Sommario
Oggetto: D.M. 8 giugno 2011 – Disposizioni di coordinamento tra i principi contabili internazionali, di cui al regolamento (CE) n. 1606/2002 del Parlamento europeo e del Consiglio del 19 luglio 2002, adottati con regolamento UE entrato in vigore nel periodo compreso tra il 1° gennaio 2009 e il 31 dicembre 2010, e le regole di determinazione della base imponibile dell'IRES e del'IRAP, previste dall'articolo 4, comma 7-quater, del decreto legislativo 28 febbraio 2005, n. 38
Rif.: 525; 540
Sommario
Art. 1 – Definizione e ambito di applicazione 7
Art. 2 – Prospetto delle altre componenti di conto economico - OCI 8
Art. 3 – Classificazione degli immobili 18
Art. 4 – Riclassificazione delle attività finanziarie 24
Art. 5 – Strumenti finanziari 39
Art. 6 – Operazioni con pagamenti basati su azioni per servizi forniti da dipendenti 53
Art. 7 – Operazioni di copertura 58
Art. 8 – Beni gratuitamente devolvibili 74
Art. 9 – Accantonamenti 78
Art. 10 - Ammortamenti beni immateriali a vita utile indefinita 85
Art. 11 - Regole di compatibilità della disciplina del riallineamento e rivalutazione volontari di valori contabili 88
Premessa
La presente circolare contiene un primo commento alle disposizioni del decreto 8 giugno 2011 del Ministro dell’economia e delle finanze (“Decreto”), pubblicato nella
G.U. n. 135 del 13 giugno 2011, recante disposizioni di coordinamento tra i principi contabili internazionali omologati con regolamenti comunitari entrati in vigore nel periodo compreso tra il 1° gennaio 2009 e il 31 dicembre 2010 e le regole di determinazione della base imponibile IRES ed IRAP.
Il Decreto, emanato in attuazione dell’art. 2, comma 28, del D.L. 29 dicembre 2010, n. 225 (cd. “decreto milleproroghe”) ed ovviamente rivolto ai soli soggetti IAS, ha la finalità di adeguare ai principi contabili di nuova emanazione (e omologazione) le norme del testo unico delle imposte sui redditi (“TUIR”) che regolano la determinazione del reddito imponibile, la cui applicazione sarebbe altrimenti fondata unicamente sul generale principio di derivazione rafforzata sancito dall’art. 83 TUIR, che attribuisce rilevanza ai “criteri di qualificazione, imputazione temporale e classificazione” stabiliti dai principi contabili internazionali. Analoghe disposizioni di coordinamento sono state introdotte anche per l’IRAP.
Com’è noto, il principio di derivazione rafforzata espone la determinazione del reddito imponibile alle modifiche ai principi contabili internazionali approvate dagli organi competenti (IASB e Commissione UE). Tali modifiche, essendo recepite mediante regolamenti comunitari, esplicano la loro efficacia vincolante a prescindere da qualsiasi verifica di coerenza con l’ordinamento civilistico e da qualunque valutazione di compatibilità con il sistema fiscale nazionale. La disciplina fiscale dei soggetti IAS, d’altro canto, è stata concepita sulla base delle regole contabili vigenti al momento della sua emanazione; in tale prospettiva, con la L. n. 244/2007 (“Legge Finanziaria 2008”) prima e con il decreto del Ministro dell’economia e delle finanze n. 48 del 1° aprile 2009 (“D.M. n. 48/2009” o “Decreto IAS”o “Regolamento IAS”) poi, il legislatore aveva operato un puntuale coordinamento tra le norme in materia di reddito imponibile e il
sistema IAS/IFRS, per gli aspetti in relazione ai quali l’applicazione del principio di derivazione rafforzata avrebbe potuto determinare distorsioni o anomalie, o altrimenti richiedere misure di cautela a salvaguardia dell’interesse erariale. Tuttavia, nel biennio 2009-2010, le regole contabili internazionali hanno subito rilevanti modifiche, sia per effetto di variazioni degli IAS preesistenti, sia per effetto delle interpretazioni IFRIC. Tali modifiche, suscettibili di immediate ricadute sulla determinazione del reddito imponibile, richiedevano in taluni casi un adeguamento della disciplina fiscale in vigore.
A tal fine, in sede di conversione del “decreto milleproroghe”, la L. 26 febbraio 2011, n. 10, ha introdotto disposizioni rivolte ad assicurare il coordinamento dei principi contabili internazionali di nuova adozione, oltre che con le regole civilistiche attinenti alla funzione del bilancio d’esercizio, anche con quelle fiscali relative alla determinazione della base imponibile. In particolare, con l’aggiunta dei commi da 7-bis a 7-quater all’art. 4 del D.Lgs. 28 febbraio 2005, n. 38, è stata introdotta un’apposita procedura (disciplinata nel comma 7-ter) che, per i principi contabili internazionali adottati con regolamenti UE entrati in vigore successivamente al 31 dicembre 2010, autorizza il Ministro della giustizia di concerto con quello dell’economia e delle finanze, acquisito il parere dell’OIC e sentiti la Banca d’Italia, la Consob e l’ISVAP, ad emanare, entro novanta giorni dalla loro adozione, eventuali disposizioni di coordinamento tra i nuovi IAS omologati dalla UE e la disciplina del bilancio d’esercizio dettata dal codice civile. E’ stato inoltre previsto che, entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore del decreto “di coordinamento contabile”, ovvero entro centocinquanta giorni dalla pubblicazione del nuovo principio contabile, nei casi in cui il Ministro della giustizia non provveda ad emanare il decreto di sua competenza, il Ministro dell’economia e delle finanze possa emanare disposizioni di coordinamento per la determinazione della base imponibile dell’IRES e dell’IRAP (comma 7-quater).
Con riferimento ai principi contabili internazionali adottati con regolamento UE entrato in vigore nel periodo compreso tra il 1° gennaio 2009 ed il 31 dicembre 2010, il comma
28 dell’art. 2 del D.L. n. 225/2010 (in base al quale è stato emanato il decreto in esame), ha altresì previsto che le disposizioni di coordinamento di carattere fiscale possano essere emanate entro il 31 maggio 2011.
Con l’intervento operato tramite il decreto milleproroghe, istituzionalizzando lo strumento dei decreti ministeriali, è stato quindi affidato a singoli Ministri (quello della giustizia e quello dell’economia e delle finanze) il potere di definire sia le modalità applicative dei nuovi IAS adottati mediante regolamento comunitario che la disciplina fiscale delle operazioni soggette alle nuove regole contabili, senza che siano rinvenibili criteri direttivi cui l’attività ministeriale di “coordinamento” debba essere vincolata.
Si è quindi attribuito ad un atto amministrativo non normativo (il decreto ministeriale) l’intervento in un ambito giuridico sostanziale, quale quello del coordinamento tra norme dell’ordinamento, piuttosto che demandare tale funzione ad un regolamento, cioè ad un atto amministrativo costituente fonte di diritto, ancorché di carattere secondario, come tale soggetto ad un qualificato iter di formazione (1).
Sussistono perplessità in merito all’idoneità di un decreto ministeriale ad introdurre disposizioni nella particolare materia tributaria, specie se modificative dei tributi; nella fattispecie, in particolare, possono risultarne criteri di rilevanza fiscale diversi da quelli desumibili, oltre che da specifiche norme del TUIR, dal principio di derivazione rafforzata
1 Gli atti rientranti nel novero delle fonti normative secondarie (tra le quali rientrano i regolamenti governativi e i decreti ministeriali regolamento, per i quali è richiesto il particolare iter procedimentale di cui all’art. 17 della L. n. 400/1988), infatti, diversamente dagli altri decreti ministeriali, sono atti formalmente amministrativi, in quanto provenienti dall’amministrazione, ma sostanzialmente normativi, trattandosi di atti generali idonei ad innovare con precetti astratti l’ordinamento giuridico. Gli altri decreti ministeriali, al contrario, pur se idonei a determinare effetti giuridici di portata generale, possono solo intervenire su aspetti di carattere esecutivo o tecnico (es.: l’accertamento dei cambi giornalieri o di fine mese, la determinazione dei coefficienti di ammortamento sulla base del normale periodo di deperimento e consumo nei vari settori produttivi, la revisione delle tariffe d’estimo). L’adozione di un regolamento avrebbe richiesto, tra l’altro, il parere preventivo del Consiglio di Stato ai sensi dell’art. 17, comma 3, della
L. n. 400/1988, parere che, pur allungando i tempi di emanazione del provvedimento, avrebbe di fatto limitato la discrezionalità dell’organo amministrativo emanante. Tale scelta, peraltro, sarebbe risultata coerente con quella operata con riferimento alle disposizioni attuative della Legge Finanziaria 2008 recate dal Decreto IAS.
e dalle relative norme attuative di cui al D.M. n. 48/2009, stabiliti quindi da fonti normative di rango superiore.
In termini di concreto esercizio della delega, nel Decreto si riscontrano disposizioni relative a poste estranee agli IAS oggetto di modifica nonché altre la cui disciplina concerne profili non strettamente riconducibili ad esigenze di coordinamento, poiché non interessati dalle modifiche apportate alle regole contabili di riferimento. Tali aspetti saranno meglio evidenziati nel prosieguo, in sede di commento delle singole norme del provvedimento.
Ancorché l’art. 2, comma 28, del decreto milleproroghe stabilisca che (con riferimento ai principi contabili internazionali adottati con regolamento UE entrato in vigore nel periodo compreso tra il 1° gennaio 2009 e il 31 dicembre 2010) le disposizioni di coordinamento fiscale avrebbero dovuto essere emanate entro il 31 maggio 2011, la tardiva emanazione del Decreto non dovrebbe costituire un problema, trattandosi evidentemente di un termine ordinatorio.
Il Decreto è entrato in vigore verosimilmente il 28 giugno 2011, ossia decorso il termine di vacatio legis previsto per le norme pubblicate in Gazzetta Ufficiale per le quali non è stabilita una diversa ed espressa data di entrata in vigore (2).
Per quanto riguarda la decorrenza, il comma 1 dell’art. 12 del Decreto prevede l’applicazione delle disposizioni ivi contenute a decorrere dalle dichiarazioni dei redditi relative all’esercizio in corso al 31 dicembre 2010; per i contribuenti con periodo d’imposta coincidente con l’anno solare, quindi, esse si applicano dal 2010 (Unico 2011).
Non si applicano dunque alle dichiarazioni dei redditi relative agli esercizi precedenti al 2010, con riferimento ai quali il comma 2 fa, tuttavia, espressamente salvi gli effetti
2 Dal sito internet del MEF, tuttavia, risulta che il Decreto sarebbe entrato in vigore lo stesso giorno della sua pubblicazione in Gazzetta Ufficiale, e quindi il 13 giugno 2011.
sulla determinazione della base imponibile, ai fini IRES ed IRAP, generati dall’applicazione di criteri coerenti con le disposizioni del Decreto (cd. “clausola di salvaguardia”).
La circostanza che siano fatti salvi i comportamenti pregressi coerenti con le disposizioni del Decreto e che, quindi, la clausola di salvaguardia operi con riferimento agli esercizi precedenti al 2010 senza limiti temporali, appare poco compatibile con l’ambito applicativo della delega, concernente il coordinamento della disciplina fiscale con le novità introdotte dagli IAS adottati tra il 1° gennaio 2009 e il 31 dicembre 2010, e sembra indirettamente confermare che il Decreto sia andato oltre l’intento di prevedere disposizioni di mero coordinamento delle norme fiscali con le predette modifiche.
Anche il successivo comma 3 contiene una clausola di salvaguardia per i comportamenti pregressi non coerenti con le disposizioni del Decreto. In particolare, stabilisce che “i valori fiscali delle attività e delle passività determinati in base alla corretta applicazione della disciplina IRES ed IRAP, risultanti dalla dichiarazione dei redditi relativa all’esercizio precedente a quello in corso al 31 dicembre 2010, assumono rilievo ancorché determinati con modalità non coerenti alle disposizioni di cui al presente decreto”. Tale previsione, che appare pleonastica (3), è stata probabilmente inserita a seguito dell’ordine del giorno (n. 9/4086/21, su iniziativa dell’On. Xxx) approvato dalla Camera dei deputati in sede di conversione del D.L. n. 225/2010, che impegnava il Governo ad interpretare il comma 26 dell’art. 2 del convertendo decreto in termini di salvaguardia dei comportamenti adottati “con riguardo agli esercizi sociali per i quali è stato già approvato il bilancio e, in particolare, con riferimento al periodo d’imposta che include il 2009”.
La decorrenza delle disposizioni del Decreto dal periodo di imposta 2010 appare in contrasto sia con il principio di irretroattività delle disposizioni tributarie stabilito dall’art. 3, comma 1, L. n. 212/2000 (c.d. “Statuto dei diritti del contribuente”), che con
3 Il consolidamento dei valori fiscali derivanti dalla pregressa applicazione dei criteri sanciti dal Decreto appare una naturale conseguenza della convalida degli effetti sulla determinazione dell’imponibile coerenti con tali criteri, stabilita dal comma 2.
l’art. 2, comma 25, D.L. n. 225/2010. Rileva al riguardo che, in relazione ai tributi periodici come l’IRES e l’IRAP, il comma 1 dell’art. 3 della citata L. n. 212 stabilisce che le modifiche si applicano solo a partire dal periodo d’imposta successivo a quello in corso alla data di entrata in vigore delle disposizioni che le prevedono; rileva inoltre che l’art. 2, comma 25, D.L. n. 225/2010 stabilisce espressamente l’applicabilità della disciplina vigente alla data di entrata in vigore della L. n. 10/2011 fino all’entrata in vigore delle disposizioni di cui al Decreto in esame.
In buona sostanza, in assenza di deroghe ai criteri legislativi di decorrenza, il decorso del periodo di vacatio legis (15 gg. successivi alla pubblicazione in G.U.) implicherebbe la sopravvivenza della “vecchia” disciplina fino al 28 giugno 2011. Tenuto conto dello Statuto del contribuente, almeno per i contribuenti con esercizio coincidente con l’anno solare, si sarebbe quindi dovuta stabilire una decorrenza delle nuove disposizioni a partire dal periodo d’imposta 2012.
Di seguito, sono illustrate e commentate le norme del provvedimento, con particolare riguardo ai profili che possono rivestire interesse per le società del Gruppo.
Art. 1 – Definizione e ambito di applicazione
Il comma 1 ribadisce l’ambito soggettivo di applicazione del Decreto, già indicato nei considerata iniziali, costituito dai “soggetti che redigono il bilancio d'esercizio in conformità ai principi contabili internazionali di cui al regolamento (CE) n. 1606 del Parlamento europeo e del Consiglio del 19 luglio 2002, ai sensi dell'art. 4 del decreto legislativo n. 38 del 2005”.
Il comma 2 ha carattere meramente definitorio dei principali termini utilizzati nel provvedimento.
Art. 2 – Prospetto delle altre componenti di conto economico - OCI
L’art. 2 del Decreto aggiorna, per i soggetti IAS, l’applicazione del “principio di derivazione” stabilito dall’art. 83 TUIR, disciplinando la rilevanza fiscale delle componenti reddituali imputate nella sezione del conto economico complessivo denominata “altre componenti di conto economico complessivo (other comprehensive income – OCI)”.
Com’è noto, una peculiarità degli IAS è costituita dall’imputazione a patrimonio di talune poste tipicamente reddituali. Fino alla recente modifica dello IAS 1 (4), che ha reso in taluni casi indiretta tale imputazione, al fenomeno in questione corrispondeva la sola categoria concettuale dei “componenti imputati direttamente a patrimonio”. La categoria dei componenti imputati direttamente a patrimonio è essenzialmente di matrice extracontabile, non essendo contemplata dai principi contabili internazionali ma costituendo piuttosto la fattispecie di norme tributarie, introdotte con il D.Lgs. n. 38/2005 e con la Legge Finanziaria 2008, che peraltro ne hanno dato per presupposto il significato, senza definirlo. Nel contesto di “eversione” contabile determinato dall’introduzione degli IAS, è emersa, infatti la necessità, eminentemente fiscale, di mantenere (secondo un indirizzo di sistema adottato con la legge delega del ’71 e successivamente confermato) il risultato imponibile incentrato sul “reddito economico” di matrice aziendalistica e, pertanto, di lasciarne tendenzialmente inalterata la composizione, neutralizzando almeno in parte l’effetto degli IAS rispetto a quanto sarebbe scaturito sulla base del risultato economico di derivazione civilistica. Il riferimento ai “componenti imputati direttamente a patrimonio” è stato quindi utilizzato dal legislatore fiscale per individuare quei fenomeni economici imputati a patrimonio
4 Lo IAS 1 (“Presentazione del bilancio”) è stato modificato dai Regolamenti (CE) n. 1274/2008 del 17 dicembre 2008, n. 53/2009 del 21 gennaio 2009 e n. 70/2009 del 23 gennaio 2009, con effetto dalla data di inizio del primo esercizio finanziario successivo al 31 dicembre 2008. In particolare, il Regolamento (CE) n. 1274/2008 del 17 dicembre 2008, con il quale lo IAS 1 è stato sostituito, è quello che ha previsto la predisposizione di un prospetto complessivo che evidenzi sia l’utile o la perdita effettivamente conseguiti, sia taluni componenti, non ancora realizzati e su tale presupposto imputati a patrimonio netto, da includere in apposita sezione del conto economico.
da includere comunque, su un presupposto di neutralità, nel risultato di bilancio assunto ai fini della determinazione del reddito d’impresa imponibile.
In tale prospettiva si colloca innanzitutto l’art. 11 (e l’art. 12, relativamente all’IRAP; x. xxxxx) xxx X.Xxx. x. 00/0000, che per primo ha contemplato la categoria dei componenti imputati direttamente a patrimonio e ne ha disciplinato il trattamento stabilendo, mediante una modifica dell’art. 83, comma 1, TUIR, che la determinazione del reddito imponibile dovesse essere effettuata apportando le variazioni in aumento o diminuzione previste dalle disposizioni vigenti “all'utile o alla perdita risultante dal conto economico aumentato o diminuito dei componenti che per effetto dei principi contabili internazionali sono imputati direttamente a patrimonio”. La successiva previsione di equiparazione dell’imputazione a patrimonio all’imputazione a conto economico introdotta nel comma 4 dell’art. 109, aveva inoltre escluso ogni dubbio in merito alla deducibilità dei componenti imputati direttamente a patrimonio, se negativi (5).
Sostanziali variazioni al quadro normativo, come sopra delineato, sono state poi apportate dalla Legge Finanziaria 2008. In particolare, l’art. 1, comma 58, lett. a), ha nuovamente modificato l’art. 83 TUIR, eliminando l’inciso secondo cui l’utile di esercizio doveva essere “aumentato o diminuito dei componenti che per effetto dei principi contabili internazionali sono imputati direttamente a patrimonio” e aggiungendo un periodo in base al quale, per i soggetti che redigono il bilancio in base agli IAS: “valgono, anche in deroga alle disposizioni dei successivi articoli della presente sezione, i criteri di qualificazione, imputazione temporale e classificazione in bilancio previsti da detti principi contabili”.
5 Sul punto, la Relazione illustrativa al provvedimento affermava che “Le due modifiche tengono conto della previsione secondo la quale taluni fatti gestionali, per effetto dell’adozione degli IAS, non possono essere imputati a conto economico, ma devono essere imputati a patrimonio. E’ il caso, per esempio, delle spese per aumenti di capitale, della rilevazione degli effetti pregressi dei cambiamenti di principi contabili e di errori e della rilevazione degli effetti della vendita di azioni proprie. La volontà di mantenere inalterata la rilevanza fiscale di tali componenti, nonostante la mancata imputazione a conto economico, ha indotto ad affermare espressamente tale rilevanza, integrando gli articoli 83 e 109 TUIR.”
Le due modifiche si collocavano in un contesto di interventi diretti ad attribuire maggiore rilevanza ai bilanci IAS ai fini della determinazione dell’imponibile, accentuando la derivazione dal conto economico. In tale ambito, l’eliminazione del riferimento ai componenti imputati a patrimonio netto non ne comportava l’irrilevanza ai fini della determinazione dell’imponibile. Gli effetti della soppressione sembravano infatti collocarsi sul mero piano procedimentale, risolvendosi in una semplificazione nella redazione della dichiarazione, in quanto gli anzidetti componenti, anziché essere sommati all’utile di periodo ed eventualmente essere oggetto di variazioni in diminuzione in applicazione della disciplina tributaria, avrebbero concorso al reddito mediante apposite variazioni in aumento se, e secondo le modalità ed i termini in cui, tale concorso fosse previsto dalle specifiche disposizioni tributarie applicabili alle diverse fattispecie del reddito d’impresa (6).
Le ricostruzioni formulate in via interpretativa sono state poi confermate dall’art. 2, comma 2, del Regolamento IAS, secondo cui concorrono alla formazione del reddito i componenti imputati a patrimonio netto fiscalmente rilevanti in base alle disposizioni del TUIR.
In tale contesto normativo si inserisce la recente modifica dello IAS 1 (cfr. nota 4) che ha stabilito, per talune fattispecie di imputazione a patrimonio netto che presentano comunque natura “reddituale”, una diversa rappresentazione. In particolare, con
6Al riguardo, occorre considerare che non è stata modificata la previsione, di cui all’art. 109, comma 4, secondo periodo, TUIR, secondo la quale, ai fini della deducibilità delle spese e degli altri componenti negativi, “si considerano imputati a conto economico i componenti imputati direttamente a patrimonio per effetto dei principi contabili internazionali”. D’altro canto, la rilevanza reddituale dei componenti positivi non sembra richiedere specificazioni per il caso di diretta imputazione a patrimonio, non essendo tale rilevanza condizionata nemmeno dalla imputazione a conto economico, ai sensi dell’art. 109, comma 3, TUIR. E, in ogni caso, la previsione di una generalizzata prevalenza delle qualificazioni, classificazioni e imputazioni temporali IAS-compliant dovrebbe comunque risultare idonea a far concorrere al reddito i componenti economici che mantengano tale natura secondo i principi contabili internazionali, ancorché imputati a patrimonio (cfr., in senso conforme, Assonime, Circolare 22 settembre 2008, p. 90 ss.).
Un ulteriore argomento favorevole era di tipo indiretto: ritenere comunque irrilevanti i componenti imputati a patrimonio netto avrebbe reso superfluo l’inciso, contenuto nel nuovo art. 110, comma 1-bis, lett. a), secondo il quale, per i titoli immobilizzati diversi dalle partecipazioni, i maggiori o minori valori iscritti rilevano solo se imputati a conto economico.
decorrenza 1° gennaio 2009, è stata prevista la predisposizione di un prospetto complessivo che evidenzi sia l’utile o la perdita effettivamente conseguiti, sia taluni componenti (come detto, di natura reddituale) non ancora realizzati, e su tale presupposto imputati a patrimonio, da includere in un’apposita sezione del conto economico (other comprehensive income – OCI). La somma delle due classi di valori evidenzia la redditività complessiva dell’impresa, e cioè la variazione subita nell’esercizio dal patrimonio netto dell’impresa per effetto della gestione ed altri eventi diversi dagli apporti dei soci e dalle distribuzioni ai medesimi.
In alternativa all’unico prospetto di conto economico complessivo, lo IAS 1 (par. 81) consente la predisposizione di due documenti (7):
− il “conto economico separato”, che espone le componenti dell’utile (perdita) d’esercizio corrispondenti al reddito “effettivamente” prodotto;
− il prospetto delle altre componenti di conto economico complessivo, che parte dall’utile (perdita) d’esercizio ed espone le altre componenti di conto economico complessivo.
