CIRCOLARE MONOGRAFICA
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Lavoro intermittente: ipotesi ammesse ed escluse
Disciplina vigente: nozione, divieti, soggetti interessati, criteri di computo nell’organico di Xxxxxxxx Xxxxxxx, Xxxxxxxx Xxxxxxxx | 8 GENNAIO 2020
Il contratto di lavoro intermittente o “a chiamata” era prima regolamentato del D.Lgs. 10 settembre 2003, n. 276. Il D.Lgs. 15 giugno 2015, n. 81, sul riordino dei contratti di lavoro, ha poi riformulato negli articoli da 13 a 18 la disciplina del lavoro intermittente – senza tuttavia alterarne i tratti caratteristici, che restano confermati – e ha contestualmente disposto l’abrogazione, a decorrere dal 25 giugno 2015, della previgente normativa.
Circa il ruolo della contrattazione collettiva e, in particolare, quanto alla configurabilità o meno in capo a quest’ultima di un potere di veto in ordine all’utilizzabilità della tipologia contrattuale in oggetto, im- portanti chiarimenti sono stati forniti dalla Cassazione nella sentenza 13 novembre 2019, n. 29423. Do- po aver riepilogato gli aspetti più significativi della disciplina vigente (nozione, divieti, soggetti interessati, criteri di computo nell’organico), illustriamo il contenuto della decisione.
Nozione
Ai sensi dell’art. 13, comma 1, del D.Lgs. 15 giugno 2015, n. 81, il contratto di lavoro intermittente – che deve essere stipulato in forma scritta ai fini della prova di una serie di elementi (durata, luogo, trattamento economico e normativo, tempi e modalità di pagamento della retribuzione e dell’eventuale indennità di disponibilità, misure di sicurezza e così via) – è il contratto, anche a tempo determinato, mediante il quale un lavoratore si pone a disposizione di un datore di lavoro che ne può utilizzare la prestazione lavorativa in modo discontinuo o intermittente.
Il comma 3 del citato art. 13 dispone poi che, in ogni caso, con l’eccezione dei settori del turismo, dei pubblici esercizi e dello spettacolo, il contratto di lavoro intermittente è ammesso, per ciascun lavoratore con il medesimo datore, per un periodo complessivamente non superiore a 400 gior- nate di effettivo lavoro nell’arco di 3 anni solari.
Il superamento del predetto periodo ha quale conseguenza la trasformazione del relativo rapporto in un rapporto di lavoro subordinato a tempo pieno e indeterminato.
Attenzione
Per anno solare si intende un periodo di 365 giorni calcolato all’indietro o in avanti rispet- to a un qualunque giorno dell’anno. Per esempio: volendo chiedere una prestazione di la- voro intermittente l’8 gennaio 2020, per rispettare il limite delle 400 giornate nei 3 anni solari,
occorre verificare quante giornate di lavoro intermittente sono state prestate a partire dal 9 gennaio 2017.
Si ricorda che, ai fini dell’applicazione di qualsiasi disciplina di fonte legale o contrattuale per la quale sia rilevante il computo dei dipendenti, il lavoratore intermittente è computato nell’organico dell’impresa in proporzione all’orario di lavoro effettivamente svolto nell’arco di ciascun semestre (art. 18 del D.Lgs. n. 81/2015).
Divieti
L’art. 14 del D.Lgs. n. 81/2015 vieta il ricorso al lavoro intermittente nelle seguenti ipotesi:
a. per sostituire lavoratori che esercitano il diritto di sciopero;
b. presso unità produttive nelle quali si è proceduto, nei 6 mesi precedenti, a licenziamenti collet- tivi a norma degli artt. 4 e 24 della legge 23 luglio 1991, n. 223, che hanno riguardato lavoratori adibiti alle stesse mansioni cui si riferisce il contratto di lavoro intermittente;
c. presso unità produttive nelle quali sono operanti una sospensione del lavoro o una riduzione dell’orario in regime di cassa integrazione guadagni, che interessano lavoratori adibiti alle man- sioni cui si riferisce il contratto di lavoro intermittente;
d. ai datori di lavoro che non hanno effettuato la valutazione dei rischi in applicazione della normativa di tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori di cui al D.Lgs. 9 aprile 2008, n. 81.
