Contract
IL COLLEGIO DI ROMA
composto dai signori:
Xxxx. Xxxxxxxx Xxxxxxxx…………... Presidente
Avv. Xxxxx Xx Xxxxxxx...................... Membro designato dalla Banca d'Italia
Avv. Xxxxxxxxxxxx Xxxxxxxx.............. Membro designato dalla Banca d'Italia
[Estensore]
Avv. Xxxxxxx Xxxxxxxxx… ……. … Membro designato dal Conciliatore
Bancario e Finanziario
Xxxx. Xxxxxxx Xxxxx Xxxxxx ………… Membro designato dal C.N.C.U.
nella seduta del 21/09/2012, dopo aver esaminato:
• il ricorso e la documentazione allegata;
• le controdeduzioni dell'intermediario e la relativa documentazione;
• la relazione istruttoria della Segreteria tecnica.
Fatto
In data 3 aprile 2010 il ricorrente acquistava una cucina componibile presso un rivenditore di mobili, sottoscrivendo contemporaneamente un contratto di mutuo con l’intermediario resistente.
Il finanziamento veniva concesso in data 7 aprile 2010 per un ammontare complessivo di € 5.450,00, pari al prezzo della merce acquistata, trasporto e montaggio compresi. Il rimborso veniva previsto mediante il pagamento di n. 60 rate dell’importo unitario di € 90,87.
In data 8 giugno 2010 la cucina veniva consegnata ma, a causa di alcuni vizi di conformità del bene, non ne veniva eseguito il montaggio.
In data 6 maggio 2011, il ricorrente inviava all’intermediario e al fornitore formale reclamo, recante una “diffida ad adempiere” alla consegna di merce conforme a quella che
era stata acquistata presso il mobilificio. Sul punto il legale dell’associazione dei consumatori, intervenuta su mandato del ricorrente, precisava quanto segue: “la nuova cucina aveva pensili di colore rovere grigio (mentre il resto era di colore avorio), non poteva più essere montato il lavastoviglie realizzato su misura e per tali motivi il nostro associato subiva un danno di € 2.100,00”. Si rappresentava, quindi, che il ricorrente non avrebbe corrisposto le future rate all’intermediario per un importo pari al pregiudizio subito e così quantificato.
Con missiva datata 3 giugno 2011, l’intermediario richiamava la clausola di inopponibilità contenuta nelle condizioni generali del contratto di finanziamento in base alla quale “Per qualsiasi controversia inerente a forniture di merci e/o a prestazioni di servizi, il Cliente, riconoscendo che la banca non ha stipulato né con l’Operatore Commerciale né con l’Esercente Convenzionato accordi che attribuiscano alla Banca stessa l’esclusiva per la concessione del credito ai clienti di quest’ultimo, deve rivolgersi unicamente agli stessi, non restando, nel frattempo, né escluso né sospeso l’obbligo del cliente di effettuare i rimborsi nei termini e con le modalità di cui all’art. 2”. Su questa base, l’intermediario adduceva la propria “estraneità” rispetto alle vicende del contratto di compravendita, così fornendo riscontro negativo al reclamo effettuato dal cliente.
Con ricorso depositato in data 1 settembre 2011, il ricorrente adisce l’Arbitro Bancario Finanziario chiedendo la “risoluzione” del contatto di finanziamento “a partire dalla rata n. 37”, con parallelo accertamento del “diritto dell’istante a non pagare l’importo di € 2.100,00 corrispondente alle restanti n. 23 rate” e pari al danno da lui asseritamente subito, nonché la refusione delle spese sostenute per il giudizio.
Il ricorrente dispiega tali sue richieste invocando l’applicazione dell’art. 125 quinquies, 1° e 2° comma, D.Lgs. 1° settembre 1993, n. 385 (Testo Unico Bancario), in base al quale “Nei contratti di credito collegati, in caso di inadempimento da parte del fornitore dei beni o dei servizi il consumatore, dopo aver inutilmente effettuato la costituzione in mora del fornitore, ha diritto alla risoluzione del contratto di credito, se con riferimento al contratto di fornitura di beni o servizi ricorrono le condizioni di cui all’articolo 1455 del codice civile.
