La disciplina del contratto di leasing immobiliare nel fallimento.
Scuola di Giurisprudenza
Corso di Laurea in Giurisprudenza
La disciplina del contratto di leasing immobiliare nel fallimento.
Relatore
Chiar.mo Prof. Lorenzo Stanghellini
Candidato
Andrea Goretti
Anno Accademico 2015/2016
INTRODUZIONE 7
CAPITOLO I
IL CONTRATTO DI LEASING FINANZIARIO 10
1.1. Il leasing finanziario come contratto atipico 10
1.2. La struttura giuridica del leasing finanziario 12
1.3. La causa del leasing 14
1.4. L’evoluzione del leasing: il leasing di godimento e il leasing traslativo 16
1.5. I profili soggettivi dell’operazione 17
1.5.1. La posizione del concedente 17
1.5.2. La posizione dell’utilizzatore 19
1.6. Lo scioglimento del contratto di leasing. I principali casi di risoluzione 20
1.7. Il leasing immobiliare 22
CAPITOLO II
LA DISCIPLINA DELL’ART. 72 APPLICATA AL LEASING IMMOBILIARE: IL SUBENTRO NEL CONTRATTO 25
2.1. La nozione di rapporto giuridico pendente 25
2.2. L’evoluzione storico normativa dell’art. 72 27
2.2.1. La disciplina dei rapporti pendenti ante legge fallimentare 27
2.2.2. La disciplina dei rapporti pendenti nella legge fallimentare 28
2.2.3. La regolamentazione attuale dei rapporti pendenti 30
2.3. L’art. 72 quater: il superamento della distinzione tra leasing di godimento e leasing traslativo 33
2.3.1. Presupposti per la sospensione del rapporto di leasing immobiliare pendente 36
2.4. La messa in mora del curatore 38
2.5. L’autorizzazione del comitato dei creditori 40
2.6. Il subentro del curatore nel contratto di leasing immobiliare 42
2.6.1. L’inadempimento del curatore in caso di subentro: l’autotutela del concedente 44
2.6.2. L’inefficacia delle clausole “risolutive” del contratto nel fallimento: l’art. 72, comma VI 46
2.7. La risoluzione del leasing immobiliare ante fallimento: la portata applicativa dell’art. 72, comma V 49
2.8. Considerazioni conclusive sugli effetti del subentro nel leasing immobiliare 52
CAPITOLO III
LA DISCIPLINA DELL’ART. 72 QUATER APPLICATA AL LEASING IMMOBILIARE: LO SCIOGLIMENTO DEL CONTRATTO 54
3.1.Effetti della dichiarazione di scioglimento: considerazioni introduttive 55
3.2. Effetti dello scioglimento del contratto: il diritto alla restituzione del bene e la sua applicazione pratica 59
3.3. Effetti dello scioglimento: diritto del curatore alla differenza tra la somma ricavata dalla vendita e il credito residuo in linea capitale 62
3.3.1. Effetti dello scioglimento: il concetto di credito residuo in linea capitale e il “valore di mercato” 62
3.3.2. Effetti dello scioglimento: la vendita e il principio della “nuova collocazione del bene” 67
3.4. Effetti dello scioglimento: il diritto del concedente a insinuarsi al passivo per il credito vantato “alla data del fallimento” 72
3.5. Effetti dello scioglimento: l’azione revocatoria fallimentare e la disciplina dell’art. 67 80
3.5.1. L’art. 67, II comma: la revocatoria della risoluzione del contratto 80
3.5.1.1. Gli effetti della revocatoria della risoluzione del leasing immobiliare 83
3.5.2. L’art. 67, III comma, lett. a): la sorte delle “somme già riscosse” 85
CONCLUSIONI 89
Bibliografia 95
Appendice Giurisprudenziale 104
INTRODUZIONE
L’imprenditore commerciale, nell’esercizio della propria attività d’impresa, può trovarsi in stato d’insolvenza1: è tramite il fallimento, la procedura concorsuale più conosciuta ed attuata, che il legislatore ha inteso “regolare” questa ”crisi d’impresa anche attraverso il riconoscimento ai creditori di un qualche soddisfacimento”2.
Il fallimento, introdotto dal Regio Decreto 16 Marzo 1942, n. 267, ha come scopo l’ottimizzazione del valore dell’organizzazione in essere al fine di tutelare le ragioni dei creditori, senza, tuttavia, penalizzare i proprietari del capitale di rischio ed i terzi investiti dall’insolvenza commerciale.
La suddetta massimizzazione avviene tramite liquidazione atomistica dell’intero patrimonio del debitore, monetizzando qualsiasi valore appartenga all’impresa, materiale o immateriale, con specifiche procedure previste nella legge fallimentare attuate dagli organi della procedura, il Tribunale fallimentare, il giudice delegato, il comitato dei creditori ed il curatore fallimentare3.
Per il fallito, la dichiarazione di fallimento comporta, in primis, lo “spossessamento”, cioè la privazione dell’amministrazione e disponibilità dei suoi beni, esistenti e pervenuti durante il fallimento (art. 42 e 44) nonché la sua totale ed immediata sostituzione con la figura del curatore (art. 43); per quanto concerne la posizione dei creditori, il fallimento impedisce l’inizio (o la prosecuzione) di ogni loro azione, individuale o collettiva, (art. 51), aprendo, altresì, il concorso dei suddetti sul patrimonio del fallito (art. 52).
Tali profili, tuttavia, non verranno qui analizzati, poiché l’intero lavoro avrà ad oggetto gli effetti del fallimento sui rapporti giuridici pendenti.
1 Per la definizione normativa di insolvenza si veda l’art. 5, comma II della legge fallimentare; il debitore, per giurisprudenza prevalente, è in stato di insolvenza quando “non è in grado di adempiere regolarmente e con mezzi normali le proprie obbligazioni alle scadenze pattuite”; cit. Cass. 15 Marzo 1994, n. 2470 in http://pluris-cedam.utetgiuridica.it/main.html (Pluris).
2 Cit. L Guglielmucci, “Diritto Fallimentare”, G. Giappichelli, Torino, 2014, p. 9
3 I recenti interventi normativi, avvenuti con il D.L. 83/2015, convertito con Legge 132/2015, e con il D.L. 59/2016, convertito con Legge 119/2016, hanno modificato notevolmente gli obblighi di questo organo, introducendo, altresì, all’art. 104-ter, nei commi I e X, due importanti giuste cause di revoca del curatore.
Tali rapporti sono definiti «contratti a prestazioni corrispettive efficacemente perfezionati prima della dichiarazione di fallimento di uno dei contraenti, che abbiano ad oggetto beni compresi nel fallimento, e che siano contraddistinti dal carattere della opponibilità alla massa dei creditori concorrenti, ma le cui contrapposte prestazioni, alla data della sentenza dichiarativa di fallimento, siano rimaste ineseguite del tutto, ovvero in parte, da entrambi i contraenti.»4.
L’art. 72 della l.fall., rubricato “Rapporti pendenti”, prevede, come disciplina generale, la sospensione dell’esecuzione del contratto; tale stato di quiescenza terminerà allorquando il curatore fallimentare, dietro autorizzazione del comitato dei creditori (se costituito; in caso contrario, sarà il Giudice Delegato a rendere tale autorizzazione), dichiarerà di subentrare nel contratto in luogo del fallito oppure dichiarerà di sciogliersi, salvo che, nei contratti ad effetti reali, sia già avvenuto il trasferimento del diritto.
Data la peculiare compenetrazione tra diritto privato e diritto fallimentare, il legislatore ha provveduto a una specifica e puntuale disciplina degli effetti del fallimento sui principali contratti inerenti l’attività commerciale.
Tra di essi, in ragione dell’importanza pratico-giuridica di tale figura, riveste un ruolo di primo piano il contratto di “Locazione finanziaria” (c.d. leasing finanziario), regolamentato dall’Art. 72 quater.
Tale istituto è il contratto mediante il quale una parte (concedente), mette a disposizione di un’altra parte (utilizzatore), per un determinato periodo di tempo, dietro corresponsione di un canone periodico, un bene, mobile o immobile, acquistato oppure fatto costruire dal concedente da un’altra parte (fornitore) in base alla scelta ed indicazione dell’utilizzatore stesso, il quale, alla scadenza del
4 Cit. E. Gabrielli, “Gli effetti sui rapporti giuridici in corso di esecuzione alla data del fallimento”, in F. Vassalli, F.P. Luiso, E. Gabrielli, “Gli effetti del fallimento: Volume III”, G. Giappichelli, Torino, 2014, p.122; sul punto, si veda: A. Maffei Alberti, “Commentario breve alla legge fallimentare”, CEDAM, Padova, 2009, p. 368; L. Panzani, “Il fallimento e le altre procedure concorsuali: Volume II”, UTET Giuridica, Milano, 2012, p. 307-308; F. Caiafa, “Art.
72. Rapporti pendenti”, in L. Ghia, C. Piccinini, F. Severini “Trattato delle procedure concorsuali: Volume II”, UTET Giuridica, Milano, 2010, pp. 381-384; G. Lo Cascio “Codice commentato del fallimento”, Wolters Kluwer, Milano, 2015, pp. 786-789, S. Ambrosini, G. Cavalli, A. Jorio “Il fallimento” in G. Cottino, “Trattato di diritto commerciale”, CEDAM, Padova, 2009, pp. 470-471;
suddetto contratto, avrà diritto all’acquisto del bene in leasing (c.d. diritto di riscatto)5.
Al fine di indagare nel modo più approfondito possibile gli effetti che la dichiarazione di fallimento provoca sui rapporti pendenti, incentrandosi particolarmente sul contratto di leasing immobiliare, sarà necessario, in primis, comprendere la complessa natura del contratto di leasing.
Successivamente, verrà intrapreso lo studio degli articoli 72 e 72 quater, i quali disciplinano rispettivamente le conseguenze del subentro e dello scioglimento del contratto di leasing ad opera del curatore.
5 Cfr. M. Serra, “Il contratto di leasing”, in (a cura di) D. Valentino, “Dei singoli contratti – leggi collegate”, in E. Gabrielli, “Commentario del codice civile”, UTET, Torino, 2011, p. 489; cfr. anche A. Gerardo Diana “La proprietà immobiliare urbana: Circolazione, locazione e leasing immobiliare, Tomo I”, Giuffrè, Milano, 2007, p. 566; S. De Roxas, “Il contratto di leasing”, in (a cura di) G. Cassano, “I Singoli contratti”, CEDAM, Padova, 2010, p. 690; N. Visalli “La problematica del leasing finanziario come tipo contrattuale”, CEDAM, Padova, 2000, p. 644; M. Albanese, A. Zeroli, “Leasing e Factoring”, FAG, Milano, 2014, p. 20;
M. Callegari, “Vendita mobiliare e leasing”, in (diretto da) G. Cottino “Trattato di Diritto Commerciale: Vol. IX”, CEDAM, Padova, 2010, p. 128-129.
CAPITOLO I
IL CONTRATTO DI LEASING FINANZIARIO6.
1.1) Il leasing finanziario come contratto atipico.
Riprendendo la definizione di locazione finanziaria sopra fornita, è evidente il mancato riconoscimento dell’ordinamento giuridico italiano di una vera e propria autonomia giuridica di questa figura.
I numerosi tentativi di tipizzazione legale, a partire dall’art. 17 della Legge 2 Maggio 1973, n. 183 (con il quale il leasing viene, per la prima volta, definito), non sono riusciti a fornire né una compiuta definizione né un efficiente e completo regolamento di questo istituto7.
In ragione di questa lacuna normativa, il contributo maggiore sull’identificazione della natura del contratto di leasing è stato apportato dal vivo dibattito dottrinale e dalla giurisprudenza, sia di merito che di legittimità.
Sebbene la tipizzazione sia ormai considerata un “non problema”8, la dottrina si è divisa in due correnti principali; la prima (minoritaria) sussume il leasing all’interno di fattispecie contrattuali tipiche (locazione, mutuo e vendita
6 Nel presente lavoro verrà considerata esclusivamente questa fattispecie. Non verrà preso in considerazione l’istituto del c.d. leasing operativo; per una prima analisi di questa figura cfr. M. Serra, op. cit., pp. 485-489; M. Bonacchi, M. Ferri, “Leasing Finanziario: profili contabili, fiscali e gestionali”, IPSOA, Roma, 2007, pp. 65-69; V. Buonocore, “La locazione finanziaria”, in A. Cicu, F. Messineo, L. Mengoni, “Trattato di Diritto Civile e Commerciale: XII”, Giuffrè, Milano, 2008, pp. 29-32.
7 I principali interventi normativi sul leasing, successivamente alla Legge 2 maggio 1973,
n. 183, si sono concretizzati nella Legge 5 Giugno1991, n. 197, nella Legge 17 Febbraio 1992, n. 154, nel Decreto Legislativo 27 Gennaio 1998, n. 87 e nel Decreto Legislativo 1 Settembre 1993,
n. 385; in particolare, quest’ultimo apporta il maggior contributo alla configurazione giuridica del leasing poiché introduce la disciplina dei soggetti del contratto e quali requisiti deve possedere l’impresa di leasing per poter esercitare la propria attività d’impresa.
8 Cfr. M. Serra, op. cit., p. 481; cfr. anche R. Clarizia, “I contratti per il finanziamento dell’impresa: Mutuo di scopo, leasing e factoring”, in V. Buonocore “Trattato di Diritto Commerciale: Sez. II, Tomo IV”, G. Giappichelli, Torino, 2002, p. 180.
con riserva di proprietà) mentre la seconda (maggioritaria) riconduce il leasing nella sfera dei contratti atipici9.
Secondo quest’ultima dottrina, il leasing non è assimilabile ad un contratto di locazione poiché, in primis, è impossibile sovrapporre il locatore “tipico” con il concedente (egli, infatti, non ha alcun rapporto con l’oggetto prima della stipula del contratto) e, in secundis, la necessaria presenza del diritto d’opzione esclude ab origine la causa locativa10.
Non è, inoltre, nemmeno riconducibile al contratto di mutuo in quanto è assente sia la concessione del credito (requisito fondamentale per i contratti di credito) sia l’erogazione della somma direttamente all’utilizzatore, poiché essa è utilizzata per acquistare il bene oggetto di leasing11.
Infine, sempre secondo tale filone dottrinale, risulta palesemente erroneo ricondurre il leasing nella figura della vendita con riserva di proprietà, avanzando l’ipotesi che i compensi dovuti periodicamente fungano da ratei in conto prezzo coprendo l’intero valore economico del bene; nel leasing, infatti, il passaggio di proprietà non avviene automaticamente al pagamento dell’ultima rata, come nella vendita con riserva; inoltre, “ [..] il trasferimento dei rischi attuato con il leasing finanziario è più ampio rispetto alla vendita con riserva di proprietà in quanto ricomprende il perimento della cosa dopo la consegna, l’inadempimento del fornitore, il perimento della cosa per caso fortuito prima della consegna e dei vizi occulti [..]”12.
Ed infatti «prevalente e condivisibile risulta l’indirizzo che lo configura come contratto atipico con causa di finanziamento»13.
9 Cfr. G. De Nova, “Il contratto di leasing: con 170 sentenze ed altri materiali”, Giuffrè, Milano, p. 9; S. De Roxas, op. cit., p. 694; N. Visalli, op. cit., p. 659; F. Galgano, “Trattato di Diritto Civile, Volume II”, CEDAM, Padova, 2015, p. 827; R. Pardolesi, “Nota a Cass. 6 Maggio 1986, n. 3023”, in Enrico Scialoja, “Il Foro Italiano, II”, Soc. Editrice de Il Foro Italiano, Roma, 1986, p. 1819-1820; A. Munari, “Il leasing come contratto atipico di durata?”, in M. Franzosi. M Rubino Sammartano, E. Garbagnati, M. Sargenti, E. Cortese, R. Palazzi, “Il Foro Padano”, Fabrizio Serra Editore, Pisa, 1986, p. 307; M. Albanese, A. Zeroli, op. cit., pp. 19-21; A. Gerardo Diana, op. cit., p.567-568.
10 Cfr. M. Serra, op.cit., p. 501, v. nota 81; cfr. anche M. Bonacchi, M. Ferri, op.cit., p. 30; A. Gerardo Diana, op. cit., p. 591-591.
11 Cfr. M. Bonacchi, M, Ferri, op. cit., p. 33.
12 Cfr. M. Bonacchi, M. Ferri, op. cit., p. 31-32.
13 Cit. F. Saponaro, “Problematiche fiscali del leasing finanziario immobiliare”, in “Rassegna Tributaria”, «www.studiolegale.leggiditalia.it/», p. 8.
L’inquadramento del contratto di leasing come contratto atipico con causa di finanziamento ha trovato numerose conferme sia nella giurisprudenza di merito14 sia nella giurisprudenza di legittimità: il Supremo Collegio sin dai primi interventi in tema di leasing, lo ha definito “un contratto atipico avente ad oggetto il trasferimento della disponibilità della cosa per un periodo di tempo determinato, e tendente ad esaurire le proprie finalità produttive e finanziarie nell'ambito del periodo stesso”15, successivamente confermando tale orientamento16.
Sebbene vi siano ancora alcuni autori che tentano di “tipizzare” il leasing, in base alla ricostruzione appena proposta, l’atipicità del suddetto istituto si può affermare con sicurezza.
Prima di procedere nello studio della causa del leasing, si rende necessario, per una corretta ricostruzione dell’istituto, affrontare la questione sulla struttura negoziale dell’istituto.
1.2) La struttura giuridica del leasing finanziario.
Le difficoltà poc’anzi emerse nell’identificazione del leasing come negozio atipico permeano, in virtù della complessità di questa figura, la sussunzione dell’istituto nella sua peculiare struttura.
Il contratto di leasing finanziario si realizza, infatti, tramite «un rapporto contrattuale di fornitura del bene che si instaura tra concedente e fornitore ed un
14 Cfr. Trib. Milano 31.10.1991, in Rivista Italiana Leasing (RIL) Associazione Italiana Leasing, Roma, 1993, p. 486; Trib. Milano 6.12.1990, in RIL, Associazione Italiana Leasing, Roma, 1991, p. 462; Trib. Milano 10.07.1989, in RIL, Associazione Italiana Leasing, Roma, 1991,
p. 480; Trib. Verona 15.4.1987, in “Foro Padano Vol. I”, Fabrizio Serra Editore, Pisa, 1989, p. 71; Trib. Firenze 28.03.1986, in RIL, Associazione Italiana Leasing, Roma, 1987, p. 505; Trib. Macerata 02.06.1987, in RIL, Associazione Italiana Leasing, Roma, 1988,p. 420; Trib. Firenze 25.07.1991, in RIL, Associazione Italiana Leasing, Roma, 1991, p. 480; App. Bologna 05.06.1993, in RIL, Associazione Italiana Leasing, 1993, p. 803.
15 Cfr. Cass. Civile Sez. III, 28 Ottobre 1983, n. 6390, in “Pluris”.
16 Cfr. Cass. Civile Sez. I, 6 Maggio 1986, n. 3023, in “Pluris”; Cass. Civile Sez. I, 26 Novembre 1987, n. 8766, in “Pluris”; Cass. Civile Sez. III, 17 Maggio 1991, n. 5571 in “Pluris”.
altro rapporto contrattuale, di locazione finanziaria, che si costituisce tra il soggetto concedente ed il soggetto utilizzatore»17.
Alcuni studiosi hanno avanzato l’ipotesi che questo contratto abbia struttura trilaterale: i principali contributi in questo senso, si fondano sull’assunto che il leasing finanziario venga realizzato progressivamente tramite la coordinazione logico-temporale di più atti negoziali; i contatti iniziali tra utilizzatore e fornitore (individuazione del bene e delle sue caratteristiche, prezzo e luogo della consegna) non sono considerabili semplici trattative poiché “[..] il finanziatore (concedente) completerà l’operazione accettando le condizioni stabilite dalle altre due parti formalizzando l’adesione con atti separati ma coordinati tra loro [..]”.
Conseguentemente “[..] gli atti negoziali successivi all’adesione del concedente..non sono che lo sviluppo documentale ed il completamento di una fattispecie contrattuale a formazione successiva…dimostrando che nessuno di questi atti è dotato di autonomia rispetto all’accordo già consensualmente raggiunto dalle tre parti. Inevitabile è il riconoscimento della locazione finanziaria come contratto unico e trilaterale.. [..]”18.
Tuttavia, sebbene tale orientamento avesse trovato anche il favor del Supremo Collegio19, la posizione prevalente è stata, ed è tuttora, nel senso di ritenere esistenti due distinti contratti, pienamente validi ed autonomamente efficaci: a tal proposito è sufficiente ricordare, come autorevolmente sostenuto, che nella prassi contrattuale sono le stesse società di leasing a predisporre i due diversi contratti, l’uno di leasing finanziario vero e proprio, stipulato fra l’utilizzatore ed il concedente, e l’altro di fornitura, stipulato tra il concedente e il fornitore, e che tali atti sono strutturati in modo da escludere non solo un unico processo formativo ma anche una causa unitaria20.
17 Cit. P. Messina, “I contratti bancari e finanziari : Giurisprudenza, dottrina e modelli contrattuali”, G. Giappichelli, Torino, 2013, p. 53; cfr. anche M. Serra, op. cit., p. 490; M. Bonacchi, M . Ferri, op. cit., p. 69.
18 Cit. D. Purcaro, “I problemi di struttura del leasing”, RIL, Associazione Italiana Leasing, 1987, pp. 523.524.
19 Cfr. Cass. 26 Gennaio 2000, n. 854, in “Pluris”; Cass. 16 Maggio 1997, n. 4367, in
“Pluris”; Cass. 2 Marzo 1998, n. 2265, in “Pluris”.
20 Cfr. A. Luminoso, “I Contratti Tipici ed Atipici: Contratti di alienazione, di godimento, di credito”, in (a cura di) G. Iudica, P. Zatti, “Trattato di Diritto Privato”, Giuffè, Milano, 1995,
È pacifico, inoltre, che tra questi due contratti “si verifichi un’ipotesi di collegamento negoziale”21, di natura prettamente economica e non tecnica: la Suprema Corte, riunita nelle Sezioni Unite, ha infatti statuito che non vige la regola “simul stabunt simul cadent” poiché è assente il nesso soggettivo, requisito essenziale per la sussistenza del collegamento negoziale22.
In conclusione, il leasing finanziario è una figura giuridica caratterizzata da un collegamento negoziale “atecnico” tra il contratto di fornitura ed il contratto di leasing finanziario vero e proprio: l’effettiva assenza di una qualsivoglia intenzione di collegare i negozi al fine di costituire una successiva ed ulteriore causa in concreto23, dissipa ogni dubbio in ordine alla qualificazione della struttura della locazione finanziaria, come sopra ricostruita.
1.3) La causa del contratto di leasing.
La ragione giustificatrice del contratto di leasing finanziario si individua nella messa a disposizione dell’utilizzatore del bene fatto costruire (o acquistato) dal concedente (su indicazione dell’utilizzatore stesso) per un determinato periodo di tempo, con l’obbligo per l’utilizzatore di corrispondere canoni periodici al concedente a titolo di restituzione del tantudem24.
p. 376; V. Calandra Bonaura, “Orientamenti della dottrina in tema di locazione finanziaria”, in G. Cian, “Rivista Diritto Civile: Tomo II”, CEDAM, Padova, 1978, pp. 185-187; R. Clarizia, “I contratti di finanziamento: leasing e factoring”, UTET, Torino, 1989, p. 70-73; R. Clarizia, “La locazione finanziaria”, op. cit., p. 290.
21 Corsivo aggiunto; Cfr. Cass. 30 Giugno 1998, n. 6412, in “Pluris”; Cass. 02 Novembre
1998, n. 10926, in “Pluris”; Cass. 13 Dicembre 2000, n. 15762, in “Pluris”; Cass. 5 Settembre
2005, n. 17770, in “Pluris”; Cass., 27 Luglio 2006, n. 17145, in “Pluris”; Cass. 20 Luglio 2007,
n. 16158, in “Pluris”; Cfr. Cass., SS. UU., 10 Ottobre 2015, n. 19785, in “Pluris”.
22 Cfr. Cass., SS. UU., 10 Ottobre 2015, n. 19785, in “Pluris”; Cfr. Cass. 17 Maggio 2010, n. 11974, in “Pluris”; il nesso soggettivo è ivi definito il “comune intento pratico delle parti di volere non solo l’effetto tipico dei singoli negozi in concreto posti in essere, ma anche il coordinamento tra di essi per la realizzazione di un fine ulteriore, che trascende gli effetti tipici e che assume una propria autonomia anche da un punto di vista causale” .
23 Si pensi alla figura del fornitore: egli è consapevole che il bene verrà acquistato dalla società di leasing e successivamente dato in locazione all’utilizzatore ma tale circostanza è assolutamente irrilevante ai fini dell’efficacia e della validità del contratto (salvo l’ipotesi prevista al 1345 c.c.).
24 Cfr. R. Clarizia, op. cit., p. 242; A. Munari, “Il leasing finanziario nella teoria dei crediti di scopo”, Giuffrè, Milano, 1989, pp. 155-158 e pp. 230-233; V. Buonocore, “La locazione finanziaria”, op. cit., pp. 40-41.
Ed è proprio tramite l’approntamento di mezzi finanziari che si realizza la causa di finanziamento propria del leasing, che si concretizza nella attribuzione di una utilitas25 durevole all’utilizzatore.
Fondamentale, in tale ambito, risulta il richiamo che tale autorevole dottrina effettua all’art. 106 del Decreto Legislativo 1 Settembre 1993, n. 385, “Testo Unico Bancario”, in primis, e all’art. 2 del Decreto Ministeriale 06 Luglio 1994, in secundis: quest’ultimo definisce “Attività di finanziamento sotto qualsiasi forma” la locazione finanziaria, precisando che tali operazioni potranno essere realizzate soltanto da banche iscritte nell’Albo di cui all’art. 13 del T.U.B e da intermediari finanziari iscritti all’elenco di cui all’art. 106 T.U.B.
Entrambi i soggetti, è pacifico, esercitano precipuamente attività di finanziamento, comprensiva della attività bancaria e non bancaria26.
L’impostazione così ricostruita ha trovato la decisiva e definitiva conferma nel già citato arresto delle Sezioni Unite avvenuto nel 2015, nel quale si afferma che nel leasing“alla base, esiste un'operazione di finanziamento tendente a consentire al c.d. utilizzatore il godimento di un bene (transitorio o finalizzato al definitivo acquisto del bene stesso) grazie all'apporto economico di un soggetto abilitato al credito (il c.d. concedente) il quale, con la propria risorsa finanziaria, consente all'utilizzatore di soddisfare un interesse”27 .
Questo storico contributo si pone perfettamente in linea con l’orientamento assunto dal Supremo Collegio sin dal 1989, quando, emettendo ben 6 sentenze28, individuò due species del genus locazione finanziaria cioè il leasing “di godimento” (leasing tradizionale) e il leasing “traslativo” (leasing nuovo), rinvigorendo il già serrato dibattito su quale fosse la causa del leasing.
25 Cfr. R. Clarizia, “I contratti per il finanziamento dell’impresa”, op. cit., p. 316.
26 Cfr. R. Clarizia, op. ult. cit., pp. 39-47 per un accurata ricostruzione della nozione di attività finanziaria.
27 Cit. Cass. SS. UU. 5 Ottobre 2015, n. 19785, in “Pluris”.
28 Si reca esplicito riferimento al“Sestetto Binario” della Corte di Cassazione , composto dalle sentenze n. 5569, 5570, 5571, 5572, 5573, 5574 tutte depositate in cancelleria il 13 Dicembre 1989 e tutte aventi motivazioni assai simili.
1.3.1) L’evoluzione del leasing finanziario: il leasing di godimento e il leasing traslativo.
Alla base di questa bipartizione, con la quale ci si discosta dall’unitarietà dell’operazione, vi è la convinzione per la quale vi sarebbero, pur con le stesse clausole, due diversi modelli di leasing, entrambi atipici e perseguenti interessi meritevoli di tutela dal nostro ordinamento giuridico, in forza del disposto dell’art. 1322 c.c.
Il primo modello è definito leasing “di godimento”: questa figura ha una prevalente funzione di finanziamento e si caratterizza per avere come oggetto beni che esauriscono la loro utilità economica con la scadenza del contratto; da questa considerazione, consegue che i canoni pagati dall’utilizzatore remunerano il concedente per l’intero valore economico del bene in leasing, senza per questo mortificare il diritto d’opzione (esso risulta, infatti, marginale rispetto all’assetto di interessi regolato dalle parti, ma non ne viene escluso)29.
