Patto di non concorrenza
Cessione di quote sociali
Cassazione civile, Sez. I, 7 luglio 2008, n. 18591 - Pres. Xxxxxxx - Rel. Xxxxxx` - D.M. I. c. R.A. ed altro
Societa` di capitali - Azioni - Trasferimento - Patto di non concorrenza - Divieto di concorrenza (applicazione analogica) -
Validita` del patto di non concorrenza (Cod. civ. artt. 2596, 2557)
I. Il patto con il quale una parte si obbliga a non assumere dipendenti delle societa` delle quali ha ceduto le quo- te, costituisce un impegno personale che pero` vincola in relazione a tutta l’attivita` imprenditoriale, sia indivi- duale che mediante impresa collettiva, tanto piu` nell’ipotesi nella quale l’obbligato rivesta in detta impresa col- lettiva un ufficio amministrativo apicale (nella specie amministratore unico) (massima non ufficiale).
Societa` di capitali - Azioni - Trasferimento - Patto di non concorrenza - Divieto di concorrenza (applicazione analogica) -
Validita` del patto di non concorrenza (Cod. civ. artt. 2596, 2557)
II. Il divieto di assunzione di dipendenti delle societa` cedute, pur non indicando l’attivita` e la zona alle quali il divieto deve intendersi riferito, e` valido ai sensi dell’art. 2596, comma 0, x.x., xxxxxxx , xxxx xxxxxxx di una inter- pretazione di buona fede, lo stesso deve intendersi limitato secondo il criterio dell’attivita` (massima non ufficia- le).
La Corte (omissis).
1. Con primo motivo del ricorso principale il D.M., de- nunciando vizio di motivazione, deduce il proprio difet- to di legittimazione passiva, affermando non esservi pro- va che le societa` che hanno assunto i dipendenti in que- stione appartengano a lui e costituiscano uno schermo attraverso il quale egli ha esercitato la sua attivita` im- prenditoriale.
1.1. La censura e` priva di fondamento.
Con accertamento di fatto e interpretazione del contrat- to inter partes sorretti da idonea motivazione, immune da vizi logici, la Corte di appello di Trieste ha ritenuto che il patto del 30 giugno 1995, con il quale il D.M. si era obbligato a non assumere per due anni dipendenti in forza alle societa` di cui aveva ceduto le quote, costituiva un suo impegno personale che pero` lo vincolava «in re- lazione a tutta la sua attivita` imprenditoriale, sia indivi- duale che mediante impresa collettiva, tanto piu` nell’i- potesi che egli ricoprisse ufficio amministrativo apicale» ed ha rilevato che nella specie lo stesso D.M. ricopriva, nelle due societa` che avevano assunti i dipendenti di- messisi dalle societa` di cui il R. aveva acquistato le quo- te, l’incarico di amministratore unico, costituendo quin-
di l’unica persona fisica con funzioni dirigenziali. Di conseguenza, stante la particolare natura dell’incarico so- ciale ricoperto, implicante immedesimazione organica con le societa` amministrate, infondata era l’eccezione di difetto di legittimazione passiva sollevata dal convenuto, tenuto altres`ı conto che entrambe le societa` amministra- te dal D.M., una delle quali era stata da lui costituita nel novembre 1995, pochi mesi dopo la stipulazione del pat- to con il R., operavano proprio nel medesimo settore e nello stesso ambito territoriale in cui agivano le societa` le cui quote erano state cedute al R.. Il ricorrente ha cri- ticato la sentenza impugnata, affermando che non risul- tava provato che la maggioranza delle quote delle due societa` da lui amministrate fossero di sua proprieta` e che sul punto la decisione dei giudici di appello non e` sorret- ta da specifica motivazione, ma la censura va disattesa tenuto conto dell’esaurienti e congrue argomentazioni della Corte di merito, che danno pienamente conto del- l’iter logico posto a base della decisione sul punto speci- fico del riconoscimento della legittimazione passiva del D.M..
2. Con il secondo motivo il ricorrente deduce la nullita`
dell’accordo inter partes del 30 giugno 1995, in quanto, in violazione dell’art. 2596 c.c., che condiziona la validi-
ta` dei patti di non concorrenza ad una determinata atti- vita` e ad una determinata zona, non indica ne´ l’attivita` ne´ la zona a cui si riferisce il patto di non concorrenza.
2.1. La doglianza e` inammissibile.
L’art. 2596 c.c., comma 1, dispone che il patto che limi- ta la concorrenza e` valido solo se circoscritto ad una de- terminata zona o ad una determinata attivita`. Nel caso di specie, il ricorrente deduce che l’accordo inter partes del 30 giugno 1995, il cui contenuto non e` stato comun- que specificamente trascritto o riportato nel ricorso, in violazione del principio di autosufficienza del ricorso me- desimo (Cass. 2006/3075; 2007/2560; 2007/4178), non indica ne´ l’attivita`, ne´ la zona a cui il divieto di assun- zione dei dipendenti si riferisce, ma non censura specifi- camente l’argomentazione con la quale i giudici di ap- pello hanno ritenuto che l’interpretazione secondo buo- na fede dell’accordo 30 giugno 1995 portava a ritenere che l’impegno assunto dal D.M. riguardasse il divieto di assumere dipendenti delle societa` cedute in societa` ope- ranti nel medesimo settore commerciale o industriale. Alla stregua dell’interpretazione fornita dai giudici di ap- pello deve pertanto ritenersi che il divieto di assunzione dei dipendenti delle societa` cedute fosse limitato secon- do il criterio dell’attivita`, in conformita` al disposto del- l’art. 2596 x.x., xxxxx 0, xxxxxxxxxxxx quindi alla sanzio- ne della nullita` invocata dal D.M., la cui doglianza, non concretizzatasi in una specifica critica alla ratio della de- cisione impugnata, deve essere conseguentemente di- chiarata inammissibile (Cass. 2005/359; 2005/21490).
3. Con il terzo motivo si denunciano violazione e falsa applicazione delle norme sull’interpretazione dei contrat- ti e omessa motivazione in punto di inadempimento. Af- ferma il D.M. che, non meritando tutela l’assunzione a carico dei contraenti di vincoli anticoncorrenziali ecces- sivi, il patto 30 giugno 1995 avrebbe dovuto essere inter- pretato, non nel senso di vietare semplicemente l’assun- zione di dipendenti autonomamente dimessisi, ma nel senso che egli non avrebbe dovuto svolgere attivita` di- retta a contattare o sottrarre personale dipendente delle societa` cedute e quindi nel senso di vietare la sottrazione di personale dipendente. Deduce altres`ı il ricorrente che nella specie l’attore non ha provato lo svolgimento da parte sua di attivita` volta allo storno di dipendenti.
