prestazioni d’opera intellettuale” di cui agli articoli 2229 e seguenti del codice civile, per le quali deve operare la regola dell’equo compenso ai sensi dell’art. 2233 c.c. Per il resto si ribadisce, invece, la generale ammissibilità dei contratti gratuiti con la p.a. che non abbiano ad oggetto prestazioni intellettuali. Una generalizzata esclusione del contratto gratuito, specie se economicamente interessato, sarebbe, del resto, di dubbia compatibilità costituzionale e di dichiarata incompatibilità col diritto dell’Unione (vedi sentenza Corte di Giustizia UE 10 settembre 2020, n. 367, che ha affermato che sono contratti a titolo oneroso ai sensi della disciplina degli appalti europei, anche quelli privi di corrispettivo di carattere puramente finanziario).
Si evidenzia, sul tema, che con riferimento agli avvocati già esiste una disposizione che garantisce l’equo compenso. Si tratta dell’art. 13-bis della legge 31 dicembre 2012, n. 247, introdotto dall’art. 19-quaterdecies
d.l. 16 ottobre 2017, n. 148, che così dispone: “3. La pubblica amministrazione, in attuazione dei princìpi di trasparenza, buon andamento ed efficacia delle proprie attività, garantisce il principio dell'equo compenso in relazione alle prestazioni rese dai professionisti in esecuzione di incarichi conferiti dopo la data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto”.
La norma era stata interpretata in maniera restrittiva da una parte della giurisprudenza amministrativa (cfr., in particolare Cons. Stato, IV, n. 7442/2021, secondo cui “la normativa sull’equo compenso sta a significare soltanto che, laddove il compenso sia previsto, lo stesso debba necessariamente essere equo, mentre non può ricavarsi dalla disposizione l’ulteriore (e assai diverso corollario) che lo stesso debba essere sempre previsto (a meno di non sostenere, anche in questo caso, che non vi possa essere alcuno spazio per la prestazione di attività gratuite o liberali da parte dei liberi professionisti) […]. La disposizione non esclude il (e nemmeno implica la rinuncia al) potere di disposizione dell’interessato, che resta libero di rinunciare al compenso – qualunque esso sia, anche indipendentemente dalla equità dello stesso – allo scopo di perseguire od ottenere vantaggi indiretti (come nel caso che ci occupa) o addirittura senza vantaggio alcuno, nemmeno indiretto, come tipicamente accade nelle prestazioni liberali (donazioni o liberalità indirette).”
La legge-delega ora impone il superamento di questo orientamento, perché prevede che il compenso deve esserci (e, in base alla citata disposizione del 2017 e, più in generale, dell’art. 2223 c.c. dovrà essere equo). Da qui la disposizione contenuta nel comma 2 del presente articolo.
Il comma 3 introduce, in maniera innovativa, una disciplina relativa alle donazioni, cioè i contratti animati da spirito di liberalità e privi di interesse economico, anche indiretto, da parte del donante. Vengono, in tal modo, regolamentati gli atti di mecenatismo che incrementano il patrimonio del soggetto pubblico, spesso sotto il profilo storico, culturale e artistico (ad es. la donazione di un bene di valore artistico da parte di una persona fisica o giuridica). L’assenza di qualunque interesse economico determina una netta demarcazione rispetto ai contratti a titolo gratuito (es. sponsorizzazioni) disciplinati all’articolo 13, commi 2 e 5, del codice (il quale rinvia, per le definizioni, all’Allegato I.1) e giustifica l’esenzione dall’obbligo di gara per la selezione del contraente, che sarebbe, del resto, incompatibile con la natura liberale dell’atto.
In armonia con il principio di autonomia contrattuale di cui al comma 1, la disposizione chiarisce che l’amministrazione, come tutti i soggetti del diritto (salvo incapacità giuridiche speciali) ha la capacità giuridica di ricevere per atto di liberalità. L’unica condizione aggiuntiva, rispetto agli altri soggetti del diritto, per l’accettazione è la previa valutazione che l’acquisizione del bene o della prestazione sia conforme all’interesse pubblico perseguito o, comunque, all’interesse della collettività. La precisazione è volta a richiamare l’attenzione del donatario/ricevente sugli effetti negoziali dell’atto che deve tradursi in un effettivo arricchimento della sfera patrimoniale o non patrimoniale (artistica, culturale ecc.) di quest’ultimo ed è volta ad escludere donazioni o atti di liberalità posti in essere dal donante/disponente al solo scopo di liberarsi da oneri di manutenzione di beni immobili privi di qualunque utilità o valore, traslandoli sul donatario. Si chiarisce altresì che nel caso di donazioni non è richiesta alcuna procedura di selezione del contraente, attesa l’assenza di qualunque interesse economico. L’ultimo periodo del comma 3 precisa che la natura pubblica del donatario non sottrae gli atti in questione alla disciplina del codice civile in materia di donazione, ivi compresa
la revocazione (l’unica ipotesi di revocazione compatibile con la natura del donatario è quella per sopravvenienza di figli di cui all’art 803 c.c) e l’azione di riduzione dei legittimari.
Art. 9
La disposizione in esame introduce una significativa innovazione che trova ancoraggio nelle finalità sottese a vari principi e criteri della legge delega (il riferimento è, in particolare, all’art. 1, comma 2, lettere a), g), m), ll) ) ed attraverso la quale si è inteso codificare una disciplina generale da applicare per la gestione delle sopravvenienze straordinarie e imprevedibili considerate dalla disposizione, tali da determinare una sostanziale alternazione nell’equilibrio contrattuale, con effetti resi di recente drammaticamente evidenti dalla congiuntura economica e sociale segnata dalla pandemia e dal conflitto in Ucraina.
La norma regola il fenomeno identificato nella prassi internazionale con il termine hardiship e riconosciuto da diversi sistemi giuridici (frustration of purpose, Wegfall der Geschäftsgrundlage, imprévision, eccessiva onerosità sopravvenuta), da tempo oggetto di considerazione nella regolazione dei rapporti privati internazionali.
Nell’elaborazione della disposizione l’analisi delle scelte maturate in ambito internazionale o unionale (il riferimento è, precipuamente, alla disciplina contenuta nei Principi Unidroit e nel Codice europeo dei contratti), come pure di quelle emergenti da progetti avviati anche in ambito nazionale che non hanno, tuttavia, trovato concretizzazione (disegno di legge delega n. 1151 del 2019), ha costituito una base per approfondimenti e riflessioni necessariamente calibrati sulla differente natura dei rapporti interessati e dei sottesi interessi incisi.
A venire in rilievo, infatti, sono contratti pubblici connotati dalla conformazione in ragione delle finalità di pubblico interesse perseguite che restano immanenti al contratto e al rapporto che ne scaturisce, con conseguente esclusione della possibilità di accedere a una integrale trasposizione delle regole civilistiche e necessità di favorire il raggiungimento di un giusto punto di equilibrio idoneo a preservare tali interessi assicurando al tempo stesso adeguata ed effettiva tutela agli operatori economici, nella consapevolezza anche della convergenza di tale tutela con altri interessi generali di primario rilievo (stabilità economica, sociale, occupazionale, ecc.) suscettibili di essere pregiudicati in situazioni di hardship.
L’articolo, dunque, mira a disciplinare le sopravvenienze che possono verificarsi nel corso dell’esecuzione del contratto, alterandone l’equilibrio originario o facendo venir meno, in parte o temporaneamente, interesse del creditore alla prestazione. Viene, in tal modo, introdotto un rimedio manutentivo del contratto, maggiormente conforme all’interesse dei contraenti – e dell’amministrazione in particolare – in considerazione dell’inadeguatezza della tutela meramente demolitoria apprestata dall’art. 1467 c.c. .
Il comma 1 della disposizione, nell’introdurre un generale rimedio di natura legale per la gestione delle sopravvenienze perturbative dell’equilibrio originario delle prestazioni contrattuali, ha un duplice contenuto: definisce le sopravvenienze rilevanti ai fini dell’applicazione della norma e sancisce il diritto alla rinegoziazione della parte svantaggiata al quale, dunque, corrisponde un obbligo della controparte.
Per quanto attiene al primo aspetto, coerentemente con la portata generale della previsione, la disposizione reca riferimento ad eventi che integrano determinati requisiti:
- deve trattarsi di eventi straordinari e imprevedibili;
- i rischi concretizzati da tali eventi non devono essere stati volontariamente assunti dalla parte pregiudicata dagli stessi;
- tali eventi devono determinare una alterazione rilevante dell’originario equilibrio del contratto e non devono essere riconducibili alla normale alea, alla ordinaria fluttuazione economica e al rischio di mercato.
La disposizione specifica, quindi, quali sono le sopravvenienze da cui sorge il diritto alla rinegoziazione, precisando che, oltre che sopravvenute e imprevedibili, devono essere estranee anche al normale ciclo economico, integrando uno shock esogeno eccezionale e imprevedibile.
La disposizione deve, pertanto, essere interpretata restrittivamente e richiede un rilevante squilibrio tra le prestazioni, da valutarsi alla luce delle concrete circostanze e dello specifico contenuto negoziale.
È necessario, poi, che tali rischi non siano stati volontariamente assunti dalla parte, sebbene non sia necessaria una assunzione espressa.
Solo ove risultino integrati tutti i requisiti indicati nel primo comma della disposizione viene riconosciuto alla parte svantaggiata, sulla quale grava, conformemente alle regole generali, l’onere di fornire i relativi elementi a comprova, il diritto alla rinegoziazione.
Nel richiedere la rinegoziazione la parte svantaggiata deve conformarsi al generale principio di buona fede, con un contegno che dovrà essere riguardato anche nella considerazione della particolare qualificazione dei soggetti interessati, sia che si tratti degli operatori economici sia che si tratti della parte pubblica.
Il secondo e ultimo capoverso del comma 1 considera la copertura finanziaria degli oneri discendenti dall’obbligo di rinegoziazione: la norma chiarisce che la rinegoziazione non altera il finanziamento complessivo dell’opera, perché è ammessa nei limiti dello stanziamento di bilancio originario. L’articolo in esame è, dunque, in linea con la clausola di invarianza finanziaria contenuta nella legge delega, in quanto il reperimento delle risorse avviene nell’ambito del quadro economico e, dunque, nei limiti degli stanziamenti previsti dalla legislazione vigente. L’aspetto più delicato è quello del ricorso anche alle “economie da ribasso d’asta”: a tal proposito si precisa che, in realtà, tali economie non si possono considerare definitivamente acquisite fino al collaudo dell’intervento o al certificato di regolare esecuzione; a vederla diversamente, il rischio di sopravvenienza di “circostanze straordinarie e imprevedibili” comporterebbe rischi ancora peggiori per il bilancio pubblico: la mancata esecuzione del contratto e la perdita dei fondi già spesi.
Il comma 2 della disposizione specifica, per le ragioni sopra esposte, che la rinegoziazione ha l’esclusiva finalità di ripristinare l’originario equilibrio del contratto, avuto riguardo al complesso degli atti alla base della costituzione del rapporto e con considerazione, quindi, anche del bando e del provvedimento di aggiudicazione.
La finalità è, dunque, quella di circoscrivere la libertà dei contraenti: l’accordo di rinegoziazione non solo deve avere ad oggetto il mero ripristino dell’equilibrio contrattuale originario, ma deve essere precipuamente volto a non alterarne la sostanza economica, in modo da evitare un’elusione delle regole della procedura ad evidenza pubblica
Il comma 3 disciplina la specifica ipotesi in cui le sopravvenienze di cui al comma 1 incidano non sul generale equilibrio del contratto, ma sull’utilità o utilizzabilità della prestazione per la parte creditrice, come accaduto nella fase pandemica che ha determinato l’inutilizzabilità per un lungo periodo dei locali commerciali oggetto di locazione, rendendo sostanzialmente inutile la prestazione resa dal locatore.
In tal caso la sopravvenienza rende la prestazione inidonea a soddisfare l’interesse del creditore ex art. 1174
c.c. e legittima una proporzionale riduzione del prezzo secondo le regole dell’impossibilità sopravvenuta parziale del contratto ai sensi dell’art. 1464 c.c. Anche in tale ipotesi viene privilegiato il rimedio manutentivo su quello demolitorio.
Il comma 4 della disposizione incentiva la gestione negoziale delle sopravvenienze attraverso la previsione delle clausole di rinegoziazione, soprattutto laddove la durata del contratto o altre circostanze, quali il contesto economico, lo rendano opportuno.
Art. 10
La norma afferisce ai principi di delega di cui all’art. 1, comma 2, lett. a) e n) e, in conformità alle finalità perseguite, fissa principi di valenza generale che recepiscono gli orientamenti espressi dalla giurisprudenza.
Per quanto attiene alla sua struttura logica, la norma si pone in linea con altre codificazioni europee.
Quanto alle cause di esclusione, di cui all’art. 57 della Direttiva n 24, il riferimento è, in particolare, al Code de la commande publique, da ultimo aggiornato nel maggio scorso, che prevede nella “Partie législative - Titre Préliminaire” una previsione sostanzialmente equivalente al comma 1, per poi distinguere le cause di esclusione in due categorie: le “Exclusions de plein droit” e le “Exclusions à l'appréciation de l'acheteur”).
A venire in rilievo è una distinzione emergente anche dal codice vigente, che la norma in esame mira ad evidenziare con maggiore chiarezza ed immediatezza.
Il comma 2 cristallizza il principio della tassatività delle cause di esclusione, con un duplice risvolto.
Da un lato, indica la preferenza per riordinare e codificare, allo stato, in questo testo legislativo tutti motivi di esclusione, in coerenza con i principi di qualità della regolazione e coerenza sistematica. Vi è la piena consapevolezza della assenza, nel nostro ordinamento, della figura della loi organique francese, per cui non si può vietare che il legislatore in futuro possa giustapporre in ogni momento norme speciali e asistematiche alla disciplina codicistica, ma trattandosi di un principio fondamentale del codice si è voluto comunque invitare a questo sforzo sistematico in via programmatica.
Dall’altro lato, il comma comporta – stavolta con valenza precettiva e non programmatica – il divieto di introdurre cause di esclusione con fonte regolamentare o con la lex specialis del bando di gara.
In tale comma si è ritenuto altresì di inserire, accanto al principio di tassatività, quello di eterointegrazione dei bandi e delle lettere di invito, alla luce delle riflessioni emerse nell’elaborazione giurisprudenziale. Detto principio è correlato a quello di tassatività; ove venga in rilievo, infatti, un precetto previsto da una norma imperativa che impone un determinato onere ai partecipanti alla gara, la sua violazione non può che determinare l’esclusione, anche laddove il bando di gara abbia omesso di menzionare la necessità di produrre dichiarazioni o allegazioni “a pena di esclusione”. È necessario, infatti, che i requisiti indicati e previsti dalle norme imperative siano osservati dal concorrente a prescindere da una espressa previsione contenuta nel bando di gara, poiché essi hanno la funzione fondamentale di soddisfare l’interesse pubblico a che le prestazioni siano rese da soggetti adeguatamente qualificati.
Completano il comma in esame le previsioni a presidio del principio della tassatività delle cause di esclusione, imponendosi la nullità delle “clausole ulteriori” di esclusione che si pongano in contrasto con le cause previste dalla legge e con il connesso divieto per le stazioni appaltanti di introdurre cause di esclusioni ulteriori. Al riguardo, recependo l’orientamento espresso dall’Adunanza Plenaria (cfr. n. 22 del 2020), viene specificato che le clausole nulle “si considerano non apposte”, in tal modo chiarendo che trattasi di una nullità parziale limitata alla clausola e che non si estende all’intero atto.
Il comma 3, invece, sistematizza i criteri di selezione di cui all’art. 58 della Direttiva 24, che determinano l’esclusione dalla gara per mancanza di capacità. Si considerano, in questo caso, i criteri di selezione che le stazioni appaltati sono legittimate ad introdurre, limitatamente ai requisiti speciali di carattere economico- finanziario e tecnico-professionale, alle condizioni indicate.
La previsione ricalca quanto attualmente previsto dall’art. 83, comma 2 del d.lgs. n. 80 del 2016, distinguendo tra i requisiti di abilitazione all’esercizio dell’attività professionale, laddove necessari, e i requisiti speciali di carattere economico-finanziario e tecnico-professionale. Si introduce altresì, su suggerimento degli esperti economisti, un favor per l’accesso al mercato e per la possibilità di crescita delle PMI, compatibilmente con l’oggetto del contratto e con l’esigenza di realizzare economie di scala funzionali alla riduzione della spesa pubblica.
Art. 11
In termini generali, si può osservare che la norma proposta intende dare attuazione e valorizzare la previsione posta dall’art. 1, comma 2, lettera h), n. 2, della legge delega («garantire l’applicazione dei contratti collettivi nazionale e territoriali di settore, tenendo conto, in relazione all’oggetto dell’appalto e alle prestazioni da eseguire anche in maniera prevalente, di quelli stipulati dalle associazioni dei datori di lavoro e dei prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale, nonché garantire le stesse tutele economiche e normative per i lavoratori in subappalto rispetto ai dipendenti dell’appaltatore e contro il lavoro irregolare»), che anche sul piano letterale [attraverso l’uso del verbo “garantire” in luogo di “promuovere” (al
n. 3 della medesima lettera h) o in luogo del sostantivo “promozione” (nella lettera i)] sembra aver abbandonato l’idea di una funzione meramente promozionale e incentivante, nei confronti degli operatori economici, delle norme sulle clausole sociali nella disciplina dei contratti pubblici, mirando a conseguire un effettivo risultato applicativo con norme maggiormente pregnanti e vincolanti.
La disciplina vigente del d. lgs. n. 50/2016 considera il tema nella fase iniziale della progettazione e della emanazione del bando (art. 23, comma 16), nella successiva fase di valutazione delle offerte [art. 95, comma 10, e 97, comma 5, lettera d)] in cui è assunta la decisione di esclusione o di aggiudicazione, e infine nella fase esecutiva dell’appalto (art. 30, comma 4, secondo cui «Al personale impiegato nei lavori, servizi e forniture oggetto di appalti pubblici e concessioni è applicato il contratto collettivo nazionale e territoriale in vigore per il settore e per la zona nella quale si eseguono le prestazioni di lavoro stipulato dalle associazioni dei datori e dei prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale e quelli il cui ambito di applicazione sia strettamente connesso con l’attività oggetto dell’appalto o della concessione svolta dall’impresa anche in maniera prevalente»). La norma dell’art. 30, comma 4, ha cambiato il punto di riferimento per la scelta del CCNL applicabile: non più l’attività prevalente esercitata dall’impresa (come si è sempre sostenuto sulla base dell’art. 2070 del cod. civ.), ma le prestazioni oggetto dell’appalto da eseguire. Inoltre, ha espressamente previsto il criterio di selezione del CCNL da scegliere tra quelli stipulati dalle associazioni dei datori e dei prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale (i
c.d. contratti leader).
Rimane tuttavia aperta la questione, altrettanto centrale, della possibile sovrapposizione tra settori di attività e quindi della possibile applicabilità di più contratti collettivi conformi, con ambiti di applicazione compatibili con l’attività oggetto dell’appalto.
La norma proposta – di cui ai commi 1 e 2 – intende compiere un ulteriore passo in questa direzione, restringendo anche le ipotesi in cui, per la frammentazione dei contratti collettivi nell’ambito del medesimo settore, l’operatore economico finisca con l’optare per un CCNL che non garantisce al lavoratore le migliori tutele sotto il profilo normativo ed economico.
La previsione non pare in contrasto con l’art. 39 Cost. in quanto non è diretta a estendere ex lege ed erga omnes l’efficacia del contratto collettivo, ma si limita a indicare le condizioni contrattuali che l’aggiudicatario deve applicare al personale impiegato, qualora, sulla base di una propria e autonoma scelta imprenditoriale, intenda conseguire l’appalto pubblico, restando libero di applicare condizioni contrattuali diverse nello svolgimento dell’attività imprenditoriale diversa; e restando libero di accettare o non la clausola dell’appalto pubblico oggetto dell’aggiudicazione (accettando, quindi, anche l’esclusione dalla procedura).
I medesimi argomenti possono essere utilizzati per affermare la compatibilità anche rispetto all’art. 41 Cost., tenuto conto altresì che la libera iniziativa economica “non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale”. Il consentire alla p.a. la scelta di indicare il CCNL applicabile alle prestazioni oggetto di gara sembra trovare giustificazione proprio sotto questo profilo (Art. 41, secondo comma, Cost.).
Più nel dettaglio il comma 1 prevede come previsione generale l’obbligo di applicare il contratto collettivo nazionale di lavoro in vigore per il settore e per la zona ella quale si eseguono le prestazioni oggetto del contratto.
Il comma 2, per esigenze di certezza, prevede che le stazioni appaltanti e gli enti concedenti indicano già nel bando o nell’invito alla gara il contratto collettivo applicabile, in conformità a quanto previsto nel comma 1.
Il comma 3, ispirato alla tutela della libertà di iniziativa economica, consente comunque agli operatori economici di indicare nella propria offerta il differente contratto che essi applicano, purché però assicuri le stesse tutele di quello indicato dalla stazione appaltante o dall’ente concedente.
Il comma 4 impone all’operatore economico di presentare prima dell’aggiudicazione o dell’affidamento un’ulteriore dichiarazione con la quale si impegna ad applicare il contratto collettivo indicato per tutta la durata del contratto ovvero la dichiarazione di equivalenza delle tutele.
Il comma 5 stabilisce che le medesime tutele normative ed economiche siano assicurate anche ai lavoratori in subappalto.
Il comma 6 disciplina l’intervento sostitutivo della stazione appaltante nel caso di inadempienze contributive o retributive dell’impresa affidataria o del subappaltatore, attualmente previsto dai commi 5 e 6 dell’articolo 30 del d.lgs. n. 50 del 2016.
Art. 12
L’art. 12 contiene un duplice rinvio esterno che opera in assenza di una diversa espressa previsione contenuta nel codice: da un lato, il rinvio è alla legge n. 241 del 1990 per quanto riguarda la disciplina della procedura di affidamento e di tutte le altre attività amministrative in materia di appalti; dall’altro lato, si rinvia al codice civile, per quanto riguarda la stipula e l’esecuzione del contratto.
Titolo II – L’ambito di applicazione, il responsabile unico e le fasi dell’affidamento Art. 13
Il comma 1 fissa l’ambito di applicazione del codice, affermando che le sue disposizioni si applicano ai contratti di appalto e di concessione.
Il comma 2 individua i contratti cui le norme del codice non devono applicarsi: contratti esclusi a norma delle direttive comunitarie; contratti attivi e contratti a titolo gratuito anche se offrono opportunità di guadagno, sottolineando così la corrispettività delle prestazioni quale connotato essenziale dei contratti pubblici.
l comma 3 esclude dall’ambito di applicazione del codice i contratti di società e le operazioni straordinarie che non comportino nuovi affidamenti di lavori, servizi e forniture. Chiarisce che la disposizione non ha effetto abrogante sulle norme del d. lgs. 19 agosto 2016, n. 175, che disciplinano la scelta del socio privato prevedendo l’utilizzo di procedure ad evidenza pubblica (art. 17, c. 1, d.lgs. n. 175/2016) e di cessione di quote o di azioni per le quali è previsto il rispetto dei princìpi di pubblicità, trasparenza e non discriminazione e solo in casi eccezionali, ove l’offerta sia particolarmente conveniente, la negoziazione diretta con un singolo acquirente (art. 10, c. 2, d.lgs. n. 175/2016).
Il comma 4 prevede una disciplina di specie per quei contratti a titolo gratuito che offrono opportunità di guadagno anche indiretto, il cui affidamento deve avvenire tenendo conto dei principi di cui agli articoli 1 (principio del risultato), 2 (principio della fiducia) e 3 (principio dell’accesso al mercato declinato nei principi di concorrenza, di imparzialità e non discriminazione, di pubblicità e trasparenza, di proporzionalità).
Il comma 5 rinvia all’allegato I.1 per le definizioni dei termini utilizzati nel codice.
Allegato I.1
Gli artt. 1, 2 e 3 dell’allegato (che per la loro stretta connessione vengono illustrati congiuntamente) recano le definizioni cui si basa l’impianto del nuovo codice.
Le norme proposte introducono una significativa semplificazione dei contenuti definitori rispetto all’art. 3 del
d. lgs. n. 50 del 2016 e, in un quadro di classificazione sistematica, suddividono le definizioni (prima racchiuse in un’unica disposizione) in tre macro-categorie:
a) i soggetti cui il codice si applica (art. 1);
b) i contratti che il codice disciplina (art. 2);
c) le procedure e gli strumenti di cui possono avvalersi le stazioni appaltanti e gli enti concedenti (art. 3). Nell’ottica della semplificazione dei contenuti, si è, in particolare, scelto di espungere dal testo normativo:
i) la pedissequa riproduzione di nozioni e istituti che trovano una compiuta definizione nelle direttive UE 23, 24 e 25 del 2014 e rispetto ai quali non sussistono esigenze di chiarimento o specificazione (come ad esempio accade per “lavori”, “servizi”, “forniture”, “diritto esclusivo”, “diritto speciale”);
ii) le definizioni che fanno riferimento a istituti oggetto di disciplina specifica (e autosufficiente) in altre parti del codice (come, ad esempio, accade per partenariato pubblico-privato e per i contratti attraverso i quali esso si attua);
iii) le nozioni che sono, comunque, oramai entrate nell’uso corrente (come ad esempio “scritto o per iscritto”, “documento di gara”, “documento di concessione”) e non richiedono, pertanto, ulteriori specificazioni normative6.
L’attenzione, sul piano dei soggetti (articolo 1), si è concentrata su alcune macro-nozioni, il cui utilizzo ha consentito di aggregare nell’ambito di una categoria unitaria e univoca una serie di espressioni prima utilizzate in maniera, a volte, ridondante e ripetitiva. Ad esempio, il vigente art. 3 dedica alle nozioni di amministrazioni aggiudicatrici o enti aggiudicatori sette alinea (indicati con le lettere da a) a g)), alcuni dei quali ulteriormente articolati in sottopunti.
Nel nuovo art. 1 dell’Allegato, l’introduzione delle nozioni omnicomprensive di “stazione appaltante” ed “ente concedente” ha consentito, da un lato, di evitare la moltiplicazione e la frammentazione delle definizioni soggettive e, dall’altro, di introdurre un riferimento nominalistico unitario che, anche coerentemente con la disciplina dettata dal d. lgs. n. 104/2010 (codice del processo amministrativo, art. 133, lett. e), n. 1) valorizza l’obbligo di seguire la procedura di evidenza pubblica per l’affidamento del contratto, a prescindere dalla forma giuridica e dalla natura dell’ente che di volta in volta viene in considerazione.
Sul piano della definizione dei soggetti, si segnala ancora l’adattamento di alcune nozioni di derivazione euro- unitaria all’elaborazione giurisprudenziale nel frattempo divenuta diritto vivente: in quest’ottica si spiega, ad esempio, nella definizione del requisito teleologico dell’organismo di diritto pubblico (art. 3, lett. c) ), la scelta di riferire il carattere non commerciale o industriale all’attività svolta e non più al bisogno soddisfatto o il riferimento nella definizione di “operatore economico” all’irrilevanza della forma rivestita o della natura giuridica pubblica o privata (art. 3, lett. e)).
Sul piano della definizione dei contratti, la norma introdotta (articolo 2) chiarisce anzitutto, che i “contratti pubblici” sono “contratti” a tutti gli effetti, espressione dell’autonomia negoziale della pubblica amministrazione, sottoposti nella fase esecutiva al diritto privato, salvo le deroghe espressamente previste dal Xxxxxx (come indirettamente confermato, peraltro, dall’articolo 11 del Codice). Si vuole, in tal modo, sottolineare che i “contratti pubblici” (cui fa più volte riferimento anche la legge delega) sono i “contratti” stipulati da soggetti che rivestono la qualità di stazioni appaltanti ed enti concedenti, così tenendoli distinti dalla categoria “pubblicistica” dei c.d. contratti ad oggetto pubblico. La circostanza che la conclusione dei “contratti pubblici” sia preceduta da una fase di evidenza pubblica (attraverso la quale si forma la volontà dell’amministrazione e si individua il contraente) non ne fa venire meno, infatti, la natura negoziale.
L’art. 2 dell’allegato ribadisce, inoltre, la distinzione, ben nota alla letteratura civilistica, tra onerosità, gratuità economicamente interessata e liberalità, rilevante ai fini delle diverse conseguenze che ne derivano in punto di applicazione della procedura di gara, sia sul piano nell’an (non si applica alle donazioni: cfr. art. 3, comma 3, del progetto di codice), sia sul piano del livello di dettaglio della disciplina che regola la procedura applicabile (i contratti gratuiti economicamente interessati soggiacciono ai c.d. principi generali e non all’intera disciplina del codice: cfr. art. 16).
Si segnala, altresì, la modifica, rispetto a quella vigente, della nozione di “lavori complessi”: la nuova definizione non pone limiti di importo e ha a oggetto solo le caratteristiche intrinseche dei lavori. aggiungendo le ulteriori esigenze, di tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori, che il nuovo testo della norma tende a tutelare.
Si interviene sulla definizione del contratto di disponibilità, eliminando e sostituendo espressioni atecniche e sovrabbondanti, quali “messa a disposizione”, “fruibilità”, “parametri di funzionalità”, “perfetta manutenzione”, adoprando categorie già codificate per tipi contrattuali quali appalto e locazione; si chiarisce, inoltre, già nella norma definitoria –trattandosi di elemento causalmente connotante il negozio- la possibilità che al “godimento” dell’immobile si affianchi e si aggiunga la successiva traslazione del diritto dominicale, dietro versamento di un corrispettivo “ulteriore” (ulteriore, rispetto al “canone di disponibilità” che è legato sinallagmaticamente alla prestazione volta a garantire il “miglior godimento” dell’opera).
Si è modificata la definizione della parte “privata” del contratto, utilizzando invece della espressione “affidatario” la dictio “operatore economico”, utilizzata giustappunto per le figure di partenariato pubblico- privato di cui il contratto è espressione. Peraltro, la nozione di “affidatario” sembra evocare procedure di evidenza pubblica che per i negozi di PPP “altri” dalle concessioni –e oggetto di “tipizzazione” domestica, anche in attuazione della delega di cui alla lett. aa)- potrebbe non essere necessaria.
Sul piano della definizione delle procedure e degli strumenti (articolo 3), si segnala l’innovativa definizione dedicata all’affidamento diretto, che chiarisce che non si tratta di una procedura di gara, neanche nel caso di previo interpello di più operatori economici, il che, nell’ottica di scongiurare il rischio della “burocrazia difensiva”, segna anche il definitivo superamento dell’indirizzo giurisprudenziale che, in caso di affidamento diretto “comparativo”, ha ritenuto applicabile l’art. 353-bis c.p.
Con una norma da inserire nel “glossario generale” del codice, si definisce l’oggetto di tali specifiche figure contrattuali, ovvero le prestazioni in esse deducibili.
Di qui la nuova nozione di servizi globali, con tale espressione facendosi riferimento a tutte quelle prestazioni, complesse ed eterogenee, funzionali al perseguimento di un complessivo “risultato”, in termini di efficienza e qualità, affidate ad un operatore economico particolarmente qualificato.
Ciò che viene in rilievo, indi, è, in conformità peraltro di uno dei principi sui fonda il nuovo impianto codicistico (cfr., art. 1), l’obiettivo ovvero il risultato di interesse pubblico -siccome disvelato e foggiato dalla Amministrazione- al cui perseguimento o raggiungimento la actio del privato è funzionalmente e teleologicamente preordinata.
Art. 14
Il comma 1 individua le soglie di rilevanza europea nei settori ordinari per l’applicazione delle norme del codice.
Il comma 2 individua le soglie di rilevanza europea nei settori speciali per l’applicazione delle norme del codice.
Il comma 3 prevede che i valori delle soglie vengano periodicamente rideterminate con provvedimento della Commissione europea, che è applicabile subito dopo la pubblicazione nella Gazzetta ufficiale dell'Unione europea.
Il comma 4 indica i criteri per calcolare il valore stimato degli appalti. Il calcolo deve basarsi sull’importo totale pagabile al netto dell'IVA comprendendo qualsiasi forma di opzioni o rinnovi del contratto ed anche eventuali premi o pagamenti per i candidati o gli offerenti.
Il comma 5 indica i criteri per calcolare il valore stimato degli appalti con riferimento a stazioni appaltanti o enti concedenti composti da unità operative distinte.
Il comma 6 pone il principio del divieto di frazionamento artificioso: un appalto non può essere frazionato per evitare l'applicazione delle norme del codice e solo ragioni oggettive possono giustificare l’operazione di suddivisione. Nello stesso senso la scelta del metodo per il calcolo del valore stimato di un appalto o concessione non può essere fatta per evitare l’applicazione delle disposizioni del codice relative alle soglie europee.
Il comma 7 prevede che la stima del valore dell’appalto debba essere effettuata al momento dell'invio dell'avviso di indizione di gara o del bando di gara, o al momento di avvio della procedura di affidamento se non sia prevista un'indizione di gara.
I commi da 8 a 11 pongono i criteri per calcolare il valore dell’appalto distintamente per i contratti di lavori, servizi e forniture.
Il comma 12 stabilisce i criteri per calcolare il valore di appalti pubblici di forniture o di servizi che presentano caratteri di regolarità o sono destinati ad essere rinnovati entro un determinato periodo.
Il comma 13 indica i criteri per calcolare il valore di appalti pubblici di forniture aventi per oggetto la locazione finanziaria, la locazione o l'acquisto a riscatto.
Il comma 14 prevede i criteri per calcolare il valore degli appalti di particolari tipologie di servizi.
Il comma 15 stabilisce che in caso di appalto misto di servizi e forniture, il calcolo del valore stimato debba effettuarsi sul valore totale degli uni e delle altre prescindendo dalle rispettive quote e comprendendo il valore delle operazioni di posa e di installazione.
I commi 16 e 17 dettano i criteri per calcolare il valore degli accordi quadro, per i sistemi dinamici di acquisizione e per i partenariati per l'innovazione.
I commi da 18 a 29 individuano la disciplina applicabile in caso di contratti misti, (anche nei settori speciali: cfr. commi da 24 a 27), prevedendo come regola l’applicazione della disciplina del tipo di appalto il cui oggetto è prevalente, da determinarsi, a sua volta, in base al valore stimato più elevato tra quelli delle prestazioni oggetto dell’appalto. Viene fatta salva la facoltà delle stazioni appaltanti di aggiudicare appalti distinti, con la previsione che tale decisione non può mai essere adottato allo scopo di eludere l’applicazione del codice (comma 24).
Art. 15
Il comma 1 – conservandone la centralità e la trasversalità del ruolo – ridisegna la portata e la figura del RUP, che è un responsabile “di progetto” (o di “intervento”) e non di “procedimento” (definizione forse viziata dal riferimento alla legge n. 241 del 1990, che non appare pienamente conferente): infatti, si tratta del responsabile di una serie di “fasi” preordinate alla realizzazione di un “progetto”, o un “intervento pubblico” (fasi per il cui espletamento si potrà prevedere, come si dirà, la nomina di un “responsabile di fase”, a sostegno dell’attività del RUP).
La norma è costruita in modo da non incidere sulle parti dell’articolato concernenti la qualificazione delle stazioni appaltanti per le fasi della procedura che vengono svolte ricorrendo a centrali di committenza, ad aggregazioni di stazioni appaltanti o ad altre stazioni appaltanti qualificate. Tale salvezza implicita, che vale per i casi in cui vi è un riparto di competenze, comunque non deroga al principio generale secondo cui ogni
s.a. individua un responsabile unico del progetto.
Si è tenuto, inoltre, conto dell’eventualità che emergano esigenze non considerate nella programmazione, prevedendosi, in tal caso, che alla nomina del RUP si provveda nel primo atto relativo all’intervento.
Il comma 2 è riferito alla nomina del RUP, con concentrazione in un unico comma delle previsioni (rispettivamente riferite alle stazioni appaltanti che sono pubbliche amministrazioni o enti pubblici e quelle che, invece, non hanno tale qualificazione) inserite nei commi 1 e 10 dell’articolo 31 del d.lgs. n. 50 del 2016. Si conferma che il RUP è nominato dal responsabile dell’unità organizzativa titolare del potere di spesa, con la soppressione, tuttavia, dell’inciso “che deve essere di livello apicale” in quanto tautologico. È stata altresì soppressa, in quanto causa di controversie sui riparti di competenze interne alle amministrazioni, la previsione contenuta nel codice attuale secondo cui “laddove sia accertata la carenza nell'organico della suddetta unità organizzativa, il RUP è nominato tra gli altri dipendenti in servizio”.
Sempre il comma 2 contempla un “meccanismo di chiusura” che assicura sempre l’individuazione del RUP, attraverso la previsione secondo cui, in caso di mancata nomina del RUP nell’atto di avvio dell’intervento pubblico, l’incarico è svolto dal medesimo responsabile dell’unità organizzativa titolare del potere di spesa.
Xxxxx ferma la previsione secondo la quale l’ufficio di RUP è obbligatorio e non può essere rifiutato.
Anche il comma 3 riproduce, con alcune semplificazioni, la previsione contenuta nel comma 2 dell’articolo 31 del d.lgs. n. 50 del 2016.
Il comma 4 prevede la possibilità per le stazioni appaltanti di nominare un responsabile per le fasi di programmazione, progettazione ed esecuzione e un responsabile per la fase di affidamento. Tale opzione presenta il vantaggio di evitare un'eccessiva concentrazione in capo al RUP di compiti e responsabilità direttamente operative, spesso di difficile gestione nella pratica. In caso di nomina dei responsabili di fase, infatti, rimangono in capo al RUP gli obblighi – e le connesse responsabilità – di supervisione, coordinamento, indirizzo e controllo, mentre sono ripartiti in capo ai primi i compiti e le responsabilità delle singole fasi a cui sono preposti. Si introduce, quindi, un principio di “responsabilità per fasi”.