Il secondo modello è detto leasing “traslativo”: il segno distintivo di questo istituto si colloca nella evidente discrepanza tra periodo di consumazione tecnica ed economica del bene e durata del contratto, cosi ché il bene, alla scadenza del rapporto, conserva un elevato valore residuale.
Questo confermerebbe, nell’ottica della Corte, la originaria volontà delle parti di effettuare un trasferimento di proprietà anziché un finanziamento; in questa circostanza, dunque, i canoni corrisposti non sconterebbero solo il godimento di per sé ma anche, e soprattutto, il prezzo del bene30.
Il discrimine tra questi due istituti risiede, pertanto, nella previsione del rapporto tra il valore residuo del bene e prezzo di opzione: soltanto prevedendo una rilevante eccedenza di valore del bene sarà, infatti, possibile desumere la
29 Cfr. Cass. 13 Dicembre 1989, n. 5570; cfr. anche M. Bussani, “I contratti moderni. Factoring, franchising, leasing”,UTET, Torino, 2005, p. 306; R. Clarizia, op. ult. cit., p. 234-235;
M. Serra, op. cit., p.508, nota n. 98.
30 Cfr. Cass. 13 Dicembre 1989, n. 5573, in “Pluris”; cfr. anche M. Bussani, “I contratti moderni. Factoring, franchising, leasing”,UTET, Torino, 2005., p. 307; R. Clarizia, op. cit., p. 236-237; M. Serra, ibidem;
volontà “traslativa” delle parti; è possibile, ovviamente, effettuare la stessa considerazione per il leasing “di godimento”.
La Corte precisa inoltre che tale quaestio voluntatis potrà esser risolta solo dall’organo giudicante di merito: egli, per una compiuta e completa ricerca, dovrà analizzare tutti i profili che potrebbero assumere rilievo ai fini dell'indagine31.
Volendo fare il punto della questione è possibile, in conseguenza della sentenze della Cassazione a Sezione Unite del 07 Gennaio 1993, n. 65 e della sentenza della Cassazione del 22 Febbraio 1994, n. 173132, tracciare una distinta differenziazione tra i due modelli di leasing: è quindi con certezza che si afferma la natura “traslativa” del leasing immobiliare.
1.4) I profili soggettivi dell’operazione.
Il contratto di leasing costituisce esercizio di attività imprenditoriale, per inciso di intermediazione nella circolazione dei beni, ed è un’attività che è riservata esclusivamente a determinati soggetti (le banche e gli intermediari finanziari).
In base a ciò, per il “concedente” esiste una puntuale e concisa regolamentazione normativa; per “l’utilizzatore”, invece, l’insieme dei diritti e degli obblighi risulta esser meno articolato.
1.4.1) La posizione del concedente.
31 A tal fine, primaria considerazione viene riservata all’obbligo di riconsegna del bene in buono stato di manutenzione, la professione dell’utilizzatore, il criterio di determinazione dei canoni e anche la facoltà di chiedere la proroga del leasing; in tal senso, R. Clarizia, op. cit., p. 237; M. Bussani, op. cit., p. 308.
32 In questo importante arresto vengono fissati degli “elementi standardizzati” che permettono un’agevole distinzione tra i due modelli di leasing: nel leasing traslativo il “bene oggetto del contratto è di natura tale da consentire ab origine la previsione della persistenza di una capacità di fornire utilità, e comunque un valore di mercato, per entità apprezzabilmente superiore al marginale prezzo di opzione” e “la durata del contratto non coincide più con la durata prevedibile della consumazione economica del bene, ma sia sensibilmente più breve di essa”. Sono conformi Cass. 7 Febbraio 2001, n. 1715, in “Pluris”; Cass. 3 Maggio 2002, n. 6369, in “Pluris”; Cass. 28 Novembre 2003, n. 18229, in “Pluris”; Cass. 23 Maggio 2008, n. 13418, in “Pluris”.
L’attività di locazione finanziaria, come sopra ricordato, può esser esercitata soltanto da determinate categorie di soggetti : banche iscritte nell’albo di cui all’Art. 13 del T.U.B., soggetti appartenenti a gruppi bancari iscritti nell’albo di cui all’Art. 64 T.U.B., intermediari finanziari iscritti nell’elenco generale di cui all’Art. 106 T.U.B. e quelli iscritti nelle sezioni speciali di cui all’Art. 107 e 113 T.U.B.
Su di essi vigila, costantemente e con penetranti poteri di controllo, la Banca d’Italia (Art. 117 T.U.B.).
Tra le differenti obbligazioni cui è tenuto il concedente, per dottrina e giurisprudenza concorde, l’unica indispensabile si trova nell’obbligo di assicurare all’utilizzatore il pieno godimento del bene: esso, infatti, è imprescindibilmente connesso alla posizione di proprietario assunta dal concedente e alla conseguente libertà di disposizione del bene stesso33.
Tale obbligo deve tenersi distinto dagli obblighi “strumentali”, quali acquisto del bene (il bene potrebbe già essere nella materiale disponibilità del concedente) e consegna dello stesso: è palese che essi siano obblighi il cui adempimento è finalizzato ad assicurare il pieno godimento del bene34.
Per quanto attiene alla consegna del bene si nota come tale obbligo abbia natura prettamente “esecutiva” e non causale: questa considerazione ha importanza centrale, in quanto permette di far sorgere in capo al fornitore quest’ultimo adempimento, pur non essendo parte del contratto35.
Dal lato attivo, al concedente viene riconosciuto il diritto al pagamento dei canoni e il diritto di pretendere l’adempimento del contratto di fornitura.
33 Cfr. M. Serra, op. cit., p. 518-519; l’essenzialità di questo obbligo è autorevolmente sostenuta da V. Buonocore, op. ult. cit, p. 83 precisando che “escludendo l’obbligo della concessione in godimento in capo al concedente, si arriverebbe ad una sostanziale equiparazione del leasing al credito al consumo”; cfr. Cass., 06 Maggio 1995, n. 4195, in “Pluris” in cui si statuisce che“[..] il contratto di leasing finanziario è caratterizzato dalla concessione in godimento del bene [..]”.
34 Cfr. G. De Nova, op. cit., pp. 38; V. Buonocore, op. ult. cit, p. 89.
35 Nella prassi viene espressamente previsto che il fornitore consegni il bene all’utilizzatore; Cfr. Cass., 06 Maggio 1996, n. 4195, in “Pluris”.
1.4.2) La posizione dell’utilizzatore.
Prima di tratteggiare la figura dell’utilizzatore, si rende necessaria una precisazione preliminare.
Egli, come premesso, non è soggetto al possesso di specifici requisiti per contrarre validamente un leasing: tale parte potrà assumere, pertanto, la veste sia di imprenditore che di consumatore, a seconda della struttura del leasing.
Sebbene la normativa fiscale imponga che i beni in leasing siano strumentali all’esercizio dell’impresa, non v’è dubbio che la prassi normativa, ormai consolidata, abbia “snaturato”36 la locazione finanziaria, permettendo lo svilupparsi del “leasing al consumo”: dato che tale istituto ha come parte un consumatore e non un imprenditore, non verrà trattato nel presente lavoro.
Tornando alla figura dell’imprenditore-utilizzatore e posto che il concedente ha diritto al pagamento dei canoni37, il primo ha l’obbligo di corrispondere questi ultimi nei termini previsti dal contratto nonché di custodire il bene e curarne la manutenzione, senza mutarne l’utilizzazione, salvo espresso consenso del concedente38.
L’utilizzatore ha, inoltre, l’obbligo di avvertire il concedente di eventuali pretese di terzi sul bene e di restituire il bene alla scadenza del contratto, salvo esercizio del diritto d’opzione: è inoltre “[..] tenuto..ad avvisare il concedente della mancata o erronea consegna del bene e dell’eventuale presenza di vizi..e in assenza di tale comportamento non potrà ottenere la risoluzione del contratto.. [..]”39.
Sul piano dei diritti, egli è titolare del diritto al pieno godimento del bene richiesto e all’esercizio del diritto di opzione, una volta scaduto il contratto: al fine
36 Corsivo aggiunto; cfr. M. Serra, op. cit., p. 515.
37 A suo carico sono, inoltre, tutte le spese accessorie comprensive di prezzo del bene, interessi e profitto dell’impresa finanziaria.
38 Cfr. Cass. 6 Maggio 1996, n. 4195, in “Pluris”.
39 Cfr. Cass., 8 gennaio 2001, n. 189, in “Pluris”; cfr. anche Cass., 02 Agosto 2004, n. 14786, in “Pluris”; Cass., 29 Settembre 2007, n. 20592, in “Pluris”.
di poterlo esercitare validamente, è necessaria una espressa manifestazione di volontà, in quanto l’effetto reale non si produce automaticamente40.
In seguito al sopra menzionato arresto delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione è stata finalmente risolta una questione di massima importanza: all’utilizzatore è stata, pacificamente, riconosciuta la facoltà di agire direttamente contro il fornitore in caso di vizi del bene emersi dopo la consegna e, in ogni caso, di agire per il risarcimento dei danni e la restituzione dei canoni già versati al fornitore; al concedente, invece, è stata riconosciuta la facoltà di agire per la risoluzione del contratto per vizi emersi prima della consegna.
1.5) Lo scioglimento del contratto di leasing. I principali casi di risoluzione.
Per quanto concerne, infine, la disciplina dello scioglimento del leasing, l’ipotesi a cui viene data maggior attenzione è sicuramente la risoluzione per inadempimento41.
Il leasing finanziario può esser pregiudicato dall’inadempimento del concedente: tale inadempimento si verifica, prevalentemente, in relazione alla mancata consegna del bene da parte del fornitore.
In tal caso, l’utilizzatore potrà agire direttamente contro il fornitore chiedendo la risoluzione del contratto e il risarcimento del danno42.
Altre rilevanti ipotesi di inadempimento del concedente si riscontrano nei vizi e nella mancanza di qualità del bene e anche nella evizione del bene in danno dell’utilizzatore: la disciplina convenzionale ha però costruito una solida struttura contrattuale nella quale, attraverso uno specifico gruppo di clausole, viene
40 Tale diritto è ritenuto essenziale sia per la configurazione del leasing finanziario sia come tratto distintivo di quest’ultimo rispetto al leasing operativo; cfr. sul punto G. De Nova, op. cit., p. 4; cfr. anche A. Luminoso, op. cit., p. 415.
41 Si intende considerare profili civilistici dell’istituto, rimandando al Capitolo III per una accurata trattazione dello scioglimento del leasing in circostanza di fallimento.
42 Cfr. Cass. 8 Marzo 2005, n. 5003, in “Pluris”; Cass. 27 Luglio 2006, n. 17145, in
“Pluris”; Cass. 16 Novembre 2007, n. 23794, in “Pluris”.
trasferito a carico dell’utilizzatore ogni rischio derivante dall’inadempimento del concedente.
In circostanza di inadempimento dell’utilizzatore si applica la disciplina dell’art. 145843 del codice civile, così delineando in capo al concedente il diritto a trattenere i canoni eventualmente già ricevuti e di richiedere la restituzione del bene44: questa disciplina si applica al leasing finanziario di godimento.
Per quanto concerne, invece, il leasing finanziario traslativo, la disciplina applicabile è quella prevista all’art. 152645 del codice civile: il concedente, pur potendo richiedere la restituzione del bene (avendo quest’ultimo un valore residuo superiore all’importo dell’esercizio di opzione), dovrà restituire i canoni percepiti avendo diritto ad un equo compenso per l’uso della cosa e al risarcimento del danno46.
Nel caso in cui sia prevista una clausola risolutiva espressa, non vi sono dubbi sulla immediata efficacia della stessa in seguito ad un inadempimento dell’utilizzatore: sebbene parte della dottrina ritenga possibile un’indagine sulla gravità dell’inadempimento, prevalente è la posizione che tutela l’intangibilità di tale clausola, in quanto manifestazione della volontà contrattuale47.
43 “Effetti della risoluzione”: La risoluzione del contratto per inadempimento ha effetto retroattivo tra le parti, salvo il caso di contratti ad esecuzione continuata o periodica, riguardo ai quali l'effetto della risoluzione non si estende alle prestazioni già eseguite. La risoluzione, anche se è stata espressamente pattuita, non pregiudica i diritti acquistati dai terzi, salvi gli effetti della trascrizione della domanda di risoluzione.
44 Cfr. Cass., 3 Settembre 2003, n. 12823, in “Pluris”.
45 “Risoluzione del contratto”: Se la risoluzione del contratto ha luogo per l'inadempimento del compratore, il venditore deve restituire le rate riscosse, salvo il diritto a un equo compenso per l'uso della cosa, oltre al risarcimento del danno. Qualora si sia convenuto che le rate pagate restino acquisite al venditore a titolo d'indennità, il giudice, secondo le circostanze, può ridurre l'indennità convenuta. La stessa disposizione si applica nel caso in cui il contratto sia configurato come locazione, e sia convenuto che, al termine di esso, la proprietà della cosa sia acquisita al conduttore per effetto del pagamento dei canoni pattuiti.
46 Tali criteri sono stati concretizzati gradualmente grazie all’intervento della Suprema Corte in Cass, 13 Gennaio 2005, n. 574, in “Pluris”; Cass., 8 Gennaio 2010, n. 73, in “Pluris”.
47 Cfr. C. Turco, “L’imputabilità e l’importanza dell’inadempimento nella clausola risolutiva espressa”, in F. Busnelli, S. Patti, V. Scalisi, P. Zatti, “ Studi di diritto privato: Vol. VI”, G. Giappichelli, Torino, 1997, passim; contra, Cfr. Cass., 27 Giugno 1987, n. 5710, in “Pluris”; Cass., 17 Marzo 2000, n. 3102 in “Pluris” ; Cass., 19 Novembre 2004, n. 21886 in “Pluris”.
1.6) Il leasing immobiliare.
Tutto ciò premesso, è possibile, adesso, tratteggiare, in via generale, l’istituto del leasing immobiliare.
Questo istituto, sebbene non sia diffuso quanto quello mobiliare, ha ricevuto crescente attenzione (in aggiunta ad una specifica ed articolata disciplina48) per gli indubbi vantaggi apportati all’imprenditore : esso, infatti, si caratterizza per esser un contratto nel quale “[..] il locatore si obbliga a mettere a disposizione del conduttore un bene immobile verso un corrispettivo periodico, determinato in relazione al valore dell’immobile, alla durata del contratto ed altri elementi…e tale immobile è acquistato o fatto acquistare dal locatore dietro specifica indicazione del conduttore, con facoltà per quest’ultimo di diventarne proprietario alla scadenza del contratto con il pagamento di un importo da determinare secondo importi prestabiliti [..]”49.
A livello economico, non v’è dubbio sui benefici: tramite il leasing immobiliare, un imprenditore prende piena disponibilità di un immobile destinato alla sua attività produttiva recante le specifiche caratteristiche tecniche da egli richieste, corrispondendo, periodicamente, una somma di denaro pattuita con il locatore, avendo lo scopo di acquistare il suddetto immobile alla scadenza del contratto (oppure di rinnovare il contratto).
Da un punto di vista giuridico, invece, vi sono alcuni interrogativi: in primis, per quanto concerne le differenze tra leasing su immobili costruiti e in costruendo; in secundis, sulla finalità del canone e sul prezzo di riscatto.
In molte occasioni, il prezzo fissato per l’esercizio dell’opzione è molto inferiore rispetto al valore residuo del bene, solitamente una frazione esigua di tal valore, mentre in altre è pari al valore dell’immobile sul mercato alla scadenza del rapporto.
Questa discrepanza notevole si spiega in ragione della diversa collocazione formale che si è data al leasing immobiliare: nel primo caso, infatti, tale istituto è
48 Cfr. “Raccolta di Usi della Camera di Commercio di Milano”, in RIL, 1991, p. 162 ss.
49 Ibidem.
ricondotto nella disciplina della vendita a rate con riserva di proprietà, in cui i canoni hanno lo scopo di “scontare” l’intero valore del bene e in cui l’utilizzatore è formalmente coercito all’acquisto del bene, se non altro per il valore dell’immobile, di gran lunga superiore al prezzo d’opzione50.
Nel secondo caso, invece, la figura del leasing immobiliare viene ricondotta nell’ambito della locazione: i canoni hanno, pertanto, mera funzione di corrispettivo del godimento dell’immobile51.
Il suddetto contratto può aver ad oggetto, come premesso, sia un bene immobile già esistente, bipartendosi ulteriormente nel caso in cui sia di proprietà della società di leasing e nel caso in cui sia di proprietà di un terzo, sia un bene da costruire.
Se l’immobile esiste ma non è di proprietà della società di leasing, quest’ultima provvederà ad acquistarlo dietro indicazione dell’utilizzatore; se, invece, l’immobile è di proprietà dell’utilizzatore sarà lui stesso a concordare con la società di leasing il contratto di “sale and lease back”, nel quale l’utilizzatore prende in leasing lo stesso immobile da lui venduto alla società.
Nel caso in cui l’immobile sia di proprietà della società di leasing, il contratto si stipulerà senza ulteriori difficoltà: sull’utilizzatore graveranno tutti i rischi connessi al bene ma potrà agire direttamente per la tutela dei propri interessi52.
In merito al leasing per immobili da costruire, rilevante è il peculiare rapporto che si instaura tra utilizzatore e impresa appaltatrice della costruzione: il primo avrà il diritto di verificare e controllare costantemente l’andamento dei lavori, curando tutti gli adempimenti amministrativi necessari e informando il concedente di ogni eventuale violazione nella corretta esecuzione della costruzione mentre il secondo sarà, di converso, obbligato ad adempiere a tutte le richieste dell’utilizzatore.
50 Cfr. M. Serra, op. cit., p.552, v. nota 233; M. Bussani, op. cit., p. 365; G. Gabrielli, “Considerazioni sulla natura del leasing immobiliare e loro riflessi in tema di pubblicità e responsabilità civile”, in Rivista Italiana di Diritto Civile, 1984, pp. 271-273.
51 Cfr. M. Serra, ibidem; M. Bussani, op. cit., p. 366-367.
52 Cfr. V. Buonocore, op. ult. cit., p. 253; l’Autore fornisce l’elenco degli obblighi cui è tenuto l’utilizzatore, comprendenti, tra l’altro, l’obbligo di corrispondere i canoni, la manutenzione ordinaria e straordinaria e l’utilizzo del bene secondo quanto previsto nel contratto.
Il concedente, altresì, potrà recedere dal contratto in caso sia di mancata realizzazione dell’opera sia di inutilizzabilità della stessa; avrà, inoltre, diritto ad esigere il pagamento dei canoni pattuiti nonché di rifiutare eventuali varianti proposte dall’utilizzatore53.
In entrambi i casi, vige l’obbligo di forma scritta ad sustantiam, ex art. 117 T.U.B., sia per la validità del contratto di leasing sia per la validità dell’opzione d’acquisto e per il suo esercizio, ex art. 1350, comma I, n. 1 e 8.54
A proposito di forma scritta, una attenta ricostruzione dottrinale ha configurato una tutela dei diritti dell’utilizzatore a seguito di una vendita a terzi eseguita durante il rapporto: si afferma, infatti, la trascrivibilità del contratto di leasing di durata ultranovennale, ex 2643, I comma, n. 8 e 264555.
Autorevole dottrina, inoltre, nel tentativo di colmare l’evidente lacuna, ricava un’ulteriore, e più efficace, tutela nell’interpretazione estensiva dell’art. 2645 c.c.: chi concede un’opzione è più vincolato rispetto a chi promette di alienare56.
Il leasing immobiliare, dunque, dato il suo innegabile scopo imprenditoriale, risulta adesso uno dei contratti più diffusi tra gli operatori economici.
Nel caso di fallimento di questi ultimi, vi è una peculiare disciplina, contenuta nell’art. 72 l. fall., per tutti i rapporti pendenti alla data della dichiarazione di fallimento; tale regolamentazione, con specifico riguardo alla locazione finanziaria, viene completata dall’art. 72quater: se l’art. 72 disciplina le conseguenze del subentro da parte del curatore fallimentare nel contratto di leasing immobiliare, l’art. 72quater regola, altresì, le conseguenze dello scioglimento da quest’ultimo.
53 Cfr. A Gerardo Diana, p. 593- 607; M. Serra, op. cit., p. 556;
54 “Atti che devono farsi per iscritto” “[..] I. Devono farsi per iscritto gli atti che trasferiscono la proprietà di beni immobili; i contratti di locazione di beni immobili per una durata superiore a nove anni [..]”.
55 Cfr. M. Serra, op. cit., p. 556; A. Luminoso, op. cit., p. 430; R. Clarizia, “I contratti per il finanziamento dell’impresa : Mutuo di scopo, leasing e factoring”, op. cit., p. 374; cfr., su tutti,
G. Gabrielli, “Considerazioni sulla natura del leasing immobiliare e loro riflessi in tema di pubblicità e responsabilità civile”, in (diretto da) W. Bigiavi, “Rivista Italiana Diritto Civile”, CEDAM, Padova, 1984, pp. 272-277; contra F. Gazzoni, “La trascrizione immobiliare”, in (diretto da) P. Schlesinger “Il Codice Civile. Commentario”, Giuffrè, Milano, 1998, p. 597.
56 Cfr. M. Serra, op. cit., p. 556; A. Gerardo Diana, op. cit., p. 616.
CAPITOLO II
LA DISCIPLINA DELL’ART. 72 APPLICATA AL LEASING IMMOBILIARE: IL SUBENTRO NEL CONTRATTO.
La dichiarazione di fallimento ha come effetto primario lo “spossamento” del fallito (ex art. 42 l. fall.): le conseguenze sono l’immediata privazione dell’amministrazione e della disponibilità di tutti i beni del fallito, sia già esistenti sia pervenuti successivamente all’apertura del fallimento.
Se ciò è facilmente comprensibile, data la natura materiale dei beni, non è possibile effettuare le stesse considerazioni per i rapporti giuridici in fase dinamica, sorti prima del fallimento e ancora ineseguiti (c.d. pendenti): essi possono concorrere concretamente all’aumento di valore dell’intero patrimonio dell’imprenditore ma non possono essere “sostanzialmente” quantificati in termini monetari.
2.1) La nozione di rapporto giuridico pendente.
Prima di procedere con l’analisi del concetto di rapporto pendente, si rende necessaria (e utile) una precisazione terminologica: la locuzione che intitola la Sezione IV, “Rapporti giuridici preesistenti”, è stata considerata da autorevole dottrina alquanto imprecisa57, poiché all’interno di tale espressione rientrano, senza dubbio, i rapporti pendenti, i crediti e i debiti ma anche i beni in proprietà del fallito: considerato che vengono sottoposti alla disciplina ivi prevista solo i rapporti pendenti, tale proposizione è stata, ed è tuttora, utilizzata, in via
57 Cfr. L. Guglielmucci, Effetti del fallimento sui rapporti giuridici preesistenti, in (a cura di) F. Bricola, F. Galgano, G. Santini, “Comm. Scialoja - Branca. Legge fallimentare”, Zanichelli, Bologna, 1979, p. 1-2, vedi nota 2: l’Autore sottolinea che tale perifrasi ha da sempre permeato la legge fallimentare sin dai primi progetti in questo ambito ad opera di G. Bonelli; cfr. anche G. Lo Cascio, op. cit., p. 786;
convenzionale, per indicare questi ultimi soltanto: la corretta individuazione di quali siano i rapporti pendenti cui applicare la disciplina degli art. 72 e seguenti, consente di delimitare lo spazio di applicazione delle norme che provvedono in merito alla loro sorte in ipotesi di fallimento di una delle due parti58.
Riprendendo la definizione di rapporti giuridici pendenti precedentemente offerta, si nota che, per esser considerati tali, è indispensabile che i contratti:
- siano stati validamente perfezionati prima della dichiarazione di fallimento;
- appartengano alla categoria dei contratti a prestazioni corrispettive, da cui derivano reciproche obbligazioni tali che la prestazione di una parte è la causa della prestazione della controparte;
- abbiano come oggetto beni compresi nel fallimento, escludendo dunque i contratti concernenti i beni di cui all’art. 46, rubricato “Beni non compresi nel fallimento”, rispetto ai quali il curatore è estraneo;
e che, infine, non siano state ancora, completamente o in parte, eseguite le obbligazioni “fondamentali” da essi scaturenti.
In ragione dell’assenza di una o più di queste caratteristiche, rimangono fuori dall’applicazione di questa disciplina, pur essendo rapporti pendenti, i rapporti reali derivati da contratti ad effetti reali quando il contraente in bonis abbia ottenuto la proprietà del bene prima della dichiarazione di fallimento59, i rapporti unilaterali, poiché produttivi di obbligazioni per una sola parte, i contratti a prestazioni corrispettive in cui una delle parti abbia interamente
58 F. Ferrara Jr, A. Borgioli, “Il fallimento”, Giuffrè, Milano, 1995, p. 372; cfr. anche C. Bibolini, Effetti sui rapporti giuridici preesistenti, in (a cura di) G. Lo Cascio, “Compendio di Diritto fallimentare, IPSOA, Milano, 1996, p. 719: l’Autore sostiene, correttamente, che “preesistenza” e “pendenza” sono due qualificazioni profondamente diverse; la prima concerne la fase della formazione del contratto e comprende rapporti che il fallimento trova perfezionati, ma non esauriti al momento della dichiarazione mentre la “pendenza” è situazione attinente alla fase esecutiva, per la quale, al fine di considerare un contratto come eseguito è necessario che tutte le prestazioni dovute siano state validamente poste in essere e che il negozio abbia ottenuto lo scopo prefissato; la dichiarazione di fallimento funziona come “momento rilevante” con il quale è possibile parlare di preesistenza e di pendenza, a seconda dello stato in cui si trova il rapporto, poiché si parla di rapporti “pendenti” allorquando le prestazioni fondamentali non siano state eseguite o lo siano soltanto in parte. Vedi, infra.
59 Nel fallimento, come autorevolmente sostenuto, solo i diritti di credito sono soggetti al concorso mentre tutti i diritti reali, se legittimamente acquistati, devono esser rispettati dal curatore; cfr. F.Ferrara Jr, A. Borgioli, op. cit., p. 374.
posto in essere la sua prestazione e, infine, i contratti aventi ad oggetto beni non compresi nel fallimento60.
La necessità di stabilire delle specifiche regole che permettano, tramite la prosecuzione del contratto o il suo scioglimento, la cristallizzazione di tali rapporti in debiti o crediti liquidabili ai fini del soddisfacimento dei creditori, è stata recepita, compiutamente, dall’attuale Sezione IV della l. fall., intitolata “Degli effetti del fallimento sui rapporti giuridici preesistenti”.
2.2) L’evoluzione storico-normativa dell’art. 72.
2.2.1) La disciplina dei rapporti pendenti ante legge fallimentare.
Il problema della difficile regolazione della sorte dei contratti pendenti alla data del fallimento si è posto sin dalle prima esperienza in materia di codificazione delle leggi commerciali.
Il “Codice di Commercio del Regno d’Italia”, approvato dalla Legge 2 Aprile 1882, n. 681, non aveva soddisfatto l’esigenza di una disciplina generale e completa dei rapporti pendenti, limitandosi a prevedere poche disposizioni sparse e disorganiche che, in caso di fallimento di una delle due parti, dettavano regole sulla sorte di specifici contratti61: basti pensare agli art. 703 e 805, rispettivamente disciplinanti il fallimento del conduttore di immobili e il fallimento del compratore di cosa mobile.62
In questo scenario di grande disomogeneità di regole, tuttavia, la dottrina dell’epoca era riuscita comunque a delineare sufficienti “criteri di orientamento
60 Cfr. su tutti B. Meoli, S. Sica, “Effetti sui rapporti giuridici pendenti”, in (diretto da)
V. Buonocore, A. Bassi, “Trattato di diritto fallimentare: Vol. II. Gli organi. Gli effetti. La disciplina penalistica”, CEDAM, Padova, 2010, pp. 401-414.
61 Cfr. G. Lo Cascio, “Codice Commentato del fallimento”, op. cit., p. 789; B. Meoli, “Le vicende del contratto nella crisi d’impresa”, in (diretto da) G. Autino, P. Stanzione, “Comparazione e diritto Civile”, G. Giappichelli, Torino, 2013, p. 64-65; E. Gabrielli, op. cit., p. 123; L. Guglielmucci, “Diritto fallimentare”, op. cit., 116-117.
