CONTRATTO DI LEASING IMMOBILIARE: CESSIONE E RISCATTO ANTICIPATO
CONTRATTO DI LEASING IMMOBILIARE: CESSIONE E RISCATTO ANTICIPATO
di Xxxxx Xxxxxxxx
Il contratto di leasing
Il leasing finanziario è un contratto atipico, in quanto non espressamente disciplinato dal Codice Civile ma è il risultato della combinazione degli schemi della vendita con patto di riservato dominio (art. 1523 C.C.) e del contratto di locazione (art. 1571 C.C.).
Le operazioni di leasing finanziario sono rappresentate da contratti di locazione di beni acquistati o fatti costruire dal locatore su scelta e indicazione del conduttore che ne assume tutti i rischi e con facoltà di quest’ultimo di divenire proprietario dei beni al termine della locazione dietro versamento di un prezzo prestabilito (Principio Contabile OIC 1).
Secondo la normativa civilistica nazionale al momento vigente, il locatario, deve rappresentare contabilmente i contratti applicando il metodo patrimoniale in base alla forma giuridica negoziale. Pertanto i beni oggetto di locazione rimangono iscritti fra le attività patrimoniali del concedente e da questo ammortizzati, mentre l’utilizzatore si limita a contabilizzare in conto economico i canoni corrisposti. L’applicazione di tale metodo di contabilizzazione delle operazioni di leasing finanziario non permette una piena applicazione del principio della prevalenza della sostanza sulla forma (art 2423 bis p. 1) C.C.). Per ragioni di trasparenza il legislatore ha previsto espressamente al locatario che nella nota integrativa dia specifiche informazioni sugli effetti del metodo finanziario (art 2427 p. 22) C.C.).
Da punto di vista fiscale la Finanziaria 2008 ha introdotto nuovi limiti di durata contrattuale ai fini del riconoscimento della deducibilità fiscale dei canoni di leasing in capo ai soggetti utilizzatori eD ha modificato il testo dell’art. 102, c. 7, TUIR allungando in tal modo, a decorrere dai contratti stipulati dal 2008, il periodo di durata minima dei contratti di leasing che passa, per quanto concerne gli immobili delle imprese, a due terzi del periodo di ammortamento, con un minimo di 11 a un massimo di 18 anni. Se ad esempio i due terzi del periodo di ammortamento è pari a 22 anni, la durata del contratto dovrà essere almeno di 18 anni.
Il requisito della durata minima ha finalità antielusiva e risponde alla esigenza di evitare che l’impresa utilizzatrice mediante l’acquisizione di un bene in leasing possa dedurre canoni in un arco temporale notevolmente minore rispetto a quello previsto per l’ammortamento dello stesso bene in proprietà.
Per i contratti di leasing occorre scindere il canone in due componenti:
• la quota capitale, che è deducibile se il contratto ha durata minima sopra illustrata, e viene sottoposta alla normativa sulla irrilevanza fiscale della quota parte riferibile al terreno, prevista per l’ammortamento dei fabbricati strumentali.
• la quota interessi che è deducibile in base alle regole generali previste per gli interessi passivi stabilite dall’art. 96 TUIR.
Al momento dell’esercizio del patto di riscatto il soggetto, avendo terminato di versare canoni di leasing, acquista al prezzo pattuito la proprietà del bene ed imputa tale costo a immobilizzazione.
A questo punto procede ad ammortizzare il bene dall’esercizio di entrata in funzione del medesimo secondo le ordinarie aliquote stabilite dal D.M. del 31.12.1988 e le regole di ammortamento dei fabbricati.
Il riscatto anticipato ai fini dei redditi
Può accadere che il contribuente, per varie motivazioni, decida di riscattare anticipatamente il bene senza attendere dunque la scadenza stabilita dal contratto.
Dal punto di vista fiscale senza dubbio un riscatto anticipato comporta un notevole allungamento del periodo di deduzione dei costi poiché il bene diviene un immobile in proprietà e dunque deve essere ammortizzato secondo le aliquote ordinarie (nella maggior parte dei casi 3%).
Dal punto di vista finanziario occorre valutare le condizioni previste al verificarsi della fattispecie in esame poiché non è rara l’applicazione di penali da parte delle società di leasing.
E’ormai da tempo definitivamente chiarito che il riscatto anticipato di un contratto di leasing, nell’ipotesi in cui sia ancora in corso il periodo minimo previsto per la deducibilità dei canoni, non inficia la deducibilità fiscale dei canoni imputati fino al momento del riscatto, poiché non esistono finalità elusive.
Secondo quanto chiarito dalla R.M. n. 183/2000, il riscatto comporta solo la diminuzione del numero dei canoni stabiliti dal contratto, non ha alcun riflesso sui canoni già dedotti e l’espressione “durata del contratto” contenuta nella norma (art. 102 c. 7 TUIR) si riferisce alla durata del contratto “prevista” e non a quella effettiva (cfr anche Circ. Assilea n. 3 del 1988 e risposta dell’Amministrazione finanziaria a interrogazione parlamentare n. 5-01465 del 21 ottobre 1993).