3.1. La censura e` inammissibile. Xxxxxxx, al riguardo, il collegio che l’interpretazione del contratto e degli atti di autonomia privata costituisce un’attivita` riservata al giu- dice di merito ed e` censurabile in sede di legittimita` sol- tanto per violazione dei criteri legali di ermeneutica contrattuale, ovvero per vizi di motivazione, qualora la stessa risulti contraria a logica o incongrua, cioe` tale da non consentire il controllo del procedimento logico se- guito per giungere alla decisione. Ai fini della censura di violazione dei canoni ermeneutici, non e` peraltro suffi- ciente l’astratto riferimento alle regole legali di interpre- tazione, ma e` necessaria la specificazione dei canoni in concreto violati, con la precisazione del modo e delle considerazioni attraverso i quali il giudice se ne e` disco- stato, nonche´, in ossequio ai principio di specificita` ed autosufficienza del ricorso, con la trascrizione del testo integrale della regolamentazione pattizia del rapporto o
della parte in contestazione, ancorche´ la sentenza abbia fatto ad essa riferimento, riproducendone solo in parte il contenuto, qualora cio` non consenta una sicura ricostru- zione del diverso significato che ad essa il ricorrente pre- tenda di attribuire. La denuncia del vizio di motivazione deve essere invece effettuata mediante la precisa indica- zione delle lacune argomentative, ovvero delle illogicita` consistenti nell’attribuzione agli elementi di giudizio di un significato estraneo al senso comune, oppure con l’in- dicazione dei punti inficiati da mancanza di coerenza lo- gica, e cioe` connotati da un’assoluta incompatibilita` ra- zionale degli argomenti, sempre che questi vizi emergano appunto dal ragionamento logico svolto dal giudice di merito, quale risulta dalla sentenza. In ogni caso, per sot- trarsi al sindacato di legittimita`, non e` necessario che quella data dal giudice sia l’unica interpretazione possibi- le, o la migliore in astratto, sicche´, quando di una clau- sola siano possibili due o piu` interpretazioni, non e` con- sentito alla parte, che aveva proposto l’interpretazione disattesa dal giudice, dolersi in sede di legittimita` del fat- to che ne sia stata privilegiata un’altra (Cass. 2007/ 4178; 2007/5273; 2007/15604).
Il ricorrente, nel dedurre che il patto 30 giugno 1995 avrebbe dovuto essere interpretato, non nel senso di vie- tare semplicemente l’assunzione di dipendenti autono- mamente dimessisi, ma nel senso che egli non avrebbe dovuto svolgere attivita` diretta a contattare o sottrarre personale dipendente delle societa` cedute e quindi nel senso di vietare la sottrazione di personale dipendente, non ha prospettato la violazione di specifiche regole in- terpretative, ne´ ha indicato lacune argomentative o vizi logici della decisione impugnata, ma si e` limitato a pro- porre inammissibilmente, secondo il principio sopra enunciato, un’interpretazione dell’accordo inter partes di- versa da quella prospettata dal giudice di merito.
3.1.1. Quanto alla doglianza relativa all’asserita mancan- za di prova in ordine allo svolgimento da parte del D.M. di attivita` volta allo storno di dipendenti, rileva il colle- gio che la critica si sostanzia in un’inammissibile censura di merito all’accertamento di fatto compiuto dai giudici di appello, i quali hanno rilevato costituire «dati di fatto certi in causa» le dimissioni presentate tra il settembre 1995 e l’aprile 1996 da tre dipendenti delle societa` le cui quote erano state cedute al R. e la loro successiva oc- cupazione, dopo pochi giorni, presso societa` di cui il
D.M. era amministratore unico.
4. Con l’unico motivo di ricorso incidentale il R. pro- spetta vizio di contraddittoria motivazione, per avere la Corte di merito dapprima affermato che il personale sot- tratto dal D.M. era particolarmente qualificato e succes- sivamente osservato che non era stato tuttavia dimostra- to, malgrado che non fosse stata ammessa la prova orale articolata al riguardo, che le societa` avessero sofferto pregiudizio dalla perdita dei dipendenti, cos`ı pervenen- do, sulla base di tale contraddittoria argomentazione, al- la ingiustificata riduzione della penale.
4.1. La doglianza e` infondata. La Corte di appello, con
idonea motivazione priva delle contraddizioni rilevate dal ricorrente incidentale, ha ritenuto che l’importo del- la penale - pattuito nell’accordo inter partes del 30 giu-
gno 1995 in L. cento milioni, a fronte di una qualsiasi inosservanza e senza possibilita` di valutazione della rile- vanza concreta dell’inosservanza stessa - fosse eccessivo rispetto al danno cagionato dalla perdita di tre dipen- denti, sia pure particolarmente qualificati (impiegati e operaio specializzato), tenuto conto che non era stata fornita prova di uno specifico pregiudizio organizzativo o economico subito dalle societa` di cui il R. aveva acqui- stato le quote, in dipendenza delle dimissioni dei tre di- pendenti. Quanto alla mancata ammissione della prova testimoniale articolata dall’appellante, la Corte di appel- lo ha motivatamente dato atto della irrilevanza della prova medesima, vertente esclusivamente sulla qualita` delle mansioni svolte dai dipendenti dimissionari, ma non anche sul pregiudizio subito dall’organizzazione e dal complessivo funzionamento delle societa` in conse- guenza della perdita dei tre dipendenti.
Sulla base di tali considerazioni va esclusa la sussistenza
del dedotto vizio di motivazione.
4.2. Il R. chiede anche la correzione dell’errore materiale in cui e` incorsa la sentenza di appello nell’indicazione del nominativo dello stesso R., quale appellante, il cui nome proprio e` A. e non A., ma l’istanza e` inammissibi- le, non potendosi in sede di legittimita` procedere alla correzione di errori materiali contenuti nella sentenza del giudice di merito e dovendo l’istanza medesima esse- re proposta, ai sensi dell’art. 287 c.p.c. e ss., al giudice che ha pronunciato la sentenza affetta da errore (Cass. 1999/5966; 2005/21492).
