Contract
Il patrimonio è garanzia per i creditori contro i rischi di insolvenza
I nuovi accordi di Basilea2 sul capitale
I
Introduzione
l termine “Basilea 2” si riferisce agli accordi internazionali stipulati nel 2004 a seguito dei lavori del Co- mitato di Basilea (costituito nel 1974) accordi diretti a stabilire nuovi para- metri patrimoniali (cosiddetti “requi-
siti patrimoniali”) per le banche. Basilea 2 fa seguito ai precedenti Accordi di Basilea 1 (tuttora vigen- ti) firmati nel 1988 e ne rappresenta un’importante evoluzione.
Il principio-base su cui si fondano gli Accordi di Basilea 1 e 2 è semplice:
- ogni prestito comporta l’assunzio- ne di un rischio
- in un’impresa come la banca, che ha una missione istituzionale (quindi non esclusivamente spe- culativa) di sostegno dell’econo- mia nazionale, tale rischio deve necessariamente essere “coperto” da un capitale o patrimonio ade- guato, detto “patrimonio o capita- le di vigilanza”.
In realtà, tale principio sarebbe va- lido per qualunque impresa: il pa- trimonio rappresenta sempre una garanzia per i terzi creditori contro i rischi di insolvenza. Però, le imprese diverse da quelle finanziarie (banca- rie, assicurative e simili) non hanno in materia vincoli altrettanto severi. Invece, la disponibilità di un patri- monio adeguato diventa un impera- tivo per gli istituti di credito: anche a seguito di un’ipotetica catena di fallimenti da parte delle imprese affidate da un istituto bancario, i de- positanti debbono poter continuare a prelevare i loro depositi. Ma ciò è possibile solo se la banca detiene un “cuscinetto” di capitale destinato a
di Xxxx Xxxxxxxx
coprire le eventuali perdite subite. In caso contrario, la banca andrebbe incontro ad una crisi di liquidità e fatalmente si creerebbe un clima di sfiducia che porterebbe alla temu- ta “corsa al ritiro dei depositi” con conseguente chiusura degli sportel- li, crisi che, come dimostrato dalla storia, tenderebbe a propagarsi con un effetto “domino” alle altre ban-
Xxxx Xxxxxxxx
che del Paese e a volte anche a isti- tuti di altri Paesi.
Quindi, per la loro funzione istitu- zionale di raccolta di risparmio e di impiego dello stesso a favore dello sviluppo dell’economia, il requisito della solidità patrimoniale (definita “stabilità” nel linguaggio di Xxxx- xxx) degli istituti di credito appare irrinunciabile.
Ci si potrebbe chiedere se i casi di
crisi verificatisi negli istituti di cre- dito negli anni passati siano stati tanto numerosi e gravi da giustifi- care il colossale sforzo che ha por- tato agli accordi di Basilea 1, frutto di una convergenza internazionale quasi senza pari sul tema della pre- venzione dell’instabilità del siste- ma bancario: infatti, oltre ai tredici Paesi membri del Comitato1 hanno aderito agli accordi altri 150 Paesi del mondo.
A tale interrogativo risponde uno studio del FMI pubblicato nel 1996 dal quale risulta che, nel periodo 1980-1995, si sono verificati nume- rosi casi di dissesto bancario, alcuni così gravi da provocare crisi istitu- zionali e chiusura di molti istituti, non solo nei Paesi in via di sviluppo, ma anche in quelli sviluppati, quali Giappone, Australia, Danimarca, Francia, Italia e Stati Uniti.
L’esigenza di un accordo internazio- nale in materia è giustificata anche dal fatto che, in omaggio ai princi- pi in tema di parità concorrenziale, non risulterebbe accettabile che le banche di un Paese, privo o quasi di regole circa il capitale da detenere a copertura dei rischi, concedessero ai loro clienti credito più facilmente o a tassi inferiori rispetto a quanto avvie- ne in altri Paesi in cui invece vigono norme sul patrimonio di vigilanza. Xxxx, in passato è accaduto che tali istituti abbiano adottato una politica commerciale “aggressiva”, andando a concedere credito facile e poco
1. Italia, Francia, Germania, Olanda, Belgio, Inghilterra, Svezia, Stati Uniti, Canada, Giappone (i paesi del G-10) oltre a Spagna, Lussemburgo e Svizzera.
costoso anche nei Paesi nei quali le banche locali erano invece tenute ad osservare obblighi patrimoniali, sot- traendo loro quote di mercato e faci- litate in ciò dal non dover sostenere (o dovendoli sostenere in misura più limitata) i costi di remunerazione del capitale di vigilanza rispetto alle banche del Paese.
