Contract
L'ANNULLAMENTO DEL PROVVEDIMENTO DI AGGIUDICAZIONE DELL'APPALTO PUBBLICO E LA SORTE DEL CONTRATTO GIÀ STIPULATO NELLA DISCIPLINA DETTATA DAL NUOVO C.P.A.
Xxxxxxx Xxxxxxx
Presidente aggiunto on. del Consiglio di Stato
Sommario:1. Gli effetti dell'annullamento dell'aggiudicazione sul contratto già stipulato dalla stazione appaltante con l'impresa aggiudicataria: premessa. — 2. Le posizioni assunte dalla giurisprudenza: a) l'annullabilità relativa del contratto. — 3. (segue): b) la nullità del contratto. —
4. (segue): c) l'inefficacia del contratto. — 5. (segue): d) la caducazione automatica del contratto.
— 6. (segue): e) l'inefficacia successiva del contratto. — 7. La giurisdizione nelle controversie aventi ad oggetto gli effetti dell'annullamento dell'aggiudicazione sul contratto già stipulato: a) la posizione delle Sezioni Unite della Corte di cassazione. — 8. (segue): b) la posizione dell'Adunanza plenaria del Consiglio di Stato. — 9. La disciplina comunitaria. — 10. La disciplina dettata dall'art. 245-bis del codice dei contratti pubblici, introdotto dall'art. 9 d.lg. 20 marzo 2010, n. 53.
— 11. (segue): a) i casi nei quali la declaratoria di inefficacia del contratto era da considerarsi obbligatoria. — 12. (segue): b) i casi nei quali la declaratoria di inefficacia del contratto non era obbligatoria. — 13. La disciplina dettata dall'art. 121 del Codice del processo amministrativo: a) la declaratoria d'inefficacia del contratto. — 14. (segue): b) i casi di inefficacia del contratto rimessi alla valutazione del giudice. — 15. Le sanzioni alternative nel sistema degli appalti pubblici: a) la disciplina dettata dall'art. 245-quater del codice dei contratti pubblici. Tipologia. —
16. (segue): a) sanzioni economiche e riduzione della durata del contratto. —17. (segue): c) sanzioni patrimoniali e sanzioni ripristinatorie. — 18. Le sanzioni alternative nel codice del processo amministrativo. — 19. Le controversie relative a infrastrutture e insediamenti produttivi:
a) la disciplina dettata dall'art. 246 del codice dei contratti pubblici. — 20. (segue): b) le innovazioni introdotte dall'art. 20 comma 8, d.l. 29 novembre 2008 n. 185. — 21. (segue): c) la disciplina del codice del processo amministrativo.
1. GLI EFFETTI DELL'ANNULLAMENTO DELL'AGGIUDICAZIONE SUL CONTRATTO GIÀ STIPULATO DALLA STAZIONE APPALTANTE CON L'IMPRESA AGGIUDICATARIA: PREMESSA
La definizione degli effetti che l'annullamento, in autotutela o in sede giurisdizionale, del provvedimento di aggiudicazione di un appalto pubblico ha sul contratto già stipulato dalla stazione appaltante con l'impresa aggiudicataria è questione risalente nel tempo che, pur avendo ad oggetto, almeno in origine, l'individuazione del giudice competente a decidere sulla sorte del contratto gia stipulato e, quindi, pur proponendo una questione di giurisdizione, ha finito per coinvolgere, nello stesso tempo e in identica misura, questioni di diritto sostanziale e processuale (1) .
Si tratta di questioni che, con l'entrata in vigore del d.lg. 20 marzo 2010, n. 53 avrebbero dovuto considerarsi definitivamente risolte: la prima con l'introduzione, nel Codice dei contratti pubblici, dell'art. 245-bis, ad opera dell'art. 9 del succitato d.lg. n. 53 del 2010; la seconda con la modifica dell'art. 244 comma 1, dello stesso Xxxxxx, ad opera dell'art.7, cit. d.lg. n. 53 del 2010, ma sulle quali è opportuno soffermarsi brevemente perché sia chiaro il quadro sul quale sia la c.d. direttiva ricorsi 2007/66/CE che la normativa nazionale, che ne recepiva le prescrizioni, hanno profondamente inciso.
La ragione del coinvolgimento di problematiche di diritto sostanziale e di diritto processuale è da ricercarsi nel modo in cui le stesse erano state impostate soprattutto dalla giurisprudenza, ferma
nell'assumere come presupposto del suo argomentare l'esistenza di un nesso di stretta conseguenzialità che legherebbe l'atto pattizio a quello, autoritativo, che aveva concluso il procedimento di evidenza pubblica e che dal tipo di invalidità, che inficierebbe il primo (nullità, annullabilità, inefficacia, decadenza) (2) e, quindi, dalla qualificazione giuridica degli effetti che si producono sullo stipulato contratto di appalto in conseguenza del successivo annullamento dell'aggiudicazione, riteneva di poter trarre elementi idonei a individuare il giudice competente a definire le controversie aventi ad oggetto la sorte del contratto (3) .
2. LE POSIZIONI ASSUNTE DALLA GIURISPRUDENZA:A) L'ANNULLABILITÀ RELATIVA DEL CONTRATTO
A questo riguardo la dottrina (4) ha individuato nell'ampissimo panorama giurisprudenziale quattro diversi orientamenti.
Il primo di essi, sul presupposto che gli atti amministrativi adottati nelle procedure ad evidenza pubblica, e che precedono la stipulazione jure privatorum dei contratti, sono soltanto mezzi di integrazione della capacità e della volontà dell'ente pubblico sicché i loro vizi, traducendosi in vizi attinenti a tale capacità e a tale volontà, si riflettono con immediatezza sul contratto, sosteneva che dall'annullamento dell'aggiu dicazione discende l'annullabilità «relativa» del contratto (art. 1441 c.c.), deducibile solo dalla stazione appaltante in via di azione o di eccezione (5) .
La ragione della posizione di privilegio riconosciuta all'Amministrazione era spiegata assegnando alle norme, che disciplinano il procedimento ad evidenza pubblica, la tutela del solo interesse dell'Amministrazione, atteso che la loro funzione è quella di assicurare la corretta formazione del consenso da parte sua, mettendola in condizione di poter scegliere il contraente migliore fra tutti i partecipanti alla procedura concorsuale.
Si tratta di tesi che aveva trovato ampio e persistente consenso nella giurisprudenza del giudice ordinario (6) ed alla quale, almeno inizialmente, aveva mostrato di aderire anche una parte della giurisprudenza del giudice amministrativo (7) .
Va peraltro precisato che detto consenso riguardava la tesi dell'annullabilità, ma non sempre il suo fondamento, che in taluni casi era individuato in un vizio del consenso conseguente ad errore sulla qualità di legittimo aggiudicatario dell'altro contraente, in altri nell'incapacità a contrattare dell'Amministrazione ove fosse venuta meno la delibera che l'autorizzava (8) , in altri ancora nel difetto di legittimazione negoziale della Pubblica amministrazione, intesa come incapacità rispetto allo specifico negozio, a fronte di una generale capacità giuridica e di agire del soggetto (9) .
