Contract
11. L’interpretazione del contratto.
INTERPRETAZIONE DEL CONTRATTO
Principio in claris non fit intepretatio: evidenzia che la chiarezza del testo può bastare per una corretta interpretazione quando da tale elemento sia possibile cogliere la comune intenzione delle parti. “Il primo e principale strumento dell’attività interpretativa è costituito dalle parole e dalle espressioni adottate dalle parti, la cui chiarezza ed univocità (dimostrativa di una intima ratio contrahendi) obbliga l’interprete ad attenervisi strettamente” (Xxxx., 04 maggio 2005, n.
9284).
Le regole di interpre- tazione (artt. 1362 ss. c.c.) rappresentano lo strumento attribuito al giudice per dare significato al regolamento contrattuale e per bilanciare le prestazioni secondo l’economia interna del contratto.
L’interpretazione secondo buona fede: l’art. 1366
c.c. dispone che il contratto deve
essere interpretato secondo buona fede.
In tema di interpretazione dei contratti, l’art. 1362 c.c., pur prescrivendo all’interprete di non limitarsi, nell’attività di ermeneutica negoziale, all’analisi del significato letterale delle parole, non relega tale criterio al rango di strumento interpretativo del tutto sussidiario e secondario, collocandolo, al contrario, nella posizione di mezzo prioritario e fondamentale per la corretta ricostruzione della comune intenzione dei contraenti; il criterio di interpretazione letterale è dunque quello prioritario laddove il significato letterale delle parole, secondo la loro connessione, si presenti esaustivo nel disvelare l’effettiva volontà dei contraenti (Xxxx. 30 settembre 2014, n. 20599).
Nell’interpretazione del contratto collettivo, è necessario procedere, ai sensi dell’art. 1363 cod. civ., al coordinamento delle varie clausole contrattuali, anche quando l’interpretazione possa essere compiuta sulla base del senso letterale delle parole, senza residui di incertezza, poiché l’espressione “senso letterale delle parole” deve intendersi come riferita all’intera formulazione letterale della dichiarazione negoziale e non già limitata ad una parte soltanto, qual è una singola clausola del contratto composto di più clausole, dovendo il giudice collegare e confrontare fra loro frasi e parole al fine di chiarirne il significato, tenendo altresì conto del comportamento, anche successivo, delle parti. (Cass. 19 settembre 0000, x. 00000; conf. Cass. 17 febbraio 2010, n. 3685).
In tema di interpretazione del contratto, ai fini della ricerca della comune intenzione dei contraenti, il primo e principale strumento è rappresentato dal senso letterale delle parole e delle espressioni utilizzate, con la conseguente preclusione del ricorso ad altri criteri interpretativi, quando la comune volontà delle parti emerga in modo certo ed immediato dalle espressioni adoperate e sia talmente chiara da escludere la ricerca di una volontà diversa. Con la precisazione che il rilievo da assegnare alla formulazione letterale va verificato alla luce dell’intero contesto contrattuale, considerando le singole clausole in correlazione tra loro a norma dell’art. 1363 c.c. (Cass. 23 giugno 2014, n. 14206).
La generale regola ermeneutica c.d. “conservazione degli atti”, espressamente codificata dall’art. 1367 c.c. in materia contrattuale, deve ritenersi operante, in quanto espressione di un sovraordinato principio generale insito nel sistema, anche e soprattutto in tema di interpretazione della legge, sulla scorta della quale, tra le diverse accezioni possibili di una disposizione (normativa, amministrativa o negoziale), deve propendersi per quella secondo cui la stessa potrebbe avere qualche effetto, anziché nessuno. (Cass. Sez. Un., 5 giugno 2014, n. 12644).
I canoni legali di ermeneutica contrattuale sono governati da un principio di gerarchia - desumibile dal sistema delle stesse regole - in forza del quale i canoni strettamente interpretativi prevalgono su quelli interpretativi-integrativi e ne escludono la concreta operatività, quando l’applicazione degli stessi canoni strettamente interpretativi risulti, da sola, sufficiente per rendere palese la comune intensione delle parti stipulanti. Nell’ambito dei canoni strettamente interpretativi, poi, risulta prioritario il canone fondato sul significato letterale delle parole. Quando quest’ultimo canone risulti sufficiente, quindi, l’operazione ermeneutica è utilmente e definitivamente conclusa. Ciò perché l’articolo 1362, comma 2, del cc, che invita a identificare il significato dell’atto in base al comportamento complessivo delle parti, va applicato in via sussidiaria, ove la interpretazione letterale e logica sia insufficiente. (Cass. 13 agosto 2015, n. 16795).