5. Le considerazioni che precedono conducono al rigetto del ricorso principale e di quello incidentale le spese del giudizio di cassazione, da liquidarsi come in motivazione, possono essere parzialmente compensate nella misura del cinquanta per cento in considerazione del rigetto di en- trambi i ricorsi, mentre il residuo cinquanta per cento va posto a carico del D.M., risultato soccombente in misura maggiore del R.
(omissis).
IL COMMENTO
di Florestano Xxxxxx
La decisione in commento offre lo spunto per una riflessione sul tema dei requisiti di validita` dei patti limita- tivi della concorrenza, sia con riferimento agli aspetti soggettivi, sia a quelli afferenti la delimitazione dell’og- getto del patto stesso. Una sintetica analisi delle posizioni della dottrina e della giurisprudenza sul punto, consente di apprezzare compiutamente le conclusioni dei giudici di legittimita` e di esaminare anche la pos- sibilita` di una applicazione analogica dell’art. 2557 c.c. a fattispecie simili alla cessione di azienda e, quindi, ai contratti di trasferimento di partecipazioni sociali.
La Sentenza in epigrafe affronta la questione del- la validita` del patto di non concorrenza, stipulato a latere di un contratto di cessione di quote sociali. Nello specifico, l’oggetto del patto di non concor- renza consisteva nell’impegno del cedente a non as- sumere, per due anni, dipendenti in forza alle socie- ta` delle quali aveva ceduto le partecipazioni. I temi di interesse affrontati dalla Sentenza sono sostan- zialmente due: quello dell’ambito soggettivo di ap- plicazione del divieto e quello della delimitazione dell’oggetto del patto ai sensi dell’art. 2596 c.c.
Sul primo tema, l’eccezione di difetto di legitti- mazione passiva sollevata dal ricorrente era fondata sul rilievo che l’assunzione dei dipendenti delle so- cieta` cedute era stata effettuata non dal sottoscrit- tore del patto di non concorrenza, ma da un sogget- to diverso, nella specie da societa` nelle quali il sot- toscrittore ricopriva il ruolo di amministratore uni- co. Sul punto la Suprema Corte ha ritenuto infon- data la censura del ricorrente, confermando la legit- timita` della decisione della Corte di Appello, lad- dove aveva considerato esistente la legittimazione passiva sulla base del rilievo che l’interpretazione di
buona fede del patto di non concorrenza implicava s`ı un impegno personale (a non assumere i dipen- denti), ma da considerarsi esteso a tutta l’attivita` imprenditoriale e, quindi, anche a quella esercitata quale amministratore unico delle societa` che aveva- no provveduto all’assunzione dei dipendenti.
Sul secondo tema, occorre rilevare che la man- canza di trascrizione del patto di non concorrenza nel ricorso per Cassazione, in violazione del princi- pio di autosufficienza del ricorso medesimo, ha im- pedito in realta` alla Corte di accertare la nullita` in- vocata dal ricorrente per violazione del disposto dell’art. 2596, comma 1, c.c., in relazione alla man- canza dell’indicazione nel patto dell’attivita` e della zona alla quale il divieto di assunzione andava rife- rito. La Corte si e`, infatti, limitata ad assumere co- me legittima la decisione sul punto della Corte di Xxxxxxx, in quanto non specificamente censurata dal ricorrente dal punto di vista motivazionale.
La Sentenza offre lo spunto per analizzare la di-
sposizione contenuta nel comma 1, dell’art. 2596
c.c. relativa ai patti di non concorrenza, sia al fine di esaminare i requisiti che tali patti devono pre-
sentare per poter essere considerati validi ed effica- ci, sia in relazione al rapporto di accessorieta` del patto stesso rispetto ad un contratto di cessione di partecipazioni sociali.
Requisiti di validita` del patto
di non concorrenza ex art. 2596 c.c.
Tema centrale affrontato dalla pronuncia in commento e` certamente quello relativo alla validita` del patto limitativo della concorrenza, con riferi- mento ai requisiti richiesti dall’art. 2596 c.c.
La Sentenza ha affermato che: «Alla stregua del- l’interpretazione fornita dai giudici di appello deve pertanto ritenersi che il divieto di assunzione dei dipendenti delle societa` cedute fosse limitato se- condo il criterio dell’attivita`, in conformita` al di- sposto dell’art. 2596, comma 1, c.c. sottraendosi quindi alla sanzione della nullita`».
Muovendo dal predetto inciso, e` interessante ve- rificare le posizioni della dottrina e della giurispru- denza in tema di validita` dei patti limitativi della concorrenza.
Tradizionalmente, le limitazioni della concorren- za sono distinte in limiti legali e restrizioni negozia- li. I primi - in relazione ai quali l’art. 2595 c.c. pre- vede che: «La concorrenza deve svolgersi in modo da non ledere gli interessi dell’economia nazionale e nei limiti stabiliti dalle legge» - sono previsti da norme inderogabili a tutela di interessi pubblici (vedi per es: le leggi istitutive di monopoli legali; quelle relative a servizi pubblici essenziali; i limiti posti all’attivita` delle SIM). Le restrizioni negoziali trovano, invece, la loro fonte in un negozio e perse- guono interessi di tipo privatistico. A questa secon- da categoria appartengono, sia i divieti espressa- mente pattuiti da soggetti privati, sia le obbligazioni di non concorrenza previste dalla legge come effet- to naturale di determinati contratti (1). Nella cate- goria dei divieti espressamente pattuiti rientrano a loro volta, sia quelli contenuti in singole clausole contrattuali, sia quelli contenuti in accordi ad hoc che hanno per oggetto esclusivo la limitazione della concorrenza (2).
La nozione di patto dell’art. 2596 c.c. compren-
de sia il contratto che ha come oggetto esclusivo la limitazione della concorrenza, sia la singola clausola di non concorrenza inserita in un piu` ampio accor- do negoziale.