Sul piano che interessava definire (id est chi è il giudice competente a decidere sulla sorte del contratto) la conclusione che detta giurisprudenza traeva dal suo argomentare era che, una volta intervenuto l'annullamento dell'atto di aggiudicazione dell'appalto da parte del giudice amministrativo adito, l'annullamento del contratto doveva essere chiesto dalla stazione appaltante al giudice ordinario.
Peraltro avverso detta conclusione e, soprattutto, nei riguardi delle affermazioni che ne costituivano il presupposto, non erano mancate osservazioni critiche.
Era stato osservato che non trovava alcun riscontro nell'ordinamento vigente la tesi secondo cui le norme, che disciplinano il procedimento ad evidenza pubblica, sarebbero dettate a tutela soltanto dell'interesse dell'Amministrazione aggiudicatrice, essendo vero il contrario, e cioè che le stesse mirano principalmente ad assicurare libero accesso alla contrattazione con le Pubbliche amministrazioni, in condizioni di par condicio, a tutte le imprese presenti sul mercato.
Si era aggiunto, conseguentemente, che riconoscere solo alle prime la legittimazione all'annullamento del contratto impediva all'impresa ricorrente, che avesse ottenuto dal giudice amministrativo l'annullamento dell'aggiudicazione, una tutela piena delle proprie ragioni. Si sosteneva inoltre che erano prive di supporto normativo le tesi che facevano discendere dall'annullamento del provvedimento di aggiudicazione l'incapacità della stazione appaltante a contrattare (art. 1425 c.c.), ovvero un vizio del consenso (art. 1427 c.c.) (10) .
3. (segue):
B) LA NULLITÀ DEL CONTRATTO
Un secondo orientamento, presente nella giurisprudenza sia del giudice ordinario (11) che di quello amministrativo (12) , era nel senso che dall'intervenuto annullamento del provvedimento di aggiudicazione dell'appalto deriva la nullità del contratto già stipulato, con conseguente inidoneità dello stesso a produrre effetti giuridici nei confronti delle parti contraenti, pubblica e privata (13) . Il supporto normativo di tale conclusione era individuato nell'art. 1418 comma 1 c.c., che sanziona con la nullità il contratto contrario a norme imperative. La nullità del contratto veniva quindi fatta discendere da una triplice considerazione:
a) l'invalidità, che inficia il contratto stipulato con il privato contraente, deriva dalla violazione di norme di azione disciplinanti il procedimento di gara ad evidenza pubblica, la quale è diretta, con la salvaguardia della par condicio tra i concorrenti, ad assicurare i fondamentali valori di imparzialità e di efficienza ed efficacia dell'azione amministrativa (art. 97 Cost.), nonché di tutela dell'effettività della concorrenza (artt. 2, 3 par. 1 lett. g e 4, Trattato CE);
b) le norme, che descrivono le modalità da osservare nella scelta del contraente, esprimono un implicito divieto di stipulare con soggetti che non siano risultati legittimi vincitori dalla pubblica selezione;
c) l'annullamento, giurisdizionale o in via di autotutela, degli atti di gara, facendo venir meno ex tunc il provvedimento di aggiudicazione, dà luogo ad una mancanza originaria del consenso della stazione appaltante all'assunzione del vincolo negoziale; di qui il vizio radicale del consenso, nel senso di difetto genetico originario, che per il combinato disposto degli artt. 1418 comma 2 e 1325 comma 1 c.c. produce la nullità del contratto, e non la semplice annullabilità dello stesso.
La posizione assunta in materia dalla giurisprudenza del giudice amministrativo era stata adeguatamente chiarita dall'Adunanza generale del Consiglio di Stato (14) .
La premessa del suo argomentare era che per gli enti pubblici la capacità di agire nei rapporti contrattuali non è rimessa alla libera scelta degli organi chiamati a manifestare la volontà dell'ente, ma è invece strettamente correlata allo svolgimento, da parte degli organi competenti, di procedure definite in modo compiuto dal legislatore, siano esse concorsuali o, come accade in talune ipotesi eccezionali specificamente individuate dall'ordinamento, non concorsuali.
L'attuazione di tali procedure costituisce il procedimento logico di formazione della volontà e di conseguente scelta del contraente, che invece nei rapporti interprivati è riservato alla libera autonomia negoziale e che si concreta nelle singole manifestazioni di volontà dei soggetti privati.
In altri termini, nell'ordinamento giuridico vigente la capacità giuridica e di agire degli enti pubblici è disciplinata dalle disposizioni di diritto positivo relative alle persone giuridiche ma, in relazione al principio della necessaria evidenza pubblica delle scelte effettuate da detti enti, le persone giuridiche pubbliche possono assumere impegni solo nei limiti e nei modi stabiliti dalla legislazione che regola in modo imperativo la loro attività per il perseguimento dei fini che sono ad esse assegnati. Il carattere imperativo delle norme, che disciplinano le procedure di gara, discende dalla duplice funzione che esse sono chiamate a svolgere, e cioè consentire alle Amministrazioni di provvedere nel modo più economico e conveniente alla provvista di beni e servizi e alla realizzazione di opere ma, al tempo stesso, consentire a tutti gli operatori economici, giudicati tecnicamente e moralmente idonei, di partecipare, a parità di condizioni, alla redistribuzione delle risorse pubbliche effettuata mediante il sistema degli affidamenti, nel rispetto dei principi fissati sia dalla Carta costituzionale (artt. 3 e 41) che dalla normativa comunitaria.
Da questa premessa lo stesso giudice amministrativo (15) faceva discendere la conclusione che l'esercizio della funzione amministrativa in contrasto con norme imperative non dà luogo alla semplice annullabilità del contratto, ma «alla nullità dell'assetto di interessi posto in essere con l'assenso del privato interessato». Si tratta infatti di esercizio illegittimo della funzione amministrativa, che trasmoda in nullità del regolamento di interessi posto in essere al di fuori e senza la prescritta osservanza delle regole della evidenza pubblica (16) .
La tesi della nullità del contratto non aveva trovato largo consenso né in giurisprudenza né, soprattutto, in dottrina.
Era stato infatti osservato che essa assegnava ad un fatto sopravvenuto, l'annullamento del provvedimento di aggiudicazione, la valenza di difetto genetico comportante invalidità radicale; esponeva il contratto all'accertamento di detta invalidità senza limiti prescrizionali (art. 1422 c.c.), su iniziativa di chiunque vi avesse interesse e anche d'ufficio, con pregiudizio delle esigenze di certezza dei rapporti giuridici, di cui è parte l'Amministrazione, e di stabilità dei relativi negozi giuridici (17) .
Un'ampia e puntuale difesa della tesi della nullità era stata invece compiuta da Cons. Stato, sez. IV, ord. 21 maggio 2004, n. 3355 (18) , il quale osservava:
a) quanto alla critica fondata sulla natura sopravvenuta e non genetica del vizio, che essa si basa sull'erroneo presupposto che l'annullamento dell'aggiudicazione incide sul rapporto, e non sul suo atto giuridico costitutivo. È vero invece che ogni atto relativo alla corretta formazione della volontà negoziale, o addirittura alla sua esistenza, va riferito al momento genetico del rapporto, e non alla sua fase esecutiva e funzionale.