Attenzione
Come precisato dall’INL nella Lettera circolare 15 marzo 2018, n. 49, l’avvenuta instaurazione del rapporto di lavoro intermittente in assenza della valutazione dei rischi, comporta la con- versione del rapporto a chiamata nella forma comune di contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato ai sensi dell’art. 1 del D.Lgs. n. 81/2015, il quale, di norma, in ragione del principio di effettività delle prestazioni, può avvenire anche solamente a tempo parziale.
Casi in cui è ammesso il ricorso al lavoro intermittente
Al di fuori delle ipotesi nelle quali opera un esplicito divieto, e fermo restando il limite delle 400 giornatedi effettivo lavoro nell’arco di 3 anni solari, in base a quanto previsto dall’art. 13, commi 1 e 2, del D.Lgs. n. 81/2015, il ricorso al lavoro intermittente è consentito:
a) per le esigenze individuate dai contratti collettivi, anche con riferimento alla possibilità di svol- xxxx le prestazioni in periodi predeterminati nell’arco della settimana, del mese o dell’anno;
Attenzione
Ai sensi dell’art. 51 del D.Lgs. n. 81/2015, salvo diversa previsione, per contratti collettivi si in- tendono i contratti collettivi nazionali, territoriali o aziendali stipulati da associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale e i contratti collettivi aziendali sot- toscritti dalle loro rappresentanze sindacali aziendali (RSA) ovvero dalla rappresentanza sin- dacale unitaria (RSU).
b) in mancanza di contratto collettivo, nelle ipotesi individuate con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali; nelle more dell’emanazione di tale decreto si applica il D.M. 23 ottobre 2004, che opera un rinvio alla tabella allegata al X.X. 0 dicembre 1923, n. 2657, che individua le occupazioni che richiedono un lavoro discontinuo o di semplice attesa o custodia, alle quali non è applicabile la limitazione dell’orario (a titolo meramente esemplificativo: guardiani notturni, camerieri, magazzinie- ri, personale addetto alla sorveglianza degli impianti frigoriferi);
c) in ogni caso, con soggetti:
con meno di 24 anni di età (quindi, con al massimo 23 anni e 365 giorni), a condizione che le prestazioni lavorative siano svolte entro il 25° anno;
con più di 55 anni (quindi, che abbiano già compiuto 55 anni).
Indicazioni ministeriali
Con specifico riferimento mancato rispetto dei limiti imposti dalla contrattazione collettiva per l’utilizzo del lavoro intermittente, il Ministero del Lavoro, nella Nota 4 ottobre 2016, n. 18194, ha pre- cisato quanto segue:
a. le parti sociali, nell’esercizio della loro autonomia contrattuale, possono legittimamente vietare il ricorso al lavoro intermittente per un determinato periodo di tempo: l’art. 13 del D.Lgs. n. 81/2015 demanda infatti al contratto collettivo l’individuazione delle esigenze organizzative e produttive in relazione alle quali possono svolgersi prestazioni di lavoro intermittente;
b. in mancanza di previsioni contrattuali, supplisce – allo stato e in virtù di quanto previsto dall’art. 55, comma 3, del D.Lgs. n. 81/2015 (in base al quale, fino all’emanazione dei decreti richiamati dalle disposizioni del citato D.Lgs., trovano applicazione le regolamentazioni vigenti) – il D.M. 23 ottobre 2004, che fa rinvio alla tabella allegata al R.D. n. 2657/1923;
c. resta comunque legittimo il ricorso al lavoro intermittente nel caso in cui sussistano i requisiti soggettivi, ossia quelli connessi all’età anagrafica del lavoratore (meno di 24 anni di età, purché le prestazioni lavorative siano svolte entro il 25° anno, e più di 55 anni);
d. la violazione delle clausole contrattuali che escludono il ricorso al lavoro intermittente determina, ove non ricorrano i requisiti soggettivi sopra richiamati, una carenza in ordine alle condizioni le- gittimanti l’utilizzo di tale forma contrattuale e la conseguente applicazione della sanzione della conversione in rapporto di lavoro a tempo pieno e indeterminato.
Tale posizione del Ministero va però ora letta alla luce del più recente orientamento della Suprema Corte.