In assenza di espresse indicazioni nello IAS 1, le “altre componenti di conto economico complessivo” devono essere necessariamente desunte dai principi contabili internazionali che disciplinano l’esposizione in bilancio delle singole fattispecie e dagli schemi di bilancio delle banche e degli enti finanziari approvati dalla Banca d’Italia. Tali componenti accolgono le variazioni di fair value iscritte in contropartita di riserve di patrimonio netto quali: le plus/minusvalenze derivanti dall’adozione del cd. revaluation model per le immobilizzazioni materiali (IAS 16) e immateriali (IAS 38); le plus/minusvalenze sugli strumenti finanziari disponibili per la vendita (IAS 39); gli utili e le perdite dovuti alle oscillazioni di fair value sugli strumenti finanziari di copertura designati per cash flow hedge (IAS 39, par. 95). Costituiscono inoltre componenti di conto
7 Tale opzione è quella prescelta dalla Banca d’Italia per la compilazione dei bilanci delle banche e degli enti finanziari di cui all’art. 1, comma 1, lett. c), D.Lgs. n. 87/92; cfr. Il bilancio bancario: schemi e regole di compilazione, Circolare n. 262 del 22 dicembre 2005, aggiornamento del 18 novembre 2009.
economico complessivo gli utili e le perdite attuariali relativi a piani a benefici definiti in favore dei dipendenti (IAS 19) nonché gli utili e le perdite su talune operazioni in valuta (IAS 21).
Posto che tale prospetto non è espressamente richiamato dalle disposizioni del TUIR, l’art. 2 del Decreto in esame conferma la rilevanza fiscale delle componenti reddituali ad esso imputate. In tale prospettiva, il comma 1 dell’art. 2 stabilisce che concorrono comunque alla formazione del reddito i componenti positivi e negativi di natura reddituale fiscalmente rilevanti ai sensi delle disposizioni TUIR imputati direttamente al prospetto delle altre componenti di conto economico complessivo (8).
In deroga a quanto disposto dal primo periodo, il secondo periodo del comma 1 stabilisce che tale disposizione non si applica nei casi in cui le componenti assumano rilevanza fiscale solo per effetto dell’imputazione a conto economico.
In altri termini, quando la componente positiva o negativa assuma rilevanza fiscale al momento dell’imputazione ad OCI, secondo la regola generale introdotta dal comma 1, il successivo transito a conto economico non rileva ai fini della determinazione del reddito imponibile. Al contrario, nel caso in cui una disposizione del TUIR preveda espressamente la rilevanza fiscale dei componenti positivi e negativi solo al momento dell’imputazione a conto economico, è confermata la temporanea irrilevanza dell’imputazione ad OCI.
È questo, ad esempio, il caso dei maggiori o minori valori relativi a titoli obbligazionari classificati AFS, rientranti nei beni di cui all’art. 85, comma 1, lett. e), TUIR, qualificati fiscalmente come immobilizzazioni finanziarie ai sensi del comma 3-bis del medesimo
8 Sotto il profilo contabile, imputazione ad OCI non scaturisce da una rilevazione in partita doppia ad hoc. Infatti, la contropartita delle variazioni degli elementi patrimoniali è sempre costituita dall’apposita riserva di patrimonio netto: è solo in sede espositiva che la variazione della riserva determinatasi nell’esercizio viene evidenziata nell’ambito dell’OCI. Nella prospettiva del legislatore fiscale, la locuzione utilizzata (“direttamente”) sembra invece presupporre che il transito nell’OCI comporti un’imputazione solo “indiretta” a patrimonio.
articolo poiché non detenuti per la negoziazione, per i quali l’art. 110, comma 1-bis, lett. a), TUIR prevede la rilevanza fiscale solo al momento dell’imputazione a conto economico. In tale evenienza, l’imputazione a patrimonio netto nella “riserva AFS”, ancorché comporti il transito ad OCI, continua a non avere rilevanza fiscale fino a che non si verifichi il “rigiro” a conto economico della riserva da valutazione al momento del realizzo ovvero dell’impaiment del titolo.
Analogamente, devono essere considerate fiscalmente irrilevanti le oscillazioni di fair value dei derivati di copertura di flussi finanziari (cd. cash flow hedge), secondo quanto ora specificamente previsto dall’art. 7, comma 3, del Decreto. Sulla base di tale disposizione, infatti, il concorso alla determinazione del reddito imponibile avviene secondo le modalità e nei termini di cui all’art. 112, commi 4 e 5, TUIR, coerentemente con i componenti di reddito relativi alle attività e alle passività coperte (per una più ampia disamina, cfr. commento all’art. 7).
Per quanto concerne gli utili e le perdite attuariali su piani a benefici definiti per i dipendenti, che gli IAS consentono di rilevare in contropartita del patrimonio netto (con imputazione ad OCI), occorre rilevare che l’art. 2, comma 4, D.M. n. 48/2009 ha dettato un’apposita disciplina che attribuisce rilevanza fiscale a tali imputazioni a patrimonio, ove riguardino il TFR. In particolare la disposizione, derogando all’art. 105 TUIR, consente ai soggetti IAS di attribuire rilevanza fiscale a tutte le appostazioni (sia a conto economico che a patrimonio netto) che consentano di adeguare la consistenza finale del fondo all’importo complessivamente dovuto ai dipendenti, a fine esercizio, in base alle vigenti disposizioni legislative e contrattuali. Pertanto, in ciascun esercizio resta deducibile, a prescindere dalla sezione di conto economico destinataria dell’imputazione, un importo non superiore alla differenza tra le somme dovute contrattualmente in base all’art. 2120 c.c. ed il valore fiscalmente riconosciuto del fondo al termine dell’esercizio precedente, al netto degli utilizzi nel frattempo intervenuti. Ne deriva che, nei suddetti limiti, anche gli utili e le perdite attuariali sul TFR transitate ad OCI hanno rilevanza fiscale.
Come accennato, sono imputate ad OCI anche le rivalutazioni e le svalutazioni delle immobilizzazioni materiali (IAS 16) e immateriali (IAS 38) operate in bilancio per effetto del cd. revaluation model. Rileva al riguardo che, in base agli IAS, le immobilizzazioni materiali e immateriali possono essere valutate, oltre che al costo, al fair value in contropartita di una riserva di patrimonio netto. Tale impostazione, attraverso l’iscrizione di componenti reddituali non ancora realizzati, risponde all’esigenza di adeguare l’importo degli ammortamenti imputati al conto economico al valore corrente del capitale investito. In tal senso depone la circostanza che, man mano che vengono stanziati gli ammortamenti, la riserva di patrimonio netto viene progressivamente stornata a utili a nuovo senza interessare il conto economico e non contribuisce alla determinazione del risultato d’esercizio né in sede di impairment né in caso di realizzo del cespite. L’adeguamento al fair value dei cespiti, pur avendo natura reddituale ed essendo quindi imputabile ad OCI, risulta tuttavia irrilevante ai fini fiscali per effetto dell’art. 110, comma 1, lett. c), TUIR. Le plusvalenze o le minusvalenze rileveranno solo in sede di realizzo del cespite (ai sensi, rispettivamente, degli artt. 86, comma 1, e 101, comma 1, TUIR), restando quindi il concorso alla formazione del reddito dell’adeguamento al fair value dei cespiti temporaneamente sospeso fino a tale momento.
In base allo IAS 21, mentre le differenze di cambio (realizzate e non realizzate) relative ad elementi monetari devono essere sempre rilevate a conto economico, l’iscrizione di quelle relative ad elementi non monetari valutati al fair value segue la contabilizzazione prevista dal principio contabile di riferimento dell’elemento non monetario, e cioè:
− se il principio contabile di riferimento richiede l’imputazione di utili e perdite direttamente a conto economico, anche le differenze cambio devono essere iscritte a conto economico;
− se il principio contabile di riferimento dell’elemento non monetario prevede, invece, che gli utili o le perdite siano iscritti nel patrimonio netto, anche gli utili/perdite su cambi devono essere iscritti nel patrimonio netto. In tale caso,
dette differenze cambio sono rilevate nel prospetto delle altre componenti di conto economico complessivo (OCI).
Ad esempio, nel caso in cui l’elemento non monetario denominato in valuta sia costituito da uno strumento finanziario classificato AFS, le cui variazioni del fair value devono essere iscritte direttamente nel patrimonio netto, anche gli utili e le perdite su cambi devono essere rilevati a patrimonio netto e, conseguentemente, imputate ad OCI. Lo stesso dicasi per la valutazione al fair value delle immobilizzazioni materiali denominate in valuta estera, ove l’impresa abbia adottato il cd. revaluation model.
Il concorso alla base imponibile IRES delle suddette differenze cambio imputate ad OCI è disciplinato dal combinato disposto dell’art. 110, commi 2 e 3, TUIR, secondo cui non rilevano le differenze di cambio non realizzate, salvo quanto previsto per le imprese, come le banche, che adottano la contabilità plurimonetaria.
Tra le altre componenti di conto economico complessivo è compresa anche la quota delle riserve da valutazione delle partecipazioni valutate con il metodo del patrimonio netto (cfr., in tal senso, le istruzioni della Banca d’Italia relative ai bilanci bancari). Trattandosi di strumenti partecipativi che si qualificano fiscalmente come immobilizzazioni finanziarie, poiché non detenuti per la negoziazione, il relativo costo, ai sensi del combinato disposto dei commi 1, lett. d), e 1-bis, lett. b), dell’art. 110 TUIR, non si considera comprensivo dei maggiori o minori valori iscritti, i quali conseguentemente non concorrono alla formazione del reddito né alla determinazione del valore fiscalmente riconosciuto.
Lo schema di prospetto delle altre componenti di conto economico complessivo approvato dalla Banca d’Italia include anche le “Attività non correnti in via di dismissione”. Considerato che il prospetto della redditività complessiva è destinato ad accogliere componenti aventi natura reddituale rilevate a patrimonio netto, deve ritenersi che tale voce comprenda le medesime componenti indicate in precedenza
come confluenti individualmente nell’OCI (ad esempio, quelle scaturenti dalla valutazione al fair value degli strumenti finanziari classificati AFS ovvero delle immobilizzazioni materiali e immateriali per le quali sia stato adottato il cd. revaluation model), se relative ad attività in via di dismissione. Xxxxxxx, pertanto, le considerazioni svolte in precedenza in merito al trattamento fiscale di tali componenti.
In relazione alla introduzione dell’OCI, in assenza di precisazioni nella norma (art. 2, comma 1), potrebbe porsi il dubbio se la base per la derivazione dell’imponibile IRES debba continuare ad essere costituita dall’utile (perdita) d’esercizio ovvero debba aversi riguardo all’utile (perdita) di conto economico complessivo. Tale dubbio va risolto nel senso della perdurante rilevanza del risultato d’esercizio, tenuto conto che la norma in commento non ha apportato modifiche all’art. 83 TUIR, che espressamente rinvia “all’utile o alla perdita risultante dal conto economico”, e che il comma 1 dell’art. 2 in commento, nello stabilire il concorso alla formazione del reddito dei componenti imputati ad OCI, ne presuppone evidentemente l’estraneità alla base di applicazione della derivazione
Passando alla determinazione della base imponibile IRAP, il comma 2 dell’art. 2 del Decreto stabilisce che le componenti fiscalmente rilevanti ai sensi delle disposizioni del D.Lgs. n. 446/97, imputate direttamente a patrimonio netto o al prospetto delle altre componenti di conto economico complessivo (OCI), assumono rilevanza fiscale solo al momento dell’imputazione a conto economico. Tuttavia, nel caso in cui i principi contabili internazionali non prevedano mai l’imputazione a conto economico, la seconda parte del comma 2 ne stabilisce la rilevanza fiscale “secondo le disposizioni di cui al decreto IRAP”, indipendentemente dall’imputazione a patrimonio netto o ad OCI.
Come precisato dalla Relazione illustrativa, è questo, ad esempio, il caso già esaminato della valutazione di un bene immobile secondo il revaluation model previsto dallo IAS 16, in cui l’incremento di valore è imputato ad una apposita riserva di patrimonio netto
(oltre che rilevato nell’OCI) che è trasferita, al momento della cessione, alla voce “utili portati a nuovo” senza che si realizzi alcun transito a conto economico. In tale evenienza, le componenti reddituali derivanti dall’applicazione del suddetto metodo assumono rilievo al momento del realizzo, ai sensi degli artt. 5, 6 e 7, del D.Lgs. n. 446/97 (9).
Sussiste tuttavia il dubbio se la locuzione “secondo le disposizioni di cui al decreto IRAP” debba essere intesa avuto riguardo alle sole disposizioni speciali, che disciplinano la rilevanza IRAP di specifiche componenti reddituali, come sembrerebbe orientare l’esempio indicato dalla Relazione, ovvero debba comportare anche la riconduzione virtuale di tali componenti nelle voci di bilancio in cui sarebbero confluite se fossero state imputate a conto economico.
La seconda soluzione prospettata potrebbe, in particolare, doversi escludere per le banche, in virtù del principio di derivazione integrale della base imponibile IRAP dal conto economico (art. 6 D.Lgs. n. 446/97), senza necessità di operare le riclassificazioni richieste invece per le imprese industriali dall’art. 5 del medesimo D.Lgs. n. 446 (10).
Su tale punto risulta auspicabile un chiarimento ufficiale.
9 In base ad un’interpretazione di tipo sistematico, l’Agenzia delle Entrate (cfr. Circolare n. 27/E del 26 maggio 2009) ha ritenuto che concorrono alla formazione della base imponibile IRAP non solo le plusvalenze e le minusvalenze derivanti dalla cessione di immobili che non costituiscono beni strumentali per l’esercizio dell’impresa, né beni alla cui produzione o al cui scambio è diretta l’attività dell’impresa - come espressamente previsto dagli artt. 5, 6 e 7 del D.Lgs. n. 446/97 -, ma anche quelle derivanti dalla cessione di beni strumentali, sul presupposto che le componenti reddituali che si contabilizzano in sede di realizzo sono strettamente collegate a variazioni della base imponibile IRAP manifestatisi nei periodi di imposta precedenti attraverso le quote di ammortamento (cd. “principio di correlazione”) e che, altrimenti, non sarebbe coerente un sistema in cui assumano rilievo le plus/minusvalenze derivanti dalla cessione di beni patrimoniali e non anche quelle derivanti dalla cessione di beni strumentali che ordinariamente partecipano al processo produttivo. Al contrario, non concorrono alla formazione della base imponibile IRAP le plusv/minusvalenze derivanti da fenomeni valutativi.
10 Cfr., al riguardo, le considerazioni svolte da ASSONIME, Guida all’applicazione dell’IRES e dell’IRAP per le imprese IAS adopter, a cura di I. VACCA e X. XXXXXX, maggio 2011, p. 141, con riferimento alla specifica fattispecie delle spese di aumento di capitale.
Art. 3 – Classificazione degli immobili
Nonostante quanto affermato nell’incipit del provvedimento, l’art. 3 del Decreto non parrebbe emanato allo scopo di coordinare le norme fiscali con le nuove previsioni dei principi contabili internazionali adottati con regolamenti UE entrati in vigore nel periodo dal 1° gennaio 2009 al 31 dicembre 2010. Infatti, rispetto ai temi fiscali affrontati dalla nuova disposizione, le modifiche apportate agli IAS 2, 16, 40 ed all’IFRS 5 - tutte richiamate dall’art 1 -, si rivelano per la gran parte inconferenti, in quanto riguardano:
- lo IAS 16, nella parte afferente l’eliminazione contabile dei beni, con previsione del passaggio a rimanenza di quelli che da locati diventano di proprietà e sono posseduti allo scopo di essere venduti a terzi (cfr. Regolamento (CE) n. 70/2009 della Commissione del 23 gennaio 2009, espressamente richiamato dalla Relazione illustrativa all’art. 3). Lo stesso Regolamento ha inoltre modificato gli IAS 16 e 40 con riferimento agli investimenti immobiliari;
- lo IAS 16, paragrafo 44, dove è stato introdotto il cd. component approach, che prevede la possibilità di ammortizzare separatamente parti significative di immobili, impianti e macchinari (ad es., fusoliera e motori di un aeromobile) (cfr. Regolamento (CE) n. 495/2009 della Commissione del 3 giugno 2009);
- l’IFRS 5, nella parte relativa alla classificazione di attività non correnti (o gruppi in dismissione) come possedute per la vendita o per la distribuzione ai soci e nella parte relativa alla valutazione di attività non correnti (o gruppi in dismissione) classificate come possedute per la vendita (cfr. Regolamento (CE) n. 1142/2009 della Commissione del 26 novembre 2009);
- ancora l’IFRS 5, con ulteriori interventi di minore entità sull’ambito di applicazione del principio contabile (cfr. Regolamento (CE) n. 243 della Commissione del 23 marzo 2010).
L’insieme delle previsioni contenute nei citati regolamenti non sembra quindi aver modificato il trattamento contabile degli immobili per profili che richiedessero un intervento di coordinamento con le vigenti disposizioni fiscali, in particolare per quanto
attiene alla nozione di strumentalità e ai plus/minusvalori da valutazione, di cui l’art. 3 invece si interessa. L’unica eccezione potrebbe forse essere costituita dal Regolamento della Commissione del 23 gennaio 2009, che tratta la riclassificazione tra le rimanenze di beni immobili inizialmente iscritti come beni strumentali o come beni da investimento, rispettivamente in base allo IAS 16 ed allo IAS 40, per i riflessi legati alla rilevanza fiscale delle svalutazioni operate sui beni immobili iscritti “a magazzino”.
Ciò premesso, secondo quanto precisato dalla Relazione illustrativa, con la finalità di completare l’attuazione del principio sancito dall’art. 1, comma 60, lettera a), della Legge Finanziaria 2008, l’art. 3 del Decreto conferma che il regime fiscale degli immobili strumentali deve essere applicato a tutti gli immobili che, indipendentemente dalla classificazione in bilancio, presentino i requisiti stabiliti nell’art. 43 TUIR. La disposizione si prefigge quindi di evitare che, per effetto delle qualificazioni, imputazioni temporali e classificazioni degli immobili in base agli IAS, si vengano a determinare fenomeni di doppia deduzione o nessuna deduzione di componenti negativi ovvero doppia tassazione o nessuna tassazione di componenti positivi di reddito, ancorché la Relazione illustrativa non espliciti quali siano, in concreto, i fenomeni contrastati dalla norma nè gli attributi che la renderebbero idonea allo scopo.
In generale, le risultanze di bilancio conseguenti all’adozione dei principi contabili internazionali, anche in materia di immobilizzazioni materiali e (più specificamente) di immobili strumentali, esplicherebbero effetti fiscali in base alla loro qualificazione, classificazione ed imputazione temporale, secondo il principio di derivazione rafforzata sancito dall’art. 83 TUIR.
Tuttavia, in ossequio all’art. 2, comma 2, del Decreto IAS, nella Circolare n. 7/E del 28 febbraio 2011 (par. 3.4) l’Agenzia delle entrate ha sottolineato che restano estranee alla derivazione rafforzata (e quindi continuano ad applicarsi anche ai soggetti IAS), non soltanto le disposizioni che pongono limiti al riconoscimento fiscale di ammortamenti, valutazioni e accantonamenti, ma anche quelle che, per motivi di carattere prettamente
fiscale, derogano alle risultanze del bilancio (si pensi alla disciplina della participation exemption, al regime delle spese di rappresentanza, alla tassazione o alla deduzione per cassa di determinati componenti reddituali). Viene cioè affermata la sopravvivenza in ambito IAS di tutte le regole fiscali che non recepiscono, bensì derogano alle rappresentazioni di bilancio, rendendo in tal modo fiscalmente irrilevanti anche le qualificazioni, le classificazioni e le imputazioni temporali seguite dai soggetti IAS.
A proposito del regime fiscale degli immobili, da tale assetto sistematico conseguiva anzitutto che i criteri di imputazione temporale IAS comunque non consentissero la deduzione di ammortamenti diversi, per presupposti e per limiti, da quelli ammessi dalle norme fiscali e, quindi, che continuasse a rilevare la distinzione fiscale tra beni strumentali (come definiti dal comma 2 dell’articolo 43 TUIR) e beni patrimonio, con conseguente limitazione della deducibilità alle quote di ammortamento riferite ai beni strumentali. Per i beni patrimonio - per i quali valgono i criteri di tassazione su base catastale ex art. 90 TUIR -, anche se contabilizzati in base agli IAS con il criterio del costo (vedasi lo IAS 16), gli ammortamenti contabili erano quindi fiscalmente irrilevanti, al pari delle spese e degli altri componenti negativi ad essi afferenti.
Un ulteriore e più specifico aspetto emerso dalla pronuncia dell’Agenzia, sul quale esisteva sostanziale condivisione della dottrina, riguardava l’irrilevanza fiscale delle componenti di origine valutativa generatesi per effetto del revaluation model previsto dallo IAS 16, per gli immobili ad “uso del proprietario”, del fair value di cui all’IFRS 5, per quelli posseduti per la vendita, e infine sempre del fair value, per gli immobili qualificati come “beni d’investimento” dallo IAS 40 (11).
11 Ricordiamo che i beni immobili si contabilizzano:
- in base allo IAS 16, quando sono “ad uso del proprietario” ossia posseduti per essere utilizzati nella produzione o nella fornitura di beni o servizi, per affittarli ad altri (purché la locazione possa essere considerata “ad uso del proprietario” quale potrebbe essere la locazione a dipendenti), o per scopi amministrativi – a condizione che l’utilizzo avvenga per più di un esercizio. Per tali beni, il principio contabile internazionale prevede che la valutazione può essere effettuata al costo ovvero con il cd. revaluation method in cui il bene viene iscritto al fair value in contropartita di una riserva di patrimonio netto e l’ammortamento viene effettuato non sul costo, ma sul valore del bene. In sede di successive valutazioni dei beni, gli utili si imputano al patrimonio netto per la parte che eccede le riprese di
Tale conclusione evidentemente si fondava sul disposto dell’art. 110, comma 1, lett. c), TUIR, che esclude la rilevanza delle plusvalenze iscritte sui beni strumentali, e dell’art. 101 TUIR, che ammette la deduzione delle sole minusvalenze realizzate, nonché sulla considerazione che tali norme debbono continuare ad applicarsi anche per i soggetti IAS, trattandosi comunque di regole derogatorie alle risultanze di bilancio.
A confermare tale orientamento della prassi interviene ora l’art. 3 del Decreto, stabilendo al comma 1 che: “Gli immobili classificati ai sensi dello IAS 16, dello IAS 40 o dell’IFRS 5 si considerano strumentali solo se presentano i requisiti di cui all’articolo 43 del testo unico” ed al comma 2 che: “E’ esclusa la rilevanza fiscale dei maggiori o minori valori da valutazione degli immobili classificati ai sensi dello IAS 2, IAS 16, IAS 40 o dell’IFRS 5 in base alla corretta applicazione degli IAS/IFRS”.
In tale contesto, appare innovativa la sola parte del comma 2 che stabilisce l’irrilevanza fiscale dei plus/minusvalori da valutazione degli immobili qualificati come rimanenze di magazzino in base allo IAS 2 (principio che impone la valutazione in bilancio al minore tra il costo ed il valore netto di presumibile realizzo).
Rispetto a tali processi valutativi disciplinati dallo IAS 2, molti dubbi sussistevano circa l’applicabilità dell’art. 92 TUIR (in tema di valutazione fiscale delle rimanenze), in particolare in ordine alla rilevanza fiscale di eventuali svalutazioni. I dubbi nascevano dal fatto che si tratta di beni non fungibili, per i quali l’unico criterio riconosciuto dalla
precedenti svalutazioni imputate a conto economico e le perdite si imputano a conto economico per la parte eccedente precedenti rivalutazioni imputate a patrimonio netto. L’ammortamento è proporzionato ai giorni di vita utile e, quindi, si applica un metodo tendenzialmente di tipo lineare;
- secondo l’IFRS 5, se sono posseduti per la vendita. Tali beni sono evidenziati in bilancio al minor importo tra il valore contabile e il fair value al netto dei costi di vendita; le perdite di valore affluiscono al conto economico; non è previsto alcun processo di ammortamento del valore;
- in base allo IAS 40, quando sono detenuti a fini di investimento ovvero al fine di ottenere canoni di locazione o incrementi di valore o entrambi. A tali beni si applica, in alternativa al costo, il fair value model il quale prevede che il fair value dell’immobile debba riflettere esattamente le condizioni di mercato alla data di chiusura del bilancio e che i profitti/perdite connessi alle sue variazioni siano rilevati nel conto economico del periodo in cui sono emersi. Anche in questo caso non vengono effettuati ammortamenti.
norma fiscale è quello della valutazione a costi specifici (che peraltro coincide con il criterio dettato dallo IAS 2 ai paragrafi 23 e 24), e che non si rinvengono all’interno dell’art. 92 (in particolare, nel comma 5) disposizioni che stabiliscano la rilevanza delle svalutazioni di mercato di beni valutati secondo il criterio dei costi specifici. Si era tuttavia ritenuto che, in assenza di espliciti limiti, le svalutazioni operate ai fini civilistici potessero comunque assumere immediata rilevanza anche ai fini fiscali, coerentemente con il principio di derivazione rafforzata (12).