“La risoluzione del contratto di credito comporta l’obbligo del finanziatore di rimborsare al consumatore le rate già pagate nonché ogni altro onere eventualmente applicato. La risoluzione del contratto di credito non comporta l’obbligo del consumatore di rimborsare al finanziatore l’importo che sia stato già versato al fornitore dei beni o dei servizi. Il finanziatore ha il diritto di ripetere detto importo nei confronti del fornitore stesso”.
Nel costituirsi ritualmente in giudizio, l’intermediario convenuto contesta le pretese avverse e sostiene la legittimità del proprio operato.
In via preliminare, la banca eccepisce l’inammissibilità del ricorso “in quanto qualsivoglia decisione al riguardo è da ritenersi preclusa all’Xxx.xx Collegio adito, in ragione della mancanza del necessario contraddittorio” con il fornitore. La (necessaria) presenza di quest’ultimo soggetto, peraltro, dovrebbe comunque condurre a ritenere l’incompetenza per materia dell’Arbitro Bancario Finanziario, posto che la vicenda non potrebbe farsi rientrare tra quelle operazioni bancarie e finanziarie alle quali soltanto la cognizione del Collegio potrebbe legittimamente estendersi.
Nel merito, la banca afferma, tra l’altro, che il ricorso è carente dal punto di vista probatorio in ordine all’asserito inadempimento del fornitore, posto che, come emerge dalle stesse dichiarazioni del ricorrente, il fornitore ha provveduto alla consegna della merce acquistata e la lettera di costituzione in mora è stata inviata a distanza di un anno da tale consegna. Eccepisce, inoltre, l’insussistenza della gravità dell’inadempimento richiesta dall’art. 125 quinquies TUB, osservando come tale norma non fosse neppure vigente al momento della stipulazione del contratto.
La banca richiama poi la clausola delle condizioni generali del contratto di finanziamento – già invocata in occasione del negativo riscontro al reclamo del ricorrente – per sostenere l’inopponibilità alla banca stessa di controversie che riguardino la fornitura di merci, anche per l’assenza di vincoli di esclusiva nella concessione del credito tra il fornitore ed esso intermediario.
Sotto diverso profilo, la convenuta osserva come la richiesta del cliente abbia natura meramente risarcitoria e non possa pertanto ritenersi compresa nell’ambito di applicazione dell’art. 125 quinquies TUB.
Tutto ciò premesso, la banca resistente chiede che l’Arbitro Bancario Finanziario dichiari il ricorso irricevibile e/o inammissibile o – in subordine – lo rigetti nel merito.
Con successivo deposito, il ricorrente ha offerto in comunicazione al Collegio ulteriore documentazione relativa alla difformità della merce ricevuta rispetto a quella acquistata e al pregiudizio da lui subito.
Diritto
1. Si deve premettere che i fatti oggetto di controversia si collocano in epoca antecedente al 19 settembre 2010, data di entrata in vigore del D. Lgs. n. 141/10 che, come noto, in attuazione della Direttiva 2008/48/CE, ha introdotto l’art. 125 quinquies TUB,
secondo il cui disposto, in caso di finanziamento collegato ad una fornitura di beni o di servizi e di inadempimento del fornitore, purché di gravità tale da fondare la risoluzione del contratto, il consumatore ha azione diretta nei confronti del finanziatore per ottenere la risoluzione del relativo contratto di credito.
Nonostante la normativa introdotta dal D. Lgs. n. 141/10 non sia direttamente applicabile ratione temporis alla fattispecie qui vertita, i suoi principi devono comunque orientare la decisione della controversia in ossequio al criterio di c.d. interpretazione conforme ed al relativo insegnamento della Corte di Giustizia CE (v. la sentenza C-509/07 del 23 aprile 2009), come più volte statuito da questo Collegio in vicende analoghe (v., da ultimo, Collegio di Roma, decisione n. 2417 del 16 luglio 2012). Ciò che consente di superare ogni problematica concernente il rapporto di esclusiva di cui all’allora vigente art. 42 D. Lgs. 000/00, x.x. Xxxxxx xxx Xxxxxxx (x. in tal senso, amplius, Collegio di Milano, decisione n. 1535 del 21 luglio 2011).
