Contract
1. Introduzione.
Il contratto telematico è un accordo, come disciplinato dall’art. 1321 c.c., in cui le parti affidano le loro dichiarazioni di volontà a mezzi informatici collegati tra loro attraverso la rete Internet.
È possibile distinguere tale categoria di contratti dal punto di vista soggettivo in contratti tra imprese (cd. Business to Business, B2B); tra imprese e consumatori (cd. Business to Consumer, B2C); tra consumatori (cd. Consumer to Consumer, C2C); tra impresa, cittadini e Pubblica Amministrazione (cc.dd. Business to Administration, B2A); tra soggetti privati mediante determinate figure professionali (cd. Peer to Peer, P2P).
Dal punto di vista oggettivo, invece, la distinzione trova il proprio fondamento in due teorie. Secondo la teoria della c.d. oggettivazione dello scambio, il contratto telematico, in mancanza di trattative, andrebbe ricondotto allo schema dell’adesione non negoziale a contratto predisposto o, addirittura, dello scambio senza accordo. La teoria consensualistica sostiene la natura comunque negoziale dei contratti telematici in ragione della libertà di accettare l’accordo, ritenendo viceversa insussistente tale accordo negoziale non tanto in difetto di trattative – che sono solo una fase eventuale del procedimento di formazione del contratto – ma esclusivamente del potere dell’oblato di rifiutare.
Il contratto telematico può avere ad oggetto un bene materiale o un servizio tradizionale – e quindi costituire semplicemente un accordo concluso per via telematica – oppure avere ad oggetto un bene o un servizio digitale, quindi dematerializzato (software, opera letteraria, musicale, audiovisiva, etc.).
Dal punto di vista sistematico, tali contratti rientrano nella categoria dei “contratti a distanza”, i quali – a seguito della Direttiva 83/2011 UE e del d.lgs. n. 21/2014 di recepimento – dovrebbero, almeno nelle intenzioni del legislatore comunitario e nazionale, rappresentare una specie del più ampio genus dei “contratti del consumatore”, assieme ai contratti conclusi in presenza o fuori dei locali commerciali. Infatti, il nuovo Capo I (Titolo III, Parte III) – come introdotto dal d.lgs. n. 21/2014, a decorrere dal 13 giugno 2014 – viene ambiziosamente ridenominato “Dei diritti dei consumatori nei contratti” e le nuove quattro Sezioni si applicano “a qualsiasi contratto concluso tra un professionista e un consumatore” (art. 46, comma 1°), ad esclusione del diritto di recesso (di pentimento o ad nutum), che ha ragione di trovare applicazione solo nei contratti negoziati fuori dai locali commerciali e per i contratti a distanza, come strumento di tutela contro le vendite aggressive (art. 52).
Tuttavia, l’art. 46, comma 2, in caso di conflitto fa salve le normative settoriali di derivazione europea e l’art. 47 esclude dall’ambito di applicazione della novella ben 13 fattispecie contrattuali nonché gli affari c.d. bagatellari, di valore inferiore (unitario o complessivo) ai 50 euro tra le medesime parti.
Sotto il profilo normativo, dunque, la materia dei contratti telematici è senz’altro più ampia di quella disciplinata dal Codice del Consumo, che trova una delle sue principali fonti normative nel d.lgs. 9 aprile 2003, n. 70 (di attuazione della Direttiva 2000/31/CE) in materia di commercio elettronico, cui rinvia il Codice del Consumo, per gli aspetti non disciplinati dalla normativa speciale consumeristica. Come anticipato, la disciplina è stata completata dalla Direttiva 25 ottobre 2011/83/UE 4 – recepita in Italia con d.lgs. 21 febbraio 2014, n. 21 in vigore dal 13 giugno 2014.
2. “Contratto a distanza” e “contratto a conclusione telematica”.
L’art. 45, comma 1°, lett. g), definisce il “contratto a distanza” come “qualsiasi contratto concluso tra il professionista e il consumatore nel quadro di un regime organizzato di vendita o di prestazione di servizi a distanza senza la presenza fisica e simultanea del professionista e del
consumatore, mediante l'uso esclusivo di uno o più mezzi di comunicazione a distanza fino alla conclusione del contratto, compresa la conclusione del contratto stesso”.