La norma in commento presceglie, all’opposto, la soluzione dell’irrilevanza di tutte le valutazioni operate sugli immobili, accedendo alla tesi (sostenuta anche dall’Assonime nella “Guida all’applicazione dell’IRES e dell’IRAP per le imprese IAS adopter”, del maggio 2011), che considera estranee all’ambito applicativo dell’art. 92 TUIR le svalutazioni dei beni valutati a costi specifici, analogamente a quanto accade per i beni strumentali (13).
Vi è tuttavia da considerare che, laddove si ritenesse tuttora valida l’impostazione dottrinaria di cui si è dato conto in precedenza, la norma potrebbe determinare una disparità di trattamento tra soggetti IAS e non.
Sussistono dubbi, non chiariti dalla Relazione illustrativa, in ordine all’applicabilità dell’art. 3 in commento ai fini dell’IRAP. Se, infatti, il rinvio del comma 1 all’art. 43 TUIR farebbe propendere per un’efficacia della norma limitata all’IRES, il comma 2 afferma l’irrilevanza fiscale dei maggiori o minori valori da valutazione degli immobili in termini apparentemente generali.
Si rammenta, al riguardo, che il trattamento ai fini IRAP delle plus/minusvalenze iscritte sugli immobili è stato oggetto di particolari attenzioni sia nella prassi che in dottrina. In primis, si è posta la questione della rilevanza fiscale delle imputazioni a
12 Cfr. X. Xxxxx, La fiscalità delle società IAS/IFRS, Milano, 2011, p. 298-299.
13 Secondo l’Assonime, ammettere la deduzione delle rettifiche di valore senza alcun limite fiscale per i beni non fungibili valutati a costi specifici sarebbe risultato incoerente con le altre previsioni dell’art. 92 TUIR, che invece fissano limiti ben precisi per i beni fungibili di magazzino.
patrimonio netto delle valutazioni al fair value operate secondo il revaluation model sulla base dello IAS 16. In base a tale metodo, la riserva costituita a fronte del maggior valore dei beni rispetto al costo viene riclassificata, in caso di realizzo, tra le riserve di utili del patrimonio netto, senza transito dal conto economico.
Nella circolare n. 27/E del 2009, l’Agenzia delle entrate ha chiarito che, anche per i soggetti che adottano gli IAS, mentre le plus/minusvalenze da realizzo dei beni strumentali dovrebbero essere assoggettate a tassazione, quelle da valutazione sarebbero estranee alla base imponibile IRAP.
Ci si è poi soffermati sulla contabilizzazione al fair value con imputazione delle valutazioni a conto economico, in base allo IAS 40, degli immobili ad uso investimento. Non trattandosi di plus/minusvalenze realizzate, si è ritenuto che, benché imputate a conto economico, quelle relative a beni patrimonio fossero comunque prive di rilevanza fiscale, in analogia con quanto già previsto per i beni strumentali, per i quali esiste un‘espressa previsione negli artt. 5, 6 e 7 D.Lgs. n. 446/1997.
Infine, per gli immobili iscritti tra le rimanenze in base allo IAS 2, si è ritenuto che le (s)valutazioni fossero rilevanti in quanto, ai fini del tributo regionale, non operano i limiti di deducibilità previsti dall’art. 92 TUIR e perché tali variazioni di valore sono contabilizzate, in base all’art. 2424 c.c., in una voce di conto economico rilevante ai fini della determinazione del valore della produzione IRAP.
Mentre rispetto alle prime due questioni l’art. 3 non introdurrebbe significative divergenze rispetto agli orientamenti precedenti, sulla questione da ultimo trattata, delle svalutazioni su beni immobili iscritti tra le rimanenze, la norma introdurrebbe invece una soluzione in contrasto con l’indirizzo più accreditato, estendendo anche all’IRAP l’irrilevanza fiscale di tutte le valutazioni sugli immobili.
Data l’importanza del tema, sarebbe opportuno un chiarimento ufficiale.
Art. 4 – Riclassificazione delle attività finanziarie
Con l’art. 4 del Decreto in commento vengono disciplinate le conseguenze fiscali delle “riclassificazioni” di strumenti finanziari – regolate ai paragrafi da 50 a 50F dello IAS 39
- qualora per il comparto di destinazione sia prevista una disciplina fiscale diversa da quello di provenienza, nonostante l’invarianza dello strumento.
Secondo la Relazione, la disposizione sarebbe rivolta ad attuare il principio generale di delega contenuto nella lettera a) dell’art. 1, comma 60, della Legge Finanziaria 2008 (L.
n. 244/2007), secondo il quale occorre evitare che la recezione in ambito fiscale delle regole contabili in tema di qualificazioni, imputazioni temporali e classificazioni determini “doppia deduzione o nessuna deduzione di componenti negativi ovvero doppia tassazione o nessuna tassazione di componenti positivi”.
Giova preliminarmente ricordare che la “riclassificazione”, esprimendo il cambiamento delle finalità perseguite dall’impresa attraverso la detenzione dello specifico strumento finanziario, non comporta né presuppone la diversa “qualificazione” dello strumento finanziario in questione. Secondo la Circolare dell’Agenzia delle Entrate n. 7/E del 2011, la qualificazione delle operazioni aziendali discende dalla interpretazione, in ossequio al principio di prevalenza della sostanza sulla forma, degli atti, dei fatti e dei negozi giuridici di cui constano per individuarne gli effetti economici (par. 3.2.1), mentre la classificazione, anche quando riguarda le poste patrimoniali, è rivolta a rappresentarne in modo coerente con la destinazione funzionale i relativi componenti economici, da valutazione e da realizzo (par. 3.2.2).
Pertanto, uno strumento di debito non muta la propria qualificazione a seconda del comparto in cui è (ri)classificato, così come uno strumento finanziario che si qualifica come equity ai sensi dello IAS 32 non può essere classificato o riclassificato in uno dei comparti riservati agli strumenti di debito.
La facoltà di riclassificare strumenti finanziari da uno all’altro comparto – in particolare, da comparti che prevedono il metodo valutativo del fair value a comparti per i quali vale il criterio del costo - è stata ampliata dallo IASB nel 2008 per attenuare i riflessi contabili di situazioni eccezionali come la crisi finanziaria allora in atto, attraverso l’aggiunta dei nuovi paragrafi 50 B – F allo IAS 39 (modifiche che la Commissione Europea ha omologato col Regolamento n. 824 del 2009, qualificandole come definitive e non contingenti). Ulteriori modifiche potranno essere apportate nell’ambito dell’IFRS 9, che sostituirà lo IAS 39. Quando la riclassificazione sia ammessa, l’attività o passività finanziaria riclassificata deve essere iscritta nel portafoglio di destinazione al fair value del giorno in cui la riclassifica viene effettuata, fair value che rappresenterà la base del nuovo costo o costo ammortizzato; gli utili o le perdite precedentemente iscritti a conto economico non devono essere riversati.
In estrema sintesi, le possibilità di riclassificazione attualmente disciplinate dallo IAS 39 sono le seguenti:
- gli strumenti finanziari del comparto held for trading (“HFT”) - diversi dai derivati e da quelli per i quali sia stata esercitata la fair value option (“FVO”) – per i quali sia venuta meno la finalità di negoziazione sono riclassificabili verso tutti gli altri comparti (compatibilmente con le caratteristiche dello strumento) ma solo in casi eccezionali, al verificarsi di eventi di mercato inusuali che si ritengano non ripetibili nel breve periodo;
- gli strumenti finanziari del comparto available for sale (“AFS”) sono riclassificabili nel solo comparto held to maturity (“HTM”) oppure, ma solo al verificarsi di eventi di mercato inusuali che si ritengano non ripetibili nel breve periodo, anche nel comparto loans and receivables (“L&R”);
- gli strumenti finanziari del comparto HTM sono riclassificabili volontariamente solo nel comparto AFS. La riclassificazione è obbligatoria (in applicazione della
c.d. “clausola anti-contaminazione”) in caso di ingenti vendite che nel corso dell’esercizio abbiano interessato il comparto, ove non ricorrano specifiche
esimenti, in assenza delle quali opera anche il divieto di nuove iscrizioni per un biennio nel comparto in esame;
- per le attività iscritte nel comparto L&R non sono contemplate riclassifiche verso altri comparti.
Si sottolinea come non siano attualmente ammesse riclassificazioni verso il comparto HFT.
Effetti sostanzialmente riclassificatori possono scaturire, senza particolari limitazioni, nell’ambito di operazioni di riorganizzazione aziendale fiscalmente neutrali (conferimenti aziendali, fusioni e scissioni) che siano qualificabili come business combinations ai fini dell’IFRS 3. La configurazione delle business combinations come operazioni acquisitive comporta infatti per l’acquirente la possibilità di classificare gli asset del compendio acquisito secondo la destinazione funzionale che verrà loro assegnata nel nuovo contesto produttivo e organizzativo. Più dubbio è il caso in cui le anzidette operazioni intercorrano tra soggetti under common control, considerato che, in una prospettiva di prevalenza della sostanza sulla forma, le riorganizzazioni aziendali della specie sono qualificabili come meri mutamenti di intestazione di asset e sono, su tale presupposto, rilevate in continuità di valori e attributi anche ai fini contabili.
Sotto il profilo fiscale, occorre premettere che non tutte le qualificazioni IAS afferenti agli strumenti finanziari (in particolare, quelle relative alla loro natura) sono recepite ai fini IRES, in quanto le nozioni di azione (salvo il caso delle azioni proprie) e di obbligazione rilevanti in tale ambito sono di derivazione civilistica, mentre quelle dei titoli similari si ricavano dall’art. 44 del TUIR (giusta quanto previsto dall’art. 3, comma 3, del DM n. 48/2009 e dall’art. 5 del Decreto in esame). Rilevano invece le quattro categorie di strumenti finanziari contemplate dallo IAS 39, differenziate sulla base della destinazione funzionale, il cui coordinamento con le due previste ai fini del reddito d’impresa per le attività finanziarie (immobilizzazioni e non) è disciplinato
dall’art. 85, comma 3-bis, TUIR, nel senso di considerare non immobilizzati solo i titoli HFT.
Sussistono infatti disposizioni fiscali che stabiliscono, per il medesimo strumento finanziario e/o per i relativi flussi, regole impositive diverse a seconda del portafoglio di appartenenza: in questi casi, dal mutamento della classificazione contabile consegue il mutamento del regime fiscale (14). Caso tipico è quello attinente la classificazione degli investimenti partecipativi con interessamento del comparto held for trading, in quanto per i soggetti IAS, con la Legge Finanziaria 2008, e quindi con le modifiche apportate agli artt. 89, 94 e 110 TUIR:
• da un lato, per le partecipazioni immobilizzate, è stata mantenuta l’irrilevanza fiscale delle plus/minus valutazioni, nonché, in presenza di determinati requisiti, la sostanziale irrilevanza fiscale delle plus/minusvalenze da realizzo (regime della participation exemption – PEX), ferma restando l’esclusione da IRES (al 95%) dei relativi dividendi (con eccezione per quelli provenienti dai “paradisi fiscali”);
• dall’altro lato, invece, per le partecipazioni di trading è stata prevista l’integrale rilevanza ai fini fiscali delle relative componenti di reddito, che si tratti di plus/minusvalutazioni, di plus/minusvalenze da realizzo oppure di dividendi.
Peraltro, per i dividendi incassati su partecipazioni immobilizzate, è previsto che il costo fiscalmente riconosciuto della partecipazione venga ridotto in misura
14 Quando, invece, la disciplina fiscale di un determinato strumento finanziario non contempla distinzioni in funzione della sua classificazione in un determinato comparto, può porsi il dubbio se la diversità dei criteri contabili di qualificazione, quantificazione ed imputazione temporale dei flussi economici - positivi e/o negativi (in termini di ricavi, plus/minusvalenze, ammortamenti, valutazioni, ecc.) - riferibili ai diversi comparti possa implicare un diverso regime fiscale. Per le banche, la questione si pone per valutazioni e differenze da realizzo relative a crediti verso la clientela classificati nel comparto HFT, valutazioni e differenze i cui risultati dipendono in prevalenza da fattori di mercato, piuttosto che dal rischio di insolvenza dei debitori. Il dubbio deriva dalla circostanza che: (i) l’art. 106, comma 3, TUIR, relativo al regime fiscale delle valutazioni sui crediti, attiene invece a tale rischio di insolvenza (cfr. in tal senso la Relazione al DM n. 48 del 2009, sub art. 2, comma 3) e (ii) l’art. 101, comma 5, TUIR, che disciplina il regime fiscale delle cessioni dei crediti, riguarda le sole attività immobilizzate. Per completezza, si segnala che non sembra decisiva, al riguardo, una recente pronuncia dell’Agenzia delle Entrate riguardante crediti oggetto di FVO (Risoluzione n. 189/2009), trattandosi comunque di portafoglio compreso tra le immobilizzazioni, ai fini fiscali, ed essendo le svalutazioni oggetto di esame dovute al rischio di inesigibilità dei crediti.
corrispondente ai dividendi esclusi da imposizione (95% per i soggetti IRES) in caso di cessione della partecipazione prima del compimento dell’holding period richiesto ai fini della PEX (esenzione del 95% della plusvalenza ovvero integrale indeducibilità della minusvalenza).
Ciò posto, nulla era stato previsto, coerentemente con la sostanziale preclusione alle riclassificazioni tra portafogli diversi all’epoca operante, per l’eventualità in cui una partecipazione in regime PEX – come tale classificata tra le immobilizzazioni finanziarie
« nel primo bilancio chiuso durante il periodo di possesso » - anziché (o prima di) essere ceduta, fosse riclassificata tra i titoli “circolanti”, cioè destinata alla negoziazione. In tale evenienza – che, come detto, è preclusa anche attualmente (salvo il caso di riorganizzazioni aziendali; v. infra) -, la partecipazione avrebbe continuato a “beneficiare” della PEX (rendendo indeducibili eventuali minusvalenze, anche se correlate all’incasso di dividendi) ma, al tempo stesso, i dividendi incassati dopo la riclassificazione sarebbero stati pienamente imponibili.
Nel caso opposto della fuoriuscita di una partecipazione dal comparto del trading per essere riclassificata nell’ambito di uno dei comparti che ai fini fiscali si considerano immobilizzati, i dividendi successivamente incassati avrebbero potuto fruire del regime di esclusione da imposizione previsto per i flussi dei titoli immobilizzati ma la successiva vendita non avrebbe comunque potuto godere della PEX (essendo la partecipazione stata iscritta originariamente nel trading) e, pertanto, avrebbe potuto dare luogo a minusvalenze deducibili (15).
Problematiche analoghe potevano e possono sorgere nelle operazioni di riorganizzazione aziendale soggette al regime di neutralità fiscale (inteso come trasmissione degli attributi fiscali, compreso il costo fiscalmente riconosciuto, degli
15 Ancorché la minusvalenza fosse correlabile alla distribuzione dei dividendi, la deducibilità non avrebbe potuto essere negata ai sensi della disciplina di contrasto al dividend washing (che non rileva per i soggetti IAS). Inoltre, trattandosi di partecipazione posseduta per oltre 12 mesi, in caso di cessione il costo fiscalmente riconosciuto non avrebbe potuto essere rettificato ai sensi dell’art. 110, comma 1-bis, lett. c), TUIR.
strumenti finanziari inclusi nel compendio aziendale trasferito), essendo come detto ammesso che il soggetto beneficiario dell’operazione, nel recepire tali strumenti, li classifichi diversamente, ex novo, potendo determinare la fuoriuscita dal comparto immobilizzato al trading o viceversa.
Al fine di risolvere tali problematiche, l’art. 4 del Decreto attribuisce alle riclassificazioni di strumenti finanziari effetti di natura realizzativa, analogamente a quanto si verifica sul piano contabile, semprechè tali cambi di comparto comportino la modifica del regime fiscale applicabile allo strumento finanziario o ai relativi flussi (16). Conseguentemente, l’iscrizione nel comparto di destinazione viene equiparata a tutti gli effetti ad un nuovo acquisto.
Si tratta di un presupposto di evidente riscontro quando oggetto della riclassifica sia una partecipazione ed uno dei comparti sia quello del trading, non foss’altro per il mutamento che ne deriva sul regime fiscale dei dividendi, delle valutazioni e dei realizzi.
Sussistono dubbi, invece, quando il diverso trattamento fiscale sia la conseguenza del mutato regime contabile. Il problema si pone quando la riclassifica comporti differenze nell’entità dei componenti reddituali derivanti non dall’applicazione di regole fiscali differenti ma piuttosto dai diversi criteri valutativi adottati (ad esempio, all’interno delle immobilizzazioni finanziarie, passaggio dalla categoria AFS, valutata al fair value con imputazione a patrimonio netto, alla categoria L&R, valutata al costo ammortizzato). Considerato il riferimento della norma ai “regimi fiscali”, dovrebbe ritenersi che in tutti i casi di riclassifica in cui le regole fiscali applicabili ai comparti di
16 L’uso dell’indicativo presente nella formulazione del comma 1, il cui presupposto è definito in termini di “riclassificazione di uno strumento finanziario in una delle altre categorie previste dallo IAS 39, che comporta il passaggio ad un diverso regime fiscale dello strumento stesso”, potrebbe sollevare il dubbio che tutti i mutamenti di comparto rientrino nel suo ambito applicativo, derivandone sempre un diverso regime fiscale. Dato che non è così, perché mutamenti di regime fiscale si verificano, ai fini che qui interessano, solo nelle riclassificazioni tra portafogli fiscalmente immobilizzati e non, la norma può essere interpretata nel solo senso di applicarsi alla riclassificazione che comporti cambiamenti di regime fiscale.
provenienza e di destinazione siano le medesime, seppur declinate su fenomeni valutativi differenti (perché scaturenti da differenti criteri), il presupposto dell’art. 4 non si realizzi.
Un'altra fattispecie dubbia è quella in cui un diverso trattamento fiscale derivi dalla differente destinazione dei componenti economici di natura valutativa (al conto economico o al patrimonio netto), pur con l’adozione del medesimo criterio di valutazione (generalmente, il fair value). In questo caso, quando si tratti di titoli obbligazionari, i componenti economici che scaturiscono dallo strumento finanziario continuano a rilevare fiscalmente nella loro interezza, ma con differenze nei criteri di imputazione temporale delle valutazioni, a seconda che il portafoglio interessato rientri o meno tra le immobilizzazioni (per i titoli immobilizzati, i risultati delle valutazioni rilevano solo quando imputati a conto economico).
Considerato che, nell’ipotesi in esame, la destinazione dei componenti economici di natura valutativa deriva dalla classificazione e che a classificazioni diverse si applicano diverse regole fiscali, sembra potersi concludere per la rilevanza della fattispecie ai fini dell’art. 4, a meno di considerare che un “diverso regime fiscale” si concretizzi solo in presenza di differenze di trattamento definitive, come quelle che si verificano (solo) per le partecipazioni, nelle riclassificazioni da e verso il portafoglio di trading.
In ogni caso, la questione appare suscettibile di determinare effetti concreti solo quando le riclassificazioni si verifichino nell’ambito di riorganizzazioni aziendali neutrali, considerato che, altrimenti, il differenziale tra valore contabile e valore fiscale (che verrebbe attratto a tassazione in base alle regole del comparto di provenienza) o non sussiste, come nei casi di trasferimenti dal comparto HFT, o trova già tassazione in base alla disciplina ordinaria (piuttosto che all’art. 4 del Decreto), determinando le riclassifiche al comparto HFT (peraltro, attualmente non ammesse, al di fuori di operazioni straordinarie) l’imputazione a conto economico della differenza tra valore
contabile e fair value e il riversamento a conto economico dell’eventuale riserva AFS, entrambe fiscalmente rilevanti.
Non costituiscono invece “riclassificazioni” ai fini dello IAS 39, per espressa previsione del par. 50A, situazioni nelle quali un derivato cessi di essere qualificato “di copertura”, e quindi passi al comparto del trading, ovvero sia designato a copertura dopo una iniziale collocazione nel portafoglio di negoziazione. Tali situazioni sono trattate, nelle loro implicazioni fiscali, all’art. 7 del Decreto.
Sussistono inoltre dubbi sull’applicabilità della disciplina in parola ai casi in cui lo spostamento da un comparto ad un altro sia connesso non a soggettive valutazioni di destinazione funzionale ma ad eventi oggettivi, come l’acquisto o la perdita dell’influenza notevole in relazione a titoli partecipativi. Oltre a non rinvenirsi una corrispondenza di tali evenienze con le fattispecie di riclassificazione contemplate dallo IAS 39 (e, in particolare, ai parr. 50 ss.), tali spostamenti non pongono un problema di certezza della data di riclassifica (v. infra), essendo questa ricollegabile all’atto che abbia reso la riclassifica necessaria.
Tuttavia, sembra che anche in questo caso l’esigenza di distinguere il trattamento dei valori maturati presso il comparto di provenienza dai componenti economici manifestatisi successivamente, per far seguire a ciascuno le regole proprie, comunque si ponga. Se una partecipazione minusvalente fosse degradata nel comparto di trading in conseguenza della perdita dell’influenza notevole, parrebbe comunque corretto assoggettare la minusvalenza latente all’indeducibilità prevista dal regime PEX, a prescindere dalla volontarietà della riclassifica. Senza contare, poi, che il venir meno dell’influenza notevole, diversamente dal suo sopraggiungere, non comporta una classificazione univoca dell’interessenza residua, sussistendo il dubbio se il portafoglio di destinazione sia AFS o HFT (e quindi immobilizzato o meno).
Dall’analisi svolta sull’estensione del presupposto applicativo dell’art. 4, emerge quindi che, per quanto la norma sia limitata alle riclassificazioni suscettibili di determinare mutamenti di regime fiscale, se si ricomprendessero in tale ambito le differenze di tassazione aventi natura meramente temporanea, come quelle scaturenti da trasferimenti di titoli obbligazionari da e verso il comparto del trading, essa avrebbe una portata eccessiva rispetto alla sua finalità.
Per preservare gli interessi erariali e perseguire la ratio enunciata dalla Relazione di evitare “doppia deduzione o nessuna deduzione di componenti negativi ovvero doppia tassazione o nessuna tassazione di componenti positivi”, infatti, sarebbe sufficiente l’applicazione della disposizione (con il necessario corollario del comma 3, di cui infra) alle riclassificazioni di partecipazioni azionarie dal comparto del trading agli altri, e viceversa, per evitare le anomalie cui si è fatto cenno in precedenza. Non appare invece del tutto coerente con la sua ratio l’estensione del presupposto alle riclassificazioni riguardanti titoli obbligazionari, potendo da tali riclassificazioni derivare, come detto, meri sfasamenti temporali dei fenomeni impositivi (in positivo o in negativo), ma mai doppie imposizioni o salti d’imposta.
Scendendo maggiormente nel dettaglio, i commi 1, 2 e 3 del citato art. 4 (17) prevedono che, nel caso di riclassificazione, il differenziale tra: i) il valore secondo il quale lo strumento viene iscritto nella nuova categoria (valore che diviene il nuovo costo fiscale) e ii) il valore fiscalmente riconosciuto dello stesso strumento finanziario prima della riclassificazione stessa, concorre alla formazione della base imponibile “secondo la
17 «1. Nella riclassificazione di uno strumento finanziario in una delle altre categorie previste dallo IAS 39, che comporta il passaggio ad un diverso regime fiscale dello strumento stesso, il valore dello strumento finanziario iscritto nella nuova categoria, quale risultante da atto di data certa e, in ogni caso, dal bilancio d’esercizio approvato successivamente alla data di riclassificazione, assume rilievo fiscale.
2. Il differenziale tra il valore di cui al comma precedente ed il valore fiscalmente riconosciuto prima della riclassificazione dello strumento finanziario in un’altra categoria tra quelle contemplate dallo IAS 39 rileva secondo la disciplina fiscale applicabile allo strumento finanziario prima della riclassificazione.
