UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI BERGAMO
UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI BERGAMO
Facoltà di Giurisprudenza
DOTTORATO DI RICERCA IN DIRITTO PUBBLICO E TRIBUTARIO NELLA DIMENSIONE EUROPEA
XXIII CICLO
IL DIVIETO DI ABUSO DEL DIRITTO COMUNITARIO E IL SUO UTILIZZO A FINI DI CONTRASTO ALL'ELUSIONE FISCALE NELL'IMPOSIZIONE SUL VALORE AGGIUNTO
Relatore:
Xxxxx.xx Xxxx. Xxxxx Xxxxxxx
Xxxxxxxx XXXXXXXXXXX Xxxxxxxxx n. 1004359
INDICE GENERALE
INTRODUZIONE 7
CAPITOLO 1
ELUSIONE FISCALE ED ABUSO DEL DIRITTO.
1.1 LA NOZIONE DI ELUSIONE FISCALE E I DIVERSI IMPIEGHI DEL CONCETTO DI ABUSO DEL DIRITTO. 15
1.2 IL DIVIETO DI COMPORTAMENTI ABUSIVI NEL DIRITTO COMUNITARIO E IL CONTRASTO ALL'ELUSIONE FISCALE 30
CAPITOLO 2
IL DIVIETO DI ABUSO DEL DIRITTO COMUNITARIO NELLA GIURISPRUDENZA DELLA CORTE DI GIUSTIZIA EUROPEA.
2.1 LA CREAZIONE DEI PRINCIPI GENERALI DELL'ORDINAMENTO COMUNITARIO AD OPERA DELLA CORTE DI GIUSTIZIA EUROPEA. 35
2.2 IL PRINCIPIO DI DIVIETO DI ABUSO DEL DIRITTO COMUNITARIO NELLA GIURISPRUDENZA DELLA CORTE DI GIUSTIZIA: LE APPLICAZIONI NON ATTINENTI LA MATERIA TRIBUTARIA 44
2.3 ABUSO DEL DIRITTO COMUNITARIO E IMPOSIZIONE DIRETTA. 66
2.4 ABUSO DEL DIRITTTO COMUNITARIO ED IMPOSIZIONE SUL VALORE AGGIUNTO. 87
2.4.1 LA SENTENZA HALIFAX: GLI ELEMENTI COSTITUTIVI DELLA CONDOTTA ABUSIVA NELL'IMPOSTA SUL VALORE AGGIUNTO E LE CONSEGUENZE DEL SUO ACCERTAMENTO. 97
2.4.2 LE ALTRE SENTENZE DELL'HALIFAX DAY: UNIVERSITY OF HUDDERSFIELD E BUPA HOSPITAL 112
2.4.3 LA SENTENZA PARTSERVICE: LE RAGIONI FISCALI QUALE SCOPO ESSENZIALE MA NON NECESSARIAMENTE ESCLUSIVO DELLA CONDOTTA ABUSIVA. 118
2.4.4 LA SENTENZA FALL. OLIMPICLUB: L'IDONEITA' DEL DIVIETO DI COMPORTAMENTI ABUSIVI A LIMITARE LA DISCIPLINA NAZIONALE IN MATERIA DI GIUDICATO. 125
2.4.5 LE ULTIME SENTENZE IN MATERIA DI ABUSO DEL DIRITTO NELL‘IMPOSIZIONE SUL VALORE AGGIUNTO:
RBS DEUTSCHLAND E WEALD LEASING 129
2.5 GLI EFFETTI GIURIDICI DEL COMPORTAMENTO RITENUTO ABUSIVO 137
2.6 LE NORME PROCEDURALI APPLICABILI E L'ONERE DELLA PROVA DELL'ABUSO. 140
CAPITOLO 3
I LIMITI DEL DIVIETO DI ABUSO DEL DIRITTO.
3.1 LA CERTEZZA DEL DIRITTO ED IL LEGITTIMO AFFIDAMENTO. 145
3.2 L'AUTONOMIA PRIVATA. 155
3.3 PROPORZIONALITÀ, EFFETTIVITÀ ED UNIFORME APPLICAZIONE DEL DIRITTO COMUNITARIO 159
3.4 I LIMITI SPECIFICI ALL'APPLICAZIONE DEL DIVIETO DI ABUSO DEL DIRITTO NELL'IMPOSIZIONE SUL VALORE AGGIUNTO. 166
CAPITOLO 4
LE POSIZIONI DOTTRINALI CIRCA L'ESISTENZA DI UN PRINCIPIO GENERALE DI DIVIETO DI ABUSO DEL DIRITTO COMUNITARIO: IN GENERALE E CON RIFERIMENTO ALLA MATERIA TRIBUTARIA.
4.1 IL DIVIETO DI ABUSO DEL DIRITTO QUALE PRINCIPIO INTERPRETATIVO DEL DIRITTO COMUNITARIO. 175
4.2 IL DIVIETO DI ABUSO DEL DIRITTO COMUNITARIO QUALE PRINCIPIO GENERALE DELL'ORDINAMENTO COMUNITARIO. 180
4.3 LA MATERIA TRIBUTARIA. 185
CAPITOLO 5
INTERAZIONE TRA GIURISPRUDENZA COMUNITARIA E GIURISPRUDENZE NAZIONALI.
5.1 LE RAGIONI DI UN‘INDAGINE COMPARATA 189
5.2 IL CASO DELL'ITALIA.
Un ordinamento di civil law sfornito di una clausola generale antielusiva applicabile all'imposta sul valore aggiunto. 191
5.3 IL CASO DEL REGNO UNITO.
Un ordinamento di common law 200
5.4 IL CASO DEL REGNO DI SPAGNA.
Un ordinamento di civil law munito di una clausola generale antielusiva applicabile all'imposta sul valore aggiunto 214
CONCLUSIONI 223
BIBLIOGRAFIA 231
Il pagamento delle imposte è certamente un costo di cui un operatore economico può legittimamente tener conto allorché sceglie tra vari modi di condurre un affare, sempre che soddisfi gli obblighi impostigli dalla legge. Si può dubitare forse della moralità di questa libertà, ma certo non della sua legittimità.
Avvocato Generale Xxxxxxx Xxxxxx, causa Halifrax
Every man is entitled if he can to order his affairs so as to diminish the burden of tax. The limits within which this principle is to operate remain to be probed and determined judicially. Difficult though the task may be for judges, it is one which is beyond the power of the xxxxx instrument of legislation. Whatever a statute may provide, it has to be interpreted and applied by the courts: and ultimately it will prove to be in this area of judge-made law that our elusive journey‟s end will be found.
Lord Scarman's speech in Furniss vs. Xxxxxx
case
La pratica dell‟evasione e dell‟elusione fiscale al di là dei confini degli Stati membri non solo conduce a perdite di bilancio ma lede anche il principio della giustizia fiscale. Essa può altresì provocare distorsioni dei movimenti di capitali e delle condizioni di concorrenza. Pertanto essa pregiudica il funzionamento del mercato interno.
Considerando n. 3 Regolamento (UE) n. 904/2010 del Consiglio del 7 ottobre 2010 relativo alla cooperazione amministrativa e alla lotta contro la frode in materia d‟imposta sul valore aggiunto.
INTRODUZIONE
La dottrina che riscontra l'esistenza di un principio generale postulante un divieto di abuso del diritto, volto a contrastare, in un dato ordinamento giuridico, l'uso
―abnorme‖, che si ponga cioè al di fuori dei limiti che in quel determinato contesto giuridico valgono a delimitare l‘uso ―normale‖ e quindi prevedibile da parte di un legislatore accorto in sede di posizione della norma, delle disposizioni legislative e delle prerogative che queste attribuiscono ai singoli, anche nell'eventuale assenza di una specifica norma o principio scritto recante tale divieto1, formatasi secondo i più nell'ambito della dottrina e giurisprudenza francesi del XVIII secolo, e ripresa in Italia con alterne fortune nel corso del secolo successivo, è apparsa tra i mezzi più idonei ad adattare alle forme dello stato democratico-sociale, e pertanto di un individualismo politico e giuridico in via di attenuazione, sistemi giuridici sorti nell'ambito dello stato liberale, tanto che alcuni autori vi hanno visto un principio idoneo a socializzare l'intero diritto mediante il controllo giurisprudenziale delle forme di esercizio delle prerogative dei singoli2.
Comune alle varie teorizzazioni del concetto di abuso del diritto ci sembra il significato di ―sviamento‖, attraverso un uso che dal punto di vista formale appare corretto ma che in realtà presenta la caratteristica della ―anormalità‖ in riferimento agli interessi e ai fini perseguiti dall'ordinamento nel suo complesso, di un diritto o più in generale di una
1 Uno specifico divieto di abuso del diritto è presente, come vedremo, nell'ordinamento tedesco ed in quelli da esso derivati. L'assenza del divieto nel diritto italiano viene attribuita da X. Xxxxx nella prefazione al libro di J.D. Roulet, Le caractère artificiel de la théorie de l'abus en droit international public, Neuchâtel, 1958, p. 7, alla inclinazione del legislatore italiano ad adottare norme speciali ove ve ne sia bisogno mentre nel diritto inglese sarebbe dovuta alla flessibilità del diritto di creazione giurisprudenziale che la rende superflua.
2 H., L. e X. Xxxxxxx, Leçon de droit civil², I, Paris, 1959, pp. 77 s., richiamati da X. Xxxxxxxx, L'Abuso del diritto, in nota 129 a p. 124, Bologna, 1998. L'illustre Autore chiarisce nelle pagine successive il legame tra l'abuso nel diritto civile e l'eccesso di potere sotto forma di sviamento nel diritto amministrativo, sorti nella stesso periodo, e definisce sterile la polemica circa l'origine prioritaria dell'una o dell'altra figura e la ricerca delle eventuali sovrapposizioni e ben più interessanti i tentativi di trasposizione degli istituti al di fuori dei relativi campi di appartenenza con il tentativo di individuare, nei rapporti tra cittadino e pubblica amministrazione, casi di ―abuso‖ della pubblica amministrazione distinti dai casi di eccesso di potere. Viene peraltro chiarito in nota 131 che, secondo gli Autori che si sono occupati del problema, gli istituti si prestano alla trasposizione in quanto in entrambe le giurisdizioni, quella civile e quella amministrativa, si giudica dell'esercizio ora di funzioni ora di diritti.
prerogativa attribuita al soggetto dall'ordinamento, la quale viene strumentalizzata per finalità non solo diverse da quelle per cui tale prerogativa è stata, in via astratta, attribuita, ma che possono porsi in contrasto con quelle perseguite dal legislatore mediante le stesse o altre norme ovvero con gli stessi principi generali dell'ordinamento medesimo. Proprio in quanto formalmente conforme al dettato normativo il comportamento appare, prima facie, legittimo e gode pertanto, in astratto, della tutela giuridica garantita dalla norma e dall'ordinamento giuridico all'interno del quale essa è inserita.
Il principio in discussione postula pertanto la possibilità da parte dell'interprete di un sindacato circa le finalità perseguite dal soggetto agente, che secondo alcuni autori può o deve spingersi sino ad indagare circa i motivi psicologici interni all'agente, ovvero alla presenza di una eventuale giusta causa, che hanno determinato il soggetto a quello specifico esercizio della prerogativa, si da verificarne la rispondenza alle possibili finalità cui il legislatore tendeva mediante la posizione del precetto che tale prerogativa conferisce. Appare evidente che tale sindacato in quanto ponga a confronto le finalità contingenti del singolo con quelle perseguite in via generale ed astratta dal legislatore tende a coincidere, secondo alcuni autori, con la corretta interpretazione teleologica circa i limiti di applicabilità delle singole norme.
In definitiva l'opinione in questione presuppone la possibilità per l'interprete di considerare, nell'esame degli atti di esercizio del diritto, la lesione dell'interesse di un soggetto terzo o che comunque non è stato oggetto di valutazione da parte del legislatore in sede di redazione della norma, frutto dell'alterazione della funzione originaria dell'istituto operata dal soggetto agente. La reazione dell'ordinamento giuridico a tale sviamento sarà di norma costituita dall'inopponibilità degli effetti giuridici del detto esercizio ai soggetti portatori dell'interesse leso e ritenuto meritevole di tutela.
Nella disputa tra i sostenitori e coloro che hanno negato3 l'esistenza di un tale principio anche nel nostro ordinamento, ove non appare presente a suo fondamento alcuna chiara base normativa testuale, appare evidente l'eco delle fondamentali concezioni filosofiche
3 Tra i primi X. Xxxxxxxx, L'abuso del diritto, cit.; X. Xxxxxx, Abuso del diritto (Diritto attuale), in Enc. Dir., I, Milano, 1958, pp. 166 e ss.; tra i secondi X. Xxxxxxx, Istituzioni di diritto privato, Pavia, 1954, pp. 101 e ss.; X. Xxxxxxx Xxxxxxxxxx, Dottrine generali di diritto civile, Napoli, 1966 pp. 76 e ss..
del diritto, da un lato la visione giusnaturalistica ritenente esistente una gerarchia di valori anche non positivizzati sottostanti al dato letterale di cui l'interprete deve tenere conto nell'applicazione della norma e concretanti l'ideale di giustizia alla realizzazione della quale l'ordinamento giuridico deve tendenzialmente mirare, dall'altro la visione strettamente positivista che ha come fari la certezza del diritto e la sua applicazione imparziale, ove non acritica, quali unici baluardi possibili al prevalere dell'arbitrio nell'applicazione della legge, posti a tutela della libertà individuale nello Stato di diritto.
Per gli uni l'impossibilità da parte del legislatore della previsione di tutti i possibili usi cui può essere piegato un istituto giuridico e l'esigenza di prevenire l'infinita fantasia di coloro che perseguono fini contrari all'ordinamento4, rende necessario, onde salvaguardare il corretto e fisiologico funzionamento degli istituti giuridici previsti e delle prerogative riconosciute ai singoli dall'ordinamento giuridico, che all'interprete sia data la libertà di censurare l'uso anormale e considerare interessi e scopi non inizialmente previsti, per gli altri tali interessi vanno temporaneamente sacrificati ai beni ritenuti comunque prevalenti dell'applicazione uniforme della legge e della certezza del diritto, sin tanto che lo stesso legislatore non intervenga a turare la falla mediante una tipizzazione sempre più accentuata delle singole ipotesi, anche a tutela del legittimo affidamento che si sia venuto a determinare circa gli effetti giuridici di atti formalmente del tutto legittimi.
Appare evidente come le due tesi sottintendano inoltre, in coerenza con i presupposti filosofici richiamati, due diverse visioni della funzione del giudice negli ordinamenti giuridici c.d. di civil law e dei confini che alla sua interpretazione sono imposti dal sistema.
Nel diritto privato italiano il fondamento di un principio generale di divieto di abuso del diritto è stato rinvenuto nel dovere generale di buona fede nell'esecuzione e nell'interpretazione dei contratti e nella necessità che i contratti atipici perseguano un interesse meritevole di tutela di cui all'art. 1322 c.c.. Più specificatamente sono state poi considerate come attuative del divieto le norme di cui agli articoli 1345 (Motivo illecito comune) e 1355 (Condizione meramente potestativa) del codice civile; il mancato
4 In quanto risultano contrari agli specifici obiettivi delle singole disposizioni in oggetto e ne contrastano la realizzazione ad esempio mirando alla realizzazione di interessi che appaiono antitetici a quelli da esse tutelati ovvero asistematici in quanto si pongono in conflitto con i valori superiori che informano l‘inero ordinamento giuridico considerato.
avveramento della condizione per causa imputabile alla parte interessata al mancato avveramento di essa di cui all'art. 1359 c.c. è stato anch'esso considerato tra le norme con cui il legislatore nazionale sanzionerebbe il cosiddetto abuso del diritto ed in particolare l'abuso delle libertà, che si ha quando la libertà garantita ed in concreto esercitata s'inserisce in una sequenza di atti posti in essere in vista di un risultato vietato o per recare pregiudizio agli interessi ed alle aspettative di un terzo.5
È stato inoltre osservato, traendo spunto dal pensiero affermatosi nel campo del diritto civile, come il divieto di abuso del diritto troverebbe fondamento nel principio di buona fede, oggetto tra l‘altro dell'art. 10, comma 1, della legge 27 luglio 2000, n. 212 recante "Disposizioni in materia di Statuto dei diritti del contribuente", laddove è previsto che "I rapporti tra contribuente e amministrazione finanziaria sono improntati al principio della collaborazione e della buona fede"6.
Inoltre nel nostro ordinamento giuridico sono stati indicati, quali referenti di ordine costituzionale di un tale principio, l'art 3, comma 2, e l'art 2 della Carta Costituzionale che autorizzerebbero l'interprete ad una esegesi della norma che in quanto orientata all'attuazione dei principi di eguaglianza sostanziale impedita da ostacoli di ordine economico e sociale ed all'adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale sarebbe in grado di superare il contenuto formale delle disposizioni e la loro applicazione uniforme, idonee a garantire esclusivamente una eguaglianza meramente formale.
In materia tributaria poi tale ricerca di referenti costituzionali non poteva che guardare al fondamentale principio di capacità contributiva di cui all'art. 53 della Costituzione, quale specificazione di eccezionale rilevanza della tensione ideale dell'ordinamento giuridico verso l'eguaglianza sostanziale dei cittadini, in ordine all'esercizio del potere impositivo, con l'importante conseguenza di superare la tradizionale concezione che ravvisa in tale norma esclusivamente un limite posto all'esercizio del potere impositivo da parte del legislatore, per ravvisarvi un principio il quale deve informare l'applicazione del diritto tributario ad opera di tutti i soggetti che a tale incombenza siano chiamati nell'ambito dell'ordinamento statale.
5 X. Xxxxxx, Abuso del Diritto, cit, p. 166 ss. richiamato da X. Xxxxxxxx, L'Abuso del diritto, cit, pag. 93 nota 93 ed alle pp.. 134 e ss.
6 X. Xxxxxxxx, Abuso del diritto e Iva, in Riv. dir. trib., 2009/12, p. 1022.
Appare davvero interessante riscontrare come la diatriba intorno al detto principio, prodottasi nel secolo passato in seno alla dottrina civilistica, si sia puntualmente ripetuta al momento in cui la sua applicazione è stata estesa alla generalità del diritto comunitario a seguito della evoluzione della giurisprudenza della Corte di Giustizia Europea in materia, sviluppatasi e affinatasi nel corso di ormai quasi quarant'anni, ma che nell'ultimo decennio ha presentato una notevole accelerazione verso una definizione maggiormente certa e precisa del principio di divieto di abuso del diritto comunitario, e per tal via è penetrata all'interno del nostro ordinamento giuridico a cui era, almeno dal punto di vista normativo, come detto, sconosciuto, con tutta l'autorevolezza dell'interprete designato del diritto comunitario; arrivando peraltro ad estendersi nello specifico caso, per il tramite delle pronunce della Corte di Cassazione, all'intera materia tributaria e non solo alla disciplina di derivazione comunitaria e tornando, ci sembra, per tal via in auge anche nella materia civilistica7.
E' infine il caso di osservare come la materia tributaria si ponga, rispetto alle problematiche sin ora accennate, in una posizione del tutto particolare, in parte derivante dalla natura per così dire ibrida dei principi ad essa tipici, i quali come noto si sono
7 Si rimanda in proposito alla Sentenza della Corte di Cassazione, 18 settembre 2009, n. 20106, in materia di interpretazione ed esecuzione dei contratti secondo il principio di buona fede oggettiva e repressione dell'abuso del diritto nella quale si afferma: ―Criterio rivelatore della violazione dell‘obbligo di buona fede oggettiva è quello dell‘abuso del diritto. Gli elementi costitutivi dell‘abuso del diritto - ricostruiti attraverso l‘apporto dottrinario e giurisprudenziale - sono i seguenti: 1) la titolarità di un diritto soggettivo in capo ad un soggetto; 2) la possibilità che il concreto esercizio di quel diritto possa essere effettuato secondo una pluralità di modalità non rigidamente predeterminate;
3) la circostanza che tale esercizio concreto, anche se formalmente rispettoso della cornice attributiva di quel diritto, sia svolto secondo modalità censurabili rispetto ad un criterio di valutazione, giuridico od extragiuridico; 4) la circostanza che, a causa di una tale modalità di esercizio, si verifichi una sproporzione ingiustificata tra il beneficio del titolare del diritto ed il sacrifico cui è soggetta la controparte. L‘abuso del diritto, quindi, lungi dal presupporre una violazione in senso formale, delinea l‘utilizzazione alterata dello schema formale del diritto, finalizzata al conseguimento di obiettivi ulteriori e diversi rispetto a quelli indicati dal Legislatore. È ravvisabile, in sostanza, quando, nel collegamento tra il potere di autonomia conferito al soggetto ed il suo atto di esercizio, risulti alterata la funzione obiettiva dell‘atto rispetto al potere che lo prevede. Come conseguenze di tale, eventuale abuso, l‘ordinamento pone una regola generale, nel senso di rifiutare la tutela ai poteri, diritti e interessi, esercitati in violazione delle corrette regole di esercizio, posti in essere con comportamenti contrari alla buona fede oggettiva. ....Oggi, i principi della buona fede oggettiva, e dell‘abuso del diritto, debbono essere selezionati e rivisitati alla luce dei principi costituzionali - funzione sociale ex art. 42 Cost. - e della stessa qualificazione dei diritti soggettivi assoluti. In questa prospettiva i due principi si integrano a vicenda, costituendo la buona fede un canone generale cui ancorare la condotta delle parti, anche di un rapporto privatistico e l‘interpretazione dell‘atto giuridico di autonomia privata e, prospettando l‘abuso, la necessità di una correlazione tra i poteri conferiti e lo scopo per i quali essi sono conferiti. Qualora la finalità perseguita non sia quella consentita dall‘ordinamento, si avrà abuso. In questo caso il superamento dei limiti interni o di alcuni limiti esterni del diritto ne determinerà il suo abusivo esercizio.‖ nonché la giurisprudenza ivi richiamata.
originati in seno alla materia amministrativa per poi storicamente attingere in modo sempre più esteso al diritto civile. Ciò è evidentemente frutto della compresenza di interessi di natura pubblicistica commisti ad una particolare esigenza di tutela della posizione del singolo dinanzi ad eventuali eccessi dell‘azione amministrativa, a tutela della quale le tradizionali garanzie tipiche delle discipline pubbliciste quali la riserva di legge, almeno per quanto attiene al nostro ordinamento statale, non appaiono sufficienti in considerazione della pervasività ed estensione dell'ingerenza pubblica nella sfera del singolo. Ne è derivata l'esigenza di garantire non solo ed ovviamente la legalità dell'azione amministrativa ma anche la tendenziale parità della parte privata rispetto a quella pubblica.
Proprio il principio di legalità si è imposto nella nostra materia, a livello quasi universale8, quale principale garanzia a tutela del singolo, sino a diventare una sorta di totem da difendere contro qualsiasi tentativo di limitarne la portata, pur se a favore di una interpretazione della norma che tenga conto degli obiettivi mediante essa perseguiti. A tali difese ad oltranza di un principio divenuto talvolta un vuoto feticcio, slegato dalla realtà economica e sociale entro cui il diritto deve diuturnamente essere calato, è stato agevole obiettare che l'invocata acritica applicazione del dato letterale della norma, anche nelle ipotesi ove più palesemente si manifesta la violazione del suo spirito, costituisce non una salvaguardia bensì una offesa alla garanzia di legalità e alla certezza del diritto. Una tale acritica applicazione della norma costituirebbe infatti non la conseguenza del principio di riserva di legge bensì della impossibilità per l‘interprete di andare oltre la più stretta interpretazione letterale della norma alla ricerca del significato sistematico e teleologico della stessa all‘interno del sistema nella quale è inserita.
In considerazione del rilievo che nel diritto comunitario assume la giurisprudenza della Corte di Giustizia, sia in generale quale interprete designato della norma positiva, sia, nello specifico, in quanto creatrice mediante un processo di successivo affinamento dello stesso contenuto dei principi generali dell'ordinamento medesimo, la nostra analisi, volta a cogliere le specificità della nozione di abuso del diritto comunitario nella materia dell'imposizione sul valore aggiunto e le sue differenze rispetto al concetto generale nonché a quello applicabile alla materia dell'imposizione diretta, non può che
8 Oltre alla previsione contenuta nell'art. 23 della nostra Carta costituzionale esso è previsto tra l‘altro dall'articolo 170 della Costituzione belga, dall‘art. 31 della Costituzione spagnola, dall‘art 34 della Costituzione francese del 1958 e dall‘art. 78 della Costituzione greca.
prendere le mosse dalla giurisprudenza della Corte. Si è poi ritenuto utile, in un'ottica comparatistica, porre l'attenzione sul se e come i concetti elaborati in materia dalla Corte di Giustizia per un verso siano stati sollecitati dalle esigenze specifiche per l'altro abbiano influenzato o, ancora, condizionino gli ordinamenti nazionali nell'ambito di un ordinamento integrato quale può essere definito quello comunitario, sempre ovviamente con riferimento alla specifica materia tributaria oggetto dell'indagine, concentrando l'attenzione su alcuni ordinamenti nazionali.
CAPITOLO 1
ELUSIONE FISCALE ED ABUSO DEL DIRITTO.
1.1 LA NOZIONE DI ELUSIONE FISCALE E I DIVERSI IMPIEGHI DEL CONCETTO DI ABUSO DEL DIRITTO.
Nel diritto tributario viene definita elusione dell'imposta quel comportamento in posizione intermedia tra l'evasione, aperta violazione della normativa fiscale, e il legittimo risparmio d'imposta, lecito esercizio della libertà di predisposizione dei propri affari in modo tale da minimizzare il carico tributario gravante su di essi, consistente nell'utilizzo strumentale della normativa in modo formalmente ineccepibile ma che sostanzialmente sia incompatibile con la ratio delle disposizioni di volta in volta
―utilizzate‖ in quanto avente la finalità, esclusiva o principale, di ridurre il carico fiscale normalmente gravante sulla manifestazione economica ovvero di godere di diritti e agevolazioni fiscali altrimenti indebite. Il soggetto d'imposta, che in condizioni ordinarie e normali sarebbe soggetto a un determinato regime tributario, ne evita l'applicazione mediante il compimento di uno o più atti che diversamente non si sarebbe determinato a compiere, ovvero mediante tali atti pone artificiosamente in essere le condizioni richieste dalla normativa onde godere di una disciplina più favorevole predisposta dal legislatore con differenti finalità.
Quando il legislatore configura i fatti che costituiscono presupposto di applicazione delle norme impositive può utilizzare un doppio criterio: assumere come presupposto di fatto una determinata realtà economica o configurare come tale una determinata formalità giuridica. Esempio del primo caso è costituito dal possesso di redditi, esempio del secondo dalla imposizione dei contratti costitutivi o traslativi di diritti reali su determinati beni nelle imposte sui trasferimenti patrimoniali. La differenza tra i due
presupposti è molto chiara, nel primo esiste un considerevole margine di apprezzamento per poter sussumere all'interno del precetto una determinata realtà economica nelle varie modalità di verificazione che essa presenta nella vita economico-sociale, nel secondo, al contrario, un fatto potrà essere soggetto ad imposizione solo in quanto adotti una delle forme giuridiche previste; in questo secondo caso, in quanto i singoli rivestano i propri negozi di una forma giuridica non espressamente prevista non staranno formalmente realizzando il presupposto impositivo e, di conseguenza, anche realizzando il medesimo risultato economico, non saranno di regola soggetti al pagamento del tributo. Peraltro anche nella prima delle ipotesi sopra considerate è possibile la messa in pratica di comportamenti elusivi posto che il contribuente ha pur sempre la possibilità di realizzare i fatti economici che costituiscono il presupposto al solo fine di godere di determinati trattamenti fiscali di favore ovvero di vantaggi fiscali derivanti dalla mancanza di sistematicità della complessiva disciplina tributaria formalmente applicabile nel caso di specie.
Se ormai pacifica e l'antigiuridicità di tale comportamento e la necessità di combatterlo9, grande difformità di opinioni si riscontra circa i mezzi più idonei per fronteggiarlo, se mediante norme specifiche che vietino i singoli comportamenti elusivi ovvero li rendano inopponibili all'amministrazione finanziaria ovvero mediante norme di carattere generale10 che lascino l'amministrazione tributaria e il giudice, in sede di controllo dell'operato di quest'ultima, liberi di individuare, di volta in volta, la presenza di nuovi comportamenti elusivi.
A fronte di tali vantaggi in termini di flessibilità nel contrasto alle manovre elusive poste
9 Diversa la posizione della dottrina classica maggioritaria nel nostro paese sino all'ultimo decennio del secolo scorso, la quale, in assenza di un esplicito divieto da parte del legislatore tributario, riteneva che il contribuente godesse della massima libertà di scelta delle forme giuridiche mediante le quali raggiungere i risultati economici prefissati anche ove tale scelta fosse motivata esclusivamente da finalità di risparmio fiscale e determinasse una imposizione minore o nulla in assenza di una qualsiasi volontà, anche implicita, in tal senso da parte del legislatore. In definitiva tale posizione in ossequio al noto brocardo ―Ubi lex voluit dixit, ubi noluit tacuit.‖ riteneva pienamente legittimo da parte dei contribuenti più avveduti o scaltri lo sfruttamento delle lacune della legislazione tributaria ovvero delle possibilità di interazione tra ordinamenti diversi con la esclusiva finalità di sfuggire alla tassazione prevista in via ordinaria, non tenendo in alcun conto, si ritiene, la necessità di una interpretazione costituzionalmente orientata anche delle norme impositive e che pertanto fornisse un'interpretazione di queste anche alla luce dei fondamentali doveri di uguaglianza formale e sostanziale, solidarietà sociale e contribuzione alle spese pubbliche secondo la propria capacità contributiva. Cfr. Xxxxxx A., Diritto Tributario, Milano, 1956, pp. 143 e ss; Xxxxx P., Manuale di Diritto Tributario, Milano, 1999, pp. 94 e ss..
10 Individuate nella letteratura internazionale con l‘acronimo inglese GAAR (General Anti-Avoidance Rule).
in essere dai contribuenti, peraltro tutti da dimostrare stante la necessità che ha tal fine ci si trovi in presenza di una giurisprudenza e di una amministrazione tributaria dotate della necessaria preparazione e degli strumenti di indagine idonei a consentire la individuazione degli elementi in grado di rilevare la presenza di manovre elusive celate dalle complesse operazioni economiche che caratterizano le moderne economie, le clausole anitelusive a carattere generale presentano notevoli svantaggi. La loro formulazione necessariamente vaga può creare infatti una situazione di insicurezza giuridica che risulta pregiudizievole per gli investimenti economici e per la rapidità con cui debbono essere assunte le relative decisioni. Con esse il legislatore delega parte delle sue funzioni in ordine alla individuazione dei comportamenti la cui antigiuridicità in un dato ordinamento superi la soglia di ammissibilità ai giudici, mentre il contribuente è forzato a ricercare l'interpretazione dell'amministrazione in via anticipata, il che finisce per aggiungere alla legge condizioni che questa originariamente non prevede, con evidente compromissione del principio di legalità delle norme impositive11.