Una definizione ampia che – oltre ai contratti conclusi per telefono, via fax o per corrispondenza – comprende il contratto telematico inteso nel senso di negozio concluso inter absentes per via telematica avente ad oggetto un bene mobile materiale o un servizio per così dire tradizionale o, a sua volta, avere contenuto informatico, digitale.
Il d.lgs. n. 21/2014, particolarmente sensibile ai contratti a “contenuto digitale” definiti “i dati prodotti e forniti in formato digitale” (art. 45, comma 1°, lettera m) e, per tutti i contratti, tra gli obblighi informativi del fornitore prevede “la funzionalità del contenuto digitale, comprese le misure applicabili di protezione tecnica” (art. 48, comma 1°, lett. g; art. 49, comma 1°, lett. t), nonché “qualsiasi interoperabilità pertinente del contenuto digitale con l’hardware e il software, di cui il professionista sia a conoscenza o di cui ci si può ragionevolmente attendere che sia venuto a conoscenza” (con art. 48, comma 1°, lett. h; art. 49, comma 1°, lett. u).
Alla luce del portato normativo è possibile distinguere tra il genus del contratto “a conclusione telematica” e la specie del contratto telematico a contenuto digitale o “contratto virtuale”.
3. I soggetti contraenti.
I soggetti contraenti possono essere suddivisi in due categorie:
a) Professionisti: soggetto che opera nel quadro della propria attività imprenditoriale o professionale;
b) Consumatore: soggetto che opera al di fuori della propria attività imprenditoriale o professionale eventualmente svolta.
Conseguentemente, e come in parte già anticipato, nella prassi dell’e-commerce possono essere individuati i seguenti modelli contrattuali, la cui distinzione è necessaria soprattutto in ordine al livello di protezione apprestato dall’ordinamento :
1) MODELLO BUSINESS TO BESINESS (B2B): contratti conclusi tra soggetti che posseggono entrambi la qualifica di professionisti; consiste in una relazione commerciale tra due imprese di cui una è interessata ad acquisire i prodotti dell’altra;
2) MODELLO BUSINESS TO CONSUMER (B2C): contratti conclusi tra un soggetto che possegga la qualifica di professionista e l’altro che operi in qualità di consumatore;
3) MODELLO CONSUMER TO CONSUMER (C2C): contratti conclusi tra soggetti che rivestono entrambi la qualifica di consumatori, operando entrambi su un terreno estraneo alla propria attività professionale (es. aste online);
4) MODELLO BUSINESS TO ADMINISTRATION (B2A): contratti conclusi tra soggetti di cui uno riveste la qualifica di professionista e l’altro quello di soggetto pubblico; si riferisce dunque a tutte le relazioni intercorrenti tra imprese e governo;
5) MODELLO PEER TO PEER (P2P): contratti la cui conclusione è riservata a determinati soggetti; la figura più diffusa è il cd. “social lending” noto anche come peer-to-peer lending (P2P lending) consistente in un prestito tra privati, erogato cioè da privati ad altri privati tramite Internet.
4. La fase delle trattative e gli obblighi di informazione nella conclusione dei contratti a distanza.
La formazione dell’accordo contrattuale è usualmente preceduta dalla fase delle trattative rispetto alla quale l’impianto del d.lgs. n. 21/2014 ha generalizzato gli obblighi di informazione precontrattuali riguardo – oltre che ai contratti diversi da quelli conclusi a distanza o fuori dei locali commerciali, secondo il criterio dell’armonizzazione minima o “a statuto debole” (art. 48) – anche
ai contratti conclusi a distanza e fuori dai locali commerciali, secondo il criterio dell’armonizzazione massima o “a statuto forte” (art. 49).
Nonostante il tentativo di omogeneizzazione, la normativa conferma l’esistenza di una pluralità di discipline tra loro differenziate che consente comunque di individuare un nucleo comune: la regolamentazione degli obblighi informativi precontrattuali relativi ai contratti a distanza e conclusi fuori dei locali commerciali viene considerata in dottrina “uniformata, ampliata e, soprattutto, fornita di un maggior grado di effettività”. In particolare, viene allineata la disciplina degli obblighi informativi relativi ai contratti conclusi fuori dei locali commerciali (che ante riforma riguardava solo i dati concernenti l’esistenza e la modalità del diritto di recesso) a quella dei contratti a distanza, già ben più articolata prima della novella .