3. La riclassificazione di cui al comma 1 assume rilevanza anche ai fini di cui alla lettera a) e b) dell’articolo 87 TUIR e si applicano le disposizioni di cui alla lettera c) del comma 1-bis dell’articolo 110 ».
disciplina fiscale applicabile allo strumento finanziario prima della riclassificazione”, in particolare (si ritiene) quale prevista per i componenti di natura realizzativa.
In effetti, la formulazione del comma 2 non esplicita il riferimento ai componenti di natura realizzativa, potendo suscitare il dubbio che la disciplina applicabile sia, piuttosto, quella dei componenti di natura valutativa. La soluzione indicata appare tuttavia l’unica coerente con la previsione del comma 1, rivolta ad attribuire rilevanza fiscale al valore di iscrizione dello strumento finanziario nella nuova categoria, che equipara quindi (nella prospettiva del portafoglio di destinazione) la riclassificazione ad un nuovo acquisto. L’equiparazione dell’anzidetto differenziale ad un componente reddituale realizzativo è inoltre l’unica compatibile con il comma 3, norma rivolta ad evitare i salti d’imposta che potrebbero conseguire alla riclassificazione di partecipazioni azionarie da e verso il comparto del trading.
In particolare, il comma 3 prevede:
• l’applicazione della disposizione anti dividend washing di cui all’art. 110, comma 1-bis, lett. c), TUIR, che comporta la riduzione del costo fiscalmente riconosciuto della partecipazione immobilizzata sulla quale siano stati incassati dividendi (per la quota di essi esclusa da imposta), in caso di possesso di durata inferiore all’holding period;
• che la riclassificazione di una partecipazione riveniente dal comparto di trading rileva come “prima iscrizione” nel nuovo comparto “immobilizzato”; conseguentemente, secondo quanto chiarito dalla Relazione illustrativa, non viene computato il periodo di possesso precedentemente decorso.
E’ evidente che l’applicazione della norma anti dividend-washing presuppone un fenomeno realizzativo, idoneo a interrompere il periodo di possesso ed a rendere rilevante la riduzione del costo fiscalmente riconosciuto. Nello stesso senso depone la
rilevanza come “prima iscrizione” dell’iscrizione della partecipazione nel comparto di destinazione.
Per le operazioni di riorganizzazione aziendale in continuità di valori fiscali, il comma 4 dell’art. 4 (18) estende i principi di cui ai precedenti commi anche al differenziale tra il valore al quale lo strumento finanziario venga iscritto dal beneficiario (in un comparto diverso da quello in cui era classificato presso il trasferente), ed il costo fiscalmente riconosciuto presso tale xxxxx causa (costo che pertanto diviene quello di ricezione per l’avente causa), facendolo concorrere alla formazione della base imponibile del beneficiario. A tale proposito, le regole di tassazione sono quelle applicabili allo strumento finanziario nella precedente classificazione e quindi anche, nell’ipotesi in cui lo strumento provenga dal patrimonio di un soggetto non IAS, la disciplina di contrasto del dividend washing di cui all’art. 109 TUIR.
Delicati problemi interpretativi sorgono in merito al requisito di “data certa” previsto dal comma 1 per gli atti interni dell’impresa che dispongano la riclassifica. Viene infatti specificato che il valore di iscrizione dello strumento finanziario che rileva ai fini fiscali:
• in caso di riclassificazione, è quello utilizzato dal contribuente in base allo IAS 39 (in pratica, il fair value del giorno in cui abbia effettuato la riclassifica) “quale risultante da atto di data certa”; in difetto della “data certa” rileva il valore al quale lo strumento finanziario risulterà valorizzato nel primo bilancio d’esercizio successivamente approvato. La Relazione specifica, sul punto, che « qualora la riclassificazione avvenga alla data di chiusura delle situazioni periodiche la relazione
18 «Le disposizioni di cui ai commi precedenti si applicano anche alle classificazioni di uno strumento finanziario effettuate a seguito di operazioni di riorganizzazione aziendale in continuità di valori fiscali che comportano il passaggio ad un diverso regime fiscale dello strumento stesso. In tale ipotesi, il differenziale tra il valore dello strumento finanziario iscritto nella nuova categoria, individuato alla data di efficacia giuridica dell’operazione straordinaria, e quello fiscalmente riconosciuto prima dell’operazione di riorganizzazione, rileva in capo al soggetto che iscrive lo strumento finanziario in una delle altre categorie previste dallo IAS 39 secondo la disciplina fiscale applicabile allo strumento finanziario prima della nuova classificazione, incluse le disposizioni di cui all’articolo 109, commi 3-bis, 3-ter, 3-quater del testo unico ».
relativa al periodo considerato è idonea a soddisfare la condizione di certezza temporale prevista dalla disposizione »;
• in caso di nuova classificazione, è comunque il fair value rilevato alla data di efficacia giuridica dell’operazione di riorganizzazione aziendale (19).
Circa la nozione di “atto di data certa” e le modalità per realizzare il requisito, si rinvia al paragrafo di commento all’art. 7, che pone il medesimo interrogativo. Per quanto riguarda l’interpretazione del requisito nello specifico contesto delle riclassificazioni da un comparto ad un altro tra quelli previsti dallo IAS 39, appare invece opportuno darsi carico della sua ratio. Rileva, al riguardo, che nelle riclassificazioni aventi ad oggetto titoli azionari da e verso il portafoglio di trading una determinazione a posteriori del mutamento di comparto (e, conseguentemente, del valore dello strumento al momento della riclassifica) può comportare rilevanti pregiudizi per il Fisco.
Se, ad esempio, dal 1° luglio a fine esercizio una partecipazione abbia ridotto il suo valore da 150 a 100, nel nuovo sistema che equipara la riclassifica ad un nuovo acquisto l’impresa partecipante potrebbe aver interesse, ex post, a riclassificare la partecipazione da un portafoglio immobilizzato al trading (riclassificazione comunque non ammessa, in base alle regole attuali) con decorrenza 1° luglio, al fine di dare rilevanza fiscale, sulla base delle regole del portafoglio di destinazione, alla perdita di valore intervenuta medio tempore. Allo stesso modo, nel caso di incremento di valore da 100 a 150 nello stesso periodo dell’esempio precedente, il partecipante potrebbe propendere per una riclassificazione ex post, con decorrenza 1° luglio, dal portafoglio di trading ad un portafoglio immobilizzato, al fine di neutralizzare fiscalmente la plusvalenza maturata medio tempore, sempre secondo le regole del portafoglio di destinazione.
Tanto premesso, appare evidente che il requisito della data certa è rivolto, in una prospettiva di tutela degli interessi erariali, a prevenire riclassificazioni a posteriori
19 In caso di fusione, ad esempio, il secondo comma dell’art. 2504-bis del codice civile prevede che l’operazione abbia effetto quando sia stata eseguita l’ultima delle iscrizioni previste dall’art. 2504 ovvero, in caso di fusione per incorporazione, anche in una successiva diversa data convenzionalmente stabilita).
strumentalizzate al conseguimento del miglior risultato fiscale per il contribuente. Considerata tale finalità, appare altresì evidente che il requisito della data certa debba essere riferito alla riclassifica piuttosto che al valore, come sembra invece far intendere la formulazione della norma.
Ciò detto, si può comunque dubitare che la cautela della data certa sia idonea rispetto a qualunque tentativo di manipolazione ex post da parte del contribuente. Mentre infatti risultano opportunamente pregiudicate le riclassifiche postdatate, non sembrano adeguatamente contrastati annullamenti a posteriori (comunque entro la fine dell’esercizio) di riclassifiche precedentemente effettuate, ancorché comprovate dalla data certa.
Nei casi opposti a quelli documentati negli esempi precedenti, di riclassificazione dall’immobilizzato al trading che sia seguita da un cospicuo incremento di valore della partecipazione e di riclassificazione dal trading all’immobilizzato che sia seguita da una perdita di valore, sarebbe agevole per il contribuente vanificare successivamente la riclassifica sostituendo il documento comprovante la riclassifica con altro privo di data certa, o addirittura stralciandolo, specie se la data certa sia conferita all’atto di riclassificazione mediante apposizione del timbro postale.
Gli anzidetti rischi sarebbero in parte risolti da una collocazione del requisito (della data certa) sul piano meramente procedimentale, collocazione che appare pervero sostenibile considerato che gli effetti della disposizione sono fatti dipendere dal comportamento formalmente tenuto dal contribuente e che, in generale, l’art. 2709 c.c.
(20) precluderebbe l’utilizzo a vantaggio del contribuente della non idonea documentazione delle vicende di rilevanza contabile. Sembra pertanto preferibile un’interpretazione secondo la quale la disposizione non abbia portata sostanziale e rilevi solo in sede di accertamento del tributo, fermo restando che non sarebbe
20 Tale norma stabilisce che ”i libri e le scritture contabili delle imprese soggette a registrazione fanno prova contro l’imprenditore. Tuttavia chi vuol trarne vantaggio non può scinderne il contenuto”,
ammissibile una discrasia tra i due elementi, nel senso che la riclassificazione, una volta riferita ad un determinato giorno, andrebbe considerata fatta secondo il valore del giorno stesso. In altri termini, allorquando l’atto di riclassifica risulti almeno dalla contabilità, le conseguenze fiscali legate alla data ivi indicata (e, quindi, al relativo valore) non potrebbero essere disattese dal contribuente in sede di dichiarazione, quando disattenderle comporti un minor reddito imponibile nello stesso periodo d’imposta.
Non apparendo scindibili data e valore, si dovrebbe inoltre ritenere che l’assenza di una “data certa” della riclassificazione renda inopponibile al Fisco (o anche al contribuente) non solo il “valore”, ma anche il “giorno” della sua effettuazione, così come documentata nelle scritture contabili. L’individuazione del giorno della riclassificazione rileva in particolare per le partecipazioni, in quanto lo spostamento da o verso il comparto del trading influenza il computo dell’holding period per il regime PEX ed il regime dei dividendi incassati.
Per le operazioni di aggregazione aziendale, invece, la data di riferimento è quella, oggettiva, di perfezionamento giuridico dell’operazione, che è quindi vincolante anche per l’Erario, precludendogli il potere di disconoscere gli effetti, anche negativi, che il riallineamento possa comportare sul reddito imponibile.
La Relazione soggiunge che, per le operazioni in questione, resta fermo il divieto di compensazione intersoggettiva di perdite, senza meglio specificare la fonte e le conseguenze di tale divieto. La fattispecie cui la Relazione si riferisce potrebbe essere quella di un’operazione il cui beneficiario abbia perdite fiscali in scadenza e presso il quale si manifestino con rilevanza immediata, per effetto della classificazione di strumenti finanziari in un comparto diverso da quello utilizzato dal trasferente e soggetto ad un diverso regime fiscale, plusvalori la cui latenza sia maturata prima dell’operazione straordinaria. Caso tipico sarebbe quello di un titolo obbligazionario del comparto AFS, incluso in un compendio aziendale trasferito per effetto di
un’operazione straordinaria neutrale, la cui plusvalenza latente venga “realizzata” dal beneficiario mediante la classificazione del titolo stesso nel comparto HFT, conseguendo un vantaggio (l’utilizzo delle perdite fiscali pregresse) che non sarebbe stato altrimenti accessibile in assenza dell’operazione straordinaria e della riclassificazione.
A ben vedere, tuttavia, se questa fosse la fattispecie di abuso che l’estensore della Relazione aveva in mente, si tratterebbe di elusione conseguente più alla riclassificazione che all’operazione straordinaria, nel senso che il soggetto IAS con perdite in scadenza potrebbe accedervi anche riclassificando obbligazioni AFS con plusvalenze latenti che non derivino da un’operazione straordinaria. D’altra parte, se invece si trattasse di minusvalenze latenti espulse, mediante un’operazione straordinaria neutrale, da un soggetto con perdite fiscali, l’eventuale abuso non sarebbe qualificato in alcun modo dalla riclassificazione successivamente posta in essere dal beneficiario.
Quanto al fondamento del divieto in questione, dovrebbe trattarsi dell’art. 37-bis del
D.P.R. n. 600/1973, che ricomprende nel suo ambito applicativo sia le riorganizzazioni aziendali neutrali che le classificazioni di strumenti finanziari.
Si ritiene, infine, che le modifiche di regime fiscale IRAP conseguenti a riclassificazioni di strumenti finanziari esulino dal campo di applicazione dell’art. 4 in commento, specie quando la disciplina di tale tributo preveda la “presa diretta” dell’imponibile sulla base della struttura del conto economico IAS (come per le banche, in base all’art. 6 del D.Lgs. n. 446/1997). Maggiori incertezze sussistono per le diverse classificazioni effettuate nell’ambito di riorganizzazioni aziendali, considerato il doppio binario che si instaura anche ai fini del tributo regionale.
Art. 5 – Strumenti finanziari
L’articolo 5 del Decreto contiene una norma di coordinamento della disciplina fiscale relativa agli strumenti finanziari con i criteri di esposizione in bilancio previsti dai principi contabili internazionali, e segnatamente dallo IAS 32.
Secondo quanto precisato nella Relazione, la disposizione trova fondamento nelle significative differenze tra i criteri di definizione di uno strumento rappresentativo di capitale indicati dallo IAS 32 e quelli individuati dal legislatore fiscale nell’art. 44 TUIR. Essa consegue, in particolare, alle modifiche introdotte al predetto principio contabile dal Regolamento (CE) n. 1293 del 23 dicembre 2009, che ha tra l’altro modificato, sia pur sotto profili limitati e prevalentemente formali, i criteri di qualificazione e classificazione di uno strumento finanziario come strumento rappresentativo di capitale ivi previsti.
Il comma 1 stabilisce che, “indipendentemente dalla qualificazione e della (dovrebbe essere “dalla”, ma il testo in G.U. si esprime nei termini indicati; ndr) classificazione adottata in bilancio, si considerano: a) similari alle azioni gli strumenti finanziari che presentano i requisiti di cui alla lettera a) del comma 2 dell'art. 44 del testo unico; b) similari alle obbligazioni gli strumenti finanziari che presentano i requisiti di cui alla lettera c) del comma 2 dell'art. 44 del testo unico”.
Nell’ambito della nozione dei titoli similari, la disposizione disattiva quindi, per i soggetti che applicano i principi contabili internazionali, la prevalenza delle qualificazioni e classificazioni IAS stabilita dall’art. 83 TUIR.
Al riguardo, si ricorda che l’art. 44, comma 2, XXXX definisce similari alle azioni i titoli e gli strumenti finanziari “la cui remunerazione è costituita totalmente dalla partecipazione ai risultati economici della società emittente” (o di altre società appartenenti allo stesso gruppo o dell’affare in relazione al quale sono stati emessi; lett. a) e similari alle
obbligazioni “i titoli di massa che contengono l’obbligazione incondizionata di pagare alla scadenza una somma non inferiore a quella in essi indicata, con o senza la corresponsione di proventi periodici, e che non attribuiscono ai possessori alcun diritto di partecipazione diretta o indiretta alla gestione dell’impresa emittente o dell’affare in relazione al quale siano stati emessi, né di controllo sulla gestione stessa” (lett. c).
In ambito IAS (cfr. IAS 32, par. 11), di contro, viene definito strumento rappresentativo del capitale “qualsiasi contratto che rappresenti una quota ideale di partecipazione residua nell’attività dell’entità dopo aver dedotto tutte le sue passività”, risultando di norma qualificabili come attività o passività finanziarie gli strumenti finanziari che non presentino tali caratteristiche.
Come per altre disposizioni del provvedimento, si ritiene tuttavia che anche in questo caso le modifiche apportate allo IAS 32 - di carattere, come detto, prevalentemente definitorio - abbiano costituito, più che il necessario presupposto del coordinamento con la disciplina TUIR, l’occasione per una sua rivisitazione in termini più ampi, riproponendo conseguentemente - al di là del pur apprezzabile intento di rispondere alle numerose incertezze applicative dei soggetti IAS - i già indicati dubbi di coerenza con i criteri di delega.
Tenuto conto dell’ampio tenore letterale della norma, la disattivazione delle qualificazioni IAS che ne consegue è destinata ad operare sia nei confronti dell’emittente che del possessore del titolo. L’allineamento nel trattamento fiscale degli strumenti finanziari per emittente e prenditore rappresenta, del resto, la precipua finalità del comma 1, secondo quanto desumibile anche dalla Relazione, che evoca il “principio di carattere generale tendente a garantire la simmetria di trattamento fiscale tra emittente e sottoscrittore”. In tal senso depone, del resto, il successivo comma 2, che conferma l’applicabilità dei criteri di deducibilità della remunerazione dovuta su titoli e strumenti finanziari comunque denominati, stabiliti dall’art. 109, comma 9, TUIR, agli
“strumenti finanziari di cui al comma precedente”, con ciò implicandone la necessaria rilevanza anche per l’emittente.
Per comprendere meglio le finalità e la portata della norma è necessario soffermarsi brevemente su come la prevalenza delle qualificazioni e classificazioni IAS si atteggiasse, tra emittente e prenditore di strumenti finanziari, prima della sua emanazione. La disciplina di riferimento, in tale ambito, era costituita dall’art. 3 del Regolamento IAS, che al comma 2 riaffermava il principio di derivazione rafforzata anche nel caso di operazioni tra soggetti IAS e non e al comma 3 vi derogava (dando rilevanza alla “natura giuridica delle operazioni”) per le operazioni aventi ad oggetto titoli partecipativi, “con esclusione delle azioni proprie e degli altri strumenti rappresentativi del patrimonio proprio”, con la finalità di garantire il corretto funzionamento di istituti (quali la PEX e l’esclusione da IRES dei dividendi) che richiedevano un’applicazione omogenea tra tutti i soggetti rientranti nel loro ambito applicativo. Ne derivava una situazione nella quale:
• per i soggetti non IAS, emittenti o prenditori che fossero, rilevavano sempre le qualificazioni scaturenti dall’art. 44 TUIR, sia per strumenti di capitale che di debito, anche ai fini dell’applicazione dell’art. 109, comma 9 (in capo all’emittente);
• per l’emittente soggetto IAS, gli strumenti qualificati come equity ai fini IAS rilevavano come tali anche ai fini fiscali, anche quando non lo fossero in base all’art. 44 TUIR. Così, ad esempio, sarebbe stato trattato come strumento di capitale un titolo con remunerazione fissa ma con postergazione al soddisfacimento di tutte le altre passività (come tale corrispondente con la definizione di “strumento rappresentativo di capitale” contenuta nello IAS 32, par. 11), con indeducibilità della relativa remunerazione (21);
21 Cfr, Assonime, Guida … cit., p. 97 s.
• per il prenditore soggetto IAS, tali strumenti rilevavano invece sulla base dell’art. 44 TUIR, in considerazione della deroga alla derivazione rafforzata (stabilita dall’art. 3, comma 3 del Regolamento IAS). Un titolo con le caratteristiche indicate al punto precedente, quindi, sarebbe risultato similare ad un’obbligazione e sarebbe stato trattato come tale sia per i profili valutativi e realizzativi, sia per quelli attinenti ai flussi reddituali periodici. Peraltro, su questo aspetto, le posizioni interpretative si presentavano in parte contrastanti, in quanto la dottrina prevalente (Assonime compresa) considerava l’anzidetta deroga generalizzata a qualunque vicenda riguardante strumenti partecipativi che fosse idonea a determinarne l’iscrizione o la cancellazione in bilancio, mentre l’Agenzia delle entrate riteneva che la deroga fosse limitata alle sole operazioni aventi ad oggetto “il trasferimento totale o parziale dei diritti connessi a titoli partecipativi” (cfr. Xxxx. x. 0/X del 2011);
• in relazione agli strumenti qualificati come passività finanziarie ai fini IAS, si
poneva il dubbio, quanto meno per l’emittente, se in mancanza di una disposizione espressamente rivolta a preservare la rilevanza delle qualificazioni IAS (come nel caso delle azioni proprie e degli altri strumenti rappresentativi del capitale proprio) prevalessero le definizioni dell’art. 44 TUIR, trattandosi di una norma rivolta a stabilire specifici criteri fiscali e che, come tale, non recepisce le qualificazioni e classificazioni contabili neanche per i soggetti non IAS (22).
Per gli elementi equity di precipua derivazione IAS (es. la componente equity delle obbligazioni convertibili, dei warrant, dei finanziamenti infruttiferi del socio, delle varie forme di comodato infragruppo) e per i flussi reddituali direttamente o indirettamente connessi, si ritenevano comunque prevalenti le qualificazioni IAS: nella prospettiva dell’Agenzia delle entrate, sul presupposto che non concretizzano forme di trasferimento di diritti partecipativi (ai quali, soli, avrebbe fatto riferimento xx xxxxxx
00 Xxx. Assonime, Guida … cit., p. 98.
prevista dall’art. 3, comma 3, del Regolamento IAS); nella prospettiva dell’Assonime, perché estranei alla nozione giuridico-formale di rapporti partecipativi, alla quale fa riferimento l’art. 44 TUIR, e perché estranei all’ambito applicativo dell’art. 3 del Regolamento IAS, rivolto ad evitare l’applicazione contestuale di criteri IAS e non IAS e pertanto indifferente a strumenti o poste rilevanti solo in ambito IAS (23).
In questo intricato contesto, la norma introdotta dal comma 1 reca un evidente contributo di chiarezza. Gli strumenti finanziari provvisti di connotati giuridico- formali tipici degli strumenti di capitale o di debito, come tali rilevanti sia per i soggetti IAS che per i soggetti non IAS, seguono ora sempre, per emittente e prenditore, IAS e non IAS, le qualificazioni scaturenti dall’applicazione dell’art. 44, comma 2, TUIR. Ciò, quindi, anche nei casi diversi da quelli già contemplati dall’art. 3, comma 3, del Regolamento IAS e comunque ai fini del regime fiscale di qualunque elemento reddituale possa scaturirne: flussi reddituali periodici, valutazioni, differenze da realizzo o da rimborso.
Dovrebbero invece restarne fuori, per i motivi che li escludevano dal dibattito già prima dell’entrata in vigore del Decreto, gli elementi patrimoniali di derivazione IAS privi degli attributi giuridici degli strumenti finanziari, e pertanto insuscettibili di determinare asimmetrie di trattamento tra soggetti IAS e non (perché non riconoscibili come elementi di patrimonio secondo le regole contabili nazionali), comunque estranei all’ambito applicativo dell’art. 44 TUIR, anche per il motivo di non rientrare, in molti casi, né nella categoria degli strumenti similari alle azioni, né in quella degli strumenti similari alle obbligazioni (i warrant, ad es., o la componente opzionale di un’obbligazione convertibile, non garantiscono, prima dell’eventuale esercizio dell’opzione, alcuna partecipazione agli utili dell’emittente).
23 Cfr. Assonime, Guida … cit., p. 102 s.
Tale conclusione risulta peraltro essere l’unica coerente con il comma 4 (di cui infra), che presuppone la rilevanza fiscale delle riserve iscritte in bilancio (in corrispondenza dell’assegnazione di diritti connessi a strumenti partecipativi) che possano aver generato componenti negativi; la situazione descritta sembra infatti riflettere il (solo) caso della componente di equity collegata all’emissione di obbligazioni convertibili.
Ovvio corollario della tesi sostenuta è che, mentre la qualificazione fiscale degli strumenti finanziari segue le definizioni dell’art. 44 (e quindi, nell’esempio delle obbligazioni convertibili, anche la qualificazione della componente obbligazionaria dalla quale sia stato scorporato l’elemento equity), con l’eccezione degli elementi patrimoniali di stretta derivazione IAS, la qualificazione delle operazioni dalle quali tali strumenti scaturiscono (con la sola deroga di quelle contemplate dall’art. 3, comma 3, del Regolamento IAS) segue i criteri IAS. Pertanto, nel caso delle obbligazioni convertibili, seguiranno i criteri IAS sia la scomposizione dello strumento emesso nelle componenti di capitale e di debito, sia la qualificazione della componente equity, sia la quantificazione dei fenomeni reddituali corrispondenti; seguirà i criteri dell’art. 44 TUIR la qualificazione della componente di debito.