I patti autonomi di non concorrenza sono rego- lati dall’art. 2596 c.c., salvo che vi sia una discipli- na speciale. La questione e` piu` complessa nel caso di divieti di concorrenza inseriti in contratti con
oggetto piu` ampio, ed in particolare per le fattispe- cie non esplicitamente regolate dal legislatore. A tal proposito, la dottrina e la giurisprudenza domi- nante, ritengono che le norme che prevedono una limitazione della concorrenza come effetto naturale di determinati negozi, siano speciali rispetto all’art. 2596 c.c. Infatti, in tali casi, e` lo stesso legislatore che ha ritenuto che, per la piena attuazione del rapporto esistente fra le parti, sia di regola necessa- rio porre restrizioni alla possibilita`, di uno o di en- trambi i soggetti coinvolti, di svolgere attivita` in concorrenza (3). Secondo la giurisprudenza e la dottrina maggioritarie, da queste disposizioni spe- ciali si ricava che, laddove secondo il legislatore la limitazione della concorrenza e` funzionalmente col- legata al rapporto di natura collaborativa esistente fra le parti, la stessa e` assoggettata alla medesima di- sciplina formale e sostanziale del negozio all’interno del quale si colloca (4). Di conseguenza, l’art. 2596
c.c. si applica solo ai contratti che hanno per ogget- to principale la limitazione della concorrenza ed al- le clausole che non presentano alcun collegamento funzionale con il rapporto cui accedono (5).
Dalla visuale indicata assume, pertanto, rilievo la valutazione della «causa» degli accordi limitativi della concorrenza (6) dal punto di vista della liceita` della stessa, intesa come «funzione economico so- ciale concretamente perseguita dall’accordo» (7).
Per quanto riguarda la ratio della norma in com-
Note:
(1) Tra le obbligazioni di non concorrenza che sono effetto natu- rale di determinati negozi: l’esclusiva nel contratto di agenzia (art. 1743 c.c.); l’obbligo di fedelta` del dipendente (art. 2105 c.c.) il divieto di concorrenza a carico dei soci illimitatamente re- sponsabili (artt. 2301 e 2318 c.c.) e degli amministratori di so- cieta` di capitali (artt. 2390, 2465, 2487, comma 2, c.c.), di coo- perative (art. 2516 c.c.) e di mutue assicuratrici (art. 2547 c.c.); il divieto di concorrenza in caso di cessione, o affitto d’azienda (art. 2557 c.c).
(2) Xxxx Xxxxxxx, I limiti negoziali alla concorrenza, Tr. Xxxxxxx, IV, 11 e ss.; Xxxx. e Xxxx. Xxxxxxxxxxxx, Concorrenza, Dig. Comm., 302 e ss.; Xxxxxxx, La concorrenza: le disposizioni gene- rali, Tr Xxxxxxxx, 1982, 285 e ss.
(3) Cfr. sul punto Rava`, Diritto industriale, II, Torino, 1988, 200.
(4) Vedi Cass. 6 agosto 1997, n. 7266, in Mass. giur. It., 1997; in dottrina Ghidini, op. cit., 20 e ss.; Xxxx. e Xxxx. Xxxxxxxxxxxx, op. cit., 308; Ferri, Manuale di diritto commerciale, Torino, 1993, 172.
(5) Sul punto Ghidini, ibidem; Xxxx. x Xxxx. Xxxxxxxxxxxx, ibidem; Ferri, ibidem; per Rava`, op. cit., 200, l’esistenza del nesso fun- zionale si puo` desumere anche dalla circostanza della contem- poraneita` tra l’esecuzione del negozio principale ed il rispetto dell’obbligo di non concorrenza; in giurisprudenza Cass. 6 ago- sto 1997, n. 7266, in Mass. giur. It., 1997.
(6) Vedi Floridia, Giur. comm., 89, II, 331; Xxxxxxx, op. cit., 22 e ss.
(7) Sul punto Libertini, Nuova giur. civ. comm., 89, II, 331.
mento, si puo` affermare che la stessa risieda nella tutela del principio della liberta` di iniziativa econo- mica individuale; infatti, viene sottolineato come, talvolta, la limitazione negoziale di tale liberta` rap- presenta un’utilita` sociale protetta dall’ordinamen- to (8). Questo orientamento e` stato, peraltro, con- fermato anche dalla giurisprudenza di legittimita`, la quale ha sottolineato come l’art. 2596 c.c. non comprima la liberta` di concorrenza, ma detti condi- zioni di validita` ed efficacia per le limitazioni della concorrenza di fonte negoziale (9).
Per quanto riguarda i requisiti necessari ai fini della validita` del patto che limita la concorrenza, gli stessi si possano distinguere in requisiti di forma e di contenuto.
Con riferimento ai requisiti di forma, l’art. 2596
x.x. xxxxxx, per il patto che limita la concorrenza, la forma scritta ad probationem. In proposito la giu- risprudenza prevalente e` propensa a ritenere che il vincolo di forma non valga per le clausole che si configurano come accessorie ad altri contratti: a queste deve applicarsi la disciplina formale dello specifico accordo in cui sono inserite (10). L’orien- tamento indicato non e` tuttavia condiviso all’uni- sono; vi e` infatti chi sostiene che il requisito della forma scritta ad probationem richiesto dall’art. 2596 sia, in realta`, espressione di un principio generale, come tale suscettibile di applicazione analogica ad ogni patto che abbia un rilievo anche solo indiretto sulla concorrenza (11).
A prescindere dall’aspetto formale, sono sicura- mente i requisiti di contenuto a caratterizzare il pat- to limitativo della concorrenza, delimitandone l’og- getto in termini di spazio o attivita` ed anche di tempo.
Sotto il profilo della durata, e` stabilito un limite temporale massimo di 5 anni. Tuttavia, la mancan- za di una previsione di durata o la previsione di una durata superiore non comportano la nullita` del patto, ma, ai sensi del comma 2 dell’articolo in commento, l’automatico inserimento del termine quinquennale.
Oltre alla limitazione temporale indicata, cio` che connota il patto ai fini della sua validita`, e` la necessita` che lo stesso riguardi una zona circoscritta o una determinata attivita`. Secondo il tenore lette- rale della norma in commento, i requisiti di spazio e di attivita`, essendo collegati da una particella di- sgiuntiva, andrebbero interpretati in chiave alterna- tiva, con la conseguenza che il patto ex art. 2596
c.c. dovrebbe considerarsi valido anche in presenza di uno solo di essi.
L’interpretazione indicata e` stata accolta dalla
giurisprudenza prevalente che, attenendosi al dato letterale della norma, ha ritenuto sufficiente, per la validita` del patto, la presenza di una sola delimita- zione (12). Tuttavia, in dottrina e nella stessa giuri- sprudenza sono presenti posizioni contrastanti.
Infatti, da un lato, un’opinione di minoranza ri- tiene nullo il patto contenente una delimitazione del divieto relativa solo al territorio o solo all’attivi- ta`, in quanto la portata di una restrizione della con- correnza dovrebbe essere valutata solo in presenza di entrambi gli elementi (13); dall’altro, una posi- zione che potremmo definire intermedia, non esclu- de a priori che in taluni casi la presenza di uno solo dei due elementi, oltre a quello temporale, potreb- be essere sufficiente per affermare la validita` del patto (14).