Come vedremo, ormai la quasi totalità degli ordinamenti tributari di civil law presentano una clausola generale antielusiva, o GAAR, sia essa qualificata o meno in termini di divieto di abuso del diritto nella materia tributaria. Tali clausole presentano, dal punto di vista generale, i seguenti caratteri:
le operazioni elusive, che di norma possono essere costituite da una pluralità di atti collegati oltre che da un singolo atto o negozio, debbono avere come effetto un vantaggio tributario che in mancanza di esse non si sarebbe determinato, inoltre, secondo alcune elaborazioni, tale vantaggio deve essere prevedibile ex-ante al momento della ideazione del disegno elusivo;
il conseguimento del detto vantaggio fiscale deve costituire la finalità esclusiva o quanto meno principale ovvero essenziale, della predisposizione dello schema elusivo; può essere rilevante la considerazione dei motivi che hanno determinato il contribuente a porre in essere quel determinato schema, benché, a causa delle difficoltà in ordine alla prova delle motivazione soggettive tale elemento, ove richiesto, può sovente essere desunto mediante presunzioni dalle circostanze obiettive dell'operazione;
11 In tal senso X. Xxxxxxxx - X. Xx Xxxx, Réalité juridique et réalité économique, in Journal de Droit Fiscal, 1988, pp. 322 e ss..
a tal fine l'assenza di valide ragioni economiche idonee a giustificare la configurazione delle operazioni secondo quel determinato schema produttivo di vantaggi fiscali è considerata elemento rivelatore delle finalità esclusivamente o essenzialmente elusive del comportamento;
altro elemento che può costituire indizio della elusività del comportamento è costituito, in alcuni casi, dalla atipicità dello schema posto in essere per il conseguimento di quel determinato risultato economico a fronte della possibilità di strumenti giuridici maggiormente lineari o tipici;
si richiede infine, seppur raramente, la dimostrazione che l'ottenimento del vantaggio fiscale in concreto conseguito sia contrario alla ratio della disposizione fiscale suppostamente oggetto di elusione;
infine in presenza di determinati schemi individuati come rivelatori di un possibile intento elusivo può essere prevista l'inversione dell'onere probatorio, spetterà pertanto, in caso di contestazione, al contribuente provare le valide ragioni economiche poste a fondamento della realizzazione dello schema che abbia determinato un risparmio tributario.12
Viene di norma distinto dall'elusione tributaria il concetto di simulazione, assoluta o relativa, e gli effetti ad essa connessi in seno all'ordinamento tributario13. Mentre infatti nell'elusione si hanno atti o negozi i cui effetti sono realmente voluti dalle parti sebbene esclusivamente per motivi di risparmio fiscale, nella simulazione le parti creano esclusivamente l'apparenza di un determinato assetto negoziale a ―beneficio‖ dei terzi, tra i quali possono ovviamente rientrare i soggetti tenuti all'applicazione dell'imposta, ma non ne intendono in concreto realizzare gli effetti, ritenendo vigente tra loro un diverso assetto negoziale che deve restare dissimulato ai terzi. Un tale comportamento, comprendente la volontà di creare una realtà giuridica apparente distinta e occultante quella reale possiede evidentemente un maggiore disvalore che ne determina la qualificazione in alcuni ordinamenti quale frode fiscale e comporta di regola
12 Su tali elementi comuni alla maggioranza delle clausole generali antielusive e sulla loro circolarità vedi X. Xxxx Xxxxxxxxx, Tax Avoidance and the European Court of Justice: What is at Stake for European General Anti-Avoidance Rules?, in Intertax, 2005, p. 562.
13 Sebbene secondo alcuni autori tale distinzione sarebbe dovuta non alla diversa natura dei fenomeni in questione ma a una diverso grado di sofisticatezza delle manovre poste in essere dal contribuente. Vedi l‘intervento richiamato alla nota precedente a p. 564.
l'applicazione di sanzioni amministrative o penali. Al di la di tale chiara distinzione teorica peraltro è stato ampiamente segnalato come nella pratica sia tutt‘altro che agevole distinguere i casi di simulazione da quelli aventi carattere elusivo e come la qualificazione del comportamento del contribuente nel caso concreto dipenda in definitiva da una scelta dei soggetti accertatori che possono, a seconda dei casi, limitarsi a contestare la natura elusiva del comportamento manifesto ovvero ricercare la presenza di un diversa regolazione di interessi oggetto di dissimulazione a seconda della presenza e della facilità di reperimento di elementi comprovanti l'animus frodandi del contribuente, sicché non appare del tutto corretto ricollegare ai due comportamenti effetti giuridici diversi. E' peraltro vero che ove così non fosse la simulazione, la quale costituisce un comportamento pacificamente più grave della semplice evasione in quanto vengono posti in essere stratagemmi di occultamento dell'inadempimento tributario, sarebbe soggetta ad un trattamento meno severo di quello a cui è sottoposta quest'ultima.
L‘espressione ―abuso del diritto‖ è stata utilizzato nella tradizione giuridica europea per contraddistinguere fenomeni aventi in parte caratteristiche tra loro diverse, ad essa si è inoltre preferita in alcune tradizioni giuridiche quella di frode alla legge per indicare fenomeni del tutto o in parte analoghi. Si riscontrano in particolare accanto ad una accezione generale del concetto di abuso applicabile a tutti i rami dell'ordinamento e la cui definizione normativa appare conseguentemente contraddistinta da notevole vaghezza, per cui lo stesso viene definito come l'esercizio di un diritto o di una facoltà riconosciuta dalla legge con finalità contrarie o comunque difformi da quelle proprie della norma invocata, accezioni proprie di singoli rami dell'ordinamento. Così accanto all'utilizzo della figura nella materia tributaria di cui alle pagine seguenti, caratteristica appare la nozione di abuso del diritto sviluppatasi in seno al diritto internazionale privato nel quale esso contraddistingue il comportamento di chi pone in essere in modo artificiale il collegamento tra la propria situazione giuridica e l'ordinamento straniero che è richiesto quale presupposto per l'applicazione delle più favorevoli disposizione di quest‘ultimo ordinamento. Tale fenomeno, tipico ove interagiscano diversi ordinamenti giuridici e che consiste nello sfruttamento di uno di essi mediante un collegamento avente natura artificiale per sfuggire all'imperio del secondo altrimenti applicabile (c.d. abuse of law), sembra aver costituito il primo referente della elaborazione operata dalla
Corte di Giustizia in materia, riguardante lo sfruttamento delle libertà previste dai Trattati istitutivi al fine di sfuggire alla disciplina nazionale; elaborazione che si è successivamente estesa sino a ricomprendere nell'unico principio di divieto di comportamenti abusivi nel diritto comunitario la distinta figura dello sfruttamento abusivo di una prerogativa interna ad un singolo ordinamento giuridico (c.d. abuse of right).
Appare evidente l'analogia esistente tra il concetto generale di abuso del diritto da un lato ed il comportamento elusivo dall'altro, trattandosi evidentemente della specificazione di tale concetto generale nella materia tributaria avuto riferimento alle finalità perseguite dal singolo e agli interessi di volta in volta oggetto di confronto e di tutela. E' conseguentemente del tutto naturale che le norme generali anti-elusive si siano sovente conformate quali divieti di abuso del diritto nello specifico settore tributario in particolare negli ordinamenti dove tale divieto era stato già oggetto di positivizzazione in materia civile.
Nel comportamento abusivo il singolo si pone in modo artificiale nelle condizioni richieste dalla norma per la sua applicazione onde sfruttare i vantaggi da essa attribuiti ovvero utilizza una prerogativa attribuitagli dall‘ordinamento, quale la libertà di predisposizione dei propri affari, per perseguire finalità diverse e contrarie a quelle perseguite dall‘ordinamento medesimo; nell'elusione fiscale egli pone in essere operazioni prive di valide ragioni economiche, e pertanto se riguardate da tale punto di vista ―artificiali‖, in quanto tendenti a finalità non attinenti l‘ordinaria attività economica del soggetto ma il trattamento giuridico-tributario della stessa, al solo o fondamentale fine di procurasi un vantaggio di natura tributaria. Si perviene così a quello che forse costituisce il nodo più spinoso del contrasto al fenomeno elusivo e pertanto dell'applicazione del divieto di abuso del diritto in tale materia, per un verso l'ordinamento concede all'operatore economico l'opzione legittima tra varie modalità di predisposizione dei propri affari lasciando alla sua valutazione quale peso dare alle motivazioni fiscali rispetto a quelle di diversa natura, per l'altro gli impone di effettuare le proprie scelte non tenendo conto della variabile fiscale onde non frustarne la ratio e ritenendo l'esercizio della detta opzione di norma, in quanto non coscientemente voluto dal legislatore ma pur sempre esistente all'interno dell'ordinamento tributario, illegittimo; il problema è che tale valutazione viene effettuata solamente a posteriori in
sede di applicazione ad opera dell'interprete, amministrazione finanziaria e organi giurisdicenti, il che determina obiettivamente un rilevante vulnus al principio di certezza del diritto e di tutela del legittimo affidamento del contribuente, l‘interesse al rispetto di tali ultimi principi deve di volta in volta essere comparato, onde determinare quello meritevole di maggior tutela, con gli interessi perseguiti dalle norme di volta in volta oggetto di elusione.
Costituisce pertanto elemento fondamentale tanto dell'abuso del diritto che dell'elusione tributaria una discrepanza tra realtà giuridica e realtà economico-sociale sicché unico o essenziale motivo per cui il soggetto pone in essere quella determinata attività giuridica è costituito dalle conseguenze che ad essa fa conseguire la disciplina legale considerata. La ―variabile giuridica‖ costituisce peraltro, né può essere altrimenti, una delle motivazione alla base delle scelte di comportamento dei singoli, ne consegue che la scelta tra più opzioni giuridiche con l'obiettivo di conseguire il medesimo risultato economico appare perfettamente legittima, purché a tale apparenza corrisponda il contenuto sostanziale richiesto dalla legge vale a dire che non si tratti di un'apparenza meramente documentale: vi è peraltro un limite al di là del quale può apparire opportuno che l'ordinamento giuridico reagisca di fronte ad una tale strumentalizzazione delle disposizioni di legge, in particolare qualora essa sia tale da compromettere gli stessi obiettivi della normativa. Ciò diviene di particolare rilevanza con riferimento alla normativa tributaria. Tale normativa infatti considera i fatti della vita economica quali presupposti dell'imposizione tributaria, mediante l'elusione si opera pertanto un vero e proprio ribaltamento tra presupposto (fatto economico-giuridico) e conseguenza giuridica (imposizione) idoneo a vanificare la portata precettiva della normativa, sicché non è più la normativa tributaria ad essere applicata ex post alla vita economica bensì questa che ex ante si conforma in base agli effetti di natura impositiva ricollegati dalla legislazione tributaria al verificarsi dei diversi fatti economici, sino a giungere in alcuni casi alla concreta disapplicazione delle singole disposizioni impositive, si pensi alle ipotesi più diffuse (ad esempio in materia di dividend washing e dividend stripping) che nel passato hanno determinato nel nostro paese la pressoché totale disapplicazione della pertinente disciplina impositiva. Ne deriva l'esigenza, maggiormente avvertita in tale settore, di espungere dalla realtà giuridica i comportamenti che si presentino, dal punto di vista economico, come ―artificiali‖ in quanto adottati non sulla base di (valide)
ragioni economiche bensì esclusivamente o principalmente in base a motivazioni di natura fiscale.
Così come, nella dottrina giurisprudenziale statunitense, la qualificazione giuridica dell'operazione come elusiva dipende dall'assenza di una ―business purpose” posta a suo fondamento, nell'abuso del diritto comunitario, applicato all'imposizione sul valore aggiunto, la finalità di aggiramento della normativa fiscale è dimostrata dall'essenzialità del fine fiscale, la quale sussiste in assenza di idonee finalità economiche giustificanti le particolari forme giuridiche date alle operazioni poste in essere. L'evoluzione della giurisprudenza europea, anche in considerazione del difficile compito di assicurare coerenza interna all'ordinamento comunitario, sembra chiaramente segnalare la tendenziale coincidenza tra le nozioni di elusione fiscale e di abuso del diritto quantomeno nelle ipotesi di comportamenti puramente artificiali con finalità di elusione della legge fiscale nazionale ovvero della normativa comunitaria14.
A differenza dell'ordinamento italiano i principali ordinamenti continentali contengono disposizioni di ordine generale disciplinanti la figura dell'abuso del diritto cui fanno sovente seguito specifiche declinazioni dell'istituto nella materia fiscale costituenti clausole antielusive di portata generale.
Così il BGB tedesco accoglie il principio al § 226 facendo divieto di esercitare i diritti al solo scopo di nuocere agli altri, tale necessità dello scopo esclusivo di nuocere ha peraltro reso tale norma di difficile applicazione concreta il che non ha impedito alla giurisprudenza tedesca un'applicazione generale del principio fondantesi sul § 242 del BGB che impone al debitore di adempiere secondo quanto richiesto dalla buona fede e dalla correttezza (Treu und Glaben) nel rispetto dei doveri della morale sociale e in base ad una nozione obiettiva di buona fede.
A norma poi del § 42 («Steuerumgehung durch Missbrauch von Gestaltungsmöglichkeiten») dell'Abgabenordnung (Legge generale delle imposte del 1977) è fatto divieto, a fini di elusione della normativa tributaria, di abusare delle possibilità di configurazione giuridica offerte dal diritto; in caso di abuso delle forme giuridiche, al fine di aggiramento delle norme tributarie, il credito tributario si
14 X. Xxxxxxx e X. Xxxxxx, Xxxxx of Law: What is the Value Added of the Tax Dimension?, in L Hinnekes e P. Hinnekes, A Vision of Taxes within and outside European Borders, Amsterdam, 2008, p. 367.
determinerà secondo la configurazione giuridica adeguata ai fatti economici15.
La legge finanziaria del 2008 ha sostituito tale disposizione con una dotata di maggiore precisione: ―La legge tributaria non può essere evitata mediante l'abuso delle possibilità delle forme giuridiche. Se le condizioni di fatto di una operazione sono previste in una legge tributaria determinata che ha la funzione di contrrastare l'elusione fiscale, le conseguenze giuridiche si determinano secondo tale prescrizione. Negli altri casi, le imposte si determinano nel caso di un abuso nel senso di cui al secondo paragrafo come sarebbero state determinate nel caso di una forma giuridica adeguata alle circostanze economiche.
Una abuso si presenta quando una forma giuridica inappropriata è scelta per garantire al contribuente o ad un terzo un vantaggio fiscale non previsto dalla legge nella ipotesi di utilizzo della forma giuridica adeguata. Tale disposizione non trova applicazione quando il contribuente dimostra che la forma scelta è dovuta a motivi di natura extrafiscale che devono essere considerati nell'ambito delle circostanze generali.‖
Infine secondo l'art. 10 del Regolamento Tributario Tedesco perché si ritengano realizzati in frode alla legge devono concorrere negli atti o negozi contestati i seguenti elementi: a) che si scelgano forme giuridiche insolite e improprie tenendo conto del fine delle parti; b) che il risultato economico che le parti conseguono sia sostanzialmente lo stesso che avrebbero ottenuto se avessero rivestito la sua attuazione in modo conforme alle forme giuridiche conformi alla natura del fine perseguito, e c) che come risultato si producano dei vantaggi economici, costituiti esclusivamente dall'assenza o da una minore imposizione.16.
In Francia l'abus de droit è oggi espressamente contemplato dagli articoli L64 ed L64B del titolo II del Livre des procedures fiscales dedicato al controllo dell'imposta, disciplinanti la ―Procédure de répression des abus de droit‖. Introdotti nei primi anni ottanta tali articoli, che ricomprendono all'interno di una nozione generale di abuso del
15 Secondo il Tribunale Finanziario Federale (Bundesfinanzhof): ―si determina un abuso delle possibilità di configurazione giuridica (Gestaltungsmöglichkeiten) quando si utilizza una forma non adeguata alla finalità economica (wirtschaftlichen Ziel) perseguita dalle parti, che mira ad ottenere un vantaggio tributario e che non può giustificarsi per altre ragioni di natura economica o extra-tributaria.‖
16 Per un approfondita analisi dell'esperienza tedesca nella materia tributaria si rinvia a P. Xxxxxxx, Abuso del diritto ed elusione fiscale, Padova, 1995, nonché in merito alle ultime modifiche apportate a tale legislazione a: X. Xxxxxxx e X. Xxxxx, Germany‟s new GAAR – „generally accepted antiabuse rule‟?, in Tax notes intl., 2008, pag. 151; X. Xxxxx e X. Xxxxxxx, Germany in AA.VV. Abuse of Tax Law across Europe, in EC Tax Review, 2010/2, p. 85.
diritto tanto l'illecito risparmio fiscale ottenuto mediante operazioni fittizie di natura simulatoria che la vera e propria frode alla legge, sono stati da ultimo modificati nel 2008. In particolare l'interpretazione estensiva data dal Consiglio di Stato a tali disposizioni ha consentito di ampliare l'applicazione dell'istituto, il cui tenore letterale si riferisce esclusivamente alle ipotesi aventi carattere simulatorio, agli atti i cui effetti giuridici siano realmente voluti dalle parti ma il cui unico motivo sia costituito dalla finalità di eludere o ridurre il carico fiscale normalmente ad essi applicabile, qualificati come atti posti in essere in frode alla legge fiscale, ad essi si applicherebbe conseguentemente la figura generale della frode alla legge.
Il Consiglio di Stato ha definito la frode alla legge come la circostanza di aver effettuato operazioni fittizie o, in mancanza, operazioni che non avevano altra finalità che quella di eludere o attenuare il carico fiscale che l'interessato avrebbe sopportato in una situazione normale e che risultino contrarie agli obiettivi perseguiti dal legislatore17.
La legge di riforma del 31 dicembre 2008 ha modificato sostanzialmente il testo previgente incorporando nella definizione legislativa i principi sviluppati dalla giurisprudenza del Consiglio di Stato riguardanti il criterio obiettivo dell'invocazione della applicazione letterale delle norme in senso contrario alle loro finalità ed il criterio soggettivo della esclusiva motivazione di risparmio fiscale degli atti, la norma attuale dispone :
―Al fine di restituire agli atti il loro carattere reale, l'amministrazione potrà rigettare, considerandoli come ad essa non opponibili, gli atti che costituiscono abuso del diritto, sia che tali atti siano fittizi sia che, allegando l'applicazione letterale delle disposizioni o utilizzando strutture contrarie agli obiettivi perseguiti dal legislatore, possano essere ispirati esclusivamente da un motivo tendente a eludere o ridurre i carichi fiscali ai quali l'interessato, in considerazione della sua situazione o delle sue attività reali, sarebbe stato normalmente soggetto qualora non avesse sottoscritto o realizzato tali atti.‖18
17 Consiglio di Stato, Seduta Plenaria, 10 giugno 1981; Consiglio di Stato, 27 settembre 2006, n°
260050.
18 Article L64 L.P.F. modifica dalla legge n°2008-1443 del 30 dicembre 2008 – art. 35 (V): ―Afin d'en restituer le véritable caractère, l'administration est en droit d'écarter, comme ne lui étant pas opposables, les actes constitutifs d'un abus de droit, soit que ces actes ont un caractère fictif, soit que, recherchant le bénéfice d'une application littérale des textes ou de décisions à l'encontre des objectifs poursuivis par leurs auteurs, ils n'ont pu être inspirés par aucun autre motif que celui d'éluder ou d'atténuer les charges fiscales que l'intéressé, si ces actes n'avaient pas été passés ou réalisés, aurait
Il codice civile spagnolo prevede al secondo paragrafo dell'art. 7 del Titolo Preliminare che la legge non protegge l'abuso del diritto o l'esercizio antisociale dello stesso, inoltre tutti gli atti e le omissione che nell'intenzione dell'autore, per il loro oggetto o per le condizioni in cui si realizzano, sopravanzano manifestamente i limiti normali di esercizio di un diritto, con danno per il terzo, determineranno il risarcimento del danno e l'adozione delle misure giudiziali e amministrative che impediscano la persistenza nell'abuso.
In tale ordinamento inoltre l'istituto della frode alla legge non è limitato alla materia dei contratti, esso infatti ricomprende tutti gli atti realizzati al riparo di una norma che perseguano un risultato proibito dall'ordinamento giuridico o ad esso contrario (art. 6 par. 4 del Titulo Preliminar al Codigo Civil). La formulazione in termini tanto ampi ha portato a ritenere che tra gli elementi della fattispecie non rientri il perseguimento di un fine vietato da una specifica norma giuridica e conseguentemente l'elusione di una precisa disposizione legislativa, bensì che ricadano nella fattispecie anche tutti quegli atti compiuti in generale con finalità confliggenti con i principi dell'ordinamento giuridico mentre la norma c.d. di copertura risulta poter essere la assenza di norme che regolano l'atto o gli atti realizzati.
Proprio l'ampiezza e la fortuna che il concetto di frode alla legge ha assunto nella tradizione giuridica iberica ha determinato la circostanza che a tale concetto si facesse riferimento in sede di elaborazione di una clausola antielusiva di carattere generale sicché la frode alla legge tributaria è considerata dalla dottrina prevalente come una specie del genere frode alla legge (come può esserlo la frode alla legge civile, o mercantile, o amministrativa) e tale ultimo concetto analogo, in tale settore, a quello di abuso del diritto. L'attuale disciplina è contenuta nell'art 15 della Ley General Tributaria (Legge 17 dicembre 2003, n. 58) che ha peraltro sostituito, senza modificare il contenuto normativo, il termine frode alla legge utilizzato tradizionalmente con quello di conflitto nella applicazione della norma tributaria («Conflicto en la aplicación de la norma tributaria»), preferendolo peraltro a quello di abuso della legge utilizzato nelle
normalement supportées eu égard à sa situation ou à ses activités réelles.‖. Vedi X. Xx Xxxxx, P.H. Xxxxxx e J.F. Xxxxxxxxxx, France in AA.VV., Abuse of Tax Law across Europe, in EC Tax Review, 2010/2, p. 85.
varie versioni del progetto preliminare 19.
In Belgio una clausola antielusiva di carattere generale è stata introdotta dalla Legge 22 luglio 1993 con riferimento all'imposizione diretta mediante l'inserimento dell'art. 344, primo paragrafo, nel codice Belga in materia di imposte sui redditi. Secondo tale norma la qualificazione giuridica data dalle parti ad uno o più atti che realizzano un'unica operazione non è opponibile all'amministrazione fiscale qualora quest'ultima comprovi che tale qualificazione aveva la finalità di eludere l'imposizione, salvo che il contribuente comprovi che tale qualificazione è giustificata da legittime necessità di natura economica o finanziaria.20
La dottrina è divisa circa il significato da dare alla disposizione in oggetto; secondo una parte degli autori essa ha introdotto la teoria della frode alla legge nel diritto tributario belga permettendo all'amministrazione fiscale di non prendere in considerazione le qualificazioni giuridiche che hanno l'effetto di eludere le finalità del legislatore fiscale, secondo altri autori la disposizione permeterebbe solamente al fisco di modificare la qualificazione giuridica conferita dalle parti a uno o più atti affinchè la qualificazione risulti giuridicamente corretta secondo quella che è stata definita come teoria del concorso di qualificazioni.
La legge 27 dicembre 2005 ha introdotto nel Codice dell'Imposta sul valore aggiunto, anche a seguito dell'evoluzione della giurisprudenza della Corte di Giustizia in materia, una disposizione ispirata all'articolo suddetto21. Tale disposizione è stata sostituita dalla legge 20 luglio 2006, al fine di tenere conto di quanto affermato dalla Corte di Giustizia nella sentenza Halifax22. La nozione di pratiche abusive è definita dalla legge come integrata dall'esecuzione di operazioni che hanno come risultato l'ottenimento di un vantaggio fiscale la cui concessione sarebbe contraria all'obiettivo perseguito dal codice e dai suoi decreti di esecuzione il cui fine essenziale sia l'ottenimento di quel vantaggio
19 Si rinvia oltre che al paragrafo 5.3 a J.M. Xxxxxxx, X. Xxxxxx Xxxxxxx, J.M. Tajerizo Xxxxx e X. Xxxxxx Xxxxxx, Curso de Derecho Financero y Tributario, Madrid 2008, pp. 196 e ss.
20 X. Xx Xxxx, International Tax Planning and Prevention of Abuse. A Study under Domestic Tax Law, Tax Treaties and EC Law in relation to Conduit and Base Company, Amsterdam, 2008, pp. 158 e ss.;
X. Xxxx e X. Xxxxx, La notion de besoins légitimes de caractère financier ou économique dans le CIR 1992, in Liber Amicorum Xxxxxxx Xxxxxxxx, Brussel 2006, p. 405.
21 Art. 59, § 3.
22 Si rinvia ad T.Afschrift , Les dispositions fiscales des lois du 20 juillet 2006, 2èa parte, Les mesures destinées à combattre les ―pratiques abusives‖ en matière de TVA, in J.T., 2006, p. 756; X. Xxxxxx, , Les ―pratiques abusives‖ en matière de TVA, in J.D.F. 2006, p. 337.
fiscale23.
Particolari appaiono le conseguenza che la normativa belga ricollega al verificarsi di operazioni di natura abusiva, in luogo di escludere il diritto alla deduzione essa prevede che il soggetto che ha esercitato la deduzione dell'imposta gravante sopra le operazioni contestate abbia l'obbligo di devolvere all'erario l'imposta dedotta24. L'amministrazione può comprovare l'esistenza di una pratica abusiva secondo le medesime modalità di prova delle altre violazioni in materia di Iva e degli altri elementi di fatto posti a base dell'esigibilità dell'imposta. La distinzione tra l'esercizio abusivo del diritto alla deduzione, il quale comporta l'applicabilità di una sanzione pari al doppio dell'imposta elusa, e le altre contravvenzioni al codice infine è chiaramente formulata nella normativa in oggetto.
In Austria l'art. 22 («Missbrauch von Formen und Gestaltungsmöglichkeiten des bürgerlichen Rechts») del Bundesabgabenordnung (BGBl. 194/1961), contiene una nozione di abuso delle forme e degli strumenti giuridici di diritto civile che si rifà chiaramente a quella presente nell'ordinamento tedesco.
Un divieto generale di abuso dei diritti fondamentali è contenuto addirittura nell'art. 25, paragrafo 3, della Costituzione Greca, mentre l'art. 281 del codice civile greco25, intitolato all'abuso del diritto, stabilisce che l'esercizio di un diritto è vietato qualora ecceda manifestamente i limiti imposti dalla buona fede o dal buon costume o dalla finalità socioeconomica del diritto e proprio l'applicazione di tale disposizione ha dato luogo a importanti pronunce della Corte di Giustizia in materia di abuso del diritto nei rapporti tra ordinamenti nazionali e ordinamento comunitario.
Il codice civile portoghese del 1966 prevede all'art. 334 l'illegittimità dell'esercizio del diritto qualora il titolare ecceda manifestamente i limiti imposti dalla buona fede, dai buoni costumi o dallo scopo sociale o economico del diritto. In materia tributaria poi l'art. 38, n. 2, della Lei Generala Tributária (Decreto Legge 17 dicembre 1998, n. 98), come modificato dalla legge 27 giugno 1999, n. 100, e dalla legislazione posteriore, contiene una disposizione generale di lotta all'evasione fiscale ai cui sensi «gli atti giuridici essenzialmente o principalmente destinati, attraverso misure artificiali (…) o
23 Codice IVA, art. 1, § 10.
24 Codice IVA, art. 79, § 2.
25 In proposito si rinvia alla dottrina richiamata da X. Xxxxxx, Abuso del diritto e frode alla legge nell'ordinamento comunitario, Milano, 2003, in nota 58 a p. 29.
abusi di forme giuridiche», a ridurre il carico fiscale, non possono produrre effetti per il diritto tributario.
In Finlandia, l'art. 28 del Laki verotusmenettelystä 1558/1995, contiene nella legislazione fiscale una nozione di abuso di strumenti di diritto civile.
In Lussemburgo, l'art. 6, n. 1, della Loi d'adaptation fiscale del 1934 applica anch'esso una nozione simile di abuso.
In Irlanda, l'art. 811, n. 2, del Tax Consolidation Act del 1997 contiene una disposizione generale di lotta all'evasione perpetrata mediante operazioni finalizzate ad eludere gli obblighi tributari, utilizzando nozioni come quella di operazioni «not undertaken or arranged primarily for purposes other than to give rise to a tax advantage».26
Per altro verso ove tali norme non erano presenti la giurisprudenza ha sovente avvertito la necessità di reagire, in assenza di un esplicito intervento del legislatore, dinanzi a comportamenti di sfruttamento delle prerogative attribuite ai singoli dall'ordinamento giuridico contrastanti con le finalità della norma ovvero con i principi generali dell'ordinamento giuridico.
Tra tali esperienze, come si è accennato, quella svoltasi nell'ordinamento francese appare la più risalente nel tempo e quella che ha goduto prioritariamente di lucidi tentativi dottrinali di sistematizzazione delle pronunce giurisprudenziali in materia, esercitando una notevole influenza sulla dottrina e giurisprudenza di altri paesi tra cui l'Italia. Accanto a opinioni dottrinali minoritarie volte a limitare la portata dell'istituto, la dottrina maggioritaria di questo paese ha infatti sin dagli inizi del secolo XIX riconosciuto autonomia all'istituto e ne ha esteso l'applicabilità alla quasi totalità delle prerogative soggettive riconosciute al privato dall'ordinamento27.
Nei Paesi Bassi, in assenza di specifiche norme antielusive, gli organi giurisdizionali si riferiscono di frequente alla nozione giurisprudenziale di fraus legis nel diritto tributario, di modo che occorre considerare se l'obiettivo esclusivo o principale perseguito con una operazione sia di ottenere un vantaggio fiscale.
Secondo l'opinione prevalente l'istituto non è presente negli ordinamenti di common law
26 Vedi Art. 811, secondo comma, lett. c), sub ii).
27 In proposito si rinvia al saggio di X. Xxxxxxxx, L'abuso del diritto, cit ed alle opere di X. Xxxxxxxx, De l'abus des droits, Paris, 1905 e De l'esprit des lois ed de leur relativité (theorié dite de l'abus des droits), II ed. Xxxxx, 0000.
dove la funzione da esso svolta negli ordinamenti continentali viene in parte assunta da diversi istituti28 e, in materia fiscale, dal noto principio della ―substance over form”. Appare peraltro chiaro come gli influssi della normativa e della giurisprudenza comunitaria possano risultare più penetranti per un diritto di formazione in parte giurisprudenziale.
Infine deve rammentarsi che così come non rappresenta elusione fiscale bensì legittimo esercizio della libertà di disposizione dei propri affari, all'interno del singolo ordinamento tributario nazionale, la scelta da parte del contribuente della forma, tra le varie lecitamente possibili all'interno di tale ordinamento, soggetta alla minore imposizione, in quanto il soggetto si limita a considerare la variabile fiscale nella scelta della forma mediante la quale effettuare operazioni rilevanti fiscalmente che egli si sarebbe comunque determinato a compiere in quanto munite di autonome motivazioni economiche, allo stesso modo, nell'ambito del diritto comunitario non ne costituisce abuso la scelta da parte del contribuente dell'ordinamento fiscale nazionale più vantaggioso (c.d. ―forum shopping‖ o ―jurisdiction shopping‖) mediante l'utilizzo delle libertà fondamentali previste dal trattato o delle norme derivate in materia fiscale fintantoché tale utilizzo non sia attuato mediante costruzioni di puro artificio che abbiano l'esclusiva finalità di eludere la normativa tributaria nazionale29.
28 In proposito X. Xxxxxx, Abuso del diritto e frode alla legge nell'ordinamento comunitario, cit, pp. 47 e ss..
29 In proposito si vedano le conclusioni dell'Avvocato Generale Xxxxx nella causa X 000/00 Xxxxxxx- Xxxxxxxxx, punto 55, ―...in assenza di armonizzazione comunitaria, deve essere accettato che ci sia competizione tra i regimi fiscali dei vari Stati Membri.‖
1.2 IL DIVIETO DI COMPORTAMENTI ABUSIVI NEL DIRITTO COMUNITARIO E IL CONTRASTO ALL'ELUSIONE FISCALE.
Come si vedrà in sede di esame della giurisprudenza della Corte di Giustizia l'abuso del diritto comunitario ha sovente avuto ad oggetto lo sfruttamento strumentale delle libertà fondamentali garantite dal Trattato, mediante la creazione artificiosa di una situazione giuridica sovranazionale, onde sfuggire alla disciplina tributaria nazionale altrimenti applicabile. Tale problematica si è posta anche con riferimento alla disciplina comunitaria che ha attuato una limitata armonizzazione della imposizione diretta negli Stati membri onde garantire il corretto funzionamento del mercato unico e la riduzione degli ostacoli di natura fiscale frapposti dagli ordinamenti nazionali all'esercizio delle libertà fondamentali.