Sulla base di quanto precede, devono in ogni caso ritenersi esclusi dall’ambito di applicazione della norma i contratti derivati e gli altri contratti a termine di natura finanziaria, in quanto non rientranti tra i titoli e strumenti finanziari di cui all’art. 44, comma 2, lett. a) e c), TUIR, giusta quanto precisato dall’Agenzia delle entrate nella Circolare n. 26/E del 2004. Anche relativamente a tali contratti e strumenti dovrebbero pertanto continuare a prevalere le qualificazioni e classificazioni IAS. Rileva tuttavia che, nel caso di derivati di copertura di strumenti finanziari “riqualificati” nell’anzidetta prospettiva fiscale, la riqualificazione dell’attività coperta deve necessariamente riverberare i propri effetti anche sullo strumento di copertura, in applicazione del principio di simmetria di trattamento stabilito dall’art. 112, comma 4, TUIR.
Tenuto conto, inoltre, che la disposizione fa espresso riferimento ai soli titoli “similari” alle azioni e alle obbligazioni, e quindi agli strumenti finanziari di incerta qualificazione, dovrebbero risultarne comunque estranee le azioni e obbligazioni propriamente dette.
Il comma 2 dell’art. 5, a necessario corollario del comma 1 (secondo quanto già detto), conferma “l'applicazione delle disposizioni di cui al comma 9 dell'art. 109 TUIR anche alle remunerazioni dovute sugli strumenti finanziari di cui al comma precedente”, con la conseguente indeducibilità della parte di esse che “direttamente o indirettamente comporti la partecipazione ai risultati economici della società emittente o di altre società appartenenti allo stesso gruppo o dell'affare in relazione al quale gli strumenti finanziari sono stati emessi”.
Al riguardo, si ricorda che l’art. 109, comma 9, TUIR costituisce norma di portata applicativa particolarmente ampia, operando con riferimento agli strumenti finanziari “comunque denominati” e, pertanto, sia a quelli rappresentativi di debito che di equity (24).
Si evidenzia altresì che, in virtù del combinato disposto dell’art. 44, comma 2, lett. a), e dell’art. 109, comma 9, lett. a), TUIR, per la società emittente l’indeducibilità opera anche se la remunerazione è solo in parte commisurata agli utili, mentre per il portatore del titolo l’assimilazione ai dividendi è prevista solo in caso di totale commisurazione ai risultati economici della società: ciò può determinare asimmetrie di trattamento in tutti i casi in cui gli strumenti prevedano una remunerazione “mista” (ad esempio, obbligazioni che, in aggiunta ad una remunerazione fissa, attribuiscano come remunerazione aggiuntiva una percentuale dell’utile). Tali asimmetrie permangono anche a seguito dell’emanazione della disposizione in commento.
24 Cfr. Xxx, Le imposte sui redditi nel Testo Unico, Milano, 2010, p. 2071.
Il comma 3 chiarisce che, anche con riferimento agli strumenti finanziari similari alle obbligazioni, di cui al comma 1, lett. b), resta fermo il principio per cui si considerano imputati al conto economico i componenti reddituali rilevati a patrimonio netto per effetto degli IAS/IFRS. La disposizione si rende applicabile ai titoli aventi natura fiscale di titoli assimilati alle obbligazioni, in base al secondo comma dell'art. 44 TUIR, ma classificati in bilancio come strumenti rappresentativi di capitale, le cui remunerazioni devono essere addebitate al patrimonio in base alla rappresentazione conforme allo IAS
32. In virtù della suddetta previsione, tali remunerazioni rilevano fiscalmente come interessi passivi ancorché prive di imputazione al conto economico.
Il quarto ed ultimo comma della norma stabilisce che, “nell'ipotesi di mancato esercizio di diritti connessi a strumenti finanziari rappresentativi di capitale, le riserve iscritte in bilancio a fronte delle relative assegnazioni concorrono alla formazione del reddito imponibile nella misura in cui le predette assegnazioni hanno generato componenti negativi che hanno assunto rilievo fiscale”. La Relazione precisa che la disposizione opera con riferimento alla determinazione della base imponibile IRES, puntualizzando altresì che “il mancato esercizio di diritti connessi a strumenti finanziari rappresentativi di capitale assegnati ai sottoscrittori dalla società emittente, determinando un'insussistenza di componenti negativi che hanno concorso alla determinazione della base imponibile ai fini IRES, comporta l'emersione di un componente positivo che deve essere, in tale momento, assoggettato a tassazione. In particolare, il citato componente positivo è costituito dalla parte della riserva iscritta a fronte delle predette assegnazioni che corrisponde all'ammontare dei componenti negativi generati dalle stesse assegnazioni che hanno assunto rilievo fiscale”.
Come accennato in precedenza, la norma appare precipuamente dettata per le emissioni di obbligazioni convertibili, nel caso di mancato esercizio dei relativi diritti di conversione. Altre operazioni affini sono infatti estranee al suo ambito applicativo, o perché non si concretizzano nell’assegnazione di diritti, pur facendo emergere componenti negativi in corrispondenza dell’iscrizione di riserve patrimoniali di stretta derivazione IAS (es. finanziamenti infruttiferi o comodati concessi dai soci), o perché
non fanno emergere componenti negativi pur derivandone l’assegnazione di diritti e la corrispondente iscrizione di riserve (es. warrant su azioni proprie). Misterioso è il motivo per il quale, secondo quando si dirà nel seguito, la Relazione considera le stock option estranee alla fattispecie in esame.
Per comprendere il nesso della norma con le obbligazioni convertibili, appare necessaria una breve ricognizione dei criteri di qualificazione e classificazione previsti per tali strumenti dallo IAS 32.
In generale, la classificazione in bilancio di uno strumento finanziario non derivato deve essere effettuata con riguardo al suo contenuto sostanziale, dovendo gli emittenti svolgere un esame di tipo funzionale per accertare se lo strumento abbia caratteristiche di debito, di capitale o composite (IAS 32, par. 28) e, in quest’ultimo caso, classificare le diverse componenti separatamente, come passività finanziarie e strumenti rappresentativi di capitale.
Nell’ipotesi di obbligazioni convertibili in azioni, la cui emissione corrisponde a quella di titoli di debito con clausola di rimborso anticipato associati a warrant per l’acquisto di azioni, l’emittente deve procedere alla separazione delle due componenti, determinando prima il valore contabile di quella di debito, pari al fair value di una passività similare (i.e. con flussi di cassa similari), e successivamente quello della componente di capitale, come differenza tra il fair value dello strumento finanziario nel suo complesso e quello del debito.
La componente di patrimonio netto rilevata inizialmente per effetto di tale separazione, che misura il valore della componente opzionale implicita nello strumento finanziario composto, ha sostanzialmente natura di apporto. La corrispondente riduzione del valore contabile del debito (rispetto a quello nominale) costituisce invece, in termini funzionali, una sorta di scarto di emissione della componente obbligazionaria che, rispetto ai criteri contabili “tradizionali”, si traduce nella contabilizzazione di maggiori
interessi passivi. In caso di mancato esercizio dei diritti di conversione, la riserva mantiene la sua natura di riserva di capitale.
Ciò premesso sul piano contabile, nella ricostruzione dei profili fiscali dell’operazione prevaleva, prima dell’emanazione del Decreto, e dovrebbe prevalere tutt’ora, secondo quanto accennato in precedenza, la qualificazione IAS. Ne deriva il riconoscimento fiscale della componente di capitale rilevata in bilancio dall’emittente e la deducibilità dei maggiori interessi passivi. Su questo contesto l’art. 5 interviene, con il comma 4, stabilendo l’imponibilità della riserva di capitale iscritta in bilancio a fronte dell’assegnazione dei diritti (i.e. dell’implicita emissione di warrant nell’ambito dell’emissione di obbligazioni convertibili), in caso di mancato esercizio di essi.
La disposizione appare tuttavia criticabile, per diversi motivi.
Innanzitutto, essa sembra sottendere un vizio logico, laddove riporta nell’ambito della società una vicenda che, nella prospettiva degli IAS, attiene eminentemente ai soci. Inoltre, lo fa in modo incoerente, perché limita l’intervento alle obbligazioni convertibili trascurando tutte le altre fattispecie analoghe di cui si è detto (warrant emessi su proprie azioni, finanziamenti infruttiferi alle controllate, stock option concesse ai dipendenti, ipotesi di comodato infragruppo). Lo fa infine in modo parziale, perché trascura di dare rilevanza fiscale all’ipotesi simmetrica, di opzioni alla conversione esercitate a condizioni molto più favorevoli dei prezzi di mercato correnti, con una implicita perdita per i soci preesistenti.
Sotto il primo profilo, si è finora dato per presupposto che gli IAS qualifichino le opzioni su proprie azioni, anche se cartolarizzate in forma di warrant e incorporate in uno strumento composto come le obbligazioni convertibili, alla stregua di strumenti rappresentativi di capitale. Tale presupposto è in realtà agevolmente dimostrabile,
essendo la fattispecie espressamente contemplata dallo IAS 32, par. 22 (25). La collocazione nel patrimonio netto del warrant emesso, in base alla sua equiparazione ad un apporto, determina ovviamente la qualificazione delle vicende successive, che si neutralizzano nell’ambito patrimoniale, senza effetti né sul patrimonio netto nè sul conto economico, perché, consolidatosi l’apporto (in una logica IAS), tali successive vicende diventano questioni afferenti ai soci, piuttosto che alla società; la configurazione neutrale (per la società) delle vicende successive all’apporto si manifesta, peraltro, sia quando l’opzione di conversione non venga esercitata (a vantaggio dei soci preesistenti), sia quando l’opzione di conversione venga esercitata sulla base di uno strike price inferiore al prezzo di mercato (a danno dei soci preesistenti).
D’altra parte, come insegna sempre lo IAS 32, par. 22, un’opzione di segno opposto, sottoscritta dalla società per acquistare proprie azioni, sarebbe dedotta dal patrimonio netto (26). Sarebbe cioè equiparata ad una restituzione di capitale, priva di rilevanza reddituale, anche quando non fosse esercitata dalla società per essere lo strike price superiore al valore di mercato nel momento della possibile conversione; e sempre per il motivo che, secondo gli IAS, il rimborso di capitale si consolida con l’acquisto delle opzioni, restando relegate a vicende tra soci quelle relative al concreto esercizio dell’opzione.
Lo stesso avverrebbe peraltro, se l’opzione su azioni proprie venisse “acquistata” nell’ambito dell’emissione di uno strumento composto, tipo obbligazioni reverse convertible, ossia obbligazioni che attribuiscono la facoltà di conversione all’emittente
25 Lo IAS 32, par. 22, si esprime nei seguenti termini: “Un contratto che sarà regolato dall’entità (ricevendo o) consegnandoun quantitativo fisso di propri strumenti rappresentativi di capitale in cambio di un ammontare fisso di disponibilità liquide o altra attività finanziaria è uno strumento rappresentativo di capitale. Per esempio, un’opzione emessa su azioni che dia alla controparte il diritto ad acquistare un quantitativo fisso dell’entità ad un prezzo fisso o per un importo fisso di valore nominale di un’obbligazione è uno strumento rappresentativo di capitale. … Qualsiasi corrispettivo ricevuto (quale il premio ricevuto per un’opzione emessa o warrant emesso su azioni dell’entità) viene rilevato direttamente ad incremento del patrimonio netto. … Le variazioni nel fair value (valore equo) di uno strumento rappresentativo di capitale non sono rilevati in bilancio.”
26 Lo IAS 32.22 recita come segue: “ … Qualsiasi corrispettivo pagato (quale il premio pagato per un’opzione acquistata) è dedotto direttamente dal patrimonio netto …”.
invece che al prenditore (si pensi, nell’esperienza recente del mercato italiano, al ben noto “convertendo FIAT”; esempi possono comunque rinvenirsene molti, negli anni recenti) previa corresponsione di un tasso di interesse più elevato di quello di mercato, poiché incorporante un premio implicito per l’opzione acquistata. Anche in tale ipotesi l’impresa dovrebbe scorporare il valore dell’elemento opzionale da quello della componente obbligazionaria, secondo criteri analoghi a quelli seguiti per le ordinarie obbligazioni convertibili. In questo caso, tuttavia, gli interessi imputati a conto economico, gli unici fiscalmente rilevanti, sarebbero inferiori a quelli cedolari, rappresentando una parte di essi il prezzo pagato per l’opzione “acquistata”, prezzo da imputare a riduzione del patrimonio netto. Né tale componente di patrimonio si renderebbe deducibile, in corrispondenza dei minori interessi passivi dedotti, qualora l’opzione non fosse in concreto esercitata.
Si sta quindi parlando di due fenomeni assolutamente speculari, l’opzione su azioni proprie venduta e quella acquistata nell’ambito di un’emissione obbligazionaria, che evidentemente non possono essere trattati in modo diverso, come invece il comma 4 comporterebbe. Non ci sono cioè motivi per penalizzare l’opzione “venduta”, tramite tassazione della relativa componente di patrimonio netto, quando non venga contestualmente riconosciuta la deducibilità della componente patrimoniale corrispondente all’opzione “acquistata”. La verità è, in questo caso come in altri, che o si adotta la derivazione rafforzata o non lo si fa, perché gli indirizzi forniti dalle singole disposizioni IAS si inseriscono all’interno di un sistema che tende a fornire soluzioni coerenti (talvolta favorevoli agli interessi erariali, talvolta meno), poiché fondate sulla sostanza economica; sostanza che, nella fattispecie in esame, relega la vicenda delle opzioni su azioni proprie, “acquistate” o “vendute”, nell’ambito di quelle riguardanti i rapporti tra soci.
Né peraltro sembra avere alcuna rilevanza logica la circostanza che il prezzo dell’opzione “acquistata” o “venduta” sia pagato cash, nel contesto di un autonomo
negozio, ovvero sia implicito, manifestandosi tramite maggiori o minori interessi passivi su un’emissione obbligazionaria.
Questa considerazione riporta al difetto di coerenza della norma. Come si è visto, anche un warrant (avente ad oggetto un’opzione “venduta”) emesso autonomamente determina una vicenda che si esaurisce a livello di patrimonio netto, ancorché l’opzione non venga esercitata dal prenditore. Tuttavia, il solo fatto che non venga emesso nell’ambito di un’operazione “sintetica”, come le obbligazioni convertibili, e che quindi il prezzo non sia implicito, ne esclude qualunque rilevanza reddituale per l’emittente, a prescindere dal successivo esercizio dell’opzione. Tale incoerenza non sembra avere un fondamento sistematico, tanto che sarebbe possibile realizzare lo stesso risultato dell’emissione di un’obbligazione convertibile emettendo separatamente un warrant e un’obbligazione, senza incorrere in alcuna penalizzazione fiscale, neanche nel caso di mancato esercizio dell’opzione.
Come accennato in premessa, lo stesso discorso potrebbe essere esteso ad altre fattispecie di stretta derivazione IAS, caratterizzate dalla compensazione implicita tra le componenti reddituali e la componente patrimoniale, fattispecie che ai fini contabili determinano la rilevazione di un costo o un ricavo (pari all’elemento economico implicitamente compensato) e di corrispondenti incrementi o riduzioni di patrimonio netto. I casi sono quelli dei finanziamenti infruttiferi, dei comodati concessi dai soci e, soprattutto, delle stock option.
Relativamente a queste ultime, la Relazione precisa che: “Tale previsione (quella del comma 4; ndr) non è applicabile all'ipotesi di mancato esercizio di diritti derivanti da piani di stock option, fattispecie che si caratterizza per la sua natura patrimoniale, sulla base delle regole di contabilizzazione dell'IFRS 2. Pertanto, sia che i dipendenti esercitino le opzioni ad essi assegnate, sia che, in virtù del venir meno delle ragioni di convenienza alla sottoscrizione, le opzioni rimangano inesercitate, l'apporto iniziale non perde la sua qualificazione patrimoniale”.
La precisazione della Relazione, che fonda l’esclusione delle stock option sulla natura patrimoniale della fattispecie, non è convincente. Al contrario, sembra che la non applicabilità del comma 4 alle stock option possa derivare solo dalla disposizione speciale contenuta nell’art. 6, rispetto al quale la Relazione appare anzi incoerente, dato che tale art. 6 (in particolare al comma 1) presuppone la natura di costo delle stock option (per sostenerne poi la deducibilità). In realtà, come si dirà meglio in sede di commento all’art. 6, le stock option hanno profili funzionali assolutamente affini alle obbligazioni convertibili, trattandosi anche in quel caso di una sorta di compensazione implicita tra il premio di un’opzione su azioni proprie e il corrispettivo di un servizio, rappresentato dal lavoro prestato dal dipendente o amministratore invece che da interessi passivi. La natura non è quindi né di mero patrimonio né di mero costo, essendo uno la contropartita dell’altro. Anche in quel caso, peraltro, l’opzione può essere esercitata dal prenditore. L’unica differenza, rispetto alle obbligazioni convertibili, è che il costo risulta comunque deducibile (e la riserva di patrimonio mai tassabile).
Oltre ad essere asistematico e poco coerente, il comma 4 appare anche iniquo. Si è già detto che, oltre alla possibilità che l’opzione di conversione non venga esercitata (a vantaggio dei soci preesistenti), per essere lo strike price superiore al valore di mercato delle azioni, esiste anche quella che l’opzione di conversione venga esercitata sulla base di uno strike price inferiore al prezzo di mercato (a danno dei soci preesistenti). In quest’ultimo caso, consolidandosi comunque il premio dell’opzione venduta come apporto, nessuna deducibilità viene riconosciuta all’impresa per la perdita figurativa sopportata, nonostante l’eccessiva diluizione della partecipazione dei soci, affatto contrapposta alla favorevole assenza di diluizione che si manifesta quando il prezzo di mercato delle azioni sia troppo basso (e l’opzione non venga esercitata). Tale soluzione è corretta, perché riflette la sostanza economica di apporto dell’opzione emessa su azioni proprie, e di successiva questione tra soci dello sfavorevole prezzo applicato alla conversione delle opzioni. E’ tuttavia poco equa, se raffrontata con la simmetrica situazione di mancato esercizio delle opzioni, che comporta tassabilità della componente equity.
Ciò detto per quanto concerne il comma 4, per concludere il commento all’art. 5 occorre porsi il problema se le sue disposizioni debbano applicarsi solo ai fini IRES ovvero anche dell’IRAP. Nel senso di un’applicabilità limitata all’IRES sembrerebbero orientare, almeno per quanto concerne i primi tre commi, il riferimento esclusivo a disposizioni del TUIR e la circostanza che in altre norme del provvedimento si sia fatto espresso rinvio all’IRAP. Qualche dubbio in più pone la formulazione del comma 4, abbastanza generica da poter riguardare anche il tributo regionale, se non fosse per il riferimento alla “formazione del reddito imponibile”. Il dubbio sembra però risolto dalla Relazione che, secondo quanto accennato nell’incipit del commento al comma in esame, precisa di riferirsi ai casi in cui si determini “un’insussistenza di componenti negativi che hanno concorso alla determinazione della base imponibile IRES”.
Art. 6 – Operazioni con pagamenti basati su azioni per servizi forniti da dipendenti
L’art. 6 del Decreto conferma la possibilità di assumere ai fini fiscali, in ossequio al principio di derivazione rafforzata sancito dall'articolo 83 TUIR, le componenti reddituali imputate a conto economico che derivino dalla contabilizzazione dei c.d. “piani di stock option” secondo l’IFRS 2.
Si ricorda al riguardo che, in base all’IFRS 2, i beni e servizi ricevuti dall’impresa nell’ambito di operazioni con pagamento basato su azioni sono rilevati in bilancio (come attività o, se non soddisfano i requisiti per essere rilevati come attività, come costo) con contropartita costituita da un incremento del patrimonio netto, per le operazioni regolate con strumenti rappresentativi del capitale (equity settled), oppure da una passività, per le operazioni regolate per cassa (cash settled).
Nel caso di operazioni equity settled, l’impresa deve valorizzare al fair value il costo dei beni e servizi ricevuti e il corrispondente incremento del patrimonio netto, salvo che
non sia possibile effettuare una stima attendibile, come avviene per i servizi prestati dai dipendenti a fronte dell’attribuzione di opzioni o altri diritti su azioni. In questa ipotesi il riferimento diventa il fair value degli strumenti rappresentativi del capitale assegnati, che deve essere determinato alla data di assegnazione, cioè alla data in cui l’impresa attribuisce al dipendente il diritto ad acquisire le azioni una volta che siano soddisfatte tutte le condizioni di maturazione. In generale, l’imputazione del costo dei servizi ottenuti nell’ambito di un’operazione con pagamento basato su azioni deve interessare il bilancio dell’esercizio in cui il servizio è prestato. Quando, tuttavia, i diritti derivanti dall’assegnazione non siano immediatamente esercitabili, come nel caso delle stock option, l’imputazione del costo a conto economico e la corrispondente contropartita di patrimonio netto devono essere ripartite, pro rata temporis, lungo l’intero vesting period, intendendosi come tale il periodo intercorrente tra la data di assegnazione delle opzioni e la prima data utile per il loro esercizio (27).
In tale contesto si inserisce la disposizione del comma 1 della norma in commento, che, in primo luogo, sancisce il riconoscimento fiscale dei costi imputati a conto economico sulla base dell’IFRS 2 a fronte dell’assegnazione delle stock option, e, in secondo luogo rinvia, per la corretta ripartizione temporale del costo, ai criteri di imputazione temporale seguiti in bilancio.
27 L’assegnazione delle azioni può essere subordinata al verificarsi di determinate condizioni di maturazione, legate o meno all’andamento dei mercati. Le condizioni legate all’andamento dei mercati (ad esempio, il raggiungimento di un determinato prezzo di mercato delle azioni o di un determinato livello di fatturato come condizione per l’esercizio del diritto di ricevere le azioni) devono essere considerate nella stima del fair value delle opzioni assegnate e la rilevazione del costo prescinde dal verificarsi o meno della condizione.
Le condizioni di maturazione non connesse all’andamento dei mercati (ad esempio, la permanenza in azienda per un certo periodo di tempo) non vanno considerate nella stima del fair value delle opzioni assegnate e, in relazione al soddisfacimento o meno delle condizioni, il costo imputato al vesting period rimanente può subire degli aggiustamenti in aumento o in diminuzione.
Dopo la data di maturazione, l’impresa non deve, invece, apportare rettifiche al costo del lavoro ed al corrispondente incremento di patrimonio netto rilevato al momento dell’assegnazione, anche nel caso in cui, ad esempio, i dipendenti non esercitino le opzioni a causa di un prezzo di mercato inferiore a quello di esercizio. Infatti, dopo l’ultima data di esercizio, l’opzione non esercitata si estingue e l’estinzione non comporta di per sé effetti reddituali.
Tale disposizione pone fine alla diatriba dottrinale in ordine alla rilevanza fiscale o meno di tali costi. Al riguardo, erano emersi due orientamenti contrastanti. Quello favorevole alla deducibilità, confermato dal citato comma 1 dell’art. 6 e largamente maggioritario, che fondava tale soluzione sulla prevalenza della qualificazione e classificazione IAS, in virtù del principio di derivazione rafforzata, e sull’assenza di disposizioni che imponessero una variazione in aumento a fronte degli oneri iscritti a conto economico. Secondo questa tesi, essendo l’assegnazione di stock option assimilata dall’IFRS 2 ad un conferimento in natura di servizi, non vi sarebbero motivi per escludere la rilevanza fiscale del valore delle utilità conferite (28). Nel caso delle stock option, tali utilità sarebbero rappresentate da prestazioni lavorative dei dipendenti, e quindi da servizi, come tali non suscettibili di iscrizione nell’attivo, di modo che la loro consumazione nel processo produttivo comporterebbe la deducibilità del relativo costo, anche in difetto di previo transito nell’attivo dello stato patrimoniale (29). L’orientamento contrario si basava, invece, sull’obiezione che l’ammontare imputato a conto economico esprimerebbe un costo di tipo figurativo, perché compensato da un incremento del patrimonio netto, difettando pertanto di quella effettività che costituirebbe condizione necessaria per il riconoscimento fiscale. Sotto un diverso profilo, si tratterebbe in ogni caso di costo dei soci.