In ogni caso, sia la dottrina che la giurisprudenza sono concordi nel sottolineare come entrambi gli elementi devono essere valutati con specifico riferi- mento al caso concreto, ammettendo, fra l’altro, che l’individuazione della zona o dell’attivita` vieta- ta possa essere fatta anche per relationem, richia- mando cioe` rispettivamente l’area in cui opera una delle parti o l’attivita` da essa svolta (15).
Da ultimo, ribadendo che le condizioni di validi- ta` imposte dal legislatore sono volte a tutelare la li- berta` di iniziativa economica individuale, dottrina e giurisprudenza ritengono (16) che il patto limita- tivo della concorrenza debba essere comunque tale
Note:
(8) In questo senso Xxxxxxx, L’Imprenditore, Bologna, 2001, 11; Xxxxxxx, op. cit., 24.
(9) Cass. 21 agosto 1996, n. 7733, in Mass. Giur. It., 1996.
(10) Sul punto Cass. 4 febbraio 2000, n. 1238 in Foro It., 2000, con nota di Xxxxxxxx; Cass. 18 dicembre 1991, n. 13623 in Giur. ann. dir. ind., 1991, 132; App. Milano 5 ottobre 1984, Giur. ann. dir. ind., 85, 249.
(11) In questo senso in dottrina X. Xxxxxx Xxxxxxx, Esclusiva (clausola di), in Enc. Dir., XV, 1966, 381; in giurisprudenza Trib. Bari 23 maggio 1973, Giur. ann. dir. ind., 73, 337.
(12) Trib. Monza 3 settembre 2004, in Giur. mer., 2005, 289; Trib. Torino 8 giugno 1987, in Giur. ann. dir. ind., 87, 2182; App. Milano 14 maggio 1996, Giur. ann. dir. ind 96, 3488; in dottrina
X. Xxxxxxxxxxxx, Limiti negoziali della concorrenza, Padova, 1961, 161 e ss.; Libertini, Lezioni di diritto industriale, Milano, 2005, 37.
(13) In questo senso Ghidini, op. cit., 25 e ss.; Xxxx`, op. cit., 277; Trib. Napoli 24 aprile 1980, Giur. ann. dir. ind 80, 389; Pret. Gallarate 22 dicembre 1980, Riv. dir. ind. 81, II, 81 entrambe re- lative a patti privi di delimitazione territoriale.
(14) Xxxx Xxxx. e Giov. Xxxxxxxxxxxx, op. cit., 308.
(15) Trib. Milano 27 settembre 1971, Giur. ann. dir. ind 72, 176.
(16) In giurisprudenza Cass. 19 dicembre 2001, n. 16026, in Mass. giur. lav., 2002, 349 con nota di Xxxxxxxxx; in dottrina Gri- soli, op. cit., 327.
da non precludere all’obbligato la possibilita` di esercitare l’attivita` economica necessaria per la sua sopravvivenza.
Alla luce delle considerazioni sopra esposte, pos- siamo condividere l’orientamento espresso dalla pronuncia in commento in merito alla validita` del patto dal punto di vista del suo oggetto. Infatti, seb- bene per i motivi sopra evidenziati, la posizione espressa dalla Corte si e` basata sostanzialmente sul- l’interpretazione - secondo buona fede - del patto fornita dai giudici di appello, appare condivisibile che un patto di non concorrenza possa legittima- mente avere ad oggetto l’impegno di non assumere i dipendenti della societa` ceduta, individuando per relationem con l’attivita` della societa` stessa, l’ambito territoriale ed oggettivo di applicazione (17).
Altro e` poi il tema dell’interpretazione del patto dal punto di vista soggettivo, ovvero la valutazione della violazione del patto in via indiretta, mediante l’uso di uno «schermo» costituito da una societa`
nella quale l’obbligato sia socio od amministratore. E` prassi nella formulazione dei patti di non concor- renza prevedere espressamente che il divieto si
estenda alla concorrenza esercitata anche in via in- diretta, ovvero mediante la partecipazione al capi- tale od alla gestione di societa`. Occorre pero` valu- tare se anche in difetto di tale espressa previsione, la concorrenza in via indiretta possa essere ricom- presa nella portata del patto, mediante una inter- pretazione di buona fede del patto stesso. Ora, nel caso di specie, la Corte ha fatto proprio l’orienta- mento del giudice di merito, ritenendo di interpre- tare l’obbligo della persona fisica come implicita- mente esteso a tutte le forme nelle quali l’attivita` di concorrenza potrebbe estrinsecarsi e, quindi, in primis in quella societaria, specie ove l’obbligato svolga un ruolo diretto e, come nel caso in esame, determinante (amministratore unico) nella gestione della societa` concorrente.
La necessita` di interpretare qualsiasi accordo li-
mitativo della concorrenza secondo il principio di cui all’art. 1366 c.c., era stata messa in evidenza in precedenza anche dalla giurisprudenza di merito che aveva gia` affermato come, nel caso in cui la clausola limitativa della concorrenza sia formulata in termini generici, si deve ricorrere alle regole in- terpretative generali: il principio di buon fede im- pone di ritenere che l’obbligo di non concorrenza assunto dal singolo riguardi l’esercizio sia in forma individuale, sia in forma di societa` di persone (18), nonche´ il divieto di assumere la carica di ammini- stratore in una societa` operante nel settore di atti- vita` vietato (19).
Il divieto di concorrenza ex art. 2557 c.c.
La pronuncia in commento offre un ulteriore spunto per una riflessione sulla natura del divieto di concorrenza previsto dall’art. 2557 c.c., dettato con specifico riferimento ai trasferimenti di azienda, e sulla sua applicazione analogica al trasferimento di partecipazioni sociali, specie laddove si tratti di trasferimenti di maggioranze qualificate o, addirittu- ra, di partecipazioni rappresentanti l’intero capitale sociale.
Come noto il comma 1 dell’art. 2557 c.c. preve- de che «Chi aliena l’azienda deve astenersi, per il periodo di cinque anni dal trasferimento, dall’inizia- re una nuova impresa che per l’oggetto, l’ubicazione o altre circostanze sia idonea a sviare la clientela dell’azienda ceduta». Il comma 2 dello stesso artico- lo specifica che «Il patto di astenersi dalla concor- renza in limiti piu` ampi di quelli previsti dal com- ma precedente e` valido, purche´ non impedisca ogni attivita` professionale all’alienante. Esso non puo` ec- cedere la durata di cinque anni dal trasferimento».