In particolare possono qualificarsi sopravvenute solo le vicende che non riguardano direttamente la validità del negozio giuridico, ma la sua attuazione (inadempimento, eccessiva onerosità, impossibilità, verificazione della condizione risolutiva), e non anche quelle che, ancorché accertate successivamente, attengono al rispetto delle regole che presiedono alla valida conclusione dell'accordo, come quelle relative all'esistenza dell'accordo.
Non solo, ma l'efficacia retroattiva dell'annullamento giurisdizionale dell'atto impugnato impone di riferire l'efficacia della statuizione demolitoria al momento genetico del rapporto, cioè alla conclusione del negozio, e non alla sua fase esecutiva, e cioè alla corretta attuazione delle obbligazioni o al funzionamento della causa, del tutto estranee agli effetti della caducazione dell'aggiudicazione;
b) quanto alla critica, che nelle caratteristiche tipiche dell'azione di nullità (id est legittimazione di tutti i soggetti interessati, rilevabilità d'ufficio del vizio, imprescrittibilità, natura dichiarativa della relativa pronuncia) individuava la principale ragione ostativa alla condivisione della tesi, la risposta della sez. IV era duplice: le conseguenze «derivanti in punto di fatto da una teoria, anche se gravi, non sono in grado da sole di inficiarne la ragionevolezza»; i caratteri dell'azione di nullità vanno coordinati con le regole che presiedono il giudizio amministrativo.
Ed infatti, quando una delle parti contrattuali manifesta il suo consenso in un atto che ha anche natura provvedimentale, l'accertamento della sua illegalità e il conseguente suo annullamento soggiacciono alle regole proprie del processo amministrativo impugnatorio, le quali comportano la necessità che l'aggiudicazione sia gravata nel termine di decadenza e conseguentemente, in mancanza, l'improponibilità dell'azione di annullamento;
c) quanto alla rilevabilità d'ufficio da parte del giudice della nullità del contratto essa deve ritenersi preclusa dalla natura provvedimentale dell'atto di aggiudicazione;
d) quanto alla legittimazione a far valere la nullità essa deve intendersi limitata alle sole parti che hanno impugnato l'aggiudicazione, trattandosi degli unici soggetti che con il ricorso hanno manifestato un concreto interesse alla sua rimozione; trattasi di conclusione imposta dal rispetto delle regole del processo amministrativo, finalizzate alla tutela dei pertinenti interessi pubblici, che sarebbero pregiudicati da una loro disapplicazione conseguente all'applicazione dell'intera disciplina civilistica dell'azione di nullità;
e) quanto alla salvezza dei diritti acquisiti da terzi in buona fede, assicurata dagli artt. 23 e 25 c.c., trattasi di principi applicabili in via analogica anche al caso di annullamento dell'aggiudicazione, in ragione dell'identità di ratio e della qualificazione della Pubblica amministrazione come persona giuridica ai sensi dell'art. 11 dello stesso c.c. (19) .
Nei riguardi dell'impresa illegittimamente selezionata la buona fede è riconoscibile ove il vizio riscontrato nel provvedimento di aggiudicazione, e che ne ha determinato l'annullamento, era estraneo alla sua sfera di conoscenza e di controllo.
4. (segue):
C) L'INEFFICACIA DEL CONTRATTO
Un terzo orientamento faceva discendere dall'intervento annullamento, in sede giurisdizionale o amministrativa, del provvedimento di aggiudicazione l'inefficacia del contratto precedentemente stipulato.
Si tratta di tesi sostenuta, con richiamo a conclusioni alle quali era già pervenuta la giurisprudenza del giudice ordinario (20) , dalla sez. IV del Consiglio di Stato (21) e che muoveva dalla premessa che la caducazione degli atti del procedimento ad evidenza pubblica, mediante i quali si è formata la volontà dell'Amministrazione di pervenire alla stipulazione del contratto, priva la stazione appaltante, con efficacia ex tunc, della legittimazione a negoziare: «in sostanza l'organo amministrativo, che ha stipulato il contratto, una volta che viene a cadere, con effetto ex tunc, uno degli atti del procedimento costitutivo della volontà dell'Amministrazione, come la deliberazione di contrattare, il bando o l'aggiudicazione, si trova nella condizione di aver stipulato injure, privo della legittimazione che gli era stata conferita dai precedenti atti amministrativi».
Segue da ciò, sempre ad avviso della Sezione, che la categoria giuridica alla quale, in questo caso, occorre fare riferimento non è l'annullabilità ma l'inefficacia, atteso che nei contratti ad evidenza pubblica gli atti della serie pubblicistica e quelli della serie privatistica sono indipendenti quanto alla validità, ma i primi condizionano l'efficacia dei secondi, sicché il contratto diviene ab origine inefficace se uno degli atti del procedimento viene meno per una qualsiasi causa.
L'inefficacia sopravvenuta è peraltro relativa e può quindi essere fatta valere solo dalla parte che ha ottenuto l'annullamento degli atti di gara o del provvedimento di aggiudicazione, il che pone il problema della posizione che, in una vicenda del genere, deve essere riconosciuta all'Amministrazione aggiudicatrice.
La Sezione riconosceva che, in linea di principio, il contratto rimane vincolante inter partes, nonostante l'intervenuto annullamento in sede giurisdizionale dell'aggiudicazione, fino all'adozione di apposite iniziative da parte degli interessati. Riteneva peraltro meritevole di tutela anche l'interesse dell'Amministrazione a rimuovere gli effetti di situazioni ormai riconosciute illegittime, ma osservava che a questo risultato (id est l'inefficacia del contratto) essa può pervenire solo procedendo all'annullamento in xxx xx xxxxxxxxxx xxxxx xxxx xx xxxx, xxxxxx che «l'annullamento dell'aggiudicazione di una gara pubblica elide il vincolo negoziale sorto con l'adozione del provvedimento rimosso» (22) .
5. (segue):
D) LA CADUCAZIONE AUTOMATICA DEL CONTRATTO
Un ultimo orientamento era quello che, partendo dal rapporto di conseguenzialità fra aggiudicazione e contratto, in quanto legati da un nesso di presupposizione necessaria, faceva discendere dall'annullamento del provvedimento di aggiudicazione l'auto-matica caducazione del contratto (23) che, in conseguenza del venir meno di uno dei suoi presupposti di efficacia, resta definitivamente privato dei suoi effetti giuri-dici (24) .
A questo proposito è stato affermato (25) che la caducazione, in sede giurisdizionale o amministrativa, di atti della fase della formazione, mediante i quali si è concretamente formata la volontà contrattuale dell'Amministrazione, priva quest'ultima, con efficacia ex tunc, della legittimazione a negoziare.
In sostanza, l'organo amministrativo che ha stipulato il contratto, una volta che viene a cadere, con effetto ex tunc, uno degli atti del procedimento costitutivo della volontà dell'Amministrazione, come la deliberazione di contrattare, il bando o l'aggiudicazione, si trova nella condizione di aver stipulato injure, privo della legittimazione che gli era stata conferita dai precedenti atti amministrativi. L'annullamento della fase sostanziale dell'aggiudicazione segna, in via retroattiva, la carenza di uno dei presupposti di efficacia del contratto, che, pertanto, resta definitivamente privato dei suoi effetti giuridici.