In relazione alle stock option destinate agli amministratori, dovrebbe ritenersi che la prevalenza delle imputazioni temporali rilevate in bilancio si manifesti anche rispetto al criterio di deducibilità per cassa altrimenti stabilito dall’art. 95, comma 5, TUIR. Oltre che il tenore letterale della norma, depongono in tale senso sia il suo esplicito richiamo all’art. 83 TUIR, che tale prevalenza afferma in via generale, sia i riferimenti agli amministratori contenuti nella Relazione.
28 Cfr. Risoluzione dell’Agenzia delle Entrate n. 35/E del 16 marzo 2005.
29 Cfr. Xxxxxxxx Xxxxxxxx, Profili tributari dei componenti imputati direttamente a patrimonio netto secondo gli IAS/IFRS, in Rassegna tributaria, n. 5/2008, p. 1353 ss.
Un’altra problematica risolta positivamente dal Decreto riguarda il trattamento da riservare all’ipotesi del mancato esercizio delle opzioni (maturate) da parte del dipendente o amministratore. Come detto in premessa, il mancato esercizio delle opzioni dopo il periodo di maturazione del diritto non assume in ambito IAS una rilevanza economica, al pari di quanto avverrebbe in qualunque altra ipotesi di emissione di warrant che diano il diritto alla sottoscrizione di azioni dell’emittente (cfr., al riguardo, il commento all’art. 5). Non prevedendo gli IAS uno storno del costo inizialmente iscritto, non emerge una sopravvenienza attiva, la cui evidenza contabile, secondo il comma 1 dell’art. 6, ne determinerebbe l’imponibilità (30).
Ai fini IRAP, gli oneri imputati a conto economico sulla base dell’IFRS 2 restano indeducibili, al pari degli altri costi del personale.
Il comma 2 dell’art. 6 del Decreto disciplina gli effetti fiscali dell'assegnazione di azioni proprie, da parte della controllante, ai dipendenti o amministratori di una controllata. In base alle modifiche apportate all’IFRS 2 dal Regolamento (UE) n. 244 del 23 marzo 2010, se una controllante assegna ai dipendenti di una controllata diritti su propri strumenti di patrimonio, la società controllata deve contabilizzare il costo per la prestazione del dipendente con le modalità previste per i pagamenti basati su azioni del tipo equity-settled, con un corrispondente incremento del patrimonio netto che rappresenta il conferimento figurativo effettuato dalla controllante. Nel bilancio della controllante, il fair value relativo agli strumenti di patrimonio assegnati ai dipendenti di una controllata deve essere portato ad incremento del costo della partecipazione nella controllata, trattandosi di una implicita contribuzione in natura, in contropartita dell’incremento di patrimonio netto da rilevare progressivamente durante il periodo di maturazione dello strumento.
30 In tal senso, cfr. Assonime, Guida … cit., p. 88, nota n. 128. In senso contrario, l’Ordine dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili di Roma, nel documento approvato in data 3 febbraio 2011 (precedentemente quindi all’emanazione del Decreto), sostiene la tassazione extracontabile della sopravvenienza attiva che emergerebbe in caso di mancato esercizio delle opzioni.
In ragione di tale contabilizzazione, il citato comma 2 prevede che “i maggiori valori delle partecipazioni iscritti ai sensi dell'Ifrs 2 a seguito di un'operazione con pagamento basato su azioni, regolata con propri strumenti rappresentativi di capitale a favore di altra entità del gruppo che acquisisce i servizi forniti dai propri dipendenti, incrementano il costo della partecipazione sia ai fini Ires che Irap”. Secondo la Relazione illustrativa, l'iscrizione di maggiori valori sulla partecipazione consegue al fatto che “la società controllante apporta alla propria controllata gli strumenti rappresentativi di capitale che saranno utilizzati da quest'ultima per regolare il pagamento dei servizi ricevuti”. In quest'ottica, i maggiori valori sarebbero iscritti sulla partecipazione a fronte di un apporto figurativo del socio, secondo quanto già detto, in coerenza con la qualificazione scaturente dall'IFRS 2 secondo cui la controllata che applichi a sua volta gli IAS deve comunque iscrivere a conto economico il costo per la prestazione di lavoro ricevuta, rilevando in contropartita “il corrispondente aumento del patrimonio netto come un conferimento di capitale della controllante”. La norma evita, pertanto, un disallineamento tra valore di bilancio e costo fiscale della partecipazione nella controllata.
Va da sé che la contabilizzazione nel bilancio della controllata delle opzioni assegnate dalla controllante ai propri dipendenti, quale costo del personale, rileva anche fiscalmente.
In capo alla controllante, i maggiori valori iscritti sulla partecipazione ne incrementano il costo anche ai fini fiscali (sia ai fini IRES che IRAP, secondo quanto precisato dalla Relazione). In caso di successiva vendita della partecipazione rivalutata per effetto dell’assegnazione delle azioni nell’ambito del gruppo, la plusvalenza tassabile (con o senza PEX), peraltro pari a quella contabile, sarà di importo inferiore rispetto a quella che sarebbe risultata altrimenti.
L’anzidetto regime opera non solo per il periodo d’imposta in corso al 31 dicembre 2010, sulla base dell’art. 12 del Decreto (e quindi anche per i piani deliberati in precedenza), ma anche con riferimento ai costi imputati in periodi di imposta
precedenti, se coerentemente trattati, in base alla cd. “clausola di salvaguardia” di cui al comma 2 del medesimo articolo, che fa espressamente salvi gli effetti sulla determinazione della base imponibile derivanti da comportamenti coerenti con le disposizioni del Decreto.
Art. 7 – Operazioni di copertura
L’art. 7 del Decreto reca disposizioni in merito alla nozione di copertura rilevante, per i soggetti IAS, ai fini dell’applicazione dell’art. 112 del TUIR.
Al riguardo si ricorda che, ai fini IRES, l’art. 112 TUIR riconosce la rilevanza fiscale delle operazioni “fuori bilancio” individuate al comma 1 (tra le quali i contratti derivati (31)), anche per quanto attiene ai relativi componenti valutativi iscritti in bilancio (comma 2), tanto se positivi quanto se negativi; per i soggetti IAS, in particolare, non valgono le limitazioni alla deducibilità dei componenti negativi (di cui al comma 3) stabilite per la generalità delle imprese, purché ne sussista l’imputazione a conto economico in base alla corretta applicazione dei principi contabili internazionali (comma 3-bis).
Gli ultimi tre commi dell’art. 112 riguardano le operazioni effettuate con finalità di copertura (32), per le quali il regime fiscale deriva da quello dell’attività coperta al fine
31 Ai sensi dello IAS 39, par. 9, è definito strumento finanziario derivato un contratto, regolato a data futura:
- il cui valore dipende dal cambiamento di una variabile individuata in un tasso di interesse, nel prezzo di una merce, in un tasso di cambio, in un indice di prezzi o di tassi, nel merito creditizio (o indice), nel valore di un altro strumento finanziario o altra variabile prestabilita;
- che non richiede alcun investimento al momento della stipula o, se previsto, un investimento netto iniziale inferiore rispetto a quanto sarebbe richiesto da altro strumento finanziario idoneo ad assumere lo stesso comportamento a fronte di variazioni nei fattori di mercato da cui dipende il valore.
32 I contratti qualificabili come strumenti di copertura (IAS 39, par. 72) sono:
- tutti i contratti derivati, inclusi i derivati impliciti scorporabili;
- i contratti non derivati, per la copertura del solo rischio cambio.
di realizzare una “simmetria” di trattamento delle relative componenti di reddito (valutative o da realizzo). Mentre per gli altri contribuenti il comma 6 stabilisce specifici requisiti per comprovare la finalità di copertura, per i soggetti IAS l’identificazione di tale finalità è (o meglio era) demandata ai principi contabili internazionali.
In tale contesto, l’art. 7, comma 1, del Decreto (33) non solo ribadisce la rilevanza fiscale dei criteri contabili - nel senso che anche ai fini fiscali l’elemento che individua la finalità di copertura è rappresentato, in linea di principio, dalla “designazione” in tal senso di uno strumento finanziario, secondo le regole dello IAS 39 (c.d. hedge accounting) (34) - ma riconosce la sussistenza di questa finalità anche qualora l’impresa si avvalga della fair value option (al di fuori dell’hedge accounting), ai sensi dello IAS 39, par. 9, lettera b (i), per ridurre un’asimmetria contabile nella valutazione di attività e passività finanziarie (in questi termini si era già espressa l’ABI, nella Circolare n. 3/ST del 21 febbraio 2006).
La FVO è esercitabile in presenza di poste patrimoniali strettamente correlate le cui variazioni di fair value siano tendenzialmente simmetriche - tant’è che la situazione è
33 «Si considerano con finalità di copertura, ai fini dell’articolo 112 del testo unico, le operazioni designate di copertura in conformità allo IAS 39 e le operazioni attuate mediante il ricorso alla fair value option ai sensi dello IAS 39, par. 9, lettera b (i), per ridurre un’asimmetria contabile nella valutazione delle attività e passività finanziarie ».
34Ai sensi dello IAS 39, parr. 74-76, i derivati di copertura:
- sono così designati per la loro intera durata;
- non possono essere scomposti nelle relative componenti a fini di copertura di un particolare fattore di rischio, con l’eccezione dei contratti di opzione (in cui possono essere scissi il valore intrinseco e il valore temporale, designando a copertura solo il primo) e dei contratti a termine (in cui possono essere separati l’elemento interesse e il prezzo a pronti);
- possono essere designati a copertura anche solo per una porzione del loro complessivo ammontare o per una parte della vita residua dello strumento coperto.
Inoltre, a fini di bilancio, non possono mai essere designate come posizioni coperte:
1) le attività finanziarie detenute fino a scadenza (salvo che per il rischio di cambio e il rischio di credito), anche se l’impresa detenga strumenti di copertura dei rischi (ad esempio, di tasso di interesse) che gravano su tali attività;
2) le partecipazioni in società controllate o associate (salvo che per il rischio di cambio);
3) il rischio generale d’impresa.
definita come “copertura gestionale”. Si tratta di una tecnica contabile alternativa all’hedge accounting, in presenza di strumenti finanziari i cui componenti economici si compensino “naturalmente”, che mediante l’adozione di un medesimo criterio valutativo è rivolta ad evitare asimmetrie nel risultato reddituale complessivo, a favore o a sfavore dell’impresa.
Il successivo comma 2 (35) riconosce la finalità di copertura anche quando questa sia solo “parziale” o “unilaterale”. Pertanto, anche ai componenti dello strumento derivato designato di copertura che, relativamente alle variazioni dei flussi finanziari o del valore di un’attività o di una passività, esplichi efficacia solo al di sopra o al di sotto di un determinato prezzo o in base ad altra variabile, ai sensi dei paragrafi da 72 a 80 dello IAS 39, si applicano, simmetricamente, le regole fiscali previste per lo strumento finanziario coperto. Ad esempio, in caso di copertura di una partecipazione in regime di participation exemption (PEX), sarà indeducibile il premio pagato per un’opzione put il cui strike price sia inferiore al costo fiscalmente riconosciuto della partecipazione stessa.
Secondo quanto precisato nella Relazione al Decreto, rientrano nei casi di copertura parziale disciplinati dalla norma in commento anche quelli “in cui lo strumento derivato sia finalizzato a coprire solo alcuni dei rischi cui il titolo è esposto”, vale a dire i casi in cui la parzialità della copertura sia riferita a determinati profili qualitativi dello strumento coperto (ad es. rischio tasso piuttosto che rischio creditizio).
Nonostante il rinvio ai citati paragrafi dello IAS 39, la norma non disciplina i casi in cui sia il contratto derivato ad essere designato solo parzialmente di copertura. Ad esempio, il par. 74 consente, per le opzioni ed i contratti forward, di designare a copertura solo la componente che ne esprime il valore intrinseco (in pratica, quella influenzata direttamente dal valore dell’elemento coperto) e non anche la componente
35 « Si considerano con finalità di copertura, ai fini dell’articolo 112 del testo unico, anche le operazioni in cui un’impresa designa come relazione di copertura solo le variazioni dei flussi finanziari o del fair value dell’elemento coperto al di sopra o al di sotto di un determinato prezzo o in base ad altra variabile, ai sensi dei paragrafi da 72 a 80 dello IAS 39 ».
“temporale” (legata, sostanzialmente, ai tassi di periodo in funzione del premio pagato o conseguito). Si ritiene che, in tali evenienze, solo la componente designata di copertura sia da trattare, ai fini fiscali, secondo le regole della “simmetria”, stante il generale rinvio del comma 1 alle (sole) designazioni a copertura conformi allo IAS 39.
Il comma 3 dell’art. 7 (36) riguarda specificamente la fattispecie del cash flow hedging, cioè delle coperture mediante le quali l’impresa si assicura la disponibilità dei flussi finanziari necessari per rendere fissi quelli relativi all’operazione coperta. Ovviamente, la fissità dei flussi espone l’operazione nel suo complesso ad oscillazioni di fair value legate alle condizioni dei mercati. Tali oscillazioni di fair value, che si manifestano in relazione agli strumenti di copertura e che attengono ai flussi futuri da essi derivanti, in rapporto alle condizioni di mercato attese, sono imputate a patrimonio netto (nella misura in cui concretizzino una copertura efficace; IAS 39, par. 95), tramite transito nell’OCI, e rilasciate a conto economico negli esercizi in cui i flussi finanziari coperti abbiano effetto sul conto economico (IAS 39, par. 100).
Un esempio di cash flow hedging può essere quello di accensione di un mutuo a tasso variabile – e quindi di una passività il cui fair value è tendenzialmente insensibile al mercato dei tassi ma che comporta incertezze sull’entità dei flussi finanziari – in relazione al quale, con la finalità di rendere fissi gli anzidetti flussi, l’impresa stipuli uno swap in cui paghi un tasso fisso e riceva il tasso variabile. Le oscillazioni di fair value della posizione “pago fisso” sono imputate a patrimonio netto per la parte di esse che sia correlata alla variazione dei flussi di interesse passivi sul mutuo.
In particolare, il comma 3 dell’art. 7 contiene un opportuno coordinamento con le disposizioni del Decreto in tema di OCI, di cui all’art. 2. In sostanza, la norma conferma l’indirizzo, già precedentemente seguito dalle imprese su basi interpretative
36 « In ipotesi di copertura di flussi finanziari, gli utili o perdite generati dallo strumento con finalità di copertura, concorrono alla determinazione della base imponibile al momento dell’imputazione al conto economico, secondo le disposizioni di cui al comma 5 dell’articolo 112 del testo unico ».
(37), secondo il quale le valutazioni di strumenti di copertura rivolti ad attuare il cash flow hedging devono seguire i criteri di imputazione al reddito stabiliti dall’art. 112, comma 5, TUIR per i contratti di copertura di attività e passività che generano interessi, ossia: “lo stesso criterio di imputazione degli interessi, se le operazioni hanno finalità di copertura di rischi connessi a specifiche attività, ovvero secondo la durata del contratto, se le operazioni hanno finalità di copertura di rischi connessi ad insiemi di attività e passività”. Tenuto conto pertanto che, secondo quanto già detto in sede di commento all’art. 2, la rilevanza reddituale dei componenti imputati a OCI non opera nelle ipotesi in cui tale rilevanza sia sospesa alla successiva imputazione a conto economico, il comma 3 in commento stabilisce che le manifestazioni reddituali generate da strumenti con finalità di copertura di flussi finanziari “concorrono alla determinazione della base imponibile al momento dell’imputazione a conto economico, secondo le disposizioni di cui al comma 5 dell’art. 112 del testo unico”.
I componenti che emergono dalla valutazione al fair value di strumenti designati per cash flow hedging non rilevano fiscalmente, quindi, fintanto che non confluiscono a conto economico. Come detto, la confluenza a conto economico ha luogo immediatamente soltanto per la parte “inefficace” della copertura, mentre per quella efficace è necessaria una correlazione temporale con la manifestazione a conto economico del cash flow coperto.
Suscita invece perplessità l’ultimo comma dell’art. 7, secondo il quale la relazione di copertura, per essere fiscalmente riconosciuta, deve risultare da un atto di data certa anteriore o contestuale alla negoziazione del relativo strumento (38).
La disposizione introduce un particolare onere probatorio a carico del contribuente affinché trovi applicazione il regime fiscale previsto per le operazioni di copertura,
37 Cfr. Relazione di accompagnamento al D.Lgs. n. 38/2005 e Circ. ABI n. 3/ST del 21 febbraio 2006.
38 « La relazione di copertura assume rilievo fiscale se e nella misura in cui risulti da atto di data certa anteriore o contestuale alla negoziazione dello strumento di copertura ».
mentre non interviene sulla definizione della “relazione di copertura”, che è contenuta nei commi 1 e 2. Si tratta, quindi, di un adempimento formale aggiuntivo, analogo a quello previsto dall’art. 4 per le riclassificazioni di strumenti finanziari e ispirato ad analoghe finalità di cautela (v. commento dell’art. 4, per maggiori dettagli), la cui introduzione non trova connessione con le modifiche apportate ai principi contabili internazionali, e quindi col presupposto della delega data al Ministro.
Nel caso degli strumenti di copertura, le finalità di cautela erariale sono da ricercare nel diverso regime al quale tali strumenti sono soggetti quando la relazione di copertura sia rilevante ai fini dell’art. 112, comma 4, TUIR. Quando si tratti di titoli azionari in regime PEX, in particolare, dal riconoscimento della relazione di copertura derivano: (i) l’irrilevanza fiscale delle valutazioni dello strumento di copertura, (ii) l’indeducibilità al 95% dei manufactured dividend corrisposti, (iii) l’esenzione delle plusvalenze e (iv) la deducibilità delle minusvalenze nei limiti del 5% del loro ammontare. E’ quindi evidente che, qualora si siano registrate plusvalenze su derivati azionari nell’esercizio in corso (o comunque il cui bilancio non sia ancora chiuso), l’impresa potrebbe avere interesse a retrodatare strumentalmente una relazione di copertura in modo da conseguire i vantaggi di carattere permanente derivanti dall’esenzione integrale, riconosciuta per simmetria con l’indeducibilità delle minusvalenze relative allo strumento coperto. Ed è altrettanto evidente che la data certa della designazione sia idonea a pregiudicare tali comportamenti.
Anche in questo caso, come in quello delle riclassifiche di cui all’art. 4, la norma può tuttavia risultare inefficiente rispetto al suo plausibile obiettivo, in quanto la data certa assicura che non si possa instuarare ex post una copertura che coinvolga derivati plusvalenti ma potrebbe non evitare che, mediante la non esibizione di una designazione a copertura (ancorché avente data certa), l’impresa dia rilevanza fiscale a derivati minusvalenti, altrimenti attratti per simmetria al medesimo regime di esenzione previsto per le plusvalenze in regime PEX.
Per quanto attiene ai profili di diritto transitorio, rileva che il requisito della data certa non può, di fatto, realizzarsi per le operazioni di copertura avviate prima della pubblicazione ed entrata in vigore del Decreto, il che pone un problema di compatibilità della norma con la decorrenza anticipata al periodo d’imposta in corso al
31 dicembre 2010. Pertanto, appare opportuna una conferma ufficiale circa l’inapplicabilità retroattiva del requisito, trattandosi di elemento costitutivo della fattispecie che si manifesta sul piano procedimentale, piuttosto che su quello giuridico o economico, e come tale è disponibile solo dopo l’emanazione della norma e la sua entrata in vigore. In ogni caso, il requisito della data certa dovrebbe ritenersi soddisfatto quanto meno relativamente alle operazioni di copertura poste in essere nei periodi d’imposta precedenti quello in corso al 31 dicembre 2010, classificate come tali nel relativo bilancio, protrattesi fino al periodo d’imposta 2010.
Nel merito, è difficile comprendere quali possano essere le concrete modalità di assolvimento dell’onere. In astratto, occorrerebbe formare un “atto” sul quale siano specificati gli elementi di rischio dell’attività o della passività che, nella loro entità qualitativa e quantitativa, trovino copertura in un determinato contratto derivato che, tuttavia, non sia stato “negoziato” in precedenza; occorrerebbe quindi dimostrare la anteriorità o contestualità della formazione dell’atto rispetto alla negoziazione stessa.
Ai fini di che trattasi, per “atto” dovrebbe intendersi la manifestazione della volontà del contribuente di negoziare lo strumento derivato a scopo di copertura; la forma di questa manifestazione dovrebbe essere peraltro libera, compatibilmente con l’esigenza di certezza temporale richiesta dal Decreto. In altri termini, l’atto non dovrebbe essere necessariamente provvisto di forma scritta, e quindi risultare da un documento cartaceo, fermo restando che, per esibire l’atto, occorrerebbe comunque un supporto durevole suscettibile di certificazione della data di creazione. A quest’ultimo fine, potrebbe ritenersi che la prova sia regolata dall’art. 2704, comma 2, del codice civile e che, quindi, possano essere utilizzate non solo le modalità tradizionali (autenticazione, registrazione, apposizione del bollo postale, ecc.) ovvero quelle innovative mediante
strumenti informatici, quali la” marca temporale” o la posta elettronica certificata (PEC), ma anche altri mezzi di prova comunque idonei a dimostrare che la designazione non sia avvenuta dopo la negoziazione. In tale ambito, dovrebbe quindi rientrare l’ipotesi in cui la data della designazione risulti da procedure informatiche non modificabili, o per le quali ogni eventuale modifica resti “tracciata”.
La formulazione del comma 4, che fa riferimento alla sola “data certa”, non sembra presupporre necessariamente che sia fornita una prova certa in ordine all’esistenza dell’atto e alla sua unicità, prova certa che potrebbe essere conseguita solo nominando un soggetto terzo quale custode dei supporti in cui sono riportate le designazioni di copertura, la cui dichiarazione in ordine all’esistenza e alla data di formazione o di ricezione del supporto siano munite di pubblica fede (ad es., un notaio).
In merito alla “negoziazione”, si ritiene che essa vada identificata nel momento di perfezionamento del contratto derivato, rilevando quindi il momento in cui il proponente abbia conoscenza dell’accettazione della controparte.
Ulteriori questioni riguardano l’individuazione delle relazioni di copertura per le quali l’adempimento è richiesto.
Per quanto riguarda la finalità di copertura che deve emergere dall’atto, in particolare, si pone il dubbio se essa possa essere generica ovvero debba essere qualificata sulla base di specifiche attività o passività coperte. Mentre il riferimento alla “designazione” ai sensi dello IAS 39 contenuto nel comma 1 farebbe ritenere che l’anzidetta finalità debba essere qualificata, nel senso appena espresso, la logica antiabuso cui il requisito si ispira sembrerebbe soddisfatta anche da uno scopo di copertura affermato in modo generico. In tal senso, peraltro, sembra deporre anche il tenore del comma 4, che fa generico riferimento alla “relazione”, piuttosto che alla designazione, e ancor di più la Relazione illustrativa, che parla di “finalità di copertura” (che deve emergere da un atto di data certa).
Tale seconda interpretazione sarebbe peraltro molto più compatibile con la concreta operatività delle banche, nell’ambito della quale accade che la stipulazione o l’acquisto di uno strumento finanziario effettuati per generiche finalità di copertura, in una gestione globale dell’esposizione ai rischi di mercato, spesso precedano (ancorchè di poco) la formale designazione a copertura, che presuppone l’individuazione di uno specifica attività o passività coperta.
La soluzione del problema cui si è fatto cenno è suscettibile di riverberare effetti anche sulla necessità del requisito della data certa nell’ambito delle coperture “naturali” cui attiene l’esercizio della FVO.
Nonostante la disposizione in commento non delimiti il proprio campo applicativo, infatti, se si accedesse alla tesi secondo cui l’atto da comprovare con data certa debba riguardare relazioni di copertura realizzate secondo le stringenti regole previste dallo IAS 39, piuttosto che una generica finalità di copertura, allora solo nelle ipotesi di copertura contabile (come detto, hedge accounting) sarebbe possibile riprodurre nell’atto una reale designazione a copertura.
Infatti, solo la tecnica contabile dell’hedge accounting richiede che le politiche di copertura dei rischi siano (cfr. IAS 39, par. 88):
1) formalmente documentate;
2) altamente efficaci (e quindi vi sia un elevato grado di neutralizzazione del rischio, tanto prospetticamente quanto retrospetticamente);
3) valutate nel continuo;
4) misurabili in modo affidabile.