Al fine di garantire l'esercizio di tali diritti e il raggiungimento del fondamentale obiettivo, ad essi sotteso, della creazione di un mercato unico avente le caratteristiche di un mercato interno, la Corte ha di norma sostenuto che l'obiettivo di lotta alla frode e all'evasione fiscale non costituiva uno di quegli obiettivi preminenti di pubblico interesse (c.d. cause of rules) idonei a giustificare una restrizione legislativa all'esercizio delle libertà fondamentali. Peraltro l'evoluzione della giurisprudenza della Corte da una interpretazione delle libertà fondamentali basata sul concetto di discriminazione ad una basata sul più ampio concetto di restrizione e pertanto idonea a colpire le norme restrittive delle libertà fondamentali anche ove esse abbiano l'effetto di limitarne l'esercizio, a prescindere dalla nazionalità o residenza dei soggetti interessati, non ha impedito alla Corte, in coerenza con quanto avvenuto per gli altri settori dell'ordinamento comunitario, di giungere ad una definizione delle ipotesi nelle quali la legislazione antielusiva nazionale risulta legittima sotto il profilo comunitario in quanto idonea a colpire ipotesi di abuso delle libertà fondamentali con finalità di elusione della normativa tributaria nazionale, ove tale normativa non vada oltre quanto strettamente necessario a tal fine e pertanto non risulti lesiva delle libertà fondamentali garantite dal
Trattato.
Peraltro anche la normativa comunitaria derivata che ha attuato l'armonizzazione dell'imposizione indiretta, attribuendo diritti ed imponendo obblighi ai singoli in materia fiscale può essere ovviamente oggetto di abuso per così dire diretto, cioè mediante la creazione artificiosa delle condizioni richieste dalla normativa medesima ai fini della attribuzione di diritti (quale quello alla detrazione dell‘imposta versata ai fornitori) o regimi fiscali agevolati (quali quelli di esenzione od aliquota ridotta), in maniera parzialmente analoga a quanto vedremo verificarsi per la politica agricola comune.
Nella materia tributaria e con specifico riferimento al diritto comunitario il concetto di abuso del diritto assume dunque una particolare rilevanza, esso infatti, ed il relativo divieto, vengono ad individuare le principali manifestazioni del fenomeno dell'elusione fiscale e delle tecniche di contrasto alla stessa che si manifestano nell‘ambito di tale ordinamento giuridico ovvero nelle ipotesi di interazione tra diritti nazionali e diritto comunitario. Posto che il comportamento elusivo può essere definito come quello volto ad evitare che l'obbligazione tributaria sorga o a renderla meno onerosa tramite un comportamento che pur essendo formalmente ineccepibile sia contrario alla ratio posta alla base della fattispecie impositiva o agevolativa30, appare evidente che ogni qualvolta il soggetto invochi l'applicazione di una norma comunitaria al fine di annullare o mitigare il carico impositivo su di esso altrimenti gravante ed a condizione che tale
―uso‖ della norma sia contrario alle sue finalità avremo un abuso del diritto comunitario nella materia fiscale31.
Con riferimento alla giurisprudenza europea è stato affermato che nella visione della Corte di Giustizia abuso del diritto comunitario e illegittima elusione tributaria costituiscono concetti convergenti. Laddove il diritto comunitario sia sfruttato per
30 Sul concetto di elusione fiscale oltre che alle voci Lovisolo A., Evasione ed elusione tributaria, Enc. Giuridica Treccani, Milano 1989 e Tabellini V., Elusione fiscale, , Enc. Dir., Vol. III agg., Milano, 1999 si rinvia nella manualistica a Tesauro F., Istituzioni di Diritto Tributario, Vol. I, Parte Generale, VI ed. Torino 1998, p. 213; Xxxxxxxx G., Manuale di Diritto Tributario, Parte Generale, III ed., Padova 1999, p. 207 e ss.; Lupi R., Diritto Tributario, Parte Generale, VII ed., Milano 2000, p. 123 e ss.; Russo P., Manuale di Diritto Tributario, III ed., cit., p. 94 e ss..
31 Secondo Pistone l'analisi svolta dalla Corte di Giustizia in quest'ambito rappresenta anzi
―tendenzialmente l'espressione più avanzata del principio dell'abuso del diritto con una valenza applicabile anche ad altri ambiti giuridici.‖ Pistone P., Il divieto di abuso come principio del diritto tributario comunitario e la sua influenza sulla giurisprudenza tributaria nazionale in X. Xxxxxx, Elusione ed abuso del diritto tributario – Orientamenti attuali in materia di elusione e abuso del diritto ai fini dell'imposizione tributaria, Milano, 2009, p. 318.
finalità di ottimizzazione dell'imposizione tributaria si ha abuso del diritto e conseguentemente illegittima elusione d'imposta quando si verifichi la presenza di quegli elementi sulla base dei quali la Corte ha centrato l'individuazione del ricorrere della fattispecie abusiva32.
Tale elusione tributaria, illegittima in quanto e fintantoché sia ottenuta mediante l'abuso del diritto comunitario, non coincide se non in casi limitati, come i risultati della giurisprudenza della Corte evidenziano, con l'illegittima elusione d'imposta oggetto delle norme antielusive nazionali. Se queste perseguono infatti interessi di preservazione dei sistemi fiscali nazionali, le norme comunitarie perseguono il differente interesse alla creazione ed al corretto funzionamento del mercato unico e pertanto solo ove i comportamenti degli operatori economici risultino contrari a tale obiettivo si potrà avere abuso del diritto comunitario e conseguentemente illegittima elusione comunitaria, diversamente le norme nazionali antielusive, ponendo a rischio il raggiungimento degli obiettivi comunitari in quanto idonee a colpire comportamenti funzionali a tali obiettivi, dovranno essere disapplicate in ossequio ai principi di primazia ed effettività del diritto comunitario.
In proposito in sede di estensione del principio del divieto di abuso del diritto comunitario all'imposta sul valore aggiunto l'Avvocato generale Xxxxxxx Xxxxxx nell'affermare che la specificità dell‘IVA come imposta di carattere oggettivo sconsiglia una trasposizione automatica del divieto di abuso come enucleato dalla Corte nella sentenza emessa in occasione del caso Emsland Stärke33, ha sostenuto che l‘assenza di un unico criterio di applicazione, per ogni ambito del diritto comunitario, del principio che vieta abusi dev‘essere considerata perfettamente naturale nell‘ordinamento comunitario, come in ogni altro sistema legale. A titolo esemplificativo egli rileva come il principio in argomento, che può far parte delle dottrine specifiche di «abuso del
32 De Broe L., International Tax Planning and Prevention of Abuse. A Study under Domestic Tax Law, Tax Treaties and EC Law in relation to Conduit and Base Company, cit., p. 190. Secondo l'Autore sulla base della giurisprudenza della Corte tali elementi sarebbero costituiti da un insieme di circostanze obiettive dalle quali si rilevi che: i) un operatore economico ha posto in essere una o più operazioni totalmente artificiali, e cioè che osservano formalmente le condizione poste dalle disposizioni comunitarie, al fine di godere di un trattamento fiscale favorevole da queste garantito (elemento soggettivo) e che ii) nonostante il formale rispetto di tali condizioni il riconoscimento nel caso di specie del detto trattamento favorevole risulti contrario agli obiettivi e alle finalità perseguite dalle disposizioni comunitarie in esame (elemento oggettivo).
33 Corte di Giustizia, sentenza 14 dicembre 2000, causa X 000/00, Xxxxxxx-Xxxxxx GmbH c.
Haumptzollamt Hamburg-Jonas, in Racc., I-11569.
diritto» o di «frode alla legge» nel diritto privato dei sistemi di civil law, opera nel sistema tributario, nonostante la possibile somiglianza dei nomi, in base a criteri profondamente diversi. Così, nella legislazione tributaria francese la nozione di abuso del diritto di cui all'art. L. 64 del Livre des procédures fiscales, è duplice, perché vale sia per operazioni «fraudolente» (ovvero costituenti una frode nell‘accezzione tipica della materia penalistica e caratterizzate pertanto da un vero e proprio animus frodandi), sia per operazioni che implicano la «frode alla legge» (sinonimo dell‘espressione ―abuso del diritto‖ e indicanti una fattispecie elusiva di natura puramente oggettiva); in tale legislazione l'abuso del diritto non ha, perciò, lo stesso significato che ha nel diritto di proprietà o delle obbligazioni34.
Avremo dunque che nel settore dell'imposizione diretta l'abuso del diritto comunitario potrà verificarsi a fini prettamente elusivi della normativa fiscale nazionale, sfruttando a tal fine tanto le libertà fondamentali previste dai trattati istitutivi che le norme derivate volte ad attuare il ravvicinamento delle legislazioni nazionali onde garantire la rimozione di almeno parte degli ostacoli di natura fiscale al funzionamento del mercato unico, ed è con riferimento agli obiettivi perseguiti da tale normativa che andrà valutata l'abusività del comportamento del singolo operatore così come della legittimità dell'eventuale reazione legislativa dello Stato Membro sotto forma di disposizioni tributarie antielusive. La tutela dell'interesse fiscale nazionale non dovrà eccedere, nelle ipotesi nelle quali entrino in gioco diritti di fonte comunitaria, quanto strettamente necessario al contrasto delle operazioni di natura puramente artificiale che, in quanto tali, non siano per loro natura idonee alla attuazione degli obiettivi comunitario. Ne deriva un evidente limite alla potestà dei legislatori nazionali le cui norme antielusive, in quanto idonee a colpire operazioni in cui risultino coinvolti i detti diritti comunitari, sono soggette ai precisi limiti in termini di necessarietà e proporzionalità individuati dalla Corte di Giustizia.
Nel settore dell'imposizione sul valore aggiunto la situazione appare sostanzialmente diversa in quanto il soggetto può abusare in via diretta dei diritti soggettivi riconosciuti dalle disposizioni comunitarie, creando artificiosamente le condizioni previste dalla
34 Nota 80 alle Conclusioni dell'Avvocato generale Xxxxxxx Xxxxxx nella causa C 255/02 Halifax, il quale rinvia a V.M. Xxxxxx, La notion d'abus de droit en matière fiscale, in Gazette du Palais, Doctrine (1993), pagg.50-57 e, per un esame comparativo tra Francia e Regno Unito a S.N. Frommel, United Kingdom tax law and abuse of rights, in Intertax 1991/2, pp. 54 e ss.
normativa per il loro riconoscimento, ovvero può sfuggire all'applicazione della normativa ad esso normalmente applicabile mediante la predisposizione di operazioni aventi carattere artificioso, in entrambe le ipotesi oggetto dell'elusione non è la normativa fiscale nazionale bensì quella comunitaria ovvero le fonti nazionali traspositive della medesima. Né deriva un obbligo per le autorità nazionali, anche in assenza di specifiche norme antielusive, di contrastare tale abuso onde garantire l'effettività del diritto comunitario rilevante e salvaguardare l'attuazione degli obiettivi da esso perseguiti. Benché tale esigenza sia stata soddisfatta mediante l‘affermazione dell'applicabilità del divieto di comportamenti abusivi del diritto comunitario ad opera della Corte di Giustizia, che si voglia o meno riconoscere l'esistenza di un concetto generale di abuso nel diritto comunitario, appare evidente che in tale sede, in assenza di una vera e propria interazione tra diversi ordinamenti o quantomeno fonti di diversa provenienza, esso opera in modo analogo a quanto avviene per le general clauses antielusive nazionali, siano o meno esse fondate sul concetto di abuso del diritto.
Al contempo appare sempre maggiore la consapevolezza delle istituzioni europee, al pari del resto di quanto è avvenuto per quelle nazionali, dell'importanza di un efficiente contrasto all'elusione fiscale, oltre che alla frode e all'evasione, al fine di garantire la disponibilità dei mezzi finanziari necessari al perseguimento degli obiettivi dell'Unione. Ciò ha determinato tra l'altro la previsione, in sede di riordino della precedente disciplina in materia di imposta sul valore aggiunto35, della possibilità per gli Stati Membri di derogare, in particolari casi, alla disciplina comunitaria al fine di prevenire e contrastare oltre che l'evasione anche specificamente l'elusione fiscale36.
35 Avvenuto con la Direttiva 2006/112/CE del Consiglio del 28 novembre 2006 relativa al sistema comune d‘imposta sul valore aggiunto che ha abrogato le direttive 67/227/CEE e 77/388/CEE.
36 In particolare si prevede al fine di combattere l'elusione dell'imposta che: gli Stati membri possano includere, nella base imponibile di un‘operazione che implica la lavorazione di oro da investimento fornito dall'acquirente o destinatario, il valore di tale oro, se con la lavorazione l‘oro perde la sua qualità di oro da investimento (considerando n. 27); possano designare il beneficiario delle forniture di beni o delle prestazioni di servizi quale soggetto debitore dell'imposta in determinati settori e per taluni tipi di operazioni (metodo del c.d. reverse charge) (considerando n. 42); ed in generale adottare o mantenere misure speciali che derogano alla direttiva (considerando n. 59); ove esercitino l'opzione di cui al primo comma dell'art. 11 (considerare come un unico soggetto passivo le persone stabilite nel territorio dello stesso Stato membro che siano giuridicamente indipendenti, ma strettamente vincolate fra loro da rapporti finanziari, economici ed organizzativi) possono adottare le misure necessarie a prevenire l'elusione o l'evasione fiscale mediante l'esercizio di tale disposizione (art. 11, par. 2); possono adottare le misure utili a prevenire l'elusione o l'evasione fiscale in caso di trasferimento a titolo oneroso o gratuito o sotto forma di conferimento a una società di una universalità totale o parziale di beni (art. 19, par. 2); possono allo scopo di prevenire l'elusione o l‘evasione fiscale, in una
CAPITOLO 2
IL DIVIETO DI ABUSO DEL DIRITTO COMUNITARIO NELLA GIURISPRUDENZA DELLA CORTE DI GIUSTIZIA EUROPEA.
2.1 LA CREAZIONE DEI PRINCIPI GENERALI DELL'ORDINAMENTO COMUNITARIO AD OPERA DELLA CORTE DI GIUSTIZIA DELL‘UNIONE EUROPEA.
Un ordinamento giuridico è costituito, come noto, oltre che dalle disposizioni contenenti le norme giuridiche che lo compongono, di portata generale o speciale, e che contengono la disciplina della vita giuridica della struttura sociale che ad esso ha dato vita, da principi generali i quali anch'essi possono avere portata generale o speciale ovvero applicarsi all'intero ordinamento ovvero ad una specifica parte di esso, siano essi espressi in norme giuridiche scritte ovvero taciti e pertanto sussunti dall'ordinamento nel suo complesso, nel suo concreto atteggiarsi ed evolversi, ad opera degli interpreti che sono chiamati a dare al detto ordinamento completezza di contenuto, coerenza e unità.
serie di casi, ritenere che la base imponibile sia pari al valore normale per la cessione di beni e la prestazione di servizi a destinatari con cui sussistono legami familiari o altri stretti vincoli personali, gestionali, di associazione, di proprietà, finanziari o giuridici quali definiti dallo Stato membro (art. 80); stabiliscono le condizioni in cui si applicano le esenzioni previste per assicurare la corretta e semplice applicazione delle medesime esenzioni e per prevenire ogni possibile evasione, elusione e abuso (art. 131); adottano le misure necessarie per assicurare l'applicazione corretta e semplice della esenzione e per prevenire qualsiasi evasione, elusione e abuso quando si avvalgono della facoltà di prevedere un regime di deposito diverso da quello doganale per i beni destinati a punti di vendita in esenzione da imposte, ai fini delle cessioni di beni destinati ad essere trasportati nel bagaglio personale di un viaggiatore che si reca in un territorio terzo o in un paese terzo, con un volo o una traversata marittima, e che sono esenti a norma dell'articolo 146, paragrafo 1, lettera b) (art. 158, par. 3).
.
Tali principi generali costituiscono l'espressione massima dei valori che influenzano e sono influenzati dal sistema giuridico di cui costituiscono l'espressione. Dal punto di vista teorico essi si contrappongono alla norma formulata e conclusa, la quale prevede la conseguenza giuridica di un comportamento rilevante, per essere norme a contenuto aperto che possono essere riferite ad un numero indefinito di fatti o comportamenti che in quanto ritenuti espressione o negazione di quel principio assurgono a rilevanza giuridica; essi costituiscono le idee generatrici, i criteri di valorizzazione dei quali la norma costituisce la messa in pratica, configurata come la specifica formulazione precettiva37. Tali principi informano il diritto positivo tanto nel suo fondamento costituzionale e comunitario quanto nelle sue precipitazioni nel sistema ordinario di norme, anche ove essi siano impliciti38 Si tratta di principi comuni dedotti dallo stesso sistema giuridico e che valgono ad orientare l'intero ordinamento giuridico e i suoi interpreti, ovvero sue parti omogenee per la natura degli interessi ivi tutelati, sostenendolo dall'intero e conferendogli sistematica razionalità39.
In questa prospettiva il principio è costituito da una norma la quale presenta un contenuto deontologico o assiologico massimo rispetto alle altre disposizioni giuridiche, un massimo di contenuto valoriale che è a sua volta fonte di altri valori dispersi nell'ordinamento giuridico generale40. Esso pertanto non può essere ridotto a semplice formulazione precettiva in quanto espressione di orientamenti e ideali non riducibili. ―I principi generali di diritto si devono concepire non come il risultato, ottenuto a posteriori, di un arido procedimento di astrazione e successiva generalizzazione, bensì come valori normativi, principi e criteri di valorizzazione costitutivi del fondamento dell'ordinamento e che possiedono una funzione genetica rispetto alle norme particolari.‖41
L'ordinamento giuridico comunitario, principalmente grazie al ruolo svolto dalla Corte di Giustizia, ha progressivamente assunto caratteri di autonomia, unità, coerenza, continuità, effettività e tendenziale completezza. Ordinamento giuridico nuovo ed
37 X. Xxxxx, Teoria Generale della Interpretazione, II, Milano 1955, p. 846.
38 X. Xxxxxxx, Appunti per una teoria generale del diritto: la teoria del diritto oggettivo, III ed, Torino 2000.
39 X. Xxxxxx, Ricerche di Teoria Generale del Diritto e di Dogmatica giuridica – I Teoria generale del diritto, Milano 1999, p. 341.
40 X. Xxxxx, Considerazioni generali sui principi giuridici e sui valori, in D. Xxxxxxxx, La forza normativa dei principi, Padova 2006, p. 71.
41 Così si esprime X. Xxxxx, Teoria Generale della Interpretazione, cit., p. 851.
autonomo sia rispetto al diritto internazionale che a quello interno degli Stati Membri42, ma che al tempo stesso manifesta una certa permeabilità nei confronti degli ordinamenti degli Stati Membri nei quali è integrato secondo un rapporto né di subordinazione né di sovraordinazione ma di affiancamento e reciproca integrazione; dotato di sempre maggiore unità e coerenza sì da garantirne e potenziarne l'autonomia, secondo un processo che, iniziato con l'adozione del Trattato sull'Unione tra le cui finalità rientrava il rafforzamento del funzionamento democratico ed efficiente delle istituzioni in modo da consentire loro di adempiere in modo più efficace, in un contesto istituzionale unico, i compiti loro affidati e culminato con l'adozione, da ultimo, delle versioni consolidate del Trattato sull'Unione Europea e del Trattato sul Funzionamento dell'Unione Europea in forza del trattato di Lisbona firmato il 13 dicembre 2007 ed entrato in vigore il 1° dicembre 2009; dotato di continuità e teso alla propria progressiva realizzazione; di effettività, perseguita dalla Corte attraverso l'elaborazione ed applicazione dei principi della diretta applicabilità, dell'effetto diretto e della prevalenza del diritto comunitario sui diritti interni degli Stati Membri; di tendenziale completezza in funzione della idoneità a conseguire gli obiettivi prefissati dai Trattati e della conseguente necessità di conferire all'ordinamento comunitario adeguata autonomia, effettività e coerenza.
L'ordinamento comunitario si caratterizza per la presenza di un sistema normativo complesso, articolato ed eterogeneo, ma tendenzialmente unitario, nell'ambito del quale coesistono norme di origine internazionale rappresentate dai Trattati, norme propriamente comunitarie, rappresentate dagli atti normativi delle istituzioni comunitarie e dai principi non scritti elaborati dalla Corte di Giustizia, e norme nazionali di integrazione ed esecuzione delle fonti comunitarie. I Trattati istitutivi e i principi generali non scritti costituiscono il diritto comunitario primario che a sua volta costituisce il fondamento ed il limite del diritto comunitario secondario o derivato, al primo subordinato e costituito dagli atti delle istituzioni comunitarie43. Nei trattati istitutivi gli unici riferimenti a principi di natura giuridica sono contenuti nell'articolo 340 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea (ex articolo 288 del TCEE) che
42 Come affermato dalla Corte di Giustizia nella sentenza Xxx Xxxx & Loss esso costituisce: ―Un ordinamento giuridico di nuovo genere nel campo del diritto internazionale a favore del quale gli stati membri hanno rinunziato, se pure in settori limitati, ai loro poteri sovrani ed al quale sono soggetti non soltanto gli stati membri, ma pure i loro cittadini. Corte di giustizia, sentenza 5 febbraio 1963, causa 26/62, NV Algemene Transport- en Expeditie Onderneming van Gend & Xxxx contro Amministrazione olandese delle imposte, in Racc. ed. it. p. 00003.
43 M.C. Xxxxxxxxxx, La Comunità europea e i suoi principi giuridici, Napoli 2004, pp. 103 e ss.
fa riferimento ai principi generali comuni ai diritti degli Stati membri in materia di responsabilità extracontrattuale dell'Unione e della Banca centrale europea e nell'art. 6, paragrafo 3, del Trattato sull'Unione europea a norma del quale: ―I diritti fondamentali, garantiti dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali e risultanti dalle tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri, fanno parte del diritto dell'Unione in quanto principi generali.‖
La Corte di Giustizia delle Comunità Europea, al fine di assicurare la coerenza dell'ordinamento comunitario nel suo complesso, utilizza un metodo dinamico di interpretazione che considera gli obiettivi da perseguire e le regole da applicare in modo evolutivo si da eliminare le eventuali antinomie e contraddizioni presenti. Essa, nella sua attività di interprete unico delle norme del diritto comunitario prevista dall'art. 234 del Trattato Istitutivo, in ossequio al principio di effettività del diritto comunitario, pone costantemente in rilievo le finalità e gli obiettivi perseguiti dalla normativa europea. Tra questi di fondamentale importanza appare la creazione di un mercato unico costituito da uno spazio senza frontiere interne, nel quale è assicurata la libera circolazione delle merci, delle persone, dei servizi e dei capitali ed ove la concorrenza non sia falsata (Artt. 3, lettere a), c), g), h) e 14 TUE).44
L'art. 234 del Trattato CEE45, che come noto attribuisce alla Corte di Giustizia la competenza esclusiva circa l‘interpretazione dei Trattati e degli atti comunitari, ha la fondamentale finalità di assicurare che le disposizioni del diritto comunitario siano interpretate ed applicate in modo uniforme all'interno dell'Unione Europea sì da garantire l'effettività del diritto comunitario e la non discriminazione dei soggetti ad esso sottoposti. Nello svolgimento di tale fondamentale compito la Corte di Giustizia ha enucleato una serie di principi generali non scritti e, per così dire, impliciti, che unitamente a quelli oggetto di espressa previsione ad opera dei trattati istitutivi
44 In proposito la dottrina parla di una interpretazione finalistica ―purposive interpretation‖ la quale da risalto all'oggetto e alla finalità della norma senza andare oltre il senso letterale e che andrebbe distinta dalla vera e propria interpretazione teleologica ―teleological interpretation‖ la quale può occasionalmente sopravanzare il senso letterale della norma al fine di prevenirne risultati inaccettabili e colmare lacune derivanti dalla sua dizione letterale. In proposito X. Xx Xxxx, International Tax Planning and Prevention of Abuse. A Study under Domestic Tax Law, Tax Treaties and EC Law in relation to Conduit and Base Company, cit., pag 746 in nota (6) il quale rinvia a X. Xxxxxxxxx, X. Xxxxxxxxxx, Judicial Protection in the European Union, Kluwer Law International 2001, p. 20 e ss.
45 Trasposto nell‘art. 267 del Trattato sul Funzionamento dell‘Unione Europea. In GUCE 2010/C 83/01 del 30 marzo 2010.
risultassero idonei a dare unità e coerenza all'ordinamento comunitario46. Tali principi valgono a costituire un collegamento permanente tra obiettivi perseguiti e singole disposizioni normative, in ragione della autorevolezza progressivamente acquisita dalle decisioni della Corte basate su giustificazioni giuridiche. Stretta tra autonomia ed interdipendenza, la Corte di Giustizia ha tratto e trae ispirazione nell'esercizio delle sue funzioni di interpretazione ed applicazione del diritto comunitario, sia dal diritto internazionale che dal diritto interno degli Stati Membri, senza che ciò possa costituire ostacolo per una ricostruzione sistematicamente autonoma del diritto comunitario. Gli istituti giuridici in tal modo dedotti dalla Corte da fonti esterne sono da questa adattati alle esigenze e finalità dell'ordinamento comunitario e coordinati ai concetti e agli istituti da esso previsti47. Appare evidente che nel rispetto dei canoni di effettività e non discriminazione anche le autorità nazionali chiamate a dare attuazione al diritto comunitario devono interpretarlo coerentemente a tali principi generali come sviluppati dalla Corte di Giustizia. E' stato in proposito detto che nel diritto comunitario nessun‘altra materia è oggi di maggiore importanza o più adatta ad una ricerca intensa e approfondita dello sviluppo di tali generali principi giuridici europei del divieto di abuso del diritto comunitario48. Essi infatti rivestono una sempre maggiore importanza nella
46 Secondo X. Xxxx, Il rapporto tra abuso di diritto “interno” e il diritto comunitario alla luce della recente giurisprudenza inglese in tema di tax avoidance ,in Dir. e Prat. Trib. Int. 2009, pag. 633, tra tali principi comuni del diritto comunitario ―rientrano l‘irretroattività delle norme penali, la previsione legale dei reati e delle pene, il rispetto dei diritti della difesa, il principio del contraddittorio, il diritto ad un processo equo ed entro un termine ragionevole, l‘inviolabilità del domicilio, il diritto alla tutela giurisdizionale piena ed effettiva, l‘obbligo di motivazione e trasparenza e via dicendo. Numerosi principi di carattere procedimentale e processuale hanno trovato applicazione anche nel settore tributario. Sono stati affermati, a titolo di esempio, nella materia dei tributi riscossi in violazione di norme comunitarie, il principio di ―equivalenza‖ secondo cui le procedure di rimborso non devono risultare meno favorevoli di quelle che riguardano procedure di rimborso di tributi interni e il principio di ―effettività‖ secondo cui non deve essere reso praticamente impossibile o eccessivamente difficile l‘esercizio dei diritti conferiti dall‘ordinamento giuridico comunitario.‖ con rinvio a: X. Xxxxx, Coordinamento fiscale nell‟Unione Europea, in Enc. Dir. Xxxxxx X, Milano 2007, pag. 407; X. Xxx Xxxxxxxx, Tutela del contribuente ed integrazione giuridica europea. Contributo allo studio della prospettiva italiana, Ed. provv., Pescara, 2003, p. 134; X. Xxxxxxx, Diritto comunitario, Padova 2003,
p. 123; C. Sacchetto, Il diritto comunitario e l‟ordinamento tributario italiano, in Dir. prat. trib. int., 2001, p. 3; X. Xxxxxxx, Imposizione e Costituzione Europea, in Riv. dir. trib. 2005, p. 233.
47 M.C. Xxxxxxxxxx, La comunità europea e i suoi principi giuridici, cit., pp. 36 e ss. che richiama la sentenza della Corte di Giustizia del 18 dicembre 1997 in causa C 309/96, Xxxxxxx Xxxxxxxxx c. Sindaco del Comune di Guidonia e Presidente Regione Lazio, nella quale la Corte ha affermato: ―I principi generali del diritto sono parte integrante dell'ordinamento comunitario soltanto nella misura in cui sono collegati a situazioni disciplinate dal diritto comunitario.‖
00 X. Xx Xx Xxxxx, Prohibition of Abuse of (Community) Law: the Creation of a New General Principle of EC Law through Tax, in Common Market Law Review 45/2008, p. 398, l'Autrice nel richiamare le parole pronunciate dal Presidente della Corte di Giustizia, Xxxxxxxxx Xxxxxxxx, nel discorso dinnanzi al parlamento danese del 26 aprile 1999, citate da Nergelius, General Principles of Community Law in
creazione dell'ordinamento giuridico europeo essendo idonei a colmare le lacune e a dare coerenza e completezza ad un ordinamento per sua natura incompleto.49 Tanto maggiore è il valore che la Corte di Giustizia attribuisce ad un principio da essa elaborato, tanto maggiore è la prospettiva che esso finisca per imporsi a tutti gli ordinamenti statali, in ragione della forza unificatrice di cui tali principi sono portatori50. Tali principi, sovente tratti dalla Corte dallo studio comparato degli ordinamenti degli Stati Membri, in forza della autorevolezza dei dictum della Corte di Giustizia, mediante l'applicazione data dai giudici nazionali delle interpretazioni da questa fornite, finiscono con l'influenzare il funzionamento e la stessa struttura degli ordinamenti statali, ivi compresi quelli a cui tali principi erano in origine sconosciuti, determinando una evoluzione sincretica e armonizzatrice degli ordinamenti nazionali51.
Nell'ordinamento comunitario i principi generali si configurano come fonte primaria dell'ordine giuridico positivo, comprendente non solo determinati canoni di valori tratti, per astrazione, da norme concrete, ma anche elementi comuni agli ordinamenti degli Stati Membri. Al di là delle difficoltà e delle diverse opinioni dottrinali i principi generali dell'ordinamento comunitario, che al pari di quelli propri degli ordinamenti giuridici nazionali hanno la funzione di ordinare e sistematizzare un complesso di regole particolari collegate tra loro in base alla natura, all'oggetto ed alla funzione, svolgendo una duplice funzione interpretativa e normativa, appaiono presentare le seguenti caratteristiche fondamentali: generalità, essi dovrebbero non solo avere un livello di astrazione che li distingua dalle norme dispositive ma anche un livello di riconoscimento da parte degli attori del contesto giuridico di riferimento; rilevanza, nel senso che essi devono esprimere un valore essenziale di una determinata area giuridica o dell'intero ordinamento; non conclusività, un principio non determina le decisioni dei soggetti giuridici in termini di necessità ma piuttosto le orienta, esso ha una funzione valoriale e quindi di indirizzo e non dispositiva ovvero di natura coercitiva. Si tratta di
the Future: Some Remarks on their Scope, Applicability and Legitimacy, in X. Xxxxxxx e X. Xxxxxxxxx, General Principles of European Community Law, Kluwer Law International 2000, osserva come sia mancata una compiuta discussione circa la natura di principio generale dell'ordinamento comunitario del divieto di abuso del diritto.
49 X. Xxxxxxxx, General Principles of Community Law, Europa Law Publishing 2006, p. 9; X. Xxxxxxx e
X. Xxxxxxxxx, General Principles of European Community Law, cit., p. 187. 50 X. Xxxxxxx, Diritto istituzionale dell'Unione europea, Torino 1998, p. 197.
