Contratto di soccida.
Valore delle rimanenze finali
Cass. Sez. V Civ. 11 settembre 2020, n. 18842 - Xxxxxxx, pres.; Xxxxxxxxx, est. - Valleverde Società agricola s.r.l. (avv. Vianello) c. Agenzia delle Entrate (Avv. gen. Stato). (Cassa con rinvio Comm. trib. reg. Veneto 31 gennaio 2012, n. 10)
Imposte e tasse - Allevamento di bestiame - Contratto di soccida - Accertamento del maggior valore delle rimanenze finali costituite da animali in stalla - Determinazione del reddito.
Ai sensi dell’art. 2170 nel contratto di soccida (semplice) il bestiame è conferito solo dal soccidante, senza che si abbia alcun trasferimento della proprietà dello stesso in capo al soccidario. Posto che la quantificazione eventuale delle rimanenze finali è basata sull’accrescimento del valore (del dato ponderale) degli animali non è possibile procedere ad una «suddivisione» delle giacenze tra soccidante e soccidario, che ha contribuito all’accre- scimento degli animali con la fornitura dei mangimi, mediante una ripartizione «equitativa» del maggior valore delle giacenze. Pertanto, ai fini della determinazione del reddito, il soccidante, quale proprietario del bestiame, non può esigere che le spese sostenute dal soccidario determinino un abbat- timento del valore delle rimanenze medesime.
(Omissis)
FATTO
L’Agenzia delle Entrate eseguiva una verifica nei confronti di Valleverde Società agricola s.r.l., esercente l’attività di alleva- mento bovini e produzione di latte crudo, rilevando che il bestiame acquistato, in parte veniva allevato direttamente ed in parte veniva allevato da terzi, con i quali la società stipulava contratti di soccida. Al termine della verifica l’ente impositore notificava alla società Valleverde un avviso di accertamento per l’anno di imposta 2006 con cui procedeva ad una pluralità di riprese a tassazione ai fini IRES, IRAP ed IVA. Per quanto di interesse nel presente giudizio, l’Ufficio accertava in Euro
1.302.305 il maggior valore delle rimanenze finali costituite dagli animali in stalla alla data del 31 dicembre 2006; considerava indetraibile una quota di IVA di Euro 16.666 detratta dalla verificata in relazione ad una fattura passiva dell’importo di Euro
468.000 che però la società aveva saldato solo in parte, per il minore importo di Euro 368.000.
Contro l’avviso di accertamento la società Valleverde proponeva ricorso alla Commissione tributaria provinciale di Treviso che lo accoglieva parzialmente con sentenza n. 73 del 2010.
La società proponeva appello e l’Agenzia delle Entrate si costituiva proponendo appello incidentale. La Commissione tribu- taria regionale del Veneto con sentenza n. 10 del 31 gennaio 2012 accoglieva parzialmente l’appello della società e rigettava l’appello incidentale dell’Ufficio. Con riferimento alle giacenze costituiti dai capi di bestiame presenti nelle stalle alla data del 31 dicembre 2006, la C.T.R. rilevava che la società Valleverde aveva documentato che i costi per mangimi, medicinali ed altro destinati all’accrescimento degli animali erano sostenuti dai soccidari concludendo che «mancando criteri ed elementi certi per una valutazione sicura delle giacenze spettanti alla soccidante Valleverde, la Commissione ritiene di poter procedere in maniera equitativa valutando le rimanenze di competenza della stessa società agricola s.r.l. in Euro 750.000»; con riferimento alla inde- bita detrazione dell’IVA per Euro 16.666 si riportava alla motivazione del giudice di primo grado.
Contro la sentenza di appello l’Agenzia delle Entrate propone due motivi di ricorso per cassazione.
La società Valleverde Società agricola s.r.l. resiste con xxxxxxxxxxxxx e propone ricorso incidentale sulla base di tre motivi.
DIRITTO
A) Ricorso principale.