Infatti, il capitale ha un “costo” (quindi anche il capitale o patrimonio di vigilanza) in quanto va remunera- to almeno ai livelli di mercato: per- tanto, una banca non tenuta (in tutto o in parte) ad obblighi di capitale o patrimonio di vigilanza, risparmie- rà almeno in parte tali costi e potrà quindi permettersi di concedere cre-
dito a tassi più concorrenziali.
Gli accordi di Basilea 1 hanno de- finito il requisito della “capital ade- quacy”, stabilendo che le banche debbano detenere un patrimonio di vigilanza pari almeno all’8% dell’at- tivo “a rischio” (i crediti fanno parte dell’attivo patrimoniale e sono ope- razioni “a rischio”). Ma ai fini del calcolo, il coefficiente dell’8% va applicato all’attivo ponderato in con- siderazione del rischio che i prestiti concessi dalla banca comportano.
Va ancora osservato che in Italia il tema di Basilea riguarda un numero elevatissimo di imprese: 5.997.749 (al 31/12/2004) secondo i dati del Registro Imprese, su una popola-
zione censita di quasi 57 milioni di abitanti. Quindi, un’impresa ogni 10-11 cittadini, ovvero una ogni 4 se si fa riferimento ai soli cittadini attivi e che non esercitano attività di lavoro autonomo.
Il rischio di credito: da Basilea 1 a Basilea 2
Si è detto che gli accordi di Basilea 1 obbligano le banche a detenere un patrimonio di vigilanza adeguato a coprire il “rischio di credito” 2 .
Però, dal momento che il livello dei rischi assunti cambia a seconda delle strategie che ciascuna banca liberamente decide di adottare (cioè del “profilo di rischio” - più o meno
prudenziale - prescelto da ciascun istituto) gli accordi hanno stabilito come misurare tali rischi e di conse- guenza come calcolare il patrimonio di vigilanza.
Tuttavia, il sistema di misurazione del rischio di credito previsto in Ba- silea 1 (tuttora vigente) appare oggi assai grossolano: basti pensare che tutti i prestiti alle imprese sono con- siderati ugualmente rischiosi, che si tratti indifferentemente di un’impre- sa grande o piccola, solida o meno. Pertanto, oggi il capitale che una banca deve detenere a fronte di un prestito erogato ad un’impresa so- lida è paradossalmente uguale a quello richiesto per un prestito ad un’impresa che attraversa una fase di difficoltà anche grave.
Basilea 2 rappresenta il superamento
Il rating diventa l’espressione dello “standing” creditizio del cliente, os- sia del suo “merito” creditizio.
In assenza dei rating, l’istruttoria di fido tradizionalmente svolta dalle ban- che si concludeva con un giudizio di- cotomico: affidabile o non affidabile. Invece, con l’introduzione dei rating il significato di “rischio di credito” si amplia, includendo non solo il classi- co rischio di insolvenza, ma anche il “rischio di downgrading” (= rischio di retrocessione) derivante dalla pos- sibilità che il rating assegnato inizial- mente al cliente peggiori nel tempo, ossia che il cliente – pur rimanendo solvibile – con il passare del tempo diventi meno solvibile di quando è stato affidato: in tal caso, il rischio di credito risulta aumentato.
- il capitale (“requisito patrimonia- le”) che la banca deve detenere a fronte dello stesso.
In base all’applicazione di dette re- gole, per ogni cliente emerge un pro- filo di rischio (rischio di credito) che corrisponde ad un “rating”, ossia ad una valutazione del rischio-cliente. Con riferimento alla sua provenien- za, il rating può essere esterno od interno.