L'automatica invalidità degli atti del procedimento incisi dalla pronuncia giurisdizionale è idonea a mutare i termini dell'ipotesi contrattuale intorno alla quale si è determinata la volontà dei partecipanti e la formazione delle singole offerte, e ciò anche nel caso in cui l'aggiudicatario abbia
posto in essere, nelle more del giudizio, un'attività riconducibile alla prestazione dovuta in forza della relazione contrattuale instaurata per effetto dell'aggiudicazione.
Tale attività, a parte il fatto di costituire evento temporalmente successivo ed esterno allo svolgimento della procedura che ne ha costituito il presupposto, una volta annullata l'aggiudicazione è destinata ad assumere le connotazioni di un'attività di fatto, in forza della proiezione ex tunc degli effetti dell'annullamento.
In alcune decisioni del giudice amministrativo (26) la caducazione automatica era ricondotta nella categoria della inefficacia successiva, «che ricorre allorché il negozio, pienamente efficace al momento della sua nascita, diventa inefficace per il sopravvenire di una ragione nuova di inefficacia, quest'ultima da intendersi come inidoneità funzionale in cui venga a trovarsi il programma negoziale per l'incidenza ab externo di interessi giuridici di rango poziore, incompatibili con l'interesse interno negoziale. Tale interferenza non implica alcuna alterazione strutturale della fattispecie contrattuale, incidendo unicamente sulla funzione dell'atto ovvero, per meglio dire, sul momento effettuale; in tali casi l'ordinamento è chiamato a risolvere un problema di contrasto fra situazioni effettuali: non viene in rilievo l'atto sotto il profilo genetico (validità o invalidità), bensì la sua efficacia».
A supporto della correttezza della tesi dell'automatica caducazione del contratto erano addotti anche due elementi di ordine testuale:
a) l'art. 246 del codice dei contratti pubblici, per il quale «la sospensione o l'annullamento dell'affidamento non comporta la caducazione del contratto già stipu lato e il risarcimento del danno eventualmente dovuto avviene solo per equivalente», che letto a contrario individuerebbe nella caducazione automatica la regola generale non applicabile, in via di eccezione, nel caso di procedure relative a infrastrutture e insediamenti produttivi;
b) l'art. 20 d.l. 29 novembre 2008, n. 185 (recante Misure urgenti per il sostegno a famiglie, lavoro, occupazione e imprese e per ridisegnare, in funzione anti-crisi, il quadro strategico nazionale, convertito con modifiche nella l. 28 gennaio 2009, n. 2) che, con riferimento alle procedure esecutive di progetti facenti parte del quadro strategico nazionale, esclude espressamente, per gli appalti di opere pubbliche di maggiore rilevanza economica, che la sospensione e l'annullamento dei provvedimenti impugnati possa comportare, in alcun caso, «la sospensione o la caducazione degli effetti del contratto già stipulato», con una formulazione che ricalca quella utilizzata per la stesura dell'art. 246 cit., in ordine agli appalti relativi alle infrastrutture strategiche di preminente interesse nazionale.
Si tratta di disposizioni che, lette a contrario, comproverebbero la tesi della caducazione automatica del contratto come regola generale e derogabile solo nei casi espressamente previsti dal legislatore. Dal suddetto automatismo veniva fatto discendere, sul piano processuale, un duplice ordine di conseguenze:
a) necessariamente la sentenza, che accerta l'avvenuta decadenza, ha carattere dichiarativo, e non costitutivo;
b) competente a dichiararla è lo stesso giudice che, con una sentenza costitutiva, annulla il provvedimento di aggiudicazione e che, conseguentemente, dà atto della conseguente caducazione del contratto: quindi, il giudice amministrativo.
La ratio sottesa a tale conclusione era che ciò che viene in rilievo non è una patologia del contratto, ma gli effetti che si sono automaticamente prodotti sulla fattispecie contrattuale in conseguenza dell'annullamento della procedura amministrativa di gara o di un suo segmento.
Data la premessa da essa si faceva discendere, come corollario logico, e in coerenza con le esigenze di concentrazione e pienezza della tutela, che è il giudice amministrativo, dotato di giurisdizione esclusiva sulle procedure di affidamento, a dover indagare anche sugli effetti che il sopravvenuto annullamento della procedura di gara pubblica ha prodotto sul contratto medio tempore stipulato.
6. (segue):
E) L'INEFFICACIA SUCCESSIVA DEL CONTRATTO
La tesi della caducazione automatica del contratto era stata peraltro contestata, sia in giurisprudenza
(27) che in dottrina (28) , sotto molteplici profili.
Si era osservato innanzi tutto che non è agevole comprendere che cosa deve intendersi per caducazione del contratto.
L'oscurità lessicale e la sua estraneità alle categorie abituali del diritto privato e del diritto pubblico sarebbero «il segno di una incertezza di fondo a cui si reagisce con l'uso di una espressione atecnica che, ad ogni modo, è ormai entrata in circolo e, impiegata adesso anche dal legislatore, dimostra la vitalità tipica dei concetti ambigui» (29) .
La caducazione, alla quale si riferiscono gli artt. 246 comma 4 d.lg. n. 163 del 2006 e 20 d.l. n. 185 del 2008, «parrebbe descrivere un fenomeno oggettivo di privazione degli effetti del contratto, originato dalla violazione di norme di azione dell'agire amministrativo, non assimilabile alle categorie tipiche della nullità e dell'annullabilità del contratto ed afferente più ad aspetti processuali che sostanziali».
Di qui la riconducibilità del fenomeno della caducazione nella categoria della inefficacia successiva, conseguente ad un fatto sopravvenuto alla stipula del contratto (l'annullamento dell'aggiudicazione), cui il contratto si ricollega in via funzionale.
Si aggiungeva, in dichiarata adesione ai rilievi critici provenienti dalla dottrina, che la soluzione della caducazione automatica pecca di rigidità, atteso che configura la privazione degli effetti del contratto come una conseguenza sempre necessaria e automatica dell'annullamento del provvedimento di aggiudicazione, che non consente di distinguere a seconda del tipo e della gravità della violazione in cui è incorsa la stazione appaltante, dello stato di maggiore o minore avanzamento dell'esecuzione del contratto, della buona o cattiva fede dell'originario aggiudicatario. Infine si faceva richiamo alla direttiva ricorsi 2007/66/C.E. nella quale, in palese contrasto con ogni principio di automatismo, si afferma che non ogni violazione del diritto comunitario, ad eccezione della mancata pubblicazione del bando, priva il contratto dei suoi effetti, con o senza retroattività, dovendo tale esito essere piuttosto il risultato di una valutazione demandata ad «un organo di ricorso indipendente dall'Amministrazione aggiudicatrice» che, tenuto conto delle circostanze e degli interessi in gioco, potrebbe anche decidere di mantenere in vita il contratto.