L’assenza di intento elusivo, inoltre, è rilevabile anche dal fatto che successivamente al riscatto anticipato del bene saranno effettuati gli ammortamenti residui nel rispetto delle regole stabilite nel TUIR.
In ultimo è da valutare che se nel contratto di leasing è previsto un maxicanone iniziale (imputato a ciascun periodo di imposta in conformità al principio di competenza) al momento del riscatto anticipato si ritiene che la quota residua di canone da riscontare vada ad incrementare il valore di iscrizione dell’immobilizzazione a stato patrimoniale e non possa essere invece essere imputata a conto economico come costo di competenza.
Riscatto anticipato
Non inficia la deducibilità dei canoni pregressi
Il maxicanone incrementa il prezzo di riscatto
Cessione del contratto: effetti reddittuali
L’imprenditore può trovarsi nella situazione di cedere il contratto di leasing prima della scadenza del termine previsto per l’esercizio del diritto di riscatto.
Se al momento della stipula il contratto rispettava la durata minima stabilita dalla legge (art.102 c.7 TUIR) la sua cessione non fa venire meno la deducibilità dei canoni imputati nei periodi di imposta precedenti.
L’art 88 c. 5 TUIR infatti prevede come contropartita la tassazione del valore normale del bene oggetto del contratto ceduto indipendentemente dall’entità del corrispettivo pattuito.
Nel caso in cui all’atto della cessione vengano trasferiti in capo al cessionario residui canoni di locazione da versare, il valore da assumere quale sopravvenienza attiva è dato dal valore normale del bene (art. 9 TUIR) al netto dei canoni residui e del prezzo di riscatto attualizzati alla data di cessione (C.M. n. 108/1996). L’eventuale surplus pari alla differenza tra corrispettivo riscosso e il valore normale “netto” del bene al momento della cessione, per il cedente costituisce componente positivo di reddito imponibile in virtù del generale principio di derivazione di cui all’art. 83 del TUIR (R.M. n. 212/2007).
L’acquirente del contratto di leasing, come chiarito dalla R.M. n. 212/2007, invece deve imputare il corrispettivo pagato a due componenti:
1. quella relativa al godimento del bene;
2. quella relativa all’ opzione di acquisto della proprietà.
La prima parte deve essere considerata costo pluriennale da ripartirsi in funzione della residua durata del contratto mentre la seconda costituisce un costo “sospeso” che ha rilevanza fiscale solamente al momento in cui viene riscattato il bene perché fino a quella data la somma in questione rappresenta una immobilizzazione iscritta nell’attivo dello stato patrimoniale (B.II.5) ma il cui ammortamento risulta temporaneamente sospeso.
La suddivisione delle due quote ideali di costo va effettuata secondo i seguenti criteri:
• la quota di costo “sospeso” deve essere pari alla sopravvenienza attiva rilevata in capo al cedente ( che a sua volta è pari alla differenza fra valore normale del bene e canoni residui più prezzo di riscatto attualizzati);
• l’eventuale differenza fra il corrispettivo e il costo sospeso appena citato rappresenta costo pluriennale da ripartirsi nella residua durata del contratto.
ATTENZIONE
In buona sostanza se la quota di costo sospeso è rilevante e la cessione del contratto di leasing dell’immobile avviene molto prima della data del riscatto è possibile che una quota sostanziosa dell’investimento effettuato per entrare nel possesso dell’immobile sia rinviata di diversi anni. Appare dunque necessario valutare l’ipotesi dell’acquisto diretto o della stipula di un nuovo contratto di leasing che permette di gestire in maniera più flessibile le problematiche fiscali.
Cessione del contratto
Sopravvenienza attiva pari alla differenza
Valore normale – canoni residui e prezzo di riscatto attualizzati
Aspetti IVA del riscatto: il reverse charge
A seguito delle modifiche apportate dalla L. n. 244/2007 ai cc. 156 e 157 viene introdotta una nuova lettera a-bis) al c. 6, art. 17, D.P.R. n. 633/72. Per effetto di tale modifica, da una parte viene inserito nel Decreto IVA quanto disposto dal D.M. 25 maggio 2007 che prevede che dall'1 ottobre 2007 le cessioni di fabbricati strumentali di cui all’art. 10, c. 1, 8-ter, lett. d), D.P.R. n. 633/72, (e cioè quelle imponibili per effetto di opzione) vanno assoggettate a regime del reverse charge e dall’altra, viene ulteriormente ampliata la portata applicativa del citato regime.
L’oggetto della disposizione riguarda vendite di fabbricati strumentali, come intesi dalla C.M. 01.03.2007 n. 12/E, facenti parte dei gruppi B, C, D, E, A10.