Secondo l’interpretazione dottrinale maggiorita- ria (20), essenza del divieto di concorrenza di cui al comma 1 dell’art. 2557 c.c. e` un’obbligazione auto- noma di non fare, derivante dalla normale volonta` delle parti, intesa nel senso di «normale risultato eco- nomico» che le stesse si propongono di realizzare con il trasferimento di azienda. Il divieto di concor- renza rappresenta, pertanto, un effetto naturale del contratto di trasferimento di azienda, giustificabile
Note:
(17) Sul punto cfr. la sentenza di Trib. Treviso 8 gennaio 1973, Giur. ann. dir. ind 73, 260, confermata da App. Venezia 2 marzo 1974, Riv. dir. ind. 75, II, 420, che ha considerato violato il patto di non concorrenza nel caso di tentativi di storno del personale di un’impresa a favore della quale era previsto il divieto.
(18) Trib. Treviso 8 gennaio 1973, Giur. ann. dir. ind 73, 260.
(19) Sul punto App. Milano 11 aprile 1986, Giur. ann. dir. ind 86, 962, che ha ritenuto che il divieto di concorrenza assunto dal singolo comprendesse anche il divieto di partecipare alla costi- tuzione di una s.r.l. destinata ad esercitare l’attivita` vietata a li- vello individuale. Con riferimento al patto di non concorrenza sti- pulato da una persona giuridica si veda pero` App. Bologna 20 gennaio 1981, Xxxx. xxx. dir. ind 81, 315 che si attiene rigorosa- mente al dato formale della separazione tra persona giuridica ed i soci della stessa, ritenendo, in particolare, che l’obbligo di non concorrenza assunto da un imprenditore individuale e da una so- cieta` di capitali non vincola un’altra societa` di capitali i cui soci sono, rispettivamente, figli e gia` soci dei soggetti che avevano originariamente stipulato il patto di non concorrenza ex art. 2596 c.c..
(20) Xxxx Xxxxxxx, Alienazione d’azienda e divieto di concorren- za, in Riv. dir. comm., 1956, 1223 e ss.; Colombo, L’Azienda, in Trattato di diritto commerciale e di diritto pubblico dell’econo- mia, diretto da X. Xxxxxxx, L’Azienda e il mercato, III, Padova, 1979, 174.
alla luce del generico obbligo di buona fede nell’e- secuzione dei contratti di cui all’art. 1375 c.c. (21) e qualificabile come «obbligo integrativo strumen- tale, collegato alla causa del contratto in funzione della sua realizzazione» (22). In linea con l’orienta- mento citato si e` pronunciata sia la giurisprudenza di merito (23) che quella di legittimita` (24).
D’altra parte, la ratio della disposizione in com- mento risulta evidente nel momento in cui si pone l’attenzione sui distinti interessi che alienante ed ac- quirente mirano a soddisfare attraverso il trasferi- mento d’azienda. Scopo principale dell’acquirente e` quello di poter esercitare l’attivita` di impresa ser- vendosi delle capacita` di produzione e di attrazione della clientela caratterizzanti l’azienda medesima. Dalla valutazione dell’acquirente della possibilita` o della facilita` di trasferimento della clientela (e, quindi, dell’avviamento) dipende la determinazione dello stesso di pagare un maggiore corrispettivo. Dall’altro lato, interesse principale dell’alienante e` certamente quello di riuscire a realizzare, in tutto o in parte, nel corrispettivo, il valore dell’avviamento. Al fine di poter ottenere il risultato indicato, l’acquirente deve poter contare sul fatto che l’alie- nante, per un certo periodo, si asterra` dal costituire una nuova azienda che possa attrarre, o che possa
creare il pericolo di attrarre, la clientela dell’azienda ceduta. E` infatti evidente che la potenziale concor- renza dell’alienante rappresenterebbe un pericolo
concreto per l’acquirente. La particolare pericolosi- ta` che caratterizza l’eventuale concorrenza dell’alie- nante deriva da una duplice considerazione: da un lato l’alienante puo` godere di relazioni personali con fornitori e clienti tali da consentirgli di eserci- tare su questi una particolare attrazione; dall’altro e` normalmente a conoscenza delle caratteristiche or- ganizzative e dei punti di forza e di debolezza dell’a- zienda alienata, potendo grazie a tali conoscenze portare attacchi particolarmente nocivi all’avvia- mento di questa (25).
Da quanto esposto risulta chiaro che la funzione precipua del divieto di cui al comma 1 dell’art. 2557 c.c. risiede nell’impedire all’alienante, per il periodo di cinque anni, di iniziare un’attivita` che, visto il pregresso, potrebbe essere idonea a privare l’acquirente di quegli stessi rapporti e quella stessa organizzazione acquistati con il negozio traslativo d’azienda, sviando la clientela dell’azienda cedu- ta (26).
E` opinione largamente diffusa che il divieto po-
sto dall’art. 2557 c.c. sia derogabile dall’autonomia delle parti, «le quali possono pertanto o pattuire un divieto di portata minore di quella prevista dalla
legge, o totalmente escludere l’obbligo di non con- correnza dell’alienante» (27).
Applicazione analogica dell’art. 2557 c.c.
Il tema che qui interessa, relativamente al divie- to di concorrenza previsto dal comma 1 all’art. 2557 c.c., e` quello di stabilire se lo stesso sia riferi- bile ai soli negozi traslativi di azienda, oppure, se il divieto in questione sia applicabile, in via analogi-
Note:
(21) Xxxxxxxxx, Teoria della concorrenza e dei beni immateriali. Istituzioni di diritto industriale, Milano, 1960, 73; Ferri, Manuale di diritto commerciale, X ed., a cura di X. Xxxxxxxx x X.X. Xxxxx, Xxxxxx, 0000, 228; per la conforme opinione della giurisprudenza Trib. Modena 24 febbraio 1979, Giur. ann. dir. ind, 1979, 374.
(22) Floridia, Cessione d’azienda in fase organizzativa e divieto di concorrenza, in Riv. dir. comm., II, 1964, 560.
(23) App. Genova 29 giugno 1978, in Riv. dir. ind., 1981, II, 394, con nota di Xxxxxxxxxxxxx.