7. LA GIURISDIZIONE NELLE CONTROVERSIE AVENTI AD OGGETTO GLI EFFETTI DELL'ANNULLAMENTO DELL'AGGIUDICAZIONE SUL CONTRATTO GIÀ STIPULATO:A) LA POSIZIONE DELLE SEZIONI UNITE DELLA CORTE DI CASSAZIONE
Il problema relativo alla giurisdizione nelle controversie aventi ad oggetto gli effetti che il sopravvenuto annullamento dell'atto di aggiudicazione dell'appalto ha sul contratto già stipulato dall'impresa aggiudicataria e dalla stazione appaltante era stato sottoposto all'esame delle Sezioni unite della Corte di cassazione su ricorso di un imprenditore avverso la sentenza del giudice amministrativo, che aveva dichiarato l'inefficacia del contratto di appalto da lui stipulato con un ente locale prima che il provvedimento di aggiudicazione fosse annullato dallo stesso giudice.
Innanzi al giudice della giurisdizione il ricorrente contestava al giudice amministrativo di aver proceduto all'annullamento degli atti di gara senza porsi il problema dei limiti ai quali soggiace la sua giurisdizione, atteso che:
a) con la sottoscrizione del contratto si instaura fra le parti un vincolo negoziale iure privatorum, il quale comporta che tutte le controversie attinenti alla sua esistenza e alla sua esecuzione rientrano nella giurisdizione del giudice ordinario;
b) non sarebbe sostenibile una sorta di attrazione della vicenda contenziosa nell'ambito della giurisdizione amministrativa per l'automatico collegamento fra la procedura di evidenza pubblica e la validità-efficacia del vincolo contrattuale atteso che le relative questioni — con riferimento alla patologia del negozio per la quale optare, con le relative conseguenze, fra le categorie tipicizzate dal codice civile, alla sorte delle prestazioni nel frattempo eseguite dalle parti, alla qualificazione della buona fede del contraente privato, al trattamento giuridico dei terzi che abbiano acquistato diritti in
forza del contratto — trascendono la mera cognizione del profilo della legittimità dell'azione autoritativa espletata dalla Pubblica amministrazione come autorità e implicano valutazioni meramente civilistiche, ascrivibili al giudice naturale dei rapporti negoziali paritetici.
Il ricorso era stato accolto (30) e la giurisdizione del giudice amministrativo era stata limitata al contenzioso concernente la sola fase pubblicistica dell'attività negoziale della Pubblica amministrazione; ma ciò che importa sottolineare è che a questa conclusione le Sezioni unite erano pervenute prescindendo completamente dall'impostazione che fino ad allora giurisprudenza e dottrina avevano dato al problema, cioè la previa definizione del tipo di invalidità inficiante il contratto, con conseguente rinuncia ad insistere sul rapporto di logica consegenzialità che, per anni, tanto la giurisprudenza quanto la dottrina hanno ritenuto legasse i profili processuali ai profili sostanziali della questione (31) .
La tesi ora svolta era che anche nella vigenza degli artt. 6 e 7, l. 21 luglio 2000, n. 205 la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo doveva intendersi limitata, come in passato, alle controversie relative alle procedure di affidamento di appalti pubblici di lavori, servizi e forniture, cioè alla fase pubblicistica dell'appalto, in essa dovendosi ritenere ricompresi i provvedimenti di non ammissione alla gara o di esclusione dalla stessa, con esclusione di quelle relative alla successiva fase dell'esecuzione del rapporto, concernenti i diritti e gli obblighi derivanti, per ciascuna delle parti, dal contratto stipulato successivamente agli atti di evidenza pubblica.
In questa seconda fase restava ferma la giurisdizione del giudice ordinario quale giudice dei diritti, al quale spetta verificare la conformità alle norme positive delle regole alle quali i contraenti hanno affidato la disciplina dei loro contrastanti interessi, a nulla rilevando che specifiche disposizioni legislative attribuiscano all'Amministrazione committente la facoltà di incidere autoritativamente sul rapporto e persino di risolverlo, posto che detti atti amministrativi non hanno natura provvedimentale e non cessano di operare nell'ambito delle paritetiche posizioni contrattuali (32) .
La giurisdizione del giudice ordinario trovava quindi il suo fondamento nel fatto che nella fase dell'esecuzione del contratto e per tutta la sua durata i contraenti (Pubblica amministrazione e privati) operano su un piano assolutamente paritetico e le rispettive situazioni soggettive si qualificano come diritti soggettivi e obblighi giuridici (33) .
8. (segue):
B) LA POSIZIONE DELL'ADUNANZA PLENARIA DEL CONSIGLIO DI STATO
La reazione del giudice amministrativo alla decisione del giudice della giurisdizione era stata immediata.
Con ordinanza 28 marzo 2008, n. 1328, la sez. V del Consiglio di Stato rimetteva infatti all'Adunanza plenaria l'esame della intera vicenda, ma in una posizione di aperto dissenso rispetto alle conclusioni rassegnate solo qualche mese prima dalle sez. un. della Corte di Cassazione (34) .
Ed invero, partendo dalla tradizionale impostazione data alla problematica dalla giurisprudenza e dalla dottrina, e invece da ultimo ignorata dal giudice della giurisdi zione, e cioè considerare la questione di giurisdizione logicamente successiva a quella, sostanziale, relativa alla sorte del contratto concluso sulla base di aggiudicazione annullata, sottoponeva all'Adunanza plenaria le questioni relative:
a) alla sorte del contratto di appalto stipulato sulla base di un'aggiudicazione successivamente annullata;
b) alla sussistenza della giurisdizione amministrativa, con riferimento alle domande e al corrispondente tipo di decisioni al riguardo proponibili;
c) all'applicabilità degli artt. 23 e 25 c.c.
Alla base dei quesiti posti dal giudice remittente era in effetti un triplice ordine di considerazioni, che si colgono agevolmente dal suo diffuso argomentare:
a) l'attribuzione delle controversie relative alle procedure di affidamento degli appalti pubblici alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo risulterebbe del tutto inutile se non si intendesse tale ambito di competenza come comprensivo anche delle questioni relative alla validità ed all'efficacia del contratto che, sole, concernono diritti soggettivi;
b) l'esclusione di queste ultime dal novero di quelle conoscibili dal giudice amministrativo ex art. 6
l. 21 luglio 2000, n. 205 determinerebbe l'inaccettabile conseguenza di costringere il ricorrente ad un faticoso, farraginoso e dispendioso itinerario giurisdizionale, dal giudice amministrativo (per l'annullamento dell'aggiudicazione), a quello ordinario (per l'annullamento o la risoluzione del contratto) e, forse, di nuovo a quello amministrativo (per il risarcimento dei danni), per ottenere giustizia di un'unica vicenda sostanziale, con evidente vulnus delle esigenze di economicità, effettività e semplificazione e della tutela giurisdizionale;
c) l'inscindibilità del vincolo che collega gli aspetti pubblicistici e quelli privatistici della contrattazione avente ad oggetti gli appalti pubblici impedisce di giudicare il sindacato diretto della validità e dell'efficacia del contratto estraneo ai confini della giurisdizione esclusiva attinente alla presupposta procedura di affidamento.