1. Il primo motivo denuncia: «Violazione e falsa applicazione del d.p.r. n. 917 del 1986, art. 92 e degli artt. 2170 c.c. e ss. in relazione all’art. 360 c.p.p., comma 1, n. 3 nella parte in cui ha ridotto ad Euro 750.000 le rimanenze finali accertate dall’Uffi- cio».
Il motivo è fondato. Non è controverso che la proprietà degli animali allevati sia della società Velleverde soccidante. L’Ufficio ha determinato il valore delle rimanenze finali (animali in stalla alla data del 31 dicembre 2006) sommando al costo di acquisto il «costo stalla» sopportato dalla società per l’accrescimento del valore (ossia del peso) degli animali stessi. Il giudice di appello, dopo avere convenuto che la quantificazione delle rimanenze finali è basata sull’accrescimento del valore (del dato ponderale) degli animali, erroneamente procede ad una «suddivisione» delle giacenze tra soccidante e soccidari che hanno contribuito all’accrescimento degli animali mediante fornitura del mangimi, operando una ripartizione «equitativa» del maggior valore delle giacenze e quindi riducendo ad Euro 750.000 la giacenza posta dall’Ufficio ad esclusivo carico della società soccidante. In
realtà, come osserva correttamente parte ricorrente, la rettifica delle rimanenze finali si riflette esclusivamente sulla determi- nazione del reddito relativo all’esercizio 2006 attribuibile alla società Valleverde proprietaria degli animali, mentre le spese sostenute dai soccidari non determinano alcun abbattimento del valore delle rimanenze finali di pertinenza esclusiva della soccidante Valleverde.
2. Il secondo motivo denuncia: «Violazione del d.lgs. n. 546 del 1992, art. 36, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4» nella parte in cui la C.T.R., con motivazione apparente, ha rigettato l’appello incidentale dell’Ufficio relativamente al rilievo relativo alla indebita detrazione IVA per Euro 16.666 poiché effettuata su una parte di corrispettivo non pagato.
Il motivo è fondato. A fronte di una articolata esposizione dei motivi di appello per i quali l’Ufficio riteneva illegittima la deduzione dell’IVA effettuata dalla società sulla intera somma esposta in fattura pari ad Euro 468.000, mentre il corrispettivo effettivamente saldato, sul quale calcolare l’IVA detraibile, era di Euro 368.000, il giudice di appello risolve la questione con la seguente affermazione: «Relativamente al punto 4, la Commissione osserva che quanto stabilito dai primi giudici possa essere confermato e le motivazioni condivise». Così formulata la motivazione è totalmente vuota di contenuto ed integra la fattispecie della motivazione meramente apparente, nei termini precisati da questa Corte (Sez. Un. n. 22232 del 3 novembre 2016), in quanto non rende intellegibili le ragioni per le quali il giudice di appello è pervenuto a rigettare le dettagliate censure alla sentenza di primo grado sviluppate nei motivi di impugnazione (con riferimento ai limiti di ammissibilità della motivazione per relationem si richiamano Sez. III n. 15483 dell’11 giugno 2008; Sez. VI-V n. 11138 del 2011).
B) Ricorso incidentale.
1. Il primo motivo denuncia: «Violazione ed errata applicazione dell’art. 92 T.U.I.R. e degli artt. 2170 c.c. e ss. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3», per erroneità della sentenza quanto alle conclusioni tratte in violazione dell’art. 92 T.U.I.R. Il motivo è fondato per le medesime ragioni già indicate nell’esame del primo motivo di ricorso principale.
2. Il secondo motivo denuncia: «Contraddittorietà della motivazione con riguardo alla determinazione del valore delle rima- nenze (in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5).
3. Il terzo motivo denuncia: «Sulla illegittima irrogazione delle sanzioni. Omessa pronuncia, violazione ed errata applicazione dell’art. 112 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4» nella parte in cui ha omesso di scrutinare il motivo del ricorso introduttivo, reiterato nell’atto di appello, relativo alla illegittimità delle sanzioni irrogate per mancanza dell’elementi psicolo- gico e, subordinatamente, per la mancata applicazione dell’istituto della progressione di cui al d.lgs. n. 472 del 1997, art. 12.