Nell’elaborazione di tale previsione, utili spunti sono stato tratti dalla pronuncia della Corte Costituzionale n. 166 del 2019, nella quale è stata vagliata la legittimità delle previsioni dell’art. 34 della legge della Xxxxxxx Xxxxxxxx 00 marzo 2018, n. 8 (Nuove norme in materia di contratti pubblici di lavori, servizi e forniture), proprio con riferimento alla prevista facoltà di nomina di un responsabile per le fasi di programmazione, progettazione ed esecuzione e un altro responsabile per la fase di affidamento. La Corte, nel richiamare un proprio precedente (sentenza n. 43 del 2011), ha escluso la configurabilità di un contrasto con il principio di responsabilità unica, posto dall’art. 31, c. 1 del d. lgs. n. 50 del 2016.
Il comma 5 riformula le funzioni del RUP quale figura cruciale per assicurare il risultato finale nei termini stabiliti, in funzione del quale gli vengono attribuiti compiti e facoltà anche “innominate”. Conformemente alle linee preliminari tracciate, è stata valorizzata la differenza fra i poteri istruttori del RUP ai sensi della legge
n. 241 del 1990 e i poteri istruttori del RUP nell’affidamento dei contratti pubblici che trovano un limite nel soccorso istruttorio, come disciplinato dal nuovo codice.
La specificazione (non tassativa) delle competenze del RUP (provvedimentali, nonché di iniziativa, istruttorie, di coordinamento, di controllo, di certificazione etc...) è demandata a un allegato al codice di natura regolamentare, assorbendo le linee guida n. 3 dell’ANAC. L’allegato I.2, in particolare, contiene la disciplina di dettaglio su:
- i compiti del RUP in rapporto alla esigenza di conseguire gli obiettivi connessi alla realizzazione dell’intervento pubblico nel rispetto dei tempi e dei costi programmati, della qualità richiesta, della sicurezza
e della salute dei lavoratori, e quelli specifici del Direttore dei lavori e del Direttore dell’esecuzione nell’attuazione delle prestazioni contrattuali;
- gli ulteriori requisiti di professionalità imposti dalla complessità e dalla natura dei contratti da affidare;
- le ipotesi di incompatibilità tra le funzioni del RUP e le ulteriori funzioni tecniche e, in particolare, l’importo massimo e la tipologia dei lavori, servizi e forniture per i quali il RUP può coincidere con il progettista o con il direttore dell’esecuzione del contratto;
- le coperture assicurative da prevedere con oneri a carico dell’amministrazione;
- gli obblighi formativi delle amministrazioni nei confronti del RUP;
- le ipotesi e le modalità di affidamento degli incarichi di supporto al RUP e della possibilità per quest’ultimo di affidarli direttamente, sotto la propria responsabilità di risultato.
Allegato I.2
Il codice, così come il suo allegato, si sono mossi partendo da un punto fermo: la peculiarità della disciplina dei contratti di appalto in cui è parte un soggetto pubblico, rispetto a quella generale sul procedimento amministrativo. La figura disciplinata dall’art. 15 del codice non è un doppione (con qualche limitata particolarità) del responsabile del procedimento disciplinato in via generale dagli artt. 4, 5 e 6 della legge n. 241 del 1990.
L’ aspetto su cui focalizzare l’attenzione è la diversa portata del principio di “unicità del responsabile”.
Infatti, nella legge n. 241 del 1990, il principio della unicità viene riferito al singolo procedimento, nel senso che per ciascun procedimento è previsto l’obbligo dell’amministrazione di individuare un unico responsabile, da intendersi sia come unità organizzativa, sia come funzionario-persona fisica, al quale, all’interno dell’ufficio, sono poi concretamente attribuite le funzioni proprie del responsabile.
Nonostante si sia comunemente parlato di responsabile unico del procedimento, a rigore, viene in rilievo un soggetto responsabile non di un singolo procedimento, ma di una pluralità di procedimenti: tutti quelli relativi, appunto, alle fasi di programmazione, progettazione, affidamento ed esecuzione degli interventi da realizzarsi mediante contratti pubblici.
La complessa attività amministrativa attraverso cui si svolgono le fasi di programmazione, progettazione, affidamento ed esecuzione degli interventi pubblici implica, come è evidente, lo svolgimento non di un solo procedimento, ma di una pluralità di procedimenti, e l’emanazione di altrettanti provvedimenti amministrativi e, talvolta, di comportamenti materiali e atti di diritto privato.
Il codice ha quindi voluto superare l’equivoco concettuale, dovuto alla scelta del nome e poi dell’acronimo
R.U.P. mantenendo inalterato l’acronimo (per una pura coincidenza) ma mutando il nome al fine di sottolineare che il ruolo ricoperto è quello di responsabile non di uno o più procedimenti ma di tutto l’intervento pubblico.
Non si tratta di un procedimento unitario articolato in più sub-procedimenti, eventualmente di competenza di diversi uffici. Nel caso dei contratti disciplinati dal codice, si tratta di procedimenti diversi, ciascuno dei quali destinato a sfociare nell’adozione di un provvedimento o atto autonomo.
Il codice dei contratti fa riferimento al responsabile unico del progetto come persona fisica e non come un ufficio.
Quindi, ulteriore elemento di differenziazione sta nel fatto che mentre la L. n. 241 del 1990 disciplina il responsabile del procedimento nella duplice accezione di unità organizzativa (disciplinata dall’art. 4) e di persona fisica che nell’ambito dell’unità organizzativa è poi individuato come responsabile del procedimento (art. 5), il codice disciplina il responsabile del progetto inteso come persona fisica e non come ufficio.
Di qui la previsione nell’allegato:
a) dei requisiti di professionalità e competenza richiesti al funzionario affinché possa essere nominato responsabile unico del progetto;
b) di una esemplificazione dei delicati compiti di coordinamento e di impulso svolti da una persona fisica dotata di adeguati titoli di studio e competenze professionali;
c) dei poteri decisionali del RUP nelle diverse fasi della realizzazione dell’intervento pubblico. Si sono poi chiariti, in particolare, aspetti quali:
a) i rapporti tra i poteri del RUP e quelli della commissione giudicatrice;
b) i rapporti tra i poteri del RUP e le competenze valutative della commissione giudicatrice;
c) i poteri del RUP nel procedimento di valutazione di anomalia delle offerte;
d) i poteri del RUP in sede di approvazione degli atti di gara e della competenza alla adozione dei provvedimenti di esclusione.
L’individuazione dei compiti del RUP è effettuata con il metodo delle elencazioni esemplificative. Ogni disposizione contiene una norma di chiusura poiché va tenuto in debito conto che il RUP svolge tutti i compiti relativi alla realizzazione dell’intervento pubblico che non siano specificatamente attribuiti ad altri organi o soggetti.
È questa la ragione primaria, data la delicatezza dei compiti e delle pesanti responsabilità connesse, per cui è stata concessa la facoltà di nominare responsabili di fase, che possono essere di grande ausilio nella gestione dei molteplici e delicati compiti connessi alla realizzazione dell’intervento pubblico.
Art. 16
Il comma 1 recepisce la nozione eurounitaria di conflitto di interessi che viene, tuttavia, riformulata e semplificata, anche al fine di evitare inutili ridondanze.
Va premesso che la norma non riduce il presidio anticorruzione (che anzi resta invariato e viene anche esteso con più chiarezza alla fase della esecuzione e ai soggetti non dipendenti della p.a.); si limita a eliminare norme presenti in altra parte dell’ordinamento (ad esempio, nel piano anticorruzione, o nel codice di comportamento dei dipendenti pubblici – d.P.R. n. 62 del 2013) evitando confusioni e sovrapposizioni.
In quest’ottica, la norma in esame specifica che il conflitto di interessi può riguardare qualsiasi soggetto, anche non formalmente lavoratore dipendente della stazione appaltante o dell’ente concedente, che interviene nella procedura di aggiudicazione e di esecuzione con compiti funzionali (che implichino esercizio della funzione amministrativa, con esclusioni di mansioni meramente materiale o d’ordine) e che, pertanto, sia in grado di influenzarne il risultato.
Il comma 2 ha l’obiettivo di perimetrare e rendere tassativa la nozione comunitaria, recependo gli insegnamenti della giurisprudenza nazionale in materia.
Va a tal proposito evidenziato che le situazioni di conflitto di interessi assumono una notevole rilevanza nei confronti del soggetto pubblico per le gravi conseguenze giuridiche derivanti dalla omissione della loro dichiarazione. Dunque, non se ne può accettare una definizione generica e indeterminata che non renda possibile inquadrare precisamente l’oggetto della omissione, considerando le ricadute disciplinari ma soprattutto penali ai sensi dell’art. 323 c.p., atteso che la violazione dell’obbligo di astensione, ove prescritto (anche dalla norma in esame, quindi), è intesa per giurisprudenza costante della Suprema Corte come un dovere di astensione introdotto nell’ordinamento in via generale e diretta dall’art. 323 c.p. (ex multis Xxxx. Pen. Sez. 6, 15 marzo 2013, n.14457, 19 ottobre 2004, n. 7992), considerata una sorta di norma penale in bianco
completata dal richiamo alle varie ipotesi di astensione contemplate dalle leggi speciali, e indipendentemente dall’avverarsi del fatto dannoso. Per questo, riprendendo alcuni spunti contenuti nel parere del Consiglio di Stato n. 667 del 5 marzo 2019 (reso sulle Linee guida ANAC in materia di conflitto di interessi), il comma 2 precisa che un conflitto di interessi si determina le volte in cui a un soggetto sia affidata la funzione di cura di un interesse altrui (così detto interesse funzionalizzato) ed egli si trovi, al contempo, ad essere titolare (de iure vel de facto) di un diverso interesse la cui soddisfazione avviene aumentando i costi o diminuendo i benefici dell’interesse funzionalizzato. Il conflitto di interessi non consiste quindi in comportamenti dannosi per l’interesse funzionalizzato, ma in una condizione giuridica o di fatto dalla quale scaturisce un rischio di siffatti comportamenti, un rischio di danno. L’essere in conflitto e abusare effettivamente della propria posizione sono due aspetti distinti.
In coerenza con il principio della fiducia e al fine di preservare la funzionalità dell’azione amministrativa, la norma precisa che la minaccia all’imparzialità e all’indipendenza deve essere provata da chi invoca il conflitto sulla base di presupposti specifici e documentati e deve riferirsi ad interessi effettivi, la cui soddisfazione sia conseguibile solo subordinando un interesse all’altro.
Il comma 3 si limita a prevedere i doveri del soggetto che versa in conflitto di interessi, ossia darne comunicazione alla stazione appaltante o all’ente concedente e astenersi dal partecipare alla procedura di aggiudicazione e dalla fase di esecuzione.
Art. 17
Il comma 1 onera sia le stazioni appaltanti che gli enti concedenti, prima dell’avvio delle procedure di affidamento dei contratti pubblici, ad adottare un provvedimento in cui venga esternata la volontà di contrarre e siano indicati gli elementi essenziali del contratto e i criteri di selezione degli operatori economici e delle offerte.
Il comma 2 prevede che in caso di affidamento diretto detto provvedimento sia direttamente costitutivo dell’affidamento e ne indica il contenuto minimo. L’esistenza di una norma specifica per l’affidamento diretto, contrapposta a quella di cui al comma 1 che riguarda le procedure, evidenzia che il primo non costituisce “procedura”.
Il comma 3 dispone che le procedure di gara devono concludersi entro precisi termini la cui fissazione in concreto è contenuta nell’allegato I.3, che ha matura regolamentare e quindi può essere modificato o integrato con questa fonte normativa, più duttile di quella legislativa. La norma è applicabile sia alle stazioni appaltanti che agli enti concedenti. La fissazione di un termine generale di conclusione delle procedure di gara potrebbe far sorgere dubbi di costituzionalità con riguardo alla sfera di autonomia delle Regioni, che possono essere superati ove si consideri che tale previsione attiene alla materia della tutela della concorrenza: la certezza dei tempi di svolgimento delle procedure di appalto favorisce infatti la maggiore partecipazione. Conseguenza del superamento del termine è la formazione di un silenzio inadempimento da parte della stazione appaltante, che legittima gli operatori economici a incardinare in sede giudiziaria la relativa azione; viene inoltre stabilito che tale comportamento della stazione appaltante costituisce violazione del dovere di buona fede, con le relative conseguenze in tema di responsabilità per lesione dell’affidamento.
Il comma 4 stabilisce che ogni concorrente può presentare una sola offerta che è vincolante per 180 giorni dalla scadenza del termine per la sua presentazione, salvo diverso termine previsto dalla lex specialis di gara. La stazione appaltante e l’ente concedente possono chiedere agli offerenti il differimento del termine, dando conto nel relativo atto delle ragioni della richiesta.
Il comma 5 prevede la formulazione di una proposta di aggiudicazione alla stazione appaltante o ente concedente parte del soggetto preposto alla valutazione delle offerte, a favore del concorrente che ha presentato la migliore offerta non anomala. L’aggiudicazione viene disposta dall’organo competente della stazione appaltante o ente concedente dopo effettuato positivamente il controllo dei requisiti in capo all’aggiudicatario,
successivamente al quale il contratto potrà essere stipulato o ne potrà essere iniziata l’esecuzione in via di urgenza.
Il comma 6 prevede che l’aggiudicazione non equivalga ad accettazione dell’offerta, e che quest’ultima sia irrevocabile fino al termine stabilito per la stipulazione del contratto.
Il comma 7 rimanda al successivo articolo 18 l’indicazione di tempi e modalità per la stipulazione del contratto.
Il comma 8 prevede che l'esecuzione del contratto non ancora stipulato possa essere egualmente iniziata con determina motivata della stazione appaltante e dell’ente concedente.
Il comma 9 indica la fattispecie in cui l’esecuzione del contratto prima della sua stipulazione è obbligatoria: si tratta di situazioni in cui a seguito di eventi oggettivamente imprevedibili, è necessario ovviare a situazioni di pericolo per persone, animali o cose, ovvero per l'igiene e la salute pubblica, ovvero per il patrimonio storico, artistico, culturale ovvero nei casi in cui la mancata esecuzione immediata della prestazione dedotta nella gara determinerebbe un grave danno all'interesse pubblico che è destinata a soddisfare, ivi compresa la perdita di finanziamenti dell’Unione europea.
Il comma 10, per ribadire la finalità acceleratoria della disciplina, chiarisce che la pendenza di un contenzioso sulla procedura non giustifica in alcun modo la sospensione della medesima o dell’aggiudicazione nel frattempo intervenuta, salvi i poteri cautelari del giudice amministrativo e salvi i poteri di autotutela della stazione appaltante, da esercitarsi da parte del dirigente competente.
Allegato I.3
I termini sono stati calcolati assumendo a paradigma la procedura aperta, che necessita mediamente di nove mesi. Per la procedura ristretta l’incremento di un mese corrisponde alla necessità di selezionare le domande di partecipazione e inviare le lettere invito. I termini per le altre procedure sono quantificati proporzionalmente. Nel calcolo dei tempi massimi di conclusione delle procedure si è considerato che l’utilizzo dei criteri basati sul miglior rapporto tra qualità e prezzo o sul costo del ciclo di vita richiede ulteriori adempimenti, anche complessi, rispetto alle fattispecie in cui il contratto venga affidato utilizzando il criterio del minor prezzo.
Il concetto di “gara”, cui applicare i termini indicati nell’allegato, comprende tutti gli adempimenti compresi tra la pubblicazione del bando o l’invio dell’invito ad offrire e l’individuazione della migliore offerta; i tempi necessari all’espletamento dell’eventuale verifica di anomalia e all’effettuazione della (necessaria) verifica sul possesso dei requisiti dichiarati dal concorrente aggiudicatario per partecipare alla procedura si aggiungono a quelli previsti per lo svolgimento delle gare.
Art. 18
La riscrittura degli artt. 32 e 33 del d.lgs. n. 18 aprile 2016, n. 50, persegue lo scopo della semplificazione razionalizzando i testi vigenti. Le norme riguardanti il contratto pubblico vengono quindi scorporate dall’art. 32 del d. lgs. n. 50 del 2016 per confluire nell’art. 18, dedicato in specifico al contratto e alla sua stipulazione. Il comma 1 prevede le forme della stipulazione del contratto pubblico e indica capitolati e computo metrico estimativo richiamati nel bando o nell'invito che ne costituiscono parte integrante.
Il comma 2 prevede il termine massimo di 60 giorni per stipulare il contratto pubblico, con le relative eccezioni. La eventuale pendenza di contenzioso non sospende il decorso del termine.
Il comma 3 disciplina l’istituto dello “stand and still” sostanziale riprendendo le previsioni comunitarie in materia.
Il comma 4 disciplina l’istituto dello “stand and still” processuale che perdura fino alla pronuncia, cautelare o decisoria della causa (con sentenza in forma semplificata) da parte del giudice.
Il comma 5 disciplina le conseguenze in caso di mancata stipulazione del contratto per fatto della stazione appaltante o dell’ente concedente: l’aggiudicatario alternativamente può fare constatare il silenzio inadempimento o notificare atto unilaterale di scioglimento ad ogni vincolo contrattuale; in quest’ultimo caso non gli spetta alcun indennizzo ma solo il rimborso delle spese contrattuali.
Il comma 6, nella speculare ipotesi di mancata stipulazione del contratto per fatto dell’aggiudicatario, prevede che l’aggiudicazione possa essere revocata. Il mancato rispetto del termine di stipulazione per fatto dell’aggiudicatario costituisce quindi sopravvenuto motivo di pubblico interesse a tal scopo. Poiché però l’esercizio dell’autotutela, in particolare della revoca, non è obbligatorio, le parti potranno comunque addivenire ad una stipulazione tardiva se corrisponde all’interesse pubblico.
Secondo il comma 7 la mancata o tardiva stipula del contratto al di fuori delle ipotesi di cui ai precedenti commi costituisce violazione del dovere di buona fede, anche in pendenza di contenzioso.
Il comma 8, laddove l’ordinamento della stazione appaltante o dell’ente concedente prevedano l’approvazione del contratto, trasformano quest’ultima da sospensiva in risolutiva, a fini acceleratori.
Il comma 9 facoltizza stazioni appaltanti e enti concedenti a stipulare contratti di assicurazione per la responsabilità civile derivante dalla conclusione e dall’esecuzione del contratto.
Il comma 10 rimanda all’allegato I.4 del codice per la determinazione dell’imposta di bollo a carico dell’appaltatore, stabilendo che venga corrisposta in unica soluzione al momento della stipula del contratto e in proporzione al suo valore.
Allegato I.4
Le disposizioni contenute nel presente allegato semplificano le modalità di calcolo dell’imposta di bollo su atti e documenti formati in esito a una delle procedure disciplinate dal codice dei contratti pubblici. Inoltre, viene chiarito che il pagamento dell’imposta come determinata sulla base della Tabella contenuta nel presente allegato, cui l’appaltatore ai sensi dell’articolo 18, comma 10, del codice deve provvedere al momento della stipula del contratto, tiene luogo dell’imposta di bollo dovuta per tutti gli atti e documenti riguardanti la procedura di selezione e l’esecuzione dell’appalto, fatta eccezione per le fatture, note e simili di cui all’articolo 13, punto 1, della Tabella A allegata al decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 642.
PARTE II
DELLA DIGITALIZZAZIONE DEL CICLO DI VITA DEI CONTRATTI
La digitalizzazione della pubblica amministrazione rappresenta la vera grande sfida dei prossimi anni per realizzare, in chiave moderna, la riforma del sistema economico-sociale e per essere, quindi, pronti a creare e a utilizzare la nuova fonte di ricchezza e di conoscenza rappresentata dai “dati”.
Nell’ambito di tale tema la digitalizzazione dei contratti pubblici risulta fondamentale, non solo per realizzare una vera transizione digitale, ma anche per il rilancio del Paese. Non a caso tra gli obiettivi più rilevanti del Piano Nazionale di Ripresa e di Resilienza c’è proprio quello di «definire le modalità per digitalizzare le procedure per tutti gli appalti pubblici e concessioni e definire i requisiti di interoperabilità e interconnettività» (M1C1-70). Il PNRR, inoltre, delinea l’obiettivo di realizzare un Sistema Nazionale di e-Procurement, entro il 31 dicembre 2023, volto a raccogliere le spinte di efficienza che giungono dallo sviluppo tecnologico e che rinnovino i rapporti tra amministrazioni pubbliche e operatori; soprattutto, il sistema di e-procurement, in
stretta aderenza alle direttive europee deve concorrere a realizzare «la digitalizzazione completa delle procedure di acquisto fino all'esecuzione del contratto (Smart Procurement), (che) deve essere interoperabile con i sistemi gestionali delle pubbliche amministrazioni e prevedere l'abilitazione digitale degli OE, sessioni d'asta digitali, machine learning per l'osservazione e l'analisi delle tendenze, CRM evoluto con funzioni di chatbot, digital engagement e status chain» (M1C1-75).
La strada della digitalizzazione dei contratti pubblici individuata dal PNRR conduce alla disponibilità, da parte di ogni stazione appaltante, di una e-platform come requisito di base per partecipare alla valutazione nazionale della procurement capacity; alla semplificazione e alla digitalizzazione delle procedure delle centrali di committenza; alla definizione delle modalità per digitalizzare le procedure per tutti gli appalti pubblici e concessioni e dei requisiti di interoperabilità e interconnettività (M1C1 -70).
Va, infine, considerato che la digitalizzazione costituisce anche una efficace misura di prevenzione della corruzione in quanto consente trasparenza, tracciabilità, partecipazione, controllo di tutte le attività, in modo da assicurare il rispetto della legalità. Il settore delle commesse pubbliche rappresenta, infatti, un’attività fortemente esposta a condotte corruttive, in ragione del potenziale economico che esprime e, quindi, occorrono presidi efficaci e qualificati per fare in modo che le risorse stanziate non vengano distolte dal perseguimento degli interessi pubblici. La digitalizzazione potrebbe, quindi, in definitiva assicurare efficacia, efficienza e rispetto delle regole.
In aderenza agli obiettivi del PNRR la legge delega 21 giugno 2022, n. 78 ha delineato i principi che innervano le disposizioni in tema di digitalizzazione:
- «gli obiettivi di riduzione e di certezza dei tempi relativi alle procedure di gara, alla stipula dei contratti e all'esecuzione degli appalti, dovranno essere raggiunti anche utilizzando la digitalizzazione e l'informatizzazione delle procedure, la piena attuazione della Banca dati nazionale dei contratti pubblici e del fascicolo virtuale dell'operatore economico» (lett. m);
- «le stazioni appaltanti potranno ricorrere anche ad automatismi nella valutazione delle offerte» (lett. t).
Il processo di digitalizzazione del ciclo di vita dei contratti pubblici, inteso come l’insieme di tutte le attività che si susseguono dalla programmazione alla definizione del fabbisogno e fino alla completa esecuzione del contratto, costituisce una delle attività più onerose per le amministrazioni, le quali impiegano molto tempo ed ingenti risorse nello svolgimento delle procedure, ancora gestite in larga parte in modalità tradizionale.
La trasformazione digitale dell’attività amministrativa e, in particolare, del procedimento, nato cartaceo e stratificatosi nel tempo in relazione ai diversi ed ulteriori adempimenti via via richiesti dalla normativa vigente, richiede necessariamente un ripensamento complessivo e una ideazione di procedure e adempimenti in ottica nativa digitale.
La digitalizzazione end-to-end del processo di acquisto delle amministrazioni, mediante la semplificazione delle procedure dei contratti pubblici e la realizzazione di un ecosistema integrato di piattaforme digitali, consente di ridurre notevolmente i tempi e i costi di queste attività, oltre a favorire, di riflesso, la partecipazione di eventuali nuovi operatori economici alle procedure di appalto.
Attualmente molte delle criticità dell’e-procurement in ambito pubblico sono dovute ad un approccio disfunzionale che si è limitato a digitalizzare singole fasi ovvero ad adottare documenti digitalizzati (in formato
*.pdf, firmati digitalmente) senza modificare processi e procedure amministrative preesistenti, rese particolarmente complesse dall’ipertrofia normativa che nel nostro ordinamento caratterizza la gestione degli appalti pubblici.
In una prospettiva di ripensamento complessivo del sistema di e-procurement, funzionale ad una compiuta digitalizzazione delle procedure di gara, sono state, quindi, condotte attività di analisi volte a comprendere lo stato dell’arte e la qualità dell’attuale esperienza della pubblica amministrazione di procurement. All’esito di tali analisi sono state individuate una serie di criticità, riconducibili:
- all’attuale gestione infrastrutturale del processo di procurement;
- all’attuale configurazione della “esperienza utente” degli attori principali coinvolti nel processo (pubbliche amministrazioni e operatori economici);
- alla struttura e alle caratteristiche di alcune piattaforme di e-procurement che si utilizzano.
Le disposizioni della Parte II del Libro I del Codice, in linea con il PNRR e con le indicazioni rivenienti dalla legge delega, mirano all’obiettivo di fondo di digitalizzare l’intera procedura dei contratti pubblici, fondandola sulla acquisizione di dati e sulla creazione di documenti nativi digitali, da realizzarsi tramite piattaforme digitali in modo da rendere possibile la interazione con le banche dati esistenti e consentendo, contemporaneamente, un arricchimento delle stesse con i nuovi dati prodotti dalle singole procedure.
Rispetto alle disposizioni del d. lgs. 18 aprile 2016, n. 50, che pur prevede la “Digitalizzazione delle procedure” (art. 44) e le “Procedure svolte attraverso piattaforme telematiche di negoziazione” (art. 58), in disparte il ritardo con cui è giunto il relativo decreto attuativo (d.P.C.M. n. 148/2021) che non ha consentito nei tempi assegnati dal Codice di attuare le norme menzionate, si impone ora l’estensione della digitalizzazione a tutto il ciclo vita dei contratti pubblici, che inizia con la programmazione (CUP) e l’assegnazione del CIG fino a ricomprendere le attività riferite alla conclusione e poi all’esecuzione contratto. Inoltre, si prevede che l’attività venga svolta senza l’inserimento di documenti in formato *.pdf, ma con l’acquisizione diretta dei dati dalle banche dati esistenti (machine to machine).
Centrale diventa, quindi, realizzare la interconnessione e la interoperabilità tra i sistemi telematici attraverso le interfacce applicative (API), che consentono un risparmio di tempo per effettuare attività conoscitive (ad es. verifica dei requisiti di partecipazione in capo agli operatori economici), per la effettiva realizzazione del principio dello once only, onde conseguire la conoscenza di una serie di dati e informazioni che riguardano il singolo contratto e che ne consentono tracciabilità e trasparenza.
Tutte le attività dovranno, insomma, svolgersi su piattaforme telematiche “certificate” che assicurino l’interoperabilità dei servizi svolti e la confluenza delle informazioni su un’unica banca dati (la Banca dati nazionale dei contratti pubblici di ANAC) che diventa, così, il collettore nazionale per gli appalti, anche ai fini dello svolgimento di una serie di adempimenti e servizi nevralgici per la legittimità delle procedure di gara, quale ad esempio la pubblicità legale.
I principi che dovranno caratterizzare le piattaforme di e-procurement sono stati indicati dalla Commissione europea:
1. “digital by default": le pubbliche amministrazioni dovrebbero fornire i servizi in formato digitale, comprese le informazioni leggibili dalle macchine, come opzione predefinita;
2. "interoperability by default": i servizi pubblici dovrebbero essere progettati per funzionare senza problemi in tutto il mercato unico e tra i silos organizzativi;
3. "once only principle": le pubbliche amministrazioni dovrebbero garantire che cittadini e imprese forniscano le stesse informazioni una sola volta ad una pubblica amministrazione;
4. "cross-border by default": le pubbliche amministrazioni dovrebbero rendere disponibili i servizi pubblici digitali pertinenti a livello transfrontaliero e prevenire un'ulteriore frammentazione, facilitando così la mobilità all'interno del mercato unico;
5. "re-usability": le pubbliche amministrazioni, di fronte a un problema specifico, dovrebbero cercare di trarre vantaggio dal lavoro di altri esaminando ciò che è disponibile, valutandone l'utilità o la rilevanza per il problema in questione e, se del caso, adottando soluzioni che hanno dimostrato la loro valore altrove;
6. "user centricity": i bisogni e i requisiti degli utenti dovrebbero guidare la progettazione e lo sviluppo dei servizi pubblici, in conformità con le seguenti aspettative: un approccio multicanale nell’erogazione dei servizi; un unico punto di contatto per nascondere la complessità amministrativa interna; il feedback degli
utenti dovrebbe essere sistematicamente raccolto, valutato e utilizzato per progettare nuovi servizi pubblici e migliorare quelli esistenti;
7. "inclusiveness and accessibility": le pubbliche amministrazioni dovrebbero progettare servizi pubblici digitali che siano inclusivi per impostazione predefinita e soddisfino esigenze diverse;
8. "openness & transparency": le pubbliche amministrazioni dovrebbero condividere informazioni e dati tra loro e consentire a cittadini e imprese di accedere al controllo e correggere i propri dati, nonché consentire agli utenti di monitorare i processi amministrativi che li coinvolgono;
9. "trustworthiness & security": tutte le iniziative dovrebbero andare oltre il semplice rispetto del quadro giuridico in materia di protezione dei dati personali e privacy e sicurezza informatica, integrando tali elementi nella fase di progettazione.
Conclusivamente, va considerato che l’introduzione della digitalizzazione per ogni tipologia di contratto pubblico indica un traguardo ambizioso che potrà realizzarsi compiutamente man mano che le stazioni appaltanti si doteranno degli strumenti tecnologici necessari e crescerà la dimestichezza e la padronanza con i nuovi servizi informatici. L'introduzione di nuovi strumenti e servizi digitali richiederà non solo una revisione dei processi interni e dei procedimenti amministrativi adottati, con ricadute innovative a livello organizzativo ma anche l’attenuazione dell’approccio emotivo che spesso si registra rispetto all’utilizzo di strumentazioni informatiche nella pubblica amministrazione, soprattutto dall’interno delle stesse e che, invero, l’esperienza della pandemia da Covid-19 ha in parte aiutato a superare. Lo sforzo che potrà essere richiesto alle amministrazioni in generale, alle stazioni appaltanti e agli operatori economici, soprattutto nella fase iniziale di attuazione delle norme sulla digitalizzazione dei contratti pubblici, dovrà necessariamente tenere conto del differente livello di adeguatezza degli uffici, del grado di formazione dei soggetti coinvolti e della necessità per le stazioni appaltanti, in particolare, per quelle non qualificate, di riorganizzare le strutture coinvolte, in termini di dotazione tecnologica, di formazione del personale e di reingegnerizzazione dei processi.
La Parte II del Libro I contiene la disciplina fondamentale che permette di giungere fin da subito alla digitalizzazione delle procedure di affidamento con l’auspicio che si possa arrivare in breve tempo a una completa digitalizzazione delle varie fasi al fine di consentire una migliore rintracciabilità e conoscenza delle stesse e per consentire migliori policies riferite ai contratti pubblici.
Art. 19
Il comma 1 richiama i principi fondamentali che vengono in rilievo con l’attività di digitalizzazione; in particolare, si tratta dei principi di neutralità tecnologica, trasparenza, sicurezza informatica, protezione dei dati personali. Principi che consentiranno di dare attuazione in primis al diritto di cittadinanza digitale. Un codice dei contratti pubblici al passo con i tempi non può trascurare, per il settore che va a regolare, una norma generale avente ad oggetto i principi e i diritti digitali, in tal modo evocando la saldatura con le iniziative unionali relative al processo di transizione digitale europeo in atto (si pensi, tra le altre, alla proposta della Commissione del 26 gennaio 2022, rivolta al Parlamento europeo ed al Consiglio, di sottoscrizione di una “Dichiarazione sui diritti ed i principi digitali”, che muove nella direzione di un rafforzamento di questi diritti, avvertito come necessario, tanto che la dichiarazione dovrebbe assumere una funzione integrativa della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione). Sono richiamati al comma 1 anche i principi della neutralità tecnologica e di trasparenza, in quanto assumono una particolare centralità nel settore in esame, per l’esigenza di preservare le scelte consapevoli degli operatori economici che si coniugano con le garanzie di certezza e per assicurare una piena conoscibilità dei processi decisionali, indispensabile nell’ottica della finalità di una rinnovata fiducia verso l’azione amministrativa. Il filo conduttore che lega la trama dei principi testé richiamati è rappresentato dalla considerazione che l’utilizzo della tecnologia assume sempre un ruolo servente, con il fine di accrescere l’efficacia e l’efficienza dei processi decisionali, ma non può mai implicare un arretramento delle garanzie o dei diritti degli operatori economici né dei doveri gravanti sulle pubbliche amministrazioni.
Il comma 2 chiarisce che operare in chiave digitale implica anche una piena applicazione del principio once only nei rapporti tra amministrazioni e tra queste e gli operatori del settore appalti, per cui i dati e le informazioni già nella disponibilità delle amministrazioni, ovvero che possono essere acquisite tramite l’accesso a banche dati delle pubbliche amministrazioni, non dovranno essere richiesti ripetutamente, ma saranno forniti una sola volta.
Il comma 3 sottolinea l’importanza che tutte le attività e i procedimenti amministrativi connessi al ciclo di vita dei contratti pubblici siano svolti digitalmente al fine di realizzare dati che potranno essere fruiti secondo le previsioni di cui al d.lgs. 7 marzo 2005, n. 82 (CAD). Ciò implica che le attività e i procedimenti amministrativi connessi all’intero ciclo di vita dei contratti pubblici saranno svolti digitalmente mediante le piattaforme e i servizi digitali infrastrutturali delle stazioni appaltanti e degli enti concedenti.
Il comma 4 ribadisce l’importanza, per l’effettiva realizzazione della digitalizzazione delle procedure di gara che i soggetti titolari di banche dati consentano automaticamente l'accesso digitale alle informazioni disponibili presso le banche dati di cui sono titolari, mediante le tecnologie di interoperabilità dei sistemi informativi secondo le previsioni e le modalità di cui al decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82. Al fine di realizzare tale accesso diretto i detti soggetti dovranno adottare le necessarie misure organizzative e di revisione dei processi e dei regolamenti interni. Il rispetto dei principi elencati in questo articolo impone anche che le stazioni appaltanti e, in generale, tutti i soggetti coinvolti adottino idonee misure organizzative, e di revisione dei processi e dei regolamenti interni, al fine di consentire la completa gestione digitale dei procedimenti e di abilitare l'accesso digitale alle informazioni disponibili presso le banche dati di cui sono titolari, mediante le tecnologie di interoperabilità dei sistemi informativi previste dal CAD. Essenziale saranno, quindi, la interconnessione e la interoperabilità tra i sistemi telematici attraverso le interfacce applicative (API), in modo da consentire un risparmio di tempo nell’acquisire i dati e le informazioni pertinenti a ogni contratto e che ne consentano la tracciabilità e la trasparenza.
Il comma 5 prevede che le stazioni appaltanti, gli enti concedenti, nonché gli operatori economici adottano misure tecniche e organizzative a presidio della sicurezza informatica e della protezione dei dati personali. In attesa che le iniziative di regolazione dell’utilizzazione di strumenti e tecnologie digitali, anche per quanto concerne i profili di sicurezza, vengano portate a compimento e, soprattutto, concretamente attuate (a titolo esemplificativo, il riferimento è all’attuazione del sistema delle certificazioni di sicurezza informatica, alla realizzazione del Polo strategico nazionale, alla proposta di regolamento sull’intelligenza artificiale) le previsioni contenute nella norma in esame sono funzionali anche a favorire la diffusione di misure, da parte delle amministrazioni, utili alla qualificazione e alla sicurezza, stimolando anche per tale via una uniformità di standard e una crescita complessiva della cultura della sicurezza informatica nella pubblica amministrazione e tra gli operatori economici. Si è tenuto conto, inoltre, della circostanza che sicurezza informatica e tutela dei dati non sono coincidenti, pur potendosi registrare sovrapposizioni, come avviene quando un incidente nella sicurezza informatica determina anche una violazione di dati personali.
Inoltre è previsto che le stazioni appaltanti assicurano la formazione del personale addetto, garantendone il costante aggiornamento La sfida della digitalizzazione richiede, infatti, non solo l’acquisto di dispositivi e di software, ma sarà indispensabile anche la formazione e l’aggiornamento del personale addetto che dovrà gestire le nuove procedure digitali. Partendo dalla constatazione che la digitalizzazione non è una opzione ma una necessità, la qualificazione tecnica del personale costituisce una precondizione perché possa essere attuata e, peraltro, corrisponde ad un preciso criterio di delega previsto dall’art. 1, c. 2, lett. c) della legge delega. Da ciò scaturisce l’esigenza che a tale qualificazione si provveda non attraverso sporadiche iniziative, bensì garantendo un’azione mirata, soprattutto attraverso attività di formazione e di costante aggiornamento, adeguate alla rapidità dell’evoluzione digitale: azioni che divengono, quindi, espressione di principi generali che l’amministrazione deve considerare anche in sede di contrattazione.
I commi 6 e 7 in linea con l’art. 1, lett. t), della legge delega, fanno riferimento alla possibilità, per le stazioni appaltanti, di ricorrere, ove possibile, e in base al tipo di procedura di affidamento da realizzare, a procedure automatizzate nella valutazione delle offerte. Proprio considerando questa possibilità è stato inserito, nella Parte II anche una norma (art.30) riferita all’uso di soluzioni tecnologiche particolarmente innovative, ivi
inclusa l’intelligenza artificiale. Inoltre le piattaforme utilizzate saranno accessibili nei limiti delle garanzie dei diritti di privativa.
Il comma 8 introduce la previsione per cui si impone alle regioni e alle province autonome, non solo il rispetto delle disposizioni ivi contenute, ma anche di assicurare il supporto necessario alle stazioni appaltanti di interesse locale che operano sui territori di rispettiva competenza.
Il comma 9, infine, chiarisce che le disposizioni in materia di digitalizzazione rientrano nell’ambito delle materie di competenza esclusiva dello Stato, in quanto costituiscono esercizio della funzione di coordinamento informativo statistico e informatico dei dati dell'amministrazione statale, regionale e locale, di cui all'articolo 117, secondo comma, lettera r), della Costituzione.