Il giudice remittente, nel suo argomentare, aveva chiaramente dimostrato di essere consapevole del fatto che il testo letterale del cit. art. 6, l. n. 205 del 2000, nella parte in cui limita l'ambito di giurisdizione esclusiva ai soli provvedimenti della procedura di affidamento degli appalti, con conseguente implicita esclusione della cognizione di tutti gli atti successivi alla sua conclusione, ivi compreso il contratto, costituiva un grosso ostacolo alle sue conclusioni; tuttavia concludeva nel senso che il dato testuale non è in grado di impedire una lettura della disposizione che assegni al giudice amministrativo la potestà di conoscere in via diretta le questioni relative alla validità ed all'efficacia del contatto d'appalto, siccome direttamente riferibili all'illegittimità della presupposta aggiudicazione (35) .
A poca distanza di tempo dall'ordinanza n. 1328 del 2008 della sez. V del Consiglio di Stato interveniva sulla questione il Tar Milano (36) , il quale denunciava il danno che ai principi di effettività, tempestività e concentrazione della tutela giurisdizionale de rivava dal sistema del c.d.
«doppio binario di tutela» introdotto dalle Sezioni Unite della Cassazione, in conseguenza del quale il ricorrente, risultato vittorioso all'esito del giudizio impugnatorio-annullatorio avverso il provvedimento di aggiudicazione ovvero di esclusione dalla gara, sarebbe costretto a rivolgersi di seguito dapprima al giudice ordinario perché si pronunciasse sul contratto e a tornare dopo dal giudice amministrativo per far valere la sua pretesa al risarcimento in forma specifica.
Allo scopo di ridurre il pregiudizio, che al sistema derivava dalla pronuncia del giudice della giurisdizione, proponeva quindi di utilizzare l'art. 8 l. 6 dicembre 1971, n. 1034, nella parte in cui consente al giudice amministrativo di conoscere in via incidentale questioni che, sebbene involgenti diritti, siano pregiudiziali rispetto alla definizione della questione dedotta in via principale, atteso che nel caso in esame la questione principale è la pretesa del ricorrente al «bene della vita» costituito dall'aggiudicazione dell'appalto. Di questa pretesa fatta valere anche con la domanda di risarcimento in forma specifica, la permanenza del contratto, ad onta dell'annullamento dell'aggiudicazione che ne costituisce il presupposto, costituisce all'evidenza un fatto impeditivo, il che, ad avviso del Tribunale, giustifica una pronuncia incidenter tantum sul contratto.
La soluzione, che emergeva dall'argomentare del giudice milanese, era quindi che, in caso di annullamento giurisdizionale del provvedimento di aggiudicazione da parte del giudice amministrativo, resta devoluta alla giurisdizione del giudice ordinario la questione della sorte del contratto nel frattempo stipulato, fermo però restando il potere del giudice amministrativo, ai sensi del cit. art. 8 l. 6 dicembre 1971, n. 1034, di pronunciarsi incidentalmente sulla sorte del suddetto contratto, seppure con una pronuncia priva dell'attitudine ad acquistare autorità di cosa giudicata
(37) .
Sulla questione era quindi intervenuta l'Adunanza plenaria del Consiglio di Stato (38) , che dichiarava di aderire alla tesi delle Sezioni unite della Corte di Cassazione, secondo la quale sussiste la giurisdizione del giudice ordinario sulla domanda intesa ad ottenere, con autorità di giudicato, l'accertamento dell'inefficacia del contratto, la cui aggiudicazione sia stata annullata dal giudice amministrativo.
Si trattava di una netta inversione di tendenza del massimo organo della giustizia amministrativa rispetto al precedente orientamento giurisprudenziale, fondata fra l'altro su una motivazione molto
modesta, che ignorava del tutto le ragioni addotte dal giudice remittente e si adeguava passivamente al decisum del giudice della giurisdizione.
La tesi svolta era, nella sostanza, che nel sistema vigente non esiste una norma espressa a carattere generale sulla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo in ordine alle controversie che riguardano la fase dell'esecuzione del contratto d'appalto; da tale premessa si faceva discendere, a guisa di corollario obbligato, che nel caso di una specifica domanda avanzata da chi avesse ottenuto dal giudice amministrativo l'annullamento dell'aggiudicazione ed intesa all'accertamento con efficacia di giudicato delle conseguenze che la relativa pronuncia ha sul contratto pubblico d'appalto medio tempore stipulato, la giurisdizione è del giudice ordinario.
Si richiamava in effetti l'art. 144 del codice dei contratti pubblici, per desumere da esso la conferma che nella giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, fissata da detta norma, rientrano solo le controversie inerenti alle procedure di affidamento degli appalti di lavori, servizi e forniture, con esclusione di ogni domanda riguardante la fase dell'esecuzione dei relativi contratti, e si faceva discendere da tale constatazione la conclusione che all'annullamento dell'aggiudicazione si accompagna il potere dovere del giudice amministrativo di pronunciare sulla richiesta di risarcimento per equivalente del danno economico cagionato dall'aggiudicazione dichiarata illegittima, ma non anche di reintegrazione in forma specifica che, incidendo sulla fase negoziale e sui diritti soggettivi in essa coinvolti, esula dai suoi poteri giurisdizionali.
Pur tuttavia, la separazione imposta dall'art. 103 comma 1 Cost. fra il piano negoziale e quello procedimentale, se precludeva ogni pronuncia da parte del giudice amministrativo sul regolamento dei rapporti con l'aggiudicatario connessi all'annullamento dell'atto illegittimo, non incideva in alcun modo sulla realizzazione in concreto dell'effetto conformativo, sia da parte dell'Amministrazione nell'esecuzione spontanea del giudicato, sia da parte del giudice dell'ottemperanza nell'eventuale fase dell'esecuzione; pertanto non era da escludere che, nel quadro della verifica della corretta conformazione alla sentenza da eseguire, il giudice amministrativo, per effetto dei suoi ampi poteri derivanti proprio dall'esercizio della giurisdizione di merito, potesse effettivamente reintegrare in forma specifica la parte vittoriosa nei diritti connessi al giudicato e, quindi, eventualmente nella sua posizione di aggiudicatario della gara in luogo del contraente nei cui confronti l'aggiudicazione era stata impugnata (39) .
Ad avviso dell'Adunanza plenaria tali conclusioni non comportavano, se valutate con riferimento non solo agli spazi in precedenza riconosciuti alla giurisdizione del giudice amministrativo, ma anche ai principi sanciti dagli artt. 24 e 113 Cost., una diminuzione di tutela per il soggetto che avesse ottenuto l'annullamento in sede giurisdizionale del provvedimento di aggiudicazione dell'appalto. E ciò per due ragioni:
a) innanzi tutto perché la sentenza di annullamento dell'aggiudicazione determina in capo all'Amministrazione soccombente l'obbligo di conformarsi alle relative statuizioni nell'ambito degli ulteriori provvedimenti fatti salvi dall'art. 26 l. 6 dicembre 1971, n. 1034, costituendo detto annullamento un vincolo permanente per la successiva attività dell'Amministrazione, «che non può prescindere dall'effetto caducatorio del contratto stipulato». Segue da ciò che, in sede di esecuzione della sentenza, l'Amministrazione non può non rivelare la sopravvenuta caducazione del contratto conseguente all'annullamento dell'aggiudicazione e non conformare la sua ulteriore attività ai principi enunciati nella relativa sentenza (40) ;
b) in secondo luogo perché ove l'Amministrazione non dovesse conformarsi ai principi enunciati dalla sentenza di annullamento, l'interessato può sempre proporre un giudizio per l'ottemperanza nel quale il giudice amministrativo, nell'esercizio della sua giurisdizione di merito, è legittimato a sindacare in modo pieno, e satisfattivo per il ricorrente, l'attività posta in essere dall'Amministrazione e anche l'eventuale suo comportamento omissivo, «adottando tutte le misure, direttamente o per il tramite di un commissario, necessarie ed opportune per dare esatta e integrale esecuzione alla sentenza e per consentire una corretta riedizione del potere amministrativo».