I motivi secondo e terzo sono assorbiti dall’accoglimento del primo motivo di ricorso incidentale e dall’accoglimento del ricorso principale.
La sentenza deve pertanto essere cassata in accoglimento del ricorso principale e del primo motivo di ricorso incidentale, assorbiti il secondo e terzo motivo di ricorso incidentale, con conseguente rinvio alla Commissione tributaria regionale del Veneto, in diversa composizione, la quale provvederà anche alla regolazione delle spese del giudizio di legittimità.
(Omissis)
Valore delle rimanenze finali
Con la sentenza n. 18842/2020, in epigrafe, la Cassazione è stata chiamata a pronunciarsi su di una con- troversia, sorta tra una società agricola s.r.l. e l’ufficio dell’Agenzia delle Entrate, riguardante un contratto di soccida. Prima di entrare nel merito del contenzioso sembra opportuno fare un richiamo alle norme civilistiche di riferimento nonché ai chiarimenti forniti in proposito dalla giurisprudenza e dalla prassi ministeriale.
Come noto, il contratto di soccida è disciplinato dall’art. 2170 c.c. e si realizza quando un soggetto, de- nominato «soccidante», si associa con altro soggetto, definito «soccidario», al fine di allevare e sfruttare una certa quantità di bestiame nonché espletare le attività connesse per ripartirne poi l’accrescimento del bestiame e gli altri prodotti e utili che ne derivano.
Nella soccida «semplice» il bestiame è conferito solo dal soccidante, senza che si abbia alcun trasferimento della proprietà dello stesso in capo al soccidario. Prima del conferimento viene fatta una stima di quanto conferito (circa numero, razza, qualità, peso, sesso ed età) che servirà poi per determinare il prelevamento a cui avrà diritto il soccidante alla fine del contratto.
Il soccidante ha, pertanto, la direzione dell’impresa ed il soccidario presta il lavoro necessario al fine di conseguire l’obiettivo comune costituito dall’accrescimento del bestiame.
La durata del contratto, se non disposto diversamente, è di tra anni e si rinnova di anno in anno salvo disdetta formulata sei mesi prima della scadenza o nel maggior termine fissato dal contratto o dagli usi, così come previsto dall’art. 2172 c.c.
Alla fine del contratto gli accrescimenti del bestiame (nonché i prodotti, gli utili e le spese) sono ripartiti secondo gli accordi delle parti o, nel silenzio, dagli usi. In base all’esito di una ulteriore stima il soccidante preleverà un numero di capi corrispondente a quanto conferito all’inizio del rapporto (artt. 2178 e 2181 c.c.).
Oltre alla soccida semplice è prevista quella c.d. «parziaria», di cui all’art. 2182 c.c., che si distingue dalla precedente per il fatto che entrambi i soggetti (soccidante e soccidario) conferiscono il bestiame e ne divengono comproprietari in proporzione del rispettivo conferimento. Alla fine del contratto, il prelievo si avrà solamente nel caso in cui il valore delle quote di riparto dell’accrescimento sia diverso da quello che le stesse avevano al momento del conferimento. Diversamente sarà sufficiente ridistribuire tra xxxxx- xxxxx e soccidario l’intero numero di capi, secondo quanto apportato da ognuno all’inizio della soccida. In tal senso l’art. 2184 c.c. il quale stabilisce che gli accrescimenti, i prodotti, gli utili, le spese e il bestiame si dividono, al termine del contratto, nella proporzione stabilita dalle norme corporative, dalla conven- zione o dagli usi.
Infine, vi è la soccida «con conferimento di pascolo», disciplinata dall’art. 2186 c.c., che si realizza allor- quando il bestiame è conferito dal soccidario mentre il terreno per il pascolo è conferito dal soccidante; in tal caso il soccidario ha la direzione dell’impresa, posto che contribuisce in misura maggiore appor- tando gli elementi necessari (il bestiame ed il proprio lavoro), e al soccidante spetta il controllo della gestione.