Si è inoltre assistito all’ampliamento del novero dei dati da comunicare, tanto che da più parti si è paventato il rischio di un eccesso di informazioni, a seguito dell’introduzione dell’obbligo di comunicare anche informazioni concernenti elementi estranei al potere di controllo del professionista e, in alcuni casi, esterni all’accordo contrattuale, come la necessità di inserire un promemoria sull’esistenza della garanzia legale di conformità per i beni.
Gli obblighi di informativa precontrattuale riguardano: l’identità del professionista, l’individuazione delle prestazioni, la regolamentazione del recesso, la disciplina del rapporto, l’indicazione delle modalità di soluzione delle controversie e la descrizione delle caratteristiche funzionali dei prodotti digitali. Si aggiungono inoltre gli obblighi di informazione contenuti nei d.lgs. n. 59/2010 – relativa ai servizi nel mercato interno – e n. 70/2003, non ostando peraltro ad obblighi di informazione ulteriori stabiliti dal legislatore interno in conformità a tali disposizioni (in quanto autorizzato dall’art. 6, par. 8 Direttiva 2011/83/UE).
Tali informazioni, recita l’art.49, comma 5, “formano parte integrante del contratto a distanza o del contratto negoziato fuori dei locali commerciali e non possono essere modificate se non con accordo espresso delle parti”, ricalcando quanto già previsto per i contratti di multiproprietà, di prodotti per le vacanze di lungo termine e di rivendita e di scambio.
Sotto il profilo prettamente sanzionatorio, Direttiva 2011/83/UE ha lasciato le mani libere ai legislatori interni in quanto le “sanzioni da irrogare in caso di violazione delle norme nazionali” di recepimento sono rimesse ai singoli Stati membri con l’unica indicazione che tali sanzioni debbano essere “effettive, proporzionate e dissuasive” (art. 24, par. 1, Direttiva 2011/83/UE).
5. La tutela pre-contrattuale e post-contrattuale.
L’art. 49, comma 6, cod. consumo prevede, per l’ipotesi in cui il professionista non adempie o non adempie correttamente agli obblighi informativi precontrattuali in ordine alle spese aggiuntive o gli altri costi di cui al comma 1, lettera e) 22, o sui costi della restituzione dei beni di cui al comma 1, lettera i), che il consumatore non sostenga tali spese o costi aggiuntivi.
Negli altri casi di violazione degli obblighi di informazione precontrattuale previsti dall’art. 49 – premesso che l’onere della prova relativo all’adempimento di tali obblighi di informazione incombe sul professionista (comma 10) – si ritiene senz’altro applicabile la tutela risarcitoria derivante da responsabilità precontrattuale ex art. 1337 c.c..
Per la tutela post-contrattuale occorre invece verificare, caso per caso, l’esperibilità:
a) dell’annullamento per errore o dolo, ove la violazione degli obblighi di informazione precontrattuale determini un vizio del consenso;
b) degli altri rimedi generali direttamente incidenti sul rapporto contrattuale, come la risoluzione per inadempimento ex art. 1218 c.c.;
c) della nullità ex art. 1418 c.c. in ragione della carenza degli elementi strutturali del consenso o dell’oggetto 27 oppure per violazione di norme imperative, secondo i princìpi della nullità virtuale. Il dibattito più acceso, peraltro, si è avuto proprio con riguardo all’applicabilità del regime della nullità virtuale per violazione di norme imperative rispetto al quale vi è stato chi ha (autorevolmente) ritenuto non invocabile l’invalidità del contratto in materia di violazione degli
obblighi informativi precontrattuali, ove la nullità non sia testuale, come quella infatti espressamente prevista dal previgente art. 52, comma 3°, cod. cons. nel caso di mancato o non corretto assolvimento degli obblighi informativi precontrattuali nei contratti a distanza, conclusi per via telefonica. La giurisprudenza, con le note sentenze gemelle della Corte di cassazione, Sez. Unite, 19/12/2007, nn. 26724 e 26725 in tema di intermediazione finanziaria, hanno distinto tra regole di comportamento e regole di validità e ricondotto alle prime gli obblighi di informazione precontrattuali.
