La conciliazione non ferma l’Inps
La conciliazione non ferma l’Inps
Renzo La Costa
L’accordo transattivo raggiunto in sede di conciliazione dopo che è intervenuta la sentenza favorevole al lavoratore in primo grado, non incide minimamente sul recupero contributivo Inps disposto sulla base delle risultanze di giudizio.
E’ questo in sintesi il principio enunciato da Corte di Cassazione in ordinanza nr. 12652 del 13.5.2019.
il Tribunale aveva in origine accertato la nullità del termine apposto al contratto stipulato tra una società ed una lavoratrice e condannava la società al pagamento delle retribuzioni omesse dalla messa in mora (anno 2003) sino alla sentenza( anno 2005). La sentenza non veniva gravata da appello, ma nella pendenza del termine per proporlo, le parti sottoscrivevano un verbale di conciliazione in sede sindacale, con il quale riconoscevano che rapporto di lavoro con società era cessato nel 2003 per naturale scadenza del termine.
Con verbale di accertamento l'Inps quantificava i contributi dovuti dalla società per il periodo accertato nella suddetta sentenza, dal 2003 al 2005.
Il ricorso proposto dalla società per impugnare il verbale di accertamento, accolto dal Tribunale, veniva invece rigettato dalla Corte d'appello. La Corte territoriale argomentava che la transazione intervenuta tra lavoratore e datore di lavoro è estranea al rapporto tra quest'ultimo e l'Inps, che riguarda il credito contributivo derivante dalla legge in relazione all'esistenza di un rapporto di lavoro subordinato e che, attesa l'autonomia dei due rapporti, la transazione non spiega effetti riflessi nel giudizio con cui l'Inps fa valere il credito contributivo. Ciò comporta che l'Inps poteva azionare il credito contributivo e che la prova dello stesso poteva essere anche desunta dall'accertamento giudiziale operato dal Tribunale , all'esito della valutazione delle prove documentali che avevano dimostrato la natura fittizia dell'apposizione del termine. Inoltre, ad avviso della Corte di merito, la sentenza tra lavoratore datore di lavoro aveva efficacia di giudicato, benché non impugnata per effetto della comune volontà delle parti di non proseguire il giudizio nei suoi nei successivi gradi.
Per la cassazione della sentenza proponeva ricorso la società, censurando la sentenza di secondo grado nella parte in cui ha ritenuto che la transazione stipulata con la lavoratrice successivamente alla sentenza del Tribunale di Bergamo non possa avere efficacia rispetto all'Inps. Affermava anche che non
avendo la lavoratrice diritto a ricevere alcunché a titolo di retribuzione a seguito della transazione, non sussisterebbe nessuna retribuzione imponibile. Aggiungeva che le somme versate in sede transattiva erano state corrisposte a titolo di incentivazione all'esodo, con conseguente non assoggettabilità a contribuzione. Peraltro la lavoratrice non aveva svolto alcuna prestazione lavorativa fino al 2005 e dunque non spettava alcuna retribuzione.
I motivi di ricorso sono stati ritenuti infondati dalla suprema Corte , dando continuità all'orientamento secondo il quale in materia di obbligo contributivo del datore di lavoro, la transazione intervenuta tra questi ed il lavoratore è inopponibile all'istituto previdenziale, in quanto la retribuzione imponibile di cui all'art. 12 della legge 30 aprile 1969, n. 153, deve intendersi come tutto ciò che il lavoratore ha diritto di ricevere dal datore di lavoro, poiché il rapporto assicurativo e l'obbligo contributivo ad esso connesso sorgono con l'instaurazione del rapporto di lavoro, ma sono del tutto autonomi e distinti, sussistendo l'obbligo del datore di lavoro nei confronti dell'Istituto previdenziale indipendentemente dal fatto che gli obblighi retributivi nei confronti del prestatore d'opera siano adempiuti, in tutto o in parte, o che il lavoratore abbia rinunciato aipropri diritti.*
Né si tratta di esaminare la natura degli importi erogati a seguito della transazione (e, dunque se costituiscano o meno un incentivo all'esodo e siano di per sé imponibili), trattandosi di obbligazione contributiva che è derivata (non dalla transazione ma) dal rapporto di lavoro accertato con la sentenza dichiarativa del Tribunale e conseguente all' illegittimità del termine apposto al contratto di lavoro.
La transazione peraltro non è stata fatta valere in giudizio e quindi non ha impedito il passaggio in giudicato della sentenza di primo grado, ma ha sortito l'effetto di regolare diversamente tra le (sole) parti stipulanti, l'assetto di interessi derivante dalla sentenza di primo grado.
L'accordo transattivo non impediva quindi all'Inps di avvalersi dell'accertamento compiuto dal Tribunale, inteso come affermazione obiettiva di verità in ordine all'illegittimità del termine contrattuale e alla conseguente esistenza di un rapporto di lavoro subordinato nel periodo ivi ritenuto, essendo l'istituto titolare di diritti ed obblighi dipendenti dalla situazione giuridica definita giudizialmente. Ne è conseguito il rigetto del ricorso.
*(conformi: Cass. n. 17495 del 28/07/2009,n. 2642 del 05/02/2014, Cass.n. 27933 del 23/11/2017).