Il contratto maggiormente utilizzato, in ambito zootecnico, è il primo (soccida semplice) dove il xxxxx- xxxxx, per quanto detto, conferisce il bestiame al soccidario il quale deve avere comunque una propria autonomia imprenditoriale assumendosi i rischi propri dell’impresa.
Il compenso forfetario attribuito al soccidario non rientra nella previsione del contratto di soccida; poiché non rientra nel novero di quelli tipici utilizzati in agricoltura è riconducibile al contratto d’opera (art. 2222 c.c.)1.
Circa la natura del contratto, nei suoi tre tipi (semplice, parziaria o con conferimento di pascolo) la Cas- sazione2 ha affermato che «costituisce un contratto agrario associativo, e non un contratto di società, per cui, al momento dello scioglimento del rapporto, il soccidario può vantare solo i diritti (previsti dagli arti. 2183 e 2184 c.c.) agli accrescimenti, ai prodotti e agli utili, secondo quanto stabilito dalla convenzione, dalle norme o dagli usi (...)».
La puntualizzazione è conforme ad un precedente pronunciamento dove è stato asserito che «Nella soccida, quale contratto a struttura associativa qualificato dalla comunanza di scopo, la ripartizione dell’accrescimento del bestiame e degli altri prodotti e utili, prevista dall’art. 2170 c.c., rappresenta solo il normale bilanciamento economico dei rispettivi interessi, sicché le parti possono, nella loro autonomia, stabilire un diverso regime senza alterare la natura associativa del rapporto, pattuendo che l’accrescimento e i prodotti stessi spettino interamente al soccidario, restando invece di spettanza del soccidante ogni pubblica contribuzione finalizzata all’allevamento del bestiame»3.
Questa sua «natura associativa» è stata ribadita anche in sede di riforma dei contratti agrari, operata dal d.lgs. n. 203/1982, dove all’art. 45 è stato espressamente disposto il divieto di stipulare «contratti di mez- zadria, colonìa parziaria, di compartecipazione agraria, esclusi quelli stagionali e quelli di soccida»
Fra l’altro con lo stesso decreto legislativo (art. 25, comma 1) è stata prevista la conversione in affitto dei contratti di mezzadria e quelli di colonìa parziaria; conversione in affitto estesa anche ai contratti di com- partecipazione agraria e ai contratti di soccida con conferimento di pascolo e ai contratti di soccida par- ziaria, in presenza di conferimento di pascolo, quando l’apporto del bestiame da parte del soccidante sia inferiore al venti per cento del valore dell’intero bestiame conferito dalle parti.
Ai fini fiscali l’Amministrazione finanziaria, intervenendo sul tema relativamente all’imposta sul valore aggiunto (IVA)4, ha chiarito che nel caso di allevamenti condotti in base ad un contratto di soccida, secondo le norme civilistiche, sono da ritersi «produttori agricoli» ed usufruire del regime «speciale», ai sensi dell’art. 34 del d.p.r. n. 633/19725, in quanto partecipi dell’attività stessa di allevamento di cui si assumono i rischi in proporzione alle quote conferite, sia il soccidario che il soccidante il quale svolga in proprio l’attività di allevatore. Va da sé che qualora il soccidante, che si avvale dei contratti associativi in questione, non disponga di un suo, ancorché minimo, allevamento non può avvalersi del predetto art. 34; deve, quindi, disporre, in qualità di proprietario o affittuario, di fabbricati rurali destinati al ricovero degli animali (stalle) e curarne l’attività medesima.
Il Ministero ha altresì fatto presente che, stante le condizioni di cui sopra, alle cessioni aventi per oggetto i frutti dell’allevamento può essere applicato il suddetto regime speciale IVA. In tal caso, la veste di con- tribuente viene assunta dal solo soccidante qualora provveda alla vendita dell’intero prodotto, ovvero anche dal soccidario se vende la parte di sua spettanza.