62 Nel caso di fallimento del conduttore di immobile, il curatore poteva sciogliersi dal contratto dietro pagamento di un giusto compenso se la durata residua del rapporto fosse superiore a 3 mesi; nel caso di fallimento del compratore di cosa mobile, il venditore aveva il diritto di ritenere le cose non ancora consegnate; sul punto si veda G. Lo Cascio, op. cit., p. 779.
per l’applicazione di quelle regole a tutti i contratti bilaterali con prestazioni corrispettive non ancora adempiute”63, senza, purtroppo, poter colmare in modo completo le evidenti e preoccupanti lacune normative.
Per le prime rilevanti modifiche sarà necessario attendere l’intervento del legislatore del 1942, il quale con il R.D. del 16 Marzo, n. 267 tenterà una organica organizzazione della materia.
2.2.2) La disciplina dei rapporti pendenti nella legge fallimentare.
Un passo in avanti, infatti, venne compiuto con l’emanazione della legge fallimentare, avente come scopo primario il riordino del diritto fallimentare: ciò nonostante, tale testo apparve sin da subito caratterizzato da gravissime lacunosità.
È sufficiente pensare al novero dei contratti disciplinati dal contemporaneo codice civile e all’elenco delle figure contrattuali tipiche disciplinate dalla legge fallimentare: appare evidente l’assenza della regolamentazione di figure contrattuali di larghissimo impiego, quali la permuta ed il trasporto, obbligando gli interpreti a ricorrere assai frequentemente all’analogia.
Ma soprattutto, per quanto concerneva la disciplina dei rapporti pendenti, non venne riprodotta la “regola generale” della sospensione del contratto alla data del fallimento: l’originaria IV Sezione, infatti, raggruppava norme frammentarie, scoordinate e prive di una disciplina omogenea, senza un apparente filo logico.
Ciò in conseguenza della scelta di voler disciplinare soltanto alcuni dei principali contratti, lasciando inevitabilmente agli operatori il gravoso compito di risolvere il problema della disciplina applicabile.
Il diritto fallimentare si mostrava, ancora una volta, inidoneo ad una regolamentazione chiara, articolata e sistematica della sorte dei rapporti pendenti in circostanza di fallimento.
63 Cfr. G. Lo Cascio, op. cit., p. 780; l’Autore sottolinea anche la decisività di tale apporto dottrinale: nel “progetto Bonelli”(1919) di riforma al Codice di Commercio era ormai pacifica la regola della sospensione generale dei contratti pendenti alla data del fallimento con l’attribuzione al curatore del potere di prosecuzione o scioglimento.
Di nuovo, dunque, si rese necessario l’intervento di autorevole dottrina, l’unica, in concreto, in grado di sciogliere i numerosi dubbi e le incertezze della “nuova” disciplina concorsuale: nel tentativo di individuare una disciplina quanto mai completa e soddisfacente dei rapporti pendenti, tale dottrina perfezionò l’incompleta formulazione normativa ipotizzando l’esistenza di un triplice sistema di regole.
La dichiarazione di fallimento poteva, innanzi tutto, sciogliere automaticamente alcuni contratti (tra cui tutti i contratti di durata) con effetto ex nunc: essi si scioglievano automaticamente per “[..] incompatibilità della prosecuzione nel rapporto contrattuale con le esigenze della procedura fallimentare e per mancanza di interesse del fallimento a subentrare nel contratto [..]”64.
Il secondo sistema di regole prevedeva, invece, la continuazione ex lege di alcuni contratti col curatore e a carico della massa: essi continuavano automaticamente in quanto sia attribuivano al fallito controprestazioni utili al patrimonio sia vi derivavano diritti a favore del contraente in bonis che il curatore fallimentare avrebbe dovuto comunque rispettare.
L’applicazione del terzo sistema di regole, strutturato sulla falsariga dell’art. 7265, comportava la temporanea sospensione dei rapporti, attribuendo al curatore la scelta tra il subentro e lo scioglimento del contratto: fu quest’ultimo sistema ad esser considerato l’espressione del “principio generale” in merito agli effetti del fallimento sui rapporti pendenti costituiti da prestazioni corrispettive non eseguite da entrambe le parti66.
Il curatore, sostanzialmente, poteva scegliere se subentrare nel rapporto con assunzione di tutti i rapporti originariamente gravanti sul fallito oppure
64 Cfr. E. Gabrielli, op. cit., p. 127; l’Autore sottolinea che in caso di iniziata esecuzione venivano fatti salvi sia gli effetti eventualmente già prodotti sia i crediti vantati dal ricorrente in bonis: egli avrebbe potuto ottenerne la liquidazione soltanto insinuandosi al passivo ma non avrebbe potuto promuovere l’azione di risarcimento del danno poiché il fallimento non veniva considerato un inadempimento, quanto piuttosto un evento oggettivo non riconducibile alla volontà delle parti.
65 L’articolo 72 era rubricato “Vendita non ancora eseguita da entrambi i contraenti” e regolava gli effetti che la compravendita subiva in circostanza di fallimento del compratore.
66 Cfr. L. Guglielmucci, “Gli effetti del fallimento sui rapporti giuridici pendenti”, in (diretto da) G. Ragusa Maggiore, C. Costa, “Le procedure concorsuali. Il Fallimento”, UTET Giuridica, Torino, 1997, p. 271-272.
sciogliersi, senza danneggiare ulteriormente il patrimonio del fallito: d’altro canto, questa libertà di scelta veniva contemperata dalla facoltà attribuita al contraente in bonis di mettere in mora il curatore, obbligandolo, entro il termine di otto giorni dalla richiesta, a decidere se subentrare o sciogliere il contratto.
Il quadro complessivo, dunque, risultava alquanto confusionario e incoerente, pur con l’importantissimo contributo interpretativo apportato dalla dottrina: l’incompiuta trattazione legislativa lasciava spazio a moltissimi dubbi e numerosissime incertezze circa la sorte di tutti i rapporti pendenti.
Nonostante ciò, il “principio generale” della sospensione divenne il fondamento dell’odierna disciplina sui rapporti pendenti: la compatibilità della sospensione generale con le finalità del diritto fallimentare venne riconosciuta universalmente al punto da ispirare il legislatore del 2006 a normativizzare tale contributo dottrinale.
2.2.3) La regolamentazione attuale dei rapporti pendenti.
Fu con il Dlgs. 9 Gennaio 2006, n. 5 (successivamente integrato dal Dlgs. 12 Settembre 2007, n. 169) che le numerose carenze vennero colmate, a partire dalla completa riformulazione dell’art. 72, adesso novellato “Rapporti pendenti" e contenente l’auspicato riconoscimento di una disciplina generale per tutti i rapporti pendenti non compiutamente eseguiti67.
A tal proposito, la riforma ha limitato il campo di applicazione escludendo i particolari rapporti pendenti oggetto delle diverse disposizioni di legge della
67 Si faccia ben attenzione alla differenza tra “sospensione del rapporto” e “sospensione del contratto”: il fallimento sospende il rapporto in caso di contratti in corso di esecuzione, prevedendo la possibile continuazione ad opera del curatore, mentre sospende il contratto nei casi di contratti di durata, cioè quando il contratto, alla data del fallimento, ha già esaurito le contrapposte prestazione dovute, prevedendo, in caso di subentro, il mero pagamento delle prestazioni già eseguite; cfr. B. Inzitari “Sospensione del contratto per sopravvenuto fallimento e incerti poteri autorizzativi del comitato dei creditori”, in (a cura di) F. Di Marzio, “Contratti in esecuzione e fallimento”, IPSOA, Milano, 2007, p. 6.
stessa Sezione IV: ad essi, infatti, si applicano discipline specifiche, fondate su
rationes diverse da quella su cui si fonda la regola dell’art. 72, comma I68.
Due sono state le direttrici seguite: con la prima, è stata codificata la regola della sospensione generale dei rapporti pendenti alla data di fallimento, destinata a protrarsi sino a quando il curatore, con espressa manifestazione di volontà o in seguito alla messa in mora, non decida tra il subentro o lo scioglimento del rapporto.
Nel caso il curatore decida per il subentro, dovrà necessariamente ottenere l’autorizzazione del comitato dei creditori: una volta subentrato, dovrà porre in essere tutte le obbligazioni previste dal rapporto, pena la responsabilità per inadempimento.
Se decide di sciogliersi non assume alcuna responsabilità per danni subiti dal contraente in bonis: quest’ultimo potrà, in questo caso, chiedere l’ammissione al passivo per il credito conseguente al mancato adempimento della controprestazione69.
Sul solco di questa direttrice è stata introdotta un’importante deroga al principio della sospensione generale dei rapporti pendenti: al comma V, infatti, è stata riconosciuta la validità e l’efficacia dell’azione di risoluzione per inadempimento promossa dal contraente non fallito, quando quest’ultima sia stata giudizialmente attivata prima della dichiarazione di fallimento; al comma VI, si è infine disposta l’inefficacia per tutte quelle clausole che fanno dipendere la risoluzione del contratto dal fallimento.
Con la seconda direttrice sono state dettate disposizioni specifiche per singole figure contrattuali, ma non solo: per la prima volta, nella legge
68 Cfr. E. Gabrielli, op. cit., p. 132-137; F. Di Marzio, “Rapporti pendenti in generale”, in (diretto da) G. Fauceglia, L. Panzani, “Fallimento e altre procedure concorsuali”, UTET, Milano, 2009, pp. 726-727.
69 L’ambiguità di tale espressione, utilizzata dall’art. 72, comma IV, è stata interpretata in modi differenti tra loro: l’interpretazione cui qui si aderisce, individua in questo “mancato adempimento” la ripetizione della prestazione posta in essere dal contraente in bonis: se la prestazione indebita ha ad oggetto la corresponsione di somme di denaro, quest’ultimo potrà far valere il proprio credito tramite insinuazione al passivo; se, invece, si tratta di cose mobili potrà chiederne la restituzione al curatore fallimentare e insinuarsi al passivo per ottenere un equo compenso per l’uso della cosa. Cfr. C. Fiengo, “Rapporti pendenti”, in (diretto da) C. Cavallini, “Commentario alla legge fallimentare: Art. 64-123”, EGEA, Milano, 2010, p. 347-348; F. Cafaia, “Rapporti pendenti”, in L. Ghia, C. Piccinini, F. Severini, “Trattato delle procedure concorsuali: Vol, II”, UTET, Milano, 2011, pp. 377-378.
fallimentare, viene disciplinata espressamente la sorte di alcuni “nuovi” contratti, tra cui il leasing (art. 72 quater).
La necessità di una previsione normativa ad hoc si era resa necessaria in ragione dell’enorme diffusione dello stesso nel panorama imprenditoriale: tale esigenza è stata soddisfatta dal combinato disposto degli art. 72 quater e dall’art. 72.
Innanzi tutto, al leasing pendente nel fallimento si applica la regola generale della sospensione, in virtù del richiamo contenuto nel I comma del 72 quater; dall’attenta lettura di questo comma emerge un’importantissima novità: nella legge fallimentare non v’è traccia della distinzione tra leasing di godimento e leasing traslativo tanto che, testualmente, il legislatore considera solo la “locazione finanziaria”, senza alcuna distinzione70.
La regola generale dell’art. 72 prevede una sua applicazione “indistinta” a tutti i contratti pendenti “fatte salve le diverse disposizioni della presente sezione”71: di conseguenza, il subentro del leasing sarà soggetto alla disciplina prevista nell’art. 72, per quanto compatibile, mentre lo scioglimento sarà oggetto della disciplina “speciale” individuata dall’art. 72 quater.
Tra l’art. 72 e “le norme relative a singole tipologie di contratti” sussiste un “rapporto regola eccezione”72: dunque, la disciplina dello scioglimento prevista nel 72 quater prevarrà sulla disciplina dello scioglimento individuata nel
72 e, viceversa, in assenza di ulteriori disposizioni, la disciplina del 72 sarà l’unica applicabile al subentro.
Al leasing sono, inoltre, applicabili le disposizioni previste al comma II (messa in mora del curatore), comma V (efficacia della domanda di risoluzione per inadempimento proposta ante fallimento), comma VI (inefficacia delle clausole da cui dipende il fallimento).
70 Si veda il paragrafo successivo per l’approfondimento in merito al superamento della distinzione tra leasing traslativo e di godimento.
71 Autorevole dottrina ha sostenuto, correttamente, che le diverse disposizioni applicabili non sono soltanto quelle previste nella sezione IV ma sono anche quelle contenute in qualsiasi altro testo normativo, Cfr. C. Fiengo, op.cit., p. 349.
72 Cit. D. Vattermoli “Sub art. 72”, in (a cura di) A. Nigro, M. Sandulli, “La riforma della legge fallimentare: Tomo I”, G. Giappichelli, Torino, 2006, p. 416.
Il presente lavoro, ponendosi nell’ottica di offrire un quadro completo, organico e reale della disciplina del leasing immobiliare nel fallimento, si concentrerà esclusivamente sulla fattispecie del fallimento dell’utilizzatore, cercando di analizzare organicamente i punti fondamentali di questa interessante, e quanto mai delicata, materia.
2.3) L’art. 72 quater: il superamento della distinzione tra leasing di godimento e leasing traslativo.
Il legislatore fallimentare, come anticipato, non ha tenuto conto del dibattito giurisprudenziale in merito alla distinzione del leasing nelle sue due diverse forme: infatti, l’art. 72 quater detta una disciplina unitaria che, sotto diversi profili, appare incompatibile con le ragioni giustificatrici del leasing di godimento e, soprattutto, del leasing traslativo73.
Rimandando al successivo capitolo l’approfondita analisi degli effetti dello scioglimento del contratto, si può qui premettere che la norma in questione, in caso di scioglimento dal leasing, sancisce l’obbligo di restituzione del bene al concedente e attribuisce a quest’ultimo il diritto sia di soddisfare il proprio credito residuo in linea capitale con il ricavato della vendita o di una diversa collocazione del bene restituito, sia di ottenere il pagamento, in moneta fallimentare, del credito non soddisfatto con la nuova collocazione del bene: nell’eventualità in cui il concedente, dalla vendita o diversa collocazione del bene, ricavi una somma maggiore rispetto al suo credito residuo, dovrà restituire la differenza al fallimento.
In nessun caso, comunque, il concedente è tenuto a restituire i canoni riscossi.
La supposta incompatibilità si verificherebbe, ad una prima analisi, proprio in relazione alla disciplina degli effetti dello scioglimento del contratto.
73 Cfr. B. Inzitari, “Sub art. 72 quater”, in (diretto da) A. Jorio, “Il nuovo diritto fallimentare: Volume I”, Zanichelli, Bologna, 2006, pp. 1193 ss.
Il leasing immobiliare ha come fine ultimo il trasferimento della proprietà dell’immobile in capo all’utilizzatore; come è stato sopra esposto, la disciplina applicabile in caso di scioglimento del contratto è quella prevista all’art. 1526: il concedente dovrà restituire, in conseguenza della mancata realizzazione del trasferimento della proprietà, i canoni, cioè le rate di prezzo, già percepiti, salvo richiedere un equo compenso per l’uso della cosa74.
L’art. 72 quater, invece, dispone una regolamentazione diametralmente opposta rispetto a questa, che sembra disattendere totalmente la natura del leasing: infatti, nel fallimento se il curatore decide di sciogliersi dal contratto di leasing immobiliare, il concedente non solo può trattenere i canoni già percepiti ma può anche soddisfare il proprio credito residuo tramite la vendita o una diversa collocazione del bene, salvo riversamento dell’eventuale surplus così ottenuto.
Non si spiegherebbe, quindi, il motivo per cui pur non verificandosi l’acquisto finale dell’immobile ad opera dell’utilizzatore, al concedente sia attribuita la facoltà di soddisfare il proprio credito sull’immobile.
Posta in quest’ottica, l’incompatibilità strutturale tra le due discipline parrebbe evidente: in verità, come adesso verrà precisato, non sussiste nessuna incompatibilità poiché il legislatore ha voluto “equilibrare” l’onerosa posizione del concedente con una minor tutela dell’utilizzatore fallito.
Innanzi tutto, ciò su cui si è certi è che, almeno in ambito concorsuale, si è giunti al superamento della distinzione tra i due tipi di leasing con l’individuazione di un’unitaria figura contrattuale cui si è attribuita la natura di contratto di finanziamento75: correttamente viene osservato che “si tratta di un mix di disposizioni coerenti in certi casi con una qualificazione del contratto
74 Cfr. cap. I, par.1.6.
75 Tutta la dottrina è concorde con questa interpretazione della norma; senza pretesa di completezza, cfr. O. Cagnasso, “I rapporti pendenti”, in (a cura di) S. Ambrosini, “Le nuove procedure concorsuali. Dalla riforma "organica" al decreto "correttivo, Zanichelli, Bologna, 2008, p. 128; P.G. Demarchi, “Leasing e fallimento”, in (a cura di) S. Sanzo, “Procedure concorsuali e rapporti pendenti”, Zanichelli, Bologna, 2009, p. 104; G. Verdirame,” I rapporti giuridici pendenti dopo la riforma della legge fallimentare”, in “Il Fallimento e le altre procedure concorsuali.”, ( Fall.), IPSOA, Milano,, p. 1169; A. Patti, “Disciplina concorsuale della locazione finanziaria nella nuova normativa”, in “Fall.”, 2007, p. 135; L. Panzani, “I contratti pendenti”, in (a cura di) S. Ambrosini, “La riforma della legge fallimentare. Profili della nuova disciplina”, Zanichelli, Bologna, 2006, p. 180; R. Clarizia, “Contratti di leasing”, in (a cura di) E. Gabrielli, R. Lener, “I contratti del mercato finanziario”, Giappichelli, Torino, 2011, pp. 1626 ss.
come di scambio, in altri come di finanziamento; si rileva un’ibrida regolamentazione della posizione creditoria del concedente” 76.
Ciò premesso, si guardi alla collocazione della disciplina del leasing nella legge: viene inserita nella Sezione IV, finalizzata a disciplina la sorte dei contratti in esecuzione alla data del fallimento.
Contratti che, quindi, non sono considerati come rapporti di credito destinati ad esaurirsi.
La dottrina maggioritaria, interrogatasi sul punto, ha affermato, correttamente, che tale collocazione si spiega nel fatto che “il concedente, pur avendo corrisposto il prezzo del bene e avendo così eseguito integralmente in tale ordine di idee, il finanziamento richiestogli dall’utilizzatore, resta tuttavia obbligato a consentire a quest’ultimo di utilizzare il bene per tutta la durata del contratto”77.
Sotto altro profilo, in ragione della riconosciuta finalità di finanziamento del leasing, all’immobile è attribuita la funzione di garanzia del credito del concedente verso l’utilizzatore: in caso di scioglimento, infatti, il concedente potrà disporre come meglio credo dell’immobile di sua proprietà al fine di ottenere la somma necessaria per soddisfare il credito rimanente.78
Questa interpretazione ha pienamente senso se confrontata con la realtà dei fatti: il concedente, si ricordi, diventa proprietario dell’immobile solo nell’ambito e in funzione del leasing, acquistandolo nell’interesse e su indicazione dell’utilizzatore stesso.
L’incompatibilità sopra prospettata non ha, quindi, ragion d’essere: questa scelta di creare un’unitaria figura di leasing in cui i rischi connessi al deprezzamento del bene pendono in capo all’utilizzatore, è infatti perfettamente coerente con la struttura del leasing immobiliare, sia per la delicata posizione del concedente sia per l’elevata somma da egli messa a disposizione.
76 Cit. A. Giudici, “Sub art. 72 quater”, A. Giudici, “ Sub Art. 72”, in P. Pajardi, M. Bocchiola, A. Paluchowski, “Codice Commentato del Fallimento”, Giuffrè, Milano, 2013, p. 930;
77 Cit. A. Orestano,” I contratti di locazione e leasing”, in F. Vassalli, F.P. Luiso, E. Gabrielli, “Gli effetti del fallimento: Volume III”, G. Giappichelli, Torino, 2014, p. 319.
78 Cfr. G. Terranova, “La nuova disciplina delle revocatorie fallimentari”, in (diretto da)
C. Costa, “Diritto fallimentare e delle società commerciali: Vol. I.”, CEDAM, Padova, 2006, p. 286
Concludendo, il legislatore fallimentare ha voluto operare una decisiva presa di posizione79: non considerando la disputa giurisprudenziale sulla diversità dei leasing ha creato una figura che coincide il larga parte con le due forme prospettate e che è soggetta ad una disciplina ad hoc finalizzata a tutelare, per quanto possibile, l’equilibrio del rapporto in circostanza di fallimento.
Pur non riferendosi esplicitamente al leasing traslativo, il legislatore si è comunque mostrato molto sensibile alle problematiche connesse alla regolamentazione dello scioglimento del leasing nell’ambito fallimentare, tentando, come si è visto, un raccordo tra la disciplina civilistica e quella concorsuale.
Come si vedrà più specificatamente nei prossimi paragrafi, questa “unificazione” è rilevante esclusivamente per la disciplina fallimentare: la Cassazione, nella recente sentenza del 9 Febbraio 2016, n. 2538 ha infatti ribadito che “l'art. 72 quater l.fall. trova applicazione solo nel caso in cui il contratto di leasing sia pendente al momento del fallimento dell'utilizzatore, mentre, ove si sia già anteriormente risolto, occorre distinguere a seconda che si tratti di leasing finanziario o traslativo, solo per quest'ultimo potendosi utilizzare, in via analogica, l'art. 1526 c.c., con l'ulteriore conseguenza che, in tal caso, il concedente ha l'onere, se intenda insinuarsi al passivo del fallimento, di proporre la corrispondente domanda completa in tutte le sue richieste nascenti dall'applicazione della norma da ultimo citata”.80
Con ciò, si conferma quanto fino a qui detto: la distinzione tra leasing traslativo e di godimento assume rilievo solo in ambito civile, perdendo valore nella disciplina fallimentare.
2.3.1) Presupposti per la sospensione del rapporto di leasing immobiliare pendente.
79 Cfr. G. Terranova, op. cit., p. 294: l’autore evidenzia la palese deroga insita del 72 quater al disposto del 2744 c.c., rubricato “Divieto di patto commissorio”: l’ipotesi regolata dall’articolo in commento non si pone in contrasto, limitatamente al fallimento dell’utilizzatore, con il divieto per il creditore di soddisfare il proprio credito sul bene che è garanzia del credito.
80 Cfr. Cass. 9 Febbraio 2016, n. 2538 in “Pluris”.
Al fine di poter sottoporre il contratto di leasing immobiliare alla disciplina della sospensione ex lege, risulta indispensabile che quest’ultimo sia stato concluso validamente e che sia, almeno in parte, inseguito da entrambi i contraenti81: ciò avviene quando l’utilizzatore non versa i canoni nei tempi prestabiliti oppure quando il concedente non garantisce il pieno e libero godimento dell’immobile82.
In secondo luogo, in virtù dell’affermato obbligo di trascrizione del leasing immobiliare di durata ultranovennale, è necessario, ai fini dell’opponibilità del contratto alla procedura fallimentare, che vengano rispettate le formalità previste dall’art. 2643, I comma n. 8: il disposto dell’art. 45 l. fall., infatti, priva di qualsiasi effetto ogni formalità necessaria per rendere opponibile gli atti ai terzi che sia eseguita dopo la dichiarazione di fallimento83.
In presenza di entrambi questi requisiti, alla data di dichiarazione del fallimento, il leasing entrerà in una fase di quiescenza che permetterà al curatore di valutare la convenienza, ai fini del soddisfacimento dei creditori, della continuazione o dello scioglimento dello stesso e che autorizza il contraente in bonis a non adempiere alla propria prestazione senza, con questo, risultare inadempiente.
La fase di quiescenza assume rilievo esclusivamente per l’ipotesi di cessazione dell’esercizio dell’impresa, quando, cioè, il tribunale ha statuito la liquidazione atomistica del patrimonio dell’imprenditore84.
81 Il leasing, a mente di quanto fin qui esposto, deve risultare pendente alla data del fallimento per esser soggetto alla disciplina dell’art. 72: la pendenza non si verifica allorquando il leasing sia giunto al termine della propria durata oppure sia già stato esercitato il diritto di riscatto da parte dell’utilizzatore e quindi le reciproche obbligazioni siano state eseguite totalmente.
82 Cfr. D. Vattermoli, “Gli effetti del fallimento sui rapporti giuridici pendenti”, in A. Nigro, D. Vattermoli, “Diritto della crisi delle imprese. Le procedure concorsuali”, Il Mulino, Bologna, 2009, p. 175; B. Inzitari, “Sospensione del contratto per avvenuto fallimento e incerti poteri autorizzativi del comitato dei creditori”, in (a cura di) F. Di Marzio, “Contratti in esecuzione e fallimento. La disciplina dei rapporti pendenti nel nuovo diritto concorsuale”, IPSOA, Milano, 2007, p. 5; cfr. anche Cass. 04 Aprile 1973, n. 934, in “Pluris”; Cass. 5 Settembre 2000, n.11627, in “Pluris”.
83 Il mancato rispetto del contenuto dell’art. 45 l. fall. rende il contratto inopponibile ai terzi e, conseguentemente, al curatore: tale circostanza impedisce il subentro del curatore e l’esercizio di qualsiasi diritto da parte del contraente in bonis ma permette l’azionabilità delle pretese fondate sulla mancata attuazione del rapporto. Cfr. A. Dimundo, A. Patti, “I rapporti giuridici pendenti nelle procedure concorsuali minori”, Giuffrè, Milano, 1999, pp. 32-33.
84 Cfr. A. Maffei Alberti, op. cit. p.368; E. Gabrielli, op. cit., p. 133.
Infatti, nel caso in cui il tribunale abbia disposto l’esercizio provvisorio dell’impresa, ex art. 104 l. fall, il contratto di leasing proseguirà ex lege, salvo la sospensione o lo scioglimento da parte del curatore: in questa circostanza, le conseguenze della continuazione e dello scioglimento sono le stesse che sono previste dalla legge nel caso di continuazione automatica85.
Per concludere, lo stato di quiescenza è destinato a rimanere immutato sino a quando il curatore non decida sulla sorte del contratto pendente: questa sospensione potrebbe, teoricamente, permanere per l’intera procedura concorsuale in caso di inerzia da parte del curatore o del contraente in bonis.
La scelta si baserà sui profili strettamente economici del leasing immobiliare nel tentativo di trovare la soluzione migliore per il soddisfacimento della massa dei creditori.
2.4) La messa in mora del curatore.
Lo strumento della sospensione dell’esecuzione del contratto, tuttavia, tutela solo temporaneamente il contraente in bonis, in quanto, pur esonerandolo dall’obbligo di eseguire la prestazione a suo carico, gli preclude sia la possibilità
85 Sebbene il fallimento abbia come scopo la liquidazione del patrimonio del debitore al fine di ridistribuirne il ricavato tra i creditori non sempre tale obiettivo viene efficacemente raggiunto soltanto tramite la vendita dei beni dell’impresa: l’art. 104 l. fall., prevede la possibilità di disporre, ad opera del Tribunale, la prosecuzione dell’attività dell’impresa, purchè ciò non arrechi pregiudizio ai creditori. L’esecuzione dell’esercizio provvisorio è, però, subordinata al rilascio della relativa autorizzazione da parte del giudice delegato, preceduto dal parere favorevole del comitato dei creditori. La regola prevista all’art. 104 ha pari valore rispetto a quella disposta dall’art. 72: entrambe hanno valenza generale ma sono completamente opposte. La disciplina dell’art. 72 si applica a tutti i rapporti pendenti ma, nel caso in cui uno di essi sia puntualmente regolato da una norma contenuta nella Sezione IV (oppure in altre leggi), viene immediatamente derogata dalla disciplina ad hoc; l’art. 104 invece non viene meno di fronte a nessun tipo di disposizione, applicandosi a tutti i rapporti in corso di esecuzione. Questa affermazione si spiega con facilità: il legislatore, nell’ottica di favorire la continuazione dell’attività d’impresa, fa salvi tutti i contratti a prescindere dalla loro idoneità o meno ad apportare un concreto vantaggio ai creditori. Soltanto il curatore, in virtù dell’ampia discrezionalità attribuitagli dal comma VII dell’art. 104, potrà decidere sulla prosecuzione, sospensione o addirittura scioglimento. Se egli decidesse per la sospensione, il contraente in bonis sarebbe autorizzato a chiedere la messa in mora ex art. 72 comma II; analogamente, se decidesse per lo scioglimento, tale scelta avrebbe effetti definitivi ed irrimediabili. In caso di prosecuzione del contratto pendente, il curatore non potrebbe più sciogliersi o sospenderne l’esecuzione. Sul punto si veda B. Meoli, S. Sica, “Effetti sui rapporti giuridici pendenti”, op.cit., p.402-405; cfr. anche G. Lo Cascio, op. cit., p. 809-810; F. Fimmanò, “Sub art. 104”, in (diretto da) A. Jorio, M. Fabiani, “Il nuovo diritto fallimentare”, Zanichelli, Bologna, 2006, p. 1610-1611.
di chiedere la risoluzione del contratto per inadempimento, sia la possibilità di ottenere la controprestazione, rendendo incerta, ed intollerabile, la sua posizione.