Art. 20
L’articolo 20 è dedicato al principio della trasparenza e in particolare all’indicazione degli strumenti previsti nell’ordinamento al fine di assicurare la concreta attuazione del principio di trasparenza. La trasparenza è, nell’ambito della moderna visione dell’amministrazione, un valore portante e necessario dell’ordinamento, che assume un fondamentale rilievo anche come strumento di riavvicinamento del cittadino alla pubblica amministrazione. Per trasparenza amministrativa deve intendersi la comprensibilità e la conoscibilità dall’esterno dell’attività finalizzate a realizzare imparzialità e buon andamento dell’azione amministrativa e a rendere maggiormente chiare e credibili le scelte rivolte alla cura dell’interesse generale.
E’ sufficiente richiamare quanto dispone il d.lgs. 14 marzo 2013, n. 33 sul principio di trasparenza per rendersi conto della centralità di detto principio quale regola dell’organizzazione e dell’attività amministrativa e per la realizzazione di una moderna democrazia: «La trasparenza ... concorre ad attuare il principio democratico e i principi costituzionali di eguaglianza, di imparzialità, buon andamento, responsabilità, efficacia ed efficienza nell’utilizzo di risorse pubbliche, integrità e lealtà nel servizio alla nazione. Essa è condizione di garanzia delle libertà individuali e collettive, nonché dei diritti civili, politici e sociali, integra il diritto ad una buona amministrazione e concorre alla realizzazione di una amministrazione aperta, al servizio del cittadino»
Nella materia dei contratti pubblici la trasparenza è tra i principi cardine dell’agere amministrativo, consentendo attraverso norme e adempimenti proprio la conoscibilità delle procedure e assicurando partecipazione, concorrenza, efficienza.
La trasparenza però non deve trasformarsi in un principio solo “proclamato”, ma deve essere nei fatti garantito e concretamente attuato consentendo l’attivazione di quella serie di strumenti che permettono ai cittadini di conoscere il modus operandi delle stazioni appaltanti e degli altri soggetti che operano. Vanno quindi attuati in concreto gli strumenti di trasparenza previsti dal decreto legislativo 33/2013. In primo luogo va tenuto conto che la trasparenza nel settore dei contratti pubblici è attuata a mezzo di specifici obblighi di pubblicazione a carico delle pubbliche amministrazioni per come individuati ora dall’articolo 28 del Codice e dall’articolo 37 del d. lgs. 33/2013 con riguardo alle procedure bandite, e pubblicati secondo le modalità previste dal menzionato decreto trasparenza nell’ambito della sotto sezione “Bandi di gara e contratti” presente nella sezione Amministrazione trasparente sui siti istituzionali. In caso di mancata pubblicazione dei dati indicati i cittadini possono attivare lo strumento dell’accesso civico al fine di ottenere la pubblicazione dei dati mancati e per i quali sussiste l’obbligo di pubblicazione.
Inoltre va anche considerato l’altro importante strumento di trasparenza quale il diritto di accesso civico “c.d. generalizzato”, che consente a tutti i cittadini di avere contezza di atti amministrativi senza che sia richiesta alcuna legittimazione, accesso da assicurarsi nel rispetto degli interessi pubblici e privati previsti per legge che tuttavia ne segnano i limiti.
Il comma 1 in linea quindi con la disciplina generale sulla trasparenza amministrativa evidenzia che la strada per assicurare la c.d trasparenza “proattiva” è assicurata attraverso l’individuazione dei dati, delle informazioni e degli atti che devono essere pubblicati sul sito istituzionale. Questi dati che allo stato sono individuati
all’articolo 1, comma 32, della legge 6 novembre 2012, n. 190 – norma che con il presente Xxxxxx se ne dispone l’abrogazione, si rinvengono all’articolo 28. La pubblicazione di questi dati risponde solo a finalità di trasparenza e non di pubblicità legale; infatti gli obblighi di pubblicazione che attualmente caratterizzano l’area dei contratti pubblici è di due tipi (come tra l’altro premette anche l’incipit del comma 1): la pubblicità degli atti di gara rivolta a produrre effetti legali, che si realizza con la pubblicazione degli atti nella sezione dei siti istituzionali con funzione di albo pretorio o di albo on line e la pubblicità che, invece, viene assicurata nell’ambito della sezione “Amministrazione trasparente” dei siti istituzionali delle amministrazioni, con lo scopo di informare i cittadini relativamente alle procedure di gara bandite, la tipologia di opere servizi e forniture oggetto delle procedure di gara e i costi degli affidamenti medesimi al fine, per come prescrive la norma richiamata, di favorire quel controllo diffuso che è alla base del principio della trasparenza amministrativa.
Il comma 2 enuncia il principio secondo cui le comunicazioni e l’interscambio di dati per le finalità di conoscenza e di trasparenza avvengono nel rispetto del principio di unicità del luogo di pubblicazione e dell’invio delle informazioni. Ciò anche al fine di assicurare una semplificazione degli adempimenti in capo alle amministrazioni le quali molto spesso si trovano a dover comunicare i dati per popolare le banche dati detenute da altri soggetti pubblici e a pubblicare poi le stesse informazioni sul proprio sito istituzionale per altre finalità. Sarebbe opportuno quindi che queste attività si concentrassero e che l’invio di informazioni e dati soddisfacessero contemporaneamente a più finalità.
Il comma 3 prevede, infine, espressamente che le regioni e le province autonome devono assicurare la trasparenza nel settore dei contratti pubblici.
Art. 21
Il comma 1 indica le fasi del ciclo di vita dei contratti pubblici, da intendersi come le attività riguardanti le procedure di gara fino a includere quelle conclusive del contratto. L’idea di fondo è che tutte le attività devono essere conoscibili e riconducibili a un numero identificativo iniziale assegnato alla singola procedura, avviata con il Codice Unico di Progetto (CUP) e il Codice Identificativo di gara (CIG). Il ciclo di vita digitale riferito al singolo contratto si articola nelle fasi previste dalla disposizione, cioè la programmazione, con il riferimento all’ambito in cui si inserisce la procedura da indire, la progettazione, che rappresenta l’ideazione della documentazione di gara, la pubblicazione, che comporta la conoscibilità, per la generalità, dell’avvio della procedura e che permette ai potenziali interessati di partecipare, l’affidamento che, in disparte la tipologia di procedura utilizzata, culmina con l’individuazione del soggetto con cui sarà stipulato il contratto e, infine, la fase di esecuzione del contratto.
I commi 2 e 3 precisano che tutte le attività svolte e riguardanti l’intero ciclo di vita dei contratti devono essere espletate mediante utilizzo di piattaforme e servizi interoperabili, perché solo così si consente la produzione di dati e lo scambio degli stessi tra banche dati. Inoltre introducono la regola generale per cui sia le stazioni appaltanti sia gli operatori economici devono operare digitalmente attraverso i sistemi digitali, individuati dalle disposizioni della Parte II, del Libro I. Ai fini della tracciabilità dei flussi finanziari, all’atto dell’avvio della procedura di gara deve essere acquisito il codice identificativo di gara (CIG) secondo quanto previsto dall’articolo 3 della legge 13 agosto 2010, n. 136.
Art. 22
I commi 1 e 2 definiscono l’ecosistema nazionale di e-procurement, cioè l’insieme delle piattaforme e dei servizi digitali che interessano l’intero ciclo dei contratti pubblici. Vengono quindi individuate le attività che saranno realizzate digitalmente attraverso le piattaforme (redazione di documenti nativamente digitali, accesso elettronico alla documentazione, presentazione delle offerte) e prescritta l’interoperabilità con le banche dati che contengono i dati utili per le procedure di gara e con il fascicolo virtuale dell’operatore economico, per ciò
che attiene alle verifiche relative al possesso dei requisiti per la partecipazione alla gara. Inoltre attraverso le piattaforme si prevede anche la realizzazione del controllo tecnico, contabile e amministrativo dei contratti anche in fase di esecuzione e la gestione delle garanzie presentate.
Il comma 3 chiarisce che nell’ambito dell’ecosistema nazionale di e-procurement, per l’interscambio delle informazioni e dei dati di rispettiva competenza, sono necessariamente incluse le banche dati più rilevanti per realizzare il principio dell’once only. Al fine di evitare il pericolo che banche dati di interesse non vengano ricomprese nel perimetro del sistema nazionale di e-procurement, si è previsto che ulteriori banche dati potranno essere individuate con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, sentite l’ANAC e l’AgID, proprio con lo scopo di accrescere il grado di digitalizzazione delle procedure, nonché di garantire la migliore applicazione dei principi di semplificazione e trasparenza.
Art. 23
I commi 1 e 2 sono dedicati alla Banca dati nazionale dei contratti pubblici istituita presso l’ANAC e alle sezioni in essa contenute, che diventa l’infrastruttura tecnologica portante dell’ecosistema nazionale di e- procurement.
La Banca dati nazionale dei contratti pubblici, di cui è titolare in via esclusiva l’ANAC, è prevista dall’art. 213 del d. lgs. n. 50/2016 e dall’articolo 62 bis del d. lgs. 7 marzo 2005, n. 82, per assicurare «l'efficacia, la trasparenza e il controllo in tempo reale dell'azione amministrativa per l'allocazione della spesa pubblica in lavori, servizi e forniture, anche al fine del rispetto della legalità e del corretto agire della pubblica amministrazione e prevenire fenomeni di corruzione».
L’obiettivo è di realizzare un “Portale Unico per gli appalti”, valorizzando il patrimonio infrastrutturale e di dati già in possesso dell’Autorità. Centrale per l’alimentazione della banca dati diventa la Piattaforma degli appalti pubblici che è una sezione della Banca dati Nazionale dei contratti pubblici che interopera con le piattaforme digitali di e-procurement utilizzate dalle stazioni appaltanti per la digitalizzazione di tutte le fasi della gara pubblica. Le attuali sezioni in cui articola la banca dati nazionale dei contratti pubblici sono l’Anagrafe unica delle stazioni appaltanti, ivi compreso l’elenco dei soggetti aggregatori, il Casellario informatico, l'Anagrafe degli operatori economici, la Piattaforma nazionale degli appalti e il fascicolo virtuale dell’operatore economico. In via di implementazione, i servizi offerti potranno aumentare in ragione sia dello sviluppo tecnologico sia della disponibilità dei dati che via via saranno acquisiti. Si prevede, quindi che l’Autorità possa, con propri provvedimenti, individuare nuove sezioni della banca dati e nuovi servizi ad essa collegati.
Il comma 3 specifica che nella banca dati nazionale dei contratti pubblici confluiscono, oltre alle informazioni acquisite per competenza tramite i sistemi informatizzati di ANAC, tutte le informazioni contenute nelle banche dati esistenti, anche a livello territoriale, onde garantire accessibilità unificata, trasparenza, pubblicità e tracciabilità delle procedure di gara e delle fasi a essa prodromiche e successive. La Banca dati nazionale dei contratti pubblici interagisce con le piattaforme di approvvigionamento digitale utilizzate dalle stazioni appaltanti e con il portale dei soggetti aggregatori di cui al decreto-legge 24 aprile 2014, n. 66. Fondamentale sarà quindi l’attività di acquisizione dei dati: oltre a quelli che vi giungono per competenza, tramite i sistemi informatizzati di ANAC, sarà importante che confluiscano nella banca dati tutte le informazioni contenute nelle banche dati esistenti, anche a livello territoriale, onde garantire accessibilità unificata, trasparenza, pubblicità e tracciabilità delle procedure di gara e delle fasi a essa prodromiche e successive.
Il comma 4 ribadisce che la banca dati nazionale dei contratti pubblici interopera con le piattaforme digitali di e-procurement utilizzate dalle stazioni appaltanti per la digitalizzazione di tutte le fasi del ciclo di vita dei contratti pubblici, anche mediante l’attuazione delle disposizioni contenute nel regolamento di esecuzione (UE) 2019/1780. Non solo: la banca dati nazionale dei contratti pubblici rende disponibili, mediante interoperabilità, i servizi e le informazioni necessari allo svolgimento delle fasi dell’intero ciclo dei contratti pubblici, anche per ottemperare agli obblighi di pubblicazione a fini di trasparenza previsti dal decreto
legislativo 14 marzo 2013, n. 33. Presso l’ANAC è istituita, infatti, la Piattaforma unica della trasparenza, già prevista dal PNRR, e che trova ora fondamento legislativo nella legge sulla concorrenza di recente approvata e, in particolare, nell’ambito delle delega al Governo in materia di servizi pubblici locali di cui all’art. 8, comma 2, lett. u), della legge 5 agosto 2022, n. 118. Viene assicurato anche che l’ANAC rende disponibili ai sistemi informativi regionali competenti per territorio le informazioni necessarie allo svolgimento dei compiti istituzionali, sulla base di appositi accordi con le regioni.
Il comma 5 prevede che le informazioni, i termini e le modalità di trasmissione dei dati da parte delle stazioni appaltanti saranno fissati con provvedimento dell’ANAC; saranno altresì individuate le modalità e i tempi entro i quali i titolari delle piattaforme e delle banche dati dovranno garantire l’integrazione con i servizi infrastrutturali abilitanti l'ecosistema di e-procurement. Tale integrazione è realizzata attraverso i servizi digitali resi disponibili da ANAC sulla Piattaforma digitale nazionale dati, di cui all’articolo 50-ter del decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82, nel rispetto delle relative regole tecniche.
Il comma 6 prevede che l’ANAC, sulla base di appositi accordi con le regioni, rende disponibili per i sistemi informativi regionali competenti per territorio le informazioni necessarie allo svolgimento dei compiti istituzionali.
Il comma 7 prevede disposizioni tese a scongiurare che non vengano comunicate all’ANAC le informazioni necessarie ovvero che in ragione di rifiuto od omissioni si metta a rischio l’interoperabilità delle banche dati. Affinché la Banca dati nazionale dei contratti pubblici svolga il suo ruolo di collettore nazionale dei dati e delle informazioni sul ciclo di vita dei contratti pubblici è necessario che sia costante e tempestiva l’attività di popolamento dei dati nella banca dati. Per questa ragione viene prevista la possibilità di irrogare una sanzione a carico dei soggetti che omettano di trasmettere dati ovvero trasmettano informazioni non veritiere di cui all’articolo 222, comma 9. La sanzione prevista sostanzia un presidio essenziale al fine di garantire il popolamento della BDNCP la cui assenza rischierebbe di compromettere lo stesso processo di digitalizzazione e le funzioni riconducibili in tale ambito alla banca dati. La sanzione è infatti proprio collegata alla trasmissione dei dati relativi alle procedure di gara che dovranno essere forniti secondo le indicazioni della stessa ANAC. Vengono previste anche delle riduzioni in caso di trasmissione della documentazione mancante entro 10 giorni dalla contestazione. Inoltre l’inadempimento nella trasmissione dei dati è comunicato all'amministrazione di appartenenza ai fini della valutazione della responsabilità dirigenziale e della performance dei soggetti responsabili. Infine la norma si conclude con la previsione di un regime più favorevole per il primo anno dalla data di approvazione del Codice, per il caso in cui il RUP entro 60 giorni dalla comunicazione all’amministrazione di appartenenza, adempia a tutti gli oneri informativi con contestuale autocertificazione, relativa all’adempimento degli stessi.
Il comma 8 prevede, inoltre, che costituisce oggetto di valutazione della performance il rifiuto, ovvero l'omessa effettuazione di quanto necessario a garantire l'interoperabilità delle banche dati, da parte del soggetto responsabile delle stesse all'interno della stazione appaltante o dell’Amministrazione titolare della banca dati coinvolta nel procedimento
Art. 24
I commi 1 e 2 trattano del Fascicolo virtuale dell’operatore economico, istituito presso la banca dati nazionale dei contratti pubblici di ANAC; in esso sono presenti, per ciascun operatore economico, i dati e le informazioni per la verifica dei requisiti generali e speciali, occorrenti per partecipare alla gara, da parte delle stazioni appaltanti. Naturalmente, per il miglior funzionamento del fascicolo virtuale e per la ottimizzazione dei servizi e la semplificazione dei controlli che potranno offrirsi, sarà fondamentale la collaborazione delle amministrazioni competenti al rilascio delle certificazioni riferite al possesso dei requisiti, le quali dovranno consentire, in tempo reale, la disponibilità delle certificazioni in formato digitale, mediante accesso alle proprie banche dati, con modalità automatizzate, mediante interoperabilità secondo le prescrizioni delle linee guida già adottate da Agid (“Linee guida sull'interoperabilità tecnica delle Pubbliche Amministrazioni”
(Determinazione Agid n. 547/2021), “Linee guida Tecnologie e standard per la sicurezza dell’interoperabilità tramite API dei sistemi informatici” e “Linee Guida sull'infrastruttura tecnologica della Piattaforma digitale nazionale dati per l'interoperabilità dei sistemi informativi e delle basi di dati” (Determinazione Agid n. 627/2021) nonché di quelle che saranno adottate ai sensi dell’art. 26 del Codice.
Il comma 3 prevede che le amministrazioni competenti al rilascio delle certificazioni di cui all'articolo 94 , riferite ai requisiti di partecipazione generale che possono comportare esclusione automatica dalla gara, realizzano, mediante l’adozione delle necessarie misure organizzative e la revisione dei processi e dei regolamenti interni, sistemi informatici atti a garantire alla banca dati nazionale dei contratti pubblici la disponibilità in tempo reale delle certificazioni in formato digitale.
All’operatore economico è richiesto di indicare, in sede di partecipazione alla gara, i dati e i documenti relativi ai requisiti previsti per la singola procedura e ai requisiti di qualificazione per consentire la valutazione degli stessi da parte della stazione appaltante. Infine la norma prevede che in ragione dell’attività e dei servizi realizzati attraverso il fascicolo, l’ANAC predispone anche l’elenco di operatori economici già accertati e le modalità per l'utilizzo degli accertamenti già effettuati per gare diverse; tanto al fine di consentire, in prospettiva, la possibilità di partecipare a più gare entro un determinato arco temporale di validità dei dati e delle informazioni acquisite.
Il comma 3 prevede che per la funzionalità del fascicolo virtuale dell’operatore economico, l’indicazione dei dati e il loro aggiornamento, i termini e le regole tecniche per l’acquisizione è prevista l’adozione di un provvedimento da parte dell’ANAC, d’intesa con il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e con l'AgID al fine di individuare le tipologie di dati da inserire nel fascicolo virtuale dell’operatore economico, concernenti la partecipazione alle procedure di gare e il loro esito, in relazione ai quali è obbligatoria la verifica attraverso la Banca dati nazionale dei contratti pubblici e i termini e le regole tecniche per l'acquisizione, l'aggiornamento e la consultazione dei predetti dati, anche mediante la piattaforma di cui all'art.50 ter del d. lgs. 82/2005.
Art. 25
I commi 1 e 2 disciplinano le piattaforme digitali di e-procurement che costituiscono l’insieme dei servizi e dei sistemi informatici, interconnessi e interoperanti, utilizzati dalle stazioni appaltanti per svolgere una o più fasi delle procedure di gara e per assicurare la piena digitalizzazione dell’intero ciclo di vita dei contratti pubblici. Le piattaforme digitali di e-procurement dovranno interoperare con i servizi della Piattaforma nazionale degli appalti e, attraverso questa, con la banca dati nazionale dei contratti pubblici. Le piattaforme di e-procurement dovranno assicurare la parità di accesso degli operatori e la partecipazione alla gara degli stessi, anche in caso di comprovato malfunzionamento, pur se temporaneo, delle piattaforme.
Il comma 3 introduce la previsione secondo cui la stazione appaltante, non dotata di una propria piattaforma digitale di e-procurement, dovrà necessariamente avvalersi delle piattaforme messe a disposizione da altre stazioni appaltanti, da centrali di committenza o da soggetti aggregatori, da regioni e province autonome.
Il comma 4 ribadisce il principio già previsto all’art. 41, c. 2-bis, del d. lgs. n. 50 del 2016, per cui non possono essere posti a carico dei concorrenti, ovvero dell'aggiudicatario, eventuali costi connessi alla gestione delle piattaforme.
Art. 26
Il comma 1 disciplina la competenza dell’AgID, a norma dell’art. 71 del d.lgs. n. 82 del 2005, di stabilire, di intesa con ANAC e la Presidenza del Consiglio dei Ministri, Dipartimento per la trasformazione digitale, i requisiti tecnici delle piattaforme digitali di e-procurement, nonché le regole tecniche per assicurare l’interoperabilità e la conformità di dette piattaforme.
I commi 2 e 3 prevedono che con lo stesso provvedimento di cui al comma 1 sono fissate le modalità per la certificazione delle piattaforme digitali di e-procurement erogate da soggetti privati al fine della loro compatibilità con l’ecosistema nazionale di e-procurement e che quindi tutte le attività connesse alla procedura di gara devono essere svolte su piattaforme telematiche “certificate”. La verifica dell’osservanza delle regole tecniche è assicurata dall’ANAC in base ai criteri stabiliti dall’AgID e il superamento della verifica consente l’integrazione con i servizi della Banca dati nazionale dei contratti pubblici. L’ANAC cura e gestisce anche il registro delle piattaforme certificate.
Art. 27
La novità introdotta dall’articolo 27 si sostanzia nella individuazione della banca dati nazionale dei contratti pubblici come unico collettore nazionale (eSender) che convoglia verso il sistema SIMAP/TED la pubblicità dei bandi e degli avvisi relativi a procedure sopra soglia per realizzare la pubblicità legale in ambito europeo. In questo modo si attua anche il principio dell’invio unico delle informazioni dei dati visto che gli stessi dati inviati per la pubblicità a livello europeo devono confluire nella banca dati per procedere con la pubblicità dei bandi e degli avvisi a livello nazionale.
La nuova disciplina è in linea con il Reg. UE 1780/2018 .
L'Ufficio delle pubblicazioni dell'UE è responsabile della pubblicazione degli avvisi di appalti pubblici dell'UE nella GUCE e nel TED (Tender Electronic Daily). Per pubblicare sul TED, le amministrazioni pubbliche aggiudicatrici europee possono inviare i dati richiesti riguardanti i bandi e gli avvisi inserendoli in appositi moduli online oppure utilizzando i servizi digitali messi a disposizione da soggetti qualificati denominati "eSender".
Il comma 1 disciplina le modalità per realizzare la pubblicità legale attraverso la banca dati nazionale dei contratti pubblici, compresa la trasmissione dei dati all’Ufficio delle pubblicazioni dell’Unione europea, e per gli adempimenti di pubblicità sul territorio nazionale aventi effetti di legge per come previsti dal Codice.
L’idea di fondo è quella di semplificare gli adempimenti in capo alle stazioni appaltanti e fare in modo che, a fronte di un unico invio dei dati decorrano gli effetti giuridici dalla data di pubblicazione nella banca dati nazionale dei contratti pubblici, attraverso l’interoperabilità di quest’ultima con le altre banche dati della pubblica amministrazione sarà garantita la disponibilità tempestiva di tutti i dati acquisiti.
L’attuazione della regola dell’“unico invio” dovrà assolvere a tutti gli obblighi di pubblicazione. Al momento, si rinvengono, infatti, le seguenti attività di invio dati:
1) richiesta CIG e invio dei dati dei contratti alla banca dati nazionale dei contratti pubblici, attraverso il sistema SIMOG;
2) pubblicazione atti nella Gazzetta ufficiale dell’Unione europea (TED), art. 72 del d.lgs. n. 50 del 2016 (redazione e modalità di pubblicazione dei bandi e degli avvisi);
3) pubblicazione atti nella Gazzetta ufficiale della Repubblica Italiana, art. 73 del d.lgs. n. 50 del 2016 (pubblicazione a livello nazionale);
4) pubblicazione dei documenti di gara sul profilo del committente (d.m. 2 dicembre 2016 Ministero delle infrastrutture e dei trasporti);
5) pubblicazione sul profilo del committente nella sezione "Amministrazione trasparente", ai sensi dell’attuale art. 29, c. 1, del d.lgs. n. 50 del 2016.
Il comma 2 prevede che la documentazione di gara è resa costantemente disponibile attraverso le piattaforme digitali e i siti istituzionali delle stazioni appaltanti, nonché costantemente accessibile attraverso il collegamento con la Banca dati nazionale dei contratti pubblici. Gli operatori economici potranno avere
contezza dei bandi di gara o accedendo al portale dei dati aperti dell’ANAC oppure accedendo dal sito della stazione appaltante, che metterà a disposizione dell’utente la documentazione di gara e ne consentirà la partecipazione.
Il comma 3 prevede una disposizione molto importante ai fini della produzione degli effetti giuridici degli atti oggetto di pubblicazione i quali decorreranno dalla data di pubblicazione sulla Banca dati nazionale dei contratti pubblici.
Il comma 4 prevede che i tempi e le modalità di attuazione del regime di pubblicità legale saranno stabiliti dall’ANAC con un proprio provvedimento da adottarsi entro sessanta giorni dall’entrata in vigore del codice, d’intesa con il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti.
Il comma 5 prevede una clausola di invarianza finanziaria in base alla quale l’attività di cui sopra dovrà essere svolta con le risorse finanziarie previste a legislazione vigente.
Art. 28
I commi 1 e 2 disciplinano gli obblighi di pubblicazione per adempiere alle prescrizioni in materia di trasparenza di cui al d. lgs. 14 marzo 2013, n. 33. La norma prevista ha come obiettivo quello di uniformare gli adempimenti in modo da evitare appesantimenti e duplicazioni per le stazioni appaltanti relativamente all’attività di pubblicazione dei dati.
Si prevede l’invio unico dei dati da parte delle stazioni appaltanti all’ANAC, sempre tramite piattaforma digitale, per ottemperare agli obblighi di trasparenza sulla sezione “Amministrazione trasparente” nella sottosezione “Bandi di gara e contratti” e per popolare i dati della banca dati dei contratti pubblici. In attuazione dell’art. 9-bis del d. lgs. 14 marzo 2013, n. 33, in tema di “Pubblicazione delle banche dati” e utilizzando la Piattaforma Unica della trasparenza presso l’ANAC, la disposizione intende semplificare gli adempimenti riferiti alla trasparenza, i quali si intenderanno assolti con la trasmissione dei dati alla banca dati di ANAC. All’esito dell’invio dei dati potrà essere pubblicato, nella sezione "Amministrazione trasparente", il collegamento ipertestuale alla banca dati.
Oltre alle informazioni e ai dati relativi alle procedure di gara, come individuati dalla disciplina sulla trasparenza, in linea con le previsioni del codice vigente, sono pubblicati nella sezione “Amministrazione trasparente” la composizione della commissione giudicatrice e i curricula dei suoi componenti, nonché i resoconti della gestione finanziaria dei contratti al termine della loro esecuzione.
Il comma 3 individua in particolare i dati oggetto di pubblicazione e che, nel dettaglio, sono individuati dall’articolo 1, comma 32, della legge 6 novembre 2012, n. 190, norma che in ragione del trasferimento nell’articolo 28 degli obblighi di pubblicazione in materia di contratti pubblici sarà abrogata con l’entrata in vigore del codice. I dati oggetto di obbligo di pubblicazione sono: la struttura proponente; l’oggetto del bando; l’elenco degli operatori invitati a presentare offerte; l’aggiudicatario; l’importo di aggiudicazione; i tempi di completamento dell’opera, servizio o fornitura; l’importo delle somme liquidate. Questi stessi dati saranno comunicati alla banca dati all’ANAC e saranno utilizzati per popolarla.
Il comma 4 prevede che l'ANAC individui con proprio provvedimento le informazioni e i dati e le relative modalità di trasmissione per l’attuazione del presente articolo.
Art. 29
Il comma 1 stabilisce che le comunicazioni e gli scambi di informazioni previste dal codice avvengono tramite le piattaforme di e-procurement, secondo le previsioni del d. lgs. 7 marzo 2005, n. 82 (CAD) e in attuazione dell’articolo 22 della Direttiva 2014/24/UE.
Art. 30
I commi da 1 a 3 rivestono particolare rilievo in quanto si tratta di una disciplina di grande novità per l’ordinamento italiano perché, per la prima volta, sebbene nel solo settore dei contratti pubblici, sono individuati a livello normativo i principi da rispettare in caso di utilizzo di procedure automatizzate.
L’introduzione della disposizione si è resa necessaria in ragione del criterio di delega di cui alla lettera t) che ammette, per le stazioni appaltanti, la possibilità di ricorrere anche ad automatismi nella valutazione delle offerte.
Si tratta di una disposizione volta a disciplinare il futuro (prossimo), in quanto, allo stato, nell’ambito delle procedure di gara sono utilizzati per lo più algoritmi non di apprendimento, utilizzati per il confronto automatico di alcuni parametri caratterizzanti le offerte e conoscibili. Tuttavia, non si può escludere che, a breve, la disponibilità di grandi quantità di dati possa consentire l’addestramento di algoritmi di apprendimento da applicare alle procedure di gara più complesse; da qui l’utilità dell’inserimento di una disciplina che richiami i principi destinati a governare tale utilizzo, anche alla luce dei principi affermati sia in ambito europeo che dalla giurisprudenza amministrativa.
Inoltre, deve considerarsi che dopo la modifica dell’art. 3-bis, nell’ambito della legge 7 agosto 1990, n. 241, che ha previsto la regola generale dell’utilizzo di strumenti informatici e telematici da parte delle pubbliche amministrazioni, per conseguire maggiore efficienza nella loro attività, nei rapporti interni, tra le diverse amministrazioni e tra queste e i privati, la disposizione introdotta con l’articolo 30 rappresenta un tassello importante che si aggiunge al tema dell’utilizzo degli algoritmi e dei sistemi di intelligenza artificiale nell’ambito di tutta l’attività amministrativa.
Sono recepiti non soltanto i principi, che si sono da tempo affermati in ambito europeo sul tema dell’utilizzo di soluzioni di intelligenza artificiale ma anche – come accennato poco sopra - quelli enunciati dai giudici amministrativi, secondo cui le stazioni appaltanti, in sede di acquisto o sviluppo delle soluzioni tecnologiche, si assicurano la disponibilità del codice sorgente e di ogni altro elemento utile a comprenderne le logiche di funzionamento; che la decisione assunta all’esito di un processo automatizzato deve considerarsi imputabile alla stazione appaltante. Sono altresì recepiti i principi per cui il processo decisionale non deve essere lasciato interamente alla macchina, dovendo assicurarsi il contributo umano per controllare, validare ovvero smentire la decisione automatica e per cui la decisione algoritmica non comporti discriminazioni di sorta.
Il comma 4 prevede che le pubbliche amministrazioni adottino ogni misura tecnica e organizzativa idonea a garantire che siano rettificati i fattori che comportano inesattezze dei dati e sia minimizzato il rischio di errori, nonché a impedire effetti discriminatori nei confronti di persone fisiche sulla base della nazionalità o dell'origine etnica, delle opinioni politiche, della religione o delle convinzioni personali, dell'appartenenza sindacale, dei caratteri somatici o dello status genetico, dello stato di salute, del genere o dell'orientamento sessuale.
Il comma 5, infine, prevede un adempimento per dare trasparenza e consentire ai cittadini e agli operatori di sapere se nelle attività riferite agli appalti pubblici si utilizzano o meno soluzioni tecnologiche avanzate come individuate al comma 1 della norma, imponendo alle pubbliche amministrazioni di darne contezza sul sito istituzionale, nella sezione “Amministrazione trasparente”.
Art. 31
Il comma 1 disciplina una anagrafe di nuova istituzione, grazie ai dati e alle informazioni acquisite tramite la banca dati nazionale dei contratti pubblici e ai servizi erogati mediante il fascicolo virtuale dell’operatore economico. La nuova disposizione, in parte, conserva le utilità delle attuali White list e, in parte, è funzionale alla certificazione di cui al comma 2.
Il comma 2 chiarisce che l’Anagrafe degli operatori economici presso l’ANAC censirà gli operatori economici a qualunque titolo coinvolti nei contratti pubblici nonché i soggetti, le persone fisiche e i titolari di cariche ad essi riferibili.
I commi 3 e 4 prevedono che i dati dell’anagrafe saranno resi disponibili a tutti i soggetti cooperanti nell’ambito dell’ecosistema nazionale di e-procurement, attraverso le piattaforme digitali e per i trattamenti e le finalità legate alla gestione del ciclo di vita dei contratti pubblici. L’Anagrafe si avvale delle informazioni presenti nel Registro delle imprese in quanto fonte del sistema delle imprese; censisce altresì gli operatori economici partecipanti alle gare non tenuti all’iscrizione nel registro delle imprese (e.g.: imprese straniere, raggruppamenti temporanei di imprese, ecc.). Infine, di rilievo la disposizione per cui per le persone fisiche inserite nell’Anagrafe con riferimento ai vari operatori economici assumono valore certificativo i ruoli e le cariche rivestiti non risultanti dal registro delle imprese.
Art. 32
La disposizione rappresenta la trasposizione fedele dell’art. 34 della direttiva UE 26 febbraio 2014, n. 24, per cui se ne conserva il testo previsto dall’ art. 55 del d. lgs. 18 aprile 2016, n. 50. L’unica novità è rappresentata dall’inserimento del nuovo comma 15 in ragione della possibilità di applicare gli accordi quadro anche al Sistema dinamico di acquisizione, in linea con una modifica normativa del 2019.
L’art. 1, comma 586, della legge n. 160 del 2019 prevede, infatti, la possibilità che gli accordi quadro, nonché le convenzioni-quadro di cui all’ art. 26 della legge n. 488 del 1999 (che si caratterizzano per essere degli accordi quadro con condizioni tutte fissate stipulati da Consip S.p.a. e dai soggetti aggregatori, quali strumenti di acquisto per le amministrazioni di riferimento) siano aggiudicati mediante procedura svolta nell’ambito del sistema dinamico di acquisizione.
Tale modalità coniuga i vantaggi delle convenzioni-quadro e degli accordi quadro (aggregazione della domanda, maggiori volumi negoziati, riduzione dei prezzi unitari) con le opportunità fornite dai sistemi dinamici di acquisizione che, oltre a consentire un’informatizzazione completa della procedura, garantiscono maggiore trasparenza e concorrenzialità grazie alla possibilità di ingresso di nuovi fornitori durante tutto il periodo di validità del bando, nonché una maggiore flessibilità nel soddisfare esigenze specifiche delle stazioni appaltanti mediante l’opportunità di personalizzare, attraverso gli appalti specifici, le caratteristiche dei beni o dei servizi.
Al contempo, al fine di garantire adeguata tutela giurisdizionale agli operatori economici partecipanti, la medesima disposizione ha espressamente sancito l’obbligo di rispettare, nell’ambito della procedura in parola, il termine sospensivo di 35 giorni tra l’aggiudicazione e la stipula del contratto (c.d. stand still period), come previsto dalla direttiva 2007/66/CE attualmente recepito nell’ordinamento interno nell’ art. 32, comma 9, del d.lgs. n. 50 del 2016.
Ciò premesso, alla luce della rilevanza che la misura in esame assume nel garantire tempestività e continuità dell’offerta di strumenti per le stazioni appaltanti, si propone di inserire nel nuovo codice dei contratti pubblici la previsione di cui al citato art. 1, comma 586, della legge n. 160 del 2019. Più precisamente, si propone di integrare il testo dell’art. 55 del d. lgs. n. 50/ 2016, dedicato ai “Sistemi dinamici di acquisizione”, prevedendo che gli accordi quadro e le convenzioni-quadro possano essere stipulati in sede di aggiudicazione di un appalto specifico sul sistema dinamico di acquisizione, con l’espressa precisazione che in questa ipotesi trova applicazione il termine di stand-still.
Il comma in discorso si sostanzia, dunque, in un intervento di sistematizzazione, volto a creare un testo normativo coordinato e tendenzialmente comprensivo di ogni profilo rilevante, in linea con gli obiettivi di semplificazione e complessivo riassetto della normativa riguardante i contratti pubblici cui tende il progetto legislativo del nuovo Codice.
Art. 33
La disposizione è la trasposizione fedele dell’art. 35 della direttiva UE 26 febbraio 2014, n. 24, per cui se ne conserva il testo previsto dall’art. 56 del d. lgs. 18 aprile 2016, n. 50. L’unica modifica sostanziale introdotta, riguarda il comma 4 che prevede direttamente gli elementi che deve contenere la documentazione di gara riferita alle aste elettroniche relative agli appalti nei settori ordinari e speciali, assorbendo nell’ambito dell’articolato, il contenuto dell’allegato XII del d. lg. 50/2016.
Art. 34
La disposizione è la trasposizione fedele dell’art. 36 della direttiva UE 26 febbraio 2014, n. 24 per cui se ne conserva il testo previsto dall’art. 57 del d. lgs. 18 aprile 2016, n. 50, fatta eccezione per qualche piccola modifica, dovuta all’abrogazione dell’art. 52 del medesimo decreto legislativo.
Art. 35
Il comma 1 introduce le modifiche alla disciplina sull’accesso e riservatezza in tema di contratti pubblici resesi necessarie al fine di allineare lo svolgimento della procedura di accesso all’utilizzo delle piattaforme di e- procurement; si precisa, infatti, che le stazioni appaltanti assicurano l’accesso alle procedure di affidamento e di esecuzione dei contratti pubblici in modalità digitale, mediante acquisizione diretta dei dati e delle informazioni inseriti nelle piattaforme, ai sensi dell’articoli 3-bis e 22 e seguenti della legge 7 agosto 1990, n. 241 e degli articoli 5 e 5 bis del decreto legislativo 14 marzo 2013, n. 33.
L’altra novità rilevante, quindi, riguarda il riconoscimento per tutti i cittadini della possibilità di richiedere, attraverso l’istituto dell’accesso civico generalizzato, la documentazione di gara nei limiti consentiti e disciplinati dall’art. 5-bis del d. lgs. 14 marzo 2013, n. 33.