Qualora la quota di frutti spettanti al soccidario sia liquidata dal soccidante con l’equivalente in denaro, tale somma non deve considerarsi soggetta ad IVA in quanto in tal caso il soccidante non fa altro che anticipare al soccidario la quota di frutti ad esso spettante quale ripartizione proporzionale del prezzo ricavato dalla successiva vendita, effettuata dal medesimo soccidante, di tutti i frutti della soccida6.
1 Ministero delle Finanze, ris. n. 560921 del 16 novembre 1990
2 Cfr. Cass. Sez. III 7 novembre 2005, n. 21491, in Foro it., 2006, 10, 2885.
3 Cfr. Cass. Sez. III 8 giugno 1999, n. 5613, in questa Riv., 2000, 184.
4 Ministero delle finanze, circ. 27 aprile 1973, n. 32 (parte n. 7)
5 Il regime speciale IVA si basa su di una detrazione forfetaria costituita dall’applicazione di percentuali di compensazione fissate con apposito decreto del Ministero dell’economia e finanze di concerto con quello delle politiche agricole, alimentari e forestali. Più propriamente la detrazione dell’imposta è pari al valore corrispondente all’applicazione, all’ammontare imponibile delle cessioni dei beni, delle predette percentuali individuate per gruppi di prodotti dal decreto.
6 Ministero delle finanze, ris. 7 dicembre 1973, n. 504929.
Ulteriori delucidazioni sono state fornite in seguito7 evidenziando che il conferimento e la cessione di anomali non costituiscono, ai fini del contratto di soccida (sia semplice che parziaria), atti di acquisto poiché non rappresentano fattispecie di natura traslativa. Pertanto non sono assoggettati ad IVA la qual cosa non preclude comunque l’applicazione del regime speciale per le successive cessioni.
Dal punto di vista, invece, delle imposte dirette sia il soccidante che il soccidario sono da ritenersi soggetti autonomi d’imposta anche per quanto concerne i relativi redditi derivanti dall’esercizio dell’attività di allevamento del bestiame8; redditi che possono essere determinati mediante:
- il reddito agrario (art. 32 del d.p.r. n. 917/1986 - T.U.I.R.), se il terreno è sufficiente a produrre almeno un quarto del mangime necessario;
- con appositi coefficienti (art. 56, comma 5, del T.U.I.R.), se il terreno non è sufficiente a produrre almeno un quarto del mangime necessario;
- le risultanze di bilancio (costi e ricavi), qualora l’allevamento sia condotto senza terra.
Al fine di individuare quale terreno prendere in considerazione, se del soccidante o del soccidario, per determinare la copertura degli animali allevati, l’Amministrazione finanziaria ha fatto presente che, es- sendo solitamente fornito dal soccidante il mangime per i capi allevati, non assume rilevanza il fatto se il soccidario abbia o meno la disponibilità del terreno; d’altronde poiché quest’ultimo concorre con la sua forza lavoro al mantenimento degli stessi è comunque titolare di reddito agrario.
Quello che, in fine, il soccidante deve in ogni caso fare, quale proprietario degli animali, è di contabilizzare separatamente sia la quota di animali a lui spettante che quella di competenza del soccidario con conse- guente tenuta del registro «di carico e scarico».
La Suprema Corte è intervenuta a più riprese sugli aspetti tributari legati alla soccida. Si citano a titolo esemplificativo i chiarimenti forniti in materia di abuso del diritto9 allorquando è stato affermato che «non è simulato il contratto di soccida semplice in cui si stabilisce che il soccidante fornisca il mangime al soccidario. L’Ammini- strazione finanziaria non può contestare l’abuso del diritto, recuperando a tassazione la presunta IVA risparmiata dal contribuente, perché il conferimento degli alimenti da parte di quest’ultimo all’allevatore (soccidante) non è una pattuizione che contrasta con la funzione economico-sociale del contratto agrario in questione». Alla base della vicenda vi era stato un controllo fiscale, eseguito dagli organi preposti, nei confronti di una società agricola a cui era stato contestato il carattere simulato di un contratto di soccida intercorso tra la contribuente e altra società, quindi l’obbligo di fatturazione delle prestazioni permutative ai sensi degli artt. 11 e 13 del d.p.r. n. 633/1972. A seguito del predetto controllo e sulla scorta del p.v.c. (processo verbale di constatazione) l’Amministrazione finanziaria aveva emesso degli avvisi di rettifica che notificava alla società contri- buente.