La sospensione del contratto si rivela, altresì, molto vantaggiosa per la procedura, concedendo al curatore un periodo di tempo sufficiente per una scelta ponderata tra il subentro e lo scioglimento del contratto.
Allo scopo di evitare che la situazione di incertezza sulla sorte del contratto si possa prolungare troppo a lungo, con grave pregiudizio degli interessi del contraente in bonis, attualmente l’art. 72, II comma, stabilisce la facoltà per il concedente di mettere in mora il curatore, facendogli assegnare dal giudice delegato un termine non superiore a sessanta giorni, decorso il quale, in mancanza del subentro, il contratto si intende sciolto86.
La società di leasing, pertanto, attiverà tale strumento nel caso in cui preferisca la risoluzione alla prosecuzione: in questo modo, sebbene non possa direttamente concorrere alla risoluzione del contratto, dato che il fallimento comporta la cristallizzazione di qualsiasi posizione giuridicamente rilevante, può comunque rimuovere la situazione d’incertezza determinata dalla sospensione dell’esecuzione del contratto, imponendo al curatore di assumere l’impegno ad adempiere integralmente o di sciogliersi dal contratto entro il termine assegnatogli dal giudice delegato87.
La presenza di questo strumento nella disciplina fallimentare si è da sempre rivelata quanto mai necessaria: risalente dottrina, infatti, ha sostenuto che se fosse lecito al fallimento “un tacere illimitato nel tempo”, il procedimento “potrebbe risolversi come una parentesi, coincidendo con un intero periodo di
86 Il termine massimo “originario” era molto breve (otto giorni) e non permetteva al curatore il tempo di riflessione adeguato e sufficiente per permettergli una scelta ponderata e consapevole; sul punto si veda A. Dimundo, “Gli effetti del fallimento sui rapporti giuridici preesistenti”, in (a cura di) G. Schiano di Pepe, “Il diritto fallimentare riformato”, CEDAM, Padova, 2008, p. 220.
87 Cfr. L. Guglielmucci, “Il sistema dei rapporti preesistenti nel fallimento”, in (a cura di)
L. Gugliemucci, “I contratti in corso di esecuzione nelle procedure concorsuali”, CEDAM, Padova, 2006, p. 17-18; sebbene sia il legislatore stesso a parlare di “messa in mora”, recente dottrina ha evidenziato che tale espressione deve esser interpretata in senso atecnico, in quanto è possibile mettere in mora solo chi sia già stato obbligato: in questo caso, pertanto, siamo in presenza di un “onere” del curatore anche se nessuno dubita sulla vincolatività di tale strumento; sul punto si veda, A. Jorio, “I rapporti giuridici pendenti”, in a cura di S. Ambrosini, G. Cavalli,
A. Jorio, “Il Fallimento, Trattato di diritto commerciale : Vol. XI, Tomo II”, CEDAM, Padova, 2009, p. 478-479.
sospensione chiuso il quale, il rapporto riprenderebbe vigore nei confronti del già fallito”88.
2.5) L’autorizzazione del comitato dei creditori.
Prima di effettuare la scelta di subentrare il curatore, a prescindere dall’eventuale messa in mora, deve ottenere l’autorizzazione del comitato dei creditori, che ha sostituito, in questo compito, il giudice delegato89.
L’autorizzazione è concessa esclusivamente dal comitato dei creditori, in perfetta sintonia con il nuovo e più incisivo ruolo riconosciutogli dalla legge di riforma nell’ambito della procedura concorsuale: infatti tale organo ha assunto un “un essenziale compito di affiancamento del curatore nelle scelte strategiche relative alla gestione del patrimonio fallimentare”.90
Sebbene molti autori abbiano espresso dubbi sulla effettiva imparzialità di quest’organo nelle proprie decisioni, condizionata prevalentemente dalla presenza dei loro interessi personali, non v’è dubbio che la riforma abbia voluto attribuire al comitato rinnovati e penetranti poteri di controllo e vigilanza: queste attribuzioni rientrano nella specifica finalità, sottesa alla procedura concorsuale, di garantire il soddisfacimento di tutte le pretese creditorie in sospeso al momento del fallimento91.
p. 1202.
88 Cit. R. Provinciali, “Trattato di diritto fallimentare : Volume II”, Giuffè, Milano, 1974,
89 Prima della riforma della legge fallimentare del 2006, era il giudice delegato l’unica
figura competente a rilasciare tale autorizzazione: attualmente, ex art. 41, IV comma, esercita questo potere in via sussidiaria, nel caso in cui il comitato dei creditori non sia stato costituito.
90 Cit. A. Dimundo, op. cit., in G. Schiano di Pepe, op. cit., p. 221.
91 Cfr. B. Inzitari, “Sospensione del contratto per sopravvenuto fallimento e incerti poteri autorizzativi del comitato dei creditori”, in (a cura di) F. Di Marzio, “Contratti in esecuzione e fallimento”, op. cit., 17 ss.: tale Autore si pone su una linea estremamente critica di queste attribuzioni, sostenendo una violazione dei diritti garantiti dalla Costituzione agli art. 3 e 24 : attribuire a un privato compiti appartenenti, in ragione della professionalità richiesta per svolgerli, a organi giurisdizionali non è conforme all’esigenza che la tutela dei diritti sia affidata a organi imparziali e soggetti ad un controllo sul proprio operato; cfr. anche C. Mascariello, “I rapporti giuridici pendenti nella riforma del fallimento (art. 72 e 72 bis legge fall.)”, in (diretto da) C. Costa, “Il Diritto Fallimentare e delle Società Commerciali”, CEDAM, Padova, 2007, p. 297-298: l’Autore sostiene che la ponderazione sul subentro nel contratto non si ferma ad una semplice valutazione di mezzi finanziari a disposizione della curatela ma si fonda soprattutto su un’attenta
Il curatore, dunque, al fine di permettere all’organo di controllo di prendere una ponderata decisione sul futuro del leasing immobiliare, dovrà fornire tutte le informazioni adeguate sul contenuto del contratto, sulla sua durata, sull’ammontare dei pagamenti effettuati e da effettuare e su qualsiasi eventuale offerta per l’acquisto dell’immobile.
Il comitato, se ritiene maggiormente conveniente la prosecuzione a fronte di quanto sopra esposto, rilascia l’autorizzazione al subentro: essa può esser rilasciata espressamente, tramite atto scritto, oppure implicitamente, quando è contenuta in qualsiasi atto incompatibile con il diniego di autorizzazione.
Per concludere, si rende necessaria una precisazione.
L’autorizzazione del comitato dei creditori è stata, ed è tuttora, soggetta ad ampie e profonde critiche sia sulla natura sia sulla sua attuazione.
A tal proposito, le dispute dottrinali si incentrano, prevalentemente, sulla necessità di tale autorizzazione anche nel caso in cui il curatore intenda sciogliersi dal contratto.
Alcuni autori, correttamente, osservano che lo scioglimento del contratto non è meno rilevante della sua continuazione, in quanto comporta la rinuncia ai crediti di prestazioni comprese nel patrimonio: di conseguenza “[..] difficilmente possiamo affermare in maniera convincente che il curatore possa sottrarre alla massa la possibilità di subentrare in un contratto, all’insaputa del comitato dei creditori e a prescindere dalle valutazioni dello stesso[..]”92.
La dottrina maggioritaria, invece, sostiene con forza la non necessità di questa autorizzazione in caso di preferenza dello scioglimento.
Tale convincimento si fonda, in primis, sulla previsione dell’art. 72, II comma per cui il contratto si scioglie automaticamente al termine del tempo concesso al curatore dal giudice delegato per scegliere tra il subentro e lo scioglimento; in secundis, è lo stesso art. 72 quater che fa salva la scelta del
analisi della situazione contrattuale e sulle conseguenze giuridiche ed economiche delle singole scelte, correttamente individuabili e risolvibili solo da un esperto di diritto quale è il curatore.
92 Cit. S. Sanzo, “Fallimenti e rapporti pendenti”, in (a cura di) S. Sanzo, “Procedure concorsuali e rapporti pendenti”, Zanichelli, Bologna, 2009, pp. 22-27; sul punto, si veda anche
C. Mascariello, op. cit., p. 293; M.R. Grossi, “La riforma della legge fallimentare”, Giuffrè, Milano, 2006, pp. 959-960.
curatore che dichiari la propria volontà di sciogliersi dal contratto, senza imporgli alcun obbligo di richiedere autorizzazioni93.
Il comitato dei creditori dovrà, infatti, valutare attentamente soltanto la prosecuzione del rapporto poiché è da quest’ultima che sorgono obbligazioni per la procedura che incidono sul patrimonio destinato alla massa.
Concludendo, non v’è dubbio che sia la legge stessa a non sancire l’obbligo dell’autorizzazione per lo scioglimento: tale considerazione risulta corretta poiché lo scioglimento, al più, potrebbe comportare un semplice “costo di opportunità”.94
2.6) Il subentro del curatore nel contratto di leasing immobiliare.
Il curatore, dunque, se ritiene che dalla prosecuzione del leasing possano emergere vantaggi economici ragguardevoli, o se ritiene che sia opportuno acquisirne le utilità, dichiarerà di subentrare nel rapporto pendente, una volta ottenuta l’autorizzazione del comitato dei creditori.
La scelta di subentrare nel contratto si rende conveniente in molteplici situazioni, in particolare quando vi è la presenza di un peculiare interesse del fallimento nella conservazione del cespite per una proficua gestione dell’impresa; ma soprattutto la prosecuzione del rapporto sarà sicuramente vantaggiosa se vi saranno ragionevoli certezze che, una volta acquistata la proprietà dell’immobile tramite l’esercizio del diritto di opzione, il prezzo pagato per il riscatto dell’immobile sarà inferiore al prezzo cui verrà, presumibilmente, venduto e quest’ultimo prezzo sarà superiore a quello a cui lo venderebbe il concedente.95.
93 Cfr. L. Guglielmucci, “Effetti del fallimento sui rapporti giuridici preesistenti”, in A. Jorio, M. Fabiani, “Il nuovo diritto fallimentare: Tomo I”, Zanichelli, Bologna, 2006, p. 1133- 1134.
94 Cfr. E. Gabrielli, op. cit., in F. Vassalli, F.P. Luiso, E. Gabrielli, “Gli effetti del fallimento: Volume III”, pp. 145-147.
95 A tal proposito, sarà possibile desumere la convenienza del subentro anche da eventuali proposte d’acquisto da parte di terzi, se serie e coperte da adeguate garanzie; cfr. O. Cagnasso, “I contratti pendenti”, in (a cura di) S. Ambrosini, “Le nuove procedure concorsuali: dalla riforma organica al decreto correttivo”, Zanichelli, Bologna, 2008, p. 129-130
Concessa l’autorizzazione, il curatore è libero di scegliere se subentrare oppure sciogliersi: seppur indispensabile per la prosecuzione, non è in tal senso vincolante.
La dichiarazione è unilaterale ed ha efficacia vincolante; può esser resa sia espressamente, tramite atto ad hoc, sia implicitamente, con comportamenti concludenti96: essa è retroattiva fino alla data della dichiarazione di fallimento ed è irrevocabile.
Il curatore assume, in ragione della “parziale sostituzione soggettiva” 97, tutti gli obblighi relativi al leasing immobiliare, tra cui la custodia e la manutenzione del bene.
Per quanto concerne l’adempimento dell’obbligazione principale, cioè il pagamento dei canoni, la disciplina è differente a seconda del tipo di canone che si intenda corrispondere.
I canoni periodici divengono debiti della massa da soddisfare per l’intero ed in prededuzione; anche i canoni scaduti durante il periodo di sospensione del contratto (quindi dopo il fallimento) dovranno esser corrisposti in prededuzione.
Su quanto appena detto non v’è alcuna ombra di dubbio: tutti questi crediti sono imputati “alla massa” e da ciò consegue la necessarietà del loro soddisfacimento prima di qualsiasi altro.
Numerosi problemi sorgono, invece, per quanto riguarda la sorte dei canoni maturati antecedentemente la dichiarazione di fallimento e non corrisposti. In dottrina vi sono da sempre aspri dibattiti in merito alla natura di tali canoni: si discute se essi vadano considerati come imputabili alla massa (e quindi da pagare in prededuzione) oppure se siano soggetti alle regole del concorso (e
dunque se ne debba richiedere l’ammissione al passivo).
Tale seconda interpretazione è sostenuta ampiamente da alcuni autorevoli autori, in ragione dell’impossibilità di applicare in via analogica il disposto dell’art. 74 l. fall.: tale articolo, infatti, si applicherebbe soltanto ai contratti di
96 Cfr. Cass., 14 Aprile 2004, n. 7070, in “Pluris”; Cass., 27 Luglio 1993, n. 134, in
“Pluris”.
97 Cit. A. Maffei Alberti, op.ult.cit, p. 394.
somministrazione, data la loro unicità e unitarietà, e non anche al leasing immobiliare98.
La dottrina prevalente, invece, ritiene, correttamente, che tali canoni vadano imputati alla massa e debbano essere corrisposti in via prededucibile: giustamente, infatti, sostiene che l’art. 74 sia applicabile in via analogica proprio per la natura unitaria del leasing99.
Ad ulteriore conferma della prededucibilità di questi canoni viene sostenuto che i canoni scaduti non siano altro che una passività gravante sul fallimento per l’acquisto e la conservazione dei beni nel fallimento100.
Risulterebbe poco coerente, inoltre, ritenere che il concedente debba esser sottoposto al trattamento concorsuale dei propri crediti quando il curatore decida di subentrare nel contratto: la dichiarazione di fallimento, infatti, può avvenire anche in presenza di una consistente somma di canoni scaduti e non corrisposti dall’utilizzatore.
2.6.1) L’inadempimento del curatore in caso di subentro: l’autotutela del concedente.
Come è stato precedentemente esposto, il curatore se sceglie di subentrare nel leasing immobiliare deve necessariamente corrispondere in prededuzione i canoni scaduti e non pagati alla data di fallimento, i canoni maturati durante la sospensione del contratto e corrispondere, alla scadenza pattuita, i canoni regolari. A tal proposito, il subentro determina, inoltre, l’utilizzabilità da parte del contraente in bonis degli strumenti contrattuali di autotutela del proprio credito nel momento in cui il curatore non sia in grado di adempiere, in prededuzione, alla
prestazione dovuta.
98 Cfr. A. Dimundo, op. ult. cit., p. 251; D. Plenteda, “ I rapporti giuridici pendenti nel fallimento riformato”, Il Sole 24 Ore, Milano, 2008, p. 159-160.
99 Cfr. D. Vattermoli,”Sub art. 72 quater”, in (a cura di) A. Nigro, M. Sandulli, “La riforma della legge fallimentare: Tomo I”, Giappichelli, Torino, 2006, p. 453.
100 Cfr. A. Patti, “Disciplina concorsuale della locazione finanziaria nella nuova normativa”, in “Fallimento e altre procedure concorsuali”, IPSOA, Milano, 2007, p. 136.
Particolare importanza riveste proprio la possibilità di esperire i rimedi previsti agli art. 1460 e 1461 c.c.101: la dottrina maggioritaria è concorde nell’affermare la possibilità di una autotutela civilistica per due ordini di ragioni.
Innanzi tutto, il curatore nel subentrare nel contratto si sottopone all’obbligo di adempiere alla propria prestazione secondo la disciplina prevista dal codice civile.
In secondo luogo, il combinato disposto dei sovramenzionati articoli prevede la possibilità di rifiutare o sospendere la propria prestazione, al fine di sottrarsi al rischio di inadempimento di controparte.
Orbene, l’adempimento può rifiutarsi o sospendersi allorquando la prestazione non sia stata eseguita che è esattamente il caso previsto dall’art. 72 l.fall., il quale concerne contratti corrispettivi ineseguiti o non compiutamente eseguiti102.
Ciò premesso, così come il curatore subentrato pretende dal concedente l’integrale esecuzione del contratto, per una fondamentale esigenza di tutela dell’equilibrio sinallagmatico del rapporto, è necessario un trattamento reciproco in favore del contraente in bonis.
Se, quindi, il curatore si rende inadempiente all’esecuzione del contratto in cui è regolarmente subentrato, l’amministrazione fallimentare dovrà rispondere delle conseguenze relative all’inadempimento, come ogni altro contraente, secondo i principi ordinari, e quindi potrà essere condannata, a scelta del contraente in bonis, alla manutenzione o alla risoluzione del contratto103.
Tali considerazioni si ritengono corrette e condivisibili: in ragione della indubbia “continuità sistematica tra diritto privato generale e diritto
101 L’art. 1460 rubricato “Eccezione di inadempimento” dispone che “Nei contratti con prestazioni corrispettive, ciascuno dei contraenti può rifiutarsi di adempiere la sua obbligazione, se l'altro non adempie o non offre di adempiere contemporaneamente la propria, salvo che termini diversi per l'adempimento siano stati stabiliti dalle parti o risultino dalla natura del contratto. Tuttavia non può rifiutarsi la esecuzione se, avuto riguardo alle circostanze, il rifiuto è contrario alla buona fede”. L’art. 1461, rubricato “Mutamento nelle condizioni contrattuali dei contraenti” dispone che “Ciascun contraente può sospendere l'esecuzione della prestazione da lui dovuta, se le condizioni patrimoniali dell'altro sono divenute tali da porre in evidente pericolo il conseguimento della controprestazione, salvo che sia prestata idonea garanzia.”
102 Cfr. B. Meoli, S. Sica, “Effetti sui rapporti giuridici preesistenti”, op. cit., p. 447-449;
F. Di Marzio, “Rapporti pendenti in generale”, op. cit., pp. 731-732.
103 Cfr. F. Aprile, “Sub art. 72 quater”, in M. Ferro, “La legge fallimentare: Commentario teorico-pratico”, CEDAM, Padova, 2014, pp. 1005-1006.
concorsuale”104, gli art. 1460 e 1461 perseguono anche nel diritto fallimentare la finalità di evitare che sia alterato l’equilibrio tra le prestazioni, qualora, al subentro nel leasing immobiliare, vi sia l’impossibilità di pagare in prededuzione i canoni scaduti e non corrisposti, così pregiudicando irrimediabilmente la posizione del concedente.
2.6.2) L’inefficacia delle clausole “risolutive” del contratto nel fallimento: l’art. 72, comma VI.
Si è più volte ricordato105 che il leasing immobiliare non ha ancora una compiuta disciplina “civilistica” in quanto, ad oggi, non risultano norme recanti una espressa e approfondita analisi della figura.
Tale circostanza non ha impedito l’affermazione del contratto di leasing come principale forma di finanziamento alle imprese: lo sviluppo costante del leasing ha avuto come naturale conseguenza l’omogeneizzazione delle clausole contrattuali ad esso apposte con le clausole contrattuali “ordinarie”.
Il continuo approccio critico e contributivo della dottrina e della giurisprudenza in tale ambito ha “corretto” le evidenti lacune dei primi accordi di leasing.
Adesso è infatti possibile apporre al contratto clausole di esonero da responsabilità, clausole di riscatto anticipato, clausole risolutive espresse, clausole penali e clausola di cessione del leasing106.
104 Cit. F. di Marzio, op. ult. cit., p. 730.
105 Cfr. Cap. I.
106 Queste clausole sono comunemente definite “clausole vessatorie”: gli art. 1341 e 1342 sanciscono l’inefficacia, salvo espressa accettazione, di tutte quelle clausole che determinano una posizione di significativo svantaggio per uno dei due contraenti: tali clausole sono tassativamente indicate negli articoli sopra richiamati. In tema di leasing, invece, la giurisprudenza prevalente è orientata nel senso di escluderne il carattere vessatorio e, dunque, la specifica approvazione da parte del contraente “vessato”: la Suprema Corte infatti, interrogata sul punto, ha ripetutamente affermato che l’apposizione di tali clausole rientra perfettamente nella disciplina sinallagmatica propria del leasing, regolando (in caso di clausola di esonero da responsabilità) la responsabilità per la perdita del bene; cfr. Cass., 3 Maggio 2002, n. 6369, in “Pluris”; Cass, 11 Febbraio 1997, n. 1266, in “Pluris”.
In particolare, tra le clausole risolutive espresse che più frequentemente si trovano apposte ai contratti di leasing immobiliare107, ve ne sono alcune, apposte dal concedente108, con le quali si prevede, espressamente, che in caso di fallimento dell’utilizzatore il leasing si risolva immediatamente.
Ciò premesso, la disciplina che si applica nel caso cui il curatore subentri in un contratto di leasing immobiliare integrato da una clausola risolutiva espressa, in virtù del richiamo ex art. 72 quater all’art. 72, è quella prevista dal comma VI dell’art. 72.
Il disposto normativo sancisce la totale inefficacia di tali clausole, trattandosi palesemente di pattuizioni finalizzate ad aggirare e neutralizzare la regola prevista al comma 1 dell’art. 72, che dispone l’immediata sospensione del contratto.
L’inefficacia è giustificata dal fatto che con la dichiarazione di fallimento viene sottoposto a esecuzione tutto il patrimonio del fallito, con la conseguenza che accordare validità a questa clausola significherebbe sottrarre un diritto acquisito al fallimento e limitare gli effetti della stessa dichiarazione: il curatore, in ragione della delicatezza e importanza del suo ruolo, deve poter avere un quadro chiaro e completo sullo stato del patrimonio del fallito per ponderare al meglio la propria scelta109.
Fino a qui si è fatto riferimento alla clausola risolutiva espressa opposta al fallimento dal concedente, una volta occorso il fallimento: l’art. 72, comma VI non sancisce l’inefficacia delle clausole azionate precedentemente la dichiarazione di fallimento.
La clausola risolutiva espressa ha piena efficacia al momento in cui venga azionata dal contraente adempiente, tramite azione giudiziale, prima della dichiarazione di fallimento: l’azionamento della clausola risolutiva espressa a
107 Cfr. A. Patti, “Disciplina concorsuale della locazione finanziaria nella nuova normativa”, in “Il Fallimento” IPSOA, Milano, 2007, p. 135-136; A. Bonsignori, G. Nardo, M. Lazzara “ I contratti nelle procedure concorsuali”, Giuffrè, Milano, 1992, p. 89-90.
108 Si intende richiamare la realtà del leasing immobiliare: il fallimento della società di leasing; preso atto che non si esclude la sua fallibilità, è circostanza assai rara, se non impossibile da realizzarsi. Nella quasi totalità dei casi, infatti, vi è una probabilità maggiore che fallisca l’utilizzatore: così si spiega la “generalità” della considerazione.
109 Il fallimento non è, infatti, illecito idoneo a provocare la risoluzione del contratto pendente. Sul punto, cfr. C. Fiengo, op. cit., pp. 359-361; F. Cafaia, op. cit., p. 393-395.
seguito dell’inadempimento di uno dei due contraenti non comporta automaticamente lo scioglimento del contratto poiché è indispensabile verificare giudizialmente l’imputabilità dell’inadempimento in capo alla parte inadempiente.
Sotto altro profilo, è necessario considerare con attenzione un’altra importante clausola: la clausola penale110.
Possono esser richiamate in toto le considerazioni svolte poc’anzi sull’inefficacia della clausola risolutiva espressa disposta per il fallimento: è incompatibile con la finalità della procedura la validità della clausola penale che ricolleghi il pagamento della penale in caso di fallimento poiché il fallimento non è, lo si ripete, un evento idoneo a far sorgere un diritto al risarcimento per il contraente non fallito.
Sussiste, però, un ambito in cui la penale svolge pienamente la sua efficacia: non vi è motivo di negare efficacia alla clausola che preveda il risarcimento del danno per inadempimento e che viene azionata precedentemente alla dichiarazione di fallimento111.
Concludendo, è di indubbia necessità una precisazione terminologica.
L’art. 72, comma VI concerne “clausole negoziali che fanno dipendere la risoluzione del contratto dal fallimento”, tra cui, si è visto, rientra la clausola risolutiva espressa.
La dottrina maggioritaria ritiene l’espressione “risoluzione del contratto” impropria per la finalità cui tende il comma in esame: qui si tratta dello scioglimento dal vincolo contrattuale dal quale potranno emergere soltanto pretese restitutorie e mai pretese risarcitorie112.
La risoluzione del contratto con eventuale risarcimento del danno è, infatti, disciplinata espressamente dal comma V, la cui analisi è offerta nel paragrafo seguente.
110 Tale clausola è prevista all’art. 1382 c.c.; essa, se apposta, obbliga il contraente inadempiente a risarcire il danno derivante dall’impossibilità di adempiere alla propria prestazione o dal ritardo nell’adempimento.
111 U. Macrì, “I rapporti giuridici pendenti”, in (a cura di) E. Forgillo, P. Celentano, “Fallimento e concordati. Le soluzioni giudiziali e concordate della crisi d’impresa dopo la riforma”, UTET, Torino, 2008, p. 507; G. Lo Cascio, “Codice Commentato del Fallimento”, op. cit., p. 802-803.
112 Cfr. E. Gabrielli, “La disciplina generale dei rapporti pendenti”, op. cit., p. 168-169.
2.7) La risoluzione del leasing immobiliare ante fallimento: la portata applicativa dell’art. 72, comma V.
Il fallimento, si è visto, non è in sé e per sé inadempimento caratterizzato da illeicità e colpevolezza: ciò esclude la legittimità dell’azione di risoluzione del contratto per fallimento in ragione dell’assenza dei due presupposti necessari per la stessa.
Una volta intervenuto il fallimento, solo il curatore avrà il potere di interrompere lo stato di sospensione, subentrando o sciogliendosi dal contratto, rendendo inammissibili tutte le domande di risoluzione o risarcimento danni.
Il curatore non potrà però opporsi ad una domanda giudiziale di risoluzione del contratto proposta (e trascritta) dal concedente al giudice ordinario e passata in giudicato prima della dichiarazione di fallimento poiché, in questo caso, il curatore sarà obbligato a restituire l’immobile al concedente e, parallelamente, potrà richiedere la restituzione dei canoni corrisposti dall’utilizzatore sino alla proposizione della domanda giudiziale.
Ciò in conseguenza del disposto dell’art. 72, comma V, il quale sancisce che “L'azione di risoluzione del contratto promossa prima del fallimento nei confronti della parte inadempiente spiega i suoi effetti nei confronti del curatore, fatta salva, nei casi previsti, l'efficacia della trascrizione della domanda; se il contraente intende ottenere con la pronuncia di risoluzione la restituzione di una somma o di un bene, ovvero il risarcimento del danno, deve proporre la domanda secondo le disposizioni di cui al Capo V”.
Sebbene non vi fosse mai stato dubbio sulla concreta opponibilità al fallimento della domanda di risoluzione trascritta antecedentemente la dichiarazione113, con l’attuale formulazione del comma V la dottrina maggioritaria propende per un’interpretazione alquanto favorevole al concedente che si sia avvalso legittimamente delle proprie facoltà.
113 Il comma in commento ha, infatti, recepito integralmente l’orientamento consolidato sia in giurisprudenza che in dottrina; cfr. Cass. 21 Febbraio 1994, n. 1648, in “Pluris”; Cass. 9 Luglio 2003, n. 10780, in “Pluris”; Cass. 3 Febbraio 2006, n. 2439 in “Pluris”; cfr. anche F. Ferrara Jr., A. Borgioli, op. cit., p. 376.
La domanda giudiziale depositata dal concedente per far accertare esclusivamente l’avvenuto inadempimento e, conseguentemente, per far dichiarare la risoluzione del leasing dovrà necessariamente esser trascritta114.
L’efficacia “prenotativa” della trascrizione funziona da vero e proprio discrimine per l’opponibilità della domanda stessa alla dichiarazione di fallimento: gli effetti della sentenza emessa dal giudice ordinario115, se favorevole, retroagiranno immediatamente alla data della trascrizione della domanda di risoluzione per inadempimento, con la conseguenza che il leasing si considererà risolto prima del fallimento ed il concedente potrà validamente insinuarsi al passivo per richiedere la restituzione dell’immobile, come disposto proprio dal comma V, al secondo periodo.