Cassazione 13 novembre 2019, n. 29423
In relazione alla disciplina sin qui riepilogata, illustriamo ora i chiarimenti che la Suprema Corte, in una recente sentenza (Xxxx. 13 novembre 2019, n. 29423), ha fornito in materia di contratto di lavoro intermittente, con particolare riguardo al potere della contrattazione collettiva di individuare le esigenze e le prestazioni per le quali è consentito il ricorso a tale tipologia contrattuale.
Caso concreto
La Corte d’appello di Bologna, in riforma della sentenza di primo grado, respingeva la domanda del lavoratore volta all’accertamento dell’illegittimità del contratto di lavoro intermittente e alla conver- sione a tempo indeterminato del rapporto, con condanna della società datrice di lavoro alla reintegra,
alle connesse differenze stipendiali e al risarcimento del danno patrimoniale. In particolare, la Corte territoriale, premessa la genuinità del contratto di lavoro intermittente stipulato con riferimento alle esigenze individuate in via sostitutiva della contrattazione collettiva dal D.M. 23 ottobre 2004, n. 459 (il quale faceva riferimento alla tabella allegata al R.D. n. 2657/1923, espressamente richiamata nel contratto individuale), osservava che il CCNL applicabile alla concreta fattispecie non conteneva più la previsione impeditiva del ricorso alla tipologia del lavoro a chiamata adottata dalle parti collettive con il contratto previgente, giustificata in quella sede dalla “novità degli strumenti” e dalla situazione con- giunturale di settore e, quindi, legata a un presupposto transitorio, con un’efficacia limitata nel tem- po.
Il giudice d’appello, inoltre, rimarcava che l’interpretazione delle previsioni collettive in senso ostativo alla possibilità di stipulare il contratto in controversia avrebbe finito con il vanificare l’operatività del ricorso al lavoro intermittente introdotto dall’art. 33 del D.Lgs. 10 settembre 2003, n. 276 (abrogato dal 25 giugno 2015) e con il riconoscere alle parti collettive un potere smentito dalla disciplina di legge, stante la contestuale previsione dell’intervento ministeriale in caso di inerzia delle parti sociali nel regolamentare i casi in cui era consentito il ricorso alla tipologia contrattuale in esame.
Per la cassazione della decisione proponeva ricorso il lavoratore sulla base di un unico motivo.
Motivo del ricorso
Con l’unico motivo, il ricorrente deduceva erronea interpretazione e falsa applicazione dell’art. 34, comma 1, del D.Lgs. n. 276/2003 (anch’esso abrogato con decorrenza dal 25 giugno 2015 ma contenente una previsione sostanzialmente identica a quella di oggi di cui all’art. 13 del D.Lgs. n. 81/2015). Si sosteneva in particolare che, nel dettare la disciplina in tema di contratto di lavoro inter- mittente, il legislatore aveva attribuito in via esclusiva alle parti collettive il potere di individuare le esigenze e le prestazioni per le quali era consentito il ricorso a tale tipologia contrattuale; l’intervento sussidiario e sostitutivo del Ministero del lavoro mediante l’adozione di apposito D.M. era contempla- to, infatti, nella sola ipotesi di inerzia delle parti collettive e non anche quando queste si fossero co- munque attivate esprimendosi in senso ostativo all’utilizzabilità del contratto in esame nell’ambito del settore oggetto di regolazione.
Nel caso di specie, con il contratto collettivo 2004 le parti sociali avevano convenuto la non applicabili- tà dell’istituto e la previsione era stata riprodotta nel CCNL 2013, mentre solo con il CCNL 2017 era stato sancito il venir meno del divieto all’utilizzazione del lavoro intermittente. L’interpretazione pro- pugnata – che riconosceva, in sintesi, alle parti collettive un potere di veto in merito all’utilizzabilità, nello specifico settore, del contratto intermittente – risultava avallata anche dal parere del 4 ottobre 2016 del Ministero del lavoro, il quale aveva confermato la possibilità che le parti sociali, nell’esercizio della loro autonomia contrattuale, potessero legittimamente escludere l’utilizzabilità, nel settore regolato, di tale tipologia contrattuale.