La Suprema Corte ha così chiarito che in relazione alla nullità del contratto per contrarietà a norme imperative in difetto di espressa previsione in tal senso (c.d. “nullità virtuale”) dovesse trovare conferma la tradizionale impostazione secondo la quale, ove non altrimenti stabilito dalla legge, unicamente la violazione di norme inderogabili riguardanti la validità del contratto è suscettibile di determinare la nullità e non già la violazione di norme, anch’esse imperative, concernenti il comportamento dei contrenti, la quale può essere solo fonte di responsabilità; con la conseguenza che la violazione dei doveri di informazione del cliente e di corretta esecuzione delle operazioni che la legge pone a carico dei soggetti può dar luogo a responsabilità contrattuale con conseguenze risarcitorie; in ogni caso deve escludersi che, mancando una esplicita previsione normativa, la violazione dei menzionati doveri di comportamento possa determinare, a norma dell'art. 1418, comma 1°, c.c. la nullità.
Alla luce della novella del Codice del Consumo, le informazioni precontrattuali formano parte integrante del contratto negoziato a distanza o fuori dei locali commerciali e non possono essere modificate se non con accordo espresso delle parti (art. 49, comma 5), con la conseguenza che la contrattualizzazione coatta delle medesime ha determinato la riapertura del dibattito sui rimedi in ambito contrattuale, in quanto le informazioni precontrattuali dovute compongono ex lege la struttura e i contenuti del contratto (negoziato a distanza o fuori dei locali commerciali), con la conseguenza che, dopo la conclusione del contratto, la violazione degli obblighi informativi sembra incidere non più su di una regola di comportamento bensì su di una regola di validità del contratto, consentendo l’applicabilità dell'art. 1418 c.c. in tema di nullità.
Parimenti l’inserimento nel contratto di clausole “a sorpresa” rispetto alle informazioni precontrattuali precedentemente fornite comporta la nullità, ai sensi dell’art. 1418, comma 1, dei contenuti negoziali illegittimamente aggiunti nelle forme della nullità di protezione, non potendosi ricondurre al principio sancito dall’art. 49, comma 5.
6. Requisiti formali dei contratti telematici.
La forma è il mezzo con cui le parti manifestano il proprio consenso contrattuale: le principali forme contrattuali sono l’atto pubblico, la scrittura privata, la forma verbale e il comportamento concludente.
Il principio della libertà di forma, quale corollario del principio di autonomia negoziale, subisce eccezioni per le ipotesi in cui la legge prevede una determinata forma a pena di nullità (cd. forma vincolata ad substantiam).
Il problema della forma concerne solo i contratti telematici in senso tecnico, ove il consenso contrattuale è espresso esclusivamente in via telematica, con esclusione dunque di tutte quelle ipotesi in cui lo strumento informatico serve per redigere e stampare il documento: in quest’ultima ipotesi si è in presenza di un normale contratto in cui il documento rappresentativo dell’accordo negoziale è stato redatto con l’ausilio del computer.
È possibile dunque distinguere quattro ipotesi:
a) contratti conclusi in base al principio di libertà delle forme: l’uso del mezzo telematico non pone alcun problema, neppure laddove le parti non abbiano previsto l’onere della forma volontaria, in quanto si tratta di un’ipotesi analoga a quella di un contratto concluso a mezzo telefono o fax. In tal caso si sostiene che la pressione sul tasto virtuale è sufficiente per manifestare la propria volontà contrattuale. Tali contratti, in definitiva, si stipulano
attraverso il sistema del “point and click” o puntamento del mouse sul tasto virtuale di accettazione e della relativa pressione digitale;
b) contratti che richiedono la scrittura privata: sorgono maggiori problemi dal momento che la legge richiede la sottoscrizione del documento da parte degli autori. In tali casi il legislatore ha previsto la procedura di validazione che consente al mittente di rendere manifesta e al destinatario di verificare la riferibilità soggettiva del documento ad un determinato individuo. Si tratta del sistema della firma digitale contenuta in una smart card in possesso del titolare che, imprimendo sul documento un codice (cd. impronta digitale) consente di ritenere con certezza che il documento appartiene al mittente firmatario. Sotto il profilo dell’onere formale, tutte le tipologie di firma elettronica previste dall’ordinamento (firma elettronica semplice, firma digitale, forma elettronica avanzata e firma qualificata), soddisfano il requisito della forma scritta, nel senso che laddove il legislatore richiede che un determinato programma negoziale rivesta la forma ad substantiam, i contraenti possono indifferentemente avvalersi di qualsiasi tipo di firma. Il problema che si è posto relativamente agli atti soggetti a trascrizione di cui all’art. 2643 c.c., laddove il titolo per la trascrizione è costituito dall’atto pubblico ovvero dalla scrittura privata autenticata dal pubblico ufficiale (art. 2657 c.c.), è stato risolto dall’art.24 D.P.R. n.445/2000 che, introducendo e disciplinando la figura della firma digitale autenticata, ha esteso la disciplina di cui all’art. 2703 c.c. alla firma digitale, la cui apposizione sia stata autenticata dal notaio o da altro pubblico ufficiale autorizzato, e alla firma semplice;
c) contratti che richiedono la forma dell’atto pubblico: in dottrina sono state formulate diverse tesi.