(24) Sul punto Cass. 20 gennaio 1975, n. 225 in Giur. it., 1975, I, 1, 1846, che afferma: «La norma del comma 1 dell’art. 2557 costituisce il risultato del contemperamento di due opposte esi- genze: quella di garantire al concessionario dell’azienda il pacifi- co godimento della stessa contro il tentativo dell’alienante di riappropriarsi in fatto di cio` che egli ha alienato, e quella di non menomare la liberta` professionale dell’alienante oltre certi limiti di ragionevolezza...». Si veda ancora Xxxx. 16 febbraio 1998, n. 1643 in Giur. comm., nella quale si afferma che: «... la norma dell’art 2557 c.c intende evitare la concorrenza del precedente titolare dell’azienda ceduta per la intuibile ragione della sua spe- cifica pericolosita` verso l’interesse del cedente, e per la sua in- congruenza rispetto alla causa della cessione. L’alienante infatti puo` agevolmente ed oggettivamente produrre nella clientela precedente, nei fornitori e nei lavoratori la convinzione che i mo- tivi che avevano indotto loro a preferire l’azienda ceduta persi- stano in quella che da lui eventualmente iniziata dopo la cessio- ne. Specialmente nelle attivita` fortemente caratterizzate dalla persona del titolare, la cessione, ove non accompagnata da un divieto siffatto, consentirebbe al cedente di rendere inefficace il negozio di cessione rendendo il bene ceduto un «nudum no- men». Soggetti di tale divieto debbono ritenersi tutti coloro i quali trasferiscono la loro azienda, sia che il trasferimento av- venga a titolo gratuito o oneroso, ovvero per dar luogo ad un conferimento sociale. Cio` che rileva esclusivamente e` il muta- mento di titolarita` dell’azienda che, conseguendo ad un atto di volonta` del precedente titolare, non puo` tollerare il tentativo di questi di riappropriarsi di fatto di cio` che ha trasferito, togliendo all’azienda l’avviamento e la produttivita`, caratteri determinanti dell’accordo di trasferimento».
(25) Colombo, op. cit., 175.
(26) Sul punto cfr. Cass. 16 febbraio 1998, n. 1643, in Giur. comm., 1998, II, 557, che afferma che la norma dell’art. 2557
c.c. intende evitare la concorrenza del precedente titolare dell’a- zienda ceduta per l’intuibile sua specifica pericolosita` nei con- fronti del cedente e per la sua incongruenza rispetto alla causa della cessione.
(27) Sul punto Cintioli-D’Amico-Xxxxxxxx-Xxxxxxx, I trasferimenti di azienda, a cura di Xxxxx Xxxxxx, Milano, 2000, 461, ed xxx Xxxxxxxxx, op. cit., 77; Colombo, op. cit., 176; X. Xxxxxxxxxxxx, op. cit., 245-246; Xxxxxxxxx, Concorrenza e consorzi, in Trattato di diritto civile, diretto da X. Xxxxxx e X. Xxxxxxx-Xxxxxxxxxx, Val- lardi, Milano, 1965, 63; Pettiti, Il trasferimento volontario dell’a- zienda, Napoli, 1970, 34-37; Rotondi, Diritto industriale, X xx., Xxxxxx, 0000, 403.
ca, anche a fattispecie simili, la cui similitudine ri- sieda nell’interesse economico perseguito.
E` opportuno evidenziare come sul punto dottrina
e giurisprudenza, per lo meno in tempi meno recen- ti, abbiamo assunto posizioni contrastanti. La dot- trina e`, infatti, sempre stata orientata nel senso del- la possibile applicabilita` analogica del divieto di concorrenza (28). La giurisprudenza, originariamen- te orientata in senso opposto, ha recentemente mu- tato orientamento, avvicinandosi alla posizione del- la dottrina, ammettendo l’estensibilita` in xxx xxxxx- xxxx xxx xxxxxxx xx xxxxx 0 art. 2557 c.c. oltre i casi del negozio traslativo d’azienda (29).
Al fine di risolvere il problema relativo alla pos- sibilita` dell’estensione analogica del divieto di con- correnza, e` indispensabile e necessario procedere al- l’esatta qualificazione giuridica della stessa disposi- zione normativa che lo prevede.
Infatti, nel caso in cui si dovesse inquadrare la norma in commento all’interno del novero delle
c.d. «norme eccezionali», avremo come conseguen- za che, stante il disposto dell’art. 14 delle disposi- zioni sulla legge in generale, il ricorso all’analogia sarebbe vietato.
I sostenitori della tesi della natura eccezionale dell’art. 2557 x.x. xxxxxx, fondamentalmente, le proprie ragioni su un duplice ordine di considera- zioni. In primo luogo, il divieto di concorrenza del- l’alienante costituirebbe un’eccezione alla disposi- zione generale prevista dall’art. 2596 c.c., avente ad oggetto i patti limitativi della concorrenza di natura convenzionale, che richiede forma scritta per la prova degli stessi patti; in secondo luogo, l’eccezio- nalita` deriverebbe dalla limitazione della liberta` di iniziativa economica prevista a livello Costituziona- le dall’articolo 41.
Gli argomenti citati hanno ricevuto una decisa critica da autorevole dottrina (30), la quale ha pre- cisato, con riferimento al primo profilo, come l’art. 2596 c.c. non pone ai patti di non concorrenza li- miti sostanziali piu` rigidi di quelli che caratterizzano il divieto ex art. 2557 c.c.; le differenze tra le due norme starebbero soltanto nelle cautele formali di- sposte dal legislatore: il patto ex art. 2596 deve es- sere provato per iscritto, laddove ovviamente per il divieto ex lege tale esigenza non puo` porsi.
Per quanto riguarda poi il rapporto tra l’art. 2557 c.c. ed il principio costituzionalmente garanti- to di liberta` di iniziativa economica, la stessa dottri- na ha sottolineato come: «Da un lato, quel princi- pio e` tanto poco assoluto che l’art. 2596 prevede una sua (pur non illimitata) derogabilita` come nor- male estrinsecazione dell’autonomia privata» (31).