A proposito del primo punto va segnalato che la società di leasing continua ad applicare ai canoni periodici l’IVA anche dopo l'1 ottobre 2007, dunque indipendentemente dal fatto che in fase di riscatto del fabbricato opererà il reverse charge (ciò per il fatto che i canoni di leasing rappresentano prestazioni di servizi e non cessioni di beni). Inoltre il meccanismo dell’inversione non interessa gli eventuali anticipati pagamenti effettuati fino al 30 settembre 2007, ma solo le somme corrisposte dopo l'1 ottobre 2007 (cfr C.M. 29.12.2006 n. 37/E).
Questa modifica impatta senza dubbio sui contratti di leasing al momento del riscatto dell’immobile poiché in tali circostanze la società di leasing effettua una vera e propria cessione dell’immobile al soggetto utilizzatore e dunque deve verificare se applicare o meno il regime dell’inversione contabile.
Esempio
Una società commerciale decide di riscattare un leasing immobiliare in data 15 settembre 2010 per cui è stata indicata nel contratto l’opzione di vendita per €
90.000 + IVA.
La società di leasing, sulla base delle disposizioni sopra citate, è tenuta a cedere l’immobile applicando la disciplina del reverse charge, con la quale la vendita è considerata operazione imponibile a tutti gli effetti, ma ad aliquota zero.
L’acquirente, che attraverso tale operazione assume la qualifica di soggetto passivo debitore dell’imposta, non è dunque tenuto al versamento dell’IVA e deve:
a) integrare la fattura emessa dal cedente senza IVA, indicando sul documento stesso o su un altro allegato l’aliquota ordinaria e la relativa imposta;
b) annotare la fattura integrata nel registro delle fatture emesse o dei corrispettivi e nel registro acquisti, anteriormente alla liquidazione periodica ovvero alla dichiarazione annuale nella quale viene computata la detrazione; c) contabilizzare la fattura integrata nelle liquidazioni periodiche, nella “Comunicazione dati”, nella “Dichiarazione annuale”.
Il fatto di non dovere anticipare IVA in sede di riscatto e dunque dover attendere di compensarla nelle liquidazioni periodiche può, particolarmente in momenti di crisi di liquidità, essere un elemento positivo.
L’acquirente che, per qualsiasi motivo, deve applicare il cosiddetto pro rata di detrabilità IVA dovrà, però, fare molta attenzione, con l’annotazione della fattura integrata, sia nel registro vendite che nel registro acquisti, si troverebbe a dover versare tutta l’imposta relativa alla vendita e a detrarne solo una percentuale.
IL BASE IMPONIBILE DELLE IPOCATASTALI AL MOMENTO DEL RISCATTO
La R.M. del 29 gennaio 2008, n. 24/E afferma che non è possibile avvalersi di nessuna deroga alla modalità di determinazione della base imponibile delle imposte ipotecarie e catastali dovute sul riscatto dell’immobile poiché tali imposte, secondo il disposto del D.lgs n. 346/1990 (che rinvia espressamente alle disposizioni dell’art. 51, co. 2, D.P.R. n. 131/1986), devono essere applicate sul valore venale in comune commercio del bene (e non sul valore di riscatto).
La risoluzione richiama la C.M. n 12/2007 laddove questa afferma che
“la base imponibile, ai fini delle imposte ipotecarie e catastali, applicabili in sede di riscatto dell’immobile, concesso in leasing, è costituita dal valore venale in comune commercio che può essere individuato nel prezzo di riscatto del bene aumentato dei canoni, depurati dalla componente finanziaria. La base imponibile, così determinata, corrisponde, al costo originario sostenuto al momento della stipula del contratto di locazione finanziaria”.
Come disciplinato dall’art. 35, co. 10-ter, D.L. n. 223/2006, a decorrere dal 1° ottobre 2006 (cfr C.M. n. 27/2006), le imposte in esame vengono applicate con un’aliquota ridotta alla metà (2% più 2%) su entrambe le compravendite, quella iniziale, effettuata dalla società di leasing, e quella finale rappresentata dal riscatto da parte dell’utilizzatore, e su un imponibile omogeneo, in quanto il prezzo di riscatto del bene, aumentato dei canoni al netto della componente finanziaria coincide, sostanzialmente, con il valore iniziale dichiarato dalla società di leasing.
In questo modo l’operazione complessiva di leasing sconta la medesima imposizione che si applica alla compravendita diretta dove le ipo-catastali sono pari al 4%.
Da ricordare che l’acquirente al momento del riscatto scomputa l’imposta di registro dell’1%, pagata sui canoni di locazione durante tutta la durata del contratto, dall’ammontare delle imposte ipotecarie e catastali dovute al termine del contratto (art. 35 c. 10-sexies D.L. n. 223/2006).
7 ottobre 2010 Xxxxx Xxxxxxxx