REPUBBLICA ITALIANA TRIBUNALE DI VERONA
REPUBBLICA ITALIANA TRIBUNALE DI VERONA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale di Verona, in persona della dott.ssa Xxxxxx Xxxxxxx, ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nella causa civile di I grado iscritta al n. 3860/2010 e promossa da: LL attore
contro: ML convenuta
e contro: ZM e ZG CONVENUTI CONTUMACI
-omissis-
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con atto di citazione ritualmente notificato, l'attore LL, titolare della agenzia di mediazione Immobiliare LL e regolarmente iscritto al ruolo degli agenti immobiliari, ha convenuto in giudizio davanti al Tribunale di Verona i signori ZM e ZG e il signor ML premettendo che:
• nel mese di maggio 2007 i signori ZM e ZG gli avevano conferito incarico di ricercare acquirenti per l'immobile di loro proprietà sito in Lazise (Vr);
• dopo aver sottoposto l'affare al signor ML quest'ultimo si proponeva di acquistare l'immobile, in data 17/09/09, per il prezzo di euro 935.000,00:
• in data 29/09/08 la proposta veniva accettata dalla parte venditrice che apprendeva la conoscenza dell'accettazione in data 30/09/08;
• per la formalizzazione della vendita era stata fissata la data del 31/10/08 presso il Notaio MP;
• l'attore aveva provveduto ad informare le parti ma successivamente alle comunicazioni, il signor ML aveva preannunciato la mancata partecipazione presso il Notaio negando l'esistenza di un accordo per la vendita immobiliare;
Tutto ciò premesso l’attore ha chiesto l’accertamento dei fatti esposti e la condanna dei convenuti, in via solidale tra loro, al pagamento in favore dell'attore della somma di € 33.660,00 quale corrispettivo della mediazione compiuta calcolato, conformemente agli usi veronesi, nella percentuale del 3% del prezzo di vendita dell'immobile.
Nel costituirsi in giudizio, il convenuto ML ha, in primo luogo, eccepito l'incompetenza territoriale ai sensi dell'art. 33 comma 2 lett. u del Dlg.vo06/09/2005 n. 206 (Codice del Consumo) con riferimento alla propria posizione processuale. Nel merito, ha contestato la fondatezza della domanda attorea deducendo che la proposta d'acquisto sottoscritta in data 17/09/08 era stata modificata e spedita via fax dall'immobiliare LL a ML e da ques'ultimo sottoscritta e rispedita via fax alla immobiliare, che le operazioni di trasmissione e ritrasmissione via fax non consentono di ritenere validamente concluso un contratto preliminare di vendita immobiliare mancando il requisito della forma scritta richiesta ad substantiam. In via subordinata, ha eccepito la validità ed efficacia della proposta mancando nel modulo, sia i termini che le modalità di pagamento e risultando la proposta del 17/09/08 modificata dai venditori nel prezzo e nell'indicazione della data del rogito notarile.
In assenza della conclusione di un affare, il convenuto ha quindi concluso per il rigetto della domanda di pagamento del compenso.
All’udienza del 13.10.2011 la causa, istruita mediante prova documentale ed orale, è stata posta in decisione sulle conclusioni adottate dalle parti come in premessa e con assegnazione dei termini di cui all’art. 190 c.p.c.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Deve in primo luogo essere accolta l'eccezione d'incompetenza territoriale dell'adito Tribunale di Verona sollevata dal convenuto.
Sin dal primo atto difensivo il convenuto resistente ha infatti dedotto di essere un consumatore , secondo la definizione normativa dell'art. 3, comma 1, lett. a), D.L.vo 06 settembre 2005, n.° 206 ("Codice del consumo"), con la conseguenza che nel caso di specie deve trovare applicazione la disciplina speciale contenuta nel Dlgs. stesso.
La norma citata definisce come consumatore "la persona fisica che agisce per scopi estranei all'attività imprenditoriale, commerciale, artigianale o professionale eventualmente svolta".