Nel primo caso, si parla di “metodo standard”: la banca si affida a ra- tings assegnati da enti esterni accre- ditati (le “agenzie di rating”). Tale approccio appare inapplicabile in Italia, a causa delle dimensioni me- die - molto piccole - delle imprese, che pertanto oggi non hanno un ra- ting assegnato dalle agenzie esterne e continueranno a non averlo.
di tale manchevolezza: prevede in- fatti un sistema di rating “individua-
Struttura degli Accordi di Basilea 2
Gli Accordi stabiliscono regole per
li”, che consente la misurazione del rischio di ogni singola controparte e quindi di distinguere tra un’impresa solida ed una che lo è di meno.
calcolare:
- il rischio che inevitabilmente con- segue ad ogni operazione di affi- damento alla clientela
2. In questo breve contributo si trascurano le regole relative all’ulteriore copertura patrimoniale imposte dagli accordi di Basilea in considerazione degli altri rischi che la banca corre, ma per attività diverse da quelle di erogazione del credito (rischio operativo e di mercato).
Nel secondo caso, la banca costruisce da sé i propri ratings, però secondo re- gole generali predefinite. In tal caso, due sono i metodi possibili: quello “di base” e quello “avanzato”.
Tipologia di cliente | da AAA a A+ | da A a A- | da BBB a B+ | Inferiore | Senza Rating | Scaduti |
Aziende “corporate” | 20 % | 50 % | 100 % | 150 % | 100 % | 150 % |
Il rating esterno (“metodo standard”) Come si è detto, tale metodo si basa su ratings forniti da agenzie esterne ac- creditate presso le autorità nazionali. Un esempio di scala di rating, rife- rito ai prestiti alle imprese, potrebbe essere il seguente:
Le lettere maiuscole (A e B con i re- lativi segni + e -) indicate nella parte superiore della tabella costituiscono il rating, mentre le percentuali che figurano al di sotto si chiamano “coefficienti di ponderazione del rischio”.
Sia con Basilea 1 che con Basilea 2, a fronte del credito accordato l’isti- tuto deve disporre di un patrimonio di vigilanza pari all’8% del risultato ottenuto moltiplicando il coefficien- te di ponderazione per l’importo no- minale del credito concesso.
Però, mentre con Basilea 1 il coef-
ficiente di ponderazione previsto per i prestiti alle imprese era unico (100%), con le nuove regole si in- troduce un sistema più flessibile ed articolato: infatti, come si può vede- re nella tabella, per la stessa tipolo- gia di clientela corporate esistono ponderazioni assai differenziate in funzione del giudizio sul merito cre- ditizio (rating) assegnato ai singoli clienti. Nell’esempio sopra riportato (scala di rating di Standard & Poor) se ne prevedono quattro: 20, 50, 100,
150%. In tal modo il Comitato di Basilea 2 intende superare la rigidità della standardizzazione del modello precedente, certamente più semplice ma uniforme per tutti i crediti alle imprese, quindi incapace di tenere conto della differente rischiosità di un prestito erogato ad un’impresa piuttosto che ad un’altra.
Esempio (con Basilea 2): credito di
Rating | Formula di calcolo | Requisito patrimoniale |
Da AAA a A+ | € 10.000.000 * 20% * 8% | € 160.000 |
Da A a A- | € 10.000.000 * 50% * 8% | € 400.000 |
€ 10.000.000 ad un’impresa con ra- ting tra AAA e A+ ovvero ad un’im- presa con rating tra A e A- e calcolo del conseguente fabbisogno (o re- quisito) patrimoniale per la banca:
Formula di calcolo | Requisito patrimoniale | |
Per qualunque | ||
impresa | € 10.000.000 * 100% * 8% | € 800.000 |
Invece, con Basilea 1 (no rating, coefficiente di ponderazione per le imprese sempre 100%):
Interessanti inoltre appaiono le novi- tà per il segmento delle imprese “re- tail” (le più piccole). Con Basilea 1 vale il coefficiente di ponderazione del 100%, come per tutte le altre im- prese. Invece, Basilea 2 attribuisce loro un coefficiente più favorevole (75%) in considerazione dell’impor- to mediamente limitato del credito erogato alle piccole imprese e della notevole diversificazione dei settori in cui operano, elementi questi che comportano un rischio minore a li- vello di portafoglio rispetto alla si- tuazione opposta: un portafoglio di crediti di importo elevato erogati a poche grandi imprese “corporate”, caratterizzate da una forte concen- trazione del rischio.