La tesi negativa (Xxxxxx) esclude l’utilizzo della firma digitale per gli atti pubblici in base all’art.12 della Legge n.15/1968 in materia di documentazione amministrativa e sull’autenticazione di firme secondo cui gli atti ricevuti da notai e altri pubblici ufficiali sono redatti a stampa o con scrittura a mano o a macchina. Da altro lato, sono tre i filoni positivi: a) taluni sostengono che l’attività di formalizzazione richiesta dal notaio in sede di autenticazione di scrittura privata appare analoga a quella tipica della redazione dell’atto pubblico, con la conseguenza che deve ammettersi l’autenticazione telematica della scrittura privata dal pubblico ufficiale e negare la redazione dell’atto pubblico in via telematica; b) alcuni evidenziano che la figura dell’atto pubblico informatico trova il suo riconoscimento anche a livello normativo (es. art. 491-bis c.p. e legge n. 59 del 1997); c) altri reputano che la legge n. 15 del 1968, richiamata anche dalla tesi negativa, se applicata estensivamente giungerebbe a ricomprendere nell’ampio concetto di scrittura a macchina anche l’utilizzo di un computer.
La soluzione non è univoca, ed è ancora aperto il dibattito in dottrina incentrato sull’ammissibilità o meno dell’atto pubblico telematico.
d) forme volontarie: nel caso in cui le parti abbiano optato per l’utilizzo dell’atto pubblico, si pongono le medesime considerazioni svolte in ordine all’atto pubblico telematico; nella diversa ipotesi in cui le parti abbiano scelto la scrittura privata, autenticata o meno, il requisito di forma si ritiene soddisfatta attraverso lo strumento informatico, stante il principio di assoluta equivalenza; nell’ipotesi in cui le parti abbiamo previsto in via esclusiva l’utilizzo dello strumento cartaceo, si pone il problema della derogabilità del principio di equivalenza delle forme, il quale non comporta anche un’assoluta indifferenza tra le due forme, con la conseguenza che è ammessa la possibilità per i contraenti di preferire l’utilizzo di un strumento escludendo il ricorso all’altro.
Infine, è opportuno segnalare le novità introdotte dall’art. 51 cod. consumo in tema di requisiti formali per i contratti a distanza.
Il secondo comma del predetto articolo prevede, nell’ipotesi di contratti che impongono al contraente-consumatore l’obbligo di pagamenti, che il contraente-professionista comunichi in modo
chiaro ed evidente almeno le informazioni di cui all’articolo 49, comma 1 (caratteristiche principali del bene o del servizio, prezzo onnicomprensivo, durata del contratto o sulle condizioni per recedere dal contratto a tempo indeterminato o a rinnovo automatico, eventuale durata minima degli obblighi del consumatore), prima che il consumatore inoltri l’ordine. Il professionista deve inoltre garantire che, al momento di inoltrare l'ordine, il consumatore riconosca espressamente che l’ordine implica l'obbligo di pagare.