Come gia` accennato, in linea con l’orientamen- to indicato, si e` pronunciata la piu` recente giuri- sprudenza della Corte di Cassazione. Per tutte valga il principio di diritto enunciato dalla sentenza n. 9682 del 24 luglio 2000: «In tema di divieto di concorrenza, la disposizione contenuta nell’art. 2557 c.c., la quale stabilisce che chi aliena l’azienda deve astenersi, per un periodo di cinque anni dal trasferimento, dall’iniziare una nuova impresa che per l’oggetto, l’ubicazione o altre circostanze, sia idonea a sviare la clientela dell’azienda ceduta, non ha il carattere dell’eccezionalita`, in quanto essa non deroga ad un principio di liberta`, esprimendo, al contrario, un principio generale di liberta` giuridi- ca».
Ammessa la possibile applicazione analogica del divieto di concorrenza previsto dal comma 1 del- l’art. 2557 c.c. oltre i casi di trasferimento di azien- da, occorre poi porre l’attenzione sulle possibili fat- tispecie alle quali, presentando caratteristiche «si- mili» al negozio traslativo di azienda, sia possibile applicare analogicamente il divieto di concorrenza in questione. In particolare, per quel che ci interes- sa, e` necessario quindi verificare se tra le possibili fattispecie similari possa rientrare l’ipotesi della ces- sione di partecipazioni sociali.
Il tema e` oggetto, sia in dottrina che in giuri- sprudenza, di ampi dibattiti. Infatti, mentre la dot- trina (32), ritenendo l’art. 2557 norma non ecce- zionale, e` sempre stata incline a ritenere possibile l’estensione analogica del divieto di concorrenza al- l’ipotesi di cessione di quote sociali, sostenendo che di fatto si fosse in presenza di un fenomeno analogo alla cessione di azienda, la giurisprudenza di legitti- mita` negava tale estensione (33).
Note:
(28) In questo senso Ascarelli, op. cit., 60-79; Colombo, op. cit., 178 e ss.; X. Xxxxxxx, Trasferimento di partecipazioni sociali e di- vieto di concorrenza, in Riv. dir. ind, 1967, 59-69; contra Braccio- dieta, Alienazione di quota sociale e divieto di concorrenza, in questa Rivista, 1964, 991 e ss.
(29) Per la posizione maggioritaria Cass. 24 luglio 2000, n. 9682 in I Contratti, 2001, 2, 179 con nota di Avondola; Cass. 16 feb- braio 1998, n. 1643 in Mass. giur. It., 1998; Cass. 20 gennaio 1997, n. 549 in Giust. civ., 1997, I, con nota di Xxxxxxxxx.
(30) Colombo, op. cit., 179-180.
(31) Colombo, op. cit., 181.
(32) Xxxxxxx, op. cit., 191 e ss.; X. Xxxxxxxxxxxx, Il divieto di concorrenza nell’alienazione dell’azienda in relazione all’esisten- za di societa`, in questa Rivista, 1959, 78 e ss.; Vanzetti-Di Catal- do, Manuale di diritto industriale, Milano, 2005, 568.
(33) Cass. 15 ottobre 1991, n. 10829, in Foro it., 1991, I, 30-31;
Cass. 27 ottobre 1992, n. 11645, in Giust. civ., 1993, 950; Cass.
25 marzo 1992, in Giust. civ., 1993, 2775.
In particolare, l’estensione analogica veniva ne- gata sulla base del ragionamento per cui la cessione di partecipazioni non realizza un trasferimento di azienda; questo perche´, nonostante il negozio tra- slativo, i beni ed i rapporti relativi all’azienda con- tinuano a far capo alla stessa societa`.
Tuttavia, alcune recenti pronunce della Corte Suprema, hanno mutato orientamento (34). Il te- ma in questione e` stato affrontato e deciso nel sen- so che: «non puo` escludersi che attraverso la forma della cessione di quote si pervenga in realta` all’ob- biettivo di cedere una precipua attivita` di impresa. Cosicche´ la concorrenza eventuale del cedente puo` realizzare, in astratto, analoga pericolosita` per l’ef- fettivo dispiego del diritto d’impresa a danno del cessionario, attraverso analoga possibilita` di svia- mento della clientela.... Il tutto a prescindere dalla visuale formale basata sulla distinta soggettivita` giu- ridica del cedente rispetto alla societa` le cui quote sono in questione» (35).
Al fine di valutare se il divieto di concorrenza sia applicabile ad una determinata ipotesi di ces- sione di quote sociali sara`, dunque, necessario va- lutare se, in concreto, tale operazione sia idonea a realizzare un fenomeno effettivamente analogo alla cessione di una azienda, e precisamente quello del- la sostituzione di un soggetto ad un altro nella conduzione della struttura aziendale (36). A parere di chi scrive, anche laddove dovesse ritenersi con- divisibile l’applicazione analogica del divieto ex art. 2557 c.c. alla fattispecie di cessione di parteci- pazioni sociali, il giudizio sull’assimilabilita` della specifica cessione di partecipazioni al trasferimento di azienda, per il fine in questione, dovra` essere condotto con assoluto rigore, escludendo l’applica- zione analogica del divieto in tutti quei casi nei quali l’assimilazione dell’operazione non sia assolu- ta, sia dal punto di vista dello scopo perseguito dalle parti, sia da quello della struttura dell’opera- zione economica. Per effettuare tale valutazione, xxxx` opportuno porre particolare attenzione al comportamento delle parti in corso di trattative, prezioso indice, in tali fattispecie, per comprendere la reale portata della transazione. Troppo spesso, infatti, la scelta fra cessione di azienda o cessione di partecipazioni e`, infatti, determinata principal- mente da ragioni di opportunita`, in primis fiscale, che fanno propendere per un tipo contrattuale in- vece che per un altro. In tali casi, una volta indivi- duata la reale causa del contratto e, quindi, il risul- tato economico perseguito dalle parti, potra` even- tualmente ammettersi una assimilazione ai fini de quibus della cessione di partecipazioni al contratto
di cessione di azienda e, quindi, l’applicazione ana- logica dell’art. 2557 c.c.
Note:
(34) Cass. 20 gennaio 1997, n. 549, in Riv. dir. ind., 1998, II, 9, con nota di Xxxxxxxx, in Giur. comm., 1997, I, 1289, con nota di Xxxxxxxx, in Dir. fall., 1997, II, 448; Cass. 16 febbraio 1998, in Giur. comm., 1998, II, 577, con nota di Xxxxx.
(35) Cass. 24 luglio 2000, n. 9682 in I Contratti, 2001, 179 con nota di Xxxxxxxx.
(36) Avondola, Cessione di quote sociali e divieto di concorren- za, in I Contratti, 2001, 179; X. Xxxxxxx, op. cit., 59 e ss.