- In tema di interpretazione del negozio, anche unilaterale d’impegno, ai fini della ricerca dell’intenzione dell’obbligato il primo e principale strumento è rappresentato dal senso letterale delle parole e delle espressioni utilizzate, da verificarsi alla luce dell’intero contesto, ponendo le singole clausole in correlazione tra loro ai sensi dell’art. 1363 c.c. in quanto per senso letterale delle parole va intesa tutta la formulazione letterale della dichiarazione negoziale, in ogni sua parte ed in ogni parola che la compone, e non già in una parte soltanto, dovendo il giudice collegare e raffrontare tra loro frasi e parole al fine di chiarirne il significato. Il giudice deve in proposito fare applicazione altresì degli ulteriori criteri dell’interpretazione funzionale (art. 1369 c.c.) e dell’interpretazione secondo buona fede o correttezza (art. 1366 c.c.), quali primari criteri d’interpretazione soggettiva (e non già oggettiva) del negozio, il primo essendo volto a consentire di accertarne il significato in coerenza con la relativa ragione pratica o causa concreta, il secondo consentendo di escludere interpretazioni cavillose delle espressioni letterali contenute nelle clausole negoziali deponenti per un significato in contrasto con la ragione pratica o causa concreta del negozio (Cass. 6 maggio 2015, n. 9006).
- In materia di interpretazione del contratto, il criterio fondamentale è l’interpretazione letterale dei termini utilizzati dalle parti nella stesura dell’accordo; deve ritenersi esclusa, perciò, l’indagine in merito alla reale intenzione delle parti, ove le espressioni usate nel contratto abbiano natura chiara ed inequivocabile (Cass. 6 novembre 2015, n. 22701).
- Le regole legali di ermeneutica contrattuale sono governate da un principio di gerarchia, in forza del quale i criteri degli art. 1362 e 1363 c.c. prevalgono su quelli integrativi degli art. 1365-1371 c.c., posto che la determinazione oggettiva del significato da attribuire alla dichiarazione non ha ragione d’essere quando la ricerca soggettiva conduca a un utile risultato ovvero escluda da sola che le parti abbiano posto in essere un determinato rapporto giuridico. Deriva da quanto precede, pertanto, che l’adozione dei criteri integrativi non può portare alla dilatazione del contenuto negoziale mediante l’individuazione di diritti e obblighi diversi da quelli espressamente contemplati nel contratto o mediante la etero integrazione dell’assetto negoziale esplicitamente previsto dai contraenti, neppure se tale adeguamento si presenti, in astratto, idoneo a ben contemperare il loro interesse. In sostanza, è prioritario il canone fondato sul significato letterale delle parole, di cui all’art. 1362, comma 1, c.c., sicché quando esso risulti sufficiente l’operazione ermeneutica deve ritenersi utilmente, quanto definitivamente, conclusa. (Cass. 26 maggio 2016, n. 10896)
In tema d’interpretazione degli atti processuali, la parte che censuri il significato attribuito dal giudice di merito deve dedurre la specifica violazione dei criteri di ermeneutica contrattuale di cui agli artt. 1362 e ss. c.c., la cui portata è generale, o il vizio di motivazione sulla loro applicazione, indicando altresì nel ricorso, a pena d’inammissibilità, le considerazioni del giudice in contrasto con i criteri ermeneutici ed il testo dell’atto oggetto di erronea interpretazione. (Cass. 2 agosto 2016, n. 16057)
COLLOCAZIONE
Parte della dottrina colloca la diposizioni citata nell’area dell’interpretazione soggettiva, attribuendo rilevanza all’affidamento: il contratto deve essere interpretato secondo quanto il dichiarante ha lasciato intendere mediante le proprie dichiarazioni e il proprio comportamento (BIANCA).
Diverso orientamento colloca l’art. 1366 c.c. nell’area dell’interpretazione oggettiva (GAZZONI), confermato da prevalente giurisprudenza la quale pone l’accento sul carattere sussidiario della suddetta regola: l’art. 1366 c.c. “rappresenta un mezzo soltanto sussidiario dell’interpretazione, non invocabile quando il giudice di merito abbia, attraverso l’esame dei mezzi di prova raccolti, già aliunde accertato l’effettiva volontà delle parti” (Cass. 15 marzo 2004, n. 5239; Cass. 24 maggio 2003, n. 8411).
11.1. Interpretazione soggettiva e oggettiva.
INTERPRE- TAZIONE
a) SOGGETTIVA (artt. 1362 – 1365 c.c.)
costituisce il metodo primario di interpretazione del contratto, in quanto diretta a ricostruire la comune intenzione delle parti sulla base delle loro dichiarazioni e dei loro comportamento nel rispetto del principio dell’affidamento.