Di contro, la “copertura” attuata mediante la fair value option non richiede una designazione in tal senso dello strumento finanziario derivato in funzione del profilo di rischio di attività o passività o di flussi da ridurre o eliminare. Nella FVO, l’opzione
(che non è tecnicamente una “designazione”) è la conseguenza, e non il presupposto, della copertura “economica” perseguita e ha ad oggetto l’imputazione a conto economico delle variazioni di fair value dello strumento finanziario. In altri termini, la designazione è fatta in funzione della strategia di investimento o di trading di tempo in tempo perseguita, la cui rappresentazione contabile verrebbe falsata in difetto di FVO. A maggior ragione, quindi, un’interpretazione formalistica del requisito di data certa non lo renderebbe applicabile quando la copertura gestionale si realizzi “naturalmente”, tra strumenti che abbiano il medesimo regime contabile, senza che gli IAS richiedano alcun adempimento documentale.
Un altro aspetto problematico del requisito della data certa si registra nei casi in cui l’impresa designi a copertura di attività o passività contratti derivati precedentemente inclusi nel portafoglio di trading (attuandone una sostanziale riclassificazione). In tali evenienze, riuscirebbe impossibile concretizzare una designazione anteriore o contestuale alla negoziazione dello strumento di copertura. D’altra parte, si tratta di un comportamento ammesso dallo IAS 39, il cui perseguimento può risultare economicamente conveniente, anche solo per evitare i costi di transazione derivanti dalla stipulazione di un nuovo derivato (con caratteristiche analoghe a quelle di un derivato già in portafoglio), di modo che non si comprenderebbero le ragioni di una sua eventuale irrilevanza ai fini delle norme che assumono come presupposto l’esistenza di una relazione di copertura.
Tale incongruenza mette alla luce un aspetto non del tutto comprensibile della norma, atteso che l’anteriorità della designazione rispetto alla negoziazione dello strumento di copertura non sembra assolvere a particolari funzioni di cautela nemmeno rispetto alla ratio antiabuso che la norma sarebbe rivolta a perseguire. Su questo punto è auspicabile un intervento modificativo o un chiarimento integrativo di quanto succintamente stabilito dal comma 4.
Per quanto riguarda l’oggetto della copertura, tenuto conto della ratio antiabuso del requisito della data certa, dovrebbe ritenersi che l’adempimento in questione riguardi esclusivamente attività o passività in relazione alle quali l’applicazione o meno del regime di simmetria previsto dai commi 4, 5 e 6 dell’art. 112 TUIR al corrispondente strumento di copertura possa determinare un diverso risultato imponibile. In sostanza, se la collocazione temporale della designazione a copertura non è suscettibile di determinare effetti fiscali differenti, come nel caso di copertura di strumenti di trading, comunque valutati al fair value al pari degli strumenti derivati e comunque fiscalmente rilevanti secondo tale valore, allo stesso modo di quanto avverrebbe in caso di copertura, non appaiono sussistere motivi per cui il comma 4 debba essere applicato.
In tale ambito di estraneità al requisito della data certa potrebbero inoltre rientrare, sulla base di un’interpretazione più conforme alla ratio della norma, anche le coperture di strumenti il cui regime contabile e fiscale stand alone, in rapporto a quello dei derivati stand alone, possa determinare solo variazioni temporanee dei risultati fiscali, come avverrebbe nei casi di copertura di strumenti AFS e passività finanziarie, di cash flow hedging e di copertura di crediti.
Per quanto riguarda strumenti AFS e passività finanziarie, ad esempio, in difetto di copertura le valutazioni di bilancio sarebbero effettuate, rispettivamente, secondo il criterio del fair value a patrimonio netto (salvo il caso di impairment) e del costo ammortizzato. Fiscalmente, il fair value non rileverebbe in nessuno dei due casi: nel primo, perché le plus/minusvalenze da valutazione sarebbero sospese alla successiva imputazione a conto economico, in sede di realizzo (o successivo impairment); nel secondo, perché, pur rilevando fiscalmente la valutazione di bilancio, quest’ultima seguirebbe comunque il costo ammortizzato, potendo il diverso fair value manifestarsi contabilmente e fiscalmente solo al momento dell’estinzione della passività (o comunque del rilascio a conto economico di eventuali fenomeni di attualizzazione). Anticipare strumentalmente una relazione di copertura, in questi casi (ad esempio, nell’ipotesi in cui lo strumento AFS sia minusvalente o la passività finanziaria
plusvalente), comporterebbe sì vantaggi fiscali in termini di anticipata deducibilità delle perdite di valore, ma si tratterebbe comunque di vantaggi temporanei, potendosi comunque conseguire tale deducibilità nel futuro momento del realizzo. In pratica, si tratterebbe di vantaggi risibili, per grandi contribuenti come la maggior parte dei soggetti IAS, il che farebbe escludere una motivazione a perseguire comportamenti scorretti.
Sia nel caso di strumenti AFS che di passività finanziarie (categorie entrambe valutate al fair value a conto economico, se coperte), peraltro, se la copertura si manifestasse anche solo a livello contabile, il suo disconoscimento fiscale non comporterebbe alcuna conseguenza. In tali evenienze, infatti, la disapplicazione del regime di simmetria previsto dall’art. 112 comporterebbe l’applicazione delle regole fiscali ordinarie che disciplinano individualmente le poste interessate, regole che danno comunque pieno riconoscimento alle valutazioni al fair value dei derivati di copertura e delle passività finanziarie rivenienti dalla corretta applicazione degli IAS e condizionano la rilevanza fiscale delle valutazioni al fair value di strumenti AFS (ai fini fiscali compresi tra le immobilizzazioni) all’imputazione a conto economico, che in caso di copertura si verifica ordinariamente, sulla base delle regole contabili. Analoga indifferenza al disconoscimento della relazione di copertura si manifesta, in modo ancor più evidente, per gli strumenti finanziari del comparto HFT, la cui valutazione e rilevanza fiscale sulla base del fair value (al pari dei derivati) è indifferente anche sotto il profilo contabile all’esistenza di una relazione di copertura.
In altri termini, il disconoscimento della finalità di copertura non modifica di per sé la base imponibile, quando gli effetti della copertura contabile - che comporta valutazione a fair value dello strumento coperto e imputazione a conto economico delle relative valutazioni – siano tali da allineare comunque il trattamento fiscale degli strumenti tra i quali si sia instaurata la relazione di copertura.
Diversamente, nell’ipotesi di cash flow hedging, il disconoscimento della relazione di copertura potrebbe determinare effetti tributari apprezzabili, derivandone la rilevanza fiscale dei componenti valutativi positivi relativi al derivato e imputati alla riserva di patrimonio netto mediante il transito nell’OCI, non comportando tale metodologia di hedging, sotto il profilo contabile, il simmetrico trattamento di uno strumento coperto.
Al riguardo, si tenga conto che, secondo quanto detto in precedenza, l’art. 2, comma 1, del Decreto stabilisce come regola generale l’immediato concorso alla formazione del reddito dei componenti imputati al prospetto delle altre componenti di conto economico complessivo, quando non ne sia prevista la rilevanza fiscale al momento dell’imputazione a conto economico. Nel caso delle valutazioni di strumenti designati per cash flow hedging, il condizionamento della rilevanza fiscale all’imputazione a conto economico per i componenti positivi deriva dall’applicazione del comma 3 dell’art. 7 in commento, il cui presupposto è costituito dal riconoscimento di una relazione di copertura di flussi finanziari (per i componenti negativi, la rilevanza di quelli imputati a conto economico sulla base degli IAS deriva dal comma 3-bis dell’art. 112 TUIR). In difetto di tale riconoscimento, che dipende dall’esistenza di un atto di data certa anteriore o contestuale alla negoziazione dello strumento di copertura, secondo un’interpretazione letterale del comma 4 non sarebbe possibile evitare altrimenti la tassazione delle valutazioni positive imputate ad OCI, ancorché suscettibili di determinare meri sfasamenti temporali rispetto al profilo economico e fiscale dei flussi finanziari coperti.
Del tutto peculiare è poi la situazione che verrebbe a crearsi in caso copertura di un credito rilevante ai fini dell’art. 106, comma 3, TUIR che venisse disconosciuta in difetto dell’atto di data certa.
In tal caso, la rivalutazione del derivato per la quale venga disapplicato il regime di simmetria – venendone quindi disconosciuta l’assimilazione alla rivalutazione di un credito, ai fini del computo delle svalutazioni complessive da confrontare col plafond –
sarebbe comunque imponibile e rileverebbe comunque come un credito nella base di commisurazione del plafond, ai sensi del comma 4 dello stesso art. 106, analogamente a quanto si verifica per le rivalutazioni degli altri derivati, siano o meno di trading. Se il valore di iscrizione in bilancio del derivato fosse svalutato, la svalutazione sarebbe deducibile a norma dell’art. 112, comma 3-bis, TUIR.
Parimenti, sarebbero deducibile nel primo caso e imponibile nel secondo, rispettivamente, la svalutazione e la rivalutazione del credito, che si devono supporre di ammontare corrispondente alla componente valutativa del derivato.
Tuttavia, l‘elisione contabile e fiscale non sarebbe completa, in quanto le due poste contabili non sarebbero contrapponibili ai fini della determinazione del montante di svalutazioni da confrontare col plafond dello 0,30% dei crediti risultanti in bilancio per determinare l’eccedenza da far concorrere al reddito dei diciotto esercizi successivi. Ciò in quanto la rivalutazione del derivato non “importerebbe” per simmetria fiscale il regime previsto per le rivalutazioni dei crediti verso la clientela.
In definitiva, secondo un approccio particolarmente “illuminato”, che tenga conto delle cospicue problematiche operative poste dal requisito della data certa, gli unici casi rilevanti potrebbero essere quelli nei quali la copertura contabile abbia ad oggetto partecipazioni in PEX.
Un altro aspetto poco chiaro risiede in un’affermazione della Relazione, secondo la quale l’operazione si considera di copertura ai fini fiscali in presenza dell’atto di data certa “e sempre che l’efficacia della relazione di copertura risulti anche nella rappresentazione di bilancio”. Si tratta di un requisito che il comma 4 non esplicita, e che forse può essere compreso solo rifacendosi al comma 1, secondo il quale la copertura riconosciuta fiscalmente è pur sempre quella conforme allo IAS 39. Al par. 88 dello IAS 39, tra le condizioni necessarie affinché una relazione di copertura sia qualificabile come tale, è annoverata, secondo quanto già detto, l’efficacia della copertura. In particolare, in base
alla lettera b), deve trattarsi di copertura “altamente efficace nel realizzare la compensazione delle variazioni di fair value o dei flussi finanziari attribuibili al rischio coperto, in modo coerente con la strategia di gestione del rischio originariamente documentata per quella particolare relazione di copertura”. Si può quindi immaginare che la Relazione abbia voluto evocare una verifica a posteriori, sulla base delle risultanze consuntive rappresentate in bilancio, circa l’alta efficacia degli strumenti designati a copertura nel compensare le variazioni di fair value o i flussi finanziari attribuibili ai rischi coperti, al fine di eventualmente disconoscere la rilevanza fiscale delle designazioni effettuate dal contribuente.
Mentre non si può negare che la derivazione rafforzata in genere, e l’art. 7 del Decreto in particolare, attribuiscano all’Amministrazione un sistematico potere di sindacato sulla corrispondenza dei comportamenti dei contribuenti alle regole dettate dagli IAS, non sembra possibile stabilire, in tale ambito, automatismi fondati sui risultati ex post, considerato che le determinazioni delle imprese in materia IAS si basano in larga parte sull’anticipazione di manifestazioni prospettiche che devono radicarsi, necessariamente ex ante, nell’apprezzamento di aspetti tendenziali e potenziali (pur sempre riconoscibili e verificabili).
Il comma 4 non si occupa di dettare requisiti per il caso di revoca di una precedente designazione di copertura, caso pur sempre ammesso dallo IAS 39 e, per quanto consta, piuttosto ricorrente nella pratica.
Si rammenta, al riguardo, che in base allo IAS 39 (cfr., in particolare, il par. 91 per le coperture di fair value e il par. 101 per il cash flow hedging), la contabilizzazione di un’operazione come di copertura deve cessare se:
a) lo strumento di copertura giunge a scadenza o è venduto, cessato o esercitato;
b) la copertura non soddisfa più i criteri di una relazione di copertura (c.d.
prospective test);
c) limitatamente al caso di cash flow hedging, ci si attende che l’operazione a fronte della quale la copertura era stata instaurata non debba più verificarsi;
d) l'impresa revoca la designazione.
Mentre le prime tre cause di cessazione della copertura sono riconducibili a fenomeni di carattere oggettivo, la revoca della designazione è assolutamente volontaria e rimessa all’autonomia dell’impresa, senza peraltro essere soggetta a particolari limitazioni. Anche la revoca della designazione potrebbe prestarsi, pertanto, al perseguimento degli abusi che il requisito della data certa è rivolto a contrastare.
Rileva infatti che la revoca retrodatata di una relazione di hedging sarebbe idonea a determinare strumentalmente un più favorevole trattamento fiscale delle manifestazioni economiche scaturite dallo strumento di copertura.
Si pensi, ad esempio, al caso di una partecipazione in PEX, oggetto di copertura, il cui prezzo di mercato si sia medio tempore sensibilmente apprezzato: appare evidente che, in tale contesto, l’interruzione ex post della relazione di copertura, che retroagisca ad una data precedente rispetto all’apprezzamento di valore della partecipazione, consentirebbe di dedurre la minusvalenza latente sul derivato (si ricorda che, per i soggetti IAS, le svalutazioni dei derivati non di copertura assumono immediata rilevanza fiscale, ai sensi dell’art. 112, comma 3-bis, TUIR), restando esente la corrispondente plusvalenza latente sulla partecipazione.
Mentre quindi si registra una potenziale applicabilità della data certa in contesti nei quali non sembra foriera di particolari tutele per gli interessi erariali, da un’attenta analisi emergono fattispecie nelle quali la strumentalizzazione delle relazioni di copertura al perseguimento di vantaggi fiscali rimane possibile.
Secondo quanto argomentato in precedenza, un eventuale indirizzo nel senso di attribuire al requisito della data certa il più esteso ambito applicativo possibile
(addirittura, rivolto a tutti i derivati di copertura) non sarebbe né del tutto coerente con le finalità della norma, né compatibile con gli effetti concreti (risibili o inesistenti) suscettibili di prodursi, nella maggior parte dei casi, quando il requisito venga disatteso. In ogni caso, un simile indirizzo sarebbe irragionevole rispetto all’operatività delle banche, sia in considerazione dell’elevatissimo numero di operazioni di copertura che tali soggetti pongono quotidianamente in essere (diversamente dalle altre imprese), ciò che appare incompatibile con una eccessiva formalizzazione delle designazioni (oltre quanto già richiesto dallo IAS 39), sia della pubblicità alla quale esse sono comunque tenute, per i rapporti di copertura instaurati, per il tramite della comunicazione mensile da inviare alla Banca d’Italia nell’ambito della Matrice dei conti. Rispetto a tali peculiarità, andrebbe opportunamente considerata la possibilità di ammettere quale documento di data certa l’anzidetta comunicazione, ancorché non del tutto idonea a soddisfare letteralmente il requisito stabilito dalla norma, perché successiva all’acquisto o stipulazione degli strumenti di copertura e perché concepita per masse anziché per singoli rapporti.
Art. 8 – Beni gratuitamente devolvibili
L’art. 8 contiene disposizioni a volte coordinare la disciplina fiscale prevista dagli articoli 104 e 107, comma 2, TUIR per la deduzione delle quote di ammortamento e delle spese di ripristino e sostituzione dei beni gratuitamente devolvibili dell’impresa concessionaria con l’impostazione contabile indicata dall’IFRIC 12 in tema di accordi per servizi in concessione.
Com’è noto, sotto il profilo fiscale, il concessionario ha la possibilità di optare per l’ammortamento ordinario, previsto dall’art. 102 TUIR, o in alternativa per l’ammortamento finanziario, previsto dall’art. 104 dello stesso TUIR, che consiste nella ripartizione del costo di acquisto dei beni gratuitamente devolvibili lungo il periodo di durata della concessione. Al riguardo, il comma 2 dell’art. 104 dispone che la quota di
ammortamento finanziario deducibile nell’esercizio è determinata dividendo il costo dei beni, al netto di contributi eventualmente corrisposti dal concedente, per il numero degli anni di durata della concessione, considerando tali anche le frazioni, nel caso in cui la concessione decorra o cessi in corso d’anno. In caso di modifica della durata della concessione, la quota deducibile è proporzionalmente ridotta o aumentata a partire dall’esercizio in cui la modifica sia stata convenuta.
Con riferimento ai soggetti IAS, l’IFRIC 12, omologato dalla Commissione europea con il regolamento (CE) n. 254/2009 del 25 marzo 2009, ha introdotto importanti novità nelle regole di contabilizzazione di un’infrastruttura soggetta ad accordi per servizi in concessione, fornendo chiarimenti in merito al modello contabile da adottare nel caso in cui il concedente detenga il controllo (39) sull’infrastruttura utilizzata dal concessionario per l’erogazione di servizi di pubblica utilità. In tale evenienza, le infrastrutture non devono essere rilevate come immobilizzazioni materiali (immobili, impianti, macchinari ecc.) del concessionario, ma come attività finanziarie o come attività immateriali.
In particolare, nel caso in cui il concedente mantenga il controllo dell’infrastruttura, a fronte delle spese sostenute per beni gratuitamente devolvibili, il concessionario deve rilevare un’attività finanziaria qualora abbia un diritto contrattuale incondizionato a ricevere dal concedente disponibilità liquide o un’altra attività finanziaria per i servizi di costruzione; deve, invece, rilevare un’attività immateriale nella misura in cui ottenga il diritto a rivalersi sugli utenti del servizio pubblico (40).
39 Ai sensi dell’IFRIC 12, paragrafo 5, la fattispecie ricorre se:
a) il concedente controlla o regolamenta quali servizi il concessionario deve fornire con l'infrastruttura, a chi li deve fornire e a quale prezzo; e
b) il concedente controlla – tramite la proprietà, titolo a benefici o in altro modo – qualsiasi interessenza residua significativa nell'infrastruttura alla scadenza dell'accordo.
40 Sul presupposto che tale diritto non si configura come diritto incondizionato a ricevere disponibilità liquide, dipendendo il prelievo nei confronti degli utenti (attraverso le tariffe) da come e quanto questi utilizzano il servizio.
Come specificato nella Relazione illustrativa, si rende pertanto necessario coordinare le disposizioni fiscali contenute negli artt. 104 e 107, comma 2, TUIR con la rappresentazione contabile indicata dall’IFRIC 12, che per il caso in esame non consente la rilevazione dei beni gratuitamente devolvibili oggetto di concessione a titolo di immobilizzazioni materiali.
A tal fine, il comma 1 dell’art. 8 del Decreto prevede che le attività immateriali iscritte in bilancio ai sensi dell’IFRIC 12 rilevano comunque come beni gratuitamente devolvibili di cui agli art. 104 e 107, comma 2, TUIR. Trattandosi di “attività immateriali”, deve ritenersi che l’alternativa rispetto alla deduzione di quote di ammortamento finanziario determinate secondo le disposizioni dell’art. 104 non sia costituita dalla deduzione delle quote di ammortamento dei beni materiali in concessione secondo i criteri individuati dall’art. 102 TUIR (e cioè in base ai coefficienti tabellari di cui al D.M. 31 dicembre 1988), ma dall’ammortamento di cui all’art. 103 TUIR, precipuo dei beni immateriali. In tal senso sembra deporre anche la Relazione illustrativa, secondo cui alle immobilizzazioni immateriali iscritte in bilancio per effetto dell’IFRIC 12 “si applicano le regole contenute nell’art. 104, in opzione all’art. 103, che definisce le modalità di deduzione delle quote di ammortamento dei beni gratuitamente devolvibili”.
La norma fa riferimento alle “attività immateriali” e non anche alle “attività finanziarie”, di modo che la disciplina fiscale riguardante i beni gratuitamente devolvibili al termine della concessione è applicabile soltanto nel caso in cui, secondo l’IFRIC 12, il concessionario abbia il diritto a rivalersi sugli utenti del servizio pubblico e non anche quando abbia un diritto contrattuale incondizionato a ricevere disponibilità liquide o un’altra attività finanziaria da parte del concedente, situazione nella quale le vicende relative alla costruzione dell’infrastruttura si manifestano esclusivamente sul piano patrimoniale.
Il secondo comma dell’art. 8 fa riferimento agli accantonamenti previsti dal paragrafo 21 dell’IFRIC 12 in relazione alle spese di mantenimento e ripristino delle infrastrutture oggetto della concessione, assimilandoli agli “accantonamenti a fronte delle spese di ripristino e sostituzione dei beni gratuitamente devolvibili allo scadere della concessione e delle altre spese di cui al comma 6 dell’art. 102”, disciplinati dal comma 2 dell’art. 107 TUIR. Al riguardo, il predetto paragrafo 21 presuppone che “il concessionario può avere, come condizione prevista dalla licenza, l'obbligo contrattuale di mantenere l'infrastruttura ad un determinato livello di funzionalità o di riportare l'infrastruttura in una determinata condizione prima di riconsegnarla al concedente alla scadenza dell'accordo di servizio”. Tali obblighi devono essere rilevati e valutati conformemente allo IAS 37, trovando riflesso in appositi accantonamenti assimilati agli accantonamenti assimilati agli accantonamenti sono deducibili, per ciascun bene, nel limite massimo del 5 per cento del costo (41), fino a quando il fondo non abbia raggiunto l’ammontare complessivo delle spese relative al bene sostenute negli ultimi due esercizi. L’eccedenza delle spese di ripristino o di sostituzione dei beni gratuitamente devolvibili sostenute in un esercizio rispetto all’ammontare del relativo fondo è deducibile in quote costanti nell’esercizio di sostenimento delle spese e nei cinque successivi. L’ammontare degli accantonamenti non utilizzati concorre a formare il reddito dell’esercizio in cui avviene la devoluzione.
L’ultimo comma dell’art. 8 chiarisce, infine, la disciplina degli ammortamenti effettuati dai soggetti IAS che in base all’IFRIC 12 rappresentino come attività immateriali i beni oggetto di concessioni che abbiano ad oggetto attività regolate. In tal caso, in deroga al comma 1, trova applicazione l’art. 102-bis TUIR, che definisce i criteri di deducibilità delle quote di ammortamento dei beni materiali strumentali utilizzati per l’esercizio delle attività regolate di distribuzione e trasporto di gas naturale e di distribuzione e gestione di energia elettrica, ovvero quei beni classificabili nelle “categorie omogenee individuate dall’Autorità per l’energia elettrica e il gas” (“AEEG”). In particolare, il comma 2 dell’art. 102-bis TUIR stabilisce che le quote di ammortamento dei beni
41 Ai sensi dell’art. 23, comma 10, del D.L. 6 luglio 2011, n. 98, convertito dalla L. 15 luglio 2011, n. 111, per le imprese concessionarie di costruzione e gestione di autostrade e trafori la percentuale è ridotta all’1%.
strumentali per l’esercizio delle attività regolate sono deducibili in misura non superiore a quella che si ottiene dividendo il costo dei beni per le rispettive vite utili determinate ai fini tariffari dall’AEEG, riducendo tale risultato del 20 per cento.
Nel caso dell’art. 8, diversamente da altri, è evidente come le nuove disposizioni derivino da modifiche intervenute nei principi contabili internazionali (nella specie l’IFRIC 12), delle quali concretizzano il coordinamento con le norme del TUIR conformemente alla norma di delega.
Art. 9 – Accantonamenti
L'articolo 9 del Decreto fissa, da un lato, i criteri di individuazione delle componenti reddituali da considerare ai fini fiscali come “accantonamenti” e, dall’altro, conferma la deducibilità degli accantonamenti, come sopra qualificati, solo se espressamente previsti dall’art. 107, commi da 1 a 3, TUIR.
Le relative previsioni confermano ed ulteriormente precisano quanto già affermato nella Circolare dell’Agenzia delle Entrate n. 7/E del 2011 - in tema di determinazione dell’imponibile per le imprese IAS - in cui era stata ribadita l’indeducibilità degli accantonamenti diversi da quelli espressamente individuati dalle disposizioni del TUIR, senza tuttavia fornire indicazioni in merito alla loro individuazione.