2. Si deve poi rilevare che, nella specie, non può dubitarsi dell’esistenza di un collegamento negoziale tra il contratto di finanziamento e quello avente ad oggetto la compravendita di beni mobili al cui acquisto il finanziamento stesso era finalizzato, con la conseguenza che l’inadempimento dell’uno (compravendita) si riflette necessariamente sull’altro (finanziamento), come da costante insegnamento del Supremo Collegio (x. Xxxx. 16 febbraio 2010 n. 3589).
La clausola d’inopponibilità al finanziatore delle eccezioni relative all’inadempimento del venditore – invocata dalla banca resistente – riflette la prassi contrattuale del settore, incline a tenere formalmente distinti i contratti di finanziamento e di vendita, nel tentativo di impedire o almeno ostacolare il ripercuotersi delle conseguenze giuridiche dell’inadempimento del fornitore sul rapporto di finanziamento. Tuttavia, l’accentuazione dell’autonomia giuridica delle due fattispecie negoziali non può “mascherare” sino in fondo il collegamento dei contratti, che, in realtà, sono conclusi ed esistono l’uno in funzione dell’altro, tanto più quando gli effetti giuridici di tale impostazione finirebbero per risolversi in un pregiudizio per l’acquirente del bene (cfr. Collegio di Napoli, decisione n. 1054 dell’11 ottobre 2010).
D’altro canto, la rilevanza del collegamento non esclude l’esigenza di applicare regole di correttezza intese a garantire al fruitore del credito una maggior tutela e di predisporre meccanismi sanzionatori per l’inosservanza delle stesse. Alla stregua del principio di buona fede diviene possibile, dunque, imporre al finanziatore un comportamento idoneo a
preservare gli interessi dell’altra parte, ovvero il debitore; e tale obbligo supera (e sopravvive a) le eventuali clausole d’inopponibilità delle eccezioni derivanti dal contratto di compravendita, anche a prescindere dall’eventuale valutazione di vessatorietà della clausola e dalla sua possibile nullità o inefficacia ab origine (circa la natura vessatoria di una simile clausola cfr. Collegio di Roma, decisione n. 880 del 23 marzo 2012).
3. Ciò posto, mette conto soffermarsi sull’eccezione di mancanza del contraddittorio nei confronti del fornitore.
L’eccezione è infondata.
Come noto, la procedura di risoluzione stragiudiziale delle controversie ex art. 128-bis TUB è riservata a due sole categorie: i soggetti di cui all’art. 115 TUB e la «clientela». Non esiste, pertanto, allo stato, alcuna possibilità di estendere il “contraddittorio” a categorie di soggetti differenti (v. Collegio di Napoli, decisione n. 1448 del 12 luglio 2011).
4. Altrettanto infondata è l’eccezione di incompetenza dell’Arbitro Bancario Finanziario sollevata dall’intermediario resistente.
Neppure questa eccezione coglie nel segno.
Invero, come già affermato in numerosi precedenti (cfr., da ultimo, Collegio di Roma, decisione n. 1549 del 15 maggio 2012), e sulla scorta del § 4 della Sez. I delle “Disposizioni sui sistemi di risoluzione stragiudiziale delle controversie in materia di operazioni e servizi bancari e finanziari”, che ricomprende nella competenza dell’Arbitro Bancario Finanziario tutte le controversie aventi ad oggetto l’accertamento di diritti, obblighi e facoltà, questo Collegio conferma la propria competenza, dal momento che il “petitum è rappresentato dall’accertamento di un diritto (…) scaturente da un rapporto di prestazione di servizi finanziari, sia pure collegato con un diverso contratto, avente ad oggetto la prestazione di servizi o la vendita di beni”. L’inadempimento del fornitore, nella presente controversia, rileva solo incidentalmente nelle valutazioni di questo Collegio.
5. Occorre ora valutare se sussistano le condizioni previste dall’art. 125 quinquies TUB ai fini dell’accoglimento del ricorso, id est la previa costituzione in mora del fornitore e la sussistenza dell’inadempimento di non scarsa importanza.