51 Cfr. P. Piantavigna, Abuso del diritto e fiscalità nella giurisprudenza comunitaria: una ipotesi di studio, Riv. Dir. Fin e Scienza delle Finanze, LXVIII, 3, I p. 369-428 (2009), p. 371.
principi aperti il cui sviluppo è parte di un processo dinamico determinato e condotto dalla Corte di Giustizia che conduce ad una loro progressiva e graduale formazione e precisazione. Nel formulare tali principi generali la Corte si ispira a varie fonti, la più importante delle quali è costituita dal diritto degli Stati Membri, i cui principi ritenuti comuni alla maggioranza, sebbene non necessariamente alla totalità, degli ordinamenti giuridici di questi sono assunti dalla Corte quali principi generali del diritto comunitario.52
La Corte ha sovente assunto alcuni principi legali propri degli ordinamenti degli Stati Membri quali principi generali dell'ordinamento comunitario (legittimo affidamento, ingiustificato arricchimento, etc.); altre volte essa ha negato l'applicabilità di un principio proprio del diritto nazionale in tale ordinamento facendo leva sui principi della primazia del diritto comunitario e dei conseguenti principi di effettività ed uniforme applicazione dello stesso. Da un esame della relativa giurisprudenza è possible trarre che la Corte: ove ritenga di non assumere un principio nazionale quale principio generale dell'ordinamento comunitario lo afferma espressamente; nel caso invece di incertezza circa il riconoscimento del principio come proprio dell'ordinamento comunitario essa evita di esprimersi sul punto, sicché di solito un principio generale non viene espressamente dalla Corte individuato come tale in sede di prima applicazione53.
Un esempio di tale attività creatrice dei principi generali dell'ordinamento comunitario ad opera della Corte di Giustizia, definita di ―legittimo attivismo giudiziario‖54,sarebbe dunque costituita proprio dal divieto di abuso del diritto comunitario55, sviluppato dalla Corte, come vedremo, a partire dagli anni settanta in assenza, tanto nei trattati che nella normativa derivata, di qualsiasi dettato normativo esplicito in materia. Tale principio si basa sulla superiorità dei valori che presiedono e orientano il sistema formale del diritto per adeguarlo in modo evolutivo al suo contenuto reale, non essendo sufficiente, al fine di comprendere la variabilità delle situazioni di fatto, il piano formale e testuale della
00 X. Xx Xx Xxxxx, Prohibition of Abuse of (Community) Law: the Creation of a New General Principle of EC Law through Tax, cit., p. 435. L‘autrice rinvia circa il fondamento di tale interpretazione al caso Xxxxxxx and Others, C 63–69/72, Racc. p. 1229; richiamato da Xxxxx, The Reception of General Principles of Community Law in the United Kingdom, (2005) EBLR, pp. 489–510.
53 D. Anagnostoupolou, Do Francovich and the principle of proportionality weaken Simmenthal (II) and confirm abuse of rights?, in Common Market Law Rewiew 2001, p. 777.
54 X. Xxxxxxxx, General Principles of Community Law, Europa Law Publishing, 2006, p. 9.
55 X. Xxxxx e X. Xxxxxx, La technique de consécration d'un nouveau principe général du droit communautaire: l'exemple de l'abus de droit, in Mélanges en hommage à Xxx Xxxxx, 00 xxx xx xxxxx xxxxxxxxxxxxx , XX, Tolosa 2004), p. 579.
norma. Il principio comune, basato sopra valori giuridici superiori, permette di superare la rigidezza formale e letterale delle disposizioni normative mediante la considerazione dell'elemento teleologico e consente la connessione della disposizione in oggetto con il principio comune e col valore giuridico sulla quale questo si fonda56.
Nelle parole dell'Avvocato Generale Tesauro ―Ogni ordinamento giuridico che aspiri al raggiungimento di un livello minimo di completezza deve contenere delle misure di auto-protezione, vale a dire assicurare che i diritti da esso conferiti non siano esercitati in maniera abusiva, eccessiva o distorta. Tale esigenza non è in alcun modo estranea all'ordinamento comunitario.‖57
Parte della dottrina ritiene che nell'ambito del processo di armonizzazione dei sistemi giuridici tributari nazionali alle tradizionali modalità di integrazione, di carattere positivo mediante la legislazione comunitaria derivata e negativo mediante le pronunce della Corte di Giustizia volte ad eliminare singole norme nazionali in contrasto con le libertà fondamentali garantite dal Trattato, se ne affianchi una terza, di più difficile individuazione e sistematizzazione, riconducibile al fenomeno della circolazione dei valori giuridici58.
A quanto detto si aggiunga che nella materia tributaria vige nell'ambito dell'Unione la regola della unanimità per cui l'adozione di nuovi strumenti normativi è frutto di un processo lungo e complesso che spesso porta a formulazioni che, proprio al fine di raggiungere tale necessaria unanimità, restano volontariamente nel vago onde lasciare
56 X. Xxxxxx, Ricerche di Teoria Generale del Diritto e di Dogmatica giuridica. I Teoria generale del diritto, cit., p. 281.
57 Conclusioni dell‘Avvocato Generale Tesauro in Corte di Giustizia, sentenza 12 maggio 1998, causa X 000/00 Xxxxxxxxxx Xxxxxxx e a. c. Elliniko Dimosio (Stato ellenico), Organismos Oikonomikis Anasygkrotisis Epicheiriseon AE (OAE), Racc., I-02843, punto 24.
58 In proposito X. Xxxxxxxx, Il “principio anti-abuso” nel prisma della giurisprudenza comunitari in materia fiscale, in Boll. Trib, 2009, p. 1420 e ss. che rinvia ad autori che hanno osservato il fenomeno da un punto di vista più generale: X. Xxxx, Giudice nazionale e diritto dell'Unione Europea, I, Diretta efficacia e primato, Napoli, 2008; X. Xxxx, Mechanisms for cross-fertilisation in Administrative Law in Europe, in X. Xxxxxxxx, New directions in European Public Law, Oxford 1998. In proposito la Corte di Cassazione ha rilevato nella sentenza n. 25374 del 17 ottobre 2008, in materia di applicazione del divieto di abuso del diritto comunitario all'imposta sul valore aggiunto, che: ―Nella formazione di un principio fondamentale comunitario – che, nel sistema delle fonti, così come avviene nell‘ordinamento italiano (art. 12 disp. gen., comma 2), costituisce diritto primario - possono svolgere un determinante ruolo anche principi di origine e formazione degli ordinamenti nazionali, anche all‘infuori di uno specifico richiamo (come quello contenuto nell‘art. 288, comma 2, del Trattato CE), sì che si può verificare un vero e proprio processo circolare di trasmigrazione, di principi tra l‘uno e l‘altro ordine. Di fatto, l‘area dei principi generali di diritto comunitario non codificati subisce un continuo e rilevante incremento.‖
un più ampio margine di manovra ai legislatori nazionali in sede di attuazione, spetta pertanto alla Corte nell'ambito della propria competenza di interprete unico garantire, per un verso, che gli Stati Membri non profittino della vaghezza delle norme ponendo in discussione l'unitarietà dell'ordinamento comunitario, per l'altro che si realizzi quella evoluzione della disciplina la cui necessità viene evidenziata dalla sua concreta applicazione.
2.2 IL PRINCIPIO DI DIVIETO DI ABUSO DEL DIRITTO COMUNITARIO NELLA GIURISPRUDENZA DELLA CORTE DI GIUSTIZIA: LE APPLICAZIONI NON ATTINENTI LA MATERIA TRIBUTARIA.
Con lo svilupparsi dell'ordinamento comunitario anche dinanzi alla giurisprudenza europea si è posta la questione del contrasto alle forme di abuso da parte dei privati delle prerogative soggettive garantite da tale ordinamento, ovvero alle utilizzazioni fraudolente di tali prerogative tendenti a finalità contrastanti ora con la ratio della stessa normativa comunitaria in questione ora con quella di normative nazionali, nei confronti delle quali il diritto comunitario venga strumentalmente utilizzato, al di fuori del suo corretto ambito di applicazione, onde eluderne la vigenza59.
A tali necessità si è aggiunta quella, propria di un ordinamento frammentario e settoriale quale quello comunitario, di rinvenire una serie di principi generali in grado di dare coerenza al sistema, esigenza alla quale è venuta incontro, stante il silenzio dei Trattati in materia, la Corte di Giustizia affrontando proprio quei casi nei quali una soluzione soddisfacente non fosse rinvenibile solo sulla base del dettato normativo o, come nei casi di abuso del diritto, tale soluzione rischiasse di rivelarsi contraria agli stessi obiettivi comunitari60.
Tale principio che nella giurisprudenza comunitaria più recente è stato, come vedremo,
59 Di norma, la prima ipotesi, di contrarietà agli stessi obiettivi della disciplina comunitaria dello specifico utilizzo del diritto da questa attribuita, è quella che tipicamente si rinviene nell'imposizione sul valore aggiunto, settore oggetto di specifica armonizzazione, mentre la seconda è tipica del settore dell'imposizione diretta nel quale la disciplina comunitaria relativa a specifici ambiti di tale settore impositivo a fini di attuazione del mercato unico, direttiva madre-figlia, operazioni straordinarie, interessi e roialty, ovvero le libertà fondamentali possono essere oggetto di utilizzazione abusiva onde eludere le disposizioni impositive nazionali, in tale seconda ipotesi è stato rilevato che l'eventuale applicazione della disciplina nazionale a scapito di quella comunitaria potrebbe dar luogo ad una violazione del principio di primazia del diritto comunitario, in realtà ci pare che tale violazione non si avrebbe proprio in quanto l'utilizzo del diritto attribuito dall'ordinamento comunitario nel singolo caso è sostenuto dalla finalità di elusione del diritto nazionale e quindi si pone al di fuori del corretto ambito di applicazione della norma attributiva della posizione giuridica soggettiva.
60 Sul ruolo centrale dei principi generali nell'ordinamento comunitario e sui referenti normativi utilizzati dalla Corte a tal fine vedasi Gestri M., Abuso del diritto e frode alla legge nell'ordinamento comunitario, cit., pp. 14 e ss. e la bibliografia ivi richiamata.
collegato dalla Corte alla necessità di dare piena attuazione al principio di effettività del diritto comunitario si da ritenerlo prevalente, entro certi limiti, alle norme in materia di giudicato che essa stessa aveva ricollegato al principio generale di certezza del diritto61, si è inizialmente sviluppata con riferimento ai limiti posti alla libertà di prestazione di servizi (artt. 56 e 57 TFUE) e alla libertà di stabilimento(art. 49 e seguenti TFUE) dagli ordinamenti degli Stati Membri, espandendosi successivamente ad altre materie di competenza comunitaria tra cui la fiscalità tanto diretta che indiretta.
Con la sentenza Xxx Xxxxxxxxxx del 3 dicembre 197462 la Corte rileva che, da un punto di vista generale, risulta illegittima ai sensi del Trattato la richiesta del requisito della residenza nello stato di prestazione del servizio richiesto dalla legge nazionale quale condizione per effettuare la prestazione (nel caso di specie la legge olandese richiedeva la residenza in Olanda quale condizione per prestare il patrocinio quale difensore dinanzi a determinate giurisdizioni), qualora la legislazione di tale Stato relativa a determinati servizi non sottoponga la prestazione dei medesimi ad alcuna particolare condizione, in quanto esso può avere l'effetto di rendere impossibile ai residenti in altro Stato membro la prestazione del servizio. Essa ha per contro riconosciuto il diritto di uno Stato Membro a provvedere al fine di impedire che la normativa comunitaria in materia di prestazione di servizi venisse utilizzata dal prestatore, la cui attività si svolga per intero o principalmente sul territorio di detto Stato e alla quale sarebbe soggetto ove vi si stabilisse, allo scopo di eludere l‘applicazione della normativa nazionale disciplinante la prestazione del servizio in oggetto. La Corte ritiene infatti gli Stati membri legittimati ad imporre il possesso di requisiti specifici ai soggetti che prestino determinati servizi, giustificati dai pubblici interessi sottostanti ai servizi in questione. Ne consegue che nonostante la premessa di ordine generale circa l'idoneità del requisito della residenza nello stato di prestazione di porre nel nulla la libertà in oggetto, la Corte ciò nonostante perviene alla conclusione che non si possa considerare incompatibile con gli artt. 59 e 60 del Trattato in materia di libertà di prestazione dei servizi la norma che impone a chi esercita la professione forense di stabilire la propria residenza nella circoscrizione di determinati organi giudiziari, quando detta norma appare obbiettivamente necessaria per assicurare l' osservanza di disposizioni professionali
61 Corte di Giustizia, causa C 02/08 Fallimento Olimpiclub Srl su cui più ampiamente al paragrafo 2.4.4. 62 Corte di Giustizia, sentenza del 3 dicembre 1974, causa X 00/00, Xxxxxxxx Xxxxxxxx Xxxxx xxx
Binsbergen c. Bestur van Bedrijfsvereninging voor de Metaalnijverheid, Racc., 01299.
collegate in particolare al funzionamento della giustizia e al rispetto della deontologia.
Appaiono in questa sentenza, pur se in modo ancora confuso, due elementi che diverranno costanti nella giurisprudenza della Corte in materia di restrizioni alle libertà fondamentali, e cioè la definizione di una di quelle giustificazioni necessarie, il perseguimento di interessi pubblici preminenti, perché vi sia una legittima restrizione delle libertà fondamentali e la necessarietà della restrizione in concreto attuata al fine di prevenire l'abuso del diritto comunitario con finalità elusive della disciplina nazionale nonché la sua proporzionalità in merito all'obiettivo da raggiungere, nel caso specifico il contrasto alle manovre abusive.
Con la successiva sentenza Knoors63 la Corte estende l'invocabilità delle libertà fondamentali, nel caso di specie di stabilimento e libera prestazione di servizi, e della normativa secondaria volta a dare loro attuazione, anche a favore dei cittadini di un determinato Stato membro , qualora questi , per il fatto d'aver risieduto regolarmente nel territorio di un altro Stato membro e di avervi acquistato una qualificazione professionale riconosciuta dal diritto comunitario, si trovino, rispetto al loro stato d'origine, in una situazione analoga a quella di tutti gli altri soggetti che fruiscono dei diritti e delle libertà garantite dal trattato. Anche se nel caso di specie le tassative condizioni richieste dalla disciplina comunitaria escludono che si possano verificare gli abusi denunciati, la Corte comunque rileva che ―non si può ciònondimeno non tener conto dell'interesse legittimo che uno Stato membro può avere ad impedire che , grazie alle possibilità offerte dal Trattato, taluni dei suoi cittadini tentino di sottrarsi abusivamente all'impero delle leggi nazionali in materia di preparazione professionale.‖64.
La Corte perverrà peraltro a conclusione opposta in un caso del tutto analogo ove la manovra abusiva appaia di tutta evidenza, nel caso van de Bijl65 essa ha infatti rilevato che ove sia assodato che una persona considerata dalla direttiva invocata ha compiuto un periodo di assicurazione o un periodo lavorativo nel territorio stesso dello Stato
63 Corte di giustizia, sentenza del 7 febbraio 1979, causa C 115/78, X. Xxxxxx c. Staatssecretaris van Economische Zaken, Racc, 399. Per un commento si rinvia a Morse G.: Facilitating Directives and Reverse Discrimination, in European Law Review 1979 p.377-378.
64 Corte di Giustizia, causa C 115/78, Knoors, punto 26.
65 Corte di Giustizia, sentenza del 27 settembre 1989, causa X 000/00, X. xxx xx Xxxx contro Staatssecretaris van Economische Zake, Racc., 3039.
membro ospitante durante il periodo di attività professionale da essa compiuto, secondo l'attestato, nello Stato membro di provenienza, lo Stato membro ospitante non è vincolato dall'attestato dell'autorità competente dello Stato membro di provenienza. In circostanze del genere, infatti, lo Stato membro ospitante non può essere costretto a ignorare i fatti sopravvenuti nel proprio territorio e direttamente pertinenti quanto al carattere reale ed effettivo del periodo di attività professionale compiuto nello Stato membro di provenienza. Non si può neppure rifiutare allo Stato membro ospitante il diritto di adottare disposizioni dirette a impedire che la libertà di stabilimento e la libera prestazione di servizi, che la direttiva intende garantire, vengano utilizzate dagli interessati allo scopo di sottrarsi alle norme professionali imposte ai suoi cittadini.66
Ancora con riferimento ad obiettivi di interesse generale ed in particolare al fine di realizzare un sistema televisivo a carattere pluralistico e non commerciale la Corte ha giustificato nel caso Veronica67 le restrizioni alla libertà di prestazione di servizi e di circolazione dei capitali imposte dalla legge olandese sui media (Mediawet) che all'art. 57 fa divieto ai soggetti assegnatari di diritti di trasmissione di svolgere attività al di fuori di quelle previste dalla legge od autorizzate dalla relativa autorità di sorveglianza. Tali disposizioni erano state violate dall'ente ricorrente il quale aveva assunto una partecipazione, prestato garanzie bancarie e fornito consulenze ad una società lussemburghese mirante a raggiungere i Paesi Bassi con le proprie trasmissioni via cavo. Ciò in quanto ―vietando agli enti nazionali di radiodiffusione di dare aiuti per la creazione di società commerciali di radio e di televisione all'estero, allo scopo di prestarvi servizi destinati ai Paesi Bassi, la normativa dei Paesi Bassi controversa nella causa principale arriva essenzialmente a impedire che, sfruttando le libertà garantite dal Trattato, detti enti possano sottrarsi abusivamente agli obblighi derivanti dalla normativa
66 Altre sentenze in materia di riconoscimento di diplomi e attestati professionali che si rifanno all'interesse legittimo che uno Stato membro può avere ad impedire che, grazie alle possibilità offerte dal Trattato, taluni dei suoi cittadini tentino di sottrarsi all'impero delle leggi nazionali in materia di preparazione professionale sono: Corte di Giustizia, sentenza del 3 ottobre 1990, causa C 61/89, Procedimento penale contro Xxxx Xxxxxx Xxxxxxxxxx, Racc., I-3551, punto 26, sulla quale: X. Xxxxxx, Picking over the Bones: Rights of Establishment Reviewed, in European Law Review 1991 p.507-520 e Corte di Giustizia, sentenza del 31 marzo, causa C 19/921993, Xxxxxx Xxxxx contro Land Baden-Württemberg, Racc., I-1663, punto 34 sulla quale: X. Xxxxxxx, Laurea ed accesso alla libera professione nell'Unione europea, in Diritto comunitario e degli scambi internazionali 1995, p.91-116.
67 Corte di Giustizia, sentenza del 3 febbraio 1993, causa X 000/00, Xxxxxxxxxx Xxxxxxxx Omroep Organisatie c Commissariaat voor de Media, Racc., I-487.
nazionale, relativi al contenuto pluralistico e non commerciale dei programmi.‖68 e
―...questi divieti sono necessari per garantire il carattere pluralistico e non commerciale del sistema audiovisivo istituito da questa normativa.‖69
In altra sentenza successiva avente ad oggetto la medesima normativa olandese in materia radiotelevisiva, il caso TV1070, posto che il giudice nazionale aveva chiesto se in considerazione del fatto che un soggetto si fosse stabilito in altro stato allo scopo di eludere la normativa nazionale la prestazione fosse da ritenersi avente rilevanza puramente interna, la Corte ha chiarito che ciò non esclude la valutazione quale prestazione di servizi ai sensi del Trattato a condizione che lo stabilimento nel secondo stato membro sia effettivo71. Ciononostante ―uno Stato membro può legittimamente equiparare ad un ente radiotelevisivo nazionale un ente radiofonico e televisivo stabilito in un altro Stato membro allo scopo di realizzare prestazioni di servizi dirette verso il suo territorio, in quanto tale misura mira ad impedire che, avvalendosi delle libertà garantite dal Trattato, gli enti che si stabiliscano in un altro Stato membro possano illegittimamente sottrarsi agli obblighi posti dalla normativa nazionale, nella specie quelli relativi al contenuto pluralistico e non commerciale dei programmi‖.
Si è osservato come nelle conclusioni presentate dall'Avvocato generale Xxxx in tale causa siano ravvisabili le basi teoriche del successivo sviluppo della dottrina della Corte di Giustizia in materia di comportamenti abusivi, per un verso in merito alla valutazione delle attività potenzialmente abusive come comunque rientranti nell'ambito della ordinaria applicazione delle libertà fondamentali, costituendo l'abuso una eccezione all'applicazione delle norme in materia la quale deve essere valutata esclusivamente a posteriori, posto che la normativa in materia di libertà fondamentali deve trovare applicazione anche ove il loro esercizio possa eventualmente comportare l'elusione della normativa nazionale onde non compromettere l'attuazione del mercato unico, per l'altro circa la necessità di criteri sui quali basare l'accertamento del ricorrere di una fattispecie
68 Xxxxx xx Xxxxxxxxx, X 000/00, Xxxxxxxx, punto 13. 69 Xxxxx xx Xxxxxxxxx, X 000/00, Xxxxxxxx, punto 15.
70 Corte di Giustizia, sentenza del 5 ottobre 1994, causa C 23/93, TV10 c. Commissariaat voor de Media, Racc. I-4759.
71 L'ipotesi di stabilimento xxxxxxxx avrebbe invece condotto secondo Xxxxxx alla rilevanza puramente interna della fattispecie in conseguenza di una interpretazione sostanziale del requisito dello stabilimento in altro stato membro, in P.J. Wattel, Circumvention of National Law: Abuse o f Community Law?, in Common Market Law Rewiew 1995, p. 1257 e ss.
abusiva, con eventuale preferenza per quelli aventi natura oggettiva72.
In occasione di due successive sentenze in materia radiotelevisiva73, pur concludendosi per la non applicabilità della normativa nazionale in quanto volta a tutelare interessi già oggetto di una tutela minima da parte della disciplina comunitaria di armonizzazione della materia e istituente un secondo controllo sulle trasmissione televisive da parte dello Stato di destinazione tale da porre nel nulla il principio del controllo nello Stato di trasmissione, viene affermato in sede di conclusioni degli Avvocati Generali74 che il principio della sentenza Xxx Xxxxxxxxxx può essere visto come applicazione del principio generale dell'abuso di diritto, riconosciuto nella maggior parte degli ordinamenti giuridici nazionali degli Stati membri, esso risulta pertanto applicabile anche nei settori oggetto di armonizzazione pur se, in quanto costituisce una deroga ad una delle libertà che costituiscono il mercato interno, l'obiettivo della facoltà di intervento che tale principio conferisce allo Stato membro di ricezione dev'essere interpretato in modo restrittivo in quanto diversamente si consentirebbe agli Stati membri tramite la propria legislazione interna di porre nel nulla le libertà garantite dal trattato75. Si rileva poi che il soggetto deve agire illegittimamente o abusivamente per far sì che si applichi il principio della sentenza Xxx Xxxxxxxxxx mentre nelle cause in oggetto non vi erano elementi sufficienti per ritenere che il soggetto si fosse stabilito in altro Stato membro al solo fine di eludere la legislazione dello Stato di destinazione dei servizi prestati76.
Nella specifica materia l'indirizzo giurisprudenziale de quo ha trovato puntuale riconoscimento nel quattordicesimo considerando della direttiva 97/36/CE che riconoscere agli Stati membri la facoltà di prendere provvedimenti contro un ente televisivo che, pur avendo stabilito la propria sede in un altro Stato membro, dirige in
00 X. Xx Xx Xxxxx, Prohibition of Abuse of (Community) Law: the Creation of a New General Principle of EC Law through Tax, cit., pp. 402 che fa riferimento ai punti 25, 33, 59 e 61 delle conclusioni dell'Avvocato Generale.
73 Corte di Giustizia, sentenza del 9 settembre 1996, causa X 00/00, Xxxxxxxxxxx x. Xxxxx xxx Xxxxxx, Xxxx., I-4115, e Corte di Giustizia, sentenza del 9 luglio 1997, cause riunite C 34/95, 35/95 e 36/95, Konsumetombudsmannen c. De Agostini (Svenska) e TV Shop i Sverige AB, Racc., I-3843.
74 Punto 74 delle Conclusioni dell'A.G. Xxxx causa C 11/95 e 45 delle conclusioni dell'A.G. Jacobs causa C 34-35-36/95.
75 Al punto 65 della sentenza emessa nella causa C 11/95 la Corte osserva che in ogni caso la giurisprudenza Xxx Xxxxxxxxxx non autorizza uno Stato membro ad escludere in modo generale che taluni servizi possano essere forniti da operatori stabiliti in altri Stati membri, poiché ciò equivarrebbe a sopprimere la libera prestazione di servizi.
76 Punto 47 delle conclusioni dell'A.G. Jacobs causa C 34-35-36/95.
tutto o in parte la propria attività verso il territorio del primo Stato membro, laddove la scelta di stabilirsi nel secondo Stato membro sia stata compiuta al fine di sottrarsi alla legislazione che sarebbe stata applicata ove esso si fosse stabilito sul territorio del primo Stato membro.77
Altra materia in cui si è assistito all'applicazione e allo sviluppo ad opera della Corte di Giustizia del divieto di abuso del diritto comunitario concerne il diritto di stabilimento delle società e il suo eventuale uso abusivo contrastato da norme nazionali appartenenti all'area del diritto societario.
Nella sentenza Centros Ltd78 avente ad oggetto il diritto da parte di una società a responsabilità limitata di diritto inglese costituita da soggetti residenti nei Paesi Bassi, la quale non svolgeva alcuna attività effettiva nel paese di costituzione, quella che oggi si potrebbe definire ai fini tributari una vera e propria società esterovestita, di costituire una succursale ai sensi della normativa olandese, la Corte, richiamata la propria giurisprudenza dalla quale risulta che uno Stato membro ha il diritto di adottare misure volte ad impedire che, grazie alle possibilità offerte dal Trattato, taluni dei suoi cittadini tentino di sottrarsi all'impero delle leggi nazionali, e che gli interessati non possono avvalersi abusivamente o fraudolentemente del diritto comunitario79 precisa che anche
77 Direttiva 97/36/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 30 giugno 1997 che modifica la direttiva 89/552/CEE del Consiglio relativa al coordinamento di determinate disposizioni legislative, regolamentari e amministrative degli Stati membri concernenti l'esercizio delle attività televisive.
78 Corte di Giustizia, sentenza del 9 marzo 1999, causa C 212/97, Centros Ltd contro Erhvervs- og Selskabsstyrelsen, Racc., I-1459 e ss.. R. De La Feria, Prohibition of Abuse of (Community) Law: the Creation of a New General Principle of EC Law through Tax, cit, p. 405, segnala come tale decisione, pur avendo costituito un importante punto di svolta in materia di sede di stabilimento delle società in ambito comunitario avendo segnato l'inizio del processo di introduzione del criterio dell'ordinamento di incorporazione accanto a quello della sede reale della società, rappresenti al contempo un importante passo verso il chiarimento della dottrina in materia di divieto di abuso del diritto ai fini comunitari. Secondo l'autrice a partire da tale sentenza la Corte ha introdotto un nuovo approccio alle norme nazionali antiabuso sostituendo alla precedente e forse semplicistica concettualizzazione, secondo la quale tutte le situazioni di utilizzo delle libertà fondamentali in modo circolare (c.d. ―U turn situation‖ nelle quali un soggetto si stabilisce in un secondo stato membro per dirigere la propria attività verso lo stato di provenienza) era ritenute abusive, una più ristretta concezione nella quale la circolarità non è di per se sufficiente a far ritenere il comportamento abusivo, essa segnerebbe pertanto, mediante una revisione concettuale del concetto di abuso, l'inizio del processo che ha portato la Corte alla definizione dei criteri mediante i quali accertare l'abusività del comportamento nel caso Emsland-Stärke e la loro successiva applicazione alla materia tributaria nei casi Halifax e Cadbury Schweppes.
79 Oltre alle sentenze già citate la Corte richiama le seguenti sentenze, nel settore della libera prestazione dei servizi: 3 ottobre 1990, causa C-61/89, Bouchoucha, Racc., I-3551, punto 14; in materia di libera circolazione delle merci, sentenza 10 gennaio 1985, causa 229/83, Xxxxxxx e a., Racc., 1, punto 27; in materia di previdenza sociale, sentenza 2 maggio 1996, causa C-206/94, Paletta, Racc., I-2357, punto 24; in materia di libera circolazione dei lavoratori, sentenza 21 giugno 1988, causa 39/86, Lair, Racc.,
se i giudici nazionali possono tener conto, basandosi su elementi obiettivi, del comportamento abusivo o fraudolento dell'interessato per negargli eventualmente la possibilità di fruire delle disposizioni di diritto comunitario invocate, tuttavia, nel valutare tale comportamento, essi devono tener presenti le finalità perseguite dalle disposizioni comunitarie di cui trattasi80.
Le norme che disciplinano il diritto di stabilimento sono volte precisamente a consentire alle società costituite conformemente alla normativa di uno Stato membro e che hanno la loro sede sociale, l'amministrazione centrale o il loro stabilimento principale all'interno della Comunità, di svolgere attività negli altri Stati membri per il tramite di un'agenzia, di una succursale o di una filiale, esse pertanto necessariamente conferiscono ai soggetti la libertà di scegliere in quale ordinamento costituire la società in conformità alla legislazione di uno Stato membro per operare in quello stesso Stato ovvero, ad egual titolo, in qualsiasi altro Stato membro, l‘esercizio di tale facoltà non può costituire di per sé un abuso del diritto di stabilimento, posto che abusa del diritto chi ne è titolare quando lo esercita in maniera irragionevole, per ottenere, con danno altrui, «vantaggi illeciti e palesemente estranei all'obiettivo» perseguito dal legislatore con il conferire all'individuo quella determinata situazione soggettiva81. Da ciò consegue che è la normativa olandese, nel caso di specie, ad essere contraria al diritto di stabilimento limitandone l'esercizio, rilevato che secondo la costante giurisprudenza della Corte, i provvedimenti nazionali che possono ostacolare o scoraggiare l'esercizio delle libertà fondamentali garantite dal Trattato devono soddisfare quattro condizioni:
3161, punto 43; in materia di politica agricola comune, sentenza 3 marzo 1993, causa C-8/92, General Milk Products, Racc., I-779, punto 21; in materia di diritto societario, sentenza 12 maggio 1998, causa X-000/00, Xxxxxxx e a., Racc., I-2843, punto 20.
80 Un analogo riferimento alle finalità perseguite dalle norme in discussione nella valutazione del comportamento abusivo o fraudolento dell'interessato era contenuto al punto 25 della sentenza Paletta II del 6 maggio 1996, causa X 000/00, Xxxxxxx XX c. Xxxxxxxx Xxxxxxx, Racc., I-2357.
81 Punto 20 delle conclusioni dell'Avvocato Generale La Pergola che si richiama alla definizione di abuso contenuta al punto 28 della sentenza del 12 maggio 1998, causa X 000/00, Xxxxxxx e che osserva in nota come la formulazione del principio dell'abuso di diritto adottata dalla Corte appaia sostanzialmente ispirata al diritto comune degli Stati membri i cui ordinamenti sono di civil law rinviando a L.N. Xxxxx, Is there a General Principle of Abuse of Rights in European Community Law?, in Institutional Dynamics of European Integration: Essays in Honour of Xxxxx X. Xxxxxxxxx, Dordrecht, 1994, vol. II (a cura di X. Xxxxxx - X. Xxxxxxx), pag. 511, in particolare pag. 515, e che rammenta ―come la tematica dell'abuso si risolva, in ultima analisi, nel definire il contenuto sostanziale della situazione soggettiva, e dunque l'ambito delle facoltà riconosciute al soggetto che ne è titolare. In altri termini, il valutare se il concreto esercizio di un diritto sia abusivo, oppure no, altro non significa che delimitare, sul piano sostantivo, la portata del diritto stesso. In altri termini, il valutare se il concreto esercizio di un diritto sia abusivo, oppure no, altro non significa che delimitare, sul piano sostantivo, la portata del diritto stesso.‖
essi devono applicarsi in modo non discriminatorio, essere giustificati da motivi imperativi di interesse pubblico, essere idonei a garantire il conseguimento dello scopo perseguito e non andare oltre quanto necessario per il raggiungimento di questo, condizioni che ha ritenuto non soddisfatte nel caso di specie. Successivamente la Corte ha ripetutamente ribadito che: ―la circostanza che un cittadino di uno Stato membro che desideri creare una società scelga di costituirla nello Stato membro le cui norme di diritto societario gli sembrino meno severe e crei succursali in altri Stati membri non può costituire un abuso del diritto di stabilimento‖82 anche nell'ipotesi in cui la società costituita nel primo stato diriga la propria attività esclusivamente o principalmente verso altri Stati membri per il tramite di un'agenzia, di una succursale o di una filiale83. La Corte fa comunque salva, anche in tali ipotesi, la possibilità per gli Stati membri di introdurre disposizioni volte a contrastare gli abusi, posto che le norme del trattato consentono effettivamente, entro certi limiti, l' applicazione di un regime speciale per le società costituite secondo il diritto di un altro stato membro, purché questo regime sia giustificato da motivi di ordine pubblico, di pubblica sicurezza o di pubblica sanità, secondo i giudici europei la lotta contro le pratiche fraudolente può quindi, in determinate circostanze , giustificare la disparità di trattamento di una società costituita secondo il diritto di un altro stato membro84.