I rating interni
Le banche potranno dotarsi di un si- stema di ratings elaborati secondo modelli progettati al proprio interno, modelli la cui validità dovrà però esse- re sancita dall’Autorità di vigilanza. Con i rating interni, non vi è più la distinzione tra classi di rischio ca- ratterizzate da coefficienti di rischio (0%, 20%, ecc.) predeterminati da società di rating esterne.
In altri termini, il coefficiente di ponderazione non è predefinito, come invece avviene nell’approccio “standard”, ma scaturisce di volta in volta (azienda per azienda) come ri- sultato di una funzione matematica (detta funzione di “ponderazione”) in cui i valori dei parametri sono stati stimati dall’Autorità di vigi- xxxxx e/o dalla banca, a seconda del metodo adottato.
Infatti, nel caso del rating interno, si è detto che due sono i metodi possibili: metodo di base e metodo avanzato. Nella stima del rischio, le banche che scelgono il metodo base potranno avvalersi di valori in parte predefiniti dal Comitato, mentre nel metodo avanzato le banche utilizze- ranno “modelli interni” di valuta- zione del rischio, progettati cioè da
ciascuna banca (purché convalidati dall’autorità di vigilanza).
Però, ancor prima di illustrare i “pa- rametri” di cui si è appena detto, oc- corre chiarire la distinzione tra “per- dita attesa” e “perdita inattesa” a cui un credito può dare luogo. Negli accordi di Basilea 1 tale distinzione non esiste, mentre verrà introdotta dai nuovi accordi.
La perdita attesa su un credito è quella che viene definita come la “più probabile” tra tutte le perdite possibili ed è quantificabile a priori (grazie agli strumenti della statisti- ca). Essendo determinabile a priori, con l’entrata in vigore di Basilea
2 verrà caricata nel “pricing” del cliente, ossia nello spread di xxxxx richiesto al cliente e sarà contabil- mente iscritta nel conto economico e nello stato patrimoniale della banca. Quindi, essa non rappresenta il vero rischio di credito in quanto finanzia- riamente è coperta dal pricing e con- tabilmente dagli accantonamenti. La perdita inattesa, invece, costitui- sce il vero rischio di credito in quan- to non è stimabile a priori e quindi non può essere inserita nel tasso da addebitare al cliente.
La perdita attesa, infatti, è quella più probabile ma non è l’unica possibi- le: a posteriori si potrebbe riscontra- re una perdita effettiva maggiore di quella attesa, cioè di quella caricata nel pricing: ciò significherebbe che si è verificata anche la perdita inat- tesa, differenza tra la perdita effetti- va e quella attesa.
Dal momento che la perdita attesa è già coperta dal pricing e dagli ac- cantonamenti contabili, solo la per- dita inattesa dovrà essere coperta dal patrimonio di vigilanza.
La stima della perdita attesa
La perdita attesa deve essere stimata nelle sue componenti, indicate nel seguito:
a) probabilità di insolvenza o PD
(probability of default)
b) perdita in caso di insolvenza o
LGD (loss given default)
c) esposizione al momento dell’in- solvenza o EAD (exposure at default)
d) vita residua del credito o M (ma- turity).
Con riferimento alle sue componen- ti, la perdita attesa (= PA) si calcola come segue:
PA = PD * LGD * EAD * M
Nell’approccio “di base” i valori dei parametri LGD, EAD e M sono prefissati dal Comitato, mentre PD deve essere stabilito dalla banca.
Invece, nell’approccio “avanzato” tutti e quattro i parametri di rischio sono misurati dall’istituto di credito con metodologie progettate al pro- prio interno.