La Cassazione, con la sentenza n. 8687 del 29 aprile 2015 ha preso proprio in considerazione tale circostanza sancendo l’applicazione della disciplina del 1526 c.c. al leasing traslativo risolto ante fallimento116: come si è detto, la distinzione tra leasing traslativo e di godimento assume rilievo esclusivamente nel diritto civile per cui, il leasing immobiliare risolto ante fallimento, non sarà disciplinato dalla legge fallimentare ma bensì dalla previsione dell’art. 1526 c.c., più favorevole al contraente non fallito117.
114 Per il dibattito in merito alla trascrivibilità o meno del leasing immobiliare, si veda Cap. I, par. 1.7.
115 Si faccia ben attenzione: la competenza del giudice ordinario è implicitamente disposta dal comma V per la sola ipotesi di risoluzione del contratto senza richiesta di restituzione del bene. Se, infatti, assieme alla domanda di risoluzione del contratto fossero presentate richieste ulteriori, il giudizio pendente nei confronti del giudice ordinario alla data del fallimento sarebbe improcedibile poiché statuirebbe sul patrimonio del fallito, senza averne la competenza: in tal caso, il giudizio, sospeso ex lege per intervenuto fallimento, dovrà esser riassunto nel giudizio fallimentare, in sede di insinuazione al passivo secondo le regole del concorso.
Nel caso in cui il giudizio sia ancora pendente alla data del fallimento, verrà interrotto ex lege per sopravvenuto fallimento: sarà onere del curatore o del concedente riassumerlo rispettivamente contro la società di leasing o contro la procedura fallimentare nei termini previsti dal c.p.c; nel caso, invece, alla dichiarazione di fallimento la sentenza non sia passata in giudicato il curatore potrà esperire i normali mezzi di impugnazione.
116 L’argomentazione utilizzata è stata poi espressamente richiamata dalla già citata sentenza n. 2325 del 2016.
117 Anche la prevalente giurisprudenza di merito concorda con questa interpretazione; cfr. Trib. Milano, 12.09.2012, in “Pluris”; Trib. Mantova, 26.09.2013, in“Pluris”; Trib. Brescia, 2.8. 2016, in “Pluris”; App. Torino, 29.11.2016, in“Pluris”.
Di conseguenza, il concedente dovrà restituire i canoni già riscossi, potendo chiedere la restituzione dell’immobile e la corresponsione di un equo compenso per l’uso dell’immobile118.
Risulta palese che il legislatore abbia espressamente considerato unicamente le ragioni del concedente in questo particolare caso, sacrificando l’interesse del fallimento alla prosecuzione del leasing tramite il subentro: l’art. 72 quater non può trovare applicazione poiché il rapporto non è pendente in caso di sentenza favorevole ma è, bensì, risolto: infatti, in caso di sentenza sfavorevole, il leasing verrà considerato pendente e, come tale, sottoposto alla disciplina della sospensione.
L’ulteriore, e non meno importante, conseguenza della previsione del comma V è l’improponibilità dell’azione post-fallimentare di risoluzione del contratto per inadempimento.
Tale improcedibilità è giustificata, generalmente, dal fatto che il fallimento non è causa di inadempimento dell’utilizzatore: non vi sono, quindi, i presupposti per agire con l’azione di risoluzione del contratto per inadempimento.
La dottrina maggioritaria ha sostenuto, in modo più convincente, che il divieto di proporre l’azione di risoluzione è posto al fine di assicurare al solo curatore la facoltà di scegliere tra esecuzione e scioglimento dal contratto, dopo aver attentamente valutato la convenienza di ogni singola scelta in merito119.
Non sono, infine, ammissibili domande rivolte all’adempimento della prestazione in quanto non è concepibile la sostituzione dell’autorità giudiziaria agli organi della procedura fallimentare120.
118 Cfr. G. Lo Cascio, op. ult. cit., pp. 808-809 e p. 886; E. Gabrielli, op.ult. cit., p. 164- 165; A. Giudici“ Sub Art. 72”, in P. Pajardi, M. Bocchiola, A. Paluchowski, “Codice Commentato del Fallimento”, Giuffrè, Milano, 2013, pp. 892-893; Cfr. anche la recente Cass. 9 Febbraio 2016, n. 2358.
119 Sul punto si veda B. Meoli, S. Sica, op. cit., p. 436; D. Vattermoli, “Sub art. 72, l. fall.”, in (a cura di) A. Nigro, M. Sandulli, V. Santoro, “La legge fallimentare dopo la riforma”, Giappichelli, Torino, 2010, p. 999; G. Tarzia, “Gli effetti del fallimento sui rapporti pendenti dopo la riforma ed il decreto correttivo”, in “Fall.”, 2007, p 1387.
120 C. Fiengo, op. cit., p. 358.
2.8) Considerazioni conclusive sugli effetti del subentro nel leasing immobiliare.
Dall’analisi offerta è possibile ricavare alcune conclusioni sulla scelta del subentro nel leasing immobiliare.
Innanzi tutto, il curatore fallimentare dovrà valutare non pochi profili al fine di prendere la decisione più appropriata all’interesse dei creditori: dovrà verificare se le parti abbiano effettivamente interesse alla prosecuzione del rapporto, se dal rapporto possano ottenersi risultati soddisfacenti per la massa dei debiti esistenti alla data del fallimento, il prezzo di riscatto finale, i canoni versati sino a quel momento e se, in concreto, l’esecuzione del contratto sia economicamente sostenibile da parte dell’amministrazione concorsuale.
Dovrà, inoltre, munirsi dell’autorizzazione del comitato dei creditori, fornendo le comunicazioni ad esso necessario, pena la responsabilità per danni patiti dal concedente e dai creditori in esecuzione del contratto per il subentro non autorizzato.
Il concedente, invece, si trova in una situazione di dipendenza dalla curatela, potendo soltanto chiedere la messa in mora o, prima del fallimento, la domanda di risoluzione per inadempimento.
Il quadro delineato è, attualmente, piuttosto ordinato e completo, pur non essendoci una disciplina ad hoc come per lo scioglimento: la regolamentazione del subentro nel leasing immobiliare è, sostanzialmente, quella prevista per il subentro nei contratti pendenti in generale.
Nella maggior parte dei casi, però, il curatore che si trovi a dover decidere tra il subentro e lo scioglimento, è sempre più orientato verso lo scioglimento in quanto, come si vedrà nel successivo capitolo, esso offre maggiori garanzie per il soddisfacimento dei creditori.
D’altro canto è raro trovarsi in situazioni reali in cui l’utilizzatore sia dichiarato fallito quando vi sia un numero esiguo di canoni rimanenti prima della scadenza del contratto di leasing e, quindi, della possibilità di esercitare l’opzione
d’acquisto, dati gli elevati importi finanziati, i canoni periodici elevati e le ravvicinate scadenze per il pagamento degli stessi.
CAPITOLO III
LA DISCIPLINA DELL’ART. 72 QUATER APPLICATA AL LEASING IMMOBILIARE: LO SCIOGLIMENTO DEL CONTRATTO.
Come è stato esposto in precedenza, il contratto di leasing immobiliare pendente alla data del fallimento entra, in virtù della dichiarazione di fallimento, in uno stato di quiescenza: le sue sorti sono affidate alla volontà del curatore fallimentare, il quale potrà scegliere se subentrare o sciogliersi.
Gli effetti del subentro nel leasing immobiliare sono stati già trattati nel presente lavoro: per tutto ciò che concerne il loro studio, si rimanda interamente al capitolo precedente.
Per quanto attiene, invece, allo scioglimento dal leasing, la disciplina applicabile è interamente regolata dall’art. 72 quater, la cui analisi è offerta nei paragrafi che seguono: si ricordi che, in ragione del rapporto di genere a specie esistente tra l’art. 72 e l’art. 72 quater, quest’ultima disciplina prevale interamente su quella dettata dall’art. 72 per lo scioglimento dai rapporti pendenti.
A tal proposito, si faccia attenzione ad uno specifico profilo: la prevalenza riguarda esclusivamente la disciplina dello scioglimento, per cui le considerazioni svolte per la messa in mora e per l’autorizzazione del comitato dei creditori sono in parte riproponibili.
L’istituto della messa in mora del curatore, infatti, trova qui piena applicazione in quanto il concedente, al fine di porre fine allo stato di sospensione, potrà utilizzare questo strumento con l’obiettivo di ottenere quanto prima una risposta circa la sua già compromessa posizione.
Non è possibile, invece, effettuare le stesse considerazioni per quanto concerne l’autorizzazione del comitato dei creditori: per quanto talune tesi dottrinali possano apparire condivisibili e corrette, il presente lavoro aderisce alla
tesi secondo cui la non obbligatorietà dell’autorizzazione deriva direttamente dalla lettera del legislatore121.
3.1) Effetti della dichiarazione di scioglimento: considerazioni introduttive.
Lo scioglimento dal contratto di leasing può avvenire tramite dichiarazione espressa da parte del curatore oppure con un qualsiasi comportamento incompatibile con la volontà di subentrare nel leasing stesso: una volta presa la propria decisione, essa è irrevocabile, impedendo al curatore qualsiasi modifica successiva in ordine alla propria determinazione.
Lo scioglimento del rapporto si pone come limite generale alla sostituzione del curatore nella posizione dell’imprenditore fallito: la particolarità di questa regolamentazione risiede proprio nella facoltà attribuita al curatore di sciogliersi dal contratto qualora non intenda assumere gli obblighi connessi all’esecuzione dello stesso122.
La nuova disciplina ha operato scelte finalizzate a risolvere i problemi degli effetti dello scioglimento con rimedi omogenei alla funzione di finanziamento del contratto, piuttosto che alla funzione traslativa del leasing, non avendo tenuto di conto la distinzione operata a livello giurisprudenziale123.
121 Vedi supra Cap. II, par. 2.4.
122 Cfr. B. Ferri, C. Angelici, “Manuale di diritto commerciale”, UTET, Torino, 1993, p.
583.
123 Cfr. Cap. II, par. 2.3. L’interpretazione binaria proposta dalla Cassazione tramite il
“sestetto” del 1989 determinò notevoli differenze in merito ai regimi applicabili al leasing di godimento e traslativo. Al leasing traslativo si considerava applicabile il combinato disposto degli art. 72 e 73 l.fall, per cui il curatore poteva subentrare nel leasing corrispondendo in prededuzione i canoni scaduti oppure sciogliersi, richiedendo la restituzione dei canoni pagati dall’utilizzatore previa restituzione del bene e corresponsione dell’equo compenso per l’utilizzo della cosa, ferma l’esclusione del risarcimento del danno; sul punto, Trib. Monza, 14 Ottobre 2003, in “Pluris”; Trib. Milano, 3 Febbraio 2003, in “Pluris”. Al leasing di godimento, invece, si applicava il disposto dell’art. 80, per cui il contratto proseguiva automaticamente salvo recesso del curatore e il concedente non era obbligato a restituire i canoni versati. Un’attenta dottrina sottolinea l’esistenza, già all’epoca, di orientamenti che ritenevano che lo scioglimento comportasse obblighi restitutori di capitale al netto delle somme ricavate dalla collocazione del bene locato: l’attuale disciplina della locazione finanziaria sarebbe stata, pertanto, ispirata anche da questa interpretazione ante litteram. Cfr. B. Meoli, S. Sica, “Effetti sui rapporti giuridici preesistenti”, op. cit., pp. 499-500, che richiama le sentenze del Trib. Monza, 19.9.2002 e Trib. Monza, 7.12.2004, in “Pluris”.
La Suprema Corte, a tal proposito, ha confermato che lo scioglimento dal rapporto contrattuale oltre a travolgere l’intero rapporto, esulando dunque dal semplice ambito fallimentare, ha efficacia ex tunc: infatti “il credito restitutorio per le prestazioni effettuate dal compratore fallito (nella specie, i canoni pagati) non nasce dalla dichiarazione del curatore nè dalla sentenza di fallimento, ma trova il suo fatto genetico nel venir meno della giustificazione contrattuale dell'attribuzione patrimoniale stessa fin dal momento della sua esecuzione; collocandosi tale momento anteriormente alla dichiarazione di fallimento, il suddetto credito diviene compensabile con il controcredito del concedente, sorto anch'esso anteriormente a detta dichiarazione, e relativo al risarcimento dei danni per l'inadempimento del fallito, anche quando gli effetti dello scioglimento siano regolati dall'art. 1526 cod. civ.”124.
Prima di procedere con un’esaustiva trattazione dei profili maggiormente rilevanti dello scioglimento del leasing immobiliare, si ritiene utile una breve introduzione degli stessi.
Innanzi tutto, si ricordi che il contratto di leasing immobiliare per esser soggetto alla regolamentazione fallimentare deve essere validamente perfezionato, opponibile al fallimento e bilateralmente ineseguito125.
Nella disciplina prevista dal 72 quater è possibile individuare, ai commi I, II e III, una peculiare regolamentazione degli effetti dello scioglimento del leasing successivamente al fallimento dell’utilizzatore; al comma IV si trovano, invece, disciplinati gli effetti che il fallimento del concedente esercita sul leasing126.
124 Cit. Cass. 13 Maggio 2009, n. 11145, in “Pluris”.
125 Vedi Cap. II, par. 2.3.1. per una trattazione più esaustiva.
126 Quest’ultimo articolo prende in considerazione proprio l’ipotesi, scarsamente verificabile ma indubbiamente interessante dal punto di vista giuridico, del fallimento della società concedente, stabilendo l’automatica prosecuzione del contratto, con ciò opponendosi decisamente all’orientamento proposto dalla Cassazione che, con la sentenza del 9 Aprile 2003, n. 5552, autorizzava il curatore a scegliere se subentrare o sciogliersi dal contratto di leasing. La finalità sottesa a questa disposizione è indubbiamente tutelare la posizione dell’utilizzatore, consentendogli di utilizzare l’immobile e, eventualmente, di acquistarlo alla scadenza del contratto, ma anche tutelare gli interessi della società di leasing per evitare che lo scioglimento del contratto possa pregiudicare la cartolarizzazione dei crediti societari. Senza pretesa di completezza, si veda B. Inzitari, “Sub art. 72 quater”, op. cit., p. 1189; B. Meoli, S. Sica, “Effetti sui rapporti giuridici preesistenti”, op. cit., p. 508; L. Capaldo, “Sub art. 72 quater”, in A. Nigro,
M. Sandulli, V. Santoro, “La legge fallimentare dopo la riforma”, Giappichelli, Torino, 2010, p. 1044; G. Lo Cascio, “Codice commentato del fallimento”, op. cit., pp. 898-899.
Il I comma, come è stato più volte affermato, richiamando l’art. 72 stabilisce la sospensione automatica del leasing immobiliare pendente alla dichiarazione di fallimento e la conseguente applicazione delle disposizioni ivi previste (ove compatibili) per il subentro nel leasing, rimandando, implicitamente, al comma successivo la regolamentazione dello scioglimento.127
Orbene, nel II comma sono enunciati ben tre diversi sistemi di regole, delineanti complessivamente una disciplina degli effetti dello scioglimento piuttosto soddisfacente.
Innanzi tutto, viene attribuito al concedente il diritto alla restituzione dell’immobile e al soddisfacimento del proprio credito residuo in linea capitale tramite vendita o diversa collocazione dell’immobile (primo sistema di regole).
Con il secondo sistema viene sancito l’obbligo per il concedente che abbia ricavato un surplus rispetto al proprio credito residuo di restituire tale differenza al fallimento: se, quindi, da un lato il concedente ha il pieno diritto di soddisfare il proprio credito come ritiene più opportuno, dall’altro non può, coerentemente con le finalità del fallimento, arricchirsi ingiustificatamente128.
Il terzo sistema, infine, sancisce la non revocabilità dei pagamenti dei canoni effettuati prima della dichiarazione di fallimento in quanto considerati pagamenti di beni effettuati nell’esercizio di attività d’impresa.
Il comma III, ponendosi in linea con quanto finora esposto, prescrive il quarto sistema di regole applicabile in circostanza di scioglimento del leasing, autorizzando il concedente che abbia ottenuto una somma minore rispetto al credito residuo in linea capitale ad insinuarsi al passivo per l’ammontare del credito vantato alla data del fallimento.
127 Cfr. Cap. II; si tenga bene a mente il rapporto di genere a specie in vigore tra il 72 e il 72 quater: quest’ultimo articolo, prevedendo una espressa regolamentazione degli effetti dello scioglimento del leasing rispetto alla disciplina “generale”, disciplina integralmente le conseguenze di questa scelta del curatore.
128 Si ricordi la peculiare trattazione del leasing nel fallimento: sono scomparse tutte le differenze tra i vari leasing in favore di una unitaria regolamentazione che, sebbene di primo acchito potrebbe sembrare incoerente con le due forme di leasing standardizzate, aderisce perfettamente alla loro complessa natura, permettendo una soddisfacente disciplina fallimentare; vedi supra Cap. II, par. 2.3.
Si nota, quindi, che è con la regolamentazione degli effetti dello scioglimento del contratto che l’art. 72 quater elabora il suo precetto più innovativo.
Come osservato da autorevole dottrina “[..] è lo scioglimento del contratto che impone l’adozione di principi liquidativi del rapporto. Questo comporta la necessità di valutare la sorte non solo del bene..ma anche dei corrispettivi pagati dall’utilizzatore…in quanto egli ha pagato anche una parte del bene [..]”129: non è, quindi, sufficiente la sola restituzione dell’immobile ma sarà necessario anche predisporre una regolamentazione sufficientemente organica da permettere al concedente di tornare in possesso di tutte le somme da lui messe a disposizione; d’altro canto, non esistendo soltanto il credito del concedente, è indispensabile anche, e soprattutto, salvaguardare l’intero patrimonio fallimentare per non causare pregiudizio a tutti gli altri creditori.
A tal proposito, si ribadisce il fatto che, come ricordato all’art. 72, lo scioglimento non è violazione del vincolo contrattuale sanzionabile in quanto esercizio di una facoltà attribuita direttamente dal legislatore: da ciò deriva l’impossibilità per il concedente di richiedere il risarcimento dei danni per lo scioglimento.
Diversamente ragionando, il riconoscimento di pretese risarcitorie in favore del concedente determinerebbe il paradossale effetto di ampliare illimitatamente il passivo fallimentare, anche in relazione alla difficoltà effettiva nel calcolo dell’importo da risarcire.
Tale principio, applicabile a tutti i contratti pendenti a prestazioni corrispettive è appunto sancito dall’art. 72, IV comma il quale dispone letteralmente che il contraente ha diritto a far valere nel passivo il proprio credito “senza che gli sia dovuto risarcimento del danno”130.
La dottrina maggioritaria concorda, altresì, sull’assimilazione di questa situazione all’impossibilità sopravvenuta della prestazione per causa non imputabile al debitore, in presenza della quale quest’ultimo non è tenuto al
129 B. Inzitari, op. ult. cit., p. 1194.
130 A tal proposito si ricordi la previsione generale contenuta nel comma I del suddetto articolo: il disposto previsto nel IV comma trova applicazione in virtù del rapporto genere a specie intercorrente tra l’art. 72 e il 72 quater.
risarcimento dei danni, ex art. 1218 c.c.: tale interpretazione appare pienamente condivisibile, considerando le finalità del fallimento ed il particolare rapporto che la nuova disciplina instaura tra la procedura concorsuale ed i rapporti pendenti131.
Più incisivamente, viene osservato che “[..] la decisione del curatore di sciogliersi deve essere ricondotta al riconoscimento di un diritto potestativo di recesso che trova fondamento in una giusta causa di immediata evidenza consistente nella sopravvenuta procedura fallimentare che modifica radicalmente l’interesse della parte fallita alle sorti del contratto in corso e che, anzi, sostituisce all’interesse della parte originaria, quelli dei creditori fallimentari [..]”.132
Concludendo, si nota che l’art. 72 quater, pur ponendosi in “inconciliabile contraddizione con la stessa collocazione sistematica, nell’ambito dei rapporti giuridici pendenti” tanto da “negarne addirittura la vigenza”,133 soddisfa egregiamente queste pretese, permettendo al concedente di realizzare completamente, al di fuori della procedura fallimentare, il proprio credito residuo in linea capitale, salvo gli interessi su di esso maturati.
3.2) Effetti dello scioglimento del contratto: il diritto alla restituzione del bene e la sua applicazione pratica.
Dall’applicazione del primo sistema di regole sorge in capo al concedente il diritto alla restituzione dell’immobile e in capo al curatore il corrispettivo obbligo.
131 Cfr. G. Lo Cascio, “Codice commentato del fallimento”, op. cit., p. 806; B. Meoli, S. Sica, “Effetti sui rapporti giuridici preesistenti”, op. cit., p. 454;A. Giudici, op. cit., p. 935; L. Quagliotti, “La disciplina unitaria del contratto di leasing nel fallimento”, in “Fall.”, 2006, p. 1243; C. Fiengo, op. cit., p. 354.
132 Cit. B. Inzitari, “Sospensione del contratto per sopravvenuto fallimento ed incerti poteri autorizzativi del comitato dei creditori”, op. cit., p. 10.
133 Cfr. A. Patti, “Disciplina concorsuale della locazione finanziaria nella nuova normativa”, in “Fall.”, 2007, p. 135; l’Autore sottolinea il fatto che la confusa disciplina civilista del leasing influenza irrimediabilmente anche la disciplina concorsuale, ponendo numerosi dubbi agli interpreti.
L’obbligo di restituire l’immobile, in virtù della formulazione del 72 quater, discende direttamente dalla scelta del curatore di sciogliersi dal leasing immobiliare e non si configura più come una prestazione reciproca “in cui il concedente è il creditore, non essendo quest’ultimo più tenuto alla restituzione dei canoni percepiti prima della dichiarazione di fallimento”134: giustamente, infatti, essendo l’immobile di proprietà del concedente, esso dovrà essere restituito senza alcuna controprestazione.135
Considerato che il leasing immobiliare, come sopra si è precisato, è sottoposto alla trascrizione nell’apposito registro immobiliare, il concedente potrà validamente richiedere la restituzione dell’immobile semplicemente allegando al ricorso l’avvenuta trascrizione del leasing stesso136.
A proposito del diritto alla restituzione, sono due gli articoli rilevanti per l’azionabilità di tale diritto: l’art. 93 e l’art. 103.
Rispetto alla disciplina previgente, infatti, è ora possibile richiedere anche la restituzione di un immobile, non essendoci più la specifica preclusione contenuta nell’art. 103 stesso, con la quale si limitava la possibilità di ricorrere ex art. 93 alle sole ipotesi di richieste di restituzione per beni mobili137.
134 Cit. L. Quagliotti, “La disciplina unitaria del contratto di leasing nel fallimento”, in
“Fallimento e altre procedure concorsuali”, IPSOA, Milano, 2006, pp. 1243ss.
135 Tale diritto di proprietà è ovviamente sottratto alla disciplina concorsuale; cfr. P. G. Demarchi,” Fallimento e altre procedure concorsuali”, Giuffrè, Milano, 2009, p. 521; A. Dimundo, op. ult.cit, p. 252; D. Vattermoli, “Gli effetti del fallimento sui rapporti giuridici preesistenti”, op. cit., p. 190.
136 Cfr. M. Albanese, A. Zeroli, op. cit., p. 102; in virtù della trascrizione, si elimina l’unico requisito del 103 l. fall. per il cui precetto ai procedimenti di restituzione o rivendica si debba applicare il regime probatorio del 621 c.p.c., “Limiti alla prova testimoniale”. La data certa assume imprescindibile rilievo per i leasing di beni mobili in quanto, non essendovi l’obbligo della registrazione, risulta più arduo dimostrare l’effettiva sussistenza, al momento della dichiarazione di fallimento, sia del leasing sia della proprietà del bene stesso in capo al concedente: adesiva, sul punto, la Cass. 8 Novembre 2001, n. 13813, la quale precisa che “nel contratto di leasing, il concedente, che chiede la restituzione dei beni, a seguito del fallimento dell'utilizzatore, ha l'onere di provare con atti aventi data certa il proprio diritto di proprietà sugli stessi ed il contratto, con il quale li ha concessi all'utilizzatore”. Il requisito della data certa è sempre valutato con estrema rigidità, tanto che in alcune pronunce sono state rigettate le richieste di restituzione per insufficienza di “fatti” idonei a dimostrare l’anteriorità della data certa; cfr. Cass., 11 Novembre 1992, n. 12109, in “Pluris”; Cass., 27 Gennaio 1993, n. 1016, in “Pluris”.
137 L’art. 93, rubricato “Domanda di ammissione al passivo”, concerne le modalità con cui ricorrere per la restituzione “fisica” di beni di proprietà del ricorrente; l’art. 103, rubricato “Procedimenti relativi a domande di rivendica e restituzione” concerne gli aspetti “operativi” della domanda stessa.
Innanzitutto, la domanda di restituzione deve esser presentata tramite ricorso, che può esser firmato anche dal concedente stesso, da inviare all’indirizzo
p.e.c. della procedura fallimentare o da depositare presso la cancelleria del tribunale fallimentare almeno 30 giorni prima dell’udienza dello stato passivo: all’interno del ricorso il concedente dovrà indicare tutte le proprie generalità e eleggere domicilio nel circondario del tribunale fallimentare.
Da quanto previsto nel disposto dell’art. 103 emerge che il concedente, nel redigere il ricorso, dovrà indicare sia l’immobile di cui chiede la restituzione sia allegare la prova scritta che il leasing è stato stipulato in data anteriore al fallimento e che è stato trascritto nel registro immobiliare: in assenza di tali precise indicazioni, il ricorso viene dichiarato inammissibile.
In tale caso, il concedente potrà validamente rinnovare il ricorso con l’integrazione di tutti i dati richiesti
Nel particolare caso in cui l’immobile non sia stato acquisito nel patrimonio fallimentare138, il concedente potrà presentare (o integrare) la propria richiesta di ammissione al passivo per l’intero valore del bene alla data del fallimento.
Salvo questo caso specifico, se vi sono tutti i presupposti per l’accoglimento della domanda di restituzione del bene, il curatore non può in alcun modo impedire la restituzione dell’immobile, ormai indebitamente detenuto a seguito dello scioglimento.
Come si può vedere già da questo “primo” sistema di regole, l’intera disciplina fallimentare tende a garantire maggiormente la posizione del concedente leasing in caso di scioglimento del contratto: basti pensare al fatto che, in caso di distruzione dell’immobile, il concedente ha diritto alla corresponsione dell’intero valore dello stesso.
138 Questo particolare caso può verificarsi, in concreto, solo con la distruzione dell’immobile, non essendo plausibile un trasferimento a terzi valido ed efficace. La possibilità di integrare la domanda di ammissione al passivo è prevista dall’art. 103, comma II, in ragione del richiamo all’art. 95 l. fall. ; cfr. A. Amati, F. Amati, M. A. Marchionni, A. Fogli, A. Monteleone,
M. Tosi, “Il leasing immobiliare: aspetti civilistici, fiscali e contabili”, IPSOA, Milano, 2012, p. 218.
3.3) Effetti dello scioglimento: diritto del curatore alla differenza tra la somma ricavata dalla vendita ed il credito residuo in linea capitale.
Il contenuto del primo sistema di regole si lega inscindibilmente a quello del secondo, in quanto prevede che il concedente cui è stato restituito l’immobile sia obbligato alla vendita o altra collocazione dell’immobile sul mercato e debba versare alla curatela l’eventuale differenza tra quanto ricavato dalla vendita dell’immobile rispetto al suo credito residuo in linea capitale, in caso ricavi una somma maggiore rispetto al credito stesso.
L’art. 72 quater stesso sancisce tale obbligo: correttamente, infatti, il concedente potrà soddisfare il proprio credito residuo ma non arrecare pregiudizio alle posizioni degli altri creditori.
L’analisi di questo secondo sistema ha ad oggetto numerosi profili, a partire dal concetto di credito residuo in linea capitale e valore di mercato sino a comprendere l’esatto significato di vendita e “altra collocazione del bene”.
3.3.1) Effetti dello scioglimento: il concetto di credito residuo in linea capitale e il “valore di mercato”.
Dall’applicazione del secondo sistema di regole, si è detto, sorge in capo al concedente l’obbligo di versare al curatore l’eventuale differenza tra la maggior somma ricavata dalla vendita e il credito residuo in linea capitale del concedente, supponendo che dalla vendita il concedente abbia ottenuto una somma maggiore del predetto credito.
Per l’applicazione di tali disposizioni è necessario, innanzitutto, individuare i criteri di determinazione del credito residuo in linea capitale così da poter calcolare la differenza in più od in meno rispetto al valore di mercato cui viene venduto il bene.