Tale circostanza di fatto non è in alcun modo contestata dalla controparte (attore) e deve ritenersi pertanto, secondo la previsione dell'art. 115 c.p.c, così come sostituito dall'art 45
c.14 della legge 18 Giugno 2009 n. 69, un fatto provato che il giudice deve porre a fondamento della propria decisione.
Il resistente dunque, in quanto consumatore, dev'essere convenuto presso il giudice del luogo nel quale egli ha la residenza o il domicilio, così come emerge da una corretta lettura dell'art. 33 comma 2. lett. u dello stesso D.L.vo 206/2005 che si è dimostrato applicabile al caso di specie.
La disposizione sembrerebbe limitarsi a sancire la presunzione di vessatorietà della clausola che, in un contratto tra professionista e consumatore, stabilisce come foro competente una località diversa da quella di residenza o domicilio del consumatore; in realtà, secondo l'interpretazione che è andata ormai affermandosi presso i giudici di legittimità e di merito, il legislatore, tramite la stessa, ha invece voluto introdurre il principio generale in forza del quale ogni controversia relativa ad un qualsivoglia contratto concluso da un consumatore con un professionista spetta alla competenza esclusiva del giudice del luogo di residenza o domicilio elettivo del consumatore stesso (Cassazione sez. un. 03/14669,ma anche le più recenti Cass. 08/27911, 08/24262, 09/20718, 10/9922, per quanto riguarda i giudici di merito : Tribunale Alessandria sez. II, 20 agosto 2011 ).
Il legislatore, in altri termini, ha inteso introdurre all'interno dell'ordinamento un <<foro del consumatore>> ulteriore e speciale rispetto a quelli già previsti dal codice di rito, un foro che la stessa giurisprudenza della Cassazione considera dal carattere esclusivo (come ribadisce da ultima Cass. 09/20718).
Tale intepretazione della norma del codice del consumo è in realtà confermata anche dal dato letterale della disposizione : se è vero infatti che l'art. 33 comma 2. lett. u dello stesso D.L.vo 206/2005 considera vessatoria la clausola che deroga al foro di residenza o domicilio del consumatore, ciò implica che il foro competente, salvo eccezioni, non può essere stabilito in nessun luogo che sia diverso da quello della sede del consumatore stesso.
Ulteriori conferme si ricavano individuando la ratio dell'introduzione dell'articolo in commento che dev'essere rinvenuta nell'esigenza di assicurare un'effettività di tutela giurisdizionale del consumatore e che confermerebbe la volontà legislativa di introduzione di uno speciale foro esclusivo per le cause dei consumatori.
Del resto, si osserva ancora, la clausola che si presume vessatoria introdotta alla lett. u dell'art. 33, non rientra nell'elenco delle clausole contenute nell'allegato alla direttiva 1993/13/ CEE ed è pertanto da considerare il frutto di un'autonoma e spontanea scelta del legislatore italiano, adottata per rispondere alle medesime esigenze di tutela che hanno spinto lo stesso a prevedere per determinate tipologie contrattuali, la competenza esclusiva (questa volta però inderogabile) del giudice del luogo di residenza o domicilio del consumatore come nel caso dei contratti di timesharing immobiliare (art. 79 cod. Cons.).
E’ stato dunque introdotto un foro generale del consumatore, speciale rispetto ai fori già previsti dal codice di rito ai quali si sostituisce; ciò comporta che la presunzione di vessatorietà colpisce anche quelle clausole che indichino come foro competente uno dei fori risultanti dall'applicazione dei criteri di collegamento di cui agli artt. 18 e 20 c.p.c., nonostante ciò sembrerebbe contrastare con l'art. 34. 3 cod. Cons., che esclude la vessatorietà delle clausole riproduttive delle disposizioni di legge, altrimenti si finirebbe inevitabilmente per ridimensionare gli spazi di applicabilità del nuovo foro e ciò in contrasto con gli argomenti testè riportati (così anche Cassazione 04/16336).