Qualora il professionista non osservi tale disposizioni, “il consumatore non è vincolato dal contratto o dall'ordine”. Si tratta della c.d. Button solution o Button Lösung o Formalisme du bouton: la Direttiva 2011/83 prevede che quando il contratto sia concluso per via telematica, si debba eleggere un formalismo lessicale che da un lato certifica la consapevolezza del consumatore e dall’altro l’onerosità del suo ordine, secondo una presunzione che si considera “assoluta”.
Il problema principale è che il d.lgs. n. 21/2014 si è limitato a recepire la Direttiva 2011/83/UE senza precisare le conseguenze della violazione: la Direttiva infatti, pur lasciando ampia libertà ai legislatori nazionali in ordine alle sanzioni da irrogare in caso di violazione degli obblighi medesima, ha richiesto che tali sanzioni siano “effettive, proporzionate e dissuasive” (art. 24, par. 1, Direttiva 2011/83/UE).
Alla luce di tali considerazioni, il formalismo del “bottone” rappresenta una condizione di perfezionamento del contratto, dal cui difetto, secondo alcuni, deriverebbe addirittura l’inesistenza del consenso del consumatore, mentre secondo altri la nullità virtuale di protezione che si concretizzerebbe per relationem ai sensi della norma generale di cui all’art. 36 cod. cons. Tuttavia, la circostanza che il difetto di vincolatività sia unilaterale per il consumatore induce a preferire la tesi della nullità “virtuale” per contravvenzione ad un requisito formale, ma di protezione.
Il terzo comma dell’art. 51 prevede inoltre che i siti di commercio elettronico debbono indicare in modo chiaro e leggibile, al più tardi all'inizio del processo di ordinazione, se si applicano restrizioni relative alla consegna e quali mezzi di pagamento sono accettati. Il successivo comma 9 fa salve le disposizioni relative alla conclusione di contratti elettronici e all'inoltro di ordini per via elettronica conformemente agli articoli 12, commi 2 e 3 e 13 del decreto legislativo 9 aprile 2003, n. 70, e successive modificazioni. In particolare, l’art. 13, comma secondo, del predetto decreto legislativo prevede che “il prestatore deve, senza ingiustificato ritardo e per via telematica, accusare ricevuta dell'ordine del destinatario contenente un riepilogo delle condizioni generali e particolari applicabili al contratto, le informazioni relative alle caratteristiche essenziali del bene o del servizio e l'indicazione dettagliata del prezzo, dei mezzi di pagamento, del recesso, dei costi di consegna e dei tributi applicabili”.
7. La conclusione del contratto telematico.
La conclusione del contratto telematico ricalca lo schema dell’offerta al pubblico ex art. 1336 c.c., con la conseguenza che saranno applicabili i principi e gli schemi generali previsti dagli artt.1326 ss. c.c.
In concreto, trattandosi di offerta commerciale solitamente diretta ad una pluralità indifferenziata di consumatori, ossia ad incertam personam, essa può assumere la forma della proposta vera e propria, ove contenga gli elementi essenziali del contratto da concludere, oppure del semplice invito ad offrire, qualora la proposta non sia completa di tutti i requisiti essenziali, con la conseguenza che nella prima ipotesi l’accettazione del consumatore determina direttamente la conclusione del contratto, mentre nel caso di invito ad offrire la dichiarazione del consumatore rappresenta una proposta, semplice o irrevocabile, che può essere accettata o meno dall’impresa secondo il suo gradimento o le sue disponibilità.
Quanto all’obbligo del prestatore di inviare la ricevuta dell’ordine di cui all’art. 13, comma 2°, d.lgs. n. 70/2003, non si ritiene costituisca una fase del procedimento di formazione del contratto. La natura meramente accessoria è confermata dalla possibile assimilazione di tale obbligo a quello previsto dall’art. 1327 c.c. quale potenziamento degli obblighi di informazione utili alla valutazione dell’affare proposto. L’invio della ricevuta dell’ordine costituisce prova dell’avvenuta ricezione da
parte del venditore del modulo telematicamente compilato dal consumatore e quindi della regolare conclusione del contratto medesimo.
Dette considerazioni valgono maggiormente per le ipotesi di ordini del consumatore che comportano obbligo di contestuale pagamento, poiché se l’offerta al pubblico da parte del professionista contiene tutti i requisiti essenziali del futuro contratto, la ricezione dell’ordine del consumatore comporta la conclusione del contratto; se l’offerta non contiene invece gli elementi essenziali, l’ordine e il contestuale pagamento comportano la conclusione del contratto al momento del pagamento, secondo lo schema dell’art. 1327 c.c.