Secondo autorevole dottrina, il credito residuo in linea capitale è l’importo risultante dalla differenza tra l’intero capitale investito dalla società di leasing per l’acquisto dell’immobile, a cui vanno aggiunti i costi sostenuti per permetterne il godimento all’utilizzatore, e l’importo complessivo dei canoni corrisposti dal fallito prima del fallimento, scorporati gli interessi dei singoli canoni periodici: il corrispettivo previsto per l’esercizio del diritto d’opzione non rientra in questa nozione “solo per la quota parte avente la funzione di copertura delle spese di trasferimento della proprietà del bene”139.
Il concedente, infatti, può soddisfare solo il credito residuo in linea capitale, calcolato come sopra: gli interessi non rientrano in questa determinazione e, conseguentemente, dovranno esser soggetti alla disciplina concorsuale140.
Gli interessi maturati sui canoni scaduti prima del fallimento (calcolati sulla quota capitale) potranno esser percepiti previa insinuazione al passivo; diversamente, non sarà possibile insinuarsi al passivo anche per gli interessi maturati successivamente alla dichiarazione di fallimento: gli interessi sui canoni non scaduti, infatti, non esistono poiché si tratta di obbligazioni che non essendo sorte per scioglimento del contratto non generano interessi.141.
139 Cit. L. Quagliotti, op. cit., p. 1245: l’Autore si sofferma sul punto, affermando che “l'eventuale presenza di una residua quota capitale nel corrispettivo previsto per l'esercizio dell'opzione risulterà dal raffronto tra la sommatoria di tutte le quote capitale incorporate nei singoli canoni e il costo sostenuto dalla società di leasing per l'acquisto del bene oggetto del contratto e l'immissione dell'utilizzatore nel possesso del medesimo. La quota parte del corrispettivo dell'opzione relativa alle spese di trasferimento dovrebbe rientrare comunque nel conteggio necessario alla definizione dei rapporti credito-debito quale spesa di riallocazione da dedurre dal relativo ricavo”; cfr. anche A. Patti, op. ult. cit., p. 138; F. Aprile, op. ult. cit., p. 1005. 140 In questa circostanza appare chiara la natura ibrida di regolamentazione concorsuale e
extraconcorsuale riservata al leasing immobiliare pendente.
141 Nel caso in cui fossero già stati percepiti, dovranno esser restituiti. Cfr. G. Terranova, op. cit., p. 293; B. Inzitari, “Sub art. 72 quater”, op. cit., p. 1197; A. Patti, “Disciplina concorsuale della locazione finanziaria nella nuova normativa”, op. cit., p. 138; L Quagliotti, “Scioglimento endofallimentare del contratto di leasing: credito regolabile fuori concorso e crediti insinuabili”, in “Fall.”, 2010, p. 817; V. Zanichelli, “Collocazione del bene dato in leasing, retrocesso dal curatore e insinuazione al passivo”, in “Fall.”, 2012, p. 69; contra, M. R. La Torre, “Il leasing finanziario nel fallimento ed il nuovo art. 72 quater l. fall.”, in “Fall.”, 2008,
p. 293.; l’Autore ritiene possibile per il concedente che non ha soddisfatto il proprio credito residuo in linea capitale con la vendita del bene insinuarsi al passivo per la risultante del residuo credito e gli interessi inseriti nei canoni periodici insoluti e da scadere.
Così prevedendo, il legislatore riconosce e tutela il diritto al concedente di recuperare il capitale impiegato per l’acquisto dell’immobile poi concesso in leasing, limitando la tutela extraconcorsuale a detto importo142.
In giurisprudenza si è contrariamente affermato che il credito residuo in linea capitale è costituito dai canoni scaduti e non pagati dall’utilizzatore sino al fallimento “nonché dall’attualizzazione del tasso leasing indicato nel contratto dei canoni residui successivi e dall’opzione finale di acquisto, nella quale è contenuta una parte del capitale impiegato per l’acquisto del bene”143: tesi qui non condivisibile per le ragioni fin qui esposte144.
Ciò premesso, è ora necessario chiarire il motivo per cui sia la vendita sia l’altra collocazione del bene debba avvenire a “valori di mercato”145.
Questa perifrasi statuisce l’obbligo per il concedente di non stipulare contratti mirati a ingannare il curatore sull’effettiva somma realizzata con la vendita e nemmeno di “svendere“ l’immobile senza preoccuparsi del ricavato: dovrà, infatti, necessariamente rispettare la valutazione di mercato del bene, effettuata a prescindere dall’uso che ne è stato fatto146.
La finalità di questa prescrizione è, effettivamente, impedire al concedente una disposizione priva della diligenza richiesta per la vendita immobiliare o,
142 Nel senso che la vendita dell’immobile consente al concedente la soddisfazione del proprio credito in via extraconcorsuale al fine di recuperare per l’intero il capitale utilizzato per l’acquisto dell’immobile, che, si ricordi, è stato espressamente richiesto dall’utilizzatore; tesi sostenuta anche da B. Inzitari, “Sub Art. 72 quater”, in (diretto da) A. Jorio, “Il nuovo diritto fallimentare: Tomo I”, Zanichelli, Bologna, 2007, p. 1192
143 Cit., Trib. Pordenone, 4.11.2009, in “Pluris”.
144 Vedi nota n. 139.
145 Disposizione introdotta con il Dlgs. 169/2007, il cosiddetto “Decreto correttivo”: tale intervento normativo è stato accolto con il favore degli interpreti poiché, come adesso verrà evidenziato, dispone norme molto utili per la maggiore armonizzazione del sistema concorsuale soprattutto in tema di rapporti pendenti. Con tale prescrizione, infatti, si è risolto un gravoso problema posto dalla riforma del 2006 allorché non vi erano indicazioni per quanto concernesse la somma ricavabile dalla vendita dell’immobile: in assenza di specifiche disposizioni, infatti, il concedente, sul presupposto dell’esistenza del diritto di proprietà dell’immobile, poteva liberamente disporne, anche “svendendo” il bene o trasferendolo a prezzo inferiore rispetto a quello effettivo, nella speranza di soddisfare quanto prima il proprio credito. Il valore di realizzo era, quindi, permeato da una profonda incertezza, la quale si rifletteva, ovviamente, nella determinazione dell’eventuale credito residuo del concedente verso il curatore: tanto meno veniva realizzato dalla vendita tanto più il concedente poteva insinuarsi al passivo, con evidente pregiudizio ingiustificato della posizione degli altri creditori; sul punto, Cfr. G. Lo Cascio, op. ult. cit., p. 892.
146 Cfr. A. Giudici, op. cit., p. 937.
comunque sia, non finalizzata al completo soddisfacimento del credito residuo in linea capitale ma ad una rapida cessione a terzi.
La valutazione dovrà esser determinata in base a parametri oggettivi, ricavabili anche da consulenza tecnica specializzata oppure da pubblicazioni specializzate147; il concedente, dunque, dovrà tempestivamente e adeguatamente informare il curatore di ogni iniziativa assunta per la per la vendita o la collocazione, con tutti i documenti necessari a dimostrare la bontà della propria condotta: le attività riallocative, qualsiasi esse siano, dovranno esser svolte nel miglior modo possibile per la procedura e non a rischio della stessa.
Proprio per evitare di mettere troppo in pericolo la riuscita dell’intera procedura fallimentare, la dottrina maggioritaria sostiene la possibilità di un maggior controllo sulle operazioni di vendita o altra collocazione da parte del curatore stesso, realizzabile anche con una richiesta di allegazione della stima giurata del valore dell’immobile148: non ritiene sufficiente, infatti, una semplice corrispondenza tra il concedente ed il curatore ma postula la necessità di una sorveglianza “attiva” del curatore stesso, per evitare conseguenze dannose per la procedura fallimentare.
Nel caso in cui il concedente venda o collochi nuovamente il bene a valori di mercato e lamenti un ricavo minore rispetto al proprio credito residuo in linea capitale, si è da sempre avanzata l’ipotesi che tale vendita, o nuova collocazione, possa essere verificata successivamente dagli organi fallimentari, come condizione affinché il concedente possa insinuarsi al passivo: in questo modo, se vi fosse disaccordo sull’adeguatezza della somma ricavata, il curatore ben potrebbe richiedere al giudice delegato l’intervento di un consulente tecnico che
147 Il valore di mercato è, sostanzialmente, il prezzo a cui l’immobile può esser venduto al momento della valutazione, in questo caso al momento della dichiarazione di fallimento. Il valore di mercato di un immobile in leasing viene calcolato, in genere, secondo i principi contabili internazionali (I.A.S.), e precisamente secondo il principio n. 17: in pratica, ciò che è necessario considerare per la valutazione del leasing sono i canoni periodici e il prezzo di riscatto previsto alla stipula del leasing stesso. Il suddetto principio I.A.S. è liberamente consultabile sul sito http://www.revisorionline.it/IAS_IFRS/ias17.htm
148 Cfr. in particolare F. Aprile, ”Sub art 72 quater”, in M. Ferro, “La legge fallimentare. Decreto legislativo 12 Settembre 2007, n. 169. Disposizioni integrative e correttive”, CEDAM, Padova, 2008, p. 151; A. Maffei Alberti, op. cit., p. 395; A. Giudici, op. cit., p. 937; B. Meoli, S. Sica, “Effetti sui rapporti giuridici preesistenti”, op. cit., pp. 505 ss.
accerti l’equivalenza della somma ottenuta alla somma ottenibile dalla disposizione dell’immobile ai predetti valori149.
Anche la giurisprudenza di merito, pronunciandosi in tale ambito, sembra concordare con la necessità di attribuire al curatore maggiori poteri, in quanto egli dovrebbe “[…] interessarsi e collaborare…non potendo limitarsi ad effettuare ex post solleciti al concedente per aver notizie sulla già avvenuta ricollocazione del bene […]”150.
Se, però, da un lato la dottrina è concorde nell’auspicare un maggior coinvolgimento ex ante del curatore nell’individuazione del corretto valore da attribuire all’immobile, dall’altro offre soluzioni sostanzialmente differenti nel caso in cui il concedente abbia disposto dell’immobile per un valore inferiore a quello di mercato.
Una minoritaria parte della dottrina ritiene che il concedente sia tenuto a restituire al fallimento l’intero ricavato della vendita dell’immobile senza poter soddisfare il proprio credito in linea capitale151.
Un’altra parte della dottrina, cui qui si aderisce, ritiene che il concedente che non abbia disposto dell’immobile nei valori di mercato non debba restituire tutto il ricavato ma sia tenuto a risarcire i danni cagionati alla massa dei creditori poiché, agendo con la dovuta diligenza, avrebbe potuto facilmente ricavare una somma maggiore, salvo prova contraria.152
Giustamente viene osservato che il concedente è responsabile per l’inadempimento dell’obbligo sancito dal 72 quater, comma II: per evitare tale responsabilità dovrà, infatti, dare congrua dimostrazione sia di aver tentato con la
149 Cfr. A. Jorio, “Sub Art. 72 quater”, in (diretto da) G. Cottino, “Trattato di diritto commerciale: Vol. XI, Tomo II”, CEDAM, Padova, 2008, p. 484; F. Dimundo, “Sub Art. 72”, in (a cura di) G. Lo Cascio, “Codice commentato del fallimento”, IPSOA, Milano, 2008, pp. 650-653; tali considerazioni verranno riprese successivamente, allorquando si tratterà dell’istanza di ammissione al passivo e dell’accertamento del credito.
150 Cfr. Trib. Milano, 23.1.2013, in “Pluris”.
151 Cfr. G. Campobasso, “Diritto Commerciale: Vol. III”, UTET, Torino, 2007, p. 151
152 Il concedente è responsabile per l’inadempimento dell’obbligo giuridico cui è tenuto al momento in cui gli viene restituito l’immobile: egli dovrà disporne non tanto nel modo che ritiene più opportuno ma, bensì, nel modo in cui riuscirà a ottenere il massimo ricavo possibile. Coerentemente con il disposto dell’art. 1218 c.c., in caso in cui disponga dell’immobile per un valore inferiore al valore di mercato, il concedente dovrà risarcire il danno subito dalla procedura fallimentare, cioè il minor ricavo, salvo, appunto, prova contraria. Cfr. G. Terranova, op. ult. cit.,
p. 294; A. Cafaia, S.Romeo, “Il fallimento e le altre procedure concorsuali”, CEDAM, Padova, 2014, p. 634.
dovuta diligenza richiesta dalla compravendita immobiliare di allocare l’immobile sia dell’impossibilità di vendere quest’ultimo al valore di mercato153.
Questa ricostruzione, in relazione all’intera disciplina dei rapporti pendenti, appare coerente con le finalità ad essa sottese poiché si pone in linea con la finalità di apprestare una salvaguardia equilibrata delle contrapposte posizioni del concedente e della massa dei creditori, prevedendo, appunto, il risarcimento del danno sofferto in conseguenza dell’inadempimento del concedente.
Chiarito cosa significhi il concetto di valore di mercato e l’importanza rivestita nella procedura fallimentare, si può procedere nell’analisi degli ulteriori profili del secondo sistema di regole.
3.3.2) Effetti dello scioglimento: la vendita e il principio della
“nuova collocazione del bene”
Il concedente che abbia ottenuto l’immobile può soddisfarsi su di esso per il proprio credito residuo in linea capitale: tale soddisfacimento, si è detto, può avvenire con la vendita oppure con altra collocazione del bene.
Il ricavato dovrà essere imputato dal concedente al proprio credito residuo in linea capitale poiché l’immobile oggetto del contratto di leasing opera come garanzia del credito concesso all’utilizzatore e, dunque, andrà detratto da tale credito.
Per quanto concerne la vendita, il concedente provvederà, tramite gli opportuni canali quali pubblicità immobiliare su giornali o riviste dedicate, o rivolgendosi ad agenzie specializzate, ad alienare l’immobile al valore di mercato cui viene venduto.
In realtà, in tale ambito non vi è niente di specificatamente previsto, né per quanto concerne le procedure attuabili per il realizzo della vendita dell’immobile né per quanto attiene ai termini che il concedente stesso è tenuto rispettare nel
153 Se il concedente da prova dell’impossibilità di ricollocare l’immobile, la stima del valore di mercato dell’immobile dovrà farsi comunque; cfr. A. Orestano, op. cit., p. 330.
compiere questa operazione; ciò che, almeno per quanto riguarda quest’ultimo ambito, è possibile affermare, in assenza di specifiche previsioni, è che trova applicazione la regola generale dello statim debetur, prevista all’art. 1183, comma I c.c.: in virtù della previsione normativa di questo articolo, l’adempimento dell’obbligo di vendita diviene immediatamente esigibile, sin dal momento della restituzione dell’immobile al concedente: ciò significa che il concedente dovrà adoperarsi concretamente affinché l’alienazione avvenga nel minor tempo possibile.154.
Per quanto riguarda, invece, la portata interpretativa della perifrasi “altra collocazione”, è necessario un chiarimento preliminare.
I termini “collocazione” e “allocazione”, rispettivamente inseriti nel comma II e III dell’art. 72 quater, secondo un’autorevole dottrina, sono spesso stati impropriamente utilizzati come sinonimi di atti dispositivi, probabilmente con lo scopo di aumentare quanto più le possibilità di trasferire o costituire un nuovo contratto di leasing sull’immobile, ma in realtà sono due espressioni differenti poiché si riferiscono a due situazioni ben distinte155.
Sul solco tracciato da tale interpretazione si possono effettuare le seguenti considerazioni.
La “collocazione” si riferisce, letteralmente, al posizionamento dell’immobile presso un terzo, mentre “allocazione” si riferisce alla ripartizione
154 Cfr. A. Orestano, op. cit., p. 327; a tal proposito, l’Autore nega la possibilità che, in caso di inerzia del concedente, il curatore fallimentare possa agire per una tutela in forma specifica: ciò in conseguenza del fatto che così agendo si otterrebbe una “sentenza costitutiva degli effetti di un contratto di vendita (o di leasing) di cui tuttavia no sarebbe precostituito il contenuto, né dall’autonomia privata né dalla legge”, ibidem, p. 330. Contra, B.Inzitari, op. ult. cit., p. 1192; l’Autore sostiene e promuove la tutela in forma specifica attraverso il richiamo della disciplina offerta dall’art. 700 c.p.c., rubricato “Condizioni per la concessione”: secondo la sua tesi, il curatore potrebbe ottenere, a condizione che vi siano il fumus boni iuris e il periculum in mora, un provvedimento d’urgenza con il quale coartare il concedente alla vendita. Nel caso di scioglimento del leasing immobiliare, non v’è dubbio sulla sussistenza del fumus e nemmeno, nella maggior parte delle volte, del periculum: i creditori della procedura fallimentare, così come il curatore stesso, hanno un forte interesse a che la liquidazione avvenga il prima possibile e in modo soddisfacente per non subire una prosecuzione pregiudizievole della procedura; cfr. anche A. Pozzi, “Sub art 72 quater”, in (diretto da) C. Cavallini, “Commentario alla legge fallimentare : Art. 64-123”, EGEA, Milano, 2010, p. 393; il presente lavoro aderisce a quest’ultima interpretazione, in quanto aderente alle finalità pratiche della disciplina concorsuale.
155 Cfr. L. Quagliotti, “La disciplina unitaria del contratto di leasing nel fallimento”, op. cit., p. 1145.; anche in A. Zeroli, M. Albanese, op. cit., p. 121 si afferma implicitamente la diversità del linguaggio lessicale, riferendosi in particolar modo alla certezza e alla eventualità del credito.
presso più soggetti; in secondo luogo, e soprattutto, si riferiscono a intervalli temporali differenti e a crediti ben distinti.
Il primo termine è riferito alla facoltà dispositiva del concedente prima della nuova immissione sul mercato dell’immobile, prevista per il soddisfacimento del credito residuo in linea capitale: un credito certo.
Il secondo termine, invece, si riferisce alla fase successiva all’immissione dell’immobile sul mercato e, precisamente, quando la re-immissione sul mercato non è stata sufficiente a soddisfare la pretesa del concedente ed egli, conseguentemente, dovrà insinuarsi al passivo per il credito rimanente: un credito eventuale (sono salvi, ovviamente, gli interessi maturati prima della dichiarazione di fallimento: essi sono indubbiamente soggetti al concorso e, differentemente da quest’ultimo credito, sono certi).
Sebbene tale approfondimento sia quanto mai degno di interesse, ai fini del presente lavoro si ritiene sufficiente la breve disamina qui offerta.156.
Chiarito l’esatto significato di collocazione, è ora possibile analizzarne l’interpretazione pratica: secondo la dottrina maggioritaria il concedente è tenuto a porre nuovamente l’immobile sul mercato al fine di comprenderne l’effettivo valore.
Solitamente, il concedente provvederà a collocare nuovamente l’immobile presso un altro utilizzatore, dunque stipulando un nuovo contratto di leasing immobiliare157.
Non essendovi, però, indicazioni in merito, niente esclude la facoltà del concedente di trattenere l’immobile, senza ricorrere alla collocazione sul mercato, e di realizzare la stima di quanto effettivamente sia il valore dello stesso: come verrà successivamente approfondito, ciò che è necessario è la valutazione in concreto del valore dell’immobile ma da essa non necessariamente deve derivare una collocazione effettiva di quest’ultimo, residuando quindi la possibilità di
156 Cfr. A. Giudici, op. cit., p. 936; A. Genovese, “Effetti del fallimento sui contratti in corso di esecuzione. Prime considerazioni sulle novità della riforma”, in “Fall.”, 2006, pp. 1144- 1145.
157 Cfr. A. Patti, op. ult. cit., p. 137; M. Serra, op. cit., p. 577; M. R. La Torre, op. ult. cit.,
p. 292.
utilizzare in proprio l’immobile o, comunque, di disporne nel modo più opportuno, essendo un bene di cui il concedente non ha mai perso la proprietà158.
In questo delicato ambito, autorevole dottrina ha avanzato più volte la possibilità di prevedere alcune precauzioni nella collocazione del bene, in modo da evitare di dover ricorrere ex post tramite l’intervento degli organi fallimentari nella verifica del valore cui è stato venduto l’immobile159.
In particolare, si pone l’attenzione sul motivo dello scioglimento del contratto: il curatore che decide di sciogliersi ha effettuato, nella maggior parte delle volte, adeguate e ragionate valutazioni sulla convenienza dello scioglimento stesso per cui tale scelta è sicuramente consapevole160.
In tali casi, il curatore ben potrà servirsi di adeguate forme di precauzione, che si sostanziano con i cosiddetti “accordi sulle condizioni di realizzo dell’immobile”: questa dottrina peraltro propende con forza verso la previa necessità di accordi di realizzo dell’immobile per evitare scioglimenti aleatori, dai quali non v’è certezza sull’effettiva possibilità di collocare l’immobile proficuamente.
In conseguenza di questi accordi, dunque, il concedente non solo dovrà rendere conto del proprio operato al curatore, manifestando l’eventuale maggior guadagno ricavato, ma dovrà anche dimostrare che, ai valori di mercato, quello era il massimo importo cui l’immobile poteva esser venduto.
Questa necessità pare trovare fondamento sia nell’obbligo di versare l’eventuale surplus tra il credito residuo in linea capitale e il valore di realizzo dell’immobile sia nella considerazione che l’intera attività allocativa debba attuarsi nell’interesse della procedura e non in danno della stessa161.
158 Giustamente viene osservato che essendo“il bene di proprietà del concedente, non sembra vincolato in nessun modo quanto a modalità di realizzazione”, cit. D. Vattermoli, “Sub art. 72 quater”, in (a cura di) A. Nigro, M. Sandulli, “La riforma della legge fallimentare: Tomo I”, Giappichelli, Torino, p. 455; cfr. anche B. Inzitari, “Sub art. 72 quater, op. cit., p. 1195; G. Terranova, op. ult. cit., p. 293; O. Cagnasso, op. ult. cit., p. 129.
159 Vedi supra, par. 3.3.1
160 Contrariamente all’ipotesi della messa in mora del curatore, in cui quest’ultimo viene obbligato a prendere una scelta in un periodo di tempo limitato, o all’assenza di proposte riallocative, che generano incertezza e insicurezza sulla scelta della sorte del contratto di leasing.
161 Cfr. L. Quagliotti, “La disciplina unitaria del contratto di leasing nel fallimento”, in “Fall.”, 2006, p. 1146.
Sempre in ragione della tutela della procedura fallimentare, un’ulteriore filone dottrinale ritiene opportuno subordinare la restituzione del bene alla sottoscrizione di una dichiarazione con cui il rivendicante si impegna a procedere alla vendita o altra collocazione del bene entro un certo periodo di tempo.
Accertata l’effettiva libertà di disposizione dell’immobile da parte del concedente, si possono comprendere le conseguenze pratiche della vendita o altra collocazione.
Il concedente “diligente”, una volta venduto l’immobile, otterrà una somma di denaro da cui si dovranno sottrarre tutti i costi da egli sostenuti per la proficua riuscita della collocazione: dunque, tutte le spese “vive” poste in essere per eventuali consultazioni con esperti di finanziamenti, pubblicità e trattative.
Maggiori difficoltà nel calcolo della somma ricavata si potranno trovare, invece, allorquando il concedente abbia stipulato un ulteriore leasing sull’immobile restituito poiché sarà necessario calcolare il valore della concessione in leasing in sé considerato.
Il ricavato così ottenuto potrà essere maggiore, minore o uguale al credito residuo in linea capitale del concedente.
Se il ricavato è uguale al credito residuo, il concedente soddisferà la propria pretesa interamente al di fuori del concorso sostanziale (con esclusione degli interessi poiché essi, come già ricordato, non sono parte del finanziamento erogato dal concedente).
A tal proposito, autorevole dottrina ha sollevato il dubbio che, in linea generale, il concedente, nello stipulare un contratto di leasing ex novo162, potrebbe prevedere canoni iniziali composti prevalentemente da interessi, in modo che alla data dell’eventuale fallimento la parte del credito da soddisfarsi tramite insinuazione al passivo risulti già soddisfatta e il capitale possa, invece, esser pienamente soddisfatto nei limiti della facoltà concessa dal 72 quater.
Pur non negando l’esistenza di questa problematica, si è tuttavia affermato che “costituirebbe una inammissibile forzatura l’anticipazione del pagamento
162 Cfr. L. Quagliotti, “Scioglimento endofallimentare del contratto di leasing: credito regolabile fuori concorso e crediti insinuabili”, op. cit., p. 817. Si faccia ben attenzione: le considerazioni svolte dall’Autore si riferiscono ad un qualsiasi contratto di leasing di nuova stipulazione e non, invece, al nuovo contratto di leasing immobiliare stipulato successivamente al fallimento dell’utilizzatore.
degli interessi nelle prime rate, prevedibilmente pagate prima del fallimento e la concentrazione del debito per capitale solo o prevalentemente nelle rate da metà del periodo di locazione in poi”163, per cui, in concreto, non sussiste il rischio che il concedente possa stipulare leasing immobiliari con canoni iniziali composti prevalentemente da interessi.
Se invece il ricavato è superiore rispetto al credito residuo in linea capitale, la differenza tra il primo ed il secondo è esattamente l’importo che il concedente deve versare al curatore fallimentare, in quanto credito del fallimento: il concedente, comunque, rimane soddisfatto per il credito residuo in linea capitale.
A tal fine, il curatore dovrà adoperarsi per verificare l’effettiva somma ottenuta e chiedere la restituzione del surplus, anche eventualmente ricorrendo agli strumenti di tutela ex post sopra ricordati.
Nel caso in cui il concedente abbia ricavato una somma inferiore rispetto al credito residuo in linea capitale, pur avendo venduto il bene al valore di mercato e avendo agito con la massima diligenza possibile, potrà insinuarsi al passivo per la differenza non ancora riscossa: tale disciplina pur essendo oggetto del quarto sistema di regole, per chiarezza espositiva verrà trattato immediatamente, rimandando l’analisi del terzo sistema di regole al paragrafo successivo a quest’ultimo.
3.4) Effetti dello scioglimento: il diritto del concedente ad insinuarsi al passivo per il credito vantato “alla data del fallimento”.
Il quarto sistema di regole prevede, appunto, la regolamentazione della circostanza, non infrequente, in cui il concedente abbia venduto l’immobile ad una cifra che non è sufficiente a soddisfare il proprio credito residuo in linea capitale: il legislatore nell’art. 72 quater, comma III ha attribuito al concedente il diritto di
163 Cit. B. Inzitari, “Sub art. 72 quater”,op. cit., p. 1198.
insinuarsi al passivo per la differenza tra il credito vantato da quest’ultimo alla data del fallimento e quanto ricavato dalla nuova allocazione del bene.
Il presupposto per l’applicazione di questo sistema è che il concedente abbia ricavato dalla vendita dell’immobile un importo inferiore al credito vantato dal concedente alla dichiarazione: in questo caso, la differenza è soggetta alle regole del concorso e si può soddisfare soltanto con l’insinuazione al passivo, unitamente agli interessi sui canoni scaduti.
Vi è un importante profilo la cui analisi è necessaria per comprendere completamente quali siano gli effetti dello scioglimento del leasing nel fallimento: il concetto del “credito vantato alla data del fallimento”.
Il legislatore, infatti, in questo III comma, non si riferisce più al credito residuo in linea capitale ma bensì al credito vantato alla data del fallimento: e la dottrina, sul punto, è concorde nell’attribuire una diversa struttura e rilevanza a questo secondo credito164.
Preliminarmente, si può affermare che il credito individuato nel secondo comma è funzionale alla determinazione dell’eventuale differenza tra quest’ultimo e la somma ricavata dalla vendita, mentre il credito individuato nel III comma è funzionale all’insinuazione nello stato passivo: tale secondo credito è composto dall’eventuale credito residuo non soddisfatto dal ricavato della vendita o ricollocazione del bene e dagli interessi sui canoni insoluti scaduti.165
La determinazione del credito vantato alla data del fallimento sembrerebbe, dunque, non poter prescindere dalla previa ricollocazione
164 Considerazione piuttosto ovvia se si considera che l’applicazione di queste disposizioni richiede la preventiva comparazione tra il valore residuo del bene e ciò che si intende per credito vantato alla data del fallimento.