Tutto ciò comporta delle conseguenze rilevanti per il giudizio sottoposto all'attenzione di questo Tribunale.
In primo luogo si osserva che, in quanto foro generale del consumatore, lo stesso si applica a qualsiasi rapporto contrattuale instaurato tra consumatore e professionista, quindi anche ai rapporti scaturenti dalla mediazione e indipendentemente dall'esistenza o meno di una specifica clausola, assente nel caso di specie.
In secondo luogo, che tale disposizione benchè non inderogabile, tuttavia può essere espressamente derogata solo attraverso una apposita clausola contrattuale che, in tal caso, si presumerebbe vessatoria fintantochè il professionista non provi che la stessa sia stata oggetto di trattativa individuale con il consumatore (Cassazione 04/19591, 04/19594, 07/18743) e quindi non per mere ragioni di connessione con altro giudizio in corso
(concorda Tribunale di Alessandria sez. II, 20 agosto 2011), come l'attore pretenderebbe di affermare nel caso di specie.
Calati dunque i principi sopra espressi al caso di specie, deve ritenersi l’incompetenza del Tribunale di Verona a decidere la controversia nei confronti del convenuto ML per essere competente il Tribunale di Bolzano.
Per quanto riguarda il giudizio nei confronti dei convenuti ZM e ZG, non costituitisi, la domanda dell'attore è fondata e deve trovare accoglimento.
Oggetto del presente giudizio è l'accertamento del credito vantato dall'attore nei confronti dei convenuti, a titolo di provvigione per la propria attività di mediazione.
Il mediatore, secondo l'art. 1754 è "colui che mette in relazione due o più parti per la conclusione di un affare, senza essere legato ad alcuna di esse da rapporti di collaborazione, di dipendenza o di rappresentanza”.
Secondo la giurisprudenza più risalente della Corte di Cassazione, (03/12106, 99/517, 84/4118), nonostante il codice non definisca l'istituto come un contratto, alla mediazione dovrebbe comunque riconoscersi natura contrattuale.
Secondo tale interpretazione il contratto di mediazione si perfezionerebbe con il semplice conferimento dell'incarico da parte di una delle parti mentre l'accettazione dell'affare da parte del secondo interessato avrebbe l'effetto di rendere questi partecipe del vincolo già esistente.
Il contratto vedrebbe quindi coinvolti il mediatore da un lato e i soggetti del rapporto intermediato dall'altro (Cass. 93/10062).
Più di recente però la Cassazione ha abbandonato tale interpretazione, accogliendo la tesi già da tempo presente in dottrina, secondo la quale la mediazione tipica costituirebbe un'attività materiale non negoziale dalla quale la legge farebbe scaturire il diritto alla provvigione (Cass. 09/16382, 10/21737).
La differenza tra le due tesi è ridimensionata dagli stessi giudici di legittimità in quanto anche in questo secondo caso dovrebbero trovare applicazione le norme sui contratti in
virtù del 'contatto sociale' che si creerebbe tra il mediatore e le parti (Cass. 09/16382, 10/21737).
Il mediatore si caratterizza, secondo la definizione codicistica, dal fatto di non avere alcun legame con nessuna delle due parti, tuttavia, nella pratica, può avvenire che ad un mediatore sia stato conferito da una parte, l'incarico di reperire un acquirente a cui vendere un proprio immobile.
In questi casi la Suprema Corte, più che una mediazione, ha talvolta ravvistato gli estremi di un contratto di mandato (Cass. 09/16382).