Va, infatti ricordato sul punto che il Consiglio di stato con l’Adunanza plenaria n. 10/2020 ha affermato che detto strumento si applica a tutte le fase dei contratti pubblici, chiarendo che il principio di trasparenza, che si esprime nella conoscibilità dei documenti amministrativi, rappresenta il fondamento della democrazia amministrativa in uno stato di diritto, assicurando anche il buon funzionamento della pubblica amministrazione attraverso l’intellegibilità dei processi decisionali e l’assenza di corruzione. Partendo da queste premesse, l’Adunanza plenaria è giunta a chiarire che l’accesso civico generalizzato sostanzia un diritto fondamentale che contribuisce al miglior soddisfacimento degli altri diritti fondamentali che l’ordinamento giuridico riconosce alla persona. La natura fondamentale del diritto di accesso generalizzato secondo il Consiglio di Stato si rinviene oltre che nella Carta costituzionale (artt. 1, 2, 97 e 117) e nella Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea (art. 42) anche nell’art. 10 della CEDU in quanto la libertà di espressione include la libertà di ricevere informazioni e le eventuali limitazioni, per tutelare altri interessi pubblici e privati in conflitto, sono solo quelle previste dal legislatore, risultando la disciplina delle eccezioni coperta da riserva di legge.
Con l’accesso civico generalizzato il legislatore ha voluto introdurre il diritto della persona a ricercare informazioni, quale diritto che consente la partecipazione al dibattito pubblico e di conoscere i dati e le decisioni delle amministrazioni al fine di rendere possibile quel controllo “democratico” che l’istituto intendere perseguire.
La conoscenza dei documenti, dei dati e delle informazioni amministrative consente, in conclusione, la partecipazione alla vita di una comunità, la vicinanza tra governanti e governati, il consapevole processo di responsabilizzazione (accountability) della classe politica e dirigente del Paese.
Il comma 2 è modificato prevedendo più in dettaglio e in che tempi si può ottenere la documentazione di gara di interesse, quale ad esempio le domande di partecipazione e gli atti, dati e informazioni relativi ai
requisiti di partecipazione e ai verbali relativi alla fase di ammissione dei candidati e offerenti, i verbali relativi alla valutazione delle offerte e agli atti, dati e informazioni a questa presupposti, e infine i verbali riferiti alla fase di verifica dell’anomalia dell’offerta. Tutti questi documenti non si potranno conoscere fino all’aggiudicazione.
Il comma 3 ricorda che fino alla conclusione delle fasi o alla scadenza dei termini di cui al comma 2 gli atti, i dati e le informazioni non possono essere resi accessibili o conoscibili pena la violazione dell'articolo 326 del codice penale.
I commi 4 e 5 prevedono le ipotesi di esclusione dall’accesso. Queste ipotesi si riferiscono, in particolare, alle informazioni fornite nell'ambito dell'offerta o a giustificazione della medesima che costituiscano, secondo motivata e comprovata dichiarazione dell'offerente, segreti tecnici o commerciali, e alle piattaforme digitali e alle infrastrutture informatiche utilizzate dalla stazione appaltante o dall’ente concedente, ove coperte da diritti di privativa intellettuale. Dette limitazioni potranno essere superate e quindi giungere all’ostensione della documentazione in questione se all’esito del bilanciamento tra interessi contrapposti l’ostensione risulta indispensabile ai fini della difesa in giudizio degli interessi giuridici rappresentati del richiedente in relazione alla procedura di gara.
Art. 36
Nell’ambito delle procedure di affidamento grande rilievo assume la fase della conoscenza e della trasparenza della procedura attraverso la possibilità, da parte dei partecipanti, di chiedere alla stazione appaltante di avere contezza non solo di quanto dichiarato dai partecipanti in sede di presentazione delle offerte, ma anche di come la stessa stazione appaltante abbia fatto la sua scelta, anche al fine di comprendere se siano stati rispettati i principi basilari della “evidenza pubblica” e cioè la par condicio dei partecipanti e la concorrenza.
L’istituto dell’accesso ai documenti nell’ambito delle procedure di affidamento dei contratti pubblici, attualmente disciplinato dall’art. 53 del d. lgs. 18 aprile 2016, n. 50, è sempre risultato quindi norma centrale per consentire ai partecipanti di avere conoscenza e di tutelare i propri interessi giuridici nelle opportune sedi. È una fase conoscitiva degli atti che si verifica quasi sempre a valle della procedura di scelta dell’aggiudicatario e che rispetto all’attuale svolgimento può essere velocizzata tenuto conto delle possibilità di maggiore efficienza che offre la procedura di gara digitalizzata.
La circostanza che la gara sia svolta su piattaforma di e-procurement alla quale gli operatori che hanno presentato offerte possono accedere direttamente (in ragione di credenziali ricevute o altre modalità di accesso quali lo SPID) consente agli stessi operatori di avere accesso ai dati, alle informazioni o in alcuni casi ai documenti presenti sulla piattaforma, immediatamente una volta che le esigenze di differimento di cui all’art. 35, comma 2 siano venute meno. Al termine della procedura di gara i candidati e gli offerenti non definitivamente esclusi potranno accedere ai verbali creati digitalmente e alla documentazione di gara entro i termini previsti, che danno conto delle valutazioni effettuate dalla stazione appaltante. Ciò consente di comprendere se ci siano state illegittimità o scorrettezze da contestare.
Il comma 1 in via innovativa dispone la diretta “messa a disposizione” in piattaforma dell’offerta dell’aggiudicataria, per cui l’offerta dell’operatore economico aggiudicatario, insieme a tutti i verbali di gara e agli atti, dati e informazioni presupposti all’aggiudicazione, sono resi disponibili, attraverso la piattaforma digitale di e-procurement utilizzata dalla stazione appaltante, a tutti i candidati e offerenti non definitivamente esclusi al momento della comunicazione digitale dell’aggiudicazione ai sensi dell’articolo 90.
La scelta di mettere a disposizione di tutti i partecipanti alla gara non definitivamente esclusi, l’offerta dell’aggiudicataria nasce da una duplice considerazione: in primo luogo l’articolo 55, co. 2, lett. c) della direttiva 2014/24/UE prevede che l’amministrazione aggiudicatrice comunica quanto prima e, comunque, entro 15 giorni dalla richiesta «ad ogni offerente che abbia presentato un’offerta ammissibile le caratteristiche
e i vantaggi relativi dell’offerta selezionata e il nome dell’offerente cui è stato aggiudicato l’appalto o delle parti dell’accordo quadro». Quindi a richiesta tutti gli offerenti possono conoscere l’offerta selezionata.
In secondo luogo va considerato quanto affermato dalla giurisprudenza amministrativa in tema di accesso civico generalizzato ai sensi dell’art. 5, del d. lgs. 14 marzo 2013, n. 33, applicato ai contratti pubblici, il cui dibattito sul punto ha trovato componimento nella decisione del Consiglio di Stato resa in Adunanza Plenaria, del 2 aprile 2020, n. 10. Detta sentenza ha definitivamente riconosciuto la possibilità di conoscere, da parte del “quisque de populo”, gli atti della procedura di gara, compresi gli atti della fase esecutiva, nei limiti della tutela degli interessi pubblici e privati coinvolti secondo quanto previsto dall’articolo 5 bis del d. lgs. 14 marzo 2013, n.33.
Ciò porta a ritenere che l’offerta selezionata all’esito di una procedura di gara, una volta individuata dalla stazione appaltante, diventa di “interesse pubblico” in quanto, rispetto alla collettività, è l’offerta che l’amministrazione si impegna a realizzare e a pagare con soldi pubblici con la possibilità di essere conosciuta da tutti i cittadini e, quindi, a maggior ragione, dai partecipanti alla procedura di gara che sono legittimati a conoscere gli atti della medesima e a sapere come l’amministrazione ha fatto la sua scelta, anche per tutelare i propri interessi in sede processuale.
Mettere a disposizione dei partecipanti tutti gli atti della procedura e l’offerta selezionata all’esito dell’aggiudicazione consente all’amministrazione di evitare una eventuale fase amministrativa relativa alle istanze di accesso e ai partecipanti di conoscere immediatamente la scelta fatta dall’amministrazione e orientarsi sulla opportunità o meno di procedere in sede processuale.
Il comma 2 prevede un’altra importante novità del Codice e ciò al fine di ridurre i tempi dell’eventuale contenzioso che può venirsi a creare rispetto alla procedura di gara. La novità riguarda la messa a disposizione, reciprocamente per i successivi 4 soggetti collocatisi in graduatoria dopo l’aggiudicatario e anche in favore di quest’ultimo, delle offerte e dei documenti, dei verbali di gara, degli atti dei dati e delle informazioni riferite alle singole offerte al fine di orientarsi immediatamente se impugnare gli atti di gara oppure no.
Non si ritiene in linea con il portato della direttiva rendere disponibili per tutti e al contrario di ciò che è previsto per la sola offerta dell’aggiudicataria, le offerte dei 4 partecipanti collocatisi in graduatoria nelle posizioni successive al primo, in quanto tali soggetti, a fronte di alcun beneficio derivante per loro dalla gara medesima, sarebbero chiamati comunque a sacrificare la loro legittima aspettativa di non vedere diffusa la loro offerta, senza che ci sia un motivato interesse a conoscerla. Ciò inoltre potrebbe anche comportare partecipazioni alle procedure di gara “pretestuose” con allungamento dei tempi in quanto un ampliamento eccessivo della regola della conoscibilità diretta delle offerte potrebbe indurre molti operatori economici a partecipare alle gare a mero titolo esplorativo.
Il comma 3 disciplina l’altra novità importante ai fini dell’accesso su piattaforma e che conduce a una velocizzazione delle procedure di gara. Infatti le stazioni appaltanti, al momento della pubblicazione sulla piattaforma dell’offerta dell’aggiudicataria daranno anche indicazione in merito alle eventuali richieste di oscuramento delle offerte per cui queste si intenderanno valutate anche per le eventuali parti segrete presenti, per come indicate dall’operatore economico in sede di presentazione dell’offerta ai sensi dell’art. 35, comma 4, lett. a).
La stazione appaltante già nella fase procedimentale della valutazione delle offerte ha, infatti, modo di considerare la sussistenza e la rilevanza delle ragioni di segretezza dichiarate dai partecipanti per la presenza di segreti tecnici o commerciali; proprio per ottimizzare i tempi, quindi, già in quella fase si valuterà se l’offerta, nel caso in cui dovesse risultare selezionata, potrà essere ostesa a tutti i partecipanti, nella sua interezza oppure andranno mantenute coperte, perché ritenute segrete, le parti indicate. In caso di messa a disposizione sulla piattaforma dell’offerta selezionata, con indicazione delle parti oscurate, il procedimento di accesso nella sua fase amministrativa si intende concluso per cui coloro che hanno interesse a conoscere le parti riservate dovranno adire direttamente il giudice amministrativo.
Il comma 4 prevede tempi più ristretti per proporre ricorso avverso le parti considerate segrete anche dalla stessa amministrativa all’esito della fase amministrativa. Il ricorso proposto secondo il rito dell’accesso di cui all’art. 116 c.p.a. deve essere notificato entro 10 giorni dalla comunicazione dell’aggiudicazione ai sensi dell’articolo 90.
Il comma 5 prevede, al fine di tutelare anche le ragioni del partecipante alla gara, il quale ha formulato espressa richiesta di oscuramento a norma dell’art. 35, comma 4, lett. a), che nel caso in cui l’amministrazione ritenga di non condividere le ragioni di segretezza rappresentate dall’offerente selezionato o anche dagli altri 4 collocatisi in graduatoria dopo il primo, al fine di dare tutela anche alle ragioni di riservatezza rappresentate dagli stessi, le parti oscurate saranno rese disponibili solo dopo che siano decorsi i termini per adire il giudice amministrativo.
Il comma 6 interviene per scongiurare la pratica abbastanza diffusa tra gli operatori economici di indicare come segrete parti delle offerte senza che sussistano reali ragioni; nel caso in cui, infatti, l’amministrazione ritenga insussistenti le ragioni di segretezza è previsto che la stazione appaltante o l’ente concedente può inoltrare segnalazione all’ANAC la quale può irrogare una sanzione pecuniaria nella misura stabilita dall’articolo 222, comma 9, ridotta alla metà nel caso di pagamento entro 30 giorni dalla contestazione, qualora vi siano reiterati rigetti di istanze di oscuramento.
Il comma 7 reca disposizioni processuali accelerate riferite al ricorso proposto per conoscere o impedire l’ostensione di parti dell’offerta ritenute riservate. In disparte i termini di fissazione dell’udienza camerale più veloci la norma prevede che la sentenza venga redatta in forma semplificata e pubblicata entro cinque giorni dall’udienza di discussione, la cui motivazione può consistere anche in un mero richiamo delle argomentazioni contenute negli scritti delle parti che il giudice ha inteso accogliere e fare proprie.
Il comma 8 chiarisce che il rito e i termini di cui sopra si applicano anche nei giudizi di impugnazione.
Il comma 9 reca, infine, indicazioni per la individuazione del termine di impugnazione dell’aggiudicazione e dell’ammissione e valutazione delle offerte diverse da quella dell’aggiudicataria, il quale decorre comunque dalla comunicazione di cui all’articolo 90.
PARTE III
DELLA PROGRAMMAZIONE
Art. 37
Al comma 1 si introduce una programmazione triennale anche per gli acquisti di beni e servizi (nel vigente codice dei contratti aveva durata biennale) in modo da allineare l’orizzonte temporale della programmazione degli acquisiti a quella dei lavori nonché degli atti di programmazione economico-finanziaria (DUP e bilancio di previsione). Viene, inoltre, inserito un riferimento ai principi contabili di cui al d.lgs. n. 118/2011, tenuto conto dello stretto collegamento tra programmazione gestionale (acquisti, lavori) e programmazione finanziaria alla luce della necessità di stanziamento delle risorse a bilancio (che ha natura autorizzatoria della spesa). L’allegato 4/1 al d.lgs. n. 118/2011, che disciplina il principio contabile applicato concernente la programmazione di bilancio, individua nel rispetto delle compatibilità economico-finanziarie e nella verifica della possibile evoluzione della gestione dell'ente due fondamentali presupposti per assicurare che la programmazione dei lavori e degli acquisti sia funzionale al perseguimento degli obiettivi di finanza pubblica definiti in ambito nazionale. Sotto tale profilo, si registra piena coerenza con il principio, già postulato nel vigente codice dei contratti, che prescrive di identificare, quale condizione per l’approvazione, i mezzi finanziari destinati alla copertura dei lavori inseriti nell’elenco annuale.
Il comma 2 è ispirato ad una finalità di semplificazione e prevede l’obbligo di inserimento nel programma triennale solo per gli interventi di importo pari o superiore alla soglia di 150.000 euro. È previsto l’inserimento nel piano triennale anche dei lavori superiori a 1 milione di euro previa approvazione del documento di fattibilità delle alternative progettuali e nell’elenco annuale previa approvazione del documento di indirizzo della progettazione. L’obbligo di redazione di siffatto documento viene escluso per i lavori di manutenzione ordinaria e straordinaria, di qualunque importo, per i quali la redazione è rimessa alla discrezionalità dell’amministrazione.
Il comma 3 introduce, analogamente al comma 2, anche per la programmazione degli acquisti di beni e servizi, una soglia minima ai fini dell’obbligo di inserimento nella programmazione triennale (140.000 euro).
Il comma 4 prevede l’obbligo di pubblicazione degli atti di programmazione sul profilo del committente e nella banca dati nazionale dei contratti pubblici.
Il comma 5 esclude dall’ambito di applicazione la pianificazione dei soggetti aggregatori e delle centrali di committenza.
Il comma 6 rinvia all’allegato I.5 al codice per la disciplina di dettaglio degli schemi tipo, degli ordini di priorità degli interventi e della specificazione delle fonti di finanziamento. Tale allegato riprende il contenuto del vigente d.m. 14/2018, senza variazioni particolarmente rilevanti salvi gli adattamenti alle nuove terminologie e ai nuovi istituti introdotti dal nuovo codice (x.xx. programmazione triennale anziché biennale) e quelli imposti dalla “riscrittura” in modo più organico e razionale dell’articolo 37 del nuovo codice rispetto al vigente art. 21 del d.lgs. n. 50/2016.
Il comma 7 specifica che l’allegato può essere modificato con decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, di concerto con il Ministero dell’economia e della finanze, previo parere del CIPESS, d’intesa con la Conferenza unificata, che lo sostituisce integralmente anche in qualità di allegato al codice. .
Allegato I.5
Questo allegato riprende il contenuto del vigente d.m. 16 gennaio 2018, n. 14, senza variazioni particolarmente rilevanti salvi gli adattamenti alle nuove terminologie e ai nuovi istituti introdotti dal nuovo codice (x.xx. programmazione triennale anziché biennale) e quelli imposti dalla “riscrittura” in modo più organico e razionale dell’articolo 37 del nuovo codice rispetto al vigente articolo 21 del d.lgs. n. 50/2016.
Art. 38
La disposizione introduce per la prima volta nel codice dei contratti pubblici un procedimento dedicato alla localizzazione delle opere di interesse statale, uniformando, coordinando e semplificando le previsioni contenute nel d.P.R. n. 383 del 1994, nell’art. 13 d.l. n. 76 del 2021 e nell’art. 44 d.l. 77 del 2021, in conformità con i criteri e gli indirizzi della legge delega (art. 2 lett. o).
La formulazione della disposizione in esame si è ispirata al testo dell’art. 44, comma 4, del decreto-legge n. 77 del 2021, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 108 del 2021, pur nella considerazione degli elementi di peculiarità che caratterizzano le opere oggetto della sopra indicata disposizione, ritenendosi le scelte operate funzionali ad assicurare gli obiettivi perseguiti con la legge delega.
Il comma 1 risponde allo scopo di chiarire le disposizioni extra codice che trovano applicazione per l’approvazione dei progetti, definendo, inoltre, l’ambito di applicazione della procedura introdotta con la disposizione in esame, per il quale si è riconnessa centralità alla natura dell’opera di interesse pubblico da realizzare.
Il comma 2 specifica i casi di esclusione dell’applicazione della disposizione, circoscritti alle opere espressamente indicate per le quali la conformità del progetto di fattibilità tecnica ed economica alla disciplina urbanistica ed edilizia sia stata già accertata, rendendosi, dunque, ultronei e non giustificati aggravamenti procedurali e duplicazioni.
Il comma 3 delinea l’avvio del procedimento, stabilendo che la stazione appaltante o l’ente concedente devono provvedere alla convocazione di una conferenza di servizi che si svolge secondo la modalità semplificata di cui all’art. 14 bis della legge n. 241 del 1990 (già richiamato al comma 1), volta all’approvazione del progetto di fattibilità tecnica ed economica.
Il perimetro dei partecipanti alla suddetta conferenza di servizi è stato definito con il riferimento alle amministrazioni interessate, ivi comprese le regioni, le province autonome, i comuni incisi dall’opera e le amministrazioni preposte alla tutela ambientale, del patrimonio culturale, del paesaggio e della salute, tenendo, dunque, conto di tutte le interferenze che l’opera può determinare.
Il comma 4 considera specificamente il caso in cui l’opera pubblica rivesta interesse statale, in tal caso stabilendosi che il progetto di fattibilità tecnica ed economica, il quale non può prescindere dal contemplare l’alternativa di progetto a consumo zero del suolo ai fini della rigenerazione urbana, deve essere trasmesso, per l’acquisizione del relativo parere, al Consiglio superiore dei lavori pubblici o al competente Provveditorato interregionale per le opere pubbliche. A venire in rilievo, dunque, in tale caso è un parere obbligatorio che dovrà vagliare anche la praticabilità di soluzioni progettuali suscettibili di stimolare la rigenerazione urbana, in linea con le scelte di fondo perseguite con crescente incisività dal legislatore nazione ed a livello unionale.
Il comma 5 ulteriormente dettaglia lo sviluppo procedimentale con riguardo alle opere pubbliche di interesse statale, contingentando i termini per provvedere al fine di scongiurare arresti che rischierebbero di pregiudicare le attività già espletate e la stessa utilità degli elementi acquisiti.
Si stabilisce, infatti, che, nell’eventualità in cui il Consiglio superiore dei lavori pubblici o il Provveditorato interregionale ravvisino carenze ostative al rilascio del parere, provvedono alla restituzione del progetto nel termine di quindici giorni, specificando le modifiche o le integrazioni necessarie. Dalla ricezione di tali atti decorre il termine, avente espressa natura perentoria, di quindici giorni entro il quale la stazione appaltante o l’ente concedente deve procedere alle modifiche ed alle integrazioni richieste.
In coerenza con la caratterizzazione acceleratoria di tutta la procedura, è stato introdotto il silenzio assenso nel caso in cui il parere non venga reso nei termini. Sia il termine massimo per il parere (45 giorni) sia il silenzio assenso sono volti a garantire la completezza istruttoria e documentale in seno alla conferenza di servizi.
Il comma 6 è ispirato alla medesima finalità acceleratoria, laddove prevede che il progetto (originario o modificato) trasmesso al Consiglio superiore o al Provveditorato venga tempestivamente trasmesso anche all’autorità competente per la VIA: la trasmissione al Consiglio superiore e quella all’autorità competente per la VIA sono, sul piano delle tempistiche, pressoché sincronizzati, in modo da “riversare” entrambi il più celermente possibile nella conferenza di servizi. Nella medesima conferenza confluisce anche la documentazione del dibattito pubblico, ove svolta (che esclude e assorbe qualunque altra forma di consultazione pubblica).
Il comma 7 stabilisce analoghe modalità acceleratorie anche relativamente all’approvazione delle opere per cui non è richiesto il parere del Consiglio superiore o del Provveditorato interregionale (opere pubbliche di interesse locale o di interesse statale per le quali non è richiesto il parere). In tal caso il progetto è trasmesso per la valutazione di impatto ambientale contestualmente alla convocazione della conferenza di servizi in modo da consentire alle amministrazioni che partecipano alla conferenza di conoscere tempestivamente l’esito della VIA.
Il comma 8 indica i pareri, le verifiche e i documenti che sono oggetto dell’esame in conferenza (parere del Consiglio superiore, esiti del dibattito pubblico, verifica preventiva dell’interesse archeologico e VIA) e specifica che l’esame di tali atti deve avvenire “tenuto conto delle preminenti esigenze di appaltabilità dell’opera e di certezza dei tempi di realizzazione” (indicazione mutuata testualmente dall’art. 44 del d.l. n. 77 del 2021): si fornisce in tal modo una linea di indirizzo dell’attività istruttoria e decisoria della conferenza, in linea con il principio del risultato.
Il comma 9 indica il termine massimo di conclusione della conferenza di servizi, prorogabile per un temine non superiore a dieci giorni unicamente su istanza (debitamente motivata) delle amministrazioni preposte alla tutela di interessi sensibili (paesaggistico, culturale, ambientale, salute, ecc.). Il termine massimo della conferenza, quindi, non può essere superiore a 70 giorni. Si ribadisce, inoltre, in conformità alla disciplina generale, che nel caso in cui le amministrazioni non si siano espresse entro il termine di conclusione della conferenza, come pure nell’ipotesi di assenza delle medesime o di formulazione di un dissenso immotivato o riferito a questioni estranee all’oggetto della conferenza, l’assenso si considera comunque acquisito.
Il comma 10 precisa l’esatta portata della determinazione conclusiva, indicandone analiticamente gli effetti, in quanto provvedimento a contenuto multiplo e complesso, sul piano autorizzatorio, urbanistico, ambientale, paesaggistico, localizzativo. Si chiarisce che la determinazione conclusiva ha effetto di variante agli strumenti urbanistici vigenti, comprende il provvedimento di VIA, i titoli abilitativi necessari e la dichiarazione di pubblica utilità ed indifferibilità delle opere nonché il vincolo preordinato all’esproprio.
Il comma 11 pone specifici oneri a pena di decadenza alle amministrazioni partecipanti alla conferenza, imponendo l’espressione di un dissenso qualificato e costruttivo attraverso prescrizioni adeguate ai fini del suo superamento e proporzionate all’intervento da realizzare, indicando le misure che rendano compatibile l’opera e possibile l’assenso.
Il comma 12 reca una disposizione intertemporale, sancendo – con chiara finalità acceleratoria delle procedure già in corso – che il comma precedente si applica anche ai procedimenti non ancora conclusi alla data di entrata in vigore del codice.
Il comma 13 prevede, in chiave di semplificazione e di accelerazione, la permanente validità di progetti, autorizzazioni e intese posti alla base di appalti in precedenza annullati, ritirati o revocati (per vizi non afferenti alle intese, autorizzazioni e progetti). Tali atti possono essere posti alla base di nuovi appalti, in assenza di variazioni nel progetto e nella regolamentazione ambientale, paesaggistica e urbanistica. Rispetto alla disciplina previgente (art 27, comma 1 bis, d. lgs 50/2016 che prevedeva una validità per un periodo non superiore a 5 anni) non è previsto un termine massimo di validità degli atti, ma è richiesto che il RUP attesti in maniera specifica che non sono intervenute variazioni sostanziali né nel progetto né nella cornice normativa sulla base dei quali gli atti erano stati emanati: la validità è, pertanto, condizionata non dal dato temporale ma dall’assenza di variazioni sostanziali (che, peraltro, sono fisiologiche con il trascorrere del tempo).
Il comma 14 fa salve disposizioni vigenti previste per determinate tipologie di opere pubbliche di interesse nazionale, quali quelle previste, a titolo esemplificativo, nei seguenti ambiti: infrastrutture autostradali e viarie (art. 20 l. n. 340/2000); opere concernenti reti ferroviarie (art. 9 l. n. 340/2000); impianti di produzione di energia elettrica (l. n. 880/1973), alimentati anche da fonti rinnovabili (d.lgs. 387/2003, d.lgs. 28/2011); infrastrutture lineari energetiche (gasdotti, elettrodotti, oleodotti e reti di trasporto di fluidi termici: artt. 52- quater e quinquies d.p.r. n. 327/2001); centrali termoelettriche ed elettronucleari e gli impianti di gestione del combustibile nucleare esaurito e dei rifiuti radioattivi (l. n. 393/1975, d.lgs. n. 45/2014); opere destinate alla difesa nazionale (d.lgs. 66/2010); infrastrutture e insediamenti produttivi di carattere strategico e di preminente interesse nazionale (l. n. 443/2001). Del pari, restano ferme le disposizioni speciali relative al PNRR di cui all’art 44 del decreto-legge n. 77 del 2021.
Art. 39
L’articolo in esame disciplina la programmazione e la progettazione delle infrastrutture strategiche e di preminente interesse nazionale.
Sono introdotti, rispetto al passato, significativi momenti di semplificazione e accelerazione delle procedure.
In particolare, il comma 1 stabilisce che la decisione di qualificare una infrastruttura come strategica e di preminente interesse nazionale è adottata dal Consiglio dei Ministri, a cui la proposta può essere rivolta o dai Ministeri competenti, sentite le Regioni interessate oppure dalle Regioni sentiti i Ministri competenti. La decisione del Consiglio dei Ministri viene adottata tenendo conto del rendimento infrastrutturale, dei costi, degli obiettivi e dei tempi di realizzazione dell’opera.
Il comma 2 prevede l’inserimento nel Documento di Economia e Finanza (DEF) delle infrastrutture strategiche e di preminente interesse nazionale.
Il comma 3 prevede che gli interventi in questione sono automaticamente inseriti nelle intese istituzionali di programma e negli accordi di programma quadro ai fini della individuazione delle priorità e ai fini dell'armonizzazione con le iniziative già incluse nelle intese e negli accordi stessi.
Il comma 4 stabilisce che il Consiglio superiore dei lavori pubblici, senza nuovi o maggiori oneri, istituisce un comitato speciale per l’esame dei progetti relativi agli interventi di cui al presente articolo.
Il comma 5 prevede, in maniera innovativa e con fnalità di accelerazione delle procedure, che in presenza di dissensi qualificati ai sensi dell'articolo 14-quinquies, comma 1, della legge 7 agosto 1990, n. 241, la procedura di cui ai commi 4, 5 e 6 del medesimo articolo può essere sostituita dall’adozione di un decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro delle infrastrutture e trasporti, previa deliberazione del CIPESS, integrato dai presidenti delle regioni o delle province autonome interessate, sentita la Conferenza unificata di cui all'articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281. Il predetto decreto approva il progetto di fattibilità tecnico-economica delle infrastrutture di cui al presente articolo e produce i medesimi effetti di cui all’articolo 38, comma 10, del codice, ossia: approva il progetto e perfeziona l’intesa tra gli enti territoriali interessati anche ai fini della localizzazione dell'opera, della conformità urbanistica e paesaggistica dell'intervento, della risoluzione delle interferenze e delle relative opere mitigatrici e compensatrici; ha effetto di variante agli strumenti urbanistici vigenti, comprende il provvedimento di VIA, i titoli abilitativi necessari e la dichiarazione di pubblica utilità ed indifferibilità delle opere nonché il vincolo preordinato all’esproprio e consente la realizzazione di tutte le opere e attività previste nel progetto approvato.
Art. 40
L’articolo disciplina l’istituto del dibattito pubblico.
In chiave ricostruttiva occorre osservare che tale istituto non trova una diretta previsione nelle Direttive 2014/23/UE, 2014/24/UE e 2014/25/UE, né, tantomeno, nella normativa nazionale previgente alla legge delega al codice dei contratti pubblici n. 11/2016, sebbene in essa si previde, all’art. 1, lett. qqq), “l’introduzione di forme di dibattito pubblico delle comunità locali dei territori interessati dalla realizzazione di grandi progetti infrastrutturali e di architettura di rilevanza sociale aventi impatto sull'ambiente, la città o sull'assetto del territorio, prevedendo la pubblicazione on line dei progetti e degli esiti della consultazione pubblica; le osservazioni elaborate in sede di consultazione pubblica entrano nella valutazione in sede di predisposizione del progetto definitivo”.
Nondimeno, l’interesse generale correlabile al dibattito pubblico sembra ricavabile dal considerando 122 della direttiva n. 2014/24/UE, secondo cui “i cittadini, i soggetti interessati organizzati o meno, e altre persone o organismi che non hanno accesso alle procedure di ricorso di cui alla direttiva 89/655/CEE hanno comunque un interesse legittimo in qualità di contribuenti a un corretto svolgimento delle procedure di appalto”.
L’istituto, comunque, ha una tradizione consolidata nell’ordinamento francese, risalendo all’art. 2 della legge 95 – 101 del 2 febbraio 1995 (legge Xxxxxxx), relativa al rafforzamento della protezione dell’ambiente, ed è stato introdotto per la prima volta in Italia dall’art. 8 della L.R. Toscana n. 39/2013 e, successivamente all’entrata in vigore del vigente codice dei contratti pubblici, dall’art. 7 della L.R. Puglia n. 84/2017, i cui commi 2 e 5 sono stati dichiarati costituzionalmente illegittimi dalla sentenza della Corte costituzionale n. 235 del 9 ottobre 2018, e ciò nella parte in cui è previsto che il dibattito pubblico regionale si svolga anche sulle opere nazionali.
Ad ogni modo, in attuazione della legge delega sopra indicata, il legislatore statale ha introdotto l’art. 22 del d.lgs. n. 50/2016, rubricato “trasparenza nella partecipazione di portatori di interessi e dibattito pubblico”, che ha demandato al decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, tra l’altro, la fissazione dei criteri per l’individuazione delle opere oggetto di dibattito pubblico.
Conformemente a tale previsione, è stato emanato il d.p.c.m. 76/2018, regolamento recante modalità di svolgimento, tipologie e soglie dimensionali delle opere sottoposte a dibattito pubblico, che, appunto ai sensi dell’art. 22, comma 2 del d.lgs. n. 50/2016, ha istituito presso il Ministero delle Infrastrutture e dei trasporti la Commissione nazionale per il dibattito pubblico, alla quale è stato affidato “il compito di raccogliere e pubblicare informazioni sui dibattiti pubblici in corso di svolgimento o conclusi e di proporre raccomandazioni per lo svolgimento del dibattito pubblico sulla base dell'esperienza maturata”.
In linea di continuità, ma anche nella prospettiva di conferire – su rinnovate basi – una legittimazione di diritto positivo all’istituto in questione, la legge delega al nuovo codice ha previsto, tra i principi ed i criteri direttivi, la “revisione e semplificazione della normativa primaria in materia di programmazione, localizzazione delle opere pubbliche e dibattito pubblico, al fine di rendere le relative scelte maggiormente rispondenti ai fabbisogni della comunità, nonché di rendere più celeri e meno conflittuali le procedure finalizzate al raggiungimento dell’intesa fra i diversi livelli territoriali coinvolti nelle scelte stesse” (art. 1, comma 2, lett. o) della legge 78/2022).
Nel presente codice la disciplina del dibattito pubblico è delineata nell’allegato I.6, che riprende i contenuti del vigente d.P.C.M. 10 maggio 2018, n. 76, ma, nel contempo, sopprime la Commissione nazionale per il dibattito pubblico. L’allegato individua le opere soggette a dibattito pubblico obbligatorio, le esclusioni, il procedimento di indizione, i compiti e le funzioni sia del responsabile del dibattito che della stazione appaltante, nonché lo svolgimento di tale procedura fino alla sua conclusione.
Il comma 1 attribuisce alla stazione appaltante o all’ente concedente il potere di indire il dibattito pubblico oltre i casi di procedura obbligatoria, e ciò nell’ipotesi in cui se ne ravvisi l’opportunità in ragione della particolare rilevanza sociale dell’intervento e del suo impatto sull’ambiente e sul territorio.
Il comma 2 specifica l’atto e la procedura attraverso cui l’allegato può essere modificato.
Il comma 3 disciplina l’indizione del dibattito pubblico, prescrivendo – con evidente finalità di pubblicità notizia – che sia pubblicato sul sito istituzionale della stazione appaltante o dell’ente concedente una relazione contenente il progetto dell’opera e l’analisi di fattibilità delle eventuali alternative progettuali.
Il comma 4 definisce il novero dei soggetti legittimati a partecipare al dibattito pubblico, prevedendo che tale partecipazione sia estesa, ed attuata mediante la possibilità di presentare osservazioni e proposte entro 60 giorni dalla pubblicazione della relazione ai sensi del comma 3, ai soggetti, portatori di interessi diffusi, che siano interessati dall’intervento, ma sotto la condizione che siano costituiti in associazioni o comitati, il che implica la verifica della legittimazione di questi ultimi secondo le relative previsioni statutarie.
Il comma 5 detta, nel solco della semplificazione procedimentale, le modalità ed i tempi di conclusione del procedimento, individuando i compiti del responsabile del dibattito pubblico, da dettagliare nel regolamento.
Il comma 6 stabilisce che l’ente competente a valutare gli esiti del dibattito pubblico è la stazione appaltante o l’ente concedente.
Il comma 7 dispone la salvaguardia delle norme speciali relative agli interventi finanziati dal PNRR o dal PNC.
Il comma 8 richiama il contenuto dell’allegato I.6, relativo alla disciplina dei casi in cui il dibattito pubblico è obbligatorio, delle modalità di partecipazione e di svolgimento del dibattito pubblico, delle modalità di individuazione e dei compiti del responsabile del dibattito pubblico, nonché degli eventuali contenuti ulteriori della relazione iniziale e di quella conclusiva del procedimento di dibattito pubblico.
Allegato I.6
Questo allegato riprende i contenuti del vigente d.P.C.M. 10 maggio 2018, n. 76, adottato in attuazione dell’articolo 22 del d.lgs. n. 50/2016. Oltre ad alcune scelte di semplificazione anche terminologica (ad esempio, il “coordinatore del dibattito pubblico” diventa il “responsabile” dello stesso), la principale novità è costituita dalla soppressione della Commissione nazionale per il dibattito pubblico, già istituita dall’articolo 4 del citato d.P.C.M. n. 76/2018 con compiti di monitoraggio, regolazione e pubblicità dei dibattiti pubblici attivati dalle varie stazioni appaltanti.
PARTE IV
DELLA PROGETTAZIONE
Art. 41
L’articolo attua una significativa revisione della disciplina vigente con lo scopo di semplificare i contenuti della disciplina contenuta nel codice, rinviando ad allegati per aspetti di carattere più prettamente tecnico e operativo.
Il comma 1 introduce una riduzione degli attuali tre livelli di progettazione a due soli livelli costituiti dal progetto di fattibilità tecnica ed economica e dal progetto esecutivo, specificando gli scopi della progettazione. Tale soluzione costituisce attuazione del criterio direttivo previsto dalla legge delega, finalizzato alla “semplificazione delle procedure relative alla fase di approvazione dei progetti in materia di opere pubbliche, anche attraverso la ridefinizione dei livelli di progettazione ai fini di una loro riduzione, lo snellimento delle procedure di verifica e validazione dei progetti e la razionalizzazione della composizione e dell’attività del Consiglio superiore dei lavori pubblici” (art. 1, comma 2, lett. q).
Il comma 2 prevede che in apposito allegato al codice (allegato I.7), avente natura regolamentare, venga definito il contenuto minimo del quadro delle necessità e del documento di indirizzo della progettazione che le stazioni appaltanti e gli enti concedenti devono predisporre.
Il comma 3 specifica ulteriormente i contenuti dell’allegato I.7, nel quale, coerentemente con il principio del risultato, sono definiti i requisiti delle prestazioni che devono essere previsti nel progetto di fattibilità tecnico
– economica. Si precisa, altresì, che qualora vengano impiegati metodi e strumenti di gestione informativa digitale delle costruzioni, il documento di indirizzo della progettazione debba, altresì, contenere il capitolato informativo.
Con il comma 4 viene introdotta nel codice la disciplina relativa alla archeologia preventiva, attualmente recata nell’art. 25 del d.lgs. n. 50/2017, richiesta dalla Convenzione europea per la tutela del patrimonio archeologico, elaborata in seno al Consiglio d’Europa, fatta alla Valletta il 16 gennaio 1992, ratificata dall’Italia con la l. n. 57 del 2015. Si è ritenuto, in linea con l’impostazione del nuovo codice, di richiamare nella norma primaria l’istituto attraverso un rinvio alla disciplina di dettaglio contenuta nell’allegatoI.8. , nella quale vengono dettagliati i profili procedurali, i contenuti della verifica e gli ulteriori elementi che attualmente figurano nel sopra indicato art. 25 e nelle relative disposizioni di attuazione.