In tal modo il giudice amministrativo può realizzare il contenuto conformativo della sentenza
«riferibile alla fase pubblicistica successiva all'annullamento» ed emanare tutti i provvedimenti
xxxxxx ad assicurare al ricorrente vittorioso il bene della vita effettivamente perseguito con il giudizio di legittimità e «reintegrarlo pienamente nella situazione concreta che avrebbe dovuto già conseguire qualora l'Amministrazione non avesse adottato l'atto di aggiudicazione illegittimo», atteso che «la funzione del giudizio dell'ottemperanza è proprio quella di adeguare la situazione di fatto a quella di diritto nascente dal giudicato» (41) .
Su dette questioni l'Adunanza plenaria era ritornata a distanza di qualche mese con una decisione
(42) di ancora minore spessore argomentativo rispetto a quella precedente, nella quale sostanzialmente si limitava a confermare, con formulazione telegrafica, il principio già enunciato, per il quale in tema di appalti rientra nella giurisdizione del giudice ordinario la controversia avente per oggetto la sorte del contratto a seguito dell'annullamento dell'aggiudicazione da parte del giudice amministrativo, in quanto è precluso, «in sede di giurisdizione esclusiva cognitoria», l'indagine sulla caducazione del contratto che necessariamente precede in via logica il ripristino del ricorrente vittorioso nella posizione di contraente, come previsto dall'art. 35, d.lg. 31 marzo 1998, n. 80, per il risarcimento del danno «con reintegrazione in forma specifica».
Il che sconfessa quanto la stessa Xxxxxxxx plenaria aveva affermato, nella precedente occasione, con riferimento ai vantaggi «anche in forma specifica» che il ricorrente vittorioso avrebbe potuto ricavare da un giudizio per l'esecuzione del giudicato.
9. LA DISCIPLINA COMUNITARIA
In successione di tempo interveniva nella materia in esame, con effetti dirompenti, l'art. 9 d.lg. 20 marzo 2010, n. 53, adottato in attuazione della delega di cui all'art. 44 l. 7 luglio 2009, n. 86 (l. com. 2008) e recante «Attuazione della direttiva 2007/66/CE, che modifica le direttive 89/665/CEE e 92/13/CEE per quanto riguarda il miglioramento dell'efficacia delle procedure di ricorso in materia d'aggiudicazione degli appalti pubblici», che introduceva nel Codice contratti pubblici l'art. 245-bis, recante «Inefficacia del contratto in caso di gravi violazioni».
Detta norma affidava al giudice, che aveva annullato l'aggiudicazione definitiva del contratto (e, quindi, al giudice amministrativo in sede di giurisdizione esclusiva), il potere-dovere di dichiarare l'inefficacia del contratto intervenuto fra la stazione appaltante e l'originario aggiudicatario, con specifico e puntuale riferimento alle prescrizioni dettate, nella materia de qua, dalle direttive CEE e CE innanzi citate.
In particolare la direttiva 2007/66/CE dell'11 luglio 2007 del Parlamento europeo e del Consiglio (c.d. direttiva ricorsi), partendo dalla premessa che gli Stati membri devono ritenersi obbligati ad adottare norme idonee a privare di effetti il contratto stipulato in esecuzione di un'aggiudicazione illegittimamente effettuata e quindi annullata, id est «a far sì che i diritti e gli obblighi dei contraenti derivanti dal contratto cessino di essere esercitati ed eseguiti», individuava, a questo effetto, tre diverse fattispecie:
a) casi, tassativamente indicati, nei quali, in ragione della gravità della violazione di determinati precetti comunitari, la privazione degli effetti del contratto doveva essere considerata obbligatoria e integrale (art. 2-quinquies), fatte salve talune eccezioni, parimenti tassativamente elencate, per le quali è possibile il ricorso a sanzioni alternative;
b) casi, sempre gravi, nei quali si lasciava invece alla valutazione discrezionale dei singoli Stati membri stabilire se prevedere anche per essi la privazione degli effetti del contratto ovvero optare, in alternativa, per altri meccanismi sanzionatori, purché proporzionati e, soprattutto, dissuasivi e, comunque, ulteriori rispetto al risarcimento del danno (art. 2-sexies);
c) casi meno gravi nei quali si affidava al diritto nazionale il compito di definire gli effetti dell'intervenuta illegittima aggiudicazione sulla sorte del contratto, con la possibilità di disporne la salvezza ma, contestualmente, la condanna al risarcimento del danno sofferto dal soggetto riconosciuto iussu iudicis legittimo aggiudicatario
La stessa direttiva riservava ulteriori spazi alle valutazioni discrezionali dei singoli Stati membri:
a) innanzi tutto, sulla premessa che la privazione degli effetti del contratto non deve essere automatica, ma accertata di volta in volta, affidava agli Stati membri la scelta del soggetto al quale
affidare tale compito e l'assunzione della relativa decisione, con l'unica condizione che si trattasse di un «organo di ricorso indipendente»;
b) lasciava inoltre al diritto nazionale il compito di stabilire «le conseguenze che derivano dalla privazione di effetti di un contratto» e, quindi, «prevedere la soppressione con effetto retroattivo di tutti gli obblighi contrattuali (ex tunc) o viceversa limitare la portata della soppressione agli obblighi che rimangono ancora da eseguire (ex nunc)», ma fermo restando l'obbligo di comminare «forti sanzioni» nel caso che gli obblighi derivanti dal contratto fossero già stati adempiuti interamente o quasi interamente;
c) allo stesso modo lasciava agli stessi Stati membri ampia libertà nel definire le conseguenze giuridiche derivanti «dalla obbligatoria privazione degli effetti del contratto» (nullità, decadenza, annulla, inefficacia sopravvenuta).
In questa libertà di scelta la Commissione speciale, costituita per esprimere il parere del Consiglio Stato sullo schema di decreto predisposto per dare attuazione alla delega di cui al cit. art. 44, l. n. 88 del 2009, ha esattamente ravvisato non una «lacuna dogmatica» ma, al contrario «una scelta meditata» finalizzata a riservare, anche in questo campo, un ragionevole spazio agli ordinamenti nazionali (43) .