È opportuno però sottolineare la distinzione tra la mediazione ed il contratto di mandato viste le notevoli differenze dal punto di vista degli effetti tra i due istituti, come ad esempio con riferimento al diritto al compenso, che il mandatario acquista indipendentemente dal risultato raggiunto e solo da parte del mandante, mentre il mediatore lo acquista solamente se l'affare si conclude e da parte di entrambe le parti, oppure con riferimento alla disciplina della responsabilità per inadempimento nei confronti della parte che non conferisce l'incarico, che, in caso di mandato è una responsabilità aquiliana mentre in caso di mediazione è una responsabilità contrattuale (09/16382); come ad esempio, infine, con riferimento all'obbligo di attivarsi, presente nel mandatario ma assente nel mediatore che ha una mera facoltà di agire.
È proprio a quest'ultima differenziazione che la Cassazione ha ritenuto si debba guardare nel caso concreto per distinguere la mediazione dal contratto di mandato (Cass 08/24333).
Nel caso di specie, nonostante i coniugi convenuti abbiano conferito incarico all'attore, non sembrano emergere elementi per ritenere che quest'ultimo si sia assunto l'obbligo di attivarsi e, pertanto, si configura un rapporto di mediazione.
Per stabilire dunque se l'attore ha maturato il diritto alla provvigione bisogna necessariamente riferirsi alla previsione contenuta all'art. 1755 c.c. : "Il mediatore ha diritto alla provvigione da ciascuna delle parti, – secondo tale norma - se l'affare è concluso per effetto del suo intervento".
Ciò che si chiede a questo giudice è dunque di stabilire se, nel caso di specie, le operazioni intercorrenti tra i signori ZM e ZG con il signor ML possano essere considerate come un "affare concluso" ex 1755 c.c., nonostante quest'ultimo non si sia presentato di
fronte al notaio per la formalizzazione dell'accordo di vendita ed, in caso positivo, di accertare se tra la conclusione dell'affare e l'opera del mediatore sussista un nesso di causalità, ovvero che anche l'opera del mediatore sia stata condicio sine qua non dell'affare (Cass. 10/15880)
Secondo la giurisprudenza tradizionale della Cassazione per <<affare>> il legislatore fa riferimento a una qualsiasi operazione di contenuto economico che si risolva in utilità di carattere patrimoniale (Cassazione 77/330) o comunque come si è osservato di recente a qualsiasi operazione che sia fonte di un rapporto obbligatorio tra le parti sufficientemente individuata (10/21836).
Sempre secondo i giudici di legittimità tale affare si considera <<concluso>> quando sussiste la fattispecie necessaria ad operare la modificazione giuridica idonea a realizzare l'interesse delle parti (Cass. 04/13590), in altri termini l'affare è da considerare concluso ex 1755 quando tra le parti si è creato un vincolo giuridico tale da legittimare una parte ad agire per l'esecuzione specifica del negozio o per il risarcimento del danno (Cass. 07/22000).
È proprio per questo motivo che, sia i tribunali di merito che di legittimità, generalmente si mostrano favorevoli ad applicare l'art. 1755 anche in caso di conclusione di un contratto preliminare (Tribunale di Reggio Xxxxxx 29-01-2009, Cass. 01/325), ed in particolare quando la mediazione ha ad oggetto un contratto di compravendita immobiliare (Cass 02/10553) anche se non abbia fatto seguito la stipulazione del definitivo (Cass 10/12527) vista la possibilità di applicare il rimedio previsto dall'art. 2932 c.c.
Nel caso di specie la proposta sottoscritta dall'acquirente, dopo essere stata modificata dai venditori, è stata nuovamente sottoscritta dallo stesso acquirente e si trova contenuta, come emerge dagli atti, all'interno di un modulo della specie di quelli che generalmente si adottano nella pratica della mediazione immobiliare.
Si deve dunque accertare quale sia il valore dell'accordo contenuto in questo modulo ed, in particolare, se possa essere considerato quale un contratto preliminare tale da far maturare il diritto alla provvigione del mediatore.