L'abusività del comportamento andrà pertanto valutata esclusivamente con riferimento alle finalità e agli obiettivi della normativa comunitaria in questione dovendo escludersi il ricorrere di una fattispecie di natura abusiva ogni qual volta il soggetto abbia effettivamente esercitato una libertà fondamentale come prevista dal Trattato; la normativa nazionale anti-abuso dovrà conseguentemente, nel rispetto del principio di primazia del diritto comunitario, discernere tali ipotesi non andando oltre quanto necessario al fine di contrastare le fattispecie nelle quali l'esercizio delle libertà comunitarie da parte del soggetto sia solo apparente e tale apparenza sia stata artificialmente da esso creata onde sfuggire all'applicazione della normativa nazionale. Al contrario non risulterà conforme al diritto comunitario una disposizione nazionale
82 Corte di Giustizia, sentenza 29 aprile 2004, causa C-171/02, Commissione delle Comunità europee contro Repubblica portoghese, Racc., I-0564, punto 56.
83 Corte di Giustizia, sentenza 30 settembre 2003, causa C 167/01, Kamer van Koophandel en Fabrieken voor Amsterdam contro Inspire Art Ltd.,Racc., I-10155, punti 96 e 137.
84 Corte di Giustizia, sentenza 10 luglio 1986, causa C 79/85, D. H. M. Xxxxxx contro Bestuur van de Bedrijfsvereniging voor Bank- en Verzekeringswezen, Groothandel en Vrije Beroepen, Racc., 02375, punti 16 e 17.
che limiti in modo indiscriminato i soggetti residenti in altro Stato Membro, limitando in tal modo l'esercizio delle libertà fondamentali, per il solo fatto che l'esercizio delle dette libertà possa ipoteticamente risolversi in un abuso volto a eludere la disciplina nazionale attinente. La Corte pur riconoscendo il diritto degli Stati membri al contrasto dei comportamenti costituenti abuso del diritto comunitario ha più volte ricordato che l'applicazione di una norma nazionale diretta ad evitare abusi non può comunque pregiudicare la piena efficacia e l'applicazione uniforme delle disposizioni comunitarie negli Stati membri, in particolare i giudici nazionali non possono compromettere gli obiettivi perseguiti dalla normativa di cui trattasi85.
Caratteristica comune dei casi sinora richiamati è la circostanza che la libertà fondamentale garantita a livello comunitario viene, almeno ipoteticamente, abusata, utilizzata quindi per raggiungere obiettivi estranei all'ordinamento e nel caso di specie onde sottrarsi all'applicazione delle disposizioni nazionali altrimenti applicabili. Il soggetto si pone artificialmente in una situazione rilevante dal punto di vista comunitario onde sfuggire all'applicazione del diritto nazionale che gli sarebbe applicabile in mancanza della manovra fraudolenta che lo pone formalmente al riparo della tutela comunitaria accordata all'esercizio di una libertà fondamentale.
L'accertamento dell'abuso, da effettuarsi caso per caso, spetta al giudice nazionale, che dovrà comunque tenere conto delle finalità della disposizione comunitaria oggetto di abuso. Ciò giustificherebbe il diverso trattamento rilevabile nella giurisprudenza della Corte di Giustizia tra i casi attinenti la libertà di prestazione di servizi, nei quali la circostanza che l'operatore economico indirizzi la propria attività principalmente o esclusivamente verso lo stato di provenienza onde sfuggire all'applicazione della disciplina nazionale ha condotto la Corte a riscontrare l'esistenza di una fattispecie potenzialmente abusiva, e quelli attinenti all'esercizio della libertà di stabilimento nei quali, come visto, tale circostanza è stata ritenuta dalla Corte il linea di massima non sufficiente ha comprovare il ricorrere di un abuso del diritto comunitario86.
85 Corte di Giustizia, sentenza 11 settembre 2003, causa X 000/00, Xxxxx Xxxxxxx contro Bundesamt für Soziales und Behindertenwesen Steiermark, Racc., I-08827, punto 37;Corte di Giustizia, causa X 000/00, Xxxxxxx, punto 22; Corte di Giustizia, sentenza 23 marzo 2000, causa C 373/97, Diamantis, punto 34.
86 In tal senso X. Xx Xxxx, International Tax Planning and Prevention of Abuse. A Study under Domestic Tax Law, Tax Treaties and EC Law in relation to Conduit and Base Company, cit., p. 783, secondo il quale il diverso trattamento riscontrabile nella giurisprudenza della Corte è dovuto oltre che al diverso
I soggetti potrebbero infine abusare delle libertà fondamentali al fine non di sfuggire all'applicazione della normativa nazionale rilevante bensì con la finalità di reclamare il diritto a determinate prestazioni ovvero a mere situazioni di vantaggio da questa previste per i soggetti nazionali. Una simile disparità di trattamento, ove fosse basata sulla nazionalità o la residenza dei soggetti, configurerebbe evidentemente una discriminazione vietata dai trattati istitutivi, a meno che le condizioni richieste ai fini del riconoscimento della prestazione in questione non siano state artificialmente create al solo fine di garantirsene la spettanza. Così nei casi in materia di libera circolazione dei lavoratori la concezione restrittiva adottata dalla Corte87 circa il ricorrere di una fattispecie abusiva sarebbe spiegabile ancora una volta con riferimento alle finalità particolarmente ampie della norma oggetto di presunto abuso88.
Nella sentenza Xxxxx-Xxxxxxx00, riguardante una lavoratrice che dopo un breve periodo di lavoro a tempo parziale nello Stato ospitante aveva presentato richiesta per una sovvenzione allo studio che questo riconosceva ai propri studenti-lavoratori, la Corte ha ritenuto che la normativa in materia di libera circolazione dei lavoratori non comprende una situazione abusiva nella quale un cittadino di uno Stato membro si trasferisca in altro Stato membro con il solo scopo, dopo un breve periodo di lavoro, di beneficiare del sistema di assistenza agli studenti dello Stato ospitante. Sarà compito del giudice nazionale valutare se nel caso di specie ci si trovi di fronte ad una fattispecie di natura abusiva e ciò benché la Corte abbia avuto cura di precisare che un'attività lavorativa esercitata a tempo determinato per un periodo limitato da un cittadino di uno Stato membro nel territorio di un altro Stato membro, di cui egli non ha la cittadinanza, può attribuirgli lo status di lavoratore, ai sensi dell'art. 48 del Trattato, qualora l'attività lavorativa esercitata non abbia carattere puramente marginale e accessorio.
In modo simile nella sentenza Xxxxxx00 la Corte ha ritenuto che si verifichi un abuso solo
tenore letterale delle disposizioni in materia di libertà di stabilimento (artt. 43 e 48 TUE) e di libertà di prestazione dei servizi (art. 49 TUE) anche alla diversa natura delle disposizioni nazionali oggetto della manovra elusiva in quanto aventi o meno a oggetto la costituzione di uno stabilimento secondario.
00 X. Xx Xx Xxxxx, Prohibition of Abuse of (Community) Law: the Creation of a New General Principle of EC Law through Tax, cit, p. 411.
88 L‘articolo 45 della versione consolidata del trattato sul funzionamento dell'Unione europea in materia di libera circolazione dei lavoratori all'interno dell'Unione (ex articolo 39 del TCE).
89 Corte di Giustizia, sentenza 6 novembre 2003, causa C-413/01, Xxxxxx Xxxxx-Xxxxxxx contro Bundesminister für Wissenschaft, Verkehr und Kunst., Racc., I-13187
90 Corte di Giustizia, sentenza 23 settembre 2003, causa C-109/01, Secretary of State for the Home
nell'ipotesi integralmente artificiale in cui ci si avvalga delle possibilità offerte dal diritto comunitario ai lavoratori migranti e ai loro coniugi nell'ambito di matrimoni di comodo contratti al fine di eludere le disposizioni relative all'ingresso ed al soggiorno dei cittadini di paesi terzi. Per contro sono irrilevanti per valutare la situazione giuridica della coppia al momento del ritorno nello Stato membro di cui il lavoratore è cittadino i motivi che hanno potuto spingere il lavoratore di uno Stato membro a cercare un'occupazione in un altro Stato membro.
Un altro settore dell'ordinamento comunitario che ha originato alcuni pronunciamenti della Corte di Giustizia che possono risultare utili ai fini del presente studio è quello relativo alle cosiddette ―frodi comunitarie‖ in materia di politica agricola comune91. Tali fattispecie benché riguardino una materia che per la pervasività e particolarità della regolamentazione comunitaria di cui è oggetto deve essere tenuta distinta dagli altri settori di intervento comunitario, in quanto idonee a ledere direttamente gli interessi propri dell'Unione (le c.d. risorse proprie) e non, attraverso lo sfruttamento del diritto comunitario, l'interesse dei singoli Stati membri, presentano invero rilevanti caratteristiche di similarità rispetto alle ipotesi in materia di imposizione sul valore aggiunto e si ritiene possano risultare utili ai fini della individuazione della distinzione tra frode vera e propria ed abuso del diritto comunitario.
E' appena il caso di ricordare che la frode forma oggetto specifico dell'art. 280 del Trattato92 a norma del quale ―La Comunità e gli Stati membri combattono contro la frode e le altre attività illegali che ledono gli interessi finanziari della Comunità stessa mediante misure adottate a norma del presente articolo, che siano dissuasive e tali da permettere una protezione efficace negli Stati membri.‖93
Department contro Xxxxxx Xxxxxx, Racc., I-09607.
91 Su come in tale settore si sia nel tempo sviluppata la giurisprudenza della Corte definendo la necessità di una interpretazione teleologica della normativa a fini di contrasto di comportamenti abusivi si rinvia a X. Xxxxxx, Abuso del diritto e frode alla legge nell'ordinamento comunitario, cit., p. 127 e ss. nonché alle pagine 139 e xx. xxxxx x'xxxxxxxxx xxxx'xxxxxx xxxx'xxx. 0, x. 0, xxx xxxxxxxxxxx (XX, Euratom) del Consiglio 18 dicembre 1995, n. 2988, relativo alla tutela degli interessi finanziari delle Comunità (GU L 312, pag. 1) di una definizione generale di abuso del diritto comunitario. A norma di tale articolo:
―Gli atti per i quali si stabilisce che hanno per scopo il conseguimento di un vantaggio contrario agli obiettivi del diritto comunitario applicabile nella fattispecie, creando artificialmente le condizioni necessarie per ottenere detto vantaggio, comportano, a seconda dei casi, il mancato conseguimento oppure la revoca del vantaggio stesso.‖
92 Trasposto nell‘attuale art. 325 del Trattato sul Funzionamento dell‘Unione Europea.
93 Sul quale v. Rinoldi in Pocar, Commentario breve ai Trattati della Comunità e dell'Unione Europea, Padova 2001, p. 933 e ss..
Appare evidente la similarità delle situazioni di chi si ponga artificiosamente nelle condizioni previste dalla normativa comunitaria onde ottenere indebiti vantaggi finanziari attribuiti dalla normativa in materia di politica agricola comune e chi altrettanto artificiosamente si ponga nelle condizioni previste dalla normativa in materia di imposta sul valore aggiunto onde godere del diritto di detrazione dell'imposta versata o dell'esenzione dall'imposta.
Pochi anni dopo la pronuncia Xxx Xxxxxxxxxx nella quale era stata riconosciuta l'astratta legittimità di norme nazionali che fronteggiassero l'uso a fini di elusione della normativa nazionale delle libertà comunitarie, la Corte di Giustizia, benché non faccia diretta applicazione del principio, fondando la soluzione del caso di specie nella interpretazione delle specifiche norme di diritto derivato che devono trovare applicazione ―interpretate in modo soddisfacente alla luce della finalità del regime delle restituzioni all'esportazione‖94, in risposta ad una specifica constatazione dell'amministrazione convenuta, rileva con la sentenza Xxxxxx, in tale specifico settore, che l‘applicazione del diritto comunitario derivato non potrebbe in alcun caso estendersi fino a farvi rientrare pratiche abusive di operatori economici95.
Un importante punto di arrivo di tale giurisprudenza è costituito, a due decenni di distanza, dalla sentenza emessa nella causa C 110/99 Emsland-Stärke96 in materia di restituzioni all'esportazione di prodotti agricoli (amidi modificati) i quali subito dopo l'immissione in consumo in uno Stato terzo (la Svizzera) veniva reintrodotti nella Comunità previo pagamento dei relativi dazi all'importazione lucrando la rilevante differenza monetaria tra le restituzioni ottenute ed i dazi versati. Era stato accertato che i prodotti venivano effettivamente trasportati in Svizzera, il che ci sembra escluda la configurabilità della vera e propria frode cioè della creazione mediante falsa documentazione di una mera apparenza delle condizioni normative di attribuzione del vantaggio, per essere reimportati in Germania o in Italia subito dopo il disbrigo delle
94 Corte di Giustizia, sentenza 11 ottobre 1977, causa X 000/00, Xxxxx Xxxxx Xxxxxx contro Bundesanstalt für landwirtschaftliche Marktordnung, Racc., 01593, punto 13.
95 Corte di Giustizia, causa C 125/76, Xxxxx Xxxxxx, punto 21
96 Corte di Giustizia, causa X 000/00, Xxxxxxx-Xxxxxx. X. Xx Xx Xxxxx, Prohibition of Abuse of (Community) Law: the Creation of a New General Principle of EC Law through Tax, cit.,, p. 396 segnala come tale sentenza abbia segnato tra l'altro un punto di svolta circa la terminologia utilizzata dalla Corte grazie all'adozione, diversamente da quanto si era verificato in passato, di una terminologia univoca facente riferimento al ―divieto di abuso‖ e di ―pratiche abusive‖ e l'abbandono dei riferimenti indifferenziati precedentemente utilizzati ai termini ―aggiramento‖, ―evasione‖,
―elusione‖, ―frode‖.
formalità doganali. La parte aveva insistito sul rispetto formale delle condizioni previste dalla normativa ai fini della attribuzione delle restituzioni all'esportazione, costituite dalla produzione della prova che le merci avessero lasciato il territorio della comunità, nonché su motivazioni attinenti alla fondamentale esigenza di certezza del diritto; riconosciuto dalla Corte il rispetto delle condizioni formali richieste dalla norma essa, su suggerimento formulato dalla Commissione nelle sue osservazione97, analizza la fattispecie onde valutare se alla stessa sia applicabile il divieto di abuso del diritto comunitario, posto che le circostanze concrete dell'operazione di cui alla causa principale ―potrebbero lasciar supporre l'esistenza di una pratica abusiva, cioè una fuoriuscita dal territorio comunitario meramente formale realizzata al solo scopo di
97 Nei punti da 36 a 39 vengono riportate le interessanti osservazioni della Commissione: ―A suo avviso, il regolamento n. 2730/79 non costituirebbe un fondamento giuridico che consenta l'esazione del rimborso delle restituzioni all'esportazione; tuttavia, la Commissione ritiene che, date le circostanze della causa principale, la questione dovrebbe essere esaminata sotto il profilo dell'abuso di diritto. A questo fine, essa cita l'art. 4, n. 3, del regolamento (CE, Euratom) del Consiglio 18 dicembre 1995, n. 2988, relativo alla tutela degli interessi finanziari delle Comunità (GU L 312, pag. 1), secondo cui «gli atti per i quali si stabilisce che hanno per scopo il conseguimento di un vantaggio contrario agli obiettivi del diritto comunitario applicabile nella fattispecie, creando artificialmente le condizioni necessarie per ottenere detto vantaggio, comportano, a seconda dei casi, il mancato conseguimento oppure la revoca del vantaggio stesso». Il detto regolamento non era certamente in vigore all'epoca dei fatti della causa principale, tuttavia la Commissione ritiene che la disposizione citata altro non sia che l'espressione di un principio generale del diritto già vigente nell'ordinamento giuridico comunitario. A suo avviso, tale principio giuridico generale dell'abuso di diritto esisterebbe in quasi tutti gli Stati membri ed avrebbe già trovato applicazione nella giurisprudenza della Corte, benché la Corte non l'abbia espressamente riconosciuto come principio generale del diritto comunitario. La Commissione si richiama a questo riguardo alle sentenze 11 ottobre 1977, causa 125/76, Xxxxxx (Racc. pag. 1593), 27 ottobre 1981, causa 250/80, Töpfer e a. (Racc. pag. 2465) e 3 marzo 1993, causa C-8/92, General Milk Products (Racc. pag. I-779), nonché alle conclusioni dell'Avvocato generale Xxxxxxx nella causa Pafitis e a. (sentenza 12 marzo 1996, causa C-441/93, Racc. pag. I-1347). La Commissione sostiene che per il concretarsi dell'ipotesi di abuso di diritto sarebbe necessaria la presenza di tre elementi concomitanti: - un elemento oggettivo, vale a dire la prova che le condizioni per la concessione di una prestazione sono state create artificiosamente, cioè che l'operazione commerciale non è stata conclusa per uno scopo economico, bensì esclusivamente per l'ottenimento delle sovvenzioni, a carico del bilancio comunitario, che accompagnano questa operazione. Ciò richiederebbe un'analisi, da compiere caso per caso, tanto del senso e dello scopo della normativa comunitaria di cui trattasi, quanto del comportamento di un operatore economico avveduto che gestisca i propri affari nel rispetto delle norme giuridiche in materia ed in conformità agli usi economici e commerciali esistenti nel settore interessato; - un elemento soggettivo, ovvero il fatto che l'operazione commerciale in questione è stata compiuta fondamentalmente per ottenere un vantaggio finanziario in contrasto con lo scopo della normativa comunitaria; - un elemento procedurale relativo all'onere della prova. Questo sarebbe a carico dell'amministrazione nazionale competente. Tuttavia nei casi più gravi di abuso sarebbe possibile anche un «principio di prova» il quale porti eventualmente ad un'inversione dell'onere della prova.‖ Essa aggiunge infine in riferimento alle motivazioni attinenti all'esigenza di certezza che qualora l'esistenza di una pratica abusiva venisse confermata, l'obbligo di rimborso non violerebbe il principio di legalità. Infatti, esso non costituirebbe una sanzione, per la quale sarebbe necessario un fondamento giuridico chiaro e non ambiguo, bensì la semplice conseguenza della constatazione che le condizioni richieste per l'ottenimento del beneficio derivante dalla normativa comunitaria sono state create artificiosamente, rendendo indebite le restituzioni concesse e giustificando, di conseguenza, l'obbligo di restituzione.
beneficiare delle restituzioni all'esportazione.‖ Posto che, come affermato nella sentenza Xxxxxx, l‗applicazione dei regolamenti comunitari non può estendersi fino alla tutela di pratiche abusive degli operatori economici, la Corte rileva che la constatazione che nel singolo caso di specie si tratti di una pratica abusiva richiede la ricorrenza di: a) un elemento soggettivo: lo sviamento dall‘obiettivo perseguito dalla normativa, costituito da un insieme di circostanze obiettive dalle quali risulti che nonostante il rispetto formale delle condizioni previste dalla stessa l‘obiettivo perseguito dalla stessa normativa non è stato raggiunto; b) un elemento soggettivo che consiste nella volontà di ottenere un vantaggio derivante dalla normativa comunitaria mediante la creazione artificiosa delle condizioni necessarie per il suo ottenimento. Essa aggiunge peraltro che spetta al giudice nazionale stabilire l'esistenza dei due detti elementi, la cui prova può essere fornita conformemente alle norme del diritto nazionale, purché ciò non pregiudichi l'efficacia del diritto comunitario98.
L'accertamento del primo elemento richiederà la verifica della rispondenza tra le finalità e gli obiettivi perseguiti dalle disposizioni comunitarie invocate dal soggetto e i risultati conseguenti alla sua applicazione nel caso di specie. Mentre la determinazione di tali obiettivi e finalità, richiedendo l'interpretazione del diritto comunitario, in caso di incertezza rientra nella competenza della Corte di Giustizia; l'accertamento dei fatti della controversia rientra nella competenza dei giudici nazionali, i quali devono comunque garantire la piena efficacia e l'applicazione uniforme delle disposizioni comunitarie negli Stati membri.
Pertanto il giudice nazionale, ove sia configurabile l'utilizzo abusivo delle disposizioni comunitarie invocate dal soggetto la cui condotta integri, dal punto di vista formale, le condizioni richieste dalla normativa stessa al fine della sua applicazione al caso di specie, dovrà, in primo luogo, procedere all‘accertamento degli obiettivi della normativa comunitaria in oggetto99, se del caso rivolgendosi per la sua interpretazione alla Corte di Giustizia; e successivamente procedere alla comparazione tra tali obiettivi e quelli raggiunti o perseguiti dal soggetto mediante l‘applicazione di tale normativa nel caso di
98 Corte di Giustizia, causa C 000/00, Xxxxxxx Xxxxxx, punti 50 e ss..
99 Si veda il punto 25 della sentenza Corte di Giustizia, causa C 212/97, Centros ove la Corte afferma che i giudici nazionali nel valutare il comportamento abusivo o fraudolento dell'interessato per negargli eventualmente la possibilità di fruire delle disposizioni di diritto comunitario invocate devono tener presenti le finalità perseguite dalle disposizioni comunitarie di cui trattasi.
specie come risultanti dalle circostanze obiettive di esso100. Ne consegue che dovendosi procedere ad una verifica caso per caso e fatta eccezione per l'eventuale riscontro di un nucleo comune che valga a definire il concetto di abuso a livello generale in seno al diritto comunitario, tale concetto non può che atteggiarsi in modo differente a seconda della disciplina all'interno del quale l'interprete è chiamato a dare ad esso, di volta in volta, attuazione e che, pertanto, i pronunciamenti della Corte di Giustizia che involgano una valutazione circa la ricorrenza di una condotta abusiva non possono che avere una valenza limitata di precedente circoscritta alla medesima materia o, conseguentemente al riscontro dell'analogia delle finalità perseguite, a materie analoghe.
E‘ appena il caso di ricordare la centralità che la Corte attribuisce alle finalità e agli obiettivi della normativa comunitaria e conseguentemente alla sua interpretazione teleologica nelle proprie statuizioni in materia di abuso del diritto, se tali finalità ed obiettivi costituiscono infatti il termine di paragone onde valutare, dal punto di vista oggettivo, l'abusività del comportamento del soggetto che invoca la tutela della norma comunitaria o ne reclama i benefici, essi costituiscono al contempo il limite all'applicazione delle norme nazionali antiabusive, che in tanto possono ritenersi legittime e non contrastanti con il diritto comunitario in quanto ne condividano le finalità e tutelino gli obiettivi e non eccedano quanto necessario a tal fine, si che: ―Pur non potendo la Corte sostituire la propria valutazione a quella dei giudici nazionali per accertare i fatti della controversia di cui essi sono investisti, va tuttavia ricordato che l'applicazione di una tale norma nazionale non può comunque pregiudicare la piena efficacia e l'applicazione uniforme delle disposizioni comunitarie negli Stati membri101. In particolare, i giudici nazionali non possono, nel valutare l'esercizio di un diritto derivante da una disposizione comunitaria, modificare il contenuto di detta disposizione
100 In merito a tali circostanze De Broe osserva che la determinazione della abusività di un comportamento sembra dover avvenire alla luce di una combinazione di circostanze obbiettive, il che suggerisce che una singola circostanza può di norma essere insufficiente a comprovare l'abuso (il riferimento è al punto 64 delle conclusioni dell'Avvocato Generale Xxxxxxxxx nella causa C 279/05 Xxxx Dairy Products BV), ciò non toglie che occasionalmente la Corte sembri ritenere una singola circostanza come sufficiente a comprovare la ricorrenza dell'abuso (il riferimento e al punti 46 e 47 della sentenza Corte di Giustizia, causa C 201/01, Walcher) in considerazione della forza probatorio rivestita da tale circostanza nello specifico caso, X. Xx Xxxx, International Tax Planning and Prevention of Abuse. A Study under Domestic Tax Law, Tax Treaties and EC Law in relation to Conduit and Base Company, cit., p. 758.
101 Corte di Giustizia, sentenza 12 marzo 1996, causa C 441/93, Xxxxxxx Xxxxxxx e altri c. Trapeza Kentrikis Ellados AE e altri, Racc., I-1347, punto 68.
né compromettere gli obiettivi da essa perseguiti.‖102
Volendo esaurire l'esame degli elementi di natura puramente oggettiva contenuti nella definizione della condotta abusiva fornita dalla Corte di Giustizia nella sentenza Emsland-Stärke ci sembra che tra essi debba farsi rientrare per il ruolo centrale ad esso attribuibile, sebbene la Corte vi faccia riferimento in sede di definizione dell'elemento soggettivo, all'artificialità della creazione delle condizioni formali richieste per l‘applicazione della normativa comunitaria in oggetto103. Esso ci sembra possa costituire una circostanza obiettiva, tra quelle dal riscontro delle quali il giudice nazionale è chiamato ad accertare lo sviamento della normativa comunitaria e costituenti nel loro insieme, secondo la Corte, l'elemento oggettivo dell'abuso, avente portata generale benché di per sé evidentemente non sufficiente a comprovare l'abusività ma avente valenza solo indiziaria, appare chiaro infatti che la circostanza che il soggetto abbia artificialmente creato le condizioni necessarie all'applicazione della normativa di per sé non esclude che di fatto gli obiettivi conseguiti coincidano ugualmente con quelli delle disposizioni comunitarie invocate nel caso di specie. Tale generalità ne spiegherebbe la ricomprensione all'interno della definizione di pratica abusiva fornita dalla Corte di Giustizia.
A sua volta la circostanza che le operazioni di importazione ed esportazione non siano effettuate nell'ambito di operazioni commerciali normali costituirà un evidente sintomo della artificiosità delle stesse104; si noti la somiglianza di tale circostanza con il requisito tipico della normativa antielusiva tributaria della assenza di valide ragioni economiche. Secondo tali previsioni, di regola, in tanto una operazione economica può dirsi artificiosa in quanto non sia effettuata nell'ambito di normali transazioni commerciali, posto che normale deve ritenersi un comportamento economicamente razionale e pertanto volto alla massimizzazione dei profitti o comunque delle utilità, anormale sarà
102 Corte di Giustizia, causa X-000/00, Xxxxxxx, punto 22.
103 In proposito si richiama l'attenzione su quanto sostenuto dalla Commissione e riportato al punto 39 della sentenza Emsland-Stärke e cioè che per il concretarsi dell'ipotesi di abuso di diritto sarebbe necessaria la presenza di tre elementi concomitanti tra i quali un elemento oggettivo, vale a dire la prova che le condizioni per la concessione di una prestazione sono state create artificiosamente, cioè che l'operazione commerciale non è stata conclusa per uno scopo economico, bensì esclusivamente per l'ottenimento delle sovvenzioni, a carico del bilancio comunitario, che accompagnano questa operazione. Ciò richiederebbe un'analisi, da compiere caso per caso, tanto del senso e dello scopo della normativa comunitaria di cui trattasi, quanto del comportamento di un operatore economico avveduto che gestisca i propri affari nel rispetto delle norme giuridiche in materia ed in conformità agli usi economici e commerciali esistenti nel settore interessato.
104 Corte di Giustizia, causa C 000/00, Xxxxxxx Xxxxxx, punto 51.
un comportamento che non trovi in tali finalità la propria ragion d'essere ma sia esclusivamente o principalmente finalizzato ad eludere il trattamento giuridico ordinariamente applicabile, in quanto avente tali finalità esso sarà privo di motivazioni economiche sufficienti a giustificarne autonomamente l'adozione.
Altra circostanza oggettiva che sembra possa avere valenza generale è quella relativa alla tempistica delle operazione che nel loro insieme determinano l'artificiale costruzione delle condizioni formali di applicazione, anche se più che di una circostanza a sé stante sembra doversi parlare di uno degli elementi indiziari dai quali il giudice può dedurre la natura artificiale della costruzione105.
A tali circostanze fornite di una valenza generale si affiancano quelle di volta in volta individuate dalla Corte con riferimento ad ambiti specifici:
con riferimento all'abuso delle libertà fondamentali: la circostanza che l'attività sia indirizzata unicamente o principalmente verso lo stato di provenienza del soggetto (casi Xxx Xxxxxxxxxx, Veronica, TV10)106;
con riferimento alla libera circolazione delle merci o ai benefici previsti in sede di politica agricola comune: la presenza di movimentazioni circolari di merci (c.d. ―U- Turns‖) qualora l'esportazione e la successiva reimportazione siano effettuate dal
105 In proposito nella sentenza 11 marzo 2004, causa C 9/02, de Laysterie du Xxxxxxxx, la Corte dopo aver rilevato che la normativa in questione (c.d. exit tax) non ha l‘oggetto specifico di escludere da un vantaggio fiscale le operazioni puramente artificiali il cui scopo sarebbe di aggirare la normativa fiscale francese, ma riguarda, in maniera generale, ogni situazione in cui un contribuente detentore di partecipazioni sostanziali in una società soggetta all‘imposta sulle società trasferisca per una qualunque ragione il proprio domicilio fiscale al di fuori della Francia, sembra affermare che, mentre il semplice mancato guadagno subito da uno Stato membro a causa del trasferimento del domicilio fiscale del contribuente in un altro Stato membro, in cui la normativa fiscale è diversa ed eventualmente più vantaggiosa per tale contribuente, non può, di per sé, giustificare una restrizione del diritto di stabilimento, posto che, conformemente ad una giurisprudenza consolidata, la riduzione di entrate fiscali non può essere considerata come un motivo imperativo di interesse generale che possa essere fatto valere per giustificare una misura in linea di principio incompatibile con una libertà fondamentale, ove lo scopo perseguito sia quello di impedire che un soggetto passivo trasferisca temporaneamente il suo domicilio fiscale prima di cedere titoli mobiliari con il solo scopo di eludere il pagamento dell‘imposta sulle plusvalenze dovuta in Francia, esso appare astrattamente idoneo a legittimare misure meno vincolanti o meno restrittive della libertà di stabilimento di quelle di cui alla causa in oggetto, si da evitare di compromettere la situazione dei contribuenti il cui unico obiettivo sia quello di esercitare in piena buona fede la libertà di stabilimento in un altro Stato membro. Altri riferimento sono contenuti al punto 43 della sentenza Xxxx, causa C 39/86, e al punto 30 della sentenza Xxxx Diary Products, causa C 279/05.
106 Tale circostanza di per sé peraltro non è idonea a dimostrare l'esistenza di un abuso posto che l'art. 49 TUE non richiede che un fornitore di servizi fornisca necessariamente servizi anche a clienti del proprio Stato di origine (Corte di Giustizia, sentenza 5 giugno 1997, causa C 56/96, TV4 Ltd, punto 22).
medesimo soggetto o da soggetti tra loro collegati107 (Emsland-Starke, General Milk Products, Leclerc, Deutscher Apothekeverband108).
La constatazione dell'esistenza dell'abuso richiede inoltre, come visto, un elemento soggettivo che, nelle parole della Corte, consiste nella volontà di ottenere un vantaggio derivante dalla normativa comunitaria mediante la creazione artificiosa delle condizioni necessarie per il suo ottenimento. Appare chiaro che ogni qual volta tale creazione in maniera artificiale delle condizioni necessarie per l'ottenimento del vantaggio derivante dalla normativa comunitaria abbia come fine ovvero non possa avere altro fine che il conseguimento del detto vantaggio, tale elemento dovrà ritenersi sussistente. L'intenzione delle parti di ottenere un tale vantaggio, al di fuori del caso specifico109, sembra pertanto dover essere ricavata dal carattere artificiale delle operazioni e pertanto di volta in volta in definitiva sulla base delle circostanze obiettive dell'operazione; entrambi gli elementi costituenti l'abuso sarebbero pertanto da ricavare, e in effetti non si vede come potrebbe essere altrimenti, a partire da un indagine sugli elementi oggettivi della singola fattispecie110.