L’approccio “avanzato” consente pertanto una valutazione totalmente “personalizzata” non solo dell’affi- dabilità del cliente (= PD, che de- terminerà il suo “rating”) ma anche delle altre tre componenti della per- dita attesa (LGD, EAD, M).
La perdita inattesa
Come si è già detto, la perdita inat- tesa (= PI) non è stimabile a priori e quindi non è caricabile nello spread di tasso praticato al cliente e pertan- to va coperta con il patrimonio di vigilanza. La PI configura il vero rischio di credito.
La PI dipende da tre delle variabi- li da cui dipende la PA e cioè: PD, LGD, EAD.
Infatti, la PI si verifica quando a po- steriori:
- PD si rivela peggiore di quella sti- mata
- LGD risulta più elevata di quella stimata
- EAD si manifesta più alta di quella prevista Come superare l’ “impasse” derivan- te dal fatto che la PI non è stimabile
a priori? Non è un problema trascu- rabile, dal momento che si è detto che la stessa deve essere coperta dal patrimonio di vigilanza. Quindi, dal- la sua dimensione dipende la misura del patrimonio di vigilanza!
In tal caso, in statistica si fa riferi- mento al concetto di “livello di con- fidenza o di sicurezza”: la PI viene “prefissata” in base ad un determi- nato livello di confidenza statistica stabilito dal Comitato, un livello altissimo, tale da lasciare fuori una “coda” di probabilità minima, cioè una probabilità minima che le per- dite inattese non siano coperte dal patrimonio di vigilanza.
Il nuovo ruolo delle garanzie Con l’entrata in vigore dei nuovi accordi sul capitale delle banche, le garanzie normalmente richieste dalle banche a supporto dei finan- ziamenti erogati si dividono in:
- garanzie riconosciute dal Comitato
- garanzie non riconosciute.
Le prime sono contenute in un det- tagliato elenco (vedere il testo degli accordi consultando i siti riportati in calce al presente contributo) corre- dato dalle condizioni che debbono essere rispettate perché il “ricono- scimento” valga agli effetti di quan- to sarà detto nel seguito.
Le garanzie riconosciute rappresen- tano una grossa novità. In presenza di garanzie di questo tipo, infatti, il rischio dell’operazione di finan- ziamento diminuisce, in quanto le stesse “entrano” nel modello di va- lutazione del rischio, con l’effetto di ridurlo.
La riduzione del rischio reso pos- sibile grazie alla disponibilità di tali garanzie comporta vantaggi per ambo le parti contraenti.
La banca, a fronte di un rischio mi- nore, dovrà detenere un patrimonio di vigilanza inferiore e quindi so- sterrà minori costi di remunerazione del capitale.
Il cliente, grazie al risparmio con-
seguito dalla banca, avrà più facil- mente accesso al credito e pagherà un pricing inferiore.
Il rapporto tra le banche e le PMI Nelle decisioni della banca (se accor- dare o meno il fido richiesto, quanto credito concedere e a che prezzo per il cliente) influirà pesantemente la misura del capitale (il requisito pa- trimoniale) che la stessa dovrà dete- nere a fronte del credito concesso: e tale ammontare dipenderà dai nuovi sistemi di rating che misurano il ri- schio dell’operazione. A rischio più elevato corrisponderanno requisiti patrimoniali più consistenti, quindi un capitale più alto: ma, come si è detto, il capitale ha un costo, che pertanto cresce all’aumentare dello stesso e quindi risulta essere funzio- ne del rischio.
Al crescere di tale costo è fisiolo-
gico che la banca aumenti il prezzo per il cliente (pricing): e questo rap- presenterà uno dei principali effetti dell’entrata in vigore degli accordi di Basilea 2.
Oggi non è così, per cui paradossal- mente un’impresa solida che, qua- lora già esistessero i rating avrebbe una valutazione elevata, in assenza degli stessi viene trattata alla stre- gua di un’impresa che presenta uno standing creditizio inferiore. Le due imprese potrebbero vedersi addebi- tare lo stesso pricing: in tal caso, la prima pagherebbe una parte degli interessi passivi che competerebbe- ro all’altra se si tenesse conto della differente rischiosità.