Ai fini dell’individuazione in questione, il comma 1 dell’art. 9 recita come segue: “Si considerano accantonamenti i componenti reddituali iscritti in contropartita di passività di scadenza o ammontare incerti che presentano i requisiti di cui allo IAS 37, ancorché disciplinati da uno IAS/IFRS diverso rispetto allo stesso IAS 37”. Il riferimento alle “passività di scadenza o ammontare incerti che presentano i requisiti di cui allo IAS 37”, deve ovviamente interpretarsi nel senso che tali passività debbano avere i requisiti degli accantonamenti di
cui allo IAS 37 (atteso che lo IAS 37 disciplina anche i debiti presunti, ugualmente caratterizzati da una relativa incertezza di scadenza o ammontare).
Tale indirizzo è del resto confermato dalla Relazione, secondo la quale: “la disciplina … si applica a tutti i componenti iscritti in contropartita di passività di scadenza o ammontare incerti che presentano i requisiti indicati al paragrafo 14 dello IAS 37. Va da sé che le altre passività di cui al paragrafo 11 dello IAS 37 (quali i debiti commerciali e presunti) non presentino le caratteristiche appena evidenziate”.
Il richiamo agli IAS diversi dallo IAS 37 contenuto nel comma 1 deriva dalle modifiche apportate a tale principio contabile dal Regolamento (CE) n. 495/2009, a seguito delle quali possono essere iscritte in bilancio passività che rispondono alla definizione di accantonamento fornita dallo IAS 37 sulla base di altri principi contabili (42).
Al riguardo, si ricorda che il par. 11 del citato IAS 37 definisce l’accantonamento come una passività (e cioè, un’obbligazione attuale dell’impresa, che derivi da eventi passati, la cui estinzione si ottenga mediante l’impiego di risorse atte a produrre benefici economici) con scadenza (quando) o ammontare (quantum) incerti, mentre il successivo par. 14 ne prevede la contabilizzazione solo nei seguenti casi:
1. l’impresa abbia un’obbligazione in corso (legale o implicita) quale risultato di un evento passato vincolante. Affinché un evento sia vincolante è necessario che l’impresa non abbia alcuna alternativa all’adempimento dell’obbligazione da esso derivante;
2. sia probabile che l’adempimento dell’obbligazione renda necessario impiegare risorse atte a produrre benefici economici (43);
42 Il par. 5 dello IAS 37 cita a titolo esemplificativo i seguenti IAS: IAS 11 (Lavori su ordinazione); IAS 12 (Imposte sul reddito); IAS 17 (Leasing); IAS 19 (Benefici ai dipendenti); IFRS 4 (Contratti assicurativi).
43 L’Exposure draft “Measurement of liabilies in IAS 37”, del 5 gennaio 2010, reca la proposta di ampliare il novero degli accantonamenti iscrivibili, prevedendo di eliminare, tra i presupposti per l’iscrizione degli
3. sia possibile effettuare una stima attendibile dell’importo derivante dall’adempimento dell’obbligazione.
I debiti presunti (par. 11, lett. b) sono invece passività da pagare per beni o servizi ricevuti (comprese le prestazioni di lavoro rese dai lavoratori dipendenti) in cui vi sia certezza nell’esborso (an), ma siano ancora da definire l’importo ovvero la data del pagamento (ad esempio, le passività relative al pagamento di ferie maturate). Ancorché i debiti presunti debbano essere stimati con riferimento all’importo o alla tempistica del pagamento, il grado della loro incertezza è normalmente inferiore a quello degli accantonamenti.
Il par. 11 distingue accantonamenti e debiti presunti anche sotto il profilo dei criteri di esposizione nello stato patrimoniale. Le passività aventi natura di accantonamento debbono essere esposte separatamente, come “fondi”, in specifiche voci del passivo, ancorché in contropartita possano essere iscritte componenti negative di conto economico classificate in base alla natura delle spese (e non necessariamente a titolo di accantonamenti). Per i debiti presunti invece, non è richiesta un’esposizione separata dagli altri debiti, e pertanto tali passività possono essere esposte nello stato patrimoniale come parte integrante dei “Debiti commerciali e diversi” (es. debiti verso fornitori o verso dipendenti). In contropartita del debito, nel conto economico il costo sarà iscritto sulla base della natura della spesa (es. costo del personale).
Alla luce di quanto sopra descritto, sembra quindi possibile confermare che la deducibilità o meno di un componente negativo di reddito iscritto in contropartita di una passività di scadenza o ammontare incerti dipende dai criteri di qualificazione IAS della passività, risultando deducibili i costi che danno luogo ad una contropartita patrimoniale di debito (ancorché riferita a debiti presunti) e indeducibili i costi che danno luogo ad una contropartita patrimoniale di “fondo” (al di fuori, ovviamente,
accantonamenti, quello della probabilità del sostenimento di un’uscita di cassa. A seguito di tale modifica molte passività potenziali verranno trasformate in accantonamenti da rilevare in bilancio.
degli accantonamenti tipici espressamente disciplinati dal TUIR), sempreché l’esposizione di un tipo o dell’altro trovi fondamento nella corretta applicazione degli IAS.
Con specifico riferimento al trattamento contabile previsto dallo IAS 19 per premi per incentivi al personale, la Relazione precisa inoltre che, “se il debito che emerge dalla contabilizzazione del piano di incentivazione presenta i requisiti di scadenza e ammontare certi, non costituendo una passività ai sensi dello IAS 37, si è in presenza di un costo deducibile in quanto non assimilato agli accantonamenti”.
Ancorché tale precisazione sia formulata in termini tali da suscitare il dubbio, presa a sé stante, che solo le passività estranee allo IAS 37 possano risultare deducibili, poiché non assimilate agli accantonamenti, deve ritenersi che nulla di diverso sia stato affermato rispetto a quanto in precedenza indicato dalla stessa Relazione, e che quindi il riferimento alla “scadenza e ammontare certi” possa essere ricollegato a tutte le passività di cui allo IAS 37 diverse dagli accantonamenti. In questa prospettiva, anche l’incertezza sulla deducibilità degli oneri derivanti da piani di incentivazione per il personale (incertezza che, in qualche modo, il citato passaggio della Relazione sembra alimentare) andrebbe sdrammatizzata, trattandosi presumibilmente di un’esemplificazione non del tutto meditata.
Pertanto, continua ad apparire corretto l’indirizzo finora seguito dalla gran parte del sistema bancario nell’individuazione del corretto periodo di imposta in cui dedurre i premi di rendimento o di produttività riconosciuti ai dipendenti, indirizzo fondato, tra l’altro, sulle istruzioni della Banca d’Italia in materia di bilanci, secondo le quali l’imputazione tra le spese del personale dei premi di produttività da corrispondere al personale nell’esercizio successivo deve avere come contropartita la voce “Altre passività” piuttosto che un fondo (cfr. Circ. n. 262/2005, nel testo aggiornato al 18 novembre 2009).
D’altra parte, gli stringenti requisiti stabiliti dallo IAS 19 per la contabilizzazione come costo degli incentivi ai dipendenti (ivi compresi i premi legati alla produttività) sembrano poter configurare nella gran parte dei casi la contropartita di debiti presunti. Rileva al riguardo che, secondo il par. 17 del predetto principio contabile, il costo relativo agli incentivi per il personale deve essere rilevato solo quando:
1. l’impresa abbia l’obbligazione effettiva, legale o implicita, di eseguire i relativi pagamenti come conseguenza di una prestazione di attività lavorativa passata (non esistendo quindi alternative realistiche all’effettuazione di tali pagamenti);
2. il valore dell’obbligazione possa essere stimato attendibilmente.
L’incertezza dell’an, in particolare, che caratterizza tipicamente gli accantonamenti (cfr. IAS 37, par. 2, che esprime tale incertezza in termini di “more likely than not”) non appare in concreto sussistere, rispetto al complesso delle obbligazioni nei confronti del personale, limitandosi il par. 18 a richiedere unicamente che la possibilità che alcuni dipendenti possano lasciare l’impresa senza ricevere il premio sia adeguatamente valutata. Né appare rilevante la circostanza che l’obbligazione dell’impresa non abbia un fondamento legale, atteso che (secondo il par. 19) le obbligazioni implicite ammesse sono solo quelle basate sulla consuetudine e sull’assenza di alternative reali al pagamento dell’incentivo.
Per quanto concerne il quantum, inoltre, le condizioni poste dal par. 20 perché la stima dell’obbligazione dell’impresa possa essere considerata attendibile (e quindi idonea alla contabilizzazione del costo) sono tali da escludere particolari discrezionalità nella sua quantificazione, essendo richieste la presenza nel piano di incentivazione di una formula per determinare l’entità dell’incentivo e l’esistenza di evidenze chiare, sulla base dell’esperienza, in ordine all’ammontare dell’eventuale obbligazione implicita.
Ciò premesso, la deducibilità dovrebbe comunque non essere sindacabile (anche per effetto della non applicabilità ai soggetti IAS dei commi 1 e 2 dell’art. 109 TUIR) quando
il sostenimento dell’onere dipenda dall’applicazione di contratti collettivi di lavoro – il che esclude qualunque dubbio qualificato sull’an - e l’importo sia effettivamente stimabile sulla base dell’esperienza di anni precedenti.
Resta fermo in ogni caso che, quando i costi relativi al personale siano fondati su altre disposizioni dello IAS 19, come quelle relative ai benefici dovuti alla cessazione del rapporto di lavoro, se non ricorra la certezza nell’an, o il quantum sia indeterminato, a fronte del costo deve essere iscritto nello stato patrimoniale un fondo e l’onere/accantonamento non è deducibile in quanto non ricompreso tra quelli espressamente previsti ai commi da 1 a 3 dell’art. 107 TUIR.
Il caso potrebbe essere quello del Fondo esuberi, che include prevalentemente oneri per riorganizzazione produttiva relativi a piani di incentivo all’esodo, quali ad esempio gli oneri conseguenti alla sottoscrizione di accordi conclusi per l’accesso del personale che ne faccia richiesta al “Fondo di Solidarietà” di cui al D.M. n. 158/2000. Infatti, stando allo IAS 19, par. 141, questa è un’ipotesi in cui dovrebbero sussistere i presupposti per l’iscrizione di un accantonamento avente come contropartita un fondo, poiché al momento dello stanziamento è incerto il numero dei dipendenti che aderiranno all’offerta.
Il comma 2 precisa che gli oneri di attualizzazione relativi agli accantonamenti (previsti dalle regole di contabilizzazione contenute nei parr. da 45 a 47 dello IAS 37) (44) ai fini fiscali sono equiparati agli accantonamenti. Posto che il rilascio a conto economico della componente finanziaria incorporata nell’attualizzazione (effettuata al momento della quantificazione iniziale dell’accantonamento) ha come contropartita il fondo del passivo nel quale l’accantonamento è esposto, poiché ne condivide il medesimo grado di incertezza, la soluzione recata dalla norma appare assolutamente ragionevole. Va comunque segnalato che, nella prassi bancaria, tali oneri di attualizzazione sono già
44 Lo IAS 37 precisa che l’importo di un accantonamento deve essere attualizzato se tra le date di bilancio e di adempimento dell’obbligazione intercorre del tempo superiore ad un anno e richiede la contabilizzazione pro rata temporis degli oneri finanziari.
iscritti a conto economico ad incremento della voce di costo/accantonamento al fondo, con corrispondente contropartita nello stato patrimoniale, piuttosto che come interessi passivi.
L’art. 9 appare irrilevante ai fini dell’IRAP, contenendo solo riferimenti a norme del TUIR riguardanti l’IRES. In concreto, quindi, il trattamento fiscale applicabile degli accantonamenti continuerà a desumersi dai chiarimenti dell’Agenzia delle entrate nella Circolare n.12/E del 19 febbraio 2008 (cfr. risposta 9.2). In risposta ad un quesito relativo all’IRAP delle imprese industriali, pur escludendo la deducibilità degli accantonamenti indicati nelle voci “B 12” e “B 13” del conto economico, nell’occasione l’Agenzia ha ritenuto che le spese successivamente sostenute, se classificabili in altre voci dell’aggregato “B” rilevanti ai fini IRAP, possano essere dedotte al momento dell’effettivo sostenimento, ancorché non risultanti dalla relativa voce di conto economico per effetto dell’utilizzo del fondo. Per converso, l’Agenzia delle entrate ha precisato che, anche qualora gli accantonamenti vengano imputati a voci di conto economico rilevanti ai fini IRAP, privilegiando il criterio di classificazione per natura, gli stessi non potrebbero comunque essere portati in deduzione se non al momento dell’effettivo sostenimento.
Con riferimento agli oneri di attualizzazione degli accantonamenti, si segnala infine che
- in assenza di una norma specifica che disponga altrimenti e sul presupposto che i medesimi non danno luogo ad esborsi di cassa – l’esclusione dall’ambito IRAP dovrebbe discendere, quanto meno per le imprese industriali, dalla contabilizzazione tra gli interessi passivi, non rilevanti ai fini del tributo.
Art. – 10 Ammortamenti beni immateriali a vita utile indefinita
L’articolo in esame conferma l’estensione alle attività immateriali a vita utile indefinita della disciplina sulla deduzione extracontabile dei marchi e dell’avviamento, introdotta dall’art. 1, comma 58, della Legge Finanziaria 2008.
Nello specifico, al fine di non penalizzare i soggetti IAS rispetto alle altre imprese, l’art. 1 della Legge Finanziaria 2008 aveva riconosciuto la facoltà di dedurre il costo dei marchi d’impresa e dell’avviamento in via extracontabile, introducendo all’art. 103 TUIR un nuovo comma, il 3-bis, in base al quale, per i soggetti che adottano gli IAS, la deduzione del costo dei marchi d’impresa e dell’avviamento è ammessa alle stesse condizioni e con gli stessi limiti annuali previsti dai commi 1 e 3 dello stesso articolo, indipendentemente dalla loro imputazione a conto economico.
La modifica del 2007 si rendeva necessaria in conseguenza della soppressione di quella parte dell’art. 109, comma 4, TUIR che consentiva l’effettuazione generalizzata di ammortamenti extracontabili, tenuto conto che lo IAS 38 esclude la possibilità di effettuare ammortamenti per tutte le attività immateriali a vita utile indefinita (45). Per tali attività è infatti prevista la sola effettuazione del c.d. test di impairment (IAS 38, par. 107 ss.), che comporta la rilevazione a conto economico delle eventuali perdite di valore scaturenti dalla comparazione tra valore di carico e valore recuperabile (46).
Riconosciuta la deducibilità extracontabile di marchi e avviamento, rimaneva aperto il tema della sua applicazione estensiva anche agli altri beni immateriali a vita utile
45 Diversamente, le attività a vita utile finita sono soggette al processo di ammortamento con metodo che riflette la cadenza con cui i benefici economici futuri verranno conseguiti dall’impresa oppure, in caso di indeterminatezza, per quote costanti.
46 Un’attività ha vita utile indefinita quando, analizzando tutti i principali fattori individuati dallo IAS 38, non è possibile prevedere un limite oltre il quale essa non sia più in grado di generare benefici economici per l’impresa che l’abbia acquisita. In ogni caso, l’iscrizione del bene immateriale è consentita a condizione che per l’acquisizione sia stato sostenuto un costo (ciò che avviene nei casi di acquisto separato o per mezzo di una business combination ricadente nell’ambito applicativo dell’IFRS 3).
indefinita la cui iscrizione in bilancio sia consentita dallo IAS 38 (47), per i quali la legge del 2008 non si esprimeva e per i quali sussisteva la medesima esigenza cui era ispirato il comma 3–bis dell’art. 103 TUIR.
Un segnale positivo, in tal senso, era già riscontrabile nella Relazione illustrativa al decreto legge n. 185 del 2008, che, in sede di commento all’art. 15, comma 10, relativo al riallineamento delle divergenze emerse a seguito di operazioni di riorganizzazione aziendale, assimilava ai marchi ed all’avviamento le immobilizzazioni immateriali a vita utile indefinita, chiarendo che nella categoria dei marchi d’impresa “deve intendersi ricompresa qualsiasi immobilizzazione immateriale a vita indefinita”. Nello stesso senso si erano peraltro espresse, su presupposti di carattere sistematico, sia l’Assonime, nella Circolare n. 51 del 2008, sia la stessa Agenzia delle entrate, nella Circolare n. 28/E del 2009.
Appare quindi evidente come l’articolo in esame si limiti a riaffermare un principio già riconosciuto in via interpretativa, ancorché la sua esplicitazione debba essere valutata positivamente, costituendo un opportuno contributo alla chiarezza e alla coerenza del sistema.
Essa tuttavia non affronta direttamente il tema, dibattuto in dottrina, circa la facoltà dell’impresa di dedurre quote di ammortamento extracontabile per un importo inferiore al limite massimo ovvero non costanti nei diversi periodi di imposta o, addirittura, di dedurre le quote in modo discontinuo, vale a dire solo in alcuni periodi di imposta. La questione è infatti trattata solo nella Relazione illustrativa, nella quale si precisa che: “la deduzione extracontabile, sia ai fini Ires che Irap, non essendo correlata ad effettive imputazioni di bilancio nell’ipotesi in cui non sia effettuata, ovvero lo sia in misura
47 Lo IAS 38 non elenca quali attività immateriali hanno vita utile definita o indefinita, ma si limita ad una serie di esempi riportati nella sezione IAS 38 “Illustrative Examples” e tra quelli suscettibili di essere classificati a vita utile indefinita comprende, oltre ai marchi, anche i nomi commerciali e le testate giornalistiche.
inferiore a quanto disposto dalle norme fiscali, non consente nei periodi d’imposta successivi il recupero di quanto non dedotto”.
Tale chiarimento, oltre che palesemente estraneo al contenuto della norma, che come detto non si esprime in alcun modo al riguardo, appare in contrasto con l’orientamento dell’Assonime (Cfr. “Guida all’applicazione dell’IRES e dell’IRAP per le imprese IAS adopter”, cit.), che dà conto di due tesi alternative: una fondata sul tenore letterale della norma che, avendo ad oggetto non un ammortamento ma una facoltà di deduzione con solo un limite massimo, escluderebbe qualunque requisito di sistematicità della deduzione; un’altra che, invece, imporrebbe la deduzione nei limiti di un diciottesimo del costo, come avviene nei casi di ammortamenti contabili, quando per effetto del test di impairment sia riscontrabile l’imputazione a conto economico di una perdita di valore superiore al suddetto limite.
Secondo altri autori, almeno nei casi di impairment, l’incertezza interpretativa farebbe propendere per la determinazione degli ammortamenti deducibili extracontabilmente fino ai limiti massimi fiscalmente ammessi. In caso di mancato sfruttamento del limite massimo, si consentirebbe infatti all’Amministrazione finanziaria di contestare la violazione dell’autonomia dei periodi di imposta ex art. 7 TUIR, con il rischio che le variazioni in aumento “effettuate nel modello UNICO relativo all’esercizio della svalutazione, non siano più ammesse in deduzione - per la parte “opzionalmente” non riassorbita nel prosieguo del processo di ammortamento – neppure in occasione della dismissione o della cessione del bene” (cfr. X. Xxxxx, La fiscalità delle società IAS/IFRS, Milano, 2011 p. 494, nota 66). Al riguardo, vengono richiamate due risoluzioni, la n. 128/E del 2006 (con la quale l’Amministrazione negava la deducibilità, per gli esercizi successivi, di svalutazioni su partecipazioni volontariamente non dedotte negli esercizi precedenti, nei quali la deducibilità sarebbe stata consentita) e la n. 78/E del 2055 (che, in merito alla deduzione degli ammortamenti, precisava l’impossibilità di calcolare discrezionalmente l’ammortamento fiscale, in misura inferiore a quello civilistico, data l’impossibilità di “dedurre dal reddito dei futuri esercizi il minore ammontare – rispetto a quello civilistico – degli
ammortamenti non dedotti in precedenza, attraverso variazioni in diminuzione che non troverebbero legittimità nel sistema delle norme sul reddito d’impresa”).
In ogni caso, l’affermazione secondo cui la deduzione non sarebbe consentita nei periodi d’imposta successivi se effettuata “in misura inferiore a quanto disposto dalle norme fiscali” appare, secondo quanto già rilevato dall’Assonime, poco compatibile con il tenore letterale dell’art. 103 TUIR, secondo il quale la deduzione è ammessa “in misura non superiore ad un diciottesimo”, ciò che consentirebbe indirettamente di dedurre quote di ammortamento inferiori al limite massimo indicato.
Da ultimo, si rileva che la deduzione extracontabile delle quote di ammortamento del costo dei beni immateriali a vita utile indefinita diversi da marchi e avviamento è espressamente estesa anche all’IRAP. Con riferimento a tale imposta, l’Assonime (Cfr. “Guida all’applicazione dell’IRES e dell’IRAP per le imprese IAS adopter”, cit., p. 139) ipotizza la possibilità che la deduzione extracontabile segua criteri diversi da quelli adottati ai fini IRES, essendo la deducibilità regolata da disposizioni autonome per ciascun tributo. Si tratta, evidentemente, di una ricostruzione che confligge con l’indirizzo assunto dal Ministero nella Relazione illustrativa, di cui si è dato conto, indirizzo che comporterebbe in ogni caso l’effettuazione delle deduzioni extracontabili nella misura massima.
Art. 11 – Regole di compatibilità della disciplina del riallineamento e rivalutazione volontari di valori contabili
L’art. 11 introduce disposizioni di coordinamento della disciplina contenuta nell’art. 15, comma 8, lett. a), D.L. n. 185/2008, secondo la quale le disposizioni in materia di riallineamento per i soggetti IAS (commi da 1 a 7-bis) si applicano, ove compatibili, anche per il riallineamento delle differenze che emergano in periodi di imposta successivi a quello in corso al 31 dicembre 2007, rispetto ai valori e alle qualificazioni che avevano in
precedenza assunto rilevanza fiscale, sempre che derivanti da modifiche dei principi contabili internazionali IAS/IFRS (48).
Rileva al riguardo che, in base alla prassi contabile internazionale, la modifica della contabilizzazione di operazioni o poste conseguente all’applicazione di nuovi principi comporta in talune ipotesi l’eliminazione degli effetti prodotti in passato dall’applicazione della precedente versione del principio contabile (cd. “ricostruzione retrospettiva”). Il comma 1 dell’art. 11 conferma quindi la possibilità di eliminare le divergenze tra valori contabili e fiscali che non si sarebbero manifestate se il principio di derivazione rafforzata di cui all’art. 83 TUIR e le altre modifiche introdotte dalla Legge Finanziaria 2008 avessero trovato applicazione fin dal primo esercizio interessato dalla anzidetta ricostruzione retrospettiva; tuttavia l’esercizio di tale facoltà è consentito solo nell’ipotesi in cui la ricostruzione retrospettiva delle operazioni interessate dal nuovo
48 Ai sensi del successivo comma 8-bis, le disposizioni attuative del predetto comma 8, relativo anche al caso di prima adozione degli IAS/IFRS successiva al periodo di imposta in corso al 31 dicembre 2007, - oltre che a quello di variazione dei principi contabili internazionali - sono state adottate con il D.M. 30 luglio 2009. In relazione a tale ultima fattispecie, l’art. 1, comma 4, del citato D.M. stabilisce che, qualora l’omologazione della variazione del principio contabile intervenga in corso d’anno e sia prevista la sua applicazione a decorrere dall’inizio del medesimo periodo di imposta, le imprese possono avvalersi del riallineamento per le sole differenze esistenti all’inizio del periodo di imposta successivo. In tale caso, l’opzione è esercitata nella dichiarazione dei redditi relativa al periodo di imposta di prima applicazione della modifica ed il versamento dell’imposta sostitutiva deve essere effettuato in un’unica soluzione entro il termine previsto per il versamento del saldo delle imposte sui redditi relative a tale dichiarazione. In altri termini, nel caso in cui l’omologazione della variazione del principio contabile sia avvenuta, ad esempio, nel corso del 2010 e ne sia prevista l’applicazione dall’inizio del medesimo periodo di imposta (vale a dire, per i