107 Al punto 71 delle proprie conclusioni generali nella causa Emsland Stärke l'Avvocato Generale Xxxxx rileva come la circostanza obiettiva che si sia verificata la reimportazione dei medesimi beni non appare sufficiente al fine della presunzione circa il mancato raggiungimento degli obiettivi della normativa comunitaria, salvo che essa comprovi che non vi era la genuina intenzione di esportare i beni al fine della loro commercializzazione all'esterno della Comunità ovvero come espresso dell'articolo 20(4)(c) del Regolamento n. 800/1999 ―che le esportazioni non erano condotte nell'ambito di normali transazioni commerciali‖, il che sarebbe escluso dalla buona fede dell'esportatore qualora i beni fossero stati reimportati all'interno della Comunità esclusivamente a seguito di una autonoma decisione commerciale dell'originario cessionario.
108 Corte di Giustizia, sentenza 11 dicembre 2003, causa X 000/00, Xxxxxxxxx Xxxxxxxxxxxxxxxx.
000 Xx merito la Corte afferma al punto 53 della sentenza Emsland Stärke che: ―L'esistenza di un simile elemento soggettivo può essere dimostrata, in particolare, dalla prova di una collusione tra l'esportatore comunitario, beneficiario delle restituzioni, e l'importatore della merce nel paese terzo.‖
110 Di questa opinione De Xxxx secondo il quale la natura artificiale degli accordi rivela il loro fine ultimo. Il fine di una accordo essendo quello che le parti intendevano conseguire e deve essere accertato sulla base di un insieme di circostanze obiettive. Non si richiede un indagine sui motivi delle parti ma la determinazione del fine ultimo di tali accordi cioè l'abuso della norma comunitaria da ricavare sulla base di una serie di circostanze obiettive quali l'artificialità, l'inadeguatezza, etc. della forma in cui tali accordi sono stati conclusi. Secondo l'autore l'abuso del diritto comunitario è una nozione solo ―finalisticamente orientata‖ nel senso che deve esserci una chiara e logica connessione tra tutte le circostanze obiettive della fattispecie nella direzione dell'ottenimento di un vantaggio comunitario, sicché tali circostanze conducano alla conclusione che gli accordi sono stati conclusi in quella particolare forma al fine unico di ottenere un vantaggio non voluto dalla normativa comunitaria. Secondo tale autore una definizione maggiormente corretta della nozione di abuso come ricavabile dalla sentenza Emsland Starke sarebbe la seguente: quando da un insieme di circostanze obiettive si ricava (i) che un operatore economico intendeva ottenere un beneficio garantito dal diritto comunitario mediante la creazione di una costruzione artificiale che corrispondesse formalmente alle condizioni richieste dalla normativa (elemento soggettivo) e che (ii) a dispetto di tale osservanza formale l'obiettivo e le finalità della normativa comunitaria sarebbero frustate ove il beneficio fosse
Ci sembra si riassumano nella sentenza emessa in occasione della causa Emsland- Stärke, al di là di una definizione degli elementi costitutivi il concetto di pratica abusiva che pur riassumendo e puntualizzando quanto affermato dalla precedente giurisprudenza della Corte e recentemente da questa confermati, con riferimento alla stessa materia, in occasione della sentenza Xxxx Dairy Products111, può ritenersi influenzata dallo specifico settore di applicazione, alcune delle problematiche che varranno in seguito a definire in termini generali il concetto di abuso del diritto comunitario: la necessità dell'interpretazione teleologica della normativa, la necessità di tenere conto delle esigenze di certezza del diritto, di tutela dell'affidamento e di effettività del diritto comunitario ed il conseguente legame col regime della prova e con le normative processuali nazionali applicabili.
Oltre a specifiche previsioni contenute in singoli atti normativi una previsione in termini generali delle fattispecie di natura abusiva è contenuta all'art. 4, par. 3, del Regolamento
n. 2988/95/CE in materia di tutela degli interessi finanziari della comunità112 a norma del quale comportano il mancato conseguimento oppure la revoca del vantaggio gli atti per i quali si stabilisca che hanno per scopo il conseguimento di un vantaggio contrario agli obbiettivi del diritto comunitario applicabile nella fattispecie, ove siano state artificiosamente create le condizioni per l‘ottenimento di tale vantaggio. Tale misura non si considera sanzione e pertanto per la sua applicazione non devono essere rispettate le condizioni richieste dal Regolamento per l'applicazione delle vere e proprie sanzioni amministrative. Tale previsione è stata tra l'altro, come visto, invocata nelle conclusioni presentate dalla Commissione nella causa X 000/00 Xxxxxxx-Xxxxxx a fondamento dell'esistenza di un principio generale di divieto di abuso del diritto comunitario113 e parte della dottrina ne ha sottolineato l'importanza ai fini della iniziale formulazione da parte della Corte di Giustizia della definizione di pratica abusiva contraria al diritto
riconosciuto (elemento oggettivo). De Broe L. , International Tax Planning and Prevention of Abuse. A Study under Domestic Tax Law, Tax Treaties and EC Law in relation to Conduit and Base Company, cit, p. 765 e ss.. Di diverso avviso circa la necessità di un indagine sulle motivazioni delle parti X. Xxxxxx Xxxxxxxx, Abuse of Rights in Community Law. A Principle of Substance or Merely Rhetoric, in Common Market Law Rewiew 2006, p. 457.
111 Xxxxx xx Xxxxxxxxx,xxxxxxxx 00 gennaio 2007, causa C-279/05, Xxxx Dairy Products BV contro Productschap Zuivel, Racc., I-00239.
112 Regolamento n. 2988/95 del Consiglio del 18 dicembre 1995 relativo alla tutela degli interessi finanziari della Comunità in GUCE L 312 del 23 dicembre 1995.
113 Vedi nota 34.
comunitario114. La circostanza che nel caso di specie si trattasse di una fattispecie avente ad oggetto le risorse proprie della Comunità venne ritenuta da molti dei commentatori della decisione come centrale, proprio in considerazione del riferimento alla normativa in materia; in conseguenza di ciò diverse autorità fiscali, tra cui quella britannica che per prima solleverà la questione dinanzi alla Corte di Giustizia, ritennero il principio giurisprudenziale contenuto nella sentenza applicabile quanto meno alla materia dell'imposta sul valore aggiunto in quanto facente parte delle dette risorse proprie115. Da tale applicabilità e però derivata l'ulteriore questione di un principio di divieto di abuso del diritto comunitario che in quanto tale troverebbe applicazione solo in tale settore impositivo mentre nell'imposizione diretta esso opererebbe come limite alle libertà fondamentali riconosciute dal Trattato a tutela della normativa nazionale; una tale situazione non poteva che generare confusione e ambiguità determinando un vivace dibattito circa l'esistenza di un unico ovvero di più principi in materia di abuso del diritto all'interno dell'ordinamento comunitario e nella materia tributaria in particolare.
L'iniziale proposta di regolamento presentata dalla Commissione116 prevedeva espressamente all'art. 3, tra le specifiche fattispecie rientranti nella nozione quadro di irregolarità di cui all'art. 1, l'abuso della normativa comunitaria, costituito dagli atti commessi nell'intento di ottenere vantaggi indebiti, ponendo in essere una situazione formalmente conforme alle condizioni legali, attraverso operazioni fittizie e artificiose, sprovviste di una motivazione economica pertinente e contrarie alle finalità della normativa di cui trattasi.
A sostegno della valenza generale che nel corso del tempo è venuto ad assumere il principio di divieto di abuso del diritto comunitario possono infine essere richiamati ulteriori settori nei quali la Corte ha affrontato la relativa questione, quali quelli del diritto del lavoro e sindacale come nella sentenza emessa in occasione del caso Laval117
114 F. A. Xxxxxx Xxxxx, The „abuse of tax law‟: prospects and analysis, versione scritta del seminario dottorale tenuto all'Università di Bergamo sotto il titolo ―L'abuso del concetto di abuso della legge tributaria‖ dal 3 al 6 novembre 2008 che osserva come la previsione, benché possa costituire la manifestazione di un principio generale del diritto comunitario, trovi nella legislazione secondaria la definizione degli elementi per la verifica dell'esistenza di una pratica abusiva e la individuazione delle conseguenze giuridiche derivanti dal suo accertamento.
000 X. Xx Xx Xxxxx, Prohibition of Abuse of (Community) Law: the Creation of a New General Principle of EC Law through Tax, cit., p.411.
116 Proposta di Regolamento del Consiglio relativo alla tutela degli interessi finanziari della Comunità in GUCE C 216 del 6 agosto 1994.
117 Corte di Giustizia, sentenza 18 dicembre 2007, causa C-341/05, Laval un Partneri Ltd/Svenska
e della normativa in materia di immigrazione e diritto di cittadinanza come nelle sentenza relativa al caso Xxxx000. Tali casi, congiuntamente a quelli in materia di libertà di circolazione dei lavoratori, suggerirebbero un più prudente approccio della Corte di Giustizia nell'applicazione del divieto di abuso del diritto comunitario alle ipotesi riguardanti le persone fisiche rispetto alle ipotesi aventi ad oggetto situazioni puramente commerciali coinvolgenti persone giuridiche119.
Byggnadsarbetareförbundet, Svenska Byggnadsarbetareförbundets avd. 1, Byggettan, Svenska Elektrikerförbundet, Racc., I-11767.
118 Corte di Giustizia, sentenza 19 ottobre 2004, causa C-200/02, Xxxxxxx Xxxxxxxxx Xxx, Xxx Xxxxxxx Xxxx v. Secretary of State for the Home Department, Racc., I-9925.
000 X. Xx Xx Xxxxx, Prohibition of Abuse of (Community) Law: the Creation of a New General Principle of EC Law through Tax, cit., p. 417.
2.3 ABUSO DEL DIRITTO COMUNITARIO E IMPOSIZIONE DIRETTA.
Nella materia dell'imposizione diretta gli Stati membri hanno conservato, anche in seguito all'istituzione delle Comunità Europea, la pienezza della loro sovranità, non essendo stato previsto dai Trattati Istitutivi e dalle loro successive modifiche alcuna competenza od intervento comunitario in tale settore impositivo120; la relativa competenza deve peraltro essere esercitata dagli Stati membri anche in tale settore, come ha ormai più volte ribadito la Corte di Giustizia, nel rispetto della primazia del diritto comunitario.
A tale riserva di sovranità, come vedremo, ha fatto sovente riferimento parte della dottrina onde escludere l'applicabilità alla materia delle imposte dirette della teoria dell'abuso del diritto come sviluppata dalla Corte di Giustizia nella materia dell'imposizione sul valore aggiunto.
Ciononostante anche nella materia dell'imposizione diretta, al fine di evitare che le differenze tra le legislazioni nazionali ostacolassero l'esercizio delle libertà fondamentali previste dal Trattato e falsassero il corretto funzionamento del mercato interno, sono state emanate direttive volte al riavvicinamento ed all'armonizzazione delle diverse legislazioni nazionali ove fossero coinvolte situazioni di rilevanza sovranazionale. In tale ambito gli Stati Membri, al fine di salvaguardia del proprio gettito fiscale, hanno ottenuto l'introduzione di norme che riconoscessero la validità delle disposizioni antielusive nazionali ovvero consentissero in sede di trasposizione delle relative direttive la introduzione di specifiche norme antielusive.
La direttiva n. 90/434 riguardante il regime fiscale delle operazioni straordinarie tra società di Stati membri diversi 121 prevede all'art. 11 la possibilità per gli Stati membri di
120 L'unica disposizione riferibile a tale materia era quella di cui all'art. 293 del Trattato Istitutivo a norma della quale: ―Gli Stati membri avvieranno fra loro, per quanto occorra, negoziati intesi a garantire, a favore dei loro cittadini:...— l'eliminazione della doppia imposizione fiscale all'interno della Comunità,...‖ peraltro abrogato a seguito dell‘entrata in vigore del Trattato su Funzionamento dell‘Unione Europea.
121 Direttiva del Consiglio 90/434/CEE relativa al regime fiscale comune da applicare alle fusioni, alle
rifiutare o revocare i benefici fiscali in essa previsti qualora risulti che l'operazione ha come obiettivo principale o come uno degli obiettivi principali la frode122 o l'evasione fiscale; il fatto che una delle operazioni oggetto della direttiva non sia effettuata per valide ragioni economiche, quali la ristrutturazione o la razionalizzazione delle attività delle società partecipanti all'operazione, può costituire fondamento della presunzione che quest'ultima abbia come obiettivo principale o come uno degli obiettivi principali la frode o l'evasione fiscale.
Tale disposizione sembrerebbe richiedere esclusivamente un elemento soggettivo costituito dall'obiettivo di frode (rectius: elusione) o di evasione, la mancanza di valide ragioni economiche varrebbe ad evidenziare tale circostanza potendo porsi alla base della presunzione circa la sua esistenza. Una tale definizione di abuso, non valida in senso generale nel diritto comunitario benché pur sempre espressione del principio generale di divieto di abuso del diritto comunitario, sarebbe collegata alle particolari finalità della direttiva, in particolare la mancanza di valide ragioni economiche in tale ambito sarebbe sufficiente a rendere insussistente la necessità di garantire la neutralità fiscale delle operazioni di riorganizzazione previste dalla direttiva e pertanto non necessari i benefici da essa previsti. Gli specifici obiettivi e la particolare materia di cui alla direttiva giustificherebbero la difformità del concetto di abuso in essa contenuto per il quale appare sufficiente la mancanza di valide ragioni economiche sottostanti l'operazione di riorganizzazione, diversamente da quanto avviene nel resto del diritto comunitario anche tributario dove l'assenza di valide ragioni economiche ovvero l'esclusiva finalità di conseguire un vantaggio fiscale non costituisce di per sé, diversamente da quanto di regola avviene nei diritti nazionali, elusione fiscale ovvero abuso del diritto123.
Nell'interpretare la disposizione di cui all'art. 11 della Direttiva 434/90 la Corte di Giustizia ha ritenuto che per accertare se l'operazione che s'intende effettuare abbia un obiettivo di frode o di evasione fiscale, le autorità nazionali competenti non possono
scissioni, ai conferimenti d'attivo ed agli scambi di azioni concernenti società di Stati membri diversi in GUCE L 225 del 20 agosto 1990 p. 1 e ss..
122 Tax avoidance nella versione in lingua inglese ad ulteriore conferma di come la non corretta traduzione dei testi normativi comunitari possa generare dubbi interpretativi e addirittura influire nella definizione e precisazione dei concetti e istituti giuridici in ambito europeo.
123 F. A. Xxxxxx Xxxxx, The „abuse of tax law‟: prospects and analysis, cit., versione scritta del seminario dottorale tenuto all'Università di Bergamo sotto il titolo ―L'abuso del concetto di abuso della legge tributaria‖ dal 3 al 6 novembre 2008.
limitarsi ad applicare criteri generali predeterminati, ma devono procedere, caso per caso, ad un esame globale dell'operazione. Secondo una giurisprudenza costante, tale esame deve poter essere oggetto di sindacato giurisdizionale124. In assenza di disposizioni più precise relative alla presunzione prevista dalla norma spetterà agli Stati Membri determinare nel rispetto del principio di proporzionalità le modalità necessarie all'applicazione della presunzione125. Ciò implica che non possano essere stabilite presunzioni assolute ma al contribuente deve essere data la possibilità di dimostrare che l'operazione ritenuta abusiva non ha quale obiettivo principale o quale uno dei suoi obiettivi principali l'elusione o l'evasione.
Benché eccessivamente scarno nella definizione del comportamento abusivo, probabilmente in considerazione dell'incertezza che regnava in materia al tempo dell'approvazione e onde consentire l'avvallo politico all'emanazione della direttiva, tale articolo riflette il principio di divieto di abuso del diritto comunitario come sviluppatosi nella giurisprudenza della Corte di Giustizia, come la stessa ha avuto modo di affermare al punto 38 della sentenza Kofoed126, secondo il quale i singoli non possono avvalersi fraudolentemente o abusivamente delle norme di diritto comunitario e l‘applicazione di queste ultime non può essere estesa sino a comprendere pratiche abusive, ossia operazioni effettuate non nell‘ambito di normali transazioni commerciali, ma unicamente allo scopo di beneficiare abusivamente dei vantaggi previsti dal diritto comunitario.
La Corte in tale pronuncia affronta poi la questione se, in mancanza di una specifica disposizione nazionale che trasponga l‘art. 11, n. 1, lett. a), della direttiva 90/434 nell‘ordinamento nazionale, quest‘ultima disposizione possa tuttavia trovare applicazione nel diritto nazionale. Rilevato come il principio della certezza del diritto osti a che le direttive possano, di per se stesse, creare obblighi in capo ai singoli, e quindi come le direttive non possano essere fatte valere in quanto tali dallo Stato membro contro i singoli, la Corte fa comunque salva la possibilità di applicazione del
124 Corte di Giustizia, sentenza 17 luglio 1997, causa X 00/00, X. Xxxx-Xxxxx x. Xxxxxxxxxx xxx Xxxxxxxxxxxxxxx/Xxxxxxxxxxxxx Xxxxxxxxx 2, Racc., I-4161 e ss. che rinvia a Corte di Giustizia, sentenza 31 marzo 1993, causa C-19/92, Xxxxx, Racc., I-1663, punto 40. Tali statuizioni costituiscono evidentemente applicazioni del principio generale di diritto comunitario in materia di effettività della tutela giurisdizionale.
125 Corte di Giustizia, causa X 00/00, X. Xxxx-Xxxxx, punto 43.
126 Corte di Giustizia, sentenza 5 luglio 2007, causa C-321/05, Xxxx Xxxxxx Xxxxxx contro Skatteministeriet, Racc., I-05795.
principio di cui è espressione l'articolo de quo anche in mancanza di puntuale trasposizione nella legislazione nazionale. Ciò in quanto per la trasposizione di una direttiva può essere sufficiente, in taluni casi, a seconda del contenuto di quest‘ultima, un contesto normativo generale di modo che non è necessaria una formale ed esplicita riproduzione nelle disposizioni nazionali; purché la situazione giuridica derivante dai provvedimenti nazionali di trasposizione sia sufficientemente precisa e chiara per consentire ai singoli interessati di conoscere la portata dei loro diritti e obblighi, la trasposizione di una direttiva nel diritto interno non esige necessariamente un‘azione legislativa in ciascuno Stato membro. Tutte le autorità di uno Stato membro, quando applicano il diritto nazionale, sono tenute ad interpretarlo per quanto possibile alla luce della lettera e dello scopo delle direttive comunitarie, al fine di conseguire il risultato perseguito da queste ultime, benché come visto tale obbligo di interpretazione conforme non può giungere sino al punto che una direttiva, di per se stessa e indipendentemente da una legge nazionale di trasposizione, crei obblighi per i singoli ovvero determini o aggravi la responsabilità penale di coloro che trasgrediscono le sue disposizioni, tuttavia lo Stato può, in linea di principio, opporre un‘interpretazione conforme della legge nazionale nei confronti dei singoli.
In mancanza di una puntuale trasposizione dell'articolo de quo, che secondo la Corte concede agli Stati membri una riserva di competenza127, nella legislazione dello Stato Membro, spetta dunque al giudice del rinvio esaminare se nel diritto nazionale esiste una disposizione o un principio generale sulla cui base l‘abuso del diritto è vietato ovvero se esistono altre disposizioni sulla frode o sull‘evasione fiscale che possano essere interpretate conformemente all‘art. 11, n. 1, lett. a), della direttiva 90/434 e, pertanto, giustificare la tassazione delle operazioni ritenute abusive.
Tale conclusione sembrerebbe valida a maggior ragione in tutti quei settori in cui manca allo stato attuale una normativa di armonizzazione europea e pertanto l‘applicabilità del principio comunitario di divieto dell‘abuso risulta subordinata all‘esistenza di specifici strumenti, di natura normativa o giurisprudenziale, che dispongano la illegittimità dell‘abuso all‘interno del singolo ordinamento nazionale. Ove tali strumenti esistano peraltro, in ossequio ai principi di primazia ed effettività del diritto comunitario, il giudice nazionale dovrà dare ad essi attuazione nel rispetto dei canoni fissati dalla Corte
127 Corte di Giustizia, causa C 28/95, Leur-Bloem, punto 35.
di Giustizia in materia tendenzialmente uniforme, salvo eventuali esigenze specifiche per le quali risultino ragionevoli, secondo i canoni della proporzionalità, trattamenti differenziati.
La direttiva n. 90/435 in materia di dividendi tra società madri e società figlie di Stati membri diversi128 prevede al secondo paragrafo dell'art. 1 che le disposizioni della direttiva non pregiudichino l'applicazione di disposizioni nazionali o convenzionali necessarie per evitare le frodi e gli abusi.
Tale norma dunque, oltre a far salva l'applicazione di eventuali clausole antielusive nazionali di portata generale, consente agli Stati Membri di introdurre in sede di trasposizione della Direttiva misure volte al contrasto della frode e dell'abuso. Essa peraltro non può evidentemente essere considerata di per sé una norma antiabuso suscettibile di applicazione diretta, sulla quale gli Stati Membri possano fondare il contrasto ai comportamenti costituenti un uso abusivo dei vantaggi tributari garantiti dalla direttiva, in mancanza di un ulteriore sostegno giuridico fondante tale contenuto nella disciplina nazionale.
La norma citata conferma esplicitamente, rimuovendo ogni possibile dubbio in proposito, che l'abuso delle disposizioni della direttiva costituisce un comportamento non oggetto di protezione nell'ordinamento comunitario e che conseguentemente sono pienamente valide e non costituiscono violazione della primazia del diritto comunitario le norme nazionali che neghino l'applicazione delle disposizione in essa contenute nelle ipotesi di frode o abuso. Tali disposizioni peraltro dovranno comunque non andare oltre quanto strettamente necessario al contrasto della frode e dell'abuso onde non compromettere l'applicazione della direttiva medesima e il raggungimnento dei suoi obiettivi, con conseguente violazione dei principi di primazia ed effettività del diritto comunitario.
La Corte ha, ad esempio, chiarito che la disposizione di cui all'art 3, paragrafo 2, della direttiva riguardante il periodo minimo di possesso della partecipazione nella società controllata, la quale lascia agli Stati membri la facoltà di sottoporre la concessione dell'agevolazione fiscale di cui all'art 5 (esenzione dalla ritenuta alla
128 Direttiva 90/435/CEE del Consiglio, del 23 luglio 1990, concernente il regime fiscale comune applicabile alle società madri e figlie di Stati Membri diversi in GUCE L 225 del 20.8.1990, p. 6–9.
fonte nello Stato della consociata al momento della distribuzione degli utili) ad un periodo minimo di partecipazione che gli Stati membri sono liberi di fissare, ma che non può, comunque, superare il biennio, ha la finalità di contrastare i comportamenti abusi comportanti un'acquisizione di partecipazioni al solo scopo di beneficiare di vantaggi fiscali garantiti dalla normativa senza l'intenzione di un possesso duraturo129. Costituendo l' art. 1, n. 2, della direttiva una norma di principio, il cui contenuto viene precisato nell'art. 3, n. 2, non appare opportuno ricorrere all'art. 1, n. 2, della direttiva per interpretare estensivamente l' art. 3, n. 2 andando oltre il suo dettato letterale. La Corte rileva come risulti dal disposto letterale della direttiva che il periodo minimo fissato ai sensi dell'art. 3, n. 2, non deve necessariamente essere scaduto al momento della concessione dell'agevolazione fiscale, le disposizioni di cui alla direttiva sono destinate agli amministrati che devono poter fare affidamento sul loro contenuto, conformemente alle prescrizioni del principio della certezza del diritto. Una tale interpretazione inoltre, secondo la Corte, è per un verso avvalorata dalla finalità della direttiva che mira a eliminare, instaurando un regime fiscale comune, qualsiasi penalizzazione della cooperazione tra società di Stati membri diversi rispetto alla cooperazione tra società di uno stesso Stato membro ed a facilitare in tal modo la cooperazione transfrontaliera, per altro verso essa non è idoneamente supportata dall'affermazione che solo la prescrizione di un periodo minimo di partecipazione già compiuto al momento della distribuzione degli utili per i quali è chiesta l' agevolazione fiscale consente all'amministrazione di lottare contro gli abusi, in quanto un controllo successivo dell'effettiva osservanza del termine di durata della partecipazione susciterebbe un gran numero di difficoltà pratiche e tecniche, e ciò particolarmente nel caso di versamento transfrontaliero di dividendi. Gli Stati membri non possono quindi istituire unilateralmente provvedimenti restrittivi che vadano oltre quanto necessario a fronteggiare le frodi e gli abusi qualora vi sia la possibilità di utilizzare strumenti idonei al contrasto dei comportamenti abusivi e che al contempo consentano di minimizzare la potenziale compromissione degli obiettivi perseguiti dalla normativa comunitaria.
129 Corte di Giustizia, sentenza 17 ottobre 1996, Denkavit International BV, VITIC Amsterdam BV e Voormeer BV contro Bundesamt für Finanzen, cause riunite C-283/94, C-291/94 e X-000/00, Xxxx., X- 00000, punto 31.
A norma poi del primo paragrafo dell'articolo 5 ―Frodi e abusi‖ della Direttiva 2003/49/CE del Consiglio del 3 giugno 2003130, concernente il regime fiscale comune applicabile ai pagamenti di interessi e di canoni fra società consociate di Stati membri diversi, l'applicazione della direttiva non osta all'applicazione di disposizioni nazionali o convenzionali necessarie per impedire frodi o abusi. Inoltre il secondo paragrafo del detto articolo conferisce la possibilità agli Stati membri, nel caso di transazioni aventi come obiettivo principale o come uno degli obiettivi principali l'evasione o l'elusione fiscali, o gli abusi, di revocare i benefici concessi a norma della direttiva o rifiutarne l'applicazione.
A norma poi dell'art. 4, paragrafo 2, ―Qualora, a motivo di particolari rapporti tra il pagatore ed il beneficiario effettivo del pagamento degli interessi o dei canoni, ovvero tra uno di essi ed un terzo, l'importo degli interessi o dei canoni sia superiore all'importo che sarebbe stato convenuto dal pagatore e dal beneficiario effettivo in assenza dei rapporti in questione, le disposizioni della presente direttiva si applicano esclusivamente a quest'ultimo importo, se previsto.‖. Tale norma ha l'evidente scopo di contrastare il trasferimento di utili verso paesi a tassazione inferiore mediante l'uso abusivo del divieto di imposizione nel paese della fonte del pagamento degli interessi e canoni di cui all'art. 1 della direttiva.
Infine la direttiva 2003/48/CE131 in materia di tassazione dei redditi da risparmio sotto forma di pagamenti di interessi contiene riferimenti solamente indiretti all'elusione tributaria nei considerando numero 3 e 4 i quali prevedono che ai sensi dell'articolo 58, paragrafo 1, del Trattato, gli Stati membri hanno il diritto di applicare le pertinenti disposizioni della loro legislazione tributaria in cui si opera una distinzione tra i contribuenti che non si trovano nella medesima situazione per quanto riguarda il loro luogo di residenza o il luogo di collocamento del loro capitale, nonché di adottare tutte le misure necessarie per impedire le violazioni della legislazione e delle regolamentazioni nazionali, in particolare nel settore fiscale. Peraltro si avverte esplicitamente che ai sensi dell'articolo 58, paragrafo 3, del Trattato, le disposizioni
130 Direttiva 2003/49/CE del Consiglio, del 3 giugno 2003, concernente il regime fiscale comune applicabile ai pagamenti di interessi e di canoni fra società consociate di Stati membri diversi in GUCE L 157 del 26.6.2003, p. 49–54.
131 Direttiva 2003/48/CE del Consiglio, del 3 giugno 2003, in materia di tassazione dei redditi da risparmio sotto forma di pagamenti di interessi GU L 157 del 26.6.2003, pagg. 38–48.
della legislazione tributaria degli Stati membri, destinate a contrastare gli abusi o le frodi, non dovrebbero costituire un mezzo di discriminazione arbitraria, né una restrizione dissimulata al libero movimento dei capitali e dei pagamenti di cui all'articolo 56 del Trattato.
Ormai numerosa appare la giurisprudenza della Corte di Giustizia avente ad oggetto norme nazionali antielusive del tutto estranee alla normativa comunitaria ed in relazione alle quali è stata sollevata una questione di legittimità alla luce delle norme del Trattato in quanto ritenute discriminatorie o restrittive delle libertà fondamentali da esso garantite.
In linea di massima va rammentato che la Corte ha, quanto meno in via di principio, ammesso restrizioni delle libertà fondamentali ove giustificate da uno scopo legittimo compatibile con il Trattato e da motivi imperativi di interesse generale. Anche in tale ipotesi, però, le misure nazionali restrittive devono essere idonee a garantire il conseguimento dello scopo perseguito e non eccedere quanto strettamente necessario a tale scopo. La riduzione di entrate fiscali non può considerarsi motivo imperativo di interesse pubblico invocabile per giustificare una disparità di trattamento posto che un tale obiettivo è di natura puramente economica e non può, quindi, secondo una giurisprudenza costante, costituire un motivo imperativo di interesse generale. Al contrario, deriva dalla giurisprudenza della Corte che la necessità di salvaguardare la coerenza del sistema fiscale nazionale, la lotta contro l'evasione fiscale e l'efficacia dei controlli fiscali costituiscono motivi imperativi di interesse generale idonei in linea di principio a giustificare normative potenzialmente restrittive delle libertà fondamentali garantite dal Trattato.
Come in precedenza accennato la Corte ha di regola rigettato le motivazioni addotte dagli Stati Membri invocanti la necessità di contrastare l'elusione fiscale o più in generale di garantire l'integrità delle risorse statali quali causa di preminente interesse pubblico idonea a giustificare le discriminazioni tra i cittadini, cui sono equiparati a tal fine i residenti, e i cittadini di altro Stato Membro o i cittadini non residenti ovvero le restrizioni all'esercizio delle libertà fondamentali conseguenti all'applicazione delle norme tributarie antielusive.
In uno dei primi casi in materia di fiscalità diretta, la sentenza Avoir Fiscal132, la Corte ha ritenute che il trattamento differente cui erano sottoposte dalla legge francese le entità nazionali rispetto alle agenzie e succursali di imprese assicuratrici estere e la conseguente limitazione alla libertà di stabilimento secondario non potessero essere giustificate dall'esigenza di evitare il rischio che si verificasse una elusione fiscale. Appare evidente anche alla luce della giurisprudenza successiva che la normativa in questione non potesse essere giustificata con l'esigenza di combattere gli abusi della normativa comunitaria andando ben al di là di quanto strettamente necessario a tal fine e compromettendo così senza giusta causa gli obiettivi della libertà in oggetto, la normativa fiscale de quo infatti prevedeva un diverso trattamento in base alla nazionalità dei soggetti in questione133 introducendo in tal modo una palese discriminazione tra società residenti e non residenti; né l'elusione avrebbe potuto verificarsi nel caso di specie essendo le agenzie e succursali della società estera soggetto passivo d'imposta al pari delle società nazionali e pertanto mancando alcuna obiettiva differenza di situazione che potesse giustificare la differenza di trattamento, benché la Corte ammetta che in linea di principio non si possa escludere assolutamente che la distinzione a seconda della sede di una società oppure la distinzione a seconda della residenza di una persona fisica sia, in determinate circostanze, lecita in un campo come quello del diritto tributario.
Una motivazione idonea a giustificare una disparità di trattamento di natura fiscale è stata dalla Corte ritenuta quella facente leva sulla necessità di preservare la coerenza interna del sistema tributario nazionale. Nel caso Xxxxxxxx000 si discuteva della legittimità comunitaria, alla luce delle libertà di circolazione dei lavoratori, dei capitali e di prestazione dei servizi, della normativa belga che consente la deduzione dei premi assicurativi solo nell'ipotesi in cui i medesimi siano versati in Belgio. La Corte ha ritenuto che, benché la normativa in questione costituisca una restrizione indiretta delle
132 Corte di Giustizia, sentenza 28 gennaio 1986, causa 270/83, Commissione delle Comunità europee contro Repubblica francese, Racc., 00273.