Con Basilea 2, invece, si attuerà una forte correlazione positiva tra il costo del credito e il suo rischio. Anche oggi si tiene conto del rischio di credito, ma domani lo si misurerà con tecniche più precise e non più in base a stime più o meno soggettive. Oggi i piccoli imprenditori italia- ni appaiono allarmati dal prossimo
avvento di Basilea 2: si teme che la maggior precisione nella valutazio- ne del rischio, conseguente all’ado- zione delle nuove regole, porti ad un giudizio più severo circa la po- sizione della piccola impresa posta di fronte alla necessità di ottenere credito dalle banche.
Esiste infatti la convinzione secondo la quale i prestiti alle PMI risultino più rischiosi, sia perché queste non hanno il rating (misurarlo sarebbe troppo costoso) sia perché la proba- bilità di default (tasso di mortalità) è più elevata di quella delle realtà di maggiori dimensioni.
Invece, per i motivi già esposti, per le banche il rischio derivante da un portafoglio di tanti piccoli prestiti a PMI appare minore rispetto ad un portafoglio di elevati crediti erogati a poche grandi imprese.
Le ricerche condotte nel 2003 da prestigiosi enti di ricerca dimostre- rebbero che per le PMI - intese nella loro globalità, non individualmente - il costo del credito potrebbe miglio- rare, sia pure in modo contenuto.
Certamente cambieranno i processi di valutazione dell’affidabilità della clientela e di gestione del fido ac- cordato. Le banche dovranno racco- gliere e classificare le informazioni sulla clientela con maggior precisio- ne e regolarità e minore soggettività di quanto sia avvenuto in passato. Di conseguenza i clienti dovranno avere maggior cura nella comuni- cazione delle informazioni utili alla banca.
Tuttavia è noto che nelle PMI la cul- tura finanziaria risulta ancora poco sviluppata, per cui non sarà facile condurre uno sforzo di sensibilizza- zione del piccolo imprenditore di- retto a fargli comprendere in modo corretto le opportunità e le minacce derivanti dall’applicazione dei nuo- vi accordi e, di conseguenza, le mi- sure da prendere.
E’ pertanto opinione (e speranza) comune nel mondo bancario che tale fondamentale ruolo di sensibilizza- zione possa essere efficacemente svolto soprattutto dai consulenti del piccolo imprenditore, gli unici che normalmente riescano ad attirar- ne l’attenzione e ad indirizzarne le scelte di cambiamento, quelle scelte che sono rese assolutamente neces- sarie dall’avvento di Basilea 2.
Conclusioni
Quindi, nessun allarme generale è giustificato a livello di categoria PMI, ma sembra opportuna un’ana- lisi a livello di singola impresa Però, secondo vari enti di ricerca il 17% delle PMI italiane presentereb- be una situazione tale da portare ad un peggioramento dei rapporti con le banche a seguito dell’entrata in vigo- re di Basilea 2. E’evidente che con- dizioni aziendali di eccessivo inde- bitamento, magari accompagnato da risultati economici negativi (a volte enfatizzati allo scopo di minimizzare il carico fiscale) potranno causare la revoca degli affidamenti o quanto- meno l’innalzamento del pricing, che diventa con Basilea 2 una conseguen- za quasi automatica del rating.
Diventa pertanto doveroso prov-
vedere per tempo, riadeguando i parametri aziendali che possono presentare un impatto rilevante nel giudizio della banca (non più affida- to al rapporto interpersonale con il direttore della filiale, la cui autono- mia diminuirà) e dando vita ad un modo nuovo di fornire informazioni agli istituti di credito.
Xxxx Xxxxxxxx
Parner Unionrevi
Sitografia
- sito dell’Unione Europea: xxxx://xxxxxx.xx.xxx/xxxx/xxxxxxxx_xxxxxx/xx/ per poi proseguire lungo l’itinerario: “unione europea” e “mercato interno”
- siti della Banca dei Regolamenti Internazionali: h t t p : / / w w w . b i s . o r g / b c b s / c p 3 f u l l i t . p d f (per scaricare il testo degli Accordi di B 2 in italiano) xxxx://xxx.xxx.xxx/xxxx/xx0xxxx.xxx