Il comma 5 traduce in concreto la disposta riduzione dei livelli di progettazione, stabilendo che la stazione appaltante o l’ente concedente definiscono, in funzione della specifica tipologia e dimensione dell’intervento, indica le caratteristiche, i requisiti e gli elaborati progettuali necessari per la definizione di ogni fase della relativa progettazione. Si specifica, inoltre, in ottica semplificatoria, che per gli interventi di manutenzione ordinaria e straordinaria possa omettersi la redazione del progetto di fattibilità tecnica ed economica a condizione che il progetto esecutivo contenga tutti gli elementi previsti per il livello omesso.
Il comma 6 dettaglia le finalità ed il contenuto del progetto di fattibilità tecnico – economica, fornendo i criteri da osservare per la relativa redazione e stabilendo che l’approvazione di tale progetto legittima, con valore sostanziale di vincolo, l’avvio della procedura espropriativa.
Il comma 7 risponde a scopi di semplificazione, specificando che per le opere in variante urbanistica di cui all’art. 19 del d.P.R. n. 327/2001 il progetto di fattibilità tecnico-economica sostituisce il progetto preliminare e quello definitivo.
Il comma 8 contiene l’indicazione del contenuto del progetto esecutivo e dei necessari documenti a corredo, specificando che alla redazione provvede, di regola, lo stesso soggetto che ha predisposto il progetto di fattibilità tecnico-economica, per evidenti ragioni connesse alle garanzie di coerenza e speditezza. L’affidamento disgiunto non è precluso, imponendosi, però, l’esplicitazione delle ragioni per le quali si rende necessario, nonché l’accettazione da parte del nuovo progettista, senza riserve, dell’attività progettuale svolta in precedenza.
Il comma 9 contiene una specificazione per il caso in cui entrambi i livelli di progettazione costituiscano oggetto di affidamento esterno, stabilendosi, in tale ipotesi, che l’avvio della progettazione esecutiva è condizionato alla determinazione delle stazioni appaltanti e degli enti concedenti sul progetto di fattibilità tecnico-economica; inoltre, anche in tal caso, ai fini della verifica di coerenza tra le varie fasi (rispondenza del progetto alle esigenze espresse nel documento d’indirizzo; conformità alla normativa vigente), trovano applicazione le previsioni dell’art. 42, comma 1 concernenti la progettazione dei lavori.
Il comma 10 stabilisce, in continuità con le analoghe previsioni contenute nel codice vigente e con lo scopo di garantire equilibrio ed efficienza nella gestione, che gli oneri correlati a tutte le attività specificamente indicate gravano sulle disponibilità finanziarie della stazione appaltante o dell’ente concedente.
Il comma 11, invece, replicando quanto già ribadito nel comma 11 ter dell’art. 23 del codice vigente, alloca sulle risorse iscritte sui pertinenti capitoli dello stato di previsione del Ministero dell’economia e delle finanze, trasferite all’Agenzia del demanio, le spese strumentali, incluse quelle per sopralluoghi, afferenti alle attività di predisposizione del piano degli interventi del sistema accentrato delle manutenzioni, di cui all’art. 12 del
d.l. n. 98/2011, convertito, con modificazioni, dalla l. n. 111/2011.
Con il comma 12 viene confermata la precedente articolazione della progettazione nel caso di servizi e forniture in unico livello i cui contenuti vengono disciplinati in allegato.
Con il comma 13 viene mantenuta la disciplina vigente di cui all’art. 23, comma 16 del d.lgs. n. 50/2016 relativa alla determinazione del costo della manodopera sulla base delle Tabelle del Ministero del lavoro elaborate prendendo a riferimento i contratti collettivi di settore più rappresentativi vigenti. In mancanza di contratto collettivo di settore si fa riferimento a quello del settore più affine. Nel caso di contratti di lavori, viene precisato che il costo di prodotti, delle attrezzature e delle lavorazioni può essere determinato adottando:
- i prezzari correnti regionali;
- i prezzari predisposti o individuati dalla stazione appaltante e dall’ente concedente.
I prezzari devono essere aggiornati rappresentando la situazione dei costi presenti nel mercato ed evitando la formazione di basi d’asta che non consentano la formulazione di un’offerta a ribasso. Quale clausola di chiusura, si è previsto che in caso di mancata disponibilità di un prezzario aggiornato è previsto il ricorso a
listini ufficiali o ai listini delle locali camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura oppure, in difetto, ai prezzi correnti di mercato in base al luogo di effettuazione degli interventi.
Allegato I.7
Questo allegato contiene la disciplina dei contenuti della progettazione nei suoi due diversi livelli, nonché della verifica della progettazione medesima, dando attuazione agli articoli da 41 a 44 del codice.
Si tratta di un allegato fortemente innovativo rispetto alla disciplina previgente, nella cui predisposizione si è tenuto conto delle norme del previgente d.P.R. 5 ottobre 2010, n. 207, costituenti ancora la disciplina attuativa vigente su questi aspetti, ma anche di provvedimenti elaborati e mai entrati in vigore, quali lo schema di decreto ministeriale recante “Definizione dei contenuti della progettazione nei tre livelli progettuali” e lo schema di regolamento unico predisposto in attuazione dell’articolo 216, comma 27-octies, del d.lgs. n. 50/2016, nonché del d.m. 1 dicembre 2017, n. 560, con il quale, ai sensi dell’articolo 23, comma 13, del codice vigente, sono stati definiti i tempi e le modalità della progressiva, obbligatoria introduzione, da parte delle stazioni appaltanti, delle amministrazioni concedenti e degli operatori economici, nelle fasi di progettazione, costruzione e gestione delle opere e relative verifiche, dei metodi e strumenti elettronici specifici, quali quelli di modellazione per l’edilizia e le infrastrutture (c.d. “appalti BIM”).
Tra i principali aspetti innovativi introdotti dal nuovo codice, in relazione ai contenuti e alle modalità di elaborazione del progetto, ai quali l’allegato si conforma, vanno richiamati in particolare:
a) la semplificazione dei livelli di progettazione, con la riduzione degli stessi a due, il progetto di fattibilità tecnico-economica (PFTE) e il progetto esecutivo (articolo 41 del codice);
b) la crescente valorizzazione dell’uso di tecnologie digitali per l’attività di progettazione (articolo 43 del codice).
Per quanto riguarda la verifica e la validazione del progetto, le norme dell’allegato recepiscono le ulteriori novità introdotte dal nuovo codice, con la tendenziale devoluzione di tali attività alla stessa stazione appaltante, per tramite del RUP o delle proprie strutture tecniche e amministrative, e la perimetrazione a casi tipizzati della esternalizzazione di tali prestazioni tecniche.
Allegato I.8
Sulla base della delegificazione operata dall’articolo 41, comma 4, questo allegato riprende in larga parte i contenuti del vigente articolo 25, d.lgs. n. 50/2016, con alcune significative modifiche, e in particolare:
a) sono eliminati i passaggi procedurali e gli istituti contemplati nei commi da 4 a 7 del suindicato articolo 25, rendendo la procedura più rapida e snella;
b) il termine di conclusione della verifica archeologica, dapprima rimesso alla determinazione della competente Soprintendenza, oggi è direttamente stabilito dalla norma;
c) scompare la previsione speciale di cui al comma 15 dell’attuale articolo 22 a proposito degli interventi in aree di particolare interesse produttivo.
Art. 42
L’articolo in esame specifica le modalità di espletamento e individua i profili oggetto della verifica della progettazione.
Il comma 1 prevede che ogni progetto sia sottoposto a una verifica correlata ai contenuti del documento d’indirizzo progettuale ed alle norme applicabili; tale verifica è demandata ad un unico organo, ha luogo durante lo sviluppo della progettazione in ciascuno dei suoi livelli e termina con la verifica del progetto esecutivo prima dell’inizio dei lavori. La verifica in corso di progettazione, già prevista dall’abrogato DPR 207/2010, risulta, quindi, maggiormente valorizzata mediante la previsione contenuta nella fonte primaria. Si chiarisce l’oggetto della verifica nel caso di appalto integrato, disponendo che la stessa avvenga su entrambi i livelli di progettazione: sia il PFTE (eventualmente redatto dalla stazione appaltante o da un progettista esterno affidatario di specifico incarico professionale), sia il progetto esecutivo, la cui esecuzione è affidata all’operatore economico nell’ambito della procedura di appalto relativa anche all’esecuzione dei lavori. In questo caso, si ritiene opportuno che la verifica di entrambi i livelli del progetto sia condotta, anche a distanza di tempo, dal medesimo soggetto, al fine di sfruttarne la pregressa conoscenza acquisita durante lo sviluppo del primo livello di progettazione.
Il comma 2 disciplina la dimensione soggettiva della verifica, chiarendo che il RUP, se non effettua personalmente la verifica, ne segue lo sviluppo parallelamente alla progettazione, garantendo il contraddittorio tra il soggetto che esegue la verifica e il progettista, il tutto a comprova della centralità della sua funzione di controllo procedimentale e sostanziale. Per la medesima finalità, è prevista l’incompatibilità dell’attività di verifica con lo svolgimento delle funzioni tecniche nell’ambito della procedura (attività di progettazione, di coordinamento della relativa sicurezza, di direzione dei lavori e di collaudo).
Nel comma 3 è stato ripreso il tema della semplificazione amministrativa in relazione ai rapporti tra le attività di verifica del progetto e l’ottenimento delle diverse autorizzazioni amministrative. Un’importante novità, che trae spunto dalla disciplina di cui all’art. 44 del d.l. n. 77/2021, è che l’attività di verifica comprende anche l’ottemperanza alle prescrizioni impartite dagli enti competenti nel corso della conferenza di servizi prima dell’avvio della fase di affidamento, a garanzia della effettiva possibilità di dar corso all’esecuzione dei lavori senza la necessità di ulteriori approvazioni o autorizzazioni. Le attività di controllo previste dal processo di verifica dei progetti presentano, inoltre, ampie aree di sovrapposizione con le autorizzazioni di diversi enti, specialmente per quanto attiene alle materie disciplinate dal DPR n. 380/2001 (titoli edilizi, strutture in cemento armato e acciaio, costruzioni in zona sismica). A tal fine, il comma prevede che la conformità alle norme tecniche, accertata in sede di verifica del progetto, assolve anche gli obblighi di deposito e autorizzazione per le costruzioni in zona sismica ed integra denuncia dei lavori all’ufficio del genio civile. I progetti, corredati dalla verifica, sono soggetti a deposito con modalità telematica presso l’Archivio informatico nazionale delle opere pubbliche del Ministero delle infrastrutture e della mobilità sostenibili.
Il comma 4 disciplina l’atto di validazione, specificando che si tratta dell’atto formale sottoscritto dal responsabile del relativo procedimento e indicato nel bando o nella lettera di invito. La norma, inoltre, definisce puntualmente il contenuto dell’atto di validazione, stabilendo che debbano essere indicati gli esiti della verifica, il riferimento al rapporto conclusivo del soggetto preposto alla verifica e le eventuali controdeduzioni del progettista.
Il comma 5 rinvia all’allegato I I.7. la disciplina dei contenuti e delle modalità di verifica nonché dei soggetti che vi provvedono, chiarendo, sul piano contabile-finanziario, che gli oneri conseguenti all’accertamento della rispondenza agli elaborati progettuali sono ricompresi nelle risorse stanziate per la realizzazione delle opere.
Art. 43
L’articolo in esame si prefigge di attuare i principi e criteri di cui all’art. 1, comma 2, lettere m) e q) della legge delega e, in coerenza con l’introduzione del principio del risultato di cui all’art. 1 del nuovo codice, mira a favorire, attraverso l’uso di metodi e strumenti di gestione informativa digitale delle costruzioni (c.d. BIM) il miglior esito dell’investimento pubblico. La metodologia di gestione in esame, infatti, assicura la riduzione della complessità dei procedimenti, oltre al contenimento delle tempistiche, in tal modo implementando il livello di efficienza e di efficacia nella realizzazione e gestione delle opere e dei servizi connessi.
La principale ragione del crescente interesse registratosi nell’ultimo decennio per la metodologia in argomento, a livello internazionale e continentale, risiede, invero, nella necessità di ridurre il rischio di insuccesso negli investimenti pubblici in capitale sociale fisso, sia immobiliare sia infrastrutturale, mediante una migliore gestione della complessità organizzativa, gestionale e tecnica, con sensibili vantaggi per tutti i soggetti interessati.
L’uso di metodi e strumenti di gestione informativa digitale delle costruzioni non costituisce, infatti, una novità, essendo già previsto dall’art. 23, comma 13 del d. lgs. n. 50/2016, in attuazione del quale è stato emanato il d.m. n. 560/2017, recante la specifica disciplina, successivamente integrato e modificato con il d.m.
n. 312/2021, conseguente all’entrata in vigore dell’art. 48, comma 6 del d.l. n. 77/2021.
Il nuovo codice segna un passo in avanti sotto il profilo dell’ampliamento applicativo della metodologia di gestione in esame, alla luce dei risconti determinatasi nell’esperienza delle amministrazioni e di un forte impulso al raggiungimento di un’adeguata maturità digitale delle stazioni appaltanti e degli enti concedenti, con precipuo riferimento al rafforzamento delle capacità di gestione del singolo investimento pubblico e del relativo procedimento tecnico – amministrativo, considerato all’interno della logica complessiva di funzionalizzazione dell’organizzazione, nonché dell’eventuale ruolo di gestione patrimoniale dei cespiti nel corso del ciclo di vita degli stessi.
L’intervento in argomento assume, peraltro, una particolare pregnanza, tenuto conto della circostanza che la riduzione e la qualificazione delle stazioni appaltanti e degli enti concedenti determinerà un più intenso ricorso alla delega, con sottoscrizione di accordi e convenzioni con le amministrazioni pubbliche meno qualificate e strutturate.
Sotto il profilo terminologico, si evidenzia che la locuzione utilizzata corrisponde, sia pure in senso non strettamente letterale, alla definizione generalmente utilizzata a livello internazionale per indicare il Building Information Modelling (BIM) entro il contesto più ampio dell’Information Management: gestione informativa mediante il Building Information Modelling.
Le previsioni contenute nel presente articolo, aventi carattere generale, sono integrate dall’apposito allegato I.9, alla cui relazione si rinvia. Nella predisposizione della disciplina di dettaglio, peraltro, potrà essere valutata anche una integrazione, ritenuta opportuna, del sistema di gestione in esame con altri preesistenti, quali, a titolo esemplificativo, il sistema di controllo di gestione, il sistema di gestione per la qualità, per la salute e sicurezza, per l’ambiente, per la responsabilità sociale, per la sicurezza dei dati.
Il comma 1 attiene all’individuazione dei casi nei l’uso dei metodi e strumenti di gestione informativa digitale è obbligatoria, fissando la data di entrata in vigore di detto obbligo.
Sul punto si rendono necessarie le seguenti considerazioni.
Tra le varie opzioni vagliate è stata ritenuta preferibile quella di individuazione di un termine unico e generale, stabilito, secondo ragionevolezza, nella data del 1° gennaio 2025.
La previsione, dunque, sostituirà le tempistiche attualmente stabilite dall’art. 6 del d.m. n. 312/2021, il quale reca il riferimento, secondo una logica di gradualità, alla data del 1° gennaio 2023 (per le opere di nuova costruzione e interventi su costruzioni esistenti, fatta eccezione per le opere di ordinaria e straordinaria manutenzione di importo a base di gara pari o superiore alla soglia di cui all’articolo 35 del codice dei contratti pubblici vigente) ed alla data del 1° gennaio 2025 (per le opere di nuova costruzione, e interventi su costruzioni esistenti, fatta eccezione per le opere di ordinaria e straordinaria manutenzione di importo a base di gara pari o superiore a 1 milione di euro).
L’opzione seguita risponde a una duplice esigenza: per un verso, si è inteso stabilire nella fonte normativa primaria il termine di entrata in vigore dell’obbligo con lo scopo di rafforzarne certezza ed effettività; sotto altro profilo, si è ritenuto che, nell’impianto di disciplina complessivo nel quale la norma si inserisce, l’individuazione di una tempistica congrua ma generalizzata risulti maggiormente rispondente alle finalità perseguite, stante anche la già evidenziata esperienza maturata nel ricorso a tali metodologie ed in contestuale
processo di qualificazione delle stazioni appaltanti e degli enti concedenti. A tale ultimo riguardo, inoltre, non si è ritenuto di ribadire la valenza dell’uso delle metodologie di modellazione informativa quale parametro di valutazione dei requisiti premiali per la qualificazione delle stazioni appaltanti e degli enti concedenti, al fine di evitare ultronee duplicazioni con la disposizione specificamente dedicata a tale aspetto.
La formulazione della disposizione esclude la necessità dell’adozione di una norma transitoria, continuando a trovare applicazione, nelle more, la disciplina attualmente vigente.
Una notazione particolare deve essere svolta, inoltre, con riguardo alla soglia stabilita per l’operatività dell’obbligo, ancorata all’importo a base di gara superiore a un milione di euro in continuità con la disciplina attualmente vigente evitando un “arretramento” con riferimento all’ambito applicativo in distonia con le finalità perseguite.
Si sottolinea che la determinazione di tale soglia dovrà, comunque, essere verificata in relazione alle scelte di carattere più strettamente politico che si riterrà di operare, dovendo essere considerata l’esigenza di favorire un’ampia diffusione delle metodologie in argomento senza eccessive compressioni delle capacità operative degli enti non adeguatamente qualificati che potrebbero risultare irragionevoli e sproporzionate.
Da quanto esposto consegue, dunque, che la scelta della soglia in questione potrà essere riconsiderata anche nella prospettiva di porre più solide basi per una estensione successivamente ad un periodo di più maturo consolidamento applicativo, durante il quale le stazioni appaltanti e gli enti concedenti dovranno acquisire piena padronanza nell’uso di tale metodo di gestione, riguardandolo non già nella limitata prospettiva del singolo investimento e del correlato procedimento tecnico-amministrativo bensì nel quadro di una strategia patrimoniale complessiva, nella consapevolezza dell’ampio spettro di controllo e gestione consentita, tale da coprire l’intero ciclo di vita delle opere, inclusa la fase della loro dismissione.
Al fine di assicurare un contemperamento delle sopra esposte esigenze, si è ritenuto, comunque, di mantenere ferma l’esclusione dell’operatività dell’obbligo relativamente alle opere di ordinaria e straordinaria manutenzione salvo che non siano state realizzate con l’utilizzazione dei metodi e strumenti in esame; nell’ipotesi da ultimo indicata, infatti, si è ritenuta prevalente l’esigenza di evitare “asimmetrie” suscettibili di dar luogo a problematiche applicative e difficoltà nella gestione.
Il comma 2 attiene, invece, alla possibilità per le stazioni appaltanti e gli enti concedenti di prevedere l'assegnazione di un punteggio premiale per l’uso nella progettazione dei metodi e strumenti elettronici specifici di cui al comma precedente. La previsione ricalca, con ampliamento della relativa applicazione, quanto previsto dall’art. 48, comma 6 del decreto-egge n. 77/2021, con lo scopo di incentivare il ricorso alla metodologia in argomento.
Al riguardo, potranno essere valorizzati, a titolo esemplificativo, con punteggi premiali:
a) proposte metodologiche per integrare gli aspetti di gestione del progetto con la gestione della modellazione informativa;
b) proposte metodologiche per l’implementazione dell’offerta di gestione informativa e del piano di gestione informativa in relazione alle esigenze di cantierizzazione, anche con strumenti innovativi di realtà aumentata e di interconnessione tra le entità presenti in cantiere;
c) proposte metodologiche volte a consentire un’analisi efficace dello studio, tra l’altro, di varianti migliorative e di mitigazione del rischio;
d) proposte che consentano alla stazione appaltante e all’ente concedente di disporre di dati e informazioni utili per l’esercizio delle proprie funzioni ovvero per il mantenimento delle caratteristiche di interoperabilità dei modelli informativi;
e) previsione di modalità digitali per la tracciabilità dei materiali e delle forniture e per la tracciabilità dei processi di produzione e montaggio, anche ai fini del controllo dei costi del ciclo di vita dell’opera;
f) proposte volte ad utilizzare i metodi e gli strumenti elettronici per raggiungere obiettivi di sostenibilità ambientali anche attraverso i principi del green public procurement;
g) previsione di strumenti digitali per aumentare il presidio di controllo sulla sicurezza dei lavori e del personale coinvolto nell’esecuzione;
h) previsione di modelli digitali che consentano di verificare l’andamento della progettazione e dei lavori e/o che consentano di mantenere sotto controllo costante le prestazioni del bene, compresi i sistemi di monitoraggio e sensoristica;
i) impiego di metodi e strumenti digitali che consentano alla stazione appaltante e all’ente concedente di monitorare, in tempo reale, l’avanzamento del cronoprogramma e dei costi dell’opera.
L’utilizzazione, in via facoltativa, di metodi e strumenti di gestione informativa digitale delle costruzioni resta, comunque, subordinata all’adozione delle misure prescritte nell’allegato previsto al comma 4 della disposizione, stante la necessaria competenza tecnica richiesta.
Si è ritenuto, altresì, opportuno richiamare la norma generale di cui all’art. 9 del nuovo codice soprattutto per rimarcare la necessità dell’adozione di misure tecniche ed organizzative a presidio della sicurezza informatica, restando salva la possibilità di una valorizzazione delle proposte più evolute e performanti in relazione a tale profilo e in conformità alla disciplina generale.
Il comma 3 disciplina l’interoperabilità delle piattaforme, costituente un paradigma cruciale nel processo di digitalizzazione, ponendosi un vincolo a livello di fonte primaria di utilizzazione di formati aperti non proprietari al precipuo scopo di escludere una incidenza pregiudizievole sulla concorrenza, favorendo anche la possibilità di condivisione dei dati tra le pubbliche amministrazioni e gli operatori economici partecipanti alla procedura aggiudicatari o incaricati dell’esecuzione del contratto (appaltatori, subappaltatori, collaudatori).
Il comma 4 indica il contenuto dell’allegato I.9, relativo ai metodi e strumenti di gestione informativa digitale delle costruzioni, nel quale sono disciplinati tutti i profili specificamente indicati dal comma.
Il comma 5 specifica l’atto e la procedura attraverso cui l’allegato può essere modificato.
Allegato I.9
In questo allegato è compendiata la disciplina attuativa di quanto previsto dall’articolo 43 del codice in tema di progettazione digitale, e quindi non soltanto i requisiti tecnici delle piattaforme informatiche utilizzabili e della loro interoperabilità, ma anche le misure organizzative e di formazione del personale che le stazioni appaltanti dovranno adottare al fine di rendere effettiva la possibilità di operare sulla base di un progetto interamente digitalizzato.
Le disposizioni contenute nell’allegato riprendono, aggiornandole e superandole, quelle già contenute nel d.m. 1 dicembre 2017, n. 560, emanato a suo tempo in attuazione dell’articolo 23, comma 13, del d.lgs. n. 50/2016.
Art. 44
In linea generale l’appalto integrato è vietato in ragione della disciplina contenuta nell’art. 59, comma 1, del d.lgs. 50/2016. Dal divieto sono esclusi gli affidamenti a contraente generale, con finanza di progetto, in concessione, in partenariato pubblico privato, con contratto di disponibilità o locazione finanziaria e in caso di realizzazione di opere di urbanizzazione a scomputo. L’art. 1 bis della predetta disposizione (inserito dall'art. 38, comma 1, lett. c), del d.lgs. 56/2017), consente tuttavia l’espletamento di questa tipologia di appalto se l'elemento tecnologico o innovativo delle opere oggetto di affidamento è “nettamente prevalente rispetto all'importo complessivo”.
Il divieto di affidare lavori con appalto integrato è stato, tuttavia, oggetto di sospensione fino al 30 giugno 2023 per effetto dell’art. 1, comma 1, lett. b) della l. n. 55/2019, come modificata dall'art. 8, comma 7 del d.l.
n. 76/2020, convertito nella l. 120/2020, ed ancora, per effetto del differimento previsto dall’art. 52, comma 1, lett. a) della l. n. 108/2021; va, peraltro, considerato che per gli appalti nell'ambito del PNRR/PNC l’affidamento di progettazione ed esecuzione è ammesso sulla base di quanto previsto dall’art. 48, comma 5 del d.l. n. 77/2021, convertito nella l. n. 108/2021.
La legge delega ha affidato al legislatore delegato il compito di individuare le “ipotesi in cui le stazioni appaltanti possono ricorrere all'affidamento congiunto della progettazione e dell'esecuzione dei lavori, fermi restando il possesso della necessaria qualificazione per la redazione dei progetti nonché l'obbligo di indicare nei documenti di gara o negli inviti le modalità per la corresponsione diretta al progettista, da parte delle medesime stazioni appaltanti, della quota del compenso corrispondente agli oneri di progettazione indicati espressamente in sede di offerta dall'operatore economico, al netto del ribasso d'asta” (art. 1, comma 2, lett. ee) della l. n. 78/2022).
Il comma 1 ammette l’appalto integrato per i lavori complessi, rimettendo alla stazione appaltante o all’ente concedente, se qualificato, e ciò nell’ambito della decisione di contrarre, di poter stabilire che il contratto abbia per oggetto la progettazione esecutiva e l’esecuzione dei lavori sulla base di un progetto di fattibilità tecnico- economica previamente approvato; una facoltà, di converso, non esercitabile per appalti di valore predefinito, con rinvio all’allegato, e per appalti che, indipendentemente dal loro valore, abbiano ad oggetto opere di manutenzione ordinaria e straordinaria.
Il comma 2 prevede che l’opzione per l’appalto integrato debba essere motivata con riferimento alle esigenze tecniche e tenendo sempre conto del rischio di eventuali scostamenti di costo nella fase esecutiva rispetto a quanto contrattualmente previsto. Ciò comporta che, nella determinazione a contrarre, la stazione appaltante è tenuta ad esplicitare che sussistono le condizioni legittimanti, ovvero che l’affidamento in corso di svolgimento non rientra nelle categorie per le quali è escluso l’affidamento congiunto di progettazione ed esecuzione e che abbia ad oggetto lavori complessi.
Il comma 3 pone un principio di particolare specializzazione professionale nei confronti degli operatori da ammettere alle procedure di affidamento di appalti integrati, stabilendosi che debbano possedere i requisiti prescritti per i progettisti o, in mancanza, debbano avvalersi di progettisti qualificati, da indicare nell’offerta (e, quindi, da individuare preventivamente nella compagine che partecipa alla gara), ovvero, in alternativa, partecipare in raggruppamento con soggetti qualificati per la progettazione. Quale profilo innovativo, si prevede che la qualificazione per la progettazione comprende anche l’uso di metodi e strumenti digitali per la gestione informativa mediante modellazione.
Il comma 4 stabilisce che le offerte relative ad appalti integrati siano valutate mediante il solo criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa, individuata sulla base del miglior rapporto qualità/prezzo, e che si indichi distintamente il corrispettivo richiesto per la progettazione e per l'esecuzione dei lavori. Tale previsione non è da ritenere derogabile mediante il ricorso alle procedure negoziate senza bando, che ai sensi dell’art. 1, comma 3 del d.l. n. 76/2020 consentono, a determinate condizioni, di avvalersi del criterio del prezzo più basso.
Il comma 5 prevede che l’esecuzione dei lavori può iniziare solo dopo l'approvazione, da parte della stazione appaltante, del progetto esecutivo al fine di evitare che la verifica della progettazione determini rallentamenti o blocchi della procedura.
Art. 45
L’articolo disciplina gli incentivi per funzioni tecniche, rinviando all’allegato I.10 per l’elenco delle attività da incentivare.
La previsione, sebbene semplificata rispetto alla versione precedente contenuta nell’art. 113 del d.lgs. 50/2016, reca una disciplina non limitata alle linee generali, ma estesa a profili di dettaglio, e ciò allo scopo di prevenire le difficoltà e le incertezze in cui incorrono le amministrazioni nella fase applicativa, anche per i timori di responsabilità amministrativa connessa all’erogazione di incentivi non dovuti.
La finalità è quella di stimolare, attraverso la corretta erogazione degli incentivi, l’incremento delle professionalità interne all’amministrazione e il risparmio di spesa per mancato ricorso a professionisti esterni.
Il comma 1 stabilisce che le risorse per remunerare le attività tecniche gravano sugli stanziamenti relativi alle procedure di affidamento, estendendo la previsione alle attività tecniche relative a tutte le procedure e non solo all’appalto. Si superano, in tal modo, le difficoltà discendenti dalla vigente formulazione che, a parità di funzioni tecniche svolte, consentiva l’erogazione dell’incentivo ai dipendenti solo in caso di appalti ed escludeva tutte le altre procedure e gli affidamenti diretti. La disposizione rinvia a un allegato al codice per l’elencazione – tassativa – delle attività tecniche da remunerare.
Il comma 2 individua un limite percentuale (il due per cento) delle risorse che, a valere sugli stanziamenti delle procedure di affidamento, possono essere destinate alle remunerazioni delle funzioni tecniche e alle ulteriori finalità contemplate dalla disposizione. Il limite massimo percentuale è volto ad evitare l’espansione incontrollata della spesa in questione (sul punto cfr. Corte dei conti, sezione delle autonomie, delibera n. 6/SEZAUT/2018/QMIG). Si specifica che la disciplina si applica anche agli appalti relativi a servizi o forniture nel caso in cui sia nominato il direttore dell’esecuzione. È, in ogni caso, fatta salva la possibilità per le stazioni appaltanti e gli enti concedenti di prevedere una modalità diversa di remunerazione delle funzioni tecniche del proprio personale. In tal caso, l’incentivo non si applica, escludendo qualunque sovraincentivazione.
Il comma 3 stabilisce che gli incentivi per funzioni tecniche (pari all’80 per cento delle risorse di cui al comma 2) sono erogati direttamente al personale dipendente, senza la confluenza nel fondo per l’incentivazione come previsto dal vigente articolo 113 del d.lgs. 50/2016, attuando una notevole semplificazione sul piano finanziario, burocratico e contabile. Si specifica che: i) l’incentivo è ripartito tra il RUP e i soggetti che svolgono le funzioni tecniche indicate nell’allegato nonché tra i loro collaboratori; ii) gli importi sono comprensivi anche degli oneri previdenziali e assistenziali a carico dell’amministrazione. Si rinvia al regolamento della singola amministrazione per la determinazione dei criteri del riparto delle somme, ivi compresa (con una previsione in chiave di incentivo al rispetto di tempi e costi) la riduzione delle risorse a fronte di eventuali incrementi di tempi o costi rispetto a quanto previsto dal progetto esecutivo.
Il comma 4 subordina l’erogazione dell’incentivo di cui al comma precedente all’accertamento e attestazione, ad opera del responsabile del servizio della struttura competente o da altro dirigente incaricato, dell’effettivo svolgimento, da parte del dipendente, delle specifiche funzioni tecniche. È previsto un tetto massimo individuale: gli importi complessivamente maturati (secondo il criterio della competenza, a prescindere dalla data di pagamento) nel corso dell’anno di competenza, anche per attività svolte per conto di altre amministrazioni, non possono superare il trattamento economico complessivo annuo lordo percepito dal dipendente, l’ammontare eccedente incrementa la quota di incentivo alle finalità di cui al comma 5. Alle medesime finalità sono destinale le quote di incentivo non erogato per prestazioni non svolte o prive dell’attestazione del dirigente. È rimessa alla scelta politica se estendere o meno la disciplina ai dirigenti, in deroga al principio di onnicomprensività della remunerazione.
Il comma 5 prevede che la residua percentuale delle risorse indicate al comma 2 (20 per cento), con esclusione delle somme a destinazione vincolata, sia destinata a una serie di finalità, specificate ai successivi commi 6 e
7. Come già chiarito le somme in questione sono incrementate dai seguenti importi: i) importi relativi a prestazioni non svolte o prive dell’attestazione del dirigente; ii) importi eccedenti il limite massimo annuo previsto al comma 4 per ciascun dipendente.
I successivi commi 6 e 7 indicano le destinazioni delle risorse dei commi precedenti. Tra queste, in particolare, si segnalano l’obbligo di destinazione alla formazione per l’incremento delle competenze digitali, alla specializzazione del personale che svolge funzioni tecniche, all’assicurazione obbligatoria del personale.
Il comma 8 prevede che una quota degli incentivi previsti dal comma 2, non superiore al 25 per cento possono essere destinate alle funzioni tecniche svolte dal personale delle centrali di committenza.
Allegato I.10
Questo allegato riproduce, in modo più analitico e preciso il contenuto del comma 1 dell’attuale articolo 113, d.lgs. n. 50/2016, nella parte in cui indicava in modo più generico le “funzioni tecniche” a cui favore devono essere stanziati gli incentivi disciplinati dallo stesso articolo.
Art. 46
L’articolo disciplina i concorsi di progettazione.
Il comma 1 rinvia alla disciplina contenuta nelle direttive comunitarie sugli appalti pubblici e sui settori speciali. Il carattere dettagliato dei capi delle direttive relativi ai concorsi di progettazione ne rende superflua la riproduzione nell’ordinamento interno, dovendosi tenere conto del criterio direttivo della legge delega, finalizzato al “perseguimento di obiettivi di stretta aderenza alle direttive europee, mediante l’introduzione o il mantenimento di livelli di regolazione corrispondenti a quelli minimi richiesti dalle direttive stesse, ferma rimanendo l’inderogabilità delle misure a tutela del lavoro, della sicurezza, del contrasto al lavoro irregolare, della legalità e della trasparenza, al fine di assicurare l’apertura alla concorrenza e al confronto competitivo fra gli operatori dei mercati dei lavori, dei servizi e delle forniture, con particolare riferimento alle micro, piccole e medie imprese, tenendo conto delle specificità dei contratti nei settori speciali e nel settore dei beni culturali, anche con riferimento alla fase esecutiva, nonché di assicurare la riduzione e la razionalizzazione delle norme in materia di contratti pubblici, con ridefinizione del regime della disciplina secondaria, in relazione alle diverse tipologie di contratti pubblici, ove necessario” (art. 1, comma 2 della l. n. 78/2022). I commi successivi contengono una disciplina aggiuntiva rispetto a quella delle direttive.
Il comma 2 prevede che il concorso di progettazione può svolgersi in una o due fasi. Nel primo caso, che costituisce la regola, il concorso è direttamente finalizzato all’acquisizione di un progetto con un livello di approfondimento corrispondente a quello del progetto di fattibilità tecnica ed economica. Nel secondo caso, che costituisce una soluzione opzionabile da parte della stazione appaltante o dell’ente concedente mediante adeguata motivazione, la prima fase è diretta a selezionare le migliori proposte ideative, mentre la seconda fase (che si svolge tra i concorrenti selezionati nella prima) è finalizzata all’acquisizione del progetto di fattibilità tecnica ed economica. In caso di concessione, la proposta deve comprendere uno studio economico finanziario per la realizzazione e gestione dell’opera.
Il comma 3 prevede che, nei casi di concorsi di progettazione che prevedono premi di partecipazione o versamenti a favore dei partecipanti, il pagamento del premio determina il trasferimento della proprietà del progetto dal vincitore alla stazione appaltante o all’ente concedente. Si chiarisce che è ammesso l’affidamento al vincitore del concorso dei successivi livelli di progettazione, mediante procedura negoziata senza previa pubblicazione del bando o, nei settori speciali, senza indizione di gara, purché tale facoltà sia stata prevista, con effetto di autovincolo amministrativo, nel bando del concorso; vengono, altresì, specificate le modalità di calcolo della soglia di rilevanza comunitaria.
Il comma 4 stabilisce, infine, l’applicazione delle disposizioni in esame anche ai concorsi di idee, definendo la platea dei soggetti ammessi a parteciparvi ed ulteriori profili specificamente riferiti a tali procedure. In particolare, possono partecipare, oltre ai soggetti ammessi ai concorsi di progettazione, anche i lavoratori subordinati abilitati all'esercizio della professione e iscritti all’ordine professionale secondo l'ordinamento nazionale di appartenenza, con esclusione dei dipendenti della stazione appaltante o dell’ente concedente che bandisce il concorso. L'idea o le idee premiate sono acquisite in proprietà dalla stazione appaltante o dall’ente concedente, previa eventuale definizione degli assetti tecnici, e possono essere poste a base di un concorso di
progettazione o di un appalto di servizi di progettazione, a cui possono partecipare i premiati qualora in possesso dei relativi requisiti soggettivi.
Art. 47
La disposizione si caratterizza per una radicale semplificazione e riduzione della parte normativa da inserire nel codice con il contestuale sfruttamento della potenzialità massima offerta dalla tecnica di un allegato che riporta le norme sull’organizzazione, il funzionamento del Consiglio superiore dei lavori pubblici, nonché le ulteriori di necessario corredo. In una visione di insieme, il Consiglio – che allo stato, a seguito dei regolamenti di cui al DPCM 11.2.2014, n. 72, e al DPR 204/2006, viene giudicato ingiustificatamente e significativamente ridimensionato nel suo ruolo, a scapito delle potenzialità operative che potrebbe invece esprimere – con il riordino (di organizzazione, composizione e competenze) potrebbe acquisire una sensibile rivitalizzazione nei casi delle opere CIPESS e di quelle strategiche e prioritarie (opere PNRR), grazie anche all’esperienza acquisita con l’iter procedimentale sperimentato con il Comitato Speciale per le opere dell’allegato 4 del PNRR, con sensibile riduzione dei tempi procedimentali e una semplificazione delle procedure in materia di appalti. Ulteriori dettagli della disciplina del Consiglio sono demandati ad apposito allegato I.11, sul quale vedi la relazione di seguito. Si segnala altresì che l’art. 226, comma 5, del codice reca una disposizione transitoria sulla composizione e il funzionamento del Consiglio e che al medesimo articolo, comma 3, lettera a), si provvede alla formale abrogazione del d.P.R., 27 aprile 2006, n. 204, recante il regolamento di riordino del Consiglio superiore dei lavori pubblici, in quanto superato dalla nuova disciplina qui introdotta.