La prima di tali condizioni è soddisfatta dalla missiva del ricorrente datata 6 maggio 2011.
Quanto alla condotta del fornitore, dalla documentazione in atti non pare possa dubitarsi della ricorrenza degli estremi della non scarsa importanza dell’inadempimento – contemplati dall’art. 1455 c.c. – in cui quest’ultimo è incorso, presentando la merce consegnata all’acquirente difformità notevoli rispetto a quella da lui acquistata.
La circostanza dell’avvenuta consegna dei beni non si rivela sintomatica di un’acquiescenza del ricorrente né dell’adempimento del fornitore, posto che – come risulta dalla documentazione offerta in comunicazione nel corso del giudizio dal ricorrente (cfr. lettera del 27 luglio 2010) – quest’ultimo ha tempestivamente contestato al fornitore i difetti di progettazione del bene che ne hanno finanche impedito il completo montaggio.
Risultano pertanto sussistenti entrambe le condizioni richieste dall’art. 125 quinquies TUB
6. Venendo quindi all’esame delle richieste del ricorrente, si deve convenire con la resistente che ritiene non potersi qualificare tali richieste come “domanda di risoluzione del contratto”.
Ciò, tuttavia, non può condurre a ritenere inapplicabile la disciplina dell’art. 125 quinquies TUB sol perché tale norma accorda testualmente al consumatore la sola facoltà di “risoluzione” del contratto.
Ad avviso del Collegio, non può infatti ritenersi che al consumatore siano attualmente precluse azioni e rimedi ulteriori, sebbene meno incisivi dell’azione di risoluzione del contratto, quali l’eccezione di inadempimento e l’esercizio del diritto al risarcimento del danno.
Conducono a tale conclusioni argomenti di ordine sostanziale che emergono in base all’analisi dell’evoluzione normativa e che inducono a superare il mero argomento letterale. L’art. 42 del D.Lgs. 206/2005 (c.d. Codice del Consumo), rubricato “Inadempimento del Fornitore” – attualmente soppresso dall’art. 3 D.Lgs. 141/2010 –, riproducendo puntualmente la disciplina dettata dall'art. 11 della Direttiva 87/102/CEE, disponeva che “nei casi di inadempimento del fornitore di beni e servizi, il consumatore che abbia effettuato inutilmente la costituzione in mora ha diritto di agire contro il finanziatore nei limiti del credito concesso, a condizione che vi sia un accordo che attribuisce al
finanziatore l'esclusiva per la concessione di credito ai clienti del fornitore”.
La norma previgente attribuiva pertanto al consumatore il “diritto di agire” direttamente nei confronti del finanziatore, alla sussistenza delle condizioni ivi previste. Tale diritto di
agire nei confronti del finanziatore è stato tradizionalmente interpretato in senso onnicomprensivo e riferito ad ogni tipologia di azione ed eccezione, quali in particolare, l’azione risarcitoria – nei limiti del credito concesso dal finanziatore – e l’eccezione di inadempimento ex art. 1460 c.c.
Ciò premesso, occorre d’altro canto osservare che l’art. 15, 2° comma, della Direttiva 2008/48/CE – le cui finalità sono evidentemente e dichiaratamente “protettive” nei confronti del consumatore – prevede, così come la richiamata abrogata norma del Codice del Consumo, il “diritto di agire” direttamente nei confronti del finanziatore.
Il D.Lgs. n. 141/2010, nel dare attuazione alla Direttiva appena menzionata e nell’introdurre l’art. 125-quinquies TUB, dispone però che “il consumatore (…) ha diritto alla risoluzione del contratto di credito”.
Ebbene, ad avviso del Collegio, non pare possa intendersi in senso restrittivo il disposto dell’art. 125-quinquies, 1° comma, TUB nella parte in cui sembra attribuire espressamente al consumatore soltanto il diritto alla risoluzione del contratto di credito. Appare infatti quantomeno improbabile, alla luce delle dichiarate finalità della predetta Direttiva, che il legislatore italiano, nel recepirla, abbia inteso ridurre lo spettro di azioni a tutela del consumatore e sulle quali quest’ultimo, nella vigenza della disciplina abrogata, poteva contare. Del resto, anche durante i lavori preparatori per il recepimento della Direttiva 2008/48/CE si è chiarito che “le linee-guida del recepimento sono state individuate nel rafforzamento e nell’estensione – totale o parziale – degli strumenti civilistici e amministrativi di tutela del contraente debole”.
Ed invero, l’inadempimento può far sorgere in capo al contraente creditore non solo il (più incisivo) diritto alla risoluzione del contratto, ma anche il (meno incisivo) diritto di paralizzare la pretesa alla controprestazione sollevando l'eccezione di inadempimento ex art. 1460 c.c. In tal caso – come pure ritenuto dalla Cassazione con riferimento alla generale ipotesi di collegamento negoziale (x. Xxxx. 19 dicembre 2003, n. 19556) – non si vede come si possa negare al consumatore – a fronte di un inadempimento di non scarsa importanza del fornitore – la possibilità di limitarsi a sollevare l’eccezione de qua rifiutandosi di (continuare a) pagare le rate del prestito al finanziatore, senza dover per forza attuare il più incisivo rimedio della risoluzione del relativo contratto. Così come appare tuttora configurabile, sebbene non contemplata espressamente dall’art. 125- quinquies, 1° comma, TUB, l’azione risarcitoria nei confronti del finanziatore, sebbene – come ritenuto dalla dottrina con riferimento alla disciplina previgente – nei limiti del credito concesso.
Si può pertanto ritenere che il legislatore, nel tipizzare l’art. 125-quinquies, 1° comma, TUB e nel limitare i possibili rimedi a disposizione del consumatore nei confronti del finanziatore alla sola azione di risoluzione, minus dixit quam voluit, non potendo escludersi, alla luce della ratio della disciplina rilevante, la attuale configurabilità ed esperibilità dell’azione di risarcimento del danno e dell’eccezione di inadempimento.
7. Pertanto, avuto riguardo al contenuto sostanziale della pretesa fatta valere (Xxxx. 14 novembre 2011, n. 23794), il Collegio giudica ammissibile e fondata la richiesta risarcitoria avanzata dal ricorrente nei confronti del finanziatore e la connessa eccezione di inadempimento ex art. 1460 c.c.
Come statuito dalla Suprema Corte, “l’eccezione di inadempimento di cui all’art. 1460
c.c. attenendo al momento funzionale di ogni contratto a prestazioni corrispettive, trae fondamento dal nesso di interdipendenza che lega tra loro le opposte prestazioni, e cioè dall’esigenza di simultaneità nell’adempimento delle reciproche obbligazioni scadute, avvinte dal rapporto sinallagmatico; pertanto, affinché questa eccezione possa essere sollevata in riferimento ad inadempimenti concernenti rapporti sostanzialmente diversi, occorre che le parti, nell’esercizio della loro autonomia, abbiano inteso configurare detti rapporti come funzionalmente e teleologicamente collegati e posti in relazione di reciproca interdipendenza” (Cass. 28 maggio 2003, n. 8467).
8. In ordine alla quantificazione del pregiudizio, il Collegio ritiene che, in via equitativa e tenuto conto degli elementi forniti dal ricorrente nel corso dell’istruttoria, il danno da quest’ultimo sofferto possa essere liquidato in complessivi € 2.000,00.
9. Il Collegio pertanto, in accoglimento del ricorso, accerta la sussistenza del diritto al risarcimento del danno subito dal ricorrente per l’importo di € 2.000,00 e dichiara che non devono essere pagate le rate del finanziamento per un pari importo, con il connesso obbligo della resistente di ridurre l’importo del finanziamento a suo tempo concesso, in tal senso modificando l’originario piano di rimborso e provvedendo alla corretta imputazione dei pagamenti medio tempore eseguiti dal ricorrente.
P.Q.M.
Il Collegio accoglie il ricorso nei sensi di cui in motivazione.
Dispone inoltre che l’intermediario corrisponda alla Banca d’Italia la somma di Euro 200,00 (duecento/00) quale contributo alle spese della procedura e al ricorrente di Euro 20,00 (venti/00) quale rimborso della somma versata alla presentazione del ricorso.
firma 1