133 A norma dell'art. 48 del Trattato CEE (attuale art. 52 del TFUE) infatti: ―Le società costituite conformemente alla legislazione di uno Stato membro e aventi la sede sociale, l'amministrazione centrale o il centro di attività principale all'interno della Comunità, sono equiparate, ai fini dell'applicazione delle disposizioni del presente capo, alle persone fisiche aventi la cittadinanza degli Stati membri.‖
134 Corte di Giustizia, sentenza 28 gennaio 1992, causa X-000/00, Xxxxx-Xxxxxx Xxxxxxxx contro Stato belga, Racc., I-00249.
libertà di circolazione dei lavoratori e di prestazione di servizi, essa si giustifichi con la necessità di assicurare la coerenza del regime fiscale nazionale, la cui configurazione spetta a ciascuno Stato membro; l'esistenza di un nesso per così dire biunivoco tra deducibilità dei premi e imponibilità delle prestazioni assicurative, sicché le pensioni, rendite, capitali o crediti da riscatto derivanti da contratti di assicurazione sulla vita sono esonerati dall'imposta se la deduzione dei contributi non è stata ottenuta, comporta che nell'ipotesi in cui sia obbligato ad ammettere la detrazione dei contributi di assicurazione sulla vita versati in un altro Stato membro, lo Stato in questione possa percepire l' imposta sulle somme dovute dagli assicuratori. Tale ultima soluzione però, allo stato attuale del diritto comunitario, non appare alla Corte praticabile con la conseguenza che la coerenza del regime fiscale in questione non può essere preservata da disposizioni meno restrittive di quelle in oggetto; ogni altra misura che permetta di garantire il recupero, da parte dello Stato interessato, dell'imposta che, secondo la sua legislazione, deve essere percepita sulle somme dovute dagli assicuratori in esecuzione dei contratti da essi conclusi, condurrebbe a conseguenze analoghe a quelle risultanti dalla non deducibilità dei contributi.
Nel caso Daily Mail135 attinente alla normativa fiscale anglosassone subordinante il trasferimento all'estero della sede delle società con residenza fiscale nel Regno Unito a un'apposita autorizzazione amministrativa, tale normativa nazionale era ritenuta potenzialmente restrittiva della libertà di stabilimento garantita dai Trattati; la società di diritto inglese parte in causa mirava apertamente ad ottenere considerevoli risparmi fiscali grazie al trasferimento della sede della direzione nei Paesi Bassi, la cui legislazione consente alle società di diritto straniero di stabilirvi la loro amministrazione centrale. L'Avvocato Generale nelle proprie conclusioni osserva come il trasferimento della sede in altro Stato membro, al fine di godere del trattamento fiscale più favorevole in esso previsto, accompagnato dalla prosecuzione delle attività principali nello Stato di provenienza potesse costituire una circostanza obiettiva indicante che nella specie non vi fosse alcun reale esercizio della libertà di stabilimento meritevole di tutela. Egli ritiene, alla luce delle sentenze Xxxxxxx, van Binsbergen e Knoors, che il diritto comunitario non offra alcun ausilio ove emerga da ―elementi oggettivi‖ che si pone in
135 Corte di Giustizia, sentenza 27 settembre 1988, causa 81/87, The Queen contro H. M. Treasury and Commissioners of Inland Revenue, ex parte Daily Mail and General Trust PLC, Racc., 05483.
essere una determinata attività al solo fine di ―eludere‖ una legge nazionale, con la conseguenza che il giudice nazionale può valutare se, in un caso determinato e tenuto conto del contesto della causa, si sfiori o meno l' abuso del diritto o la frode alla legge e, eventualmente, ritenere inapplicabile il diritto comunitario. La Corte non ha ritenuto necessario indagare se nel caso specifico possa configurarsi un utilizzo abusivo del diritto di stabilimento statuendo che la questione attinente il trasferimento della sede di una società, pur conservando la qualità di società dello Stato membro secondo la cui legislazione è stata costituita, non rientri allo stato della legislazione comunitaria nel contenuto di tale diritto. In altri termini affinché sia garantita la libertà di stabilimento di cui alle norme del Trattato è sufficiente che alle società costituite secondo il diritto degli Stati Membri sia consentito senza restrizioni di esercitare la libertà di stabilimento primario, mediante la cessazione della società costituita presso lo Stato di provenienza e la costituzione di altra società presso lo Stato di destinazione, e secondaria, mediante la creazione di affiliate, succursali o agenzie, diversamente esula dal diritto comunitario la questione attinente alla facoltà, ed eventualmente alle modalità, di un trasferimento della sede, legale o reale, di una società di diritto nazionale da uno Stato membro all'altro.
Nelle successive sentenze aventi ad oggetto normative nazionali antielusive la Corte di Giustizia, pur ammettendone in astratto la legittimità ove esse abbiano lo scopo specifico di escludere da un vantaggio fiscale le costruzioni puramente artificiose il cui scopo sia quello di eludere la legge fiscale nazionale, ne esclude, con riferimento alle singole fattispecie portate al suo esame, la legittimità, a causa della idoneità delle misure stesse a colpire anche fattispecie non puramente artificiose e che quindi comportino un reale esercizio delle libertà comunitarie, compromettendone gli obiettivi e andando oltre quanto strettamente necessario onde contrastare le dette costruzioni elusive e garantire il contrasto all'elusione fiscale. Nella sentenza I.C.I.136avente ad oggetto la normativa britannica riguardante la compensazione di utili e perdite all'interno del medesimo gruppo societario, la circostanza che tale beneficio fosse riservato esclusivamente alle holding che come attività esclusiva o principale detenessero quote di società stabilite nel Regno Unito, limitando attraverso un regime fiscale discriminatorio la libertà di stabilimento, non è stata ritenuta dalla Corte giustificata dalla necessità di contrastare i
136 Corte di Giustizia, sentenza 16 luglio 1998, causa C-264/96, Imperial Chemical Industries plc (ICI) contro Xxxxxxx Xxxx Xxxxxx (Her Majesty's Inspector of Taxes), Racc., I-04695.
fenomeni elusivi basati sul trasferimento dei costi alle società controllate nazionali a fronte di un trasferimento dei ricavi alle società estere. Tale normativa va infatti oltre quanto necessario ad evitare il rischio di elusione posto che considera, in via generale, qualunque situazione in cui le società controllate da un gruppo si trovino in maggioranza stabilite, per qualsiasi motivo, fuori dal Regno Unito, ove lo stabilimento di una società fuori dal Regno Unito non comporta, di per sé, l'elusione fiscale, dato che la società di cui trattasi è comunque soggetta alla legge fiscale dello Stato di stabilimento. Inoltre essa non è idonea al raggiungimento dello scopo invocato posto che è sufficiente l'esistenza anche di una sola controllata non residente perché il rischio di elusione invocato possa verificarsi.
Analogamente è stata ritenuta dalla Corte lesiva della libertà di stabilimento la normativa tedesca in materia di finanziamenti da parte di soci non residenti in quanto non avente l'obiettivo specifico di escludere da un vantaggio fiscale le costruzioni puramente artificiose il cui scopo sia quello di eludere la normativa fiscale tedesca, ma idonea a ricomprende, in via generale, qualunque situazione in cui la società capogruppo abbia la sua sede, per qualsiasi motivo, fuori dalla Repubblica federale tedesca137.
Ancora, nella causa X e Y AB138 riguardante la normativa svedese in materia di cessioni di partecipazioni a favore di una società costituita conformemente alla legislazione di un altro Stato membro in cui il cedente detiene una partecipazione o di una società controllata costituita nel Regno di Svezia da tale società, la Corte afferma che la misura, oltre a non colpire esclusivamente le situazioni puramente artificiali il cui scopo sarebbe di aggirare la normativa fiscale svedese, riguarda, in maniera generale, ogni situazione in cui, per qualsiasi ragione, la cessione sottoprezzo presa in considerazione dalla normativa sia fatta a favore delle dette società; la Corte osserva come una presunzione generale di evasione o di frode fiscale non può fondarsi sul fatto che la società cessionaria o la società controllante di questa abbia sede in un altro Stato membro, né giustificare una misura fiscale che pregiudichi l'esercizio di una libertà fondamentale garantita dal Trattato.
L'inammissibilità di qualsiasi presunzione assoluta di elusione ove venga in gioco
137 Corte di Giustizia, sentenza 12 dicembre 2002, causa X-000/00, Xxxxxxxxx-Xxxxxxx GmbH contro Finanzamt Steinfurt, Racc., I-11779.
138 Corte di Giustizia, sentenza 21 novembre 2002, causa C-436/00, X e Y contro Riksskatteverket, Racc., I-10829.
l'esercizio delle libertà fondamentali garantite dal Trattato viene ribadito dalla Corte di Giustizia nella sentenza Lasteyrie du Saillant139 nella quale la Corte afferma che una presunzione generale di evasione o di frode fiscale non può fondarsi sul fatto che il domicilio di una persona fisica sia stato trasferito in un altro Stato membro, né giustificare una misura fiscale che pregiudichi l‘esercizio di una libertà fondamentale garantita dal Trattato, ove lo scopo perseguito di impedire l'elusione dell'imposta possa essere raggiunto da misure meno vincolanti o meno restrittive della libertà di stabilimento. Ne consegue che le normative nazionali non possono, senza eccedere ampiamente quanto è necessario per raggiungere lo scopo che perseguono, presumere l‘intenzione di aggirare la legge fiscale di qualsiasi contribuente che trasferisca il suo domicilio al di fuori dello Stato Membro in oggetto.
Da tale giurisprudenza può trarsi che le normative nazionali antielusive che, in forza di un differente trattamento fiscale tra soggetti residenti e non residenti ovvero tra soggetti residenti esercitanti o meno le libertà garantite dal Trattato, siano idonee a determinare, anche solo in via potenziale, una restrizione all'esercizio delle libertà fondamentali potranno ritenersi giustificate dall'esigenza di contrasto all'elusione fiscale solo ove esse siano idonee a colpire esclusivamente le operazioni aventi finalità essenzialmente elusive e non le fattispecie di effettivo esercizio delle libertà comunitarie e pertanto rispondenti agli obiettivi dalle stesse perseguiti e risultare conseguentemente proporzionate a tale scopo. Sembra pertanto che più che di effettiva restrizione di libertà fondamentali e di una causa giustificativa idonea a fondare tale restrizione si tratti di una mancato esercizio delle stesse, ovvero di un esercizio solo apparente o formale, in quanto sorretto esclusivamente o principalmente da motivazione di natura elusivo- fiscale la cui constatazione porta ad escludere che tale effettivo esercizio si sia, nel caso concreto, verificato. Al contrario ove si sia verificato l'effettivo esercizio della libertà fondamentale in questione non si concreterà una ipotesi di abuso del diritto comunitario e della detta libertà fondamentale comportante una elusione fiscale legittimante la disapplicazione della libertà in oggetto, la reale collocazione di parte o della totalità della propria attività economica in un particolare Stato Membro onde trarre vantaggio dalla più favorevole legislazione fiscale da esso prevista rientra infatti nel normale
139 Corte di Giustizia, sentenza 11 marzo 2004, causa C-9/02, Xxxxxx de Lasteyrie du Xxxxxxxx contro Ministère de l'Économie, des Finances et de l'Industrie, Racc., I-02409.
esercizio di tali libertà all'interno di un mercato interno il quale difetti di armonizzazione circa il regime fiscale applicabile al proprio interno. Il regime fiscale nazionale costituisce pertanto un fattore che i soggetti economici possono legittimamente prendere in considerazione nella scelta circa lo Stato Membro nel quale collocare le proprie attività e tale considerazione non rende in alcun modo l'esercizio delle libertà fondamentali contrario agli obiettivi perseguiti mediante il loro riconoscimento; solo qualora la detta collocazione nello Stato Membro la cui legislazione garantisce un trattamento fiscale più favorevole abbia natura artificiale ed abbia il solo fine di eludere la normativa tributaria nazionale altrimenti applicabile, di modo che gli obiettivi economico-sociali perseguiti dalle libertà fondamentali siano estranei al caso di specie, il soggetto incorrerà in un abuso del diritto comunitario non meritevole di tutela a norma del Trattato. Da quanto detto consegue che solo le disposizioni nazionali restrittive delle libertà fondamentali che colpiscano esclusivamente tali abusi senza limitare l'effettivo esercizio delle libertà fondamentali, non eccedendo quanto necessario a tal fine, appaiono conformi al diritto comunitario come interpretato dalla Corte di Giustizia.
Quanto sinora visto è stato ribadito e integrato dalla Corte di Giustizia in occasione della sentenza Cadbury- Schweppes140 avente ad oggetto l'interazione tra la normativa nazionale antielusiva in materia di società controllate estere (c.d. Controlled Foreign Companies) e la libertà di stabilimento. Essa se, per un verso, ammette la legittimità di una misura nazionale restrittiva della libertà di stabilimento, qualora tale misura sia giustificata da motivi di lotta a pratiche abusive e abbia specificamente ad oggetto le costruzioni puramente artificiose, prive di effettività economica, finalizzate ad eludere la normativa dello Stato membro interessato, di contro esclude che tale misura possa consistere in una presunzione generale di frode fiscale fondata sulla mera circostanza che una società residente crei uno stabilimento secondario, per esempio una controllata, in un altro Stato membro, pregiudicando in tal modo l‘esercizio di una libertà fondamentale garantita dal Trattato, anche ove tale operazione sia sorretta principalmente od esclusivamente da motivazioni di risparmio fiscale.
Se è vero infatti che i cittadini di uno Stato membro non possono tentare, grazie alle possibilità offerte dal Trattato, di sottrarsi abusivamente all‘impero delle loro leggi
140 Corte di Giustizia, sentenza 12 settembre 2006, causa X 000/00, Xxxxxxx Xxxxxxxxx plc e Cadbury Schweppes Overseas Ltd contro Commissioners of Inland Revenue, Racc., I-07995.
nazionali, né possono avvalersi abusivamente o fraudolentemente del diritto comunitario, essi non possono nel contempo essere privati della possibilità di avvalersi delle disposizioni del Trattato solo perché hanno inteso approfittare dei vantaggi fiscali offerti dalle norme in vigore in uno Stato membro diverso da quello in cui risiedono. Rientra pertanto nel legittimo esercizio della libertà di stabilimento, non costituendo in quanto tale un abuso di tale libertà, la circostanza che una società sia stata creata in un determinato Stato membro per fruire di una legislazione fiscale più vantaggiosa141.
La Corte aggiunge che perché sia giustificata da motivi di lotta a pratiche abusive, una restrizione alla libertà di stabilimento deve avere lo scopo specifico di ostacolare comportamenti consistenti nel creare costruzioni puramente artificiose, prive di effettività economica e finalizzate ad eludere la normale imposta sugli utili generati da attività svolte sul territorio nazionale. Una tale restrizione della libertà di stabilimento è giustificata in quanto un simile comportamento è tale da violare il diritto degli Stati membri di esercitare la propria competenza fiscale in relazione alle attività svolte sul loro territorio e da compromettere, così, un‘equilibrata ripartizione del potere impositivo tra gli Stati membri.142
Perché sia riscontrabile un abuso del diritto di stabilimento appare necessaria la presenza di una costruzione di puro artificio destinata unicamente a eludere l‘imposta la cui verifica richiede l‘esistenza, oltre che di un elemento soggettivo consistente nella volontà di ottenere un vantaggio fiscale143, di una serie di elementi oggettivi dai quali risulti che, nonostante il rispetto formale delle condizioni previste dall‘ordinamento comunitario, l‘obbiettivo perseguito dalla libertà di stabilimento, come individuato dalla Corte ai punti 54 e 55 della stessa sentenza, non è stato nel caso di specie raggiunto144, con il richiamo dunque di elementi sui quali fondare l'accertamento della condotta abusiva sostanzialmente analoghi a quelli sviluppati dalla Corte nelle sentenze Emsland- Stärke in materia di ausili alle esportazioni e Halifax in materia di imposizione sul
141 Corte di Giustizia, causa C 000/00, Xxxxxxx Xxxxxxxxx, punti da 34 a 36.
142 In proposito la Corte osserva l'analogia degli effetti del comportamento considerato con le pratiche abusive di cui al punto 49 della sentenza Xxxxx & Xxxxxxx, cit., che consisterebbero nell‘organizzare trasferimenti di perdite, all‘interno di un gruppo di società, in direzione delle società stabilite negli Stati membri che applicano le aliquote fiscali maggiori ed in cui, di conseguenza, è maggiore il valore fiscale delle perdite.
143 Il quale sarebbe una specificazione in materia di fiscalità diretta del più generale obiettivo del perseguimento di un vantaggio derivante dalla normativa comunitaria mediante la creazione artificiosa delle condizioni necessarie per il suo ottenimento di cui alla sentenza Emsland-Stärke.
144 Corte di Giustizia, causa C 000/00, Xxxxxxx Xxxxxxxxx, punto 64.
valore aggiunto145.
Ciò si verifica allorché da tali elementi, oggettivi e verificabili da parte di terzi, relativi, in particolare, al livello di presenza fisica della società controllata estera in termini di locali, di personale e di attrezzature, si ricavi che la controllata estera corrisponde a un‘installazione fittizia che non esercita alcuna attività economica effettiva sul territorio dello Stato membro di stabilimento tale da dover essere ritenuta una costruzione di puro artificio. Per converso ove dai detti elementi risulti che la costituzione della controllata estera abbia determinato un insediamento reale che abbia per oggetto l‘espletamento di attività economiche effettive nello Stato membro di stabilimento corrispondenti ad una realtà economica, perché la legislazione CFC sia conforme al diritto comunitario, la tassazione da essa prevista, pur in presenza di motivazioni di natura fiscale, non deve trovare applicazione.
Spetterà al giudice del rinvio verificare se la legislazione de quo si presti ad un‘interpretazione che permetta di limitare l‘applicazione della tassazione da essa prevista alle costruzioni puramente fittizie e rispetti pertanto il principio di proporzionalità o se, al contrario comporti la sua applicazione, qualora la volontà di ottenere una diminuzione dell‘imposta appare tra le ragioni principali della costituzione della società controllata estera, nonostante l‘assenza di elementi oggettivi nel senso dell‘esistenza di una montatura siffatta. In tale ultima ipotesi, in ossequio alla primazia del diritto comunitario e alle libertà fondamentali garantite dal Trattato, l‘applicazione di una misura impositiva siffatta deve essere esclusa ove da elementi oggettivi e verificabili da parte di terzi risulti che, pur in presenza di motivazioni di natura fiscale, la società controllata estera è realmente impiantata nello Stato di stabilimento e ivi esercita attività economiche effettive.
La necessità di prevenire l'elusione fiscale sembra poter costituire un obiettivo ulteriore il quale si aggiunge ad altri, già di per se idonei a giustificare un diverso trattamento tributario, quali un‘equilibrata ripartizione del potere impositivo tra i diversi Stati membri, il contrasto all'evasione fiscale e al doppio utilizzo delle perdite di gruppo.
145 Con le sentenze Halifax e Cadbury Schweppes si sarebbe dunque estesa l'applicazione dell‘―abuse test‖ sviluppato nella sentenza Emsland-Stärke alla materia tributaria tanto dell'imposizione indiretta che diretta. Xxxx X. Xx Xx Xxxxx, Prohibition of Abuse of (Community) Law: the Creation of a New General Principle of EC Law through Tax, cit., pp. 398 e 428 e ss..
Nella sentenza Xxxxx & Spencer146 la Corte ha ammesso, con riferimento alla libertà di stabilimento, che nel diritto tributario la residenza del contribuente può rappresentare un fattore che può giustificare norme nazionali che comportano un diverso trattamento tra contribuenti residenti e non residenti circa la trasferibilità delle perdite infragruppo. Tuttavia, la residenza non è sempre un fattore giustificativo di distinzione. Infatti, ammettere che lo Stato membro di stabilimento possa liberamente riservare un trattamento diverso per il solo fatto che la sede di una società si trova in un altro Stato membro svuoterebbe di contenuto la detta libertà. Ne deriva la necessità di individuare caso per caso le ipotesi nelle quali una normativa come quella in esame, limitativa del riporto delle perdite di controllate estere, ecceda quanto necessario al raggiungimento degli obiettivi giustificativi sopracitati, restando comunque salva la possibilità per gli Stati membri di adottare o mantenere in vigore norme aventi l‘obiettivo specifico di escludere da un vantaggio fiscale le costruzioni puramente artificiose il cui scopo sia quello di eludere la normativa fiscale nazionale. Come accennato le norme di contrasto a tali costruzioni, ove rispettino il principio di proporzionalità, risulterebbero pertanto legittime sotto il profilo comunitario, non costituendo una restrizione in quanto ci troveremmo di fronte ad un'ipotesi di difetto dell'effettivo esercizio del diritto.
In modo simile nella sentenza OyAA147 il diverso trattamento riservato alle controllate residenti rispetto a quelle non residenti ai fini tributari con riferimento ai trasferimenti finanziari intragruppo viene dalla Corte giustificato sulla base dell‘esigenza di salvaguardare la ripartizione equilibrata del potere impositivo tra gli Stati membri e di prevenire l‘evasione fiscale, in quanto un siffatto regime persegue obiettivi legittimi compatibili con il Trattato e riconducibili a ragioni imperative di interesse generale, anche in considerazione del fatto che in mancanza di disposizioni comunitarie di unificazione o di armonizzazione, gli Stati membri rimangono competenti a definire, in via convenzionale o unilaterale, i criteri per ripartire il loro potere impositivo. La Corte osserva che gli obiettivi di salvaguardia della ripartizione equilibrata del potere impositivo tra gli Stati membri e di prevenzione dell‘evasione fiscale sono tra loro connessi148 e che comportamenti consistenti nel creare costruzioni di puro artificio,
146 Corte di Giustizia, sentenza 13 dicembre 2005, causa C 446/03, Marks & Xxxxxxx plc contro Xxxxx Xxxxxx (Her Majesty's Inspector of Taxes), Racc., I-10837.
147 Corte di Giustizia, sentenza 18 luglio 2007, causa C 231/05, Oy AA, Racc., I-06373.
148 Si rammenti sempre che la Corte utilizza i termini evasione ed elusione in modo indifferenziato
prive di effettività economica e finalizzate a eludere l‘imposta normalmente dovuta sugli utili generati da attività svolte nel territorio nazionale sono tali da violare il diritto degli Stati membri di esercitare la propria competenza tributaria in relazione a tali attività e da compromettere un‘equilibrata ripartizione del potere impositivo tra gli Stati membri.
L'introduzione della salvaguardia della corretta ripartizione del potere impositivo tra gli Stati Membri e del loro diritto di sottoporre ad imposizione gli utili generati dalle attività economiche esercitate nel loro territorio quale causa di giustificazione, peraltro connessa e preordinata all'esigenza di evitare l'elusione fiscale, in considerazione del detrimento che al corretto esercizio di tale potere impositivo deriverebbe da manovre elusive atte a trasferire da una giurisdizione all'altra i profitti tassabili, sembra avere determinato un'estensione delle norme nazionali antielusive che benché restrittive delle libertà fondamentali possano considerarsi giustificate da tali interessi generali e proporzionate al raggiungimento di essi. Tali norme infatti al fine di una valutazione positiva in termini di proporzionalità, dovranno avere ad oggetto non più esclusivamente le costruzioni di puro artificio ma anche quei trasferimenti di profitti e perdite all'interno di un gruppo di società che, in quanto non rispondono a delle valide ragioni economiche idonee di per sé a sostenerle, hanno il solo o principale scopo di trasferire materia imponibile da una giurisdizione fiscale all'altra149.
Parzialmente diverso è il percorso seguito dalla Corte nella sentenza Test Claimants in the Thin Cap Group Litigation150 nella quale la causa giustificativa torna ad essere l'esigenza di contrastare le condotte abusive in quanto tali comportamenti appaiono idonei a violare il diritto degli Stati membri di esercitare la propria competenza fiscale
chiarendo peraltro nella sentenza in oggetto di riferirsi a pratiche nelle quali mediante costruzioni di puro artificio, vengano organizzati trasferimenti di redditi in seno ad un gruppo di società in direzione delle società la cui sede si trova negli Stati membri che applicano le aliquote di tassazione più basse o negli Stati membri in cui tali redditi non sarebbero affatto tassati, che possono essere suggerite dalla constatazione di scarti sensibili tra le basi imponibili o le aliquote impositive applicate nei diversi Stati membri, le quali non avrebbero uno scopo diverso da quello di eludere l‘imposta normalmente dovuta, nello Stato membro della consociata, sugli utili di quest‘ultima.
149 Corte di Giustizia, causa C 231/05, Oy AA, punto 65. Dal successivo punto 66 della sentenza sembra ricavabile che le giustificazioni debbano avere natura economica in senso stretto e non essere costituite da mere esigenze finanziarie interne al gruppo posto che ciò ―implicherebbe pur sempre che la scelta dello Stato membro di imposizione farebbe capo in definitiva al gruppo di società, il quale disporrebbe quindi di un ampio margine di manovra al riguardo‖.
150 Corte di Giustizia, sentenza 13 marzo 2007, causa C-524/04, Test Claimants in the Thin Cap Group Litigation contro Commissioners of Inland Revenue, Racc., I-02107.
in relazione alle attività svolte nel loro territorio e da compromettere, così, un‘equilibrata ripartizione del potere impositivo tra gli Stati xxxxxx000. Una normativa nazionale che si fonda su un esame di elementi oggettivi e verificabili per stabilire se una transazione consista in una costruzione di puro artificio a soli fini fiscali va considerata come non eccedente quanto necessario per prevenire pratiche abusive quando, in primo luogo, in tutti i casi in cui l‘esistenza di una tale costruzione non può essere esclusa, il contribuente è messo in grado, senza eccessivi oneri amministrativi, di produrre elementi relativi alle eventuali ragioni commerciali soggiacenti alla transazione in questione per le quali tale transazione è stata conclusa.
I casi da ultimo visti non assurgerebbero a precedenti rilevanti da un punto di vista generale in quanto la maggiore generalità delle norme nazionali ammesse dalla Corte di Giustizia al fine di evitare l'elusione fiscale mediante l'esercizio abusivo delle libertà fondamentali sarebbe dovuta al maggior rischio di elusione individuato dalla Corte nelle ipotesi di meri movimenti contabili all'interno del gruppo societario connessi ai trasferimenti di perdite e di utili e ai finanziamenti intragruppo privi di un substrato economico, diversamente qualora all'operazione intragruppo sia comunque sotteso un possibile fondamento avente una reale natura economica come avviene nel caso Cadbury-Scheweppes e parzialmente nel caso Oy AA, la Corte applicherà il metro
―tradizionale‖ del contrasto alle costruzioni puramente artificiali152.
In definitiva l'assoluta rilevanza delle libertà fondamentali nell'ambito dell'ordinamento comunitario determina che, perché ne possa essere limitato l'esercizio con finalità di lotta all'elusione fiscale, è necessario che la legislazione antielusiva nazionale abbia come obiettivo unicamente le ipotesi in cui l'esercizio di tali libertà risulti meramente artificiale e strumentale al conseguimento del risparmio d'imposta; per converso dovranno essere ritenute legittime tutte le ipotesi in cui, benché rientrando il risparmio d'imposta tra le motivazioni dell'esercizio della libertà de quo e anzi costituendo ipoteticamente la sola ragione di tale esercizio, il soggetto abbia realmente posto in essere l'attività tutelata dalla libertà fondamentale in questione e, più in generale con riferimento all'intero settore dell'imposizione diretta, siano stati raggiunti gli obiettivi
151 Corte di Giustizia, causa C 524/04, Test Claimants in the Thin Cap., punti 74 e e75.
152 Del Broe L. , International Tax Planning and Prevention of Abuse. A Study under Domestic Tax Law, Tax Treaties and EC Law in relation to Conduit and Base Company, cit, p. 188.
perseguiti dalla normativa comunitaria153. Anche in tale ultimo caso peraltro la normativa nazionale antielusiva potrà essere ritenuta conforme al diritto comunitario ove la Corte la ritenga giustificata da una di quelle ragioni di preminente interesse pubblico da essa ritenute idonee a giustificare una restrizione delle libertà fondamentali e non vada oltre quanto strettamente necessario al fine del perseguimento di tale interesse.
Secondo la costante giurisprudenza della Corte, i provvedimenti nazionali che possono ostacolare o scoraggiare l'esercizio delle libertà fondamentali garantite dal Trattato devono soddisfare quattro condizioni: essi devono applicarsi in modo non discriminatorio, essere giustificati da motivi imperativi di interesse pubblico (c.d.:rule of reason), essere idonei a garantire il conseguimento dello scopo perseguito e non andare oltre quanto necessario per il raggiungimento di questo, in ossequio al principio di proporzionalità154.
La casistica relativa all'imposizione diretta, in conseguenza dello stato della legislazione comunitaria in materia, attiene, come visto, a ipotesi di abuso ora della legislazione derivata, ora delle libertà fondamentali previste dai trattati istitutivi, al fine di aggirare la normativa nazionale altrimenti applicabile. Mentre nella prima delle dette ipotesi,
153 In tal senso X. Xxxxxx, Xxxxxxxxx e direttive madre-figlia e interessi-roialties, in X. Xxxxxx a cura di, Elusione ed abuso del diritto tributario – Orientamenti attuali in materia di elusione e abuso del diritto ai fini dell'imposizione tributaria, Milano 2009, p. 366.
154 Tra le altre vedi Corte di Giustizia, causa C 212/97, Centros, punto 34. In merito ai motivi imperativi di interesse generale in grado di giustificare restrizioni di natura tributaria la Corte ai punti 50 e 51 della sentenza 21 novembre 2002, causa C-436/00, X e Y, ha ricordato che la riduzione di entrate fiscali non può considerarsi motivo imperativo di interesse pubblico invocabile per giustificare una disparità di trattamento, un tale obiettivo è di natura puramente economica e non può, quindi, secondo una giurisprudenza costante, costituire un motivo imperativo di interesse generale. Al contrario, la necessità di salvaguardare la coerenza del regime fiscale (v. Corte di Giustizia, causa C- 204/90, Xxxxxxxx, e Corte di Giustizia, sentenza 28 gennaio 1992, causa C-300/90, Commissione/Regno del Belgio, Racc., I-305), la lotta contro l'evasione fiscale (v. Corte di Giustizia, causa C-264/96, I.C.I., punto 26, e Corte di Giustizia, sentenza 8 marzo 2001, cause riunite C 397/98 e 410/98, Metallgesellschaft Ltd e altri, Hoechst AG e Hoechst (UK) Ltd contro Commissioners of Inland Revenue e HM Attorney General e a., punto 57) e l'efficacia dei controlli fiscali (v. Corte di Giustizia, sentenza 15 maggio 1997, Futura Participations SA e Singer contro Administration des contributions, causa C-250/95, Racc., I-02471, punto 31, e Corte di Giustizia, sentenza 8 luglio 1999, causa X-000/00, Xxxxxxx Xxxxxx, X. Xxxxx Xxxxxxx XX, Xxxxxxx Xxxxxxxxx Xxxxxx e Laboratoires Bristol-Xxxxx-Squibb SA contro Premier Ministre, Ministère du Travail et des Affaires sociales, Ministère de l'Economie et des Finances e Ministère de l'Agriculture, de la Pêche et de l'Alimentation, Racc., I-4809, punto 18) costituiscono motivi imperativi di interesse generale idonei a giustificare normative che restringono le libertà fondamentali garantite dal Trattato (v., in particolare, con riferimento a tali giustificazioni invocate nell'ambito di restrizioni relative a una disparità di trattamento in materia di imposte sui redditi, Corte di Giustizia, sentenza 28 ottobre 1999, causa X- 00/00, Xxxxxxxxxxxxxxxxx xxxxxx Xxxx Xxxxxxxxxxx, Xxxx., X-0000, punto 23).
sussistendo una specifica facoltà degli Stati Membri di prevedere in sede di trasposizione specifiche norme antielusive, l'attuazione del divieto di abuso è stata in definitiva normativamente rimessa all'iniziativa dei detti Stati in coerenza con il riparto delle competenze in materia e con i limiti individuati dalla Corte di Giustizia, nella seconda la Corte ha applicato la propria giurisprudenza in materia di abuso di libertà fondamentali, costituendo l'elusione della normativa tributaria nazionale nient'altro che una specifica ipotesi della più generale figura di elusione della normativa nazionale mediante l'esercizio, abusivo o meno che sia, delle libertà fondamentali.