165 Cfr. anche A. Patti, “Disciplina concorsuale della locazione finanziaria nella nuova normativa”, op. cit., p. 138; A. Giudici, op. cit., p. 939; A. Jorio, op. ult. cit., p. 484; L. Quagliotti, “Scioglimento endofallimentare del contratto di leasing: credito regolabile fuori concorso e crediti insinuabili”, op. cit., p. 817; quest’ultimo Autore aveva precedentemente sostenuto l’insinuabilità al passivo degli interessi sui canoni post fallimentari, sul presupposto che il combinato disposto del comma II e comma III dell’articolo in commento pareva “cristallizzare alla data del fallimento dell’intero credito della concedente rimasto insoddisfatto” (cit. L. Quagliotti, “La disciplina unitaria del leasing nel fallimento”): nell’intervento citato, pur ammettendo che “credito vantato alla data del fallimento” sia di grande e vasta interpretazione, esclude “l'insinuabilità del credito relativo ad interessi post fallimentari, in quanto corrispettivo del godimento (di un bene reso disponibile grazie all'altrui capitale) cessato con lo scioglimento del contratto (avente effetto retroattivo alla data del fallimento) e la conseguente restituzione alla concedente”.
dell’immobile, in quanto non sarebbe possibile calcolare l’importo di questo credito senza la reimmissione sul mercato: la giurisprudenza di merito, in un importante arresto, ha effettivamente dichiarato che la ricollocazione a valori di mercato del bene deve avvenire in concreto e precedere “a pena di inammissibilità la domanda di insinuazione al passivo dei crediti della concedente”166.
Dunque, secondo questa interpretazione, l’insinuazione al passivo è preceduta da una serie di atti che sono così ordinati: dopo lo scioglimento del contratto, il curatore restituisce l’immobile al concedente che deve necessariamente venderlo o collocarlo diversamente, al fine di ricavare una somma con cui soddisfare il credito residuo in linea capitale; ottenuta questa somma, si dovrà determinare la differenza tra i due fattori considerati e insinuarsi al passivo per la differenza o restituire il surplus indebitamente ottenuto.
Ciò sarebbe in evidente contrasto con la libertà di disposizione dell’immobile sopra riconosciuta al concedente, nell’esercizio della quale si può anche decidere di trattenere l’immobile senza ricollocarlo, facendone comunque valutare il valore di mercato.
In merito a questa apparente contraddizione, la dottrina prevalente e una consistente giurisprudenza hanno sostenuto, con argomentazioni pienamente condivisibili, che la reimmissione sul mercato non è condicio sine qua non dell’ammissibilità del credito vantato alla data del fallimento al passivo: per cui, già adesso si può affermare la facoltà del concedente di insinuarsi al passivo prima dell’individuazione del valore dell’immobile167.
In particolare, una celebre sentenza della giurisprudenza di merito ha affermato che “[..] è ammissibile, anche prima della nuova collocazione del bene, la domanda di insinuazione dell'intero credito vantato dal concedente alla data del fallimento. Nel caso in cui il valore di mercato del bene non sia stato ancora determinato, il credito del concedente può essere ammesso al passivo con riserva
166 Cfr. Trib. Pordenone, 4.11.2009, in “Pluris”; cfr. anche Cass., 1 Marzo 2010, n. 4862 e, più recentemente, Cass. 3 Settembre 2015, n. 17577 in “Pluris”.
167 Contra, vedi nota precedente; cfr. anche Trib. Pistoia, 13.3.2008, in “Pluris”: l’organo giudicante non ritiene possibile al momento del deposito della domanda di restituzione dell’immobile, insinuarsi al passivo del quale non è ancora certo l’ammontare. Il concedente dovrà, necessariamente, vendere o collocare diversamente l’immobile e poi, in caso di differenza in negativo, insinuarsi presumibilmente in via tardiva per il suddetto importo.
di deduzione del relativo importo, trattandosi di una riserva sicuramente ammissibile, in quanto prevista dalla legge, secondo il disposto dell'art. 96, secondo comma, l. fall [..]”168.
Interessante è il concetto della “deduzione del relativo importo”: anche una autorevole dottrina ritiene, in tal senso, legittima l’ammissione al passivo di un credito previa deduzione dell’importo ricavabile dalla vendita dell’immobile169.
La disamina maggiormente convincente in merito alla non necessità della vendita per l’insinuazione al passivo, però, non si fonda su questa argomentazione bensì su un’altra, molto più persuasiva, confortata anche dalla Suprema Corte.
Come sopra ricordato, il concetto di “altra collocazione” non presuppone necessariamente l’effettiva immissione sul mercato dell’immobile restituito poiché, giustamente, tale immissione non può configurarsi come elemento costitutivo del credito residuo in linea capitale del concedente e nemmeno come l’eventuale costituzione del credito fallimentare per l’eventuale surplus.
Se così non fosse, si potrebbe sostenere l’ipotesi che la realizzazione dell’eventuale surplus a favore della curatela sia condizionato da una “condizione meramente potestativa” che si sostanzia nella volontà o meno del concedente di immettere sul mercato l’immobile: il che significherebbe permettere al concedente di incidere piuttosto profondamente nel soddisfacimento della massa dei creditori.
Ma anche nel caso in cui il valore dell’immobile non fosse sufficiente a soddisfare il credito residuo in linea capitale, la mancata immissione sul mercato non pare condizione ostativa per l’insinuazione al passivo: per l’insinuazione sarà sufficiente provare che il valore di mercato è inferiore al credito residuo in linea
168 Cit. Trib. Udine, 24.2.2012, in “Pluris”; la pronuncia, inoltre, precisa anche le voci di credito ipotizzabili, stabilendo che il credito vantato alla data del fallimento sia “la somma algebrica delle rate e degli interessi e delle spese scadute prima della dichiarazione di fallimento e delle rate rappresentanti il capitale residuo, oltre al prezzo di opzione, scadenti dopo la dichiarazione di fallimento, depurate tuttavia degli interessi e degli altri accessori non ancora maturati a tale data, con deduzione del valore di mercato del bene risultante dalla nuova collocazione”, ribadendo l’esclusione da tale credito degli interessi ricompresi nei canoni che non sono ancora scaduti. Cfr. anche Trib. Torino, 23.4.2013, in “Pluris”, in cui si afferma addirittura l’obbligo della insinuazione al passivo dell’intero credito vantato alla data del fallimento prima della collocazione sul mercato.
169 Cfr. F. Aprile, “Sub art. 72 quater”, op. cit., p. 1007.
capitale, che può esser agilmente dimostrato anche senza l’eventuale stima richiesta ad un professionista.
Ciò su cui questa dottrina pone particolare attenzione, infatti, è la circostanza che l’enucleazione del valore di mercato in concreto debba avvenire comunque ma che non debbano escludersi soluzioni ulteriori ed ugualmente efficaci, come ad esempio una transazione170; inoltre, gli interessi maturati sui canoni scaduti prima del fallimento sono valutati separatamente dal credito residuo in linea capitale, per cui non si comprende come mai il concedente debba esser vincolato a disporre dell’immobile per recuperare dei crediti i quali sono comunque soggetti alla procedura concorsuale.
Conclusivamente, si può affermare, quindi, che non v’è motivo di limitare il diritto ad insinuarsi al passivo del concedente alla previa dimostrazione della collocazione dell’immobile (o comunque di un ricavo dalla vendita) “non essendovi ragione di escludere che sia sufficiente stabilire a quanto questa avrebbe dovuto essere effettuata rispettando il valore di mercato”171.
Anche la Suprema Corte, con il decisivo arresto n. 15701 del 15 luglio 2011, ha confermato l’interpretazione così ricostruita della posizione del concedente, cassando la sopracitata sentenza di merito172 e distanziandosi nettamente dalla Cass., 3 Marzo 2010, n. 4628/2010173.
170 Nella pratica si ricorre spesso a questo strumento giuridico poiché permette di concordare il credito residuo in linea capitale e il valore di mercato dell’immobile al fine di evitare future controversie proprio sulla determinazione di questi importi. Un altro strumento utile a tale fine è rappresentato dall’azione giudiziaria attivata dalla procedura e diretta a ottenere l’accertamento del valore di mercato dell’immobile al fine di ricavare l’esatta commisurazione dei reciproci diritti. Cfr. L. Quagliotti, “Scioglimento endofallimentare del contratto di leasing: credito regolabile fuori concorso e crediti insinuabili”, op. cit., p. 817. L’Autore, soffermandosi brevemente sulla sentenza del Trib. Pordenone, 4.11.2009 (v. nota 166) sostiene l’infondatezza del timore espresso dal giudicante secondo cui permettendo al concedente di disporre liberamente dell’immobile si autorizzerebbe un accordo sul “presunto valore di mercato del bene”, senza dunque procedere ad una accurata valutazione dello stesso. L’infondatezza di questo timore viene meno allorché si ricorda che “la conclusione di un’intesa transattiva deve esser sottoposta all’autorizzazione del comitato dei creditori e del giudice delegato”, per cui il pericolo di un valore di mercato palesemente “di comodo” non si può realmente concretizzare.
171 Cit. V. Zanichelli, op. cit., pp. 74 ss; cfr., più esaustivamente, L. Quagliotti, op. ult. cit., p. 816-817.
172 Vedi supra nota 166.
173 Cfr. Cass., 15 Luglio 2011, n. 15701, in “Pluris”: la sentenza riveste particolare importanza perché sancisce anche a livello giurisprudenziale la sottoposizione del concedente al concorso formale e non, per il credito residuo in linea capitale, al concorso formale.
La tesi proposta da questa pronuncia, già avanzata (e successivamente ripresa) da altra dottrina, assimila la posizione del concedente titolare del diritto di soddisfare il credito residuo in linea capitale sull’immobile restituito a quella del creditore munito di pegno o privilegio, la cui posizione è disciplinata dall’art. 53 l. fall174: viene osservato, correttamente, che sia nel caso del concedente sia nel caso del creditore pignoratizio, tali soggetti hanno diritto ad una integrale soddisfazione del proprio credito previa ammissione al passivo anche se tali crediti dovranno essere soddisfatti fuori dal concorso sostanziale ma non, come si vede, dal concorso formale.
La sentenza aderisce, come si è visto, ad una ricostruzione fondata su presupposti leggermente differente da quelli sin qui offerti ma non per questo meno fondati e convincenti: ciò a definitiva dimostrazione che, sotto tutti i profili critici, la reimmissione sul mercato non è condizione di procedibilità per l’ammissione al passivo175.
Tale dottrina pone l’attenzione al fatto che il concedente e il creditore pignoratizio sono tenuti a rispettare un procedimento che garantisca sia la migliore liquidazione del bene sia il soddisfacimento dei propri diritti nei limiti di quanto accertato: rispettare, quindi, delle esigenze di efficienza e garanzia della correttezza del soddisfacimento “fuori concorso”.
A tal fine, la previa ammissione al passivo risulta indispensabile per permettere il calcolo del credito vantato alla data del fallimento composto dal credito residuo in linea capitale e dagli interessi legali e moratori sui canoni scaduti e non pagati alla data del fallimento.
174 L’art. 53 è rubricato “Creditori muniti di pegno o privilegio” e dispone che “I crediti garantiti da pegno o assistiti da privilegio a norma degli articoli 2756 e 2761 del codice civile possono essere realizzati anche durante il fallimento, dopo che sono stati ammessi al passivo con prelazione. Per essere autorizzato alla vendita il creditore fa istanza al giudice delegato, il quale, sentiti il curatore e il comitato dei creditori, stabilisce con decreto il tempo della vendita, determinandone le modalità a norma dell'articolo 107.
Il giudice delegato, sentito il comitato dei creditori, se è stato nominato, può anche autorizzare il curatore a riprendere le cose sottoposte a pegno o a privilegio, pagando il creditore, o ad eseguire la vendita nei modi stabiliti dal comma precedente.”.
175 Cfr. anche G. Lo Cascio, “Codice commentato del fallimento”, op. cit., p. 896: l’Autore, promuovendo in via generale questa ricostruzione, sostiene che l’incertezza del credito vantato alla data del fallimento non può ostacolare l’ammissione al passivo poiché “chiunque ha diritto ad agire immediatamente in giudizio per la tutela dei propri diritti qualunque ne sia il grado di certezza, essendo il processo il luogo di accertamento positivo o negativo di qualsiasi pretesa”.
Il soddisfacimento del credito “fuori concorso” si sostanzia, effettivamente, in un’operazione alquanto delicata in cui il concedente dovrà agire con la massima diligenza possibile, informando il curatore di ogni evento rilevante per il fallimento, in quanto il diritto del concedente, se esercitato scorrettamente, può arrecare un grave pregiudizio al fallimento e, soprattutto, ai creditori.
Si tratta di un'interpretazione e di una soluzione razionale coerente sia con le esigenze di tutela dei creditori fallimentari concorrenti e del concedente sia sul piano sistematico in relazione ai principi che regolano l'accertamento del passivo.
Ciò premesso, e concludendo, questa dottrina chiarisce che “[..] la tempestiva insinuazione al passivo del credito appare necessaria per la tutela dell'interesse del concedente alla partecipazione al concorso fallimentare.. perché se si dovesse seguire quell'orientamento che limitava la possibilità per il concedente di insinuare il proprio credito al passivo solo dopo l'avvenuta allocazione del bene, si avrebbe di fatto un ridimensionamento del diritto di soddisfare la parte di credito per capitale risultata non coperta dal ricavato della allocazione del bene.
La mancata insinuazione tempestiva del credito porrebbe pertanto il concedente in una posizione deteriore rispetto agli altri creditori concorrenti e finirebbe per favorire comportamenti conflittuali e non collaborativi del concedente nella gestione del procedimento di allocazione del bene”.176
Sembra, quindi, potersi affermare con sicurezza, in base alle ricostruzioni dottrinali qui offerte, che la vendita dell’immobile non è necessaria per l’insinuazione al passivo per il credito vantato alla data del fallimento.
In ragione di questa ampia dimostrazione, il concedente potrà insinuarsi al passivo per il credito vantato alla data del fallimento e procedere come meglio crede per ricavare il miglior prezzo: una volta eseguite queste operazioni, verrà
176 Cit. B. Inzitari, “Leasing nel fallimento: la soddisfazione del concedente fuori dal concorso sostanziale e accertamento del credito nel concorso formale”, in http://ilfallimentarista.it/articoli/focus/leasing-nel-fallimento-soddisfazione-del-concedente-fuori- dal-concorso-sostanziale-e.; l’Autore afferma che in caso in cui il valore del bene non sia stato ancora determinato il concedente potrà insinuarsi, con riserva, al passivo ex art. 96, comma II , deducendo l’importo per cui opererà la compensazione.
sottoposto al concorso sostanziale per l’eventuale credito rimanente e per gli interessi sui canoni scaduti e non pagati.
La quantificazione del credito vantato alla data del fallimento non dipende dalla previa reimmissione dell’immobile sul mercato ma, bensì, dal valore cui quest’ultimo può esser collocato sul mercato: il che è coerente con la considerazione che il concedente ha il diritto di soddisfare le proprie pretese creditorie ma non l’obbligo, per cui l’unico dovere del concedente risulta essere la verifica del valore dell’immobile una volta restituito.
Volendo adesso tracciare un quadro riassuntivo della complessiva regolamentazione fino a qui analizzata si può dunque affermare che dallo scioglimento del leasing deriva un diritto del concedente a vedersi restituito l’immobile, diritto azionabile solo dietro dimostrazione dell’effettiva titolarità di quest’ultimo, e, contemporaneamente, il diritto a recuperare il credito residuo in linea capitale con la vendita o altra allocazione dell’immobile a valori di mercato, previa richiesta di insinuazione al passivo per il credito vantato alla data del fallimento: l’attività che il concedente dovrà porre in essere è finalizzata a compensare il credito del concedente con il valore residuo del bene e verrà sottoposta a un continuo e penetrante controllo sui metodi di svolgimento della stessa da parte del curatore.
Nel caso in cui il creditore riesca a soddisfare il proprio credito residuo in linea capitale tramite il valore residuo dell’immobile, la previa insinuazione al passivo gli consentirà di recuperare gli interessi sui canoni scaduti e non pagati prima del fallimento, mentre nel caso in cui egli ricavi un surplus rispetto al proprio credito, avrà l’obbligo di corrispondere l’eccedenza al fallimento.
Nel caso, invece, in cui ottenga un minus, tramite la previa insinuazione al passivo potrà far valere sia la rimanente parte del credito non soddisfatta con la vendita dell’immobile sia la quota interessi appena individuata.
Adesso è possibile passare all’analisi dell’ultimo sistema di regole, individuato dal comma II del 72 quater con il quale si sottopone la disciplina delle somme già riscosse alla previsione dell’art. 67, comma III, lett. a).
3.5) Effetti dello scioglimento: l’azione revocatoria fallimentare e la disciplina dell’art. 67.
L’ultimo sistema di regole applicabile allo scioglimento del leasing immobiliare è previsto dall’art. 72 quater il quale, al secondo comma, richiama l’applicazione della disciplina dell’art. 67, comma III, lett. a) alle “somme già riscosse”, prevedendo dunque la sottrazione alla revocabilità dei pagamenti di beni e servizi effettuati nell’esercizio dell’attività d’impresa nei termini d’uso.
Prima di analizzare questa peculiare disciplina, si ritiene utile e costruttivo offrire una particolare analisi della normativa prevista al secondo comma dell’art. 67 l. fall., la quale concerne gli effetti della revoca della risoluzione del contratto di leasing immobiliare avvenuta ante fallimento.
3.5.1) L’art. 67 comma II: la revocatoria della risoluzione del contratto.
L’art. 67 l. fall., rubricato “Atti a titolo oneroso, pagamenti, garanzie” prevede la disciplina della revocatoria fallimentare, a determinate condizioni, per gli atti a titolo oneroso o i pagamenti effettuati dal fallito nel cosiddetto “periodo sospetto”177.
Il II comma di tale articolo sancisce la revoca degli atti compiuti nei sei mesi anteriori alla dichiarazione di fallimento, se il curatore prova che la controparte era a conoscenza dello stato d’insolvenza: il curatore, dunque,
177 Il vigente art. 67 è la trasposizione letterale del par. I lett. a) e b) dell’art. 2 del Decreto Legge 14 Marzo 2005, n. 35, intitolato “Disposizioni in materia fallimentare processuale civile e di libere professioni”: in via generale si può affermare che sono stati apportati consistenti cambiamenti all’originaria predisposizione delle revocatorie fallimentari favorendo la stabilità degli atti a vantaggio dei terzi e dell’intero sistema fallimentare ma non è mutata la struttura portante dell’articolo: si è mantenuta in vigore la stretta differenza tra atti lesivi della par condicio e atti neutri per i creditori.
potrebbe agire giudizialmente per chiedere la revoca della risoluzione del contratto di leasing.
Tale disciplina, comunque, risulta di difficile applicazione nella pratica poiché il dissesto finanziario dell’utilizzatore non si verifica all’improvviso, permettendo alle società di leasing di evitare la stipulazione di contratti destinati a non trovare esecuzione a causa dell’imminente fallimento: da ciò deriva che, effettivamente, l’unica ipotesi in cui il curatore può in concreto agire per chiedere la revoca del leasing si realizza allorquando il concedente abbia stipulato tale contratto nei sei mesi antecedenti la dichiarazione di fallimento, pur conoscendo l’insolvenza dell’utilizzatore.
Un tema di sicuro interesse sia giuridico che pratico, nonché di grande attualità, è invece la revocatoria fallimentare della risoluzione del contratto di leasing.
Riprendendo quanto esposto nel precedente capitolo, si può facilmente ricordare che il concedente, nel caso in cui l’utilizzatore risulti inadempiente alle proprie prestazioni, può agire per la risoluzione del contratto per inadempimento, con il limite temporale dell’eventuale dichiarazione di fallimento: una volta che il tribunale fallimentare dichiarerà l’utilizzatore fallito, saranno precluse tutte le azioni riguardanti il suo patrimonio178.
La fattispecie che qui si intende analizzare è ovviamente quella in cui il concedente agisca per la risoluzione del leasing immobiliare nei sei mesi precedenti la dichiarazione di fallimento, in quanto qualsiasi azione risolutoria promossa prima di questo termine non sarà rilevante ai fini della presente indagine.
La giurisprudenza e la dottrina prevalente, interrogate sul punto, hanno concordemente affermato che il curatore può agire per far revocare la risoluzione del contratto avvenuta nei sei mesi antecedenti, nel momento in cui offra la
178 Cfr. Cap. II; gli stessi ragionamenti possono effettuarsi nel caso le parti abbiano apposto una clausola risolutiva espressa.
dimostrazione che il concedente era a conoscenza dello stato d’insolvenza dell’utilizzatore.179.
Il punto cruciale dell’intera questione si sostanzia, a mente della formulazione del comma II, nella comprensione dell’esatta portata del requisito oggettivo per la revoca, cosa significhi il termine “atti onerosi” e se, in questa definizione, vi possa rientrare la risoluzione del contratto da parte del concedente avvenuta nei sei mesi precedenti il fallimento.
Non v’è dubbio, comunque, che la risoluzione del contratto arrechi pregiudizio alla massa dei creditori: la risoluzione di un contratto di leasing da parte del concedente comporta un depauperamento del patrimonio dell’utilizzatore, poiché non sarà più possibile acquistare l’immobile pur avendone già pagato una parte, sostanziosa o minima che sia180.
Ciò premesso, è stato giustamente affermato che “la risoluzione unilaterale del contratto da parte del contraente “in bonis” costituisce atto a titolo oneroso suscettibile di revocatoria fallimentare, comportando esso un depauperamento del patrimonio del debitore, a nulla rilevando che l’atto non sia stato compiuto dal fallito, né che questi non vi abbia in alcun modo cooperato”: tale pronuncia trae spunto, come si nota, dal fatto che è lo stesso art. 67, comma II a qualificare come atto oneroso non un atto compiuto dal fallito o da un terzo ma bensì un qualsiasi atto che sia idoneo ad arrecare pregiudizio alla massa dei creditori181.
179 Questo è definito il requisito soggettivo, imprescindibile per poter chiedere con successo la revoca della risoluzione. Nella fattispecie del leasing immobiliare non sono pochi i profili con cui il curatore può concretamente dare dimostrazione che il concedente era a conoscenza dell’insolvenza dell’utilizzatore tra cui, ad esempio, la presentazione di solleciti di pagamento o con la presentazione di istanze di fallimento da parte del concedente; un sicuro indizio sulla insolvenza dell’utilizzatore proviene, senza dubbio, dall’illiquidità risultante dai bilanci depositati da quest’ultimo.
180 Si ricordi che nel leasing traslativo i canoni non hanno natura di corrispettivo per l’uso del bene, non essendo calcolate sul godimento dell’immobile, poiché l’immobile conserverà un ingente valore residuo alla scadenza del contratto: i canoni funzionano, infatti, come rate d’acquisto dello stesso. Il pregiudizio per i creditori è evidente: essi non potranno più soddisfarsi su quell’immobile in caso di inadempimento dell’utilizzatore.
181 Cit. Trib. Milano, 03.02.2002, in “Pluris”. Letteralmente, si legge che “[…]in primo luogo..l’argomento letterale non è decisivo, poiché nell’art. 67, comma secondo, l.f. la categoria degli “atti a titolo oneroso” non è riferita ad un soggetto. Né il mancato riferimento al soggetto del debitore può configurare un elemento interpretativo di significato soltanto equivoco, dovendosi considerare che sono revocabili anche gli atti posti in essere da terzi, come l’iscrizione dell’ipoteca volontaria e dell’ipoteca giudiziale nonché la riscossione di mandati di
Non si può non condividere pienamente questa interpretazione giurisprudenziale in quanto essa, oltre a essere coerente con il sistema fallimentare vigente e con le finalità ad esso sottese, ha da sempre trovato il conforto della prevalente dottrina.
Ed infatti, “per poter affermare la revocabilità della risoluzione sembra sufficiente ammettere che la revocatoria fallimentare può colpire anche atti posti in essere da terzi senza alcuna partecipazione del debitore: potranno così essere resi inefficaci sia il negozio unilaterale della diffida ad adempiere, sia il negozio unilaterale recettizio con il quale il curatore manifesta la volontà di avvalersi della clausola risolutiva espressa”182.
Sul solco così tracciato, anche un più recente filone dottrinale ha affermato che “revocabile è anche la risoluzione di diritto conseguente alla diffida ad adempiere, o attuata in forza di clausola risolutiva espressa”183, risoluzione che, viene precisato, deve esser “manifestata prima dell’inizio del procedimento concorsuale”184.
Per concludere questa analisi, si ritiene utile offrire una breve disamina degli effetti che l’accoglimento o il rigetto della domanda di della revocatoria fallimentare spiegano sulla procedura fallimentare.
3.5.1.1) Gli effetti della revocatoria della risoluzione del leasing immobiliare.
pagamento[…]”. Contra, Trib. Roma, 01.10.2010: in questa pronuncia si considerano “a titolo oneroso” solo gli atti compiuti dal fallito, escludendo quelli posti in essere da terzi, a prescindere se impoveriscano il patrimonio del debitore o meno. Nel testo della sentenza si legge che “dal tenore letterale dell’art. 67, comma 2, l. fall. appare chiaro che oggetto dell’azione revocatoria sia unicamente l’atto compiuto dal fallendo nel c.d. periodo sospetto, mentre nella fattispecie oggetto di revoca sarebbe, secondo la pretesa della curatela, la dichiarazione di avvalersi della clausola risolutiva espressa, rilasciata tuttavia da soggetto altro e diverso rispetto al fallendo”.
182 Cfr. M. Dalla Verità, L. Ghedini, “Sub art. 67”, in (diretto da) A. Maffei Alberti
“Commentario breve alla legge fallimentare”, CEDAM, Padova, 1991, pp. 176-177.
183 Cfr. G. Guerrieri, “Sub art. 67”, in (diretto da) A. Maffei Alberti, “Commentario breve alla legge fallimentare”, CEDAM, Padova, 2009, p. 341.
184 Cfr. G. Lo Cascio, “Sub art. 67”, in G. Lo Cascio, “Codice commentato del fallimento”, op. cit., p. 560.
Come è stato esposto nel precedente capitolo, il concedente può tutelarsi direttamente contro l’inadempimento dell’utilizzatore: se quest’ultimo risulti inadempiente, infatti, il primo potrà agire giudizialmente per far dichiarare il contratto risolto, trascrivendo la relativa domanda.
Se l’organo giudicante dovesse accogliere la domanda di risoluzione e la relativa sentenza passasse in giudicato, le conseguenze sarebbero esattamente quelle previste dall’art. 72, V comma: la risoluzione sarebbe senza dubbio opponibile alla procedura fallimentare, obbligando il curatore a considerare il contratto sciolto e a rimettere l’immobile nella piena disponibilità del concedente.
Nel caso in cui il concedente avesse predisposto l’azione giudiziale di risoluzione nei sei mesi antecedenti il fallimento e tale domanda venisse accolta, il curatore potrà proporre un autonomo giudizio di revocatoria fallimentare contro la sentenza che dichiara la risoluzione del contratto di leasing immobiliare185, al fine di ripristinare lo status quo ante la proposizione della domanda di risoluzione, cioè la pendenza del contratto: in questo modo, se la domanda di revoca venisse accolta dal giudice ordinario, la risoluzione del contratto verrebbe automaticamente revocata ed il contratto si considererebbe ancora pendente alla data del fallimento, permettendo al curatore la scelta tra il subentro o lo scioglimento.
Tale azione revocatoria, azionabile in base al disposto dell’art. 67, II comma, potrà esser accolta dal giudice ordinario soltanto nel caso in cui il curatore dia la prova che il concedente abbia predisposto l’azione di risoluzione nei sei mesi precedenti la dichiarazione di fallimento186, dunque nel “periodo sospetto”, e che era a conoscenza dello stato di insolvenza in cui versava l’utilizzatore.
Al fine di dimostrare la scientia decoctionis del concedente, il curatore dovrà provare che il concedente era a conoscenza dell’effettiva insolvenza e potrà darne la prova in qualsiasi modo, anche tramite testimonianza oppure con
185 Ovviamente, nei termini previsti 69-bis l. fall. il quale stabilisce che “le azioni revocatoria disciplinate nella presente sezione non possono essere promosse decorsi tre anni dalla dichiarazione di fallimento e comunque decorsi cinque anni dal compimento dell’atto”. Essendo termini di decadenza, non sono soggetti alla prescrizione.
186 A tal proposito, sarà sufficiente dimostrare che l’atto introduttivo dell’azione di risoluzione giudiziale è stato notificato nei sei mesi precedenti la dichiarazione di fallimento.
presunzioni, purché queste siano gravi, precise e concordanti e tali da far ritenere fuor di dubbio che il concedente fosse consapevole dello stato di grave dissesto economico e di crisi irreversibile in cui si trovava l’utilizzatore: non sarà sufficiente dare la prova della conoscibilità dello stato di insolvenza.
Nel caso in cui il Tribunale accolga la domanda di revocazione della risoluzione del contratto, dunque, la risoluzione non sarà più opponibile al fallimento per cui il contratto di leasing si considererà ancora pendente alla data del fallimento.