In passato tali moduli venivano riconosciuti dalla giurisprudenza soprattutto di merito, alla stregua di contratti c.d. << preliminari di preliminari >> che davano comunque diritto alla provvigione (Tribunale Firenze 10-07-1999, Corte d'Appello Napoli 1-10-2003).
Una simile posizione sembra tuttavia da abbandonare definitivamente alla luce della recente pronuncia della Suprema Corte che ha dichiarato la nullità del contratto preliminare di un preliminare per mancanza della causa (Cass. 09/8038).
In alcune circostanze, tuttavia, la Suprema Corte è giunta a considerare il modulo della mediazione immobiliare, come un vero e proprio contratto preliminare e, quindi, fonte del diritto alla provvigione, in presenza dei requisiti di forma di quest'ultimo ex 1351, e anche se è stato convenuto dalle parti di presentarsi successivamente davanti ad un notaio per la stipula di un contratto preliminare, previsione quest'ultima ritenuta mirante soltanto a riprodurre in forma più sicura un preliminare già concluso (Cass. 13067/ 2004).
Gli stessi giudici hanno però osservato come tale proposta nel caso concreto, potrebbe anche essere qualificata come una semplice minuta, una puntuazione, ed in questo caso non si potrebbe parlare di affare concluso ex 1755 c.c.
Per accertare se la natura dell'accordo intercorso tra le parti intermediate possa considerarsi un contratto preliminare o una semplice minuta, sempre secondo i giudici di legittimità è necessaria l'interpretazione della volontà negoziale delle parti secondo i criteri di cui agli art. 1362 ss. c.c., il che implica un apprezzamento demandato al giudice di merito, insindacabile in sede di legittimità se sorretto da adeguata motivazione immune da vizi logici Cass. 13067/2004).
Nel caso della sentenza 13067/2004 i giudici di legittimità avevano confermato la qualificazione dei giudici di merito come affare concluso la proposta dell'acquirente in quanto quest'ultima conteneva "l'indicazione del prezzo, delle modalità di pagamento, della data di stipula del definitivo e della consegna dell'immobile all'acquirente" e quindi poteva valere come contratto preliminare nonostante, come già osservato, la clausola di ripresentarsi presso un notaio per stipulare un preliminare.
Anche nel caso sottoposto a questo Tribunale sussistono gli estremi per considerare l'accordo contenuto nel modulo allegato come un contratto preliminare e ,quindi, come un affare concluso che legittima ex 1755 c.c., il diritto alla provvigione.
In primo luogo il documento n 2 dimesso da parte attrice preliminare possiede forma richiesta dall'art. 1351 c.c., ovvero la medesima forma del contratto definitivo, in questo caso, in quanto compravendita immobiliare, la forma scritta ex 1350, n.1 c.c..
Non può infatti negarsi come il modulo sottoscritto dalle parti soddisfi il requisito della forma scritta mentre è irrilevante il fatto che, quale mezzo di comunicazione ed a fini probatori sia stato utilizzato lo strumento del fax; l'art. 2705 prevede espressamente che il telegramma possiede la medesima efficacia probatoria della scrittura privata.
In secondo luogo, si osserva che, se è vero che nel modulo in esame non sono determinate le modalità di pagamento del prezzo pattuito, si osserva però come sia giurisprudenza ormai pacifica quella che ritiene che il contratto preliminare non debba necessariamente indicare tutti gli elementi accessori e accidentali del contratto definitivo ma è sufficiente che contenga quelli essenziali (Cassazione 63/1371, 82/3529, 83/3856, 84/1818). Nel caso di compravendita immobiliare elemento necessario è la determinazione del prezzo mentre le modalità di pagamento costituiscono elementi accidentali la cui assenza comporta unicamente che il prezzo dovrà essere versato in unica soluzione alla sottoscrizione del definitivo.