-Interpretazione sistematica: punto di partenza è il testo della dichiarazione negoziale. Non ci si deve fermare al senso letterale delle parole, ma occorre ricercare, attraverso un esame complessivo dell’atto, ossia interpretando le clausole le une per mezzo delle altre, quale sia stata la comune intenzione delle parti ossia il significato che entrambe attribuivano all’accordo per perseguire un determinato fine. (la volontà di uno dei contraenti non debitamente esteriorizzata nella dichiarazione resta confinata nell’ambito dei motivi.
-Interpretazione globale: per determinare la comune intenzione delle parti si deve valutare anche il loro comportamento (c.d. elementi extratestuali ex art. 1362 co. 2 c.c.) complessivo (c.d. criterio della globalità), sia anteriore alla conclusione del negozio (es. trattative) che posteriore (es. esecuzione).
L’art. 1363 c.c. stabilisce il criterio interpretativo dell’interdipendenza tra le clausole del contratto: ciascuna clausola è al contempo oggetto e mezzo di interpretazione.
L’art. 1363 c.c. ha duplice funzione: a) esso specifica nell’ambito dell’interpretazione soggettiva come deve essere determinata la comune intenzione delle parti; b) esso indica nell’ambito dell’interpretazione oggettiva come un frammento del negozio giuridico deve essere collocato nel contesto dell’intero rapporto.
“L’art. 1363 c.c. ha carattere primario, in quanto l’interprete deve collegare e raffrontare tra loro frasi o parole anche quando il significato letterale delle stesse sia chiaro, dato che quando si parla di senso letterale si intende tutta la formulazione letterale della dichiarazione negoziale” (Xxxx. 31 marzo 2006, n. 7597).
b) OGGETTIVA
se nonostante il ricorso alle regole indicate il senso del negozio non risulti ancora chiaro, entrano in gioco le regole di interpretazione oggettiva, previste ai sensi degli artt. 1367 – 1371 c.c. che riflettono parametri di equilibrio, efficienza, razionalità e ragionevolezza del rapporto contrattuale.
Su suddividono in:
- regole aperte: che dettano criteri per scegliere fra una serie indefinita di possibili significati (artt. 1368 – 1369 c.c.)
- regole finalizzate: che ipotizzano l’alternativa tra due possibili significati, e ne impongono all’interprete la scelta di uno dei due in nome di una precisa politica legislativa.
Ai sensi dell’art. 1367 c.c. “nel dubbio, il contratto o le singole clausole devono interpretarsi nel senso in cui possono avere qualche effetto, anziché in quello secondo cui non ne avrebbero alcuno” (c.d. principio di conservazione ex art. 1367 c.c.)
A volte la legge preferisce far prevalere un certo interesse (quello della parte aderente al contratto) contro un interesse antagonista (quello della parte predisponente: c.d. intepretatio contra stipulatorem ex art. 1370 c.c.)
Altra regola di interpretazione oggettiva – aperta (art. 1368 c.c.) impone di interpretare il contratto secondo ciò che si pratica generalmente nel luogo in cui il contratto è stato concluso o, se un parte è imprenditore, nel luogo in cui è la sede dell’impresa.
12. Le novità della legge c.d. “spazzacorrotti” sulle restituzioni.
La legge 9 gennaio 2019, n. 3 (intitolata “Misure per il contrasto dei reati contro la pubblica amministrazione, nonché in materia di prescrizione del reato e in materia di trasparenza dei partiti e movimenti politici”) modificando l’art. 165, co. IV, c.p. eleva la restituzione delle somme ricevute (e non di quelle promesse) nell’ambito di un accordo corruttivo a condizione per l’ottenimento della sospensione condizionale della pena.
Tale causa di estinzione della pena è, infatti, subordinata alla restituzione, a titolo di riparazione pecuniaria, dei soldi ricevuti corrisposti in esecuzione del pactum sceleris, ovvero della somma equivalente al prezzo o al profitto del reato. Il giudice, inoltre, nella sentenza di condanna per specifici reati contro la Pubblica amministrazione, può decidere di concedere la sospensione condizionale della pena ma al contempo di disporre di non estenderne gli effetti anche all’interdizione dai pubblici uffici e alla incapacità di contrarre con la pubblica amministrazione. In sostanza, anche venendo meno la pena principale resta efficace il c.d. “Daspo”.
Sul punto, va notato che durante l’esame in commissione alla Camera in prima lettura è stata modificata nel senso sopra descritto la norma che nella fomulazione precedentemente proposta all’esame del Parlamento prevedeva la restituzione delle somme promesse e non di quelle effettivamente ricevute o date, in tal modo andando in contrasto con i principi civilistici in materia di obbligazioni restitutorie conseguenti alla nullità del contratto e avrebbe dovuto essere qualificata quale sanzione accessoria.