Allegato I.11
Il presente allegato, in attuazione dell’articolo 47, comma 4, del codice, ridisciplina il Consiglio superiore dei lavori pubblici, riordinandone non solo le attribuzioni ulteriori oltre a quelle previste dalle norme del codice, ma anche l’organizzazione e le regole di funzionamento. In ciò, riprende la disciplina già contenuta nel decreto del Presidente della Repubblica 27 aprile 2006, n. 204, semplificandola e aggiornandola anche in relazione alle nuove attribuzioni e competenze medio tempore intervenute: in particolare, vengono inserite organicamente nell’allegato le previsioni relative all’organizzazione, alle competenze e al funzionamento della Sezione speciale del Consiglio superiore istituita, per gli interventi finanziati in tutto o in parte con le risorse del PNRR e del PNC, dall’articolo 45 del decreto-legge 31 maggio 2021, n. 77, convertito, con modificazioni, dalla legge 29 luglio 2021, n. 108.
LIBRO II DELL’APPALTO PARTE I
DEI CONTRATTI DI IMPORTO INFERIORE ALLE SOGLIE EUROPEE
Introduzione
La Parte I del Libro II contiene, raccolte unitariamente, l’insieme delle norme riferite ai contratti sottosoglia, riguardanti i punti qualificanti della procedura di affidamento, dai principi applicabili, alle modalità di individuazione dell’affidatario, agli snodi dei meccanismi di gara che sono stati disciplinati in termini difformi dal soprasoglia (oltre alle modalità di individuazione del contraente, le offerte anomale, le garanzie delle offerte, ecc.).
Si tratta di una significativa innovazione rispetto al decreto legislativo n. 50 del 2016, nel quale le previsioni proprie del sottosoglia erano sparse nell’intera disciplina codicistica, che consente una più agevole individuazione della normativa applicabile ai contratti di importo inferiore alle soglie europee e un più diretto apprezzamento del complessivo regime giuridico differenziale che connota questo settore della contrattualistica, settore che, a conferma della sua rilevante importanza anche pratica, dai dati Eurostat disponibili vale da solo all’incirca l’80 per cento della spesa complessiva per appalti e concessioni.
La disciplina è stata elaborata in attuazione dei principi di cui alla legge delega 21 giugno 2022, n. 78, in particolare di quelli contenuti nell’art. 1, comma 2, lett. e), che indica l’obiettivo di semplificazione nonché i principi cui deve ispirarsi la regolazione dei contratti di importi inferiori alle soglie europee, e lett. t), sui meccanismi di determinazione ed esclusione delle offerte anomale.
Nel fissare la disciplina comune si è tenuta in particolare considerazione la regolamentazione introdotta, con riferimento al sottosoglia, dal decreto-legge n. 76 del 2020, come successivamente modificata dal decreto- legge n. 77 del 2021, connotata da misure di ampia semplificazione con connesse previsioni di maggiore trasparenza (come nella previsione ripresa nel comma 9 dell’art. 50). In considerazione del riscontrato buon esito conseguito dalla suddetta disciplina, si è infatti prevista l’estensione a regime di gran parte delle previsioni che i decreti legge richiamati dettavano con esclusivo riferimento alla fase emergenziale (limitatamente cioè all’ipotesi in cui la “determina a contrarre o altro atto di avvio del procedimento equivalente sia adottato entro il 30 giugno 2023”, secondo la previsione dell’art. 1, comma 1, decreto-legge n. 76 del 2020).
La disciplina dei contratti sottosoglia si completa poi con le norme di portata generale, applicabili a tutti gli affidamenti posti in essere dalle stazioni appaltanti (pensiamo ai principi applicabili agli affidamenti di ogni importo) e con quelle contenute negli Allegati, cui le norme del codice fanno rinvio, come in materia di elenchi e indagini di mercato e di metodi per la determinazione della soglia di anomalia delle offerte.
Titolo I – I principi generali
Art. 48
L’art. 48 detta la disciplina comune applicabile ai contratti pubblici di importo inferiore alle soglie di rilevanza europea, in attuazione della lettera e) del comma 2 dell’art. 1 della legge delega n. 78 del 2022, in particolare stabilendo i principi generali cui i relativi affidamenti devono ispirarsi. Lo stesso articolo richiama poi la categoria elaborata dalla giurisprudenza europea dei contratti di interesse transfrontaliero certo, che sono sottoposti al regime proprio delle procedure ordinarie.
Il comma 1 stabilisce i principi cui devono ispirarsi l’affidamento e l’esecuzione dei contratti sottosoglia, richiamando i principi di cui al Libro I, Parti I e II, del codice, i quali, per la loro portata generale, informano tutti gli affidamenti delle stazioni appaltanti, a prescindere dal loro importo.
Il comma 2 è del tutto nuovo e prevede il regime giuridico differenziale che la stazione appaltante deve applicare agli affidamenti di importo inferiore alle soglie europee quando accerti la sussistenza di un interesse transfrontaliero. La previsione in esame tiene conto della giurisprudenza della Corte di giustizia dell’Unione europea, secondo la quale gli appalti di valore inferiore alle soglie UE, pur non soggetti alle norme specifiche delle direttive sugli appalti pubblici, devono essere aggiudicati in modo trasparente e competitivo se presentano un interesse transfrontaliero certo.
La previsione tiene altresì conto di quanto stabilito nella lettera della Commissione europea del 6 aprile 2022, di messa in mora dell’Italia, la quale, al punto 2.3., occupandosi della disciplina introdotta dai decreti-legge n. 76 del 2020 e n. 77 del 2021, che prevedono affidamenti diretti e procedure negoziate per l’aggiudicazione di contratti pubblici di importi inferiori alle soglie europee, ha ritenuto la suddetta disciplina violativa dei principi europei di trasparenza, parità di trattamento e non discriminazione, laddove non obbliga la stazione appaltante a valutare se l’appalto presenti un interesse transfrontaliero certo.
Nel decreto legislativo n. 50 del 2016 una previsione specifica sull’interesse transfrontaliero era contenuta nell’art. 97, comma 8, secondo cui l’esclusione automatica delle offerte anomale si applica ai contratti sottosoglia, che vengano aggiudicati al prezzo più basso, a condizione che non presentino interesse transfrontaliero. Ma già le Linee Guida ANAC n. 4 (aventi ad oggetto “Procedure per l’affidamento dei contratti pubblici di importo inferiore alle soglie di rilevanza comunitaria, indagini di mercato e formazione e gestione degli elenchi di operatori economici”) avevano optato per una previsione di portata più generale, statuendo che «per l’affidamento di appalti e concessioni di interesse transfrontaliero certo le stazioni appaltanti adottano le procedure di aggiudicazione adeguate e utilizzano mezzi di pubblicità atti a garantire in maniera effettiva ed efficace l’apertura del mercato alle imprese estere».
Con il comma 2 in esame si è stabilito di sottoporre l’affidamento dei contratti sottosoglia, allorquando presentino interesse transfrontaliero certo alla luce della giurisprudenza europea, alle procedure ordinarie proprie del soprasoglia, ciò al fine di non onerare le stazioni appaltanti del complesso compito di individuare quale possa essere la disciplina adeguata a tale categoria di contratti.
Con i commi 3 e 4, per i quali la relazione può essere svolta congiuntamente, si è per un verso ribadito come anche i contratti sottosoglia siano soggetti alle disposizioni concernenti il contenimento della spesa, il che dovrà orientare le stazioni appaltanti verso scelte più semplici ma non meno attente al risparmio e più in generale al buon uso del denaro pubblico; e per altro verso si chiarisce come, ove non derogate dalle disposizioni della parte I, si applicano a questi contratti le altre disposizioni del codice.
Art. 49
L’art. 49 disciplina le modalità operative del principio di rotazione, che costituisce principio generale degli affidamenti dei contratti sottosoglia, in attuazione dell’art. 1, comma 2, lett. e), della legge delega 21 giugno 2022, n. 78.
Tale principio, come noto, era già contemplato dalla pregressa disciplina codicistica, in particolare dall’art. 36, comma 1, del decreto legislativo n. 50 del 2016 che impone il «rispetto del principio di rotazione degli inviti e degli affidamenti».
La pregressa disciplina ha avuto attuazione attraverso una normativa di dettaglio dettata dalle Linee Guida ANAC n. 4, in particolare ai punti 3.6 e 3.7.
L’art. 49 riprende, in parte, le previsioni di cui alle citate Xxxxx Xxxxx, innovando tuttavia su taluni profili significativi, in relazione ai quali si è ritenuto di calibrare diversamente l’operatività del principio, precisandone la portata con riferimento ad ambiti rivelatisi critici.
In continuità con la disciplina pregressa e con le previsioni delle Linee Guida ANAC n. 4 si impone il rispetto del principio di rotazione già nella fase degli inviti, con lo scopo di evitare che il gestore uscente, forte della conoscenza della commessa da realizzare acquisita nella precedente gestione, possa agevolmente prevalere sugli altri operatori economici (Consiglio di Stato, sez. V., 12 giugno 2019, n. 3943), e stabilisce che:
- il principio di rotazione si applica con riferimento all’affidamento immediatamente precedente nei casi in cui i due consecutivi affidamenti abbiano ad oggetto una commessa rientrante nello stesso settore merceologico, ovvero nella stessa categoria di opere, ovvero ancora nello stesso settore di servizi (comma 2);
- ai fini della rotazione, la stazione appaltante, con proprio provvedimento, può ripartire gli affidamenti in fasce in base al valore economico e la rotazione si applica con riferimento a ciascuna fascia (comma 3);
- il principio di rotazione non si applica quando l’indagine di mercato sia stata effettuata senza porre limiti al numero di operatori economici, in possesso dei requisiti richiesti, da invitare alla successiva procedura negoziata (comma 5). Una tale opzione ermeneutica, avallata dalla giurisprudenza (Consiglio di Stato, sez. V, 24 maggio 2021, n. 3999), si giustifica in quanto in detta ipotesi non ricorre la ratio che caratterizza il principio di rotazione degli inviti e degli affidamenti, il quale, in attuazione del principio di concorrenza, ha la finalità di evitare il consolidamento di rendite di posizione in capo al gestore uscente, esigenza che non viene in rilievo allorché la stazione appaltante decida di non introdurre alcun sbarramento al numero degli operatori da invitare alla procedura negoziata all’esito dell’indagine di mercato.
In termini innovativi la norma in commento stabilisce, invece, quanto segue:
- in caso di procedura negoziata il principio di rotazione comporta il divieto di invito a procedure dirette all’assegnazione di un appalto nei confronti del contraente uscente (comma 2). La rotazione si ha, quindi, solo a carico del soggetto che abbia conseguito la precedente aggiudicazione, escludendo, invece, dal divieto coloro che erano stati soltanto invitati alla precedente procedura negoziata, senza conseguire poi l’aggiudicazione (al contrario, le Linee Guida ANAC cit. stabilivano che «il principio di rotazione comporta, di norma, il divieto di invito a procedure dirette all’assegnazione di un appalto, nei confronti del contraente uscente e dell’operatore economico invitato e non affidatario nel precedente affidamento»). Si è ritenuto di escludere la rotazione a carico del mero invitato, poiché in tale ipotesi la contrazione del principio concorrenziale non risulta in alcun modo giustificata dalla necessità di contenere asimmetrie informative a carico del precedente aggiudicatario;
- in casi debitamente motivati con riferimento alla particolare struttura del mercato e alla riscontrata effettiva assenza di alternative, nonché di accurata esecuzione del precedente contratto l’esecutore uscente può essere reinvitato o essere individuato quale affidatario diretto (comma 4). La disposizione, rispetto alla disciplina delle Linee Guida ANAC n. 4, risulta innovativa nella parte in cui, a determinate condizioni, consente di reinvitare l’uscente alla successiva procedura negoziata mentre, in riferimento agli affidamenti diretti, riproduce sostanzialmente la disciplina di cui al punto 3.7 delle Linee Guida. Analogamente a quanto previsto dal citato punto 3.7, è da ritenere che, ai fini della deroga al principio di rotazione, i requisiti previsti dal comma 4 dell’art. 49 debbano essere concorrenti e non alternativi tra loro;
- le Linee Guida ANAC prevedevano che «negli affidamenti di importo inferiore a 1.000 euro, è consentito derogare all’applicazione del presente paragrafo, con scelta, sinteticamente motivata, contenuta nella determinazione a contrarre od in atto equivalente». Si è ritenuto di confermare e, anzi, estendere, tale previsione, che favorisce la semplificazione e velocizzazione degli affidamenti di importo minimo, stabilendo che “è comunque consentito derogare alla rotazione per gli affidamenti di importo inferiore a 5.000 euro”. In tal modo tale limite viene allineato a quello previsto dall’art. 1, comma 450 della l. n. 296 del 2006 per il ricorso obbligatorio al mercato elettronico della pubblica amministrazione ovvero al sistema telematico messo
a disposizione dalla centrale regionale di riferimento per lo svolgimento delle procedure di acquisto sottosoglia di beni e servizi.
Art. 50
L’art. 50 disciplina le procedure per l’affidamento dei contratti pubblici di lavori, servizi e forniture di importo inferiore alle soglie di rilevanza europea riprendendo nella sostanza, con alcune modifiche lessicali e alcune puntualizzazioni contenutistiche innovative, il testo dell’art. 1, comma 2, del decreto-legge n. 76 del 2020. Non si sono ripetute le previsioni disciplinari relative agli affidamenti diretti nelle aree del cratere sismico, che potranno trovare collocazione in allegati al codice, né quelle relative all’applicazione dei principi, profilo già normato all’art. 48. In particolare, al comma 1 sono confermati i seguenti profili della disciplina dei contratti sottosoglia, già propri della pregressa disciplina:
a) salvezza della normativa in materia di aggregazioni e centralizzazione delle committenze e di qualificazione delle stazioni appaltanti e delle centrali di committenza;
b) per quanto concerne gli appalti di lavori:
1) affidamento diretto per lavori di importo inferiore a 150.000 euro, anche senza consultazione di più operatori economici;
2) procedura negoziata senza bando, previa consultazione di almeno cinque operatori economici, per i lavori di importo pari o superiore a 150.000 euro e inferiore a un milione di euro;
3) procedura negoziata senza bando, previa consultazione di almeno dieci operatori (si rimette al Governo la scelta di ridurre eventualmente tale numero), per lavori di importo pari o superiore a un milione di euro e fino alle soglie europee.
c) per quanto concerne gli appalti di servizi e forniture:
1) affidamento diretto di servizi e forniture, compresi i servizi di ingegneria e architettura e l'attività di progettazione, di importo inferiore a 140.000 euro, anche senza consultazione di più operatori economici;
2) procedura negoziata senza bando, previa consultazione di almeno cinque operatori economici (si rimette al Governo la scelta di ridurre eventualmente tale numero), per l'affidamento di servizi e forniture, ivi compresi i servizi di ingegneria e architettura e l'attività di progettazione, di importo pari o superiore a 140.000 euro e fino alle soglie di cui all’art. 14.
Con riferimento all’affidamento diretto (comma 1, lett. a) e b)) si è riproposta la previsione del decreto-legge
n. 76 del 2020 secondo cui, nonostante la mancanza di necessario confronto competitivo, deve essere assicurato che siano scelti soggetti in possesso di documentate esperienze pregresse, anche individuati tra coloro che risultano iscritti in elenchi o albi istituiti dalla stazione appaltante. Il testo del decreto-legge n. 76 del 2020 si riferisce a «esperienze analoghe a quelle oggetto di riferimento» mentre il testo della disposizione in esame fa riferimento a «esperienze pregresse idonee all’esecuzione delle prestazioni contrattuali oggetto di affidamento». La preferenza per il richiamo a “esperienze idonee” piuttosto che a “esperienze analoghe” attiene alla scelta di ampliare il margine valutativo della stazione appaltante, che può apprezzare attività precedenti dell’operatore economico in ambiti anche non strettamente analoghi all’oggetto della gara ma tuttavia idonei a garantite la buona riuscita dell’affidamento.
Nel testo della norma in esame il riferimento alle procedure negoziate senza bando (comma 1, lettere c), d) ed e)) non è stato accompagnato, come invece avveniva nell’art. 1, comma 2 del decreto-legge n. 76 del 2020, dal richiamo all’art. 63 del decreto legislativo n. 50 del 2016; né si è rinviato alla norma che nel nuovo codice disciplinerà la procedura negoziata nel soprasoglia. Tale richiamo risulterebbe infatti inutile e anche foriero di incertezze, poiché la procedura negoziata sottosoglia è normata dalla disposizione in esame sia con riferimento
ai presupposti che alle modalità di svolgimento, così che il richiamo stesso potrebbe ingenerare il dubbio, privo di fondamento, che siano altresì necessarie le ulteriori condizioni legittimanti proprie del soprasoglia.
Il comma 1, lett. d) prevede che, in ipotesi di lavori di importo pari o superiore a un milione di euro e fino alle soglie europee, la stazione appaltante, in luogo del ricorso alla procedura negoziata senza bando, possa utilizzare le procedure ordinarie, «previa adeguata motivazione». La disciplina del sottosoglia di cui al decreto- legge n. 76 del 2020 (art. 1, comma 2) non contemplava il possibile ricorso alle procedure ordinarie, ciò al fine di imporre l’utilizzo delle procedure semplificate, da cui talvolta le stazioni appaltanti tendono a sfuggire, temendo i maggiori margini di discrezionalità da esse offerti. Al contrario, l’art. 36, comma 2 del decreto legislativo n. 50 del 2016, prevedeva l’utilizzo delle procedure ordinarie come facoltà sempre percorribile dalla stazione appaltante («salva la possibilità di ricorrere alle procedure ordinarie»). Nel comma 1, lett. d), in esame si è percorsa una via mediana, costituita dalla possibilità per le stazioni appaltanti, per gli appalti di lavori sottosoglia di importo più significativo, di impiegare le procedure ordinarie, ma «previa adeguata motivazione». Si tratta cioè non di libera opzione, ma della possibilità di accedere alle più complesse procedure ordinarie in esito a una specifica motivazione delle ragioni tecniche che, nel singolo caso, rendono preferibile
– effettuato il dovuto bilanciamento degli interessi pubblici in gioco – l’utilizzo del più garantistico, ma più complesso, procedimento ordinario di gara.
Il comma 2 rinvia all’allegato II.1 per l’individuazione delle modalità di gestione degli elenchi e delle indagini di mercato; si è ritenuto di prevedere espressamente nel codice il divieto del sorteggio, costituente uno dei criteri della legge delega.
Il comma 3 stabilisce che l’allegato di cui al comma precedente può essere sostituito, integrato o modificato senza necessità di ricorrere a fonte primaria, ma con regolamento di cui all’art. 17 della l. n. 400 del 1988, attuandosi quindi una forma di delegificazione.
Il comma 4 norma i criteri di selezione utilizzabili per l’aggiudicazione nell’ambito delle procedure negoziate sottosoglia, stabilendo il principio di libera scelta da parte delle stazioni appaltanti circa l’utilizzo del criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa ovvero del prezzo più basso. Tale libertà di scelta appare funzionale alla conformazione delle regole di gara alle peculiarità di ciascun oggetto contrattuale, in modo tale da garantire il risultato migliore nell’ottica del soddisfacimento dell’interesse del committente. Si tratta, peraltro, di opzione normativa già seguita dal legislatore del decreto legislativo n. 50 del 2016 (all’art. 36, comma 9-bis, introdotto dal decreto-legge n. 32 del 2019) e anche dalla normativa del periodo emergenziale (art. 1, comma 3, secondo periodo, del decreto-legge n. 76 del 2020).
Con riferimento ai contratti ad alta intensità di manodopera (per i quali «il costo della manodopera è pari o superiore al 50 per cento dell’importo complessivo dei corrispettivi», secondo la definizione dell’art. 2 lett. e Allegato I.1 del nuovo codice), il comma 3 impone invece alle stazioni appaltati l’utilizzo dell’offerta economicamente più vantaggiosa, onde evitare i costi sociali che potrebbero derivare da una concorrenza basata solamente sul prezzo. È da segnalare che, anche in questo caso, si tratta di conferma di previsione già contenuta sia nella disciplina codicistica che in quella emergenziale, poiché sia l’art. 36, comma 9-bis, cit. che l’art. 1, comma 3, cit. prevedono il necessario utilizzo dell’offerta economicamente più vantaggiosa nei casi di cui all’art. 95, comma 3, del decreto legislativo n. 50 del 2016, nei quali rientra anche l’ipotesi dei contratti ad alta intensità di manodopera.
Nell’ipotesi, invece, contemplata dalla suddetta lett. d), di utilizzo facoltativo da parte della stazione appaltante delle procedure ordinarie, valgono evidentemente le regole del soprasoglia anche con riferimento ai criteri di aggiudicazione.
Il comma 5, stabilisce che le imprese pubbliche che operano nell'ambito definito dagli articoli da 146 a 152 applichino ai contratti sottosoglia la disciplina stabilita nei rispettivi regolamenti, la quale, se i contratti presentano un interesse transfrontaliero certo, deve essere conforme ai principi del Trattato UE a tutela della concorrenza. I soggetti che operano negli stessi settori in virtù di diritti speciali o esclusivi applicano la
disciplina stabilita nei rispettivi regolamenti la quale deve sempre essere conforme ai predetti principi del Trattato UE.
Il comma in parte ripropone la norma contenuta nell’art. 36, comma 8, del decreto legislativo n. 50 del 2016, con la quale è disciplinato l’affidamento a terzi, da parte di imprese pubbliche o di privati titolari di diritti speciali ed esclusivi, degli appalti sottosoglia riferibili ai settori (c.d. speciali) rientranti nell’ambito definito dagli artt. da 115 a 121 del medesimo decreto legislativo (corrispondenti, nel nuovo codice, agli articoli da 146 a 152 del Libro III, Parte I). Per i contratti sottosoglia, la norma vigente detta una disciplina unitaria per le imprese pubbliche e per i soggetti titolari di diritti speciali ed esclusivi, rinviando all’applicazione delle norme interne dei singoli enti o società, purché siano conformi ai principi del Trattato posti a tutela della concorrenza. La norma, quindi, non sembra consentire alle imprese pubbliche che esercitano in uno dei settori speciali (che costituisce l’unico presupposto applicativo per essere assoggettate alla relativa normativa prevista dagli artt. 153 ss. del presente codice, anche quando il servizio o l’attività siano state acquisite mediante una procedura di evidenza pubblica), che intendano affidare a terzi appalti strumentali allo svolgimento di una delle predette attività, di utilizzare strumenti di acquisizione più flessibili e semplificati come quelli previsti nei commi da 1 a 3 dell’articolo in commento (si pensi alla previsione dell’affidamento diretto per lavori fino a 150.000 euro, procedura che si sottrae ai principi proconcorrenziali del Trattato e quindi non sarebbe utilizzabile, stando al vigente art. 36, comma 8, cit., dalle imprese pubbliche, né dai privati titolari di diritti speciali ed esclusivi).
La regola della conformità ai principi del Trattato è ribadita, per i contratti sottosoglia affidati da soggetti titolari di diritti speciali ed esclusivi (ossia «concessi dallo Stato o dagli enti locali ovvero da altre amministrazioni pubbliche attraverso atti di carattere legislativo, regolamentare o amministrativo, adeguatamente pubblicati […]» (secondo la definizione di cui all’art. 1, Allegato I.1 al codice) anche quando si tratti di contratti che non presentano interesse transfrontaliero.
Il comma 6, nell’ottica della liberalizzazione e semplificazione, estende senza limiti l’esecuzione anticipata del contratto senza condizionarla all’esistenza dei requisiti di urgenza, come, invece, accade attualmente.
Il comma 7 inerisce alla fase esecutiva, prevedendo, in un’ottica di semplificazione, la possibilità per la stazione appaltante di sostituire il certificato di collaudo o il certificato di verifica di conformità con il certificato di regolare esecuzione, che è emesso dal direttore dei lavori, dal RUP o dal direttore dell’esecuzione non oltre tre mesi dalla data di ultimazione delle prestazioni oggetto del contratto.
Il comma 8 prevede che i bandi e gli avvisi di preinformazione relativi ai contratti sottosoglia siano pubblicati a livello nazionale con le modalità di cui all’art. 85, con esclusione della trasmissione del bando di gara all’Ufficio delle pubblicazioni dell'Unione europea, con significativa semplificazione rispetto alle procedure ordinarie.
Al comma 9 si sono previste, con riferimento alla conclusione delle procedure di affidamento dei contratti sottosoglia, misure di pubblicità aggiuntive rispetto a quelle già imposte dalla disciplina ordinaria, com’è nel caso della determina a contrattare o della composizione della commissione giudicatrice, dovendo infatti essere pubblicato, con le modalità di cui al comma 8, anche l’avviso dei risultati. La prevista forma di pubblicità trae ispirazione dall’art. 1, comma 2, lett. b) del decreto-legge n. 76 del 2020 (come modificato dal successivo decreto-legge n. 77 del 2021), anche se qui non è stato riprodotto l’inciso che escludeva l’obbligatorietà della pubblicazione di detto avviso per gli affidamenti diretti di importo inferiore ad euro 40.000. Con questa disposizione, per bilanciare la maggiore semplificazione, si è inteso rendere più estesa la trasparenza e conoscibilità dell’operato della stazione appaltante; infatti l’obbligo di pubblicazione dell’avviso dei risultati delle procedure di affidamento sottosoglia viene necessariamente a coinvolgere anche gli affidamenti diretti.
Allegato II.1 Art. 1
Il comma 1 dell’articolo, recante le “Disposizioni generali”, intende dare attuazione all’art. 50 del codice il quale stabilisce che gli operatori economici da invitare alle procedure per l’affidamento degli appalti sottosoglia sono individuati attraverso il ricorso ad indagini di mercato od elenchi gestiti con le modalità previste nel presente Allegato.
La disciplina in esame si applica alle procedure negoziate per l’affidamento di contratti di lavori di importo pari o superiore a 150.000 e per l’affidamento di contratti di servizi e forniture di importo pari o superiore a 140.000,00 euro e inferiore alle soglie di rilevanza comunitaria.
La gestione degli elenchi e delle indagini di mercato deve avvenire nel rispetto del principio di rotazione previsto dall’art. 49 del codice il quale impone la rotazione negli affidamenti consecutivi consentendo la deroga negli affidamenti di importo inferiore a 5.000 euro e, solo nelle ipotesi riconducibili alla particolare struttura del mercato e alla effettiva assenza di alternative, anche di importo superiore.
Il principio di rotazione non si applica quando l’indagine di mercato non pone limiti al numero di operatori economici da invitare alla procedura negoziata; tale impostazione, già presente nelle Linee Guida n. 4 dell’Anac, risponde alla stessa ratio del principio individuabile nell’esigenza di limitare la discrezionalità delle stazioni appaltanti allorché esse, in ossequio a quanto previsto dalle attuali procedure per gli affidamenti sottosoglia, ricorrono alla facoltà di limitare il numero degli operatori da invitare alla procedura negoziata.
Quando questa esigenza non ricorre, come nelle ipotesi in cui l’indagine di mercato ab origine non preveda alcuno sbarramento in ordine al numero degli operatori da invitare alla procedura negoziata, il principio di rotazione non si applica (in questo senso anche la giurisprudenza tra cui Consiglio di Stato, sez. V, 24 maggio 2021, n. 3999).
Il comma 2 stabilisce che l’indagine di mercato prende avvio con la determina a contrarre (ovvero con atto equivalente secondo l’ordinamento della singola stazione appaltante) che contiene una serie di elementi ivi specificamente indicati.
Nel contenuto della determina a contrarre figura l’indicazione dei criteri per l’individuazione degli operatori da invitare alla procedura negoziata allorché la stazione appaltante intende operare uno sbarramento in ordine al numero degli stessi; tale previsione risponde al principio generale di predeterminazione dei criteri lato sensu selettivi nelle procedure comparative.
L’inserimento di tale previsione già nella determina a contrarre (potendosi, in alternativa, ipotizzare la loro indicazione nel solo atto di invito a presentare le manifestazioni di interesse) è coerente con la peculiare rilevanza che tali criteri assumono ai fini dell’individuazione degli operatori economici da invitare alla procedura negoziata dopo che l’art. 1, comma 2, lettera f), della legge 21 giugno 2022, n. 78 ha vietato, a tal fine, il ricorso al sorteggio o ad altri criteri casuali.
Il comma 3 riconosce alle stazioni appaltanti il potere di dettare, nelle forme previste dai rispettivi ordinamenti, una disciplina più specifica in ordine alle modalità di conduzione delle indagini di mercato e di gestione degli elenchi degli operatori economici.
Nel rispetto del principio di gerarchia delle fonti tale disciplina deve, ovviamente, essere coerente con quanto in materia previsto dalle norme di rango primario e dal presente Allegato.
Art. 2
Il comma 1 stabilisce che le indagini di mercato devono svolgersi secondo le modalità ritenute più idonee dalla stazione appaltante, secondo i principi di adeguatezza e proporzionalità tenendo, in particolare, conto dell’esigenza di rispettare il termine massimo, previsto dal codice, per l’affidamento degli appalti sottosoglia tramite procedura negoziata.
I risultati delle indagini di mercato devono essere formalizzati dalla stazione appaltante con apposito provvedimento ferma restando l’esclusione della divulgazione delle informazioni che potrebbero compromettere la posizione degli operatori economici e, comunque, dei segreti tecnici e commerciali e fatto salvo quanto previsto dall’art. 35 del codice in riferimento alla tempistica prevista per la conoscibilità di alcuni dati e atti di gara.
Il comma 2 disciplina la pubblicità dell’avviso per la presentazione delle manifestazioni d’interesse che deve essere effettuata tramite avviso sul sito istituzionale dell’ente e sulla Banca dati nazionale dei contratti pubblici dell’ANAC. La durata minima ordinaria di tale pubblicazione è fissata in quindici giorni, termine riducibile a cinque giorni nei casi di urgenza motivata in riferimento a ragioni indicate nell’avviso.
Il comma 3 ha ad oggetto il contenuto dell’avviso di avvio dell’indagine di mercato che deve indicare il valore dell’affidamento, gli elementi essenziali del contratto, i requisiti di idoneità professionale, i requisiti minimi di capacità economica/finanziaria e le capacità tecniche e professionali richieste ai fini della partecipazione, il numero minimo ed eventualmente massimo di operatori che saranno invitati alla procedura, i criteri di selezione degli operatori economici, le modalità per comunicare con la stazione appaltante.
Nel caso in cui sia previsto un numero massimo di operatori da invitare, l’avviso deve indicare anche i criteri utilizzati per la scelta degli operatori; tali criteri devono essere oggettivi, coerenti con l’oggetto e la finalità dell’affidamento e con i principi di concorrenza, non discriminazione, proporzionalità e trasparenza, fermo restando il divieto di sorteggio o di altri metodi di estrazione casuale dei nominativi, se non in presenza di situazioni particolari e specificamente motivate, come espressamente previsto dall’art. 1 comma 2 lettera f) della legge n. 78 del 2022.
Ai fini dell’utilizzazione di tali criteri va considerato che dal novero degli operatori da considerare, tra quelli che hanno presentato manifestazioni d’interesse, devono essere esclusi quelli che non hanno dichiarato il possesso dei requisiti richiesti dalla stazione appaltante e, in applicazione del principio di rotazione, l’affidatario uscente.
Art. 3
Il comma 1 concerne gli elenchi quale modalità, alternativa alle indagini di mercato, di selezione degli operatori da invitare alla procedura negoziata.
Tali elenchi sono costituiti a seguito di avviso pubblico pubblicato sul sito istituzionale dell’ente e sulla Banca dati nazionale dei contratti pubblici dell’ANAC.
L’avviso indica i requisiti di carattere generale che gli operatori economici devono possedere, la modalità di selezione degli operatori economici da invitare, le categorie e fasce di importo in cui l’amministrazione intende suddividere l’elenco e gli eventuali requisiti minimi richiesti per l’iscrizione, parametrati in ragione di ciascuna categoria o fascia di importo.
Gli elenchi sono aperti ed aggiornati; ne consegue che l’iscrizione degli operatori provvisti dei requisiti richiesti è consentita senza limitazioni temporali (comma 2).
Per esigenze pratiche, è stato previsto un meccanismo di silenzio assenso allorché la stazione appaltante, nel termine prescritto, non emette un diniego motivato della domanda di iscrizione; un siffatto modus procedendi consente di snellire le procedure d’iscrizione nell’ipotesi di pluralità di operatori.
Gli elenchi sono oggetto, altresì, di revisione periodica (comma 3) secondo le modalità indicate nell’Allegato.
Ai fini dell’individuazione degli operatori iscritti nell’elenco da invitare alla procedura negoziata è stato previsto un rinvio ai criteri che il paragrafo 6 indica per le indagini di mercato ferma restando l’esigenza che tali criteri, a garanzia della trasparenza della procedura, siano predeterminati già nella determina a contrarre.
Il comma 4 prevede che la scelta degli operatori da invitare alla procedura negoziata deve essere effettuata secondo criteri oggettivi, coerenti con l’oggetto e la finalità dell’affidamento e con i principi di concorrenza, non discriminazione, proporzionalità e trasparenza. Il sorteggio o altri metodi di estrazione casuale dei nominativi sono consentiti solo in casi eccezionali in cui il ricorso ai criteri di cui al periodo che precede è impossibile o comporta per la stazione appaltante oneri assolutamente incompatibili con il celere svolgimento della procedura. I criteri di selezione degli operatori da invitare alla procedura negoziata sono indicati nella determina a contrarre o in altro atto equivalente.
Art. 51
Il nuovo art. 93, inserito nel Titolo IV del Libro II, stabilisce, al comma 3, che «la commissione è presieduta da un dipendente della stazione appaltante ed è composta da suoi funzionari, in possesso del necessario inquadramento giuridico e di adeguate competenze professionali. Della commissione giudicatrice può far parte il RUP».
La norma non prevede esplicitamente che il RUP possa anche presiedere la commissione.
L’art. 51, muovendo dal presupposto che il nuovo art. 93 già contempla la possibilità che il RUP possa far parte della commissione giudicatrice, si limita a consentire che il RUP possa anche presiederla.
Si intende in tal modo introdurre una forte semplificazione nelle procedure sottosoglia, prevedendo, in via generale, la legittimità della partecipazione del RUP alla commissione e la possibilità che lo stesso assuma anche il ruolo di presidente.
L’incompatibilità assoluta tra i ruoli di RUP e di componente della commissione giudicatrice era stata già superata dal decreto legislativo n. 56 del 2017, che aveva introdotto un secondo periodo al comma 4 dell’art. 77 del decreto legislativo n. 50 del 2016, secondo cui «la nomina del RUP a membro delle commissioni di gara è valutata con riferimento alla singola procedura», norma, tuttavia, di non univoca interpretazione.
La norma in esame, per il sottosoglia, risolve in radice il problema concernente la possibilità del RUP di essere sia componente sia presidente della commissione.
Nelle disposizioni finali e, precisamente, nell’art. 226, comma 5, è contenuta la norma volta a coordinare l’innovazione introdotta con la disciplina dell’art. 107, comma 3, del decreto legislativo n. 267 del 2000 che prevede, in via generale, l’attribuzione ai dirigenti della «presidenza delle commissioni di gara».
L’art. 226, comma 5, aggiunge al comma 3 dell’art. 107 del decreto legislativo n. 267 del 2000 un ulteriore comma secondo cui «la commissione giudicatrice, nel caso di aggiudicazione dei contratti di importo inferiore alle soglie europee con il criterio dell'offerta economicamente più vantaggiosa, può essere presieduta dal responsabile unico del procedimento».
Tale ultima previsione, emanata in coerenza con quanto disposto dall’art. 1, comma 4 del decreto legislativo
n. 267 del 2000 il quale prevede che «ai sensi dell'articolo 128 della Costituzione le leggi della Repubblica non possono introdurre deroghe al presente testo unico se non mediante espressa modificazione delle sue disposizioni», risolve il problema del coordinamento tra le disposizioni del codice degli appalti e il decreto legislativo n. 267 del 2000 prevedendo, in particolare, che negli enti locali il responsabile unico del procedimento possa presiedere le commissioni di gara anche se privo di qualifica dirigenziale.
Art. 52
L’art. 52 prevede una modalità di semplificazione per la verifica dei requisiti in riferimento agli affidamenti diretti di importo inferiore ai 40.000 euro.
La disciplina nasce dall’esigenza di ovviare alle difficoltà correlate ad una verifica sistematica del possesso dei requisiti di partecipazione nelle ipotesi di microaffidamenti.
Per tali procedure la stazione appaltante è esonerata dall’obbligo di verifica puntuale dei requisiti dell’affidatario il quale deve attestare, con dichiarazione sostitutiva dell’atto di notorietà, la sussistenza dei requisiti di ordine generale e speciale richiesti per l'affidamento.
Ferma restando la facoltà di verificare il possesso dei requisiti da parte del singolo affidatario, il comma 1 prevede che la stazione appaltante, in luogo di un controllo a carico di tutti gli affidatari, è obbligata solo a verificare le dichiarazioni tramite sorteggio di un campione individuato con modalità predeterminate ogni anno.
Al fine di responsabilizzare l’affidatario allorché rende l’attestazione concernente il possesso dei requisiti, la disposizione, al comma 2, stabilisce che, nell’ipotesi in cui, in esito al controllo a campione, risulti il mancato possesso dei requisiti dichiarati, le stazioni appaltanti procedono obbligatoriamente alla risoluzione del contratto, all'escussione dell’eventuale cauzione definitiva, alla comunicazione all’ANAC e alla sospensione dell’operatore economico dalla partecipazione alle procedure di affidamento di cui alla presente Parte, indette dalle medesime stazioni appaltanti, per un periodo da uno a 12 mesi decorrenti dall’adozione del provvedimento.
Art. 53
L’art. 53 ha ad oggetto le garanzie a corredo delle offerte e riprende nella sostanza, con alcune modifiche, la disciplina già contenuta nell’art. 1, comma 4, del decreto-legge n. 76 del 2020.
Al comma 1 si stabilisce che, di norma, nelle procedure di cui all’art. 50, comma 1, la stazione appaltante non richiede le garanzie provvisorie previste per l’affidamento dei contratti soprasoglia dall’art. 106; può richiederle, con riferimento alle sole procedure negoziate di cui all’art. 50, comma 1, lett. c), d) ed e), «in considerazione della tipologia e specificità della singola procedura» quando «ricorrano particolari esigenze che ne giustifichino la richiesta», che la stazione appaltante indica nella determina a contrarre o nell'avviso di indizione della procedura o in altro atto equivalente. Rispetto al testo del decreto-legge n. 76 del 2020 si è inserita la limitazione della possibilità di richiedere le garanzie alle sole procedure negoziate.