In altra circostanza, la Corte di legittimità10, affrontando gli aspetti legati al compenso ricevuto dal xxxxx- xxxxx, ha chiarito che «In tema di IVA, non ha diritto alla detrazione prevista dal d.p.r. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 19, il soccidario per le spese sostenute per l’attività dedotta nel rapporto associativo, nel caso in cui la commercializza- zione del bestiame sia stata effettuata esclusivamente dal soccidante, ancorché il soccidario abbia percepito gli utili conseguenti allo svolgimento del rapporto di soccida, per le quali le parti abbiano concordato la monetizzazione degli stessi in suo favore». Fatte queste sommarie precisazioni e tornando alla sentenza, oggetto di commento, il tutto nasce, anche in questo caso, da una verifica che l’ufficio dell’Agenzia delle Entrate aveva fatto nei confronti di una società agricola s.r.l. esercente l’attività di allevamento bovini e produzione di latte crudo. Risultava che il bestiame acquistato era in parte allevato direttamente dalla società ed in parte da terzi con i quali era stato stipulato un contratto di soccida semplice.
7 Ministero delle finanze, circ. 9 febbraio 1995, n. 48/E.
8 Ministero delle finanze, ris. 26 luglio 1979, n. 9/1266.
9 Cfr. Cass. Sez. V 29 agosto 2013, n. 19738, in De Jure Xxxxxxx.
10 Cfr. Cass. Sez. V 15 luglio 2015, n. 14971, in De Jure Giuffrè.
Al termine della verifica l’ufficio determinava il valore delle rimanenze finali (animali presenti in stalla alla data del 31 dicembre 2006) sommando al costo di acquisto il «costo stalla»11 sopportato dalla società (soccidante) per l’accrescimento del valore (ossia del peso) degli animali stessi. Avendo accertato un mag- gior valore delle rimanenze finali, costituite dagli animali presenti in stalla, notificava all’interessata un avviso di accertamento (anno di imposta 2006) dove erano recuperate a tassazione diverse imposte (IRES, IRAP e IVA); l’ufficio, fra l’altro, considerava indetraibile una quota di IVA detratta ad una fattura passiva che però la società aveva saldato solo in parte, per un importo minore.
Contro tale avviso la società ricorreva alla C.T.P. che accoglieva parzialmente le doglianze della contri- buente; quest’ultima proponeva appello alla C.T.R. e l’Agenzia delle Entrate si costituiva con appello incidentale. Anche in questo caso la Commissione tributaria accoglieva parzialmente l’appello della so- cietà rigettando quello incidentale dell’Amministrazione finanziaria. Giustificava la sua decisione rile- vando, con riferimento alle giacenze dei capi di bestiame presenti nelle stalle alla data di ultimazione della verifica, che l’appellante società aveva documentato che i costi per mangimi, medicinali ed altro, destinati all’accrescimento degli animali, erano stati sostenuti dai soccidari per cui, mancando criteri ed elementi certi per una valutazione sicura delle giacenze spettanti alla soccidante, era possibile procedere ad una ripartizione «equitativa» del maggior valore delle giacenze riducendo così il valore di queste in misura significativa, contrariamente a quanto accertato dall’Ufficio secondo il quale erano, invece, ad esclusivo carico della società soccidante.
La vertenza aveva, quindi, il suo epilogo in Cassazione davanti alla quale ricorreva l’Agenzia delle Entrate (ricorso principale) e la società agricola resisteva con controricorso (ricorso incidentale).