Infine la clausola contenuta nel modulo, che subordina l'efficacia e validità della proposta al fatto che il documento dev'essere compilato in tutte le sue parti, deve essere correttamente intesa nel senso di richiedere che il documento per la sua vincolatività deve contenere tutte le parti essenziali del contratto. Il contratto di compravendita, secondo l'art. 1470 c.c. è quel contratto che ha per oggetto il trasferimento della proprietà di una cosa (o il trasferimento di altro diritto) verso il corrispettivo del prezzo e, come sopra riferito, elementi essenziali di tale contratto sono la cosa che si trasferisce ed il prezzo corrispettivo del trasferimento. Nel caso di specie l'immobile è stato esattamente identificato dalle parti ed il prezzo indicato chiaramente, può quindi ritenersi che sia stato validamente concluso un contratto preliminare.
Del resto, si osserva in terzo luogo, il caso di specie risulta differente dal caso di specie sottoposto all'attenzione della Corte di Cassazione nella sentenza 13067 del 2004 , se è vero infatti che in quell'occasione il modulo predisposto dal mediatore immobiliare è stato qualificato esso stesso come un contratto preliminare anche se le parti si impegnavano a comparire davanti al notaio per stipulare un contratto preliminare, tale qualificazione dovrebbe a maggior ragione valere per il modulo oggetto della presente controversia, con
il quale le parti si impegnano espressamente, non già alla stipula di un preliminare, ma a comparire dal notaio per il rogito, quindi per stipulare direttamente il contratto definitivo e ciò confermerebbe nuovamente la volontà delle parti di qualificare il documento come un contratto preliminare.
Dimostrato come l'accordo tra gli intermediati possa considerarsi affare concluso ai sensi dell'art. 1755 c.c. risulta facilmente accertabile, il nesso di causalità tra l'attività del mediatore e la conclusione dell'affare, richiesto ai fini del diritto alla provvigione dello stesso.
Anche in questo caso è il modulo sottoscritto dalle parti a risolvere la questione: il documento è infatti stato predisposto dall'immobiliare LL come è chiaro dall'intestazione ed è stato sottoscritto oltre che dalle parti dallo stesso mediatore, l'opera del quale quindi è stata una delle condizioni senza le quali l'affare non sarebbe stato concluso.
Da tutto ciò che si è esposto emerge dunque che il mediatore ha diritto alla provvigione secondo quanto stabilito dall'art. 1755 c.c. In assenza di specifica pattuizione dell’importo della provvigione, appare corretto il riferimento agli usi in tema di mediazione immobiliare. Tanto premesso i convenuti ZM e ZG devono essere condannati a pagare all’attore la complessiva somma di € 33.660,00 pari al 3% del prezzo di vendita oltre interessi moratori così come previsti dal D.Lgs 231/2002.
Le spese di lite, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.
PQM
Il Tribunale definitivamente pronunciando ogni diversa istanza eccezione e deduzione disattesa e respinta, in parziale accoglimento delle domanda promosse da LL nei confronti di ML, ZM e ZG,
dichiara, con riferimento al rapporto processuale instaurato nei confronti di ML, l’incompetenza del Tribunale adito per essere competente a giudicare la controversia il Tribunale di Bolzano;
condanna l’attore alla rifusione, in favore del convenuto ML, delle spese di lite liquidate in complessivi € 5.200 di cui € 2.000 per diritti, € 90 per spese e il resto per onorario oltre rimborso forfetario IVA se dovuta e cpa;
fissa il termine di mesi quattro dalla comunicazione della presente sentenza per la riassunzione della causa;
condanna i convenuti ZM e ZG a pagare all’attore la somma di € 33.660,00 oltre interessi moratori così come previsti dal D.Lgs 231/2002;
condanna i convenuti ZM e ZG alla rifusione, in favore dell’attore, delle spese di lite liquidate in complessivi € 5.600 di cui € 2.000 per diritti, € 340 per spese e il resto per onorario oltre rimborso forfetario IVA se dovuta e cpa.
Verona 16.2.2012
Il Giudice
Dott.ssa Xxxxxx Xxxxxxx