Al comma 2 viene stabilito che, se la garanzia provvisoria è dovuta, «il relativo ammontare non può superare l’uno per cento dell’importo previsto nell’avviso o nell’invito per il contratto oggetto di affidamento».
Il comma 3 prevede quindi che la garanzia provvisoria può essere costituita sotto forma di cauzione ovvero di fideiussione e rinvia per le modalità attuative alla disciplina di cui all’art. 106.
Il comma 4 si occupa invece della garanzia definitiva e prevede la facoltà della stazione appaltante di non richiederla per l’esecuzione dei contratti sottosoglia (nonché per i contratti di pari importo stipulati a valere su un accordo quadro) in casi debitamente motivati, con intento di semplificazione dell’esecuzione dei contratti di importi inferiore alle soglie europee. In ogni caso, quando richiesta, la garanzia definitiva è pari al 5 per cento dell’importo contrattuale.
Art. 54
Il comma 1 stabilisce che, ove i contratti di importo inferiore alle soglie di rilevanza europea relativi ad appalti di lavori o servizi siano aggiudicati con il criterio del prezzo più basso e non presentino un interesse transfrontaliero certo, le stazioni appaltanti, in deroga all’art. 110, prevedono negli atti di gara l'esclusione automatica delle offerte che risultino anomale, «qualora il numero delle offerte ammesse sia pari o superiore a cinque».
La ratio della previsione poggia sulla circostanza che la concorrenza tra offerte competitive a basso prezzo, sebbene consenta talvolta risparmi economici significativi per le stazioni appaltanti, nondimeno può risultare non conveniente nei casi in cui al basso prezzo corrisponda o una troppo ottimistica valutazione dei costi di esecuzione del contratto o il comportamento spregiudicato di alcuni operatori economici i quali, nonostante i molti presidi a tutela della serietà delle offerte, fondino il basso prezzo su uno scarso rapporto qualità-prezzo. È in questo tipo di contesto che si pone il concetto di “anomalia” o, meglio, di “offerte anormalmente basse”.
La direttiva europea 2014/24/EU fornisce indicazioni chiare sulla gestione del rischio di anomalia delle offerte imponendo alle stazioni appaltanti di valutare questo rischio e fornendo agli operatori economici la possibilità di presentare i loro giustificativi. La direttiva, sulla scia di pronunciamenti della Corte di Giustizia dell’Unione europea, vieta l’applicazione di qualsiasi forma di automatismo per l’automatica esclusione delle offerte che sulla base, ad esempio, di un algoritmo matematico, siano classificate come anomale. Nell’ambito dei contratti di importo inferiore alle soglie europee, tuttavia, la giurisprudenza della Corte di Giustizia (v. la sentenza CJEU n. C-147/06, SECAP vs. Santorso) ammette che possa essere accettabile ricorrere a sistemi di esclusione automatica, ma soltanto per appalti non di interesse transfrontaliero, al ricorrere di un numero indebitamente elevato di offerte e in presenza di elevati costi e significativi ritardi che la valutazione in contraddittorio di un numero tanto elevato di offerte potrebbe causare.
Ai fini di velocizzare e semplificare il processo di gestione del rischio di anomalia, si è pertanto mantenuto un sistema di esclusione automatica, ma limitatamente a quelle situazioni con un numero di offerte sufficientemente elevato (almeno cinque) e per cui il processo di valutazione dell’anomalia sia più lungo e costoso per le stazioni appaltanti in ragione della maggior complessità intrinseca dei contratti (quindi, per appalti di lavori e servizi, ma non di forniture).
L’articolo rispecchia, quindi, la disciplina già contenuta nell’art. 1, comma 3, ultimo periodo, del decreto-legge
n. 76/2020, che diviene, con la disposizione in esame, disciplina a regime e non più transitoria, anche con riferimento all’estensione della portata applicativa a tutte le ipotesi in cui le offerte ammesse siano, come sopra ricordato, almeno cinque. L’art. 1, comma 3, cit. affermava, tuttavia che, al ricorrere dei requisiti previsti, «le stazioni appaltanti procedono all’esclusione automatica»; nella norma in esame si stabilisce, invece, che, al ricorrere dei requisiti di legge, «le stazioni appaltanti, in deroga all’articolo 110, prevedono negli atti di gara l'esclusione automatica»; in base alla riferita formulazione della disposizione è, pertanto, necessario, al fine dell’operatività del meccanismo di esclusione automatica, che esso sia espressamente previsto negli atti di indizione della procedura selettiva (analogamente a quanto stabiliva l’art. 97, comma 8, del decreto legislativo
n. 50 del 2016). La disposizione reca, all’evidenza, una deroga all’art. 110, che contiene la disciplina delle offerte anormalmente basse nell’ambito dell’affidamento dei contratti di importo superiore alle soglie di rilevanza europea.
La disciplina dell’art. 54, per la sua portata generale, è applicabile alle ipotesi di procedura negoziata, ma anche al caso in cui si ricorra alla procedura ordinaria, nel caso previsto dall’art. 50, comma 1, lett. d). Si esclude invece esplicitamente, per fugare ogni dubbio, l’affidamento diretto con richiesta di più preventivi (comma 1, secondo periodo). L’art. 54, invece, non troverà applicazione nel caso in cui sussista un interesse transfrontaliero certo, dal momento che, al ricorrere di tale ipotesi, l’art. 48, comma 2, prevede che si seguano le procedure ordinarie.
Nell’ultimo periodo del comma 1 si recupera la norma contenuta nell’art. 97, comma 6, del decreto legislativo
n. 50 del 2016 in tema di “verifica facoltativa” della congruità dell’offerta. Si ricorda, a questo proposito, che la giurisprudenza amministrativa ha riconosciuto che le stazioni appaltanti dispongono di una discrezionalità ampia con riguardo alla scelta di procedere, o no, alla verifica facoltativa, con la conseguenza che il ricorso all’istituto (come pure la mancata applicazione di esso) non necessita di una particolare motivazione né può essere sindacato se non nelle ipotesi, remote, di macroscopica irragionevolezza o di decisivo errore di fatto (Consiglio di Stato, sez. V, 29 gennaio 2018, n. 604).
Il comma 2 contiene la parte più innovativa della disposizione, rappresentata dalla introduzione dell’obbligo per le stazioni appaltanti di prevedere negli atti di indizione della procedura da aggiudicare con il criterio del
prezzo più basso, oltre alla citata opzione per l’esclusione automatica delle offerte, anche il metodo matematico di determinazione della soglia di anomalia, individuato – a scelta delle medesime stazioni appaltanti – tra uno dei tre indicati nell’allegato II.2 (sul quale si veda più oltre).
In questo caso la ratio della previsione poggia su una duplice considerazione. In primo luogo, l’adeguato bilanciamento del rischio di offerte anormalmente basse e di una sana dinamica competitiva tra operatori economici non può essere soddisfatto da un unico meccanismo in quanto l’equilibrio ricercato dalla stazione appaltante dipenderà dalle caratteristiche specifiche del contratto e anche del tessuto produttivo degli operatori economici a cui la stazione appaltante si rivolge. In secondo luogo, il sistema, in ultimo delineato nel decreto legislativo n. 50/2016, si prestava, nel tempo, a una possibilità di predeterminazione, da parte degli offerenti, dei parametri di riferimento per il calcolo della soglia di anomalia; tale fenomeno dipendeva dal fatto che l’algoritmo per il calcolo della soglia (e anche i precedenti in passato applicati) risultava ancorato a una funzione della distribuzione degli sconti offerti o, in altri termini, era un valore determinato, in via endogena, sulla base del valore di quegli sconti. Talune delle imprese offerenti, quindi, avrebbero potuto essere indotte a tentare di manipolare la soglia, coordinandosi nella fase di presentazione delle offerte; altre imprese partecipanti avrebbero potuto provare a “scommettere” sulla determinazione della soglia di anomalia. In entrambi i casi, si sarebbe potuto determinare l’esito svantaggioso per la stazione appaltante (e per la collettività dei contribuenti) della presentazione di offerte potenzialmente svincolate dai costi sottostanti.
Onde ridurre in misura significativa i sopra ricordati rischi di manipolazione della soglia di anomalia, e, al contempo, assicurare il fondamentale bilanciamento tra il contenimento dei costi e l’ottenimento di una qualità dell’esecuzione del contratto adeguata alle esigenze della stazione appaltante, la disposizione consente, per l’appunto, alle stazioni appaltanti di scegliere, in via alternativa e senza necessità di motivazione, uno dei tre metodi di calcolo della soglia descritti nell’allegato II.2, con l’unica condizione di indicare negli atti indittivi il metodo prescelto.
Il comma 3 prevede che l’allegato II.2, avente natura regolamentare, possa essere sostituito, integrato e modificato, ai sensi dell’art. 17 della l. n. 400 del 1988, previo parere dell’ANAC. Si ritiene che, per i fini di un migliore fine tuning dei metodi in discorso, la loro periodica revisione sia effettuata con una frequenza ravvicinata (preferibilmente annuale), anche in considerazione della necessità di un costante aggiornamento dei dati statistici di riferimento che sono nella disponibilità dell’ANAC e ciò con particolare riguardo alla Tabella A.
Allegato II.2
Si illustrano, di seguito, le logiche sottostanti i tre metodi descritti nell’allegato.
Il Metodo A). Questo metodo replica esattamente il metodo introdotto, all’art. 97, commi 2 e 2-bis, del decreto legislativo n. 50 del 2016, dalla lett. u), n. 1), dell’art. 1, comma 20, del decreto-legge n. 32 del 2019, convertito, con modificazioni, dalla l. n. 55 del 2019. La scelta di mantenere la possibilità di ricorrere a questo metodo è duplice. In primo luogo, esso permette alle stazioni appaltanti di ricorrere ad un metodo da loro già ampiamente utilizzato e, quindi, riduce le complessità di adeguarsi nell’immediato a sistemi potenzialmente più efficaci, ma anche più complessi quali quelli dei due metodi presentati di seguito come Metodo B e Metodo C. In secondo luogo, elemento innovativo del metodo come formulato nella l. n. 55 del 2019, era stato quello di introdurre una componente randomica (ovvero casuale) nella soglia di determinazione dell’anomalia che rendesse la stessa meno prevedibile e manipolabile dalle imprese, ma senza le elevate problematiche che erano state introdotte dal meccanismo originariamente previsto dal legislatore nel 2016 che, all’art. 97 del decreto legislativo n. 55 del 2016, aveva previsto l’estrazione casuale dopo il ricevimento delle offerte del meccanismo di calcolo della soglia di anomalia. Come chiarito nella Relazione illustrativa della l. n. 55 del 2019: «18) All'articolo 97, vengono apportate modificazioni ai commi 2, 3, 3-bis e 8. In particolare la modifica è tesa a risolvere le problematiche segnalate da vari stakeholders concernenti il calcolo della soglia di anomalia. Infatti il meccanismo della determinazione della soglia di anomalia, basato sul sorteggio tra cinque metodi
alternativi, è risultato nella prassi alquanto farraginoso. Peraltro la proposta è volta a prevenire il contenzioso laddove un'offerta di operatore economico, a seconda della scelta casuale di uno degli attuali cinque metodi, potrebbe risultare vincitrice o addirittura anomala. Pertanto, nell'ottica di continuare a garantire l'imprevedibilità della soglia di anomalia in chiave “antiturbativa”, consentendo, al contempo, un maggior livello di snellezza procedurale ed un maggior contenimento dei ribassi, la proposta “riduce” i sistemi di calcolo della soglia ad uno solo, nell'ambito del quale si introducono alcune variabili individuate dopo l'apertura di tutte le offerte. Infine, al fine di non rendere nel tempo predeterminabili dagli offerenti i parametri di riferimento per il calcolo della soglia di anomalia, si prevede la possibilità di emanare, da parte del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, un decreto per la rideterminazione delle modalità di calcolo per l'individuazione della soglia di anomalia. Le modifiche al comma 3, in analogia a quanto previsto relativamente all'aggiudicazione con il criterio del prezzo più basso, introducono, nell'ottica della semplificazione, in caso di aggiudicazione con il criterio dell'offerta economicamente più vantaggiosa, una deroga in merito all'effettuazione del calcolo della soglia di anomalia, in presenza di massimo due offerte, ferma restando la facoltà, in capo alle stazioni appaltanti, di valutare la congruità di ogni offerta che, in base ad elementi specifici, appaia anormalmente bassa. Inoltre si provvede a modificare il comma 3-bis per coordinarlo con le modifiche apportate all'articolo. Infine si prevede, attraverso una modifica del comma 8, una deroga all'esclusione automatica per gli appalti sotto soglia aventi carattere transfrontaliero: essa è tesa a risolvere la procedura d'infrazione nei confronti dell'Italia a seguito della lettera di costituzione in mora n. 2018/2273. Inoltre, sempre al comma 8, la modifica interviene sulla materia riguardante le offerte anomale basse e stabilisce che la stazione appaltante prevede nel bando, non più come facoltà, l'esclusione automatica dalla gara delle offerte che presentano una percentuale di ribasso pari o superiore alla soglia di anomalia».
Il Metodo B). Questo metodo deriva dai più recenti studi accademici in materia, integrando queste conoscenze con le specificità del contesto di riferimento. Il metodo si fonda su due elementi: una soglia di anomalia e l’applicazione di una regola del c.d. “secondo prezzo”. Per quanto riguarda la soglia di anomalia, idealmente il metodo presupporrebbe la capacità della stazione appaltante di determinare, non soltanto la base d’asta, ma anche il prezzo minimo accettabile, al di sotto del quale non accettare offerte. Al fine di semplificare il problema delle stazioni appaltanti, si è, tuttavia, ritenuto di mantenere una determinazione della soglia di anomalia quasi identica a quella proposta nel Metodo A sopra illustrato, con l’unica, fondamentale differenza che l’algoritmo applicato non necessariamente esclude lo sconto maggiore presentato in gara. Questa, potenziale, maggiore spinta concorrenziale è tuttavia bilanciata dal secondo elemento, la regola del “secondo prezzo”, secondo cui risulta aggiudicataria del contratto l’impresa che abbia offerto il prezzo più basso tra quelli non anomali, ma il prezzo di aggiudicazione non è il prezzo più basso (offerto dalla impresa aggiudicataria), ma il secondo prezzo più basso, ovvero il prezzo offerto dalla seconda classificata. In caso di pareggio tra imprese con il prezzo più basso, viene sorteggiata quella vincitrice.
La logica sottesa è che, sotto condizioni realistiche, il meccanismo al “secondo prezzo” rende ottimale per le imprese fare offerte uguali al loro reale costo di produzione. La spiegazione intuitiva del perché sia così è legata al fatto che in un sistema di questo tipo è ottimale per ogni azienda offrire un valore esattamente uguale al proprio costo, giacché: (a) questa strategia consente all’azienda di vincere l’asta se, e solo se, può fare profitto positivo; e (b) offrire un valore diverso non può aumentare i profitti fatti dall’impresa vincitrice, giacché il prezzo vincente non dipende dall’offerta del vincitore. (Incidentalmente, si osserva che meccanismi analoghi al Metodo B sono ampiamente impiegati in varie tipologie di aste, ad esempio, in quelle per la fissazione del prezzo dell’elettricità, c.d. “aste del giorno prima”). Il beneficio per le stazioni appaltanti (e per la collettività), derivante dall’applicazione del Metodo B, è che se le offerte rispecchiano i costi, allora le stazioni appaltanti beneficiano della maggiore efficienza produttiva dell’impresa vincente rispetto alle rivali.
Il Metodo C). Questo metodo deriva dall’esperienza internazionale con metodi simili, integrando queste conoscenze con le specificità del contesto di riferimento. La stazione appaltante che applichi tale metodo deve indicare nel bando di gara lo “sconto di riferimento.” Tale sconto è espresso come percentuale della base d’asta rispetto a cui le imprese formulano i loro sconti e rappresenta l’indicazione che la stazione appaltante offre alle imprese della soglia di anomalia, al netto di una componente randomica determinata successivamente in base alle offerte ricevute. Al fine di coadiuvare le stazioni appaltanti nella scelta di questo valore, è stata
predisposta nell’allegato II.2 la Tabella A che contiene una serie di parametri di riferimento (alcuni percentili della distribuzione dei ribassi di aggiudicazione) basati sullo storico di gare associate a conduzione dei lavori non patologiche, segnatamente, con aumenti dei costi di esecuzione non eccedenti il 25% e dei i tempi di esecuzione non eccedenti il 200%. Alla stazione appaltante viene in ogni caso lasciata la possibilità di discostarsi dai valori di riferimento della Tabella A motivando la scelta in base all’esigenza di selezionare un’offerta con caratteristiche di prezzo-qualità congrue rispetto ai bisogni della stazione appaltante stessa. In questo caso, la stazione appaltante applica criteri verificabili per determinare lo sconto di riferimento confrontando i benefici di sconti maggiori con i costi di selezionare un’offerta vincitrice con qualità potenzialmente inferiore.
Dopo aver ricevuto le offerte, la stazione appaltante applica una componente randomica allo sconto di riferimento per definire la soglia di anomalia. Lo sconto maggiore tra quelli non superiori a tale soglia vince. Questa componente randomica implica che nel Metodo C tutte le offerte possano essere indicate come anomale; in questo caso si deve ricorrere alla valutazione in contraddittorio e non al nuovo espletamento della gara.
I numeri indicati nella Tabella A sono ottenuti a partire dai dati Open ANAC basati sulle comunicazioni delle stazioni appaltanti all’Autorità. La popolazione di riferimento è costituita dai contratti pubblici avviati tra il 2012 e il 2021 e aggiudicati entro giugno 2022. L’analisi è svolta a livello di CIG: in caso di suddivisione in lotti, ciascun lotto costituisce un’unità statistica distinta. Sono esclusi dall’analisi gli appalti sopra la soglia di rilevanza europea (in quanto ad essi non si applica la disciplina dell’esclusione automatica); gli appalti integrati; i contratti affidati tramite procedure diversa da quelle competitive o negoziate; i lavori eseguiti nell’ambito di concessioni o affidamenti in house.
Nella Tabella A sono riportati i seguenti percentili della distribuzione degli sconti di aggiudicazione: 50° pct, 60° pct, 70° pct, 80° pct, 90° pct, 95° pct e 99° pct. Con sconto di aggiudicazione si intende il ribasso di aggiudicazione come disponibile nei dati Open ANAC. Sono incluse per il calcolo esclusivamente i casi di contratti la cui esecuzione soddisfi entrambi i seguenti criteri:
• scostamenti di costo non superiori a un quarto della base d’asta (detto altrimenti: soglia di incremento del 25% del prezzo contrattuale);
• scostamenti di tempo non superiori a due volte il tempo contrattuale definito al momento dell’affidamento del contratto (detto altrimenti: soglia di incremento del 200% sul tempo contrattuale).
Lo scostamento di tempo è definito come la differenza percentuale fra la durata effettiva dei lavori (tempo trascorso tra la data di aggiudicazione e l’ultima data indicativa del termine della fase esecutiva) e la durata preventivata in sede contrattuale. Lo scostamento di costo è dato dalla differenza percentuale tra l’importo complessivo finale, al netto di eventuali costi di progettazione, e l’importo di aggiudicazione, in termini percentuali rispetto all’importo a base d’asta.
Le righe della tabella che presentano il simbolo (*) sono state stimate ripetendo i valori relativi alla classe di importo immediatamente più piccola in quanto il numero di osservazioni disponibili per effettuare il calcolo dei percentili è inferiore a 100 osservazioni.
Le categorie OG/OS mancanti in tabella sono state accorpate nella categoria finale “Altro” in quanto non contenevano il numero minimo di 100 osservazioni in nessuna delle tre classi di importo considerate.
A titolo illustrativo, si propone, di seguito, un esempio che descrive l’esclusione delle offerte anomale, la selezione dell’impresa aggiudicatrice e la determinazione dello sconto di aggiudicazione della gara nei tre metodi sopra citati. Nella tavola, denominata “Esito della gara secondo i diversi metodi”, la distribuzione dei costi e degli sconti offerti da 15 aziende è mostrata nelle colonne seconda e terza, mentre per ogni algoritmo di aggiudicazione è presente una colonna indicante l’impresa vincitrice e le eventuali imprese escluse, e una seconda colonna che riporta lo sconto di aggiudicazione della gara.
Per quanto concerne il Metodo A, date le 15 offerte ammesse alla gara, vengono accantonate le 2 offerte di minor ribasso e le 2 offerte di maggiore ribasso (ovvero le offerte delle imprese A, B, O, P) per calcolare la somma e la media, rispettivamente pari a 110,00% e 10%. Dalle cinque offerte non accantonate con ribasso superiore alla media, viene calcolato lo scarto aritmetico medio, pari a 3%. Siccome il numero di offerte ammesse alla gara è pari a 15, si individua la soglia di anomalia aggiungendo alla media lo scarto aritmetico medio decrementato dello 0%, dove tale valore percentuale è ottenuto moltiplicando fra loro la prima e la seconda cifra decimale della somma delle offerte non accantonate (ovvero 0x0 = 0). Si ottiene dunque una soglia di anomalia pari a 13%, dalla quale risulta vincitrice l’impresa K con un ribasso di aggiudicazione pari a 12%. Vengono escluse le imprese con offerte pari o superiori alla soglia di anomalia, cioè le imprese L, M, N, O, P.
Per quanto concerne il Metodo B, dato il medesimo calcolo rispetto al Metodo A della somma e della media delle offerte non accantonate, si ha che la somma delle cifre della somma delle offerte non accantonate è un numero pari (ovvero 1+1+0+0+0 = 2), perciò la soglia di anomalia si individua sommando la media e lo scarto aritmetico medio decrementato di un valore percentuale uguale a 0%, il prodotto fra la prima e la seconda cifra decimale della somma delle offerte non accantonate. La soglia di anomalia è uguale a 13,00% (ovvero: 10,00%
+ 3,00 x (1-0,00)%). Risulta dunque vincitrice l’impresa L con uno sconto uguale alla soglia di anomalia e il prezzo di aggiudicazione è 12%, ovvero il miglior prezzo tra quelli non-anomali, esclusa l’offerta di L stessa (metodo del “secondo prezzo”).
Per quanto riguarda il Metodo C, si ipotizza uno scenario in cui la stazione appaltante seleziona come sconto di riferimento 16.172%, prendendo tale sconto dalla Tabella A dell’allegato II.2. La somma delle offerte non accantonate è 110,00%, sicché la somma delle cifre è pari (ovvero 1+1+0+0+0 = 2) ed il prodotto delle due cifre decimali è 0% (ovvero 0x0 = 0). Dunque, la soglia di anomalia è identificata dallo sconto di riferimento scelto dalla stazione appaltante e pubblicato sul bando di gara (in quanto 116,172% - 0,00% x 3,00% = 116,172%). Risulta vincitrice l’impresa O che offre lo sconto più alto fra quelli minori alla soglia di anomalia, cioè il 16,172%, ed il ribasso di aggiudicazione è pari allo sconto di tale impresa. Si evidenzia che, nonostante l’impresa O fosse stata accantonata per il computo della somma, della media e dello scarto aritmetico medio delle offerte, essa è tenuta in considerazione al momento dell’aggiudicazione della gara.
Tavola “Esito della gara secondo i diversi metodi”
Identificativo impresa | costo | sconto | offerto | Metodo A Sconto di Risultato gara aggiudicazione della gara | Metodo B Sconto di Risultato gara aggiudicazione della gara | Risultato | gara | Metodo | C | Sconto di aggiudicazione della gara | |
A | € | 940,000.00 | 3.0% | ||||||||
B | € | 930,000.00 | 4.0% | ||||||||
C | € | 920,000.00 | 5.0% | ||||||||
D | € | 910,000.00 | 6.0% | ||||||||
F | € | 900,000.00 | 7.0% | ||||||||
G | € | 890,000.00 | 8.0% | ||||||||
H | € | 880,000.00 | 9.0% | ||||||||
I | € | 870,000.00 | 10.0% | ||||||||
J | € | 860,000.00 | 11.0% | ||||||||
K | € | 850,000.00 | 12.0% | Vincitrice 12.0% | |||||||
L | € | 840,000.00 | 13.0% | Esclusa | Vincitrice 12.0% | ||||||
M | € | 830,000.00 | 14.0% | Esclusa | Esclusa | ||||||
N | € | 820,000.00 | 15.0% | Esclusa | Esclusa | ||||||
O | € | 810,000.00 | 16.0% | Esclusa | Esclusa | Vincitrice | 16.0% | ||||
P | € | 800,000.00 | 17.0% | Esclusa | Esclusa | Esclusa |
Art. 55
Il comma 1 prevede il termine di trenta giorni per la stipula del contratto, specificando altresì che tale termine decorre dall’aggiudicazione (a prescindere dal controllo dei requisiti).
Il comma 2 stabilisce che i termini dilatori previsti dall’art. 18, commi 3 e 4, non si applicano agli affidamenti sottosoglia. La disposizione, muovendo dall’art. 32, comma 10 del decreto legislativo n. 50 del 2016, propone una norma di carattere fortemente innovativo, escludendo l’applicazione, in tutti gli affidamenti di contratti sotto soglia, dei termini dilatori sia di natura procedimentale che processuale, che si ricollega alla norma sui termini per la stipula del contratto e alla norma in tema di ordinaria esecuzione anticipata del contratto, nell’intento di disegnare un micro-sistema normativo finalizzato alla riduzione dei tempi di definizione degli affidamenti e di avvio dell’esecuzione.
In questa prospettiva, la norma (insieme alle altre richiamate) costituisce attuazione del principio direttivo contenuto nell’art. 1, comma 2, lett. m), della legge delega, volto alla «riduzione e certezza dei tempi relativi alle procedure di gara, alla stipula dei contratti […]». Non sembrano profilarsi problemi di compatibilità con il diritto europeo, posto che la direttiva 2007/66/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio dell’11 dicembre 2007, che modifica le direttive 89/665/CEE e 92/13/CEE, all’art. 2-bis, prevede che il termine dilatorio con effetto sospensivo si applica agli appalti sopra soglia.
Nemmeno sembrano porsi questioni di legittimità costituzionale, sia perché nel processo amministrativo italiano il principio è tradizionalmente quello per cui la proposizione del ricorso non sospende automaticamente l’atto impugnato (e comunque rimangono immutati i poteri cautelari del Giudice amministrativo, anche monocratici), sia perché la differente disciplina prevista, sul punto, per i contratti sopra soglia si giustifica anche in ragione della loro rilevanza sotto il profilo economico.
PARTE II
DEGLI ISTITUTI E DELLE CLAUSOLE COMUNI
La parte II del libro II contiene disposizioni “trasversali”, tra esse eterogenee e comuni all’appalto. La scelta di raggrupparle e di collocarle all’inizio del Libro II, immediatamente dopo la unitaria disciplina del c.d. “sottosoglia”, è ascrivibile alle plurime considerazioni - tra di esse intersecantisi che di seguito si espongono - e che si individuano in un duplice “comune denominatore”.
Anzitutto, all’ evidenza, trattasi di disposizioni di rilevante importanza e di notevole impatto – anche e soprattutto economico- sulla disciplina del contratto pubblico. In secondo luogo – e la constatazione si collega inevitabilmente a quanto appena prima rilevato- numerose di esse, per tal ragione, ma anche per ulteriori profili legati alla attuale congiuntura politica ed economica mondiale hanno trovato esplicita menzione nei principi e criteri della legge-delega.
Invero, a tale proposito, si rammenta che alla lett. h) il Legislatore delegante ha inserito le clausole sociali (art. 57) quale oggetto di specifico intervento, declinandone le finalità, e che alla medesima lettera della delega hanno trovato riferimento le esigenze solidaristiche di integrazione sociale e professionale delle persone con disabilità o svantaggiate che hanno trovato menzione nell’art. 61; del pari, alla lett. d) sono state indicate dal Legislatore delegante le direttrici di intervento con riguardo alla disposizione (ma forse sarebbe più corretto riferirsi all’”istituto”) della suddivisione in lotti (art. 58): quest’ultima appare strettamente connessa con quella degli accordi quadro (art. 59) la cui importanza è andata via via aumentando esponenzialmente negli ultimi anni ed alla quale non sembra imprudente preconizzare un ulteriore, crescente applicazione, anche in virtù del sistema di qualificazione delle stazioni appaltanti e delle centrali di committenza e la progressiva riduzione del numero delle medesime.
La lettera g) della legge-delega ha poi indicato “il regime obbligatorio della revisione prezzi” quale punto qualificante della riforma, e sembra financo superfluo evidenziare la centralità della previsione (art. 60) alla luce degli eventi di portata mondiale (pandemia, crisi energetica) occorsi nei recenti mesi.
Art. 56
L’articolo, che si compone di un unico comma sebbene articolato in diverse lettere, racchiude al suo interno le ipotesi di appalti nei settori ordinari esclusi dall’applicazione del codice. Nel disegno originario del decreto legislativo 50 del 2016, i numeri degli articoli corrispondenti erano 9, 15, 16, 17 e 17 bis. Al di là della differente tecnica legislativa utilizzata, si tratta pur sempre delle esclusioni ricavate dalla direttiva n. 24 del 2014, in particolare dagli artt. 8 (comunicazioni elettroniche), 9 (appalti aggiudicati in base a norme internazionali), 10 (appalti di servizi riferiti a determinati oggetti, quali ad esempio lavoro, servizi legali, arbitrati e conciliazioni, servizi finanziari, servizi di media, ecc.), 11 (appalti di servizi aggiudicati in base a un diritto esclusivo). Alle quali si aggiungono gli appalti aventi ad oggetto l’acquisto di prodotti agricoli per importi ridotti, in continuità la ricordata previsione di cui all’art. 17 bis del decreto legislativo 50.
Da segnalare, per completezza, come le esclusioni riferite agli appalti nei settori speciali e alle concessioni trovino ora la loro previsione nelle pertinenti parti del codice (artt. 142 ss.; art. 181).
Art. 57
L’articolo viene proposto in conformità ai principi e criteri di cui alla lett. h) della legge delega nella parte relativa alle “clausole sociali”.
L’art. 57, comma 1, rappresenta l’approdo di plurimi interventi normativi e dubbi interpretativi sorti in sede applicativa del vigente art. 50 del decreto legislativo n. 50/2016, esplicati, prima nel parere del Consiglio di Stato n. 2703 del 21 novembre 2018, reso all’Adunanza della Commissione speciale del 26 ottobre 2018, richiesto dall’ANAC, e poi, nelle stesse Linee Guida dell’ANAC n. 13, recanti «La disciplina delle clausole sociali», approvate dal Consiglio dell’Autorità con delibera n. 114 del 13 febbraio 2019.
L’ANAC ha inteso sottolineare come le citate Linee Guida «contengono indicazioni circa e modalità di applicazione e di funzionamento dell’istituto della clausola sociale, da considerare non vincolanti».
Il vigente art. 50 del decreto legislativo 50 del 2016 veniva interpretato dalla giurisprudenza nel senso che l’obbligo di prevedere nella documentazione di gara specifiche clausole sociali investiva solo gli affidamenti di appalti e concessioni di lavori e di servizi «ad alta intensità di manodopera».
Veniva escluso, invece, che alcuna “clausola sociale” potesse essere prevista per appalti e concessioni di lavori e servizi di natura intellettuale. Negli altri casi l’inserimento della clausola rimaneva una facoltà della stazione appaltante.
Con la l. n. 120 del 2020, di conversione in legge, con modificazioni del decreto-legge 16 n. 76 del 2020, recante misure urgenti per la semplificazione e l’innovazione digitale, è stato previsto (art. 8, comma 1, lett. 0a-bis) che «all'articolo 36, comma 1, le parole: “Le stazioni appaltanti possono, altresì, applicare le disposizioni di cui all'articolo 50” sono sostituite dalle seguenti: “Le stazioni appaltanti applicano le disposizioni di cui all'articolo 50”».
Prima di tale modifica l’inserimento della “clausola sociale” risultava obbligatoria per i contratti sopra soglia, mentre per i contratti al di sotto delle soglie comunitarie era prevista come una mera facoltà.
Si osserva altresì, che il decreto legislativo 50 del 2016, all’art. 3, comma 1, lett. qqq), definiva, in termini generali, le “clausole sociali” come «disposizioni che impongono a un datore di lavoro il rispetto di determinati standard di protezione sociale e del lavoro come condizione per svolgere attività economiche in appalto o in concessione o per accedere a benefici di legge o agevolazioni finanziarie».
Al comma 1 del presente articolo, in conformità alla direttiva della delega, quindi, prevede “l’obbligo” per le stazioni appaltanti di inserire nei bandi di gara, avvisi e inviti, specifiche “clausole sociali” con le quali sono richieste, come requisiti necessari dell’offerta, misure orientate a garantire la stabilità del personale impiegato.
Nel testo proposto, strutturato in due commi, viene evidenziato, conformemente ai principi contenuti nella delega, che, per gli affidamenti dei contratti di appalto e servizi diversi da quelli aventi natura intellettuale, l’obbligo della previsione delle clausole sociali deve tenere conto «della tipologia di intervento in particolare ove riguardi il settore dei beni culturali e del paesaggio, e nel rispetto dei principi dell’Unione europea […]».
L’applicazione delle clausole sociali resta esclusa solo per i servizi di natura intellettuale.
L’articolo, coerentemente con il criterio della delega, fa riferimento espresso ai contratti collettivi nazionali e territoriali di settore ed elimina il riferimento legislativo all’art. 51 del decreto legislativo n. 81 del 2015.
Specifica che le clausole sociali debbano garantire le stesse tutele economiche e normative per i lavoratori in subappalto rispetto ai dipendenti dell’appaltatore e contro il lavoro irregolare.
Art. 58
I punti fermi tenuti presenti in sede di redazione dell’articolo - soprattutto tenuto conto della lett. d) della legge delega - sono stati i seguenti:
a) il favor per la partecipazione alle gare delle piccole e medie imprese dichiarato al comma 1, declinato sul piano strutturale in due direzioni:
a.1.) previsione di criteri premiali per l’aggregazione d’impresa (argomento connesso a quello della qualificazione degli operatori economici);
a.2.) possibilità di procedere alla suddivisione in lotti, sulla base di criteri qualitativi e quantitativi; a tale scopo è previsto ai commi 2 e 3:
a.2.1.) l’obbligo di motivazione della mancata suddivisione in lotti; a.2.2.) il divieto di accorpamento artificioso dei lotti.
La disposizione mira, sul piano funzionale:
i) a porre la nuova disciplina in relazione di “coerenza con i princìpi” della Comunicazione 25 giugno 2008 [“Una corsia preferenziale per la piccola impresa” Alla ricerca di un nuovo quadro fondamentale per la Piccola Impresa (un “Small Business Act” per l’Europa): secondo la quale “gli Stati membri dovranno cercare di: (….) incoraggiare le loro autorità contraenti a suddividere, ove possibile, i contratti in lotti e rendere più visibili le possibilità di subappalto”];
ii) a valorizzare le imprese di prossimità.
I) Armonicamente ai punti suindicati, si è anzitutto ritenuto che la suddivisione in lotti, concernendo le condizioni di legittimità di una (rilevante) scelta discrezionale della P.A., dovesse essere inserita nel codice e non in un eventuale regolamento (il che risulta peraltro coerente con la considerazione-conservazione nel nuovo codice dell’impianto del vigente art. 51).
Durante i lavori della Commissione si era considerata l’eventualità di limitare tale disciplina ai soli settori di mercato in cui il ruolo delle MPMI sia attivo o comunque rilevante. Tuttavia è emersa la difficoltà di tracciare con esattezza i contorni di una simile nozione, per cui si è ritenuto preferibile non indicarla a monte, ma semmai di tradurne la rilevanza nella enucleazione dei criteri che orientano le scelte discrezionali dell’amministrazione di suddividere o meno (e di come suddividere).
La nozione di mercato a fini antitrust si collega infatti alla combinazione di caratteristiche del prodotto e area geografica (elementi sostanzialmente coincidenti con quelli ai quali la giurisprudenza parametra la legittimità della scelta relativa alla suddivisione in lotti), e soprattutto si basa sulle istruttorie (che sarebbe complesso ipotizzare prima della predisposizione del singolo bando). È sembrato sufficiente a tale scopo che la norma si apra con l’indicazione dei tratti funzionali della disciplina (“Per garantire la effettiva partecipazione delle micro, delle piccole e delle medie imprese…) dal che sembra trasparire con sufficiente chiarezza che la suddivisione in lotti ha la finalità di assicurare la partecipazione delle MPMI.
II) Va poi rammentato che la legge delega non indica il parametro al quale deve essere conforme l’esercizio del potere discrezionale di scelta fra suddivisione o accorpamento (essa stabilisce soltanto che tale ultima scelta vada motivata): o meglio, non indica espressamente il valore o interesse antagonista rispetto al favor per le MPMI che induce alla suddivisione.
Questo però - conformemente al pacifico indirizzo della giurisprudenza (che opera in argomento un sindacato anche molto penetrante: Consiglio di Stato, sez. III, 1857/2019) - si evince dal sistema: ed è dato sia dalle esigenze connesse alla funzionalità organizzativa (e, in genere, alla funzionalità della prestazione contrattuale rispetto all’interesse pubblico ad essa sotteso), sia dalla convenienza economica per la stazione appaltante, normalmente favorita dalla soluzione “aggregante” (sia pure non considerata in assoluto).
La giurisprudenza solitamente afferma che nella vigenza della disciplina attuale la decisione di non suddividere in lotti, o di suddividere in macro-lotti, può essere giustificata da “valutazioni di carattere tecnico-
economico” (Consiglio di Stato, Sez. III, n. 5224/2017, che espressamente richiama lo Small Business Act; Id., sez. V, n. 5119/2022).
La declinazione di tale canone non è stata sempre pacifica e coerente.
Alcune decisioni hanno ritenuto inidonee generiche esigenze di coordinamento (T.A.R. Milano, II, 2682/2019) o di semplificazione della procedura di gara anche allo scopo di evitare il proliferare dei contenziosi (Consiglio di Stato, III, 861/2019).