Quanto al tempo e al luogo di conclusione del contratto – premesso che l’ordine e la ricevuta si considerano pervenuti quando le parti alle quali sono indirizzati hanno la possibilità di accedervi (art. 13, comma 3°, d.lgs. 70/2003; art. 1335 c.c.). – nel caso di offerta al pubblico trova applicazione il principio generale di cui all’art. 1326, comma 1°, c.c., secondo cui il contratto è concluso nel momento e nel luogo in cui chi ha fatto la proposta ha conoscenza dell’accettazione dell’altra parte; mentre, nell’ipotesi di invito ad offrire del professionista e di ordine con contestuale pagamento del consumatore, il contratto deve ritenersi concluso nel tempo e nel luogo in cui ha avuto inizio l’esecuzione (art. 1327, comma 2°, c.c.).
È necessario precisare che il luogo di conclusione del contratto non ha effettiva rilevanza, anche in punto di giurisdizione, legge applicabile e competenza, essendo in parte superate e in parte sfumate. Infatti è opportuno distinguere due ipotesi:
1) controversia che presenta elementi di collegamento tra due o più Stati membri:
a) la giurisdizione italiana può affermarsi in base ai criteri stabiliti dal Regolamento UE n. 1215/2012 (concernente la competenza giurisdizionale, il riconoscimento e l’esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale) che – pur sostituendo il Regolamento CE n. 44/2001 – continua a prevedere che qualora il contratto sia stato concluso con una persona le cui attività commerciali o professionali si svolgono nello Stato membro in cui è domiciliato il consumatore o sono dirette, con qualsiasi mezzo, verso tale Stato membro o verso una pluralità di Stati che comprende tale Stato membro, e purché il contratto rientri nell'ambito di dette attività, l’azione del consumatore contro l’altra parte del contratto possa essere proposta sia davanti ai giudici dello Stato membro nel cui territorio è domiciliata tale parte sia davanti ai giudici del luogo in cui è domiciliato il consumatore stesso. L’azione promossa dal soggetto diverso dal consumatore può essere proposta, ai sensi degli artt. 17 e 18 del predetto Regolamento UE, davanti ai giudici dello Stato membro nel cui territorio è domiciliato il consumatore;
b) la legge applicabile al contratto, in base all’art. 57, legge n. 218/1995, deve essere individuata, in mancanza di scelta pattizia, in base ai criteri oggettivi di collegamento dettati dall’art. 6, comma 1, Regolamento CE n. 593/2008 (cd. Xxxx X), secondo cui il contratto tra consumatore e professionista è disciplinato dalla legge del paese nel quale il consumatore ha la residenza abituale, a condizione che il professionista: a) svolga le sue attività commerciali o professionali nel paese in cui il consumatore ha la residenza abituale; oppure b) diriga tali attività, con qualsiasi mezzo, verso tale paese o vari paesi tra cui quest’ultimo e, inoltre, il contratto rientri nell’ambito di dette attività;
c) l’art. 66 ter, “Carattere imperativo”, Cod. Consumo precisa, da una parte, che se il diritto applicabile al contratto è quello di uno Stato membro dell'Unione europea, i consumatori residenti in Italia non possono rinunciare ai diritti conferiti loro dalle disposizioni delle Sezioni da I a IV del Capo I; dall’altra, che eventuali clausole contrattuali che escludano o limitino, direttamente o indirettamente, i diritti derivanti dalle disposizioni delle Sezioni da I a IV del Capo I, non vincolano il consumatore.
2) controversia che presenta carattere interno, l’art. 66 bis – rubricato “Foro competente” – stabilisce espressamente che “per le controversie civili inerenti all'applicazione delle Sezioni da I a IV del Capo I, la competenza territoriale inderogabile è del giudice del luogo di residenza o di domicilio del consumatore, se ubicati nel territorio dello Stato”. Emerge chiaramente che si tratta di un criterio rispetto al quale non rilevano la residenza o il domicilio che il consumatore aveva al momento della conclusione del contratto né il luogo di tale conclusione.