Motivi della decisione
Nel pronunciarsi in maniera definitiva sulla vicenda oggetto di causa, la Corte di Cassazione ha svolto le seguenti considerazioni:
a. essendo pacifico che il contratto in esame rientra nell’ipotesi regolata dall’art. 34, comma 1, del D.Lgs. n. 276/2003 (contratto fondato su causale cd. di carattere oggettivo e non legata alle con- dizioni personali del lavoratore), la tesi del ricorrente circa il ruolo della contrattazione collettiva e, in particolare, quanto alla configurabilità in capo a quest’ultima di un potere di veto in ordine all’utilizzabilità tout-court del contratto di lavoro intermittente, non trova conferma nel dato te-
stuale e sistematico della disciplina di riferimento: il citato art. 34, comma 1, infatti, si limita a demandare ai contratti collettivi l’individuazione delle “esigenze” per le quali è consentita la stipula di un contratto a prestazioni discontinue, senza riconoscere esplicitamente alle parti so- ciali alcun potere di interdizione in ordine alla possibilità di utilizzo di tale tipologia contrattuale; né un siffatto potere di veto può ritenersi implicato dal richiamato rinvio alla disciplina collettiva che concerne solo un particolare aspetto di tale figura contrattuale e che nell’ottica del legislato- re trova verosimilmente il proprio fondamento nella considerazione che le parti sociali, per la prossimità allo specifico settore oggetto di regolazione, sono quelle maggiormente in grado di individuare le situazioni che giustificano il ricorso a tale particolare tipologia di lavoro;
b. sotto il profilo sistematico, l’assunto della possibilità per le parti collettive di impedire del tutto l’utilizzo di tale forma contrattuale risulta smentito dalla contestuale previsione nell’ambito dell’art. 34, comma 1, di un potere di intervento sostitutivo da parte del Ministero del lavoro, che denota in termini inequivoci la volontà del legislatore di garantire l’operatività dell’istituto, a prescindere dal comportamento inerte o contrario delle parti collettive;
c. ulteriore conferma della lettura qui condivisa si trae, infine, dalla previsione dell’art. 34, comma 3, del citato X.Xxx., il quale, tra le ipotesi di divieto del ricorso al lavoro intermittente, non con- templa anche quella di inerzia o veto delle parti collettive.
Alla luce delle considerazione sopra svolte, il ricorso deve essere rigettato.
Approfondimenti
L’art. 34 del D.Lgs. n. 276/2003, rubricato “Casi di ricorso al lavoro intermittente”, ai commi 1 e 3, disponeva quanto segue:
a) il contratto di lavoro intermittente può essere concluso per lo svolgimento di prestazioni di carattere discontinuo o intermittente, secondo le esigenze individuate dai contratti collettivi stipulati da associazioni dei datori e prestatori di lavoro comparativamente più rappresentati- ve sul piano nazionale o territoriale ovvero per periodi predeterminati nell’arco della settima- na, del mese o dell’anno;
b) è vietato il ricorso al lavoro intermittente:
- per sostituire lavoratori che esercitano il diritto di sciopero;
- salva diversa disposizione degli accordi sindacali, presso unità produttive nelle quali si è pro- ceduto, nei 6 mesi precedenti, a licenziamenti collettivi ai sensi degli artt. 4 e 24 della legge n. 223/1991, che abbiano riguardato lavoratori adibiti alle stesse mansioni cui si riferisce il con- tratto di lavoro intermittente ovvero presso unità produttive nelle quali è operante una so- spensione dei rapporti o una riduzione dell’orario, con diritto al trattamento di integrazione salariale, che interessino lavoratori adibiti alle mansioni cui si riferisce il contratto di lavoro in- termittente;
- da parte delle imprese che non hanno effettuato la valutazione dei rischi ai sensi dell’art. 4 del D.Lgs. 19 settembre 1994, n. 626 (oggi D.Lgs. n. 81/2008).
Tale articolo è stato abrogato dall’art. 55 del D.Lgs. n. 81/2015, con decorrenza dal 25 giugno 2015.
In conclusione, a differenza di quanto affermato dal Ministero del Lavoro nella Nota n. 18194/2016, anche in presenza di un divieto di stipulare il contratto di lavoro intermittente contenuto nel CCNL, la stipulazione di tale contratto è comunque legittima per una delle attività individuate dal D.M. 23 ottobre 2004 che opera un rinvio alla tabella allegata al R.D. n. 2657/1923.
Riferimenti normativi
D.Lgs. 15 giugno 2015, n. 81, artt. 13-18 e 51
D.M. 23 ottobre 2004
X.X. 0 dicembre 1923, n. 2657
Corte di Cassazione, sentenza 13 novembre 2019, n. 29423