In tale sede l’Amministrazione finanziaria contestava la decisione della C.T.R. circa le valutazioni fatte:
- in ordine al valore delle rimanenze finali accertate dall’ufficio;
- all’indebita detrazione IVA in quanto effettuata su una parte di corrispettivo non pagato.
Circa il primo motivo, l’Agenzia riteneva violati ed erroneamente applicati l’art. 92 del d.p.r. n. 917/1986 (Testo unico delle imposte sui redditi - T.U.I.R.) e art. 2170 c.c.
Questo induce a ritenere che il regime di determinazione del reddito, scelto dalla contribuente, fosse quello in base alle risultanze di bilancio (costi e ricavi) ma non è dato di sapere perché la sentenza non è del tutto esaustiva.
Xxxxxx, l’art. 92 del T.U.I.R. individua i criteri di stima delle giacenze finali di beni fungibili (cioè quei beni che non avendo una specifica individualità possono essere sostituiti con un altri) il cui scostamento rispetto al dato dell’inizio del periodo d’imposta rileva ai fini del calcolo del reddito d’impresa. La dispo- sizione in questione si rende applicabile ai beni di cui all’art. 85, comma 1, lett. a) e b), del T.U.I.R.; si tratta, ad esempio, dei beni alla cui produzione o al cui scambio è diretta l’attività d’impresa. La valuta- zione fiscale di tali beni, qualora non sia effettuata a costi specifici, richiede il preventivo raggruppamento degli stessi in categorie omogenee per natura e valore o contenuto economico e la successiva stima in base ad un valore non inferiore a quello risultante dall’applicazione del criterio di determinazione del costo secondo il metodo della media ponderata.
Nel merito i giudici di legittimità, ritenendo fondati i rilievi mossi dall’Agenzia, hanno osservato che la rettifica delle rimanenze finali, operata dall’ufficio, si rifletteva esclusivamente sulla determinazione del reddito relativo all’esercizio d’imposta accertato che era riconducibile alla società proprietaria degli ani- mali mentre le spese sostenute dai soccidari non potevano determinare alcun abbattimento del valore delle rimanenze finali posto che erano comunque di pertinenza esclusiva della soccidante. La C.T.R., dopo aver convenuto che la quantificazione delle rimanenze finali era basata sull’accrescimento del valore (del dato ponderale) degli animali, ha tuttavia errato nel procedere alla «suddivisione» delle giacenze tra soccidante e soccidari, che avevano contribuito all’accrescimento degli animali mediante fornitura del mangimi, operando quella ripartizione «equitativa» del maggior valore delle giacenze che, invece, non
11 Il costo di stalla è costituito da una serie di voci quali ad esempio: personale, alimenti per i bovini, veterinario, detergenti, energia elettrica, gasolio agricolo ed altro.
andava effettuata in ragione del fatto che nella soccida semplice la giacenza è ad esclusivo carico del soccidante.
Quanto al secondo motivo di contestazione, ritenuto anch’esso meritevole di considerazione, la Corte ha rilevato che la C.T.R. si era limitata a confermare le valutazioni dei giudici di primo grado (motivazione apparente) senza però chiarire adeguatamente le ragioni che avevano indotto la stessa Commissione tri- butaria provinciale a respingere il ricorso dell’Amministrazione finanziaria12. In quella sede, l’ufficio dell’Agenzia aveva dettagliatamente esposto i motivi per i quali riteneva illegittima la deduzione dell’IVA effettuata dalla soccidante; deduzione operata sulla intera somma esposta in fattura mentre il corrispettivo effettivamente saldato, sul quale calcolare l’IVA detraibile, risultava inferiore.
Da ultimo, la Corte ha ritenuto che le stesse considerazioni fatte circa l’errata applicazione dell’art. 92 del
T.U.I.R. dovevano ritenersi valide anche ai fini dell’appello incidentale.
Xxxxx Xxxxxxxx
12 Cfr. Cass. Sez. III 11 giugno 2008, n. 15483, in Giust. civ. Mass., 2008, 6, 922; Cass. Sez. VI 20 maggio 2011, n. 11138, ivi,
2011, 5, 773.