Si ritiene che a tale diversità nelle fonti oggetto di sfruttamento al fine del compimento della manovra elusiva debba essere dato il giusto risalto ove si voglia compiere un tentativo di sistemazione teorica dell'istituto oggetto del nostro studio. Mentre la normativa secondaria, avente ad oggetto il ravvicinamento delle legislazioni nazionali in materia di imposizione diretta, appare strumentale ad una migliore attuazione dell'obiettivo primario della creazione di un mercato interno privo di ostacoli alla libera circolazione delle merci, delle persone e dei capitali, in cui sia garantita l'allocazione ottimale delle risorse e dei fattori produttivi; le libertà fondamentali riconosciute dal Trattato costituiscono vera e propria condizione ―sine qua non‖ per l'attuazione di tale obiettivo, il cui esercizio non può essere limitato se non in casi estremi, implicando un siffatto mercato interno non soltanto la libera concorrenza tra operatori economici privati ma anche tra ordinamenti-sistemi nazionali fintantoché gli stessi non siano oggetto di armonizzazione all'interno dell'Unione. Da ciò consegue che in tali casi deve essere escluso il verificarsi di un abuso del diritto comunitario fintantoché si sia verificato un reale esercizio della libertà fondamentale in questione, anche se lo stesso aveva il fine, unico o meramente essenziale che sia, di eludere la disciplina nazionale (eventualmente tributaria) altrimenti applicabile, restando escluse dalla tutela fornita dal Trattato solamente le ipotesi di puro artificio nelle quali non vi è stato alcun reale esercizio della libertà fondamentale ma se ne è solo creata l'apparenza.
2.4 ABUSO DEL DIRITTTO COMUNITARIO ED IMPOSIZIONE SUL VALORE AGGIUNTO.
L'armonizzazione delle legislazioni degli Stati Membri concernenti le imposte sulla cifra d'affari, le imposte di consumo e le altre imposte indirette, nella misura in cui detta armonizzazione sia necessaria per assicurare l'instaurazione ed il funzionamento del mercato interno, è espressamente prevista dall'art. 93 del Trattato CE (attuale art. 113 del TFUE), il quale dispone che il Consiglio, a tal fine, deliberando all'unanimità su proposta della Commissione e previa consultazione del Parlamento europeo e del Comitato economico e sociale, adotta le necessarie disposizioni di diritto comunitario derivato.
Tale armonizzazione, com'è noto, è stata attuata mediante l'emissione di una serie di direttive comunitarie, in ordine alle quali la valutazione circa la loro corretta trasposizione ad opera delle autorità nazionali rientra nella competenza della Corte di Giustizia, così come, in caso di dubbio, rientra nella competenza della Corte l'esatta interpretazione delle norme in esse contenute, alla quale dovrà rivolgersi il giudice nazionale ai sensi dell'art. 267 del Trattato sul Funzionamento dell‘Unione Europea.
Con particolare riferimento alla disciplina delle attività oggetto di esenzione dall'imposta per ragioni di pubblica utilità l'art 13 della VI Direttiva155 prevedeva che gli Stati Membri applicassero le esenzioni in esso previste alle condizioni da essi stabilite per assicurare la corretta e semplice applicazione dell'imposta e per prevenire ogni possibile frode, evasione ed abuso. Attualmente l'art. 131 della Direttiva 2006/112/CE156 dispone che: ―Le esenzioni previste ai capi da 2 a 9 si applicano, salvo le altre disposizioni comunitarie e alle condizioni che gli Stati membri stabiliscono per assicurare la corretta e semplice applicazione delle medesime esenzioni e per prevenire
155 Sesta direttiva del Consiglio 77/388/CEE del 17 maggio 1977 in materia di armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri relative alle imposte sulla cifra d'affari. Sistema comune di imposta sul valore aggiunto: base imponibile uniforme pubblicata in GUCE L 145 del 13/06/1977 p. 1 e ss..
156 Direttiva 2006/112/CE del Consiglio del 28 novembre 2006 relativa al sistema comune d‘imposta sul valore aggiunto pubblicata in GUCE L 347 del 11.12.2006, p. 1–118, che abroga le direttive 67/227/CEE e 77/388/CEE.
ogni possibile evasione, elusione e abuso.‖
L'art. 27 della VI Direttiva prevedeva inoltre la possibilità per gli Stati membri, previa autorizzazione del Consiglio, di mantenere o introdurre misure particolari di deroga alla direttiva, allo scopo di semplificare la riscossione dell'imposta o di evitare talune frodi o evasioni fiscali157. Esso è stato sostituito dall'art. 395 della Direttiva 2006/112/CE del 28 novembre 2006 il cui primo comma prevede che: ―Il Consiglio, deliberando all'unanimità su proposta della Commissione, può autorizzare ogni Stato membro ad introdurre misure speciali di deroga alla presente direttiva, allo scopo di semplificare la riscossione dell'imposta o di evitare talune evasioni o elusioni fiscali.‖. Secondo alcuni autori il riferimento contenuto nella norma a talune evasioni o elusioni fiscali porterebbe ad escludere la possibilità di una norma generale antielusiva di fonte nazionale applicabile esclusivamente allo specifico settore; in effetti una tale previsione non costituirebbe una deroga particolare alla disciplina generale dell'imposta ma ne costituirebbe parte integrante con conseguente violazione delle competenze comunitarie in materia di imposizione indiretta, ne conseguirebbe che una tale norma antielusiva di portata generale potrebbe essere introdotta nella materia dell'imposizione sul valore aggiunto solo a seguito di una modifica della disciplina comunitaria contenuta nelle direttive.
La Corte di Giustizia ha avuto modo di occuparsi della portata da attribuire all'articolo 27 della VI Direttiva nella sentenza Directs Cosmetics158, nella quale ha affermato che tale norma consente l' adozione di un provvedimento in deroga riguardante l'imponibile dell'imposta sul valore aggiunto, anche nel caso in cui le attività del contribuente che possono provocare una diminuzione di detto imponibile vengono svolte senza alcuna intenzione di procurarsi un vantaggio fiscale, bensì per motivi di natura commerciale. Dette attività rientrano infatti nella nozione di "evasione" la quale, a differenza di quella di frode, che contiene un elemento intenzionale, corrisponde ad un fenomeno puramente obiettivo. L'adozione di un provvedimento in deroga che colpisca solo taluni contribuenti, fra quelli i cui metodi commerciali implicano un‘evasione fiscale, è ritenuta dalla Corte ammissibile purché la differenza di trattamento che ne deriva sia
157 Una lista completa delle eccezioni alla applicazione della Sesta direttiva può trovarsi all'indirizzo:
―xxxx://xx.xxxxxx.xx/xxxxxxxx_xxxxxxx/xxxxxxxx/xxx/xxx_xxxxxxxxx/xxxxx_xxxxxxxxxxx/‖.
158 Corte di Giustizia, sentenza 12 luglio 1988, cause riunite C 138/96 e 139/86, Direct Cosmetics Ltd e Laughtons Photographs Ltd contro Commissioners of Customs and Excise, Racc., 03937.
giustificata da circostanze obiettive.
In proposito è stato osservato159 che le sfere di applicazione delle deroghe di cui all'art. 27 della VI direttiva e del divieto di abuso del diritto sarebbero differenti. Il divieto in quanto principio intrinseco alla norma giuridica, attivo in sede di interpretazione ed applicazione della stessa, opererebbe in un momento anteriore rispetto all'articolo 27, la cui operatività riguarderebbe i casi di frode ed evasione fiscale non suscettibili di essere contrastati mediante l'interpretazione della norma giuridica, in tali casi sarebbe infatti necessaria una deroga della norma in questione come nel caso di cui alla sentenza predetta160 in quanto, pur riscontrandosi l'elemento oggettivo del concetto di abuso (ottenimento di un vantaggio fiscale contrario agli obiettivi della normativa di assicurare l'imposizione del valore aggiunto in tutte le fasi del processo di produzione e commercializzazione dei beni e servizi), vi è assenza di quello c.d. soggettivo (ottenimento del vantaggio fiscale quale unico scopo dell'operazione), in quanto le concrete modalità con cui sono state condotte le operazioni sono dovute a ragioni puramente o principalmente commerciali e, nonostante ciò, la lesione arrecata agli obiettivi della normativa è tale che si giustifica la disapplicazione delle disposizioni di cui alla direttiva, benché solamente mediante il procedimento previsto dall'art. 27 della stessa.
Altra sentenza avente ad oggetto la possibilità di derogare alle disposizioni contenute nella VI Direttiva in merito alla determinazione della base imponibile da parte degli Stati Membri, con evidenti finalità di lotta alla evasione ed elusione attuabili mediante l'artificiosa determinazione dei prezzi di cessione tra parti correlate, è quella emessa dalla Corte di Giustizia il 20 gennaio 2005 nel caso Hotel Scandic161, avente ad oggetto
159 X. Xxxxxxxx Xxxxxxx, El concepto de abuso de derecho en el ambito del IVA: el “Caso Halifax”, Fiscal n. 124, Dicembre 2006, in risposta alle critiche aventi ad oggetto l'incompatibilità della previsione in oggetto con l'affermazione di un divieto generale di abuso del diritto applicabile alla materia dell'imposta sul valore aggiunto.
160 Il caso oggetto della sentenza aveva ad oggetto una società specializzata nella vendita diretta di cosmetici la quale vendeva ai propri agenti i quali rivendevano i prodotti ai consumatori finali con applicazione di un ricarico, le vendite agli agenti erano sottoposte ad imposizione mentre non lo erano quelle al consumatore finale in quanto gli agenti avevano un volume d'affari inferiore al limite previsto dalla legge britannica per l'applicazione del regime di franchigia Iva. Il Regno Unito fu autorizzato ai sensi dell'art 27 della VI direttiva ad applicare un regime speciale secondo il quale la base imponibile delle cessioni effettuate dalla società non era costituita dal prezzo pagato dagli agenti ma da un importo superiore comprendente il ricarico praticato da questi ultimi al momento della cessione ai consumatori finali.
161 Corte di Giustizia, sentenza 20 gennaio 2005, causa X 000/00, Xxxxx Xxxxxxx Xxxxxxxx XX contro Riksskatteverket, Racc., I-00743.
la normativa svedese che in caso di cessione di beni o servizi ai dipendenti di una impresa e più in generale in ogni caso in cui un soggetto passivo ceda un bene ad un terzo, a titolo gratuito o oneroso, per un corrispettivo di valore inferiore a quello di produzione riteneva applicabili, ai fini della determinazione della base imponibile dell'operazione, le disposizioni della VI direttiva in materia di autoconsumo, la base imponibile applicabile conseguentemente doveva essere fissata in misura non inferiore al costo di acquisizione o di produzione dei detti beni e servizi per l'impresa.
La Corte ha ritenuto che le disposizioni della direttiva aventi ad oggetto la base imponibile dell'imposta sul valore aggiunto ostino ad una normativa nazionale che consideri quale prelievo di un bene o quale prestazione di servizi per esigenze private operazioni per le quali venga effettivamente versato un corrispettivo, ancorché tale corrispettivo sia inferiore al prezzo di costo del bene ceduto o del servizio fornito. Infatti la circostanza che un‘operazione economica venga svolta ad un prezzo superiore o inferiore al prezzo di costo è irrilevante ai fini della qualificazione di tale operazione come «negozio a titolo oneroso» ai sensi dell‘art. 2 della direttiva, in quanto quest‘ultima nozione presuppone unicamente l‘esistenza di un nesso diretto tra la cessione di beni o la prestazione di servizi ed il corrispettivo realmente percepito dal soggetto passivo.
Per converso la Corte riconosce l'esistenza del pericolo, fatta presente dal governo svedese, che il pagamento dell‘IVA possa venire in gran parte eluso qualora il soggetto passivo o il personale del medesimo potessero ottenere un bene o un servizio per una somma simbolica e versare la relativa imposta sulla base di tale corrispettivo, un tale rischio potrà però dar luogo unicamente ad una domanda, ex art. 27 della direttiva medesima, relativa all‘introduzione da parte dello Stato membro interessato di misure derogatorie al fine di evitare talune frodi o evasioni fiscali.
La Commissione ha rilevato come il numero di deroghe introdotte ai sensi dell'allora vigente art. 27 della VI Direttiva (circa centoquaranta e comunque destinato ad un rilevante aumento a seguito dell'ingresso di nuovi Stati Membri nell'Unione ) fosse indicativo della circostanza che negli anni recenti la frode e l'elusione dell'IVA avessero assunto la natura di questione di rilevante gravità anche in considerazione delle conseguenze che tali comportamenti, ormai largamente diffusi in alcuni settori, hanno sulla concorrenza tra operatori disonesti e operatori corretti. Gli Stati Membri sempre
più spesso sono chiamati a fronteggiare costruzioni artificiali, spesso comprendenti una serie di transazioni, poste in essere con la sola finalità di ottenere un vantaggio fiscale sotto forma di abbattimento dell'Iva dovuta o di incremento dell'Iva detraibile e che nonostante la loro manifesta artificialità sono di difficile contrasto dal punto di vista legale, anche in considerazione del tempo necessario al contrasto in via amministrativa e/o giurisdizionale. Ciò ha reso evidente, sempre a parere della Commissione, l'inadeguatezza di un approccio individuale al problema mediante le dette deroghe individuali che peraltro colpiscono l'uniformità di applicazione dell'imposta, in quanto non sempre esse sono compatibili con il quadro giuridico di riferimento. Nell'elusione in particolare i meccanismi utilizzati per diminuire artificialmente il carico dell'imposta sono posti in essere sulla base di un'attenta analisi della lettera delle disposizioni nazionali e di quelle contenute nella VI Direttiva. I principi del sistema comune d'imposta contenuti nella Direttiva, in quanto tracciati avendo a mente le operazioni aventi natura genuina, si dimostrano inadatti ad affrontare i casi in cui i soggetti passivi cercano di aggirare detti principi. La base legale fornita dall'art. 27 per le deroghe individuali appare a tal fine insufficiente e pertanto, anche in considerazione della necessità di una loro razionalizzazione, è apparso necessario che le deroghe di cui si sia dimostrata l'efficacia a contrastare i problemi di applicazione del sistema comune in aree specifiche e determinate in una pluralità di Stati Membri fossero rese adottabili mediante opzione da tutti gli Stati Membri senza necessità di parere preventivo.
A quanto proposto dalla Commissione è stata data attuazione mediante l'introduzione nella VI direttiva delle modifiche contenute nella Direttiva del Consiglio del 24 luglio 2006 n. 2006/69/CE162, la quale ha introdotto la possibilità per le normative nazionali di attuazione di derogare alla disciplina generale di cui alla VI Direttiva, peraltro rammentando che le misure incorporate dovrebbero comunque essere proporzionate e limitate a quanto strettamente necessario ad affrontare il problema di cui trattasi. In particolare si sono introdotte deroghe riguardanti: il soggetto passivo e il trasferimento di un‘azienda senza cessazione di attività; il valore delle cessioni, prestazioni e acquisizioni, per garantire che non vi siano perdite di gettito dovute all‘utilizzazione di
162 Direttiva 2006/69/CE del Consiglio, del 24 luglio 2006 , che modifica la direttiva 77/388/CEE per quanto riguarda talune misure aventi lo scopo di semplificare la riscossione dell'imposta sul valore aggiunto e di contribuire a contrastare la frode o l'evasione fiscale e che abroga talune decisioni che autorizzano misure derogatorie, in GU L 221 del 12.8.2006, pagg. 9–14.
parti collegate al fine di ottenere vantaggi fiscali; taluni servizi di natura analoga a quella dei beni d‘investimento che possono essere inclusi nel regime che consente la rettifica delle detrazioni per i beni d‘investimento lungo la durata di vita utile del bene secondo il suo effettivo utilizzo; la designazione del beneficiario delle operazioni quale soggetto tenuto all‘adempimento degli obblighi di versamento e contabili relativi all‘imposta (c.d. reverse charge); il regime dell'oro da investimento che a seguito di lavorazione perda tale qualità.
Per tornare alle norme in materia di determinazione della base imponibile, a titolo di esempio, il nuovo articolo 80 della Direttiva 112/2006/CE nel quale sono state trasposte le modifiche apportate all'art 11 della VI Direttiva dispone che:
―1. Allo scopo di prevenire l'elusione o l‟evasione fiscale gli Stati membri possono, nei seguenti casi, prendere misure affinché, per la cessione di beni e la prestazione di servizi a destinatari con cui sussistono legami familiari o altri stretti vincoli personali, gestionali, di associazione, di proprietà, finanziari o giuridici quali definiti dallo Stato membro, la base imponibile sia pari al valore normale:
a) se il corrispettivo è inferiore al valore normale e l‟acquirente dei beni o il destinatario dei servizi non ha interamente diritto alla detrazione ai sensi degli articoli da 167 a 171 e degli articoli da 173 a 177;
b) se il corrispettivo è inferiore al valore normale e il cedente o prestatore non ha interamente diritto alla detrazione ai sensi degli articoli da 167 a 171 e degli articoli da 173 a 177 e l‟operazione è esente ai sensi degli articoli 132, 135, 136, 371, 375, 376 e 377, dell'articolo 378, paragrafo 2), dell'articolo 379, paragrafo 2 o degli articoli da 380 a 390;
c) se il corrispettivo è superiore al valore normale e il cedente o prestatore non ha interamente diritto alla detrazione ai sensi degli articoli da 167 a 171 e degli articoli da 173 a 177.
Ai fini del primo comma, i vincoli giuridici possono comprendere il rapporto tra datore di lavoro e lavoratore dipendente, la famiglia del lavoratore dipendente o altre persone strettamente collegate al lavoratore dipendente.
2. Quando applicano l'opzione di cui al paragrafo 1, gli Stati membri possono definire le categorie di prestatori, cedenti, acquirenti o destinatari cui tali misure si applicano.
3. Gli Stati membri informano il comitato IVA in merito all'introduzione delle misure nazionali adottate in applicazione delle disposizioni del paragrafo 1, nella misura in cui non si tratti di misure autorizzate dal Consiglio prima del 13 agosto 2006 a norma dell'articolo 27, paragrafi da 1 a 4, della direttiva 77/388/CEE e mantenute ai sensi del paragrafo 1 del presente articolo.‖
Gli Stati Membri potranno pertanto incorporare una norma antielusiva in materia avente le caratteristiche previste dalla disposizione riportata con l'unico obiettivo di combattere l'elusione e l'evasione fiscale. Perché una simile norma non ecceda quanto strettamente necessario a tal fine la sua applicabilità sarà condizionata alla circostanza che il prezzo che si sarebbe richiesto in condizioni normali risulti influenzato dalla esistenza di vincoli tra cedente e cessionario di natura familiare, di gestione, di proprietà, finanziari o giuridici, tra i quali si include la relazione tra datore di lavoro e lavoratore. Per converso l'applicazione della disposizione antielusiva dovrà essere esclusa ogni qualvolta esistano ragioni commerciali che giustifichino la cessione ad un prezzo inferiore a quello di mercato ovvero si dimostri che i vincoli tra cedente e cessionario non hanno in alcun modo influito sulla determinazione del prezzo di cessione.
Inoltre dalla successiva giurisprudenza in materia di abuso del diritto nella specifica materia, oggetto dei successivi paragrafi, deriva la necessità per il legislatore nazionale che voglia introdurre norme antiabuso valide anche o esclusivamente nella materia dell'imposizione sul valore aggiunto di rispettare i limiti imposti da tale giurisprudenza anche in riferimento alle procedure ed agli oneri probatori imposti al contribuente. Alla luce di tale giurisprudenza appare infine ormai superata la questione circa la necessità di una specifica norma nazionale di attuazione ai fini della possibilità applicazione nel settore dell'imposta sul valore aggiunto del principio di divieto dell'abuso163.
Ancora in merito alle potestà riconosciute agli Stati Membri in sede di attuazione della normativa di armonizzazione la Corte ha riconosciuto che, conformemente all‘art. 13, B, della sesta direttiva, gli Stati membri esonerano la locazione di beni immobili alle condizioni da essi stabilite per assicurare la corretta e semplice applicazione dell‘esenzione e per prevenire ogni possibile frode, evasione ed abuso. Si evince da tale
163 In proposito si vedano X. Xxxxxxxx, Abuse of rights in EC law, The EC Tax Journal 2/2002, p. 119; Abus de droit: further thoughts on the cleaning of the stables, and the Community notion of own resources, The EC Tax Journal 2/2002, p. 111; X. Xxxxxx, Abus de droit in the Field of Value Added Taxation, BTR 2/2003, p.131.
disposizione che la lotta contro ogni possibile frode, evasione ed abuso è un obiettivo riconosciuto e promosso dalla sesta direttiva. Conseguentemente sarebbe contrario a tale obiettivo vietare ad uno Stato membro d‘imporre l‘applicazione immediata di una sua legge che sopprima il diritto di optare per l‘imposizione di determinate locazioni di immobili, avente come corollario l‘obbligo di rettificare le deduzioni effettuate, qualora tale Stato si sia reso conto che il diritto di opzione veniva esercitato nell‘ambito dei meccanismi elusivi dell‘imposta. Un soggetto passivo non può dunque fare legittimamente affidamento sul fatto che sussista un contesto normativo che consente la frode, l‘evasione fiscale o l‘abuso164. Dalla constatazione che tra gli obiettivi della normativa comunitaria in materia di imposta sul valore aggiunto rientra quello di evitare ogni possibile frode, evasione o abuso consegue pertanto la necessità di una interpretazione delle disposizioni da essa previste tale da impedire che i soggetti possano servirsi di tali disposizioni in maniera tale che si configuri un abuso delle medesime.
Nella sentenza Fini H165 del 3 marzo 2005 la Corte di Giustizia riconosce che il diritto alla detrazione dell'Iva versata successivamente alla messa in liquidazione dell‘attività commerciale deve essere riconosciuto esclusivamente a condizione che il suo esercizio non dia luogo a situazioni fraudolente o abusive, la Corte fa espresso riferimento alla propria giurisprudenza precedente riguardante il divieto di avvalersi abusivamente o fraudolentemente del diritto comunitario (in particolare alle sentenze Xxxxxxx e Diamantis).166
Ciò deriva dalla constatazione che il regime della detrazione è inteso ad esonerare interamente l‘imprenditore dall‘IVA dovuta o pagata nell‘ambito di tutte le sue attività economiche. Il sistema comune dell'IVA garantisce, di conseguenza, la perfetta neutralità dell‘imposizione fiscale per tutte le attività economiche, indipendentemente
164 Corte di Giustizia, sentenza 29 aprile 2004, Gemeente Leusden e Holin Groep BV cs contro Staatssecretaris van Financiën, cause riunite C-487/01 C-7/02, Racc., I-05337, punti 76 e 77.
165 Corte di Giustizia, sentenza 3 marzo 2005, causa X-00/00, X/X Xxxx X contro Skatteministeriet., Racc., I-01599.
000 Xx Xxxx osserva come la Corte non faccia nell'occasione alcun riferimento all'elemento soggettivo come definito nella sentenza Emsland-Starke, nell'affermare come sia dovere del giudice nazionale negare il beneficio del diritto a detrazione ove sia dimostrato che tale diritto è invocato in modo fraudolento o abusivo, l'indicazione delle circostanze sulla base delle quali quest'ultimo può pervenire a tale dimostrazione è operato esclusivamente con riferimento a generici elementi obiettivi, De Broe
L. , International Tax Planning and Prevention of Abuse. A Study under Domestic Tax Law, Tax Treaties and EC Law in relation to Conduit and Base Company, cit., p. 769.
dallo scopo o dai risultati di dette attività, purché queste siano, in linea di principio, di per sé soggette all‘IVA. E' peraltro necessario un nesso immediato e diretto tra una specifica operazione a monte e una o più operazioni a valle che conferiscono il diritto a detrazione affinché il diritto a detrarre l‘IVA assolta a monte sia riconosciuto in capo al soggetto passivo e al fine di determinare la portata di siffatto diritto. La cessazione dell'attività di per sè, come peraltro il suo mancato inizio167, non esclude in linea di principio tale nesso tra l'attività stessa e gli oneri sopportati dopo la cessazione dell‘attività derivanti direttamente dall‘esercizio della detta attività.
Benché evidentemente nella ipotesi di mancato inizio o di cessazione dell'attività economica sia necessaria una particolare cautela nell'accertare la presenza del nesso immediato e diretto tra oneri conferenti il diritto alla detrazione ed attività economica soggetta ad imposta onde verificare l'assenza di comportamenti abusivi quali si verificherebbero nell'ipotesi il cui il soggetto, pur avvalendosi del diritto a detrazione dell‘IVA gravante sugli oneri inerenti al periodo successivo alla cessazione dell‘attività, utilizzasse i beni e servizi acquisiti a fini puramente privati, sarà comunque necessario verificare in base alle circostanze del caso concreto se si sia verificato un utilizzo abusivo del diritto alla detrazione dell'imposta.
Qualora l‘amministrazione fiscale dovesse constatare che il diritto a detrazione è stato esercitato in maniera fraudolenta o abusiva, conclude la Corte nella sentenza in oggetto, essa avrebbe il diritto di chiedere, con effetto retroattivo, il rimborso delle somme detratte. Spetterà comunque al giudice nazionale negare il beneficio del diritto a detrazione se è dimostrato, alla luce di elementi obiettivi, che tale diritto viene invocato in modo fraudolento o abusivo168.
Ecco che l'assenza di elementi obiettivi che denotino l'esistenza di una frode ovvero di un abuso del diritto alla detrazione sembra venire a costituire nella giurisprudenza della Corte in materia di imposta sul valore aggiunto, per così dire, un limite esterno all'esercizio del diritto medesimo169.
167 Giurisprudenza in tema di attività preparatorie richiamata al punto 22 della sentenza Xxxx X.
168 Corte di Giustizia, causa C 32/03, Xxxx H, punti 33 e 34.
169 In tal senso si rinvia a Corte di Giustizia, sentenza 8 giugno 2000, causa X 000/00, Xxxxxxxxx, Xxxx., I-432, punto 41 e a Corte di Giustizia, sentenza 8 giugno 2000, causa C 000/00, Xxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxx Xxxxxxxxxxxx Xxx, Racc., I-4279, punto 42, nonché al punto 85 della sentenza Halifax.
E' stato osservato come la Corte di Giustizia concepisca il principio di divieto di abuso del diritto comunitario nella materia dell'imposta sul valore aggiunto quale rimedio di ultima istanza onde contrastare l'illegittima elusione dell'imposta. Nelle fattispecie in cui gli schemi elusivi posti in essere dal contribuente possono essere contrastati senza ricorrere al detto principio ma semplicemente mediante una interpretazione teleologica delle disposizioni della VI direttiva essa evita di ricorrere al principio de quo sottraendo in tal modo il comportamento in questione all'esame in merito allo scopo essenziale di risparmio di imposta170.
Così nel caso RAL171 avente ad oggetto la determinazione del luogo di prestazione del servizio nell'ipotesi in cui il fornitore, tramite la riorganizzazione della propria compagine societaria, abbia localizzato la proprio sede al di fuori della Comunità al solo o principale scopo di sfuggire all'applicazione dell'imposta, la Corte, dinanzi alle due domande pregiudiziali circa l'interpretazione delle norme della sesta direttiva in materia di luogo di prestazione del servizio e di applicabilità del divieto di comportamenti abusivi nell'Iva, ha ritenuto di ricorrere ad una interpretazione estensiva delle norme della sesta direttiva, evitando in tal modo di fare applicazione del principio di divieto di abuso del diritto comunitario. Mentre nel caso Centralan172, di poco precedente e avente numerosi punti in comune con il caso Halifax, l'Avvocato Generale Xxxxxx espressamente afferma che, benché alla luce della soluzione data non risulti necessario esaminare se e in quale misura nell‘ambito della disciplina sull‘imposta sul valore aggiunto esista un divieto dell‘abuso di diritto, quali siano i presupposti di tale divieto e quali conseguenze giuridiche ne conseguano, ciò non esclude che operazioni fittizie comportino un‘esenzione fiscale che contrasta con gli obiettivi della direttiva e che una tale situazione dovrebbe essere corretta mediante il ricorso a principi non scritti, quali il divieto dell‘abuso di diritto173.
170 In tal senso X. Xxxxxxxx Xxxxxxx, El concepto de abuso de derecho en el ambito del IVA: el “Caso Halifax”, cit.. L'Autore indica quali esempi le sentenze emesse nei casi Temco Europe del 18 novembre 2004, causa C 284/03, Centralan del 15 dicembre 2005, causa C 63/04, RAL del 12 maggio 2005, causa C 452/03, e Bupa Hospital del 21 febbraio 2006, causa C 419/02.
171 Corte di Giustizia, sentenza del 12 magio 2005, causa C 452/03, RAL (Channel Islands) Ltd e altri contro Commissioners of Customs & Excise, Racc., I-03947. Sul quale De La Feria R., „Game Over‟ for aggressive VAT planning?: RAL v. Commissioners of Customs & Excise, in BTR(2005), 394–401.
172 Corte di Giustizia, sentenza 15 dicembre 2005, causa C-63/04, Centralan Property Ltd contro Commissioners of Customs & Excise, Racc., I-11087
173 Punti 61 e 62 delle conclusioni dell'Avvocato Generale nel caso Centralan.
2.4.1 LA SENTENZA HALIFAX: GLI ELEMENTI COSTITUTIVI DELLA CONDOTTA ABUSIVA NELL'IMPOSTA SUL VALORE AGGIUNTO E LE CONSEGUENZE DEL SUO ACCERTAMENTO.
Con la storica pronuncia emessa nel caso Halifax 174 la Corte di Giustizia definisce, per la prima volta in modo sufficientemente chiaro, gli elementi costitutivi della condotta abusiva rilevanti ai fini dell'applicazione del divieto di abuso del diritto comunitario nel settore dell'imposta sul valore aggiunto nonché quali siano le conseguenze da attribuire alla constatazione della ricorrenza di una simile fattispecie secondo il diritto comunitario.
Il caso portato all'attenzione del giudice comunitario dal VAT and Duties Tribunal di Londra riguardava una banca, la Halifax plc, la quale all'epoca dei fatti, effettuando principalmente operazioni esenti, secondo la regola del pro-rata, poteva recuperare meno del 5% dell‘IVA assolta a monte sui beni e servizi aqcuisiti. Dovendo costruire alcuni call centers su terreni di sua proprietà o dei quali aveva la disponibilità Halifax concludeva una serie di accordi con Leeds Permanent Development Services Ltd, una società di promozione immobiliare, County Wide Property Investments Ltd, una società di sviluppo e finanziamento immobiliare, ed Halifax Property Investments Ltd, tutte interamente controllate dalla stessa Halifax.
In particolare essa stipulava, l'ultimo giorno del primo anno di esecuzione delle operazioni contestate, dei contratti di mutuo con Leeds Development accettando di prestarle somme sufficientemente importanti, affinché Leeds Development potesse acquistare diritti sui terreni in questione e valorizzarli e si accordava altresì per l‘esecuzione sui detti siti di alcuni lavori edili di natura preparatoria di modesta entità da parte di Leeds Development che costituendo l'unica operazione attiva da essa compiuta conferivano a quest'ultimo per il periodo d'imposta in corso il diritto alla detrazione
174 Corte di Giustizia, sentenza 21 febbraio 2006, causa C 000/00 Xxxxxxx xxx, Xxxxx Permanent Development Services Ltd e County Wide Property Investments Ltd contro Commissioners of Customs & Excise, in Racc., I-01609.