Altre decisioni valorizzano invece l'esigenza di "miglior coordinamento delle prestazioni e di semplificazione e riduzione dei costi di transazione” (Consiglio di Stato, sez. III, n. 1138/2018; nello stesso senso n. 5224/2017).
Pertanto, si sono indicate al comma 2 – come parametri legali dell’esercizio del potere discrezionale di accorpamento - le esigenze di funzionalità, anche di natura organizzativa, connesse al contratto e quelle legate al miglioramento (non solo quantitativo, ma anche qualitativo: affiancando all’obiettivo del contenimento quello del “value for money”, in coerenza con le best practice internazionali in tema di public procurement) della spesa pubblica sub specie economie di scala come possibili motivazioni (astrattamente legittime) di accorpamento, comunque secondo un criterio di proporzionalità.
Tale obiettivo deve essere – secondo un suggerimento degli economisti, che peraltro coincide con la corrispondente esigenza giuridica – richiesto ad un livello di plausibilità (e non ulteriore: che sarebbe difficile se non impossibile dimostrare e verificare).
Tale indicazione è apparsa tuttavia troppo “debole” da un punto di vista giuridico, dal momento che rischierebbe di rendere facilmente motivabile qualsiasi decisione di non suddividere in lotti, in contrasto con lo spirito della legge delega.
Si è così pensato di prevedere che l’economia di scala che può legittimamente consentire la mancata suddivisione sia significativa: in modo da un lato di inserire comunque fra i parametri quello di tutela della spesa pubblica e, dall’altro, di porre alle amministrazioni un warning contro la possibilità di mancate suddivisioni artificiose (o comunque non adeguatamente ponderate con la complessità degli interessi in gioco).
Si è ritenuto che questo termine sia preferibile agli altri proposti, soprattutto sia preferibile a “documentate” che renderebbe arduo il lavoro delle stazioni appaltanti data la difficoltà di provare la presenza di economie di scala. La causa risiede nella loro non osservabilità diretta nelle voci di bilancio delle imprese, trattandosi invece di una caratteristica della funzione di produzione. Pertanto, l’aggettivo “significative”, alleggerisce l’onere della prova a carico delle stazioni appaltanti (principalmente le centrali di committenza), altrimenti diabolico sul piano economico, e va inteso come “dimostrabili”.
Si tratterebbe, in sostanza, di reintrodurre – con maggiori cautele per le MPMI – un testo analogo a quello dell’art. 2 del codice del 2006: “le stazioni appaltanti devono, ove possibile ed economicamente conveniente, suddividere gli appalti in lotti funzionali”.
Tale precisazione è necessaria perché in difetto si pone il problema dell’ammissibilità o meno di tale parametro.
Qualificata dottrina, a proposito della disciplina vigente, ha in proposito affermato che “la suddivisione in lotti di un appalto può certamente determinare un incremento dei costi a carico dell'amministrazione, ma nel nuovo scenario normativo tracciato dall'art. 51 del Codice 2016 simile effetto negativo viene fatto recedere in vista della tutela da accordare alla partecipazione degli operatori economici di minori dimensioni”.
In contrario si è sostenuto, all’esito verosimilmente del peculiare approccio contabilistico, che la mancata suddivisione sarebbe giustificata quando l'amministrazione dimostra “di aver conseguito una economia di scala rispetto all'opzione del frazionamento in lotti prestazionali” (Corte Conti, Sicilia, 21 ottobre 2019, n. 170).
Il “considerando” 2 della direttiva 2014/24/UE in realtà pone fra gli obiettivi un “uso più efficiente possibile dei finanziamenti pubblici” e l’accrescimento dell’“efficienza della spesa pubblica”: quindi l’inserimento di tale parametro è assolutamente coerente.
Tanto che in Francia l’art. L2113-11 del Code de la Commande Publique prevede che “L'acheteur peut décider de ne pas allotir un marché dans l'un des cas suivants: 1° Il n'est pas en mesure d'assurer par lui- même les missions d'organisation, de pilotage et de coordination ; 2° La dévolution en lots séparés est de nature à restreindre la concurrence ou risque de rendre techniquement difficile ou financièrement plus coûteuse l'exécution des prestations” (in argomento: Conseil d'État, 7ème - 2ème chambres réunies, 06/11/2020, n. 437718).
Il valore antagonista ha dunque pieno fondamento: il suo esplicito richiamo si è reso necessario alla luce dell’inserimento, nell’articolo, della nozione di “lotti quantitativi” che, come hanno spiegato gli economisti (v. infra), confligge con l’esigenza di realizzare economie di scala.
III) Xxx invece l’amministrazione decidesse di suddividere in lotti, si pone il problema dell’esercizio del relativo potere discrezionale relativo al quomodo della suddivisione, sotto un duplice profilo.
3.1. Un primo problema concerne la divisione in lotti funzionali, ovvero prestazionali.
Questa scelta discrezionale deve essere evidentemente orientata alle peculiari esigenze dello specifico lavoro (o servizio, o fornitura).
Si è posta in evidenza l’esigenza che le attuali definizioni normative di lotto funzionale (art. 3, comma 1, lett. qq), e lotto prestazionale (art. 3, comma 1, lett. ggggg) - contenute nella parte sui princìpi- rimanessero invariate nella consapevolezza che la disciplina predisposta può funzionare purché a monte rimanga una definizione chiara.
3.2. Un secondo problema concerne invece il quomodo della suddivisione in lotti.
L’esercizio di tale potere è altrettanto vitale nell’economia della disciplina in esame, come è stato osservato in dottrina: “La suddivisione in lotti di un appalto pubblico — ossia del suo oggetto — è considerata tradizionalmente una misura di favore per gli operatori economici di minori dimensioni. Occorre però subito avvertire come questa misura rappresenti solo una delle condizioni per il perseguimento dell'obiettivo indicato. È infatti nel modo in cui l'appalto viene (eventualmente) suddiviso in lotti che può essere valutata l'effettività della misura medesima”.
Sul punto, la legge delega si è limitata a prevedere che tale valutazione debba essere operata “sulla base di criteri qualitativi o quantitativi”.
L’art. 51 del d.lgs n. 50 del 2016, pur non prevedendo un espresso obbligo di motivazione, individuava invece quale parametro un dato funzionale di tipo quantitativo: il “valore” economico (“il relativo valore deve essere adeguato in modo da garantire l'effettiva possibilità di partecipazione da parte delle microimprese, piccole e medie imprese”).
La giurisprudenza ha tuttavia articolato il sindacato giurisdizionale su tale scelta discrezionale con un’indagine sulla complessiva razionalità e logicità della divisione, enucleando la necessità di una motivazione rafforzata sui criteri di individuazione dei lotti (territorialità, ecc.): proprio perché si pone la medesima esigenza della valutazione discrezionale di cui al punto 2): mancata suddivisione e cattiva suddivisione producono infatti il medesimo effetto escludente per le PMI.
Se, infatti, l’amministrazione dividesse l’appalto in macro lotti tali da escludere le PMI, si sarebbe in presenza di una fattispecie che sul piano degli effetti è sostanzialmente identica a quella della mancata suddivisione.
Da un punto di vista economico si è osservato, nello stesso senso, che molto spesso il problema non è dicotomico: un lotto o più lotti.
Tipicamente, nelle gare di grandi dimensioni, i lotti sono sempre multipli, ma la questione che si pone è perché farne un certo numero N e non un altro numero M, oppure perché questi N hanno dimensioni tra loro omogenee o eterogenee.
Pertanto, stante l’identità sostanziale della problematica in punto di limiti della scelta discrezionale, è parso più snello inserire nel terzo comma, oltre al richiamo alla natura quantitativa e qualitativa dei criteri (come previsto dalla delega), un richiamo ai possibili interessi antagonisti alla suddivisione, come disciplinati nel secondo comma: con la formula di chiusura del divieto (anch’esso espressamente previsto dalla delega) di artificiosi accorpamenti.
Anche in questo caso l’interesse all’efficiente svolgimento della prestazione contrattuale è un parametro da considerare (Consiglio di Stato, sez, III, n. 5224/2017).
3.3. Sulla scorta dei lavori della Commissione si è deciso di aggiungere ai lotti funzionali e a quelli prestazionali anche quelli quantitativi. In proposito l’indicazione degli economisti è stata nel senso che tale specificazione non fosse strettamente indispensabile, ma che l’aggiunta non comportasse problematiche particolari dal punto di vista economico (segnalandosi anzi come oggi questo tipo di divisione in lotti si presta in modo più naturale alla deroga basata sulle economie di scala).
Conseguentemente è stata enucleata una nozione di “lotti quantitativi” inserita nell’art. 3 dell’Allegato I.1.
4. La valutazione discrezionale della stazione appaltante, oltre a prestarsi all’ipotesi di un uso distorto del relativo potere consistente nell’ “artificioso accorpamento dei lotti”, si presta anche all’opposta ipotesi di artificiosa frammentazione dell’oggetto del contratto.
Entrambe queste forme di abuso del potere discrezionale relativo alla suddivisione dell’oggetto del contratto erano espressamente indicate nel testo dell’art. 51 del decreto legislativo n. 50 del 1016.
La legge delega contempla invece solo la prima.
Si è ritenuto preferibile espungere dall’art. 58 il divieto di artificiosa frammentazione (in quanto elusivo della disciplina delle soglie) che è stato mantenuto in tale specifico ambito disciplinare e che si rinviene al comma 6 dell’art. 14 (che “riproduce” il testo dell’art. 35, comma 6, del d.lgs n. 50 del 2016, secondo cui: “Un appalto non può essere frazionato per evitare l'applicazione delle norme del codice, tranne nel caso in cui ragioni oggettive lo giustifichino”).
5. Il favor per le imprese di prossimità, pure contenuto nella lett. d) della delega, è stato espresso al comma 1 dell’articolo in commento e va inteso - anche per evitare problemi di compatibilità con il diritto dell’U.E. - come tendenza “di sistema”, da valorizzare e declinato in special modo nella disciplina degli appalti sottosoglia
6. Le PMI, onde evitare i problemi causati dalla suddivisione (diseconomie di scala, minore coerenza prestazionale, moltiplicazione delle procedure e del contenzioso), possono essere peraltro valorizzate (non per suddividere, ma) in sede di subappalto.
7. È emerso che, in una prospettiva economica, i vincoli di partecipazione possono avere un costo più alto in termini di (1) maggior facilità di coordinamento tra imprese (quindi un maggior rischio di turbativa d’asta) e (2) minor numero atteso di concorrenti su ciascun lotto.
Nella pratica degli appalti il vincolo di partecipazione è diventato un sostituto quasi perfetto di quello di aggiudicazione semplicemente perché quest’ultimo è manipolabile: un ricorso strumentale su un solo lotto può bloccare l’intera procedura dal momento che l’allocazione di un lotto dipende in generale da quella degli altri.
Questi vincoli andrebbero pertanto utilizzati solo se ci si aspetta un numero di partecipanti elevato.
Pur mantenendo l’istituto, previsto dalla direttiva, si è anzitutto estesa al comma 4 al vincolo di partecipazione la dicotomia funzionale che, in recepimento della giurisprudenza più recente, ha distinto
l’ambito soggettivo di rilevanza del vincolo in ragione della finalità dello stesso (“Al ricorrere delle medesime condizioni e …”).
Inoltre, sempre al comma 4, si è perimetrato con maggior rigore il relativo ambito applicativo: oltre alle richiamate condizioni previste per l’apposizione del vincolo di aggiudicazione, (su cui, si veda di recente Consiglio di Stato, sez. III, n. 9003 del 21.10.2022) è necessario un ulteriore presupposto, quello dell’elevato numero di operatori sul mercato e dunque di un elevato numero di concorrenti attesi: “ove necessario in ragione dell’elevato numero atteso di concorrenti”).
Si può in proposito osservare che:
7.1. l’opportuno inserimento nella disposizione dell’aggettivo “atteso” frustra le aspirazioni di un contenzioso strumentale perché, salvo valutazioni manifestamente illogiche della stazione appaltante, sarà sufficiente dimostrare l’esistenza di un elevato numero di operatori di settore per giustificare la previsione di un elevato numero possibile di concorrenti (e dunque a prescindere dal mero dato del numero effettivo degli offerenti, costituente un post factum);
7.2. nell’eventualità di un accoglimento del ricorso, l’errore di valutazione della stazione appaltante può trovare rimedio nella riedizione della procedura, emendata dal vincolo;
7.3. in ogni caso elidere il requisito in parola sarebbe stata la soluzione maggiormente dannosa, perché avrebbe dato spazio alle pratiche patologiche segnalate dagli economisti.
8. Nel caso di utilizzo di limiti di aggiudicazione, questi sono meno problematici di quelli di partecipazione e possono aiutare in un’ottica di medio/lungo periodo a mantenere un mercato aperto e concorrenziale.
Si è ritenuto necessario prestare attenzione al disegno di gara, anche in rapporto al contesto di mercato, in particolare rispetto al criterio di priorità utilizzato per definire a quali imprese vadano quali lotti, tenendo presente che il criterio simultaneo è il criterio tipicamente ottimale ma di più difficile gestione rispetto al criterio sequenziale, consigliabile soprattutto se il numero di lotti è elevato o se i lotti sono asimmetrici; nella consapevolezza della difficoltà di codificare una regola astratta sul punto, la formula normativa sul punto mantiene l’unico richiamo al carattere non discriminatorio del criterio di selezione.
9. Sull’estensione del vincolo dalla singola impresa all’unitario centro decisionale cui essa eventualmente sia riconducibile, la giurisprudenza più recente (CDS, V, n. 4726/2022; III, n. 4625/2022; 6481/2021) opta per una soluzione diversa a seconda della finalità del vincolo (a seconda che tale vincolo persegua una finalità legata alla prestazione contrattuale ovvero una finalità di tipo antitrust: con il problema, in questo caso, di individuare il mercato di riferimento).
La formulazione originaria della norma emersa durante una prima fase dei lavori della Commissione nel recepire tale impianto giurisprudenziale in modo da evitare regressioni all’incertezza giurisprudenziale antecedente (favorita dal testo, meno specifico sul punto, dell’art. 51 del decreto legislativo n.50 del 2016): coerentemente all’esigenza in tal senso segnalata anche dagli economisti (i quali indicavano il pericolo che potessero essere utilizzate imprese collegate per aggirare i vincoli di aggiudicazione/partecipazione) così prevedeva “ovvero, per ragioni relative al relativo mercato, anche all’unitario centro decisionale.”.
Tuttavia, sono emerse in argomento due distinte posizioni:
a) la prima, tendente ad individuare, attraverso una clausola generale, una nozione oggettiva (“unico centro decisionale”) di collegamento fra imprese legittimante la limitazione, in modo da disciplinare il fenomeno (delimitazione per finalità concorrenziali) senza avere riguardo ad una specifica figura soggettiva (o a più figure soggettive), anche per il rischio che una indicazione in tal senso possa comunque consentire di lasciare fuori, nella pratica, ipotesi di collegamento fra imprese non riconducibili a quelle tipizzate; e, per disinnescare pericoli di sovrapposizione con la disposizione di cui all’art 80, comma 5, lett. m) del d.lgs
n. 50 del 2016, (oggi: art. 95 comma 1 lett. d-);
b) la seconda, risultata maggioritaria, che invece reputava la nozione di unico centro decisionale congrua rispetto alla disciplina delle esclusioni (attuale art. 80, comma 5, lett. m)), nella quale si pone un problema lato sensu sanzionatorio nei confronti delle imprese che propongano offerte formalmente plurime ma sostanzialmente unitarie, ma non rispetto alla disciplina del vincolo di aggiudicazione, in cui la finalità sarebbe quella, oggettiva, di delimitazione delle quote di mercato, che richiederebbe di individuare la nozione soggettiva di riferimento (nel testo si è fatto rinvio, in questa prospettiva, al collegamento fra imprese ex art. 2359 c.c.);
b-bis) durante i lavori del gruppo, in considerazione della circostanza che i sostenitori della proposta b) prospettavano anche il rischio che il testo “originario” proposto (“ovvero, per ragioni relative al relativo mercato, anche all’unitario centro decisionale.”) potesse ingenerare confusione e sovrapposizioni con la disposizione di cui al vigente art. 80, (mantenuta nel testo art. 95, comma 1, lett. d) si era prospettata la possibilità di utilizzare un sinonimo (ad es: unico centro imprenditoriale) ma anche tale linea di mediazione non è stata approvata
c) pertanto, il testo del quarto comma è stato modificato nei termini seguenti: “oppure, per ragioni inerenti al relativo mercato, anche a più concorrenti che versino in situazioni di controllo o collegamento ai sensi dell’art. 2359 del codice civile.”
In ogni caso se l’Amministrazione non indica la finalità del vincolo, la conseguenza non può essere quella di ritenerlo non apposto, perché ciò falserebbe la gara: infatti le imprese hanno formulato l’offerta sulla base del bando come connotato dal vincolo.
Laddove un’impresa presentasse invece un’offerta tendente all’aggiudicazione di un numero maggiore di lotti rispetto a quelli consentiti, fidando sull’illegittimità-inesistenza del vincolo in quanto immotivato (nella sua finalità), si troverebbe in una posizione di ingiustificato vantaggio rispetto alle altre concorrenti, che invece hanno formulato l’offerta sul presupposto dell’esistenza ed efficacia del vincolo medesimo.
10. Si è ritenuto infine che, in ipotesi di vincolo di partecipazione o di aggiudicazione, laddove venga impugnata l’aggiudicazione relativa ad un lotto, allo scopo di evitare la possibile paralisi delle gare relative agli altri lotti, fosse utile formulare una disposizione analoga a quella dell’art. 95, comma 15, del decreto legislativo n. 50 del 2016.
Tale soluzione, che sposta la tutela delle imprese dal piano delle regole di validità a quello delle regole di responsabilità inserita in quella sede disciplinare, relativa ai criteri di aggiudicazione e si rinviene adesso al comma 12 dell’art. 108.
Art. 59
La formulazione dell’articolo tiene conto della giurisprudenza europea (Corte di Giustizia sez. VIII - 19/12/2018, in causa C-216/17 - rinvio pregiudiziale del Consiglio di Stato, sez. VI, ord., 11 aprile 2017, n. 1690: “1- Un'amministrazione aggiudicatrice può agire per sé stessa e per altre amministrazioni aggiudicatrici, chiaramente individuate, che non siano direttamente parti di un accordo quadro, purché i requisiti di pubblicità e di certezza del diritto e, pertanto, di trasparenza siano rispettati. 2- È escluso che le amministrazioni aggiudicatrici che non siano firmatarie di tale accordo quadro non determinino la quantità delle prestazioni che potranno essere richieste all'atto della conclusione da parte loro degli accordi che gli danno esecuzione o che la determinino mediante riferimento al loro ordinario fabbisogno, pena violare i principi di trasparenza e di parità di trattamento degli operatori economici interessati alla conclusione di tale accordo quadro.” Corte di Giustizia, sez. IV - 17/06/2021, causa C-23/20).
In assenza di specifiche indicazioni nella legge delega, le modifiche apportate all’istituto (la cui definizione è contenuta all’art. 2, lett. n, dell’Allegato I.1 ed è rimasta immutata rispetto a quella di cui all’ art. 3, comma 1, lett. iii) del decreto legislativo n. 50 del 2016 in quanto riproduttiva della definizione contenuta nell’art. 33 della direttiva 2014/24/UE) constano:
a) di una semplificazione lessicale della prima parte del comma 1;
b) della disciplina della durata massima (uniformata a quella, più rigorosa, della direttiva);
c) dello spostamento dal sesto al primo comma della clausola anti-abuso;
d) dell’inserimento nel primo comma dell’obbligo di determinare l’ammontare stimato dell’intera operazione economica, così da consentire un’effettiva partecipazione (o non partecipazione) concorrenziale delle imprese, sulla base della consapevolezza della stima del valore (come sembrerebbe ricavarsi dai princìpi enunciati dalla Corte di Giustizia;
e) della soppressione del sesto comma, relativo ai settori speciali, costituente l’unica parte della disposizione vigente aggiunta rispetto al testo dell’art. 33 della direttiva
Con più specifico riferimento alla formulazione della clausola anti-abuso (argomento, quest’ultimo, sul quale maggiormente si è concentrato il dibattito in Commissione), i componenti tecnici hanno fatto presente che nella pratica (soprattutto per i lavori) era invalsa la prassi di ricorrere all’applicazione dell’accordo quadro anche per attività affatto standardizzabili e prive di qualsivoglia progettualità, e hanno rappresentato l’opportunità di chiarire i limiti dell’istituto ribadendo la necessità che le prestazioni da svolgersi oggetto dell’accordo fossero identificate con compiutezza (si era da essi suggerito di utilizzare il termine “ripetitive”) in modo da assicurare l’identità di prestazioni tra accordo quadro e contratto attuativo.
I componenti tecnici avevano anche sollecitato la possibilità di fare riferimento all’art. 3 del d.P.R. n. 380 del 2021, per introdurre un precetto che consentisse l’accordo quadro soltanto nelle ipotesi di manutenzione ordinaria. Tale ultimo suggerimento non è stato accolto, in quanto è sembrato eccessivamente perimetrativo, a fronte del tenore dei considerando 60 e 61 della direttiva.
È stato pertanto inserito alla fine del comma 1 il seguente inciso: “In particolare, e salvo quanto previsto dai commi 4, lett. b), e 5 ai fini dell’ottenimento di offerte migliorative, il ricorso all’accordo quadro non è ammissibile ove l’appalto consequenziale comporti modifiche sostanziali alla tipologia delle prestazioni previste nell'accordo.”
Il comma 2 prevede che l’aggiudicazione dei contratti valle avvenga secondo quanto previsto dai commi successivi, e che comunque in tali contratti non si possono apportare modifiche sostanziali alle condizioni fissate nell’accoro quadro.
I commi successivi (commi 3 e 4) stabiliscono diverse modalità di esecuzione negoziale degli accordi quadro, a seconda del fatto che essi siano stati conclusi con un solo operatore economico, ovvero con più operatori: stabilendo solo nel secondo caso (e solo in via eventuale: qualora l'accordo quadro non contenga tutti i termini che disciplinano la prestazione dei lavori, dei servizi e delle forniture) diverse modalità di riapertura, totale o parziale, del confronto competitivo.
Infine, il comma 5 disciplina la procedura di riapertura del confronto competitivo, laddove ammesso.
Art. 60
Vale richiamare il criterio di delega di cui alla lett. g): previsione dell’obbligo per le stazioni appaltanti di inserire nei bandi di gara, negli avvisi e inviti, in relazione alle diverse tipologie di contratti pubblici, un regime obbligatorio di revisione dei prezzi al verificarsi di particolari condizioni di natura oggettiva e non prevedibili al momento della formulazione dell’offerta, compresa la variazione del costo derivante dal rinnovo dei contratti collettivi nazionali di lavoro sottoscritti dalle associazioni dei datori e dei prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale, applicabili in relazione all’oggetto dell’appalto e delle prestazioni da eseguire anche in maniera prevalente, stabilendo che gli eventuali oneri derivanti dal suddetto meccanismo di revisione dei prezzi siano a valere sulle risorse disponibili del quadro economico degli
interventi e su eventuali altre risorse disponibili per la stazione appaltante da utilizzare nel rispetto delle procedure contabili di spesa.
In esecuzione di tale criterio di delega è stato reso obbligatorio, con il comma 1, l’inserimento nei documenti di gara della clausola di revisione prezzi.
Tra i possibili meccanismi di funzionamento della revisione (sostanzialmente riassumibili sotto le due categorie dei sistemi di compensazione e di quelli di indicizzazione) si è scelto, al comma 2, un modello di indicizzazione, per alcuni profili ispirato a quello esistente nell’ordinamento francese, allo scopo di facilitare e rendere più rapida e “sicura” l’applicazione della revisione.
Allo stesso tempo, però, sempre in esecuzione dei criteri di delega, è stato previsto, sempre al comma 2, che all’origine delle variazioni dei prezzi che renderanno in concreto attivabile il meccanismo della revisione siano “particolari condizioni di natura oggettiva, non prevedibili al momento della formulazione dell’offerta”.
Particolarmente delicato e complesso è stato, dunque, conciliare l’opzione di indicizzazione con la caratteristica dell’imprevedibilità delle variazioni: per garantire la coerenza del nuovo sistema si è così concentrata l’attenzione sia sul profilo temporale della valutazione dell’imprevedibilità (“imprevedibili al momento della formulazione dell’offerta”) sia sul dato quantitativo di essa (variazioni imprevedibili nel quantum).
Dovendo, inoltre, recepire “a regime” nel nuovo codice alcuni aspetti degli interventi legislativi emergenziali degli ultimi anni – primo tra tutti la natura obbligatoria dell’inserimento delle clausole di revisione - nel meccanismo progettato non sono stati definiti, allo stato, i valori della soglia di attivazione e di individuazione della componente fissa della revisione (che potranno poi essere scelti – con decisione rimessa al Governo - tra tutti quelli, ad esempio, che si situano nell’intervallo che va dal dieci per cento e dal cinquanta per cento già previsti dall’art. 106, comma 1, dell’originario decreto legislativo n. 50 del 2016 ai valori più vantaggiosi per le imprese, ma assai più rischiosi per la tenuta complessiva del sistema, del cinque per cento e dell’ottanta per cento previsti dalla normativa emergenziale).
Per rendere la nuova disciplina della revisione prezzi autoesecutiva ed il meccanismo progettato immediatamente operativo, si è ritenuto di far riferimento, nel comma 3, agli indici sintetici delle variazioni dei prezzi relativi ai contratti di lavori, servizi e forniture, approvati dall’ISTAT con proprio provvedimento entro il 30 settembre di ciascun anno, d’intesa con il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti. Con il medesimo provvedimento si definirà e si aggiornerà la metodologia di rilevazione e si indica l’ambito temporale di rilevazione delle variazioni. Si rimette al Governo la scelta di stabilire, eventualmente, che l’ISTAT adotti il provvedimento in questione due volte all’anno e, dunque, una prima volta entro il 31 marzo.
Si tratta di un sistema elaborato congiuntamente all’Istat, sulla base del fatto che sul suo sito vengono già pubblicati mensilmente (ma la pubblicazione potrebbe diventare trimestrale) degli indici di costo di costruzione riferiti a edilizia residenziale, capannoni industriali, tronchi stradali con tratti in galleria… e della circostanza per la quale l’Istituto ha già avviato un percorso per allargare il set di indici, comprendendo più opere stradali, opere ferroviarie, opere idriche, opere marittime … cosicché ogni lavoro possa trovare un indice più aderente e vicino alla sua specifica dinamica dei prezzi.
Ultimo cruciale profilo per l’effettività del sistema è quello del finanziamento dei maggiori oneri derivanti dalla revisione che dovrà avvenire nel rispetto delle procedure contabili di spesa. rappresentando un espresso punto di esecuzione della delega, la questione del finanziamento, anche se di carattere tecnico, è stata inserita nell’articolo dedicato alla revisione prezzi, al comma 4, piuttosto che nell’allegato.
Art. 61
In conformità al criterio di delega di cui alla lett. h) nella parte riguardante i principi e i criteri in materia di “appalti riservati” è prevista, per le stazioni appaltanti, la “facoltà” di riservare il diritto di partecipazione alle
procedure di appalto o di riservarne l’esecuzione a operatori economici il cui scopo principale sia l’integrazione sociale e professionale delle persone con disabilità o svantaggiate.
La proposta risulta coerente con la direttiva 24/2014/UE, che, fin dal considerando n. 2, chiarisce come gli appalti pubblici siano il mezzo per una «crescita intelligente, sostenibile e inclusiva» che debba tendere anche al «conseguimento di obiettivi condivisi a valenza sociale». In quest’ottica «lavoro e occupazione contribuiscono all’integrazione nella società e sono elementi chiave per garantire pari opportunità a tutti» (Considerando n. 36).
L’articolo proposto, quindi, mantiene l’ampliamento dei soggetti a cui riservare le procedure di gara: da un lato, le imprese sociali, le cooperative e i loro consorzi, dall’altro qualsiasi altra impresa che impieghi nello svolgimento delle prestazioni oggetto dell’appalto almeno il 30% composto da lavoratori disabili o svantaggiati.
Nello specifico il comma 1, in larga parte, ripropone il contenuto dell’art. 20 della citata direttiva 2014/24/UE, peraltro già trasposto nell’antevigente comma 1 dell’art. 112 del decreto legislativo n. 50 del 2016.
Il comma 2 introduce la possibilità per le stazioni appaltanti di prevedere «meccanismi e strumenti di premialità per realizzare le pari opportunità generazionali, di genere e di inclusione lavorativa per le persone con disabilità o svantaggiate».
Lo scopo della riserva è sempre l’integrazione sociale e professionale delle persone con disabilità o svantaggiate attraverso lo strumento dell’appalto pubblico, con la possibilità, quindi, di attivare appalti “a causa mista”, la cui finalità non sia solo l’acquisizione della prestazione del bene, servizio o lavoro, ma anche la possibilità di favorire l’inserimento socio-lavorativo di soggetti meritevoli di particolare tutela.
Il comma 3 ripropone, immutato, il terzo comma dell’art. 112 del decreto legislativo n. 50 del 2016.
Il comma 4 fa riferimento all’allegato II.3 per la individuazione della platea dei soggetti beneficiari della disposizione: ivi sono state trasfuse numerose disposizioni contenute nell’art. 47 del decreto-legge 31 maggio 2021, n. 77.
Al comma 5 si prevede che, in sede di prima applicazione del codice, l’allegato II.3 è abrogato a decorrere dalla data di entrata in vigore di un corrispondente regolamento emanato ai sensi dell’art. 17, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400, con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, di concerto con il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, il Ministro del lavoro e delle politiche sociali e il Ministro per le disabilità, che lo sostituisce integralmente anche in qualità di allegato al codice.
Allegato II.3
Questo allegato, in attuazione dell’art. 61 del nuovo codice, riproduce delegificandoli, all’arti. 1, il comma 2 dell’art. 112 del vigente decreto legislativo n. 50/2016 (in tema di appalti riservati per gli operatori economici che favoriscono l’inserimento nel mondo del lavoro di soggetti svantaggiati), e nei commi successivi le disposizioni già contenute nell’art. 47 del d.l. n. 77/2021 in relazione agli interventi finanziati con le risorse del PNRR e del PNC, che vengono stabilizzate ed estese a regime a tutti i contratti pubblici, in attuazione di apposito criterio di delega.
Il comma 8, per quanto riguarda la definizione in concreto di criteri e modalità di definizione delle misure premiali previste dall’art. 61 per gli operatori economici in questione, nonché per l’approvazione di clausole- tipo da inserire nei bandi di gara, rinvia a un provvedimento attuativo del Presidente del Consiglio dei Ministri ovvero del Ministro per le pari opportunità, di concerto con il Ministro delle infrastrutture, il Ministro del lavoro e il Ministro delle disabilità.
PARTE III DEI SOGGETTI
TITOLO I
LE STAZIONI APPALTANTI
Relazione introduttiva sulla qualificazione delle stazioni appaltanti
Gli artt. 62 e 63, “sostitutivi” degli articoli 37, 38 e 39 del decreto legislativo n. 50 del 2016 come da tabella di corrispondenza, disegnano il composito sistema soggettivo dei contratti pubblici, dal lato delle stazioni appaltanti, con l’indicazione delle attività che simili soggetti possono porre in essere (“passaggio”, questo, di rilevante importanza specie per i soggetti non qualificati) e del ruolo che rivestono le centrali di committenza e le stazioni appaltanti qualificate in relazione alla finalità di aggregazione e qualificazione della domanda pubblica.
Il disegno di qualificazione (e di riduzione nel numero) delle stazioni appaltanti, sul quale si fondava già il decreto legislativo n. 50 del 2016, non aveva ricevuto attuazione, non essendo mai stato adottato il d.P.C.M. previsto all’art. 38, comma 2.
La legge delega n. 78 del 2022 prevede tra i criteri quelli di “ridefinizione e rafforzamento della disciplina in materia di qualificazione delle stazioni appaltanti, afferenti ai settori ordinari e ai settori speciali, al fine di conseguire la loro riduzione numerica, nonché l'accorpamento e la riorganizzazione delle stesse, anche mediante l'introduzione di incentivi all'utilizzo delle centrali di committenza e delle stazioni appaltanti ausiliarie per l'espletamento delle gare pubbliche; definizione delle modalità di monitoraggio dell'accorpamento e della riorganizzazione delle stazioni appaltanti; potenziamento della qualificazione e della specializzazione del personale operante nelle stazioni appaltanti, anche mediante la previsione di specifici percorsi di formazione, con particolare riferimento alle stazioni uniche appaltanti e alle centrali di committenza che operano a servizio degli enti locali” (art. 1, comma 2, lett. c).
Il testo proposto in attuazione della delega tiene conto del tavolo di lavoro istituito dalla PCM e coordinato dall’ANAC e delle Linee Guida approvate da ANAC con deliberazione 28 settembre 2022, n. 441.
Il sistema complessivo delineato – in coerenza con il criterio direttivo c) della legge delega - ha natura “aperta” (e non “a numero chiuso”): tutti i soggetti che siano muniti dei requisiti necessari ottengono la qualificazione.
La configurazione dei poteri delle stazioni appaltanti non qualificate è disegnata con l’obiettivo di garantire uno “zoccolo duro” di competenze adeguato a fronteggiare una gran parte dei compiti rimessi a queste amministrazioni, anche in previsione della perdita della qualificazione per commesse di più elevato valore. In tal modo si persegue anche l’obiettivo di evitare il sovraccarico di compiti per le centrali di committenza, assicurando la complessiva sostenibilità del sistema fin dal suo avvio. E ciò, anche consentendo alle stazioni appaltanti qualificate di effettuare appalti congiunti e di svolgere attività di committenza ausiliaria, nell’ambito della quale è compresa la gestione di procedure di appalto in nome e per conto delle stazioni appaltanti non qualificate.
È prevista una specifica disciplina della qualificazione delle stazioni appaltanti e delle centrali di committenza. La qualificazione per progettazione e affidamento è disegnata facendo riferimento a tre livelli di qualificazione.
I requisiti di qualificazione sono declinati specificamente dalle Linee Guida approvate da ANAC, recepite nell’art. 1 dell’allegato II.4 al codice, in modo da garantire l’entrata in vigore della disciplina della qualificazione nei tempi previsti. Si prevede al contempo la possibilità di modifica successiva con atto del
Governo, sentita l’ANAC (che da tempo si sta occupando della materia), in modo da consentire il superamento in itinere degli aspetti più problematici.
I requisiti della qualificazione per l’esecuzione sono disciplinati in modo distinto rispetto alla qualificazione per progettazione e affidamento nella deliberazione 28 settembre 2022 n. 441 (Linee Guida approvate da ANAC) recepita nell’allegato II.4 al codice.
Nel medesimo allegato è stata altresì disegnata una disciplina transitoria specifica per tale fase, che distingue:
- le stazioni appaltanti e le centrali di committenza qualificate per la progettazione e per l’affidamento di lavori, di servizi e forniture o di entrambe le tipologie contrattuali che sono qualificate, in una prima fase sperimentale, anche per l’esecuzione rispettivamente di lavori, di servizi e forniture o di entrambe le tipologie contrattuali;
- le stazioni appaltanti non qualificate per la progettazione e l’affidamento di lavori, di servizi e forniture o di entrambe le tipologie contrattuali che possono, in una prima fase sperimentale, eseguire i contratti se sono iscritte ad AUSA e in possesso di una figura tecnica in grado di svolgere le funzioni di RUP
L’art. 39 del decreto legislativo n. 50 del 2016 (attività di committenza ausiliarie) è stato soppresso; le disposizioni finora ivi contenute sono confluite nel comma 11 dell’art. 62.
L’art. 64 riproduce il vigente art. 43 del decreto legislativo n. 50 del 2016 (appalti che coinvolgono amministrazioni aggiudicatrici e enti aggiudicatori di Stati membri diversi), semplificato nel testo e con una formulazione più aderente alle disposizioni della direttiva 24/2014/UE e in particolare all’art. 39, par. 5.
Art. 62
L’art. 62 individua innanzitutto la soglia degli affidamenti diretti per servizi e forniture nonché quella (di cinquecentomila euro) per i lavori, quale limite oltre il quale si applica il regime di qualificazione: le procedure di affidamento di importo inferiore possono invece essere gestite da tutte le stazioni appaltanti (comma 1).
Per effettuare le procedure di importo superiore alle soglie indicate dal comma 1, le stazioni appaltanti devono essere qualificate (comma 2).
I requisiti di qualificazione sono indicati nell’allegato II.4, nei termini specificati nell’art. 63 (comma 3). Si è poi previsto che, in sede di prima applicazione del codice, l’allegato è abrogato a decorrere dalla data di entrata in vigore di un corrispondente regolamento emanato ai sensi dell’art. 17, comma 3, della legge 23 agosto 1988,
n. 400, con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, sentita l’ANAC, previa intesa in sede di Conferenza unificata, che lo sostituisce integralmente anche in qualità di allegato al codice.
L’allegato, inoltre, può essere integrato con la disciplina di ulteriori misure organizzative per la efficace attuazione degli articoli 62 e 63, nonché del relativo regime sanzionatorio e per il coordinamento, in capo all’ANAC, dei soggetti aggregatori.
Al comma 5 sono indicate le attività che possono essere compiute dalle stazioni appaltanti qualificate, che in funzione del loro livello di qualificazione possono effettuare gare di importo superiore alla soglia, acquisire lavori. Servizi e forniture avvalendosi degli strumenti messi a disposizione dalle centrali di committenza, oltre che svolgere attività di committenza ausiliaria e appalti congiunti (disciplinati al comma 14), utilizzare strumenti telematici di negoziazione, effettuare ordini su strumenti di acquisto messi a disposizione dalle centrali di committenza.
Al comma 6 le stazioni appaltanti non qualificate ricorrono a una centrale di committenza qualificata e, per le attività di committenza ausiliaria, anche a stazioni appaltanti qualificate. Il perimetro delle attività che le stesse possono svolgere è ampio consentendo di: