Contract
8.3 Società
La società (societas) è un contratto consensuale, con il quale due o più soggetti, detti socii, si obbligavano reciprocamente a mettere in comune, in tutto o in parte, i loro beni o le loro attività economiche, per il conseguimento di un risultato che fosse utile a tutti, risultato che poteva derivare da attività di mera gestione o di lucro1.
Il modello più antico di società era espresso dal consorzio tra fratelli coeredi (consortium ercto non cito): nessuno degli eredi aveva una parte definita del patrimonio, ma tutti erano proprietari della sua totalità. Sulla scia di questo, si venne ad affermare anche il consorzio fra estranei, costituito con una particolare applicazione della in iure cessio “rinuncia in tribunale”.
Il contratto di società poteva essere concluso tra tutti i tipi di persone (mercanti, banchieri, ecc.) per una durata limitata nel tempo o anche senza limiti. In funzione del tipo di scopo comune si potevano distinguere diversi tipi di società:
Societas unius negotii: società per un solo affare
Societas omnium bonorum: società per tutti i beni
Societas lucri, quaestus, ecc.: società per attività imprenditoriale con scopo di lucro
Societas alicuius negotiationis: società per un certo tipo di attività economica (es. il commercio degli schiavi)
Tipi di società
Non era ammessa invece la costituzione della c.d. società leonina, ove un socio era tenuto solamente alle perdite, e quindi escluso dai profitti2.
1 Cfr. art. 2247 c.c. (Contratto di società): Con il contratto di società due o più persone conferiscono beni o servizi per l’esercizio in comune di una attività economica allo scopo di dividerne gli utili.
2 Il nome deriva da Fedro, Favole, 1.6: Mai è affidabile la società con un potente e questa favoletta comprova il mio assunto. Una mucca, una capra, e una pecora paziente all’offesa (iniuria) furono soci con un leone nella foresta. Essi catturarono un cervo grosso grosso, e il leone, fatte le parti, disse: «Io mi prendo la prima parte perché (hoc nomine “a questo titolo”) mi chiamo re; la seconda mi spetta perché sono socio (consors); la terza, poi, mi tocca perché sono il più valente; e la quarta, se qualcuno la tocca, guai a lui». Così la protervia (improbitas) di uno solo arraffò l’intera preda.
Il consenso continuativo, e non soltanto iniziale, di due o più soci è l’elemento fondante di ogni tipo di societas: se viene a mancare il consenso – talora indicato con il termine affectio, come nel matrimonio – di uno di loro, la società si estingue. L’accordo iniziale fa sorgere a carico di ogni socio l’obbligazione di conferire beni o attività personali, la cui natura e ammontare varia a seconda del tipo di società – per conseguire un fine economico comune, con la divisione dei profitti e delle perdite.
In diritto romano la società non gode di una propria autonomia patrimoniale (una cassa comune). Il vincolo che si crea fra i soci non rileva all’esterno, giacché è il singolo socio a contrattare con i terzi e/o a chiamarli o ad essere da loro convenuto in giudizio.
Quanto al criterio di suddivisione dei profitti e delle perdite e al tipo di conferimenti, si può leggere:
Xxxx 0.000: Vi fu una gran discussione sulla possibilità di formare una società in cui uno avesse parte maggiore nei profitti e minore nelle perdite; il che Xxxxxx Xxxxx ritenne contrario alla natura della società. Ma per Xxxxxx Xxxxxxxx, il cui parere è ormai prevalso, era possibile non solo formare una simile società, ma persino formarne una in cui un socio era escluso dalle perdite, ma partecipava ai profitti, purché la sua opera fosse tanto preziosa da rendere equa la sua ammissione nella società con questa clausola. Oggi è pacifico che si possa formare una società in cui un socio conferisca denaro e un altro no, pur essendo comune il profitto tra loro: spesso infatti l’opera di uno vale quanto il denaro.
Già ben prima del tempo di Xxxx, si affermò la concezione più dinamica del contratto di società, professata da Servio (giurista del I secolo a.C.), che concesse non solo la diversità di quote fra soci per profitti e perdite, ma anche l’esclusione di uno dei soci dalle perdite, sempreché l’attività professionale da lui conferita (socio d’opera) fosse talmente rilevante per il buon andamento della società da far reputare equa la sua esclusione da ogni esborso in caso di passività o fallimento. Qualora i soci avessero concordato percentuali diverse solo per i profitti (o solo per le perdite), s’intendeva che esse valessero parimenti per le perdite (o per i profitti). Qualora non vi fossero stati accordi sul punto, s’intendeva che profitti e perdite andavano distribuiti in parti uguali.
Le eventuali controversie insorgenti tra i soci erano regolate da un’apposita azione di buona fede, l’“azione per il socio” (actio pro socio), che – oltre a prevedere la condanna pecuniaria nei limiti del possibile – provocava lo scioglimento della società. È proprio questa azione contrattuale unitaria che andava a costituire l’autentico, e il solo, elemento unificante dei vari tipi di società.
8.4. Mandato
Il mandato (mandatum)3 obbliga una parte, detta mandatario, a compiere una o più attività per conto di un’altra parte, detta mandante. Il mandatario, accettando, si
3 Cfr. art. 1703 c.c. (Nozione): Il mandato è il contratto col quale una parte si obbliga a compiere uno o più atti giuridici per conto dell’altra.
obbliga ad eseguire tali attività senza alcun compenso, salvo aver diritto verso il mandante al rimborso delle spese e dei danni incontrati nella gestione. La previsione di un compenso, infatti, configurerebbe il rapporto come una locazione d’opera.
Il mandato è un contratto: | |
consensuale | è il solo consenso dei contraenti a far nascere l’obligatio mandati; non necessitava di alcuna forma particolare, né forma scritta, né parole solenni da pronunciare |
bilaterale imperfetto | l’obbligazione principale (che sorge sempre) era quella del mandatario e consisteva nell’eseguire l’attività o il servizio di cui si era fatto carico; un’obbligazione, ma solo accessoria, sorgeva (ma non necessariamente) a carico del mandante, quella di rimborsare le eventuali spese e/o danni subiti dal mandatario nell’esercizio del mandato |
di buona fede | esso era governato dalla bona fides, che permetteva al giudice di valutare con un più ampio margine di manovra le obbligazioni delle parti; l’actio mandati conteneva la clausola “ex fide bona” |
inter amicos | Il mandato trae origine dai doveri propri e dall’amicitia: accettare il mandato dato da un terzo (in linea di principio un amico) era considerato dai Romani come un dovere morale. E dunque una mercede è contraria all’adempimento dei propri doveri |
Il mandato può essere concluso, come riferisce Xxxx (3.156; cfr. rer. cott. D. 17.1.2) nell’interesse del mandante (mea gratia), o di un terzo estraneo al negozio (sua gratia: tu mi incarichi di gestire i beni di Xxxxxxx che è all’estero), o di entrambe le parti del negozio (mea et tua gratia), o anche di una delle parti e di un terzo (mandante & terzo: mea et sua gratia; mandatario e terzo: tua et sua gratia). Non è invece valido, ovviamente, il mandato nell’esclusivo interesse del mandatario, poiché si tratta di un semplice consiglio o suggerimento.
E neppure è valido, in diritto classico, il mandato da eseguirsi dopo la morte di uno dei contraenti (c.d. mandatum post mortem), poiché viene a mancare la mutua fiducia fra di loro, che sta alla base di ogni mandato; il diritto giustinianeo ne ammetterà viceversa la validità.
Qualora un mandatario accetti l’incarico di dare denaro a mutuo ad un terzo, si ha il
c.d. mandato di credito: qui il mandante assume la veste di garante personale dell’obbligazione sorta da mutuo. Tale figura di mandato può consentire l’apertura di credito in più luoghi, senza la necessità che il mandante debba essere fisicamente presente.
Quanto agli obblighi delle parti, il mandatario, che è persona di fiducia della controparte, assume essenzialmente due obblighi:
1) l’obbligo di eseguire fedelmente l’incarico, seguendo le istruzioni ricevute;
2) l’obbligo di trasferire in capo al mandante, nei modi idonei, gli effetti (reali o obbligatori) degli atti compiuti.
I limiti del mandato devono essere rispettati diligentemente. Nel caso in cui il mandatario oltrepassi i suoi poteri si verifica il c.d. eccesso di mandato: sulle conseguenze del problema possiamo leggere due frammenti di Xxxxx che ricordano una controversia Xxxxxxxxx-Xxxxxxxxxx.
Xxxxx, D.17.1.5: [pr.] I limiti del mandato devono essere rispettati diligentemente. [1] Infatti, colui che li abbia superati si considera fare qualcosa di diverso, ed è tenuto (a rispondere), se non abbia adempiuto all’incarico assunto. [2] Pertanto, se ti avrò dato mandato di comprare la casa Xxxxxx per cento e tu avrai comprato per cento o anche per meno la casa Xxxxxxx, di valore gran lunga maggiore, non si considera che tu abbia portato a compimento il mandato … [5] La condizione del mandante può invece divenire migliore se, avendoti conferito mandato di comprare Stico per dieci, tu lo abbia comprato per un prezzo minore, o per lo stesso prezzo, ma in modo che però qualcos’altro si aggiungesse allo schiavo: in entrambi i casi, infatti, tu hai eseguito (il mandato) o non andando al di là del prezzo o mantenendoti nei limiti di esso.
Xxxxx, D.17.1.15: Se io ti avessi conferito mandato di comprare un fondo, poi ti avessi scritto di non comprarlo, e tu, prima di sapere che te lo avevo vietato, lo avessi comprato, sarò obbligato nei tuoi confronti con l’azione di mandato, affinché non soffra danno chi assume il mandato.
I giuristi xxxxxxxxx consideravano inadempiente il mandatario che eccedesse i limiti dell’incarico (cd. eccesso di mandato), ad es. avesse comperato a 200 quel che avrebbe dovuto comprare a 100: per questo motivo, a loro avviso, il mandante non era tenuto a riconoscere il negozio compiuto.
Viceversa, i giuristi proculiani, la cui opinione era destinata a prevalere, ritenevano che il mandato fosse valido nei termini pattuiti (100, e non 200): entro tali limiti, il mandante aveva l’obbligo, come in ogni mandato, di risarcire al mandatario spese e danni eventualmente subiti nell’espletamento del contratto.
Per far valere le rispettive pretese, le parti dispongono della “azione di mandato” (actio mandati), di buona fede, qualificata “diretta” per il mandante e “contraria” per il mandatario.
Poiché nel mandato il consenso deve essere continuativo, il contratto può essere risolto o per revoca da parte del mandante o per rinuncia da parte del mandatario, ovvero per morte di uno di essi, come già accennato prima. L’estinzione del mandato non fa venir meno gli obblighi creatisi in precedenza tra le parti.
Il mandato produce effetti solo tra le parti contraenti, non avendo verso i terzi altro valore se non quello eventuale e concomitante di autorizzare il mandatario a compiere determinati atti nell’interesse del mandante.