Di conseguenza, il curatore potrà quindi subentrare nel contratto, dando esecuzione allo stesso come se il contratto non fosse mai stato risolto, pagando in prededuzione i canoni di leasing già scaduti e impegnandosi a pagare i canoni a scadere nei termini previsti, oppure sciogliersi definitivamente dal contratto187.
Se, invece, la domanda di revocatoria fallimentare venisse respinta, la risoluzione verrebbe considerata valida ed efficace con le conseguenze previste all’art. 72, comma V.
Il curatore avrà dunque diritto alla restituzione di tutti i canoni pagati dall’utilizzatore, previa restituzione dell’immobile al concedente e la corresponsione dell’ equo compenso per l’utilizzo dell’immobile in leasing.188
3.5.2) L’art. 67, comma III, lett. a): la sorte delle somme già riscosse.
L’ultimo sistema di regole introdotto dall’art. 72 quater dispone, richiamando l’art. 67, comma III, lett. a), l’esenzione dalla revocatoria delle cosiddette somme già riscosse.
187 Ipotesi possibile ma residuale: se è vero che con la revocatoria il curatore intende rientrare “virtualmente” nella disponibilità materiale dell’immobile, la scelta di sciogliersi si può spiegare con circostanze sopravvenute come l’inaspettata mancanza di liquidità necessaria per proseguire nell’esecuzione del rapporto.
188 Vedi supra, Cap. II, par. 2.6; Cfr. Cass., 8 Gennaio 2010, n. 73; questa pronuncia ha delineato la composizione di questo equo compenso stabilendo che quest’ultimo “comprende la remunerazione del godimento del bene, il deprezzamento conseguente alla sua incommerciabilità come nuovo e il logoramento per l’uso, ma non include il risarcimento del danno che può derivare da un deterioramento anormale della cosa né comprende il mancato guadagno ”.
Sebbene la formulazione della norma appaia piuttosto diretta e lineare, in dottrina sono sorti numerosi dibattiti in merito all’interpretazione da attribuire a queste “somme”.
L’art. 67, comma III, lett. a) esenta da qualsiasi azione revocatoria “i pagamenti di beni e servizi effettuati nell'esercizio dell'attività d'impresa nei termini d'uso”: in conseguenza del riferimento previsto nel 72 quater le “somme già riscosse”, dunque, sembrerebbero essere tutti i canoni corrisposti dall’utilizzatore prima della dichiarazione di fallimento che non sono revocabili in quanto pagamenti effettuati nell’esercizio dell’attività d’impresa, con le scadenze previste; se, però, tali pagamenti non fossero effettuati nei cosiddetti termini d’uso, ben si potrebbe affermare la loro revocabilità da parte del curatore.
Non v’è dubbio che i canoni di leasing rientrino all’interno dei pagamenti di beni e servizi effettuati nell’esercizio dell’impresa: d’altronde, senza l’immobile in leasing l’utilizzatore difficilmente avrebbe potuto attivare o continuare la propria attività, per cui la corresponsione dei canoni è senza dubbio un pagamento connesso all’attività d’impresa189.
Ed è esattamente in questi termini che si concentrava e si concentra tuttora il dibattito dottrinale: viene osservato, da più autori, che se il legislatore avesse voluto riferirsi solo ai pagamenti dei canoni, li avrebbe chiaramente individuati nella formulazione della norma; dato che si riferisce, invece, a delle generiche somme già riscosse, non sembrerebbe potersi escludere una più ampia interpretazione di queste ultime.
Una dottrina, in particolar modo, sostiene con fermezza quest’ultima interpretazione.
Partendo dalla considerazione che il regolare pagamento dei canoni rientra senza dubbio nei pagamenti di beni e servizi effettuati nell’attività d’impresa nei
189 Sulla nozione di termini d’uso la dottrina non è concorde: una parte di essa li individua nelle “forniture di beni o servizi o all’esercizio dell’attività d’impresa”(cfr. G. Cavalli,”Sub art. 67, comma 3, lett. a)”, in A. Jorio,” Il nuovo diritto fallimentare”, Zanichelli, Bologna, 2006, p. 956) mentre un’altra, autorevolmente sostenuta, li considera come i termini abitualmente utilizzati nel settore di riferimento per i pagamenti che siano caratterizzati da regolarità sia nella corresponsione sia nelle tempistiche. Sul punto, si veda A. Nigro, “Sub art. 67”, in (a cura di) A. Nigro, M. Sandulli, V. Zanichelli, “La legge fallimentare dopo la riforma”, Giappichelli, Torino, 2010, p. 930; L. Guglielmucci, “Diritto fallimentare”, op. cit., p. 157.
termini d’uso, osserva che “con l’utilizzo del termine somme già riscosse e non pagamenti non solo si sia voluto riaffermare il principio dei pagamenti effettuati nei termini d’uso dall’utilizzatore poi fallito”, peraltro ribadendo un’esenzione già prevista nell’art. 67, comma III, lett. a), “ma si sia voluto stabilire un’esenzione più ampia”, e cioè “qualsiasi riscossione di somme in qualsiasi forma avvenuta, anche non nei termini d’uso”.190
Da tale presupposto deriva inevitabilmente che il concetto di “somme già riscosse comprende tutte le prestazioni in denaro eseguite dall’utilizzatore, anche se in tempi non regolari e comunque non in termini d’uso: rientrerebbero nella fattispecie di somme già riscosse anche i pagamenti di rate avvenuti non regolarmente alla scadenza o con accorpamenti di rate in momenti in cui l’utilizzatore trovava liquidità disponibile per i pagamenti più urgenti”.191
Con tale estensiva interpretazione, per la verità piuttosto suggestiva, si giungerebbe a tutelare qualsiasi corresponsione per il semplice fatto di esser pagamento finalizzato ad adempiere la propria prestazione: pur essendo innegabile il favor riservato alla posizione del concedente dalla disciplina qui analizzata, non si ritiene affatto condivisibile una tale interpretazione.
L’art. 67, comma III, lett. a) con al sua attuale formulazione ammette non solo la liquidazione dei canoni ma anche eventuali altre corresponsioni possano trovare tutela verso la revocatoria dei pagamenti, purché tali pagamenti siano effettuati nei termini d’uso192, ovvero alla scadenza degli stessi o in loro prossimità.
Come autorevolmente sostenuto “la revocatoria fallimentare dei pagamenti dei canoni è esperibile laddove ricorrano i presupposti di applicabilità e il suo ambito di operatività non risulti precluso da ipotesi esentative”193: sarebbe arduo, infatti, sostenere l’esenzione dalla revocatoria di un pagamento comprendente più canoni mensili effettuato poco prima della dichiarazione di fallimento.
190 Cit. B. Inzitari, op. cit., p. 1198.
191 Ibidem.
192 Cfr. G. Terranova, op. cit., p. 294.
193 Cit. L. Quagliotti, “Scioglimento endofallimentare del contratto di leasing: credito regolabile fuori concorso e crediti insinuabili”, op.cit., p. 817.
L’estraneità di tale pagamento alla normale attività d’impresa è lampante: i termini d’uso, in questo caso, non sono affatto rispettati.
Di conseguenza, è estraneo all’attività d’impresa anche il pagamento della penale prevista in circostanza dello scioglimento per inadempimento: non essendo la “normalità” il curatore potrà agire per la revoca di tale pagamento.
Non si deve, infatti, prescindere dal fatto che nel fallimento è stata attribuita al leasing prevalente causa di finanziamento: i pagamenti effettuati dal concedente sono finalizzati a estinguere un debito finanziario e non hanno funzione di corrispettivo per l’utilizzo dell’immobile.
Se è vero, come si è detto nelle prime pagine del lavoro, che la procedura fallimentare ha come scopo la liquidazione atomistica del patrimonio del fallito al fine di soddisfare le pretese dei creditori, la pretesa di un creditore solo può rilevare fino ad un certo limite, oltre il quale vi sarebbe un pregiudizio ingiustificato ed ingiustificabile a carico della procedura in sé.
CONCLUSIONI
Nel presente lavoro è stata offerta una trattazione sistematica degli effetti che il fallimento di un imprenditore commerciale provoca su un contratto di leasing immobiliare “pendente” alla data della dichiarazione di fallimento stessa.
In primis, si è resa necessaria l’analisi del contratto di leasing; si è posta particolare attenzione alla sua genesi e alla sua particolare struttura, nonché alla “rivoluzionaria” differenziazione tra leasing di godimento e leasing traslativo operata dalla Suprema Corte nel 1989 e poi fatta propria da tutta la giurisprudenza e dottrina italiana.
Si è ritenuto corretto e coerente con le finalità di questo scritto soffermarsi anche sull’esecuzione del contratto stesso, confrontando le opposte obbligazioni dell’utilizzatore e del concedente per poi introdurre, finalmente, il leasing immobiliare.
Un istituto che, seppur caratterizzato tuttora da incertezze applicative dovute ad una scarsa regolamentazione legislativa, è attualmente molto diffuso nelle pratiche commerciali in ragione degli innegabili vantaggi economici che comporta.
Permettere ad un imprenditore di esercitare la propria attività d’impresa all’interno di un edificio ad hoc (eventualmente fatto costruire su sue indicazioni), consentendogli, alla scadenza del leasing, addirittura l’acquisto dello stesso edificio, in un periodo storico come il periodo attuale, caratterizzato da una certa diffidenza verso le attività commerciali, è indubbiamente una soluzione efficace e vantaggiosa per una qualsiasi attività commerciale.
Anche perché, come si è ripetuto per l’intero lavoro, i canoni corrisposti dall’utilizzatore non sono il corrispettivo per il godimento dell’immobile ma bensì, scontano il prezzo dell’immobile stesso; per cui l’imprenditore oltre a esercitare la propria attività commerciale ad un costo quantomeno sostenibile per tutta la durata del leasing, “acquista”, in senso economico, canone dopo canone la proprietà dell’edificio, potendo, alla scadenza del contratto acquistarlo anche in
senso pratico ad un prezzo molto più basso rispetto al prezzo cui l’immobile sarebbe venduto normalmente.
Successivamente, si è approfondito il delicato rapporto tra il leasing immobiliare e la dichiarazione di fallimento dell’utilizzatore intervenuta durante la pendenza del leasing: circostanza, purtroppo, alquanto probabile nella pratica.
Partendo dall’analisi dei rapporti pendenti e dell’esatta portata interpretativa di questa espressione, e proseguendo con un breve excursus sull’evoluzione storico-normativa della disciplina dei rapporti pendenti, con doverose precisazioni in merito ai presupposti per considerare il leasing “pendente”, si è giunti a sottolineare che, almeno nella legge fallimentare, il legislatore ha operato un decisivo superamento della distinzione tra leasing di godimento e leasing traslativo, introducendo un’unica figura di leasing caratterizzata prevalentemente da una causa di finanziamento.
Questa “novità” è stata introdotta dalla riforma fallimentare avvenuta nel 2006, con il Dlgs 5/2006 che ha soprattutto, il merito di aver introdotto all’art. 72 quater una regolamentazione speciale, dedicata esclusivamente agli effetti che il fallimento provoca sul leasing pendente; tale norma si pone in rapporto di species a genere rispetto all’art. 72, il quale regola in via generale la sorte dei rapporti pendenti nel fallimento, per cui l’art. 72 quater trova applicazione ogniqualvolta disponga un insieme di regole differente rispetto a quella prevista nell’art. 72: sostanzialmente, la disciplina differente riguarda gli effetti dello scioglimento dal leasing.
Fatte queste premesse, si sono approfonditi gli effetti sia della scelta del subentro nel leasing sia della scelta dello scioglimento dal leasing.
Si sono offerti in analisi, pertanto, tutti i profili rilevanti per la scelta del curatore di subentrare nel leasing: una scelta che, nella pratica, non è molto diffusa perché subentrare in un leasing significa assumere delle responsabilità piuttosto importanti, come la corresponsione dei canoni alle scadenze pattuite e l’adempimento di tutte le obbligazioni connesse al leasing.
Il curatore, infatti, si sostituisce all’utilizzatore fallito proseguendo nell’esecuzione del contratto e potendo, naturalmente, acquistare l’immobile alla scadenza del leasing.
Si è posta anche particolare attenzione all’autorizzazione del comitato dei creditori per il subentro nel leasing, alla risoluzione del contratto di leasing avvenuta ante fallimento e all’inefficacia delle clausole risolutive espresse, fino a giungere all’analisi dell’aspetto più problematico e difficile dell’intera disciplina: lo scioglimento dal leasing e le sue conseguenze.
A tal proposito, sono stati analizzati tutti i profili rilevanti connessi agli effetti di tale scelta: innanzi tutto, si è posta preliminare attenzione alla restituzione dell’immobile al concedente e al principio per cui tale restituzione è stata strutturata come un rapporto diritto-obbligo tra il concedente ed il curatore per cui, il concedente, oltre ad avere il pieno diritto alla restituzione dell’immobile, non sarà tenuto ad adempiere ad alcuna controprestazione nei confronti del curatore; di conseguenza tutti i canoni già versati non potranno essere resi.
Successivamente, si è posta l’attenzione al diritto del concedente a soddisfare il proprio credito residuo in linea capitale sull’immobile di sua proprietà, sia vendendolo, sia stipulando un nuovo contratto di leasing, sia, semplicemente, facendone stimare il “valore di mercato” e insinuandosi al passivo per quell’importo: se il credito residuo in linea capitale verrà soddisfatto, il concedente potrà insinuarsi al passivo per l’ammontare degli interessi maturati sui canoni scaduti e non pagati (non altresì, sui canoni non scaduti poiché tali canoni non sono mai sorti).
Se, contrariamente, oltre a soddisfare il proprio credito residuo in linea capitale il concedente ricaverà una maggior somma, dovrà restituire la differenza alla procedura fallimentare: giustamente, soltanto il credito residuo in linea capitale, composto dalla differenza tra il capitale investito per l’acquisto dell’immobile e tutti i canoni corrisposti dall’utilizzatore, potrà esser soddisfatto al di fuori del concorso sostanziale con gli altri creditori, in ragione della particolare tutela offerta al concedente dalla legge fallimentare.
Gli interessi non fanno parte di questo credito per cui potranno esser soddisfatti solo tramite sottoposizione alla procedura.
Se invece, il ricavato non sarà sufficiente a coprire l’intero importo del credito residuo in linea capitale, il concedente potrà insinuarsi al passivo per la
differenza di cui è creditore, in aggiunta agli interessi sui canoni scaduti insoluti; a tal proposito si è sollevato il dibattito in merito alla necessità o meno della previa allocazione del bene per l’insinuazione al passivo del credito vantato alla data del fallimento, aderendo alla tesi secondo la quale non è necessario disporre del bene per insinuarsi al passivo in quanto ciò che risulta indispensabile è la verifica dell’esatto valore di mercato posseduto dall’immobile194.
Una volta insinuato al passivo per quell’importo, il concedente potrà realizzare il proprio credito residuo nel modo che ritiene più opportuno.
Infine, ci si è concentrati sul rapporto intercorrente tra l’art. 67 e il 72 quater, ad iniziare dalla possibilità della revoca della risoluzione del contratto, attuabile allorquando si dimostri che il concedente era a conoscenza dell'insolvenza dell’utilizzatore e che, nei sei mesi precedenti il fallimento, ha agito per la risoluzione del contratto per poi concludere con l’analisi della sorte delle somme già riscosse dal concedente alla data del fallimento.
Somme che non sono soggette a restituzione in caso rientrino nei pagamenti regolari dei canoni di leasing: allorché, invece, esulino dai pagamenti effettuati nell’esercizio dell’attività d’impresa saranno soggette alla revocazione in quanto estranee alla regolare attività commerciale.
Ciò che, in definitiva, è possibile dire sulla disciplina del leasing immobiliare nel fallimento è che essa, pur strutturandosi su profili diversi da quelli della regolamentazione dei rapporti pendenti in generale, propone una soluzione efficace per la risoluzione delle problematiche inevitabilmente connesse al rapporto tra posizione del concedente e finalità della procedura fallimentare.
L’indagine che è stata proposta aveva come scopo l’analisi degli effetti del fallimento sul leasing immobiliare da effettuarsi con esauriente analisi dei numerosi punti critici; si è ritenuto indispensabile offrire le differenti tesi proposte dalla dottrina e dalla giurisprudenza di merito e di legittimità, per esporre le motivazioni della condivisione dell’una teoria anziché dell’altra.
Quello che emerge è, dunque, una disamina approfondita della sorte di questa particolare figura contrattuale nella procedura fallimentare, che si ritiene
194 Si ricordi che si aderisce all’interpretazione fondata sull’assunto che la restituzione del bene comporta l’attribuzione della piena facoltà dispositiva dell’immobile stesso, senza alcun tipo di vincolo.
essere una delle figure maggiormente utili e vantaggiose di tutto il panorama commerciale, per tutte le motivazioni che sono state più volte sottolineate.
Ed effettivamente volgendo l’attenzione al resoconto annuale proposto da Assilea, l’Associazione Italiana Leasing, si nota come nell’anno 2015 siano stati stipulati ben 3.993 contratti di leasing immobiliare per un importo complessivo di Euro 3.874.267, un quarto dell’importo totale finanziato con il leasing nell’anno 2015.
Dato l’ingente valore del finanziamento e, soprattutto, il valore degli immobili stessi, una disciplina troppo sbilanciata verso la procedura fallimentare avrebbe scoraggiato la diffusione del leasing immobiliare e avrebbe costretto le poche società concedenti a stipulare contratti di locazione finanziaria con clausole alquanto sconvenienti per l’utilizzatore.
Si ritiene che il legislatore fallimentare, conscio dell’inevitabile diffusione che avrebbe avuto figura negli anni successivi e dell’importanza che già rivestiva nel 2006 (nonché dell’utilità commerciali per gli imprenditori), abbia voluto predisporre una disciplina ad hoc in grado di consentirne lo sviluppo e la diffusione.
In particolare, in caso di scioglimento del leasing immobiliare l’obiettivo del legislatore risulta essere la soddisfazione extra concorsuale del concedente, nel tentativo di gravare il meno possibile sulla procedura fallimentare, salvo che per gli interessi sui canoni insoluti: ciò è conveniente sia per il concedente, il quale potrà recuperare l’intero capitale finanziato senza sottoporsi al concorso sostanziale, sia per il curatore, il quale potrà liberarsi della pretesa del concedente senza intaccare il patrimonio del debitore.
Si ritiene che, l’attuale disciplina pur con le difficoltà riscontrate nell’esatta individuazione dei limiti entro cui applicare le previsioni dell’art. 72 quater, soddisfi compiutamente le esigenze di un rapido ed efficace pagamento della pretesa del concedente, coinvolgendo attivamente il curatore nelle operazioni necessarie: ciò che è interessante sottolineare è che, grazie all’attività interpretativa svolta prevalentemente sulle norme del Libro IV del c.c., è stato possibile colmare le lacune della regolamentazione legislativa, offrendo soluzioni idonee a risolvere i casi maggiormente critici.
Si auspica, comunque, una definitiva presa di posizione sul differente valore rivestito dal credito residuo in linea capitale e il credito vantato alla data del fallimento, in modo da permetterne una coerente interpretazione con le finalità della procedura concorsuale, senza mortificare le peculiarità del contratto di leasing: l’idea di dover necessariamente disporre dell’immobile prima di chiedere l’ammissione al passivo non sembra infatti percorribile perché se è vero che la finalità dell’art. 72 quater è soddisfare il concedente fuori dal concorso, ciò che è assolutamente necessario è la verifica del valore dell’immobile anche per dare maggior sicurezza al curatore sulla bontà delle operazioni di vendita del concedente.
Concludendo, si spera in un intervento legislativo in grado di sciogliere definitivamente i dubbi sorti a seguito dell’attuazione pratica del subentro e dello scioglimento del leasing nel fallimento nonché le numerose questioni sorte circa l’estensione dei poteri del curatore fallimentare.
Bibliografia
Albanese Marco, Zeroli Andrea, “Leasing e Factoring”, FAG, Milano, 2014.
Amati Alberto, Amati Federica, Marchionni Maria Adelaide, Fogli Antonio, Monteleone Alessandro, Tosi Marcella, “Il leasing immobiliare: aspetti civilistici, fiscali e contabili”, IPSOA, Milano, 2012.
Aprile Fabrizio, ”Sub art 72 quater”, in M. Ferro, “La legge fallimentare. Decreto legislativo 12 Settembre 2007, n. 169. Disposizioni integrative e correttive”, CEDAM, Padova, 2008.
Aprile Fabrizio, “Sub art. 72 quater”, in M. Ferro, “La legge fallimentare: Commentario teorico-pratico”, CEDAM, Padova, 2014.
Bibolini Carlo, Effetti sui rapporti giuridici preesistenti, in (a cura di) G. Lo Cascio, “Compendio di Diritto fallimentare, IPSOA, Milano, 1996.
Bonacchi Massimiliano, Ferri Mascia, “Leasing Finanziario : profili contabili, fiscali e gestionali”, IPSOA, Roma, 2007.
Bonsignori Angelo, Nardo Giulio Nicola, Lazzara Margherita“ I contratti nelle procedure concorsuali”, Giuffrè, Milano, 1992.
Buonocore Vincenzo, “La locazione finanziaria”, in A. Cicu, F. Messineo, L. Mengoni, “Trattato di Diritto Civile e Commerciale : XII”, Giuffrè, Milano, 2008.
Bussani Mauro, “I contratti moderni. Factoring, franchising, leasing”, UTET, Torino, 2005.
Cafaia Antonio, Romeo Simona, “Il fallimento e le altre procedure concorsuali”, CEDAM, Padova, 2014.
Cafaia Flaminia, “Art. 72. Rapporti pendenti”, in L. Ghia, C. Piccinini, F. Severini “Trattato delle procedure concorsuali: Volume II”, UTET Giuridica, Milano, 2010.
Cafaia Flaminia, “Rapporti pendenti”, in L. Ghia, C. Piccinini, F. Severini,
“Trattato delle procedure concorsuali : Vol, II”, UTET, Milano, 2011.
Cagnasso Oreste, “I rapporti pendenti”, in (a cura di) S. Ambrosini, “Le nuove procedure concorsuali. Dalla riforma "organica" al decreto "correttivo, Zanichelli, Bologna, 2008.
Calandra Bonaura Vincenzo, “Orientamenti della dottrina in tema di locazione finanziaria”, in G. Cian, “Rivista Diritto Civile: Tomo II”, CEDAM, Padova, 1978.
Callegari Mia, “Vendita mobiliare e leasing”, in (diretto da) G. Cottino “Trattato di Diritto Commerciale : Vol. IX”, CEDAM, Padova, 2010.
Campobasso Gianfranco, “Diritto Commerciale: Vol. III”, UTET, Torino, 2007.
Capaldo Giuseppina, “Sub art. 72 quater”, in (a cura di) A. Nigro, M. Sandulli,
V. Santoro, “La legge fallimentare dopo la riforma”, Giappichelli, Torino, 2010.
Cavalli Gino, ”Sub art. 67, comma 3, lett. a)”, in A. Jorio,” Il nuovo diritto fallimentare”, Zanichelli, Bologna, 2006,
Clarizia Renato, “I contratti di finanziamento: leasing e factoring”, UTET, Torino, 1989.
Clarizia Renato, “I contratti per il finanziamento dell’impresa: Mutuo di scopo, leasing e factoring”, in V. Buonocore “Trattato di Diritto Commerciale: Sez. II, Tomo IV”, G. Giappichelli, Torino, 2002.
Clarizia Renato, “Contratti di leasing”, in (a cura di) E. Gabrielli, R. Lener, “I contratti del mercato finanziario”, Giappichelli, Torino, 2011.
De Nova Giorgio, “Il contratto di leasing: con 170 sentenze ed altri materiali”, Giuffrè, Milano, 1985.
De Roxas Simone, “Il contratto di leasing”, in (a cura di) G. Cassano, “I Singoli contratti”, CEDAM, Padova, 2010.
Di Marzio Fabrizio, “Rapporti pendenti in generale”, in (diretto da) G. Fauceglia,
L. Panzani, “Fallimento e altre procedure concorsuali”, UTET, Milano, 2009.
Dalla Verità Marco, Ghedini Lucio, “Sub art. 67”, in (diretto da) A. Maffei Alberti “Commentario breve alla legge fallimentare”, CEDAM, Padova, 1991.
Demarchi Paolo Giovanni, “Leasing e fallimento”, in (a cura di) S. Sanzo,
“Procedure concorsuali e rapporti pendenti”, Zanichelli, Bologna, 2009.
Diana Antonio Gerardo “La proprietà immobiliare urbana: Circolazione, locazione e leasing immobiliare, Tomo I”, Giuffrè, Milano, 2007.
Dimundo Antonio, Patti Adriano, “I rapporti giuridici pendenti nelle procedure concorsuali minori”, Giuffrè, Milano, 1999.
Dimundo Francesco, “Sub Art. 72”, in (a cura di) G. Lo Cascio, “Codice commentato del fallimento”, IPSOA, Milano, 2008.
Dimundo Antonio, “Gli effetti del fallimento sui rapporti giuridici preesistenti”, in (a cura di) G. Schiano di Pepe, “Il diritto fallimentare riformato”, CEDAM, Padova, 2008.
Ferrara Francesco Jr, Borgioli Alessandro, “Il fallimento”, Giuffrè, Milano, 1995, p. 372.
Ferri Giuseppe, Angelici Carlo, “Manuale di diritto commerciale”, UTET, Torino, 1993.
Fiengo Cristiana, “Rapporti pendenti”, in (diretto da) C. Cavallini,
“Commentario alla legge fallimentare: Art. 64-123”, EGEA, Milano, 2010.
Fimmanò Francesco, “Sub art. 104”, in (diretto da) A. Jorio, M. Fabiani, “Il nuovo diritto fallimentare”, Zanichelli, Bologna, 2006.
Gabrielli Enrico, “Gli effetti sui rapporti giuridici in corso di esecuzione alla data del fallimento”, in F. Vassalli, F.P. Luiso, E. Gabrielli, “Gli effetti del fallimento : Volume III”, G. Giappichelli, Torino, 2014.
Gabrielli Giorgio, “Considerazioni sulla natura del leasing immobiliare e loro riflessi in tema di pubblicità e responsabilità civile”, in (diretto da) W. Bigiavi, “Rivista Italiana Diritto Civile”, CEDAM, Padova, 1984
Galgano Francesco, “Trattato di Diritto Civile, Volume II”, CEDAM, Padova, 2015.
Gazzoni Francesco, “La trascrizione immobiliare”, in (diretto da) P. Schlesinger
“Il Codice Civile. Commentario”, Giuffrè, Milano, 1998.
Genovese Anna, “Effetti del fallimento sui contratti in corso di esecuzione. Prime considerazioni sulle novità della riforma”, in “Fall.”, 2006.
Giudici Antonio, “Sub art. 72 quater”, P. Pajardi, “ Sub Art. 72”, in P. Pajardi,
M. Bocchiola, A. Paluchowski, “Codice Commentato del Fallimento”, Giuffrè, Milano, 2013.
Grossi Maria Rosaria, “La riforma della legge fallimentare”, Giuffrè, Milano, 2006.
Guerrieri Gianluca, “Sub art. 67”, in (diretto da) A. Maffei Alberti,
“Commentario breve alla legge fallimentare”, CEDAM, Padova, 2009.
Guglielmucci Lino, Effetti del fallimento sui rapporti giuridici preesistenti, in (a cura di) F. Bricola, F. Galgano, G. Santini, “Comm. Scialoja - Branca. Legge fallimentare”, Zanichelli, Bologna, 1979.
Guglielmucci Lino “Gli effetti del fallimento sui rapporti giuridici pendenti”, in (diretto da) G. Ragusa Maggiore, C. Costa, “Le procedure concorsuali. Il Fallimento”, UTET Giuridica, Torino, 1997.
Guglielmucci Lino, “Il sistema dei rapporti preesistenti nel fallimento”, in (a cura di) L. Gugliemucci, “I contratti in corso di esecuzione nelle procedure concorsuali”, CEDAM, Padova, 2006.
Guglielmucci Lino, “Effetti del fallimento sui rapporti giuridici preesistenti”, in
A. Jorio, M. Fabiani, “Il nuovo diritto fallimentare: Tomo I”, Zanichelli, Bologna, 2006.
Guglielmucci Lino, “Diritto Fallimentare”, G. Giappichelli, Torino, 2014.
Inzitari Bruno, “Sub art. 72 quater”, in (diretto da) A. Jorio, “Il nuovo diritto fallimentare: Volume I”, Zanichelli, Bologna, 2006.