10. LA DISCIPLINA DETTATA DALL'ART. 245-BISDEL CODICE DEI CONTRATTI PUBBLICI, INTRODOTTO DALL'ART. 9 D.LG. 20 MARZO 2010, N. 53
Alle prescrizioni dettate dal legislatore comunitario (retro par. 9) si era sollecitamente conformato quello nazionale che, nel conferire all'Esecutivo la delega per la loro introduzione nell'ordinamento interno (cit. art. 44 comma 1, lett. f) e h), l. n. 88 del 2009), aveva fissato i criteri guida ai quali l'emananda disciplina avrebbe dovuto ispirarsi, e cioè:
a) la privazione obbligatoria degli effetti del contratto in presenza delle violazioni molto gravi individuate dal diritto comunitario, lasciando al giudice che annulla l'aggiudicazione la scelta, in funzione del bilanciamento degli interessi coinvolti, tra privazione di effetti retroattiva o limitata alle prestazioni da eseguire;
b) l'attribuzione allo stesso giudice, in presenza delle violazioni gravi (anche queste già puntualmente indicate nella direttiva da recepire), della scelta tra privazione degli effetti del contratto (e relativa decorrenza) e sanzioni alternative;
c) l'attribuzione allo stesso, in tutti gli altri casi, della scelta tra privazione di effetti del contratto ovvero risarcimento per equivalente del danno effettivamente subito e comprovato.
A dare attuazione alla delega provvedeva l'art. 9 d.lg. 20 marzo 2010, n. 53, che introduceva nel Codice dei contratti pubblici l'art. 245-bis, comma 1 (successivamente sostituito, siccome disposto dall'art. 3 comma 19, lett. e), xxx.xx 4 al Codice del processo amministrativo, dall'art. 121 dello stesso Xxxxxx), il quale affidava al giudice, che aveva annullato il provvedimento di aggiudicazione definitiva, il potere di definire, in sede di giurisdizione esclusiva (art. 244 del Codice dei contratti pubblici), la sorte del contratto già stipulato dalla stazione appaltante e dall'aggiudicatario e, quindi, decidere se detto contratto dovesse essere privato o non dei suoi effetti (44) .
L'affidamento al giudice amministrativo, con giurisdizione esclusiva, del compito di definire per intero le vicende contenziose in materia di appalti pubblici, in tutti gli aspetti afferenti sia alla fase autoritativa che a quella pattizia e paritetica, costituiva un momento fondamentale nel progetto di riforma del processo amministrativo perché, mentre era rispettoso del dettato dell'art. 103 Cost. e coerente con le ragioni che indussero il legislatore costituente ad affidare al legislatore ordinario il compito di individuare, con riferimento a singole materie e alla specialità degli interessi coinvolti, ipotesi di giurisdizione esclusiva, al tempo stesso era in grado di assicurare al singolo utente dalla giustizia, almeno sul piano dei principi, una tutela adeguata, sollecita e completa delle proprie ragioni (45) .
Nella disciplina dettata dal suddetto art. 245-bis la declaratoria d'inefficacia del contratto, pur avendo come presupposto l'intervenuto annullamento giurisdizionale del provvedimento di aggiudicazione dell'appalto, non seguiva automaticamente ad esso, ma postulava un'apposita,
seppur contestuale, pronuncia del giudice, in mancanza della quale il contratto continuava a produrre i suoi effetti e ad essere impegnativo per le parti che lo avevano concluso (46) .
Ed invero, anche se il suddetto art. 245-bis comma 1, assegnava al giudice il compito di dichiarare («dichiara») l'inefficacia del contratto, ingenerando nel lettore il dubbio che il legislatore delegato avesse inteso assegnare alla relativa pronuncia un valore meramente ricognitivo di una situazione che discendeva automaticamente dall'intervenuto annullamento giurisdizionale dell'atto autoritativo di assegnazione dell'appalto, era conforme a principi generali di diritto riconoscere alla pronuncia d'inefficacia valore costitutivo, perché era ad essa che si doveva l'eliminazione dal mondo giuridico degli effetti già prodotti dal contratto che, altrimenti, avrebbe continuato a vivere di vita propria.
Alla dichiarazione d'inefficacia del contratto, nella sussistenza dei relativi presupposti, provvedeva d'ufficio il giudice che aveva già annullato il provvedimento di aggiudicazione dell'appalto e, quindi, indipendentemente da una specifica domanda proposta dal ricorrente nell'atto introduttivo del giudizio.
Si trattava di conclusione che discendeva direttamente dalla istituzione di un «giudice unico» che, in sede di giurisdizione esclusiva, era chiamato a definire in tutti i suoi aspetti, autoritativi e contrattuali, la vicenda contenziosa avente ad oggetto l'individuazione del partecipante alla gara pubblica avente titolo alla stipulazione del contratto, obiettivo che non si sarebbe realizzato nella sua interezza se non eliminando l'ostacolo (il contratto già concluso e operativo) che si opponeva al suo raggiungimento e che non poteva neppure essere ragionevolmente condizionato dalla formula utilizzata dal ricorrente nell'avanzare, nell'atto introduttivo del giudizio, la relativa istanza.
Sarebbe infatti contrario a principi di logica, prima ancora che di diritto, ipotizzare che il giudice unico, consapevole del compito che gli era stato assegnato, si sentisse vincolato da una istanza incompleta o comunque non correttamente formulata dall'interessato e ritenesse per ciò stesso di aver esaurito i suoi compiti nel mero annullamento dell'atto autoritativo da lui riconosciuto illegittimo, mantenendo in vita l'atto pattizio che, sul presupposto della legittimità del primo, era stato stipulato dalla stazione appaltante.
Ulteriore riprova della correttezza di tale conclusione era offerta dal successivo art. 245 quinquies, per il quale aggiudicazione e contratto erano condizionati alla dichiarazione d'inefficacia del contratto in corso, ai sensi degli artt. 245-bis e 245-ter.
Né sarebbe stato pertinente richiamare, in senso contrario, il principio della domanda, in quanto elemento che conferisce certezza ai rapporti giuridici, atteso che nella fattispecie in esame la domanda esisteva, ma doveva essere interpretata, per quanto attiene al suo esatto contenuto, con riferimento ai compiti complessivi che, nella materia de qua, erano assegnati al giudice unico che il ricorrente aveva adito, e cioè definire l'intera vicenda contenziosa tenendo presente il risultato che l'interessato perseguiva, e cioè ottenere l'appalto.
L'art. 245-bis, nel testo originario, individuava i casi nei quali la privazione degli effetti del contratto già stipulato era obbligatoria in ragione della obiettiva gravità delle violazioni intervenute nel corso del procedimento; quelli nei quali il contratto restava efficace anche in presenza di dette violazioni, essendo prevalente l'interesse generale a mantenerne in vita gli effetti; infine quelli nei quali la regola dell'inefficacia del contratto non trovava applicazione (47) .
11. (segue):A) I CASI NEI QUALI LA DECLARATORIA DI INEFFICACIA DEL CONTRATTO ERA DA CONSIDERARSI OBBLIGATORIA
La declaratoria di inefficacia del contratto era obbligatoria (art. 245-bis comma 1, lett. a e b, codice contratti pubblici ) nei casi in cui l'aggiudicazione definitiva fosse avvenuta:
a) senza previa pubblicazione del bando o dell'avviso, con cui si indiceva una gara pubblica, nella Gazzetta Ufficiale dell'Unione europea o nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana. Condizione necessaria per la declaratoria di inefficacia del contratto era, peraltro, che la pubblicazione fosse prescritta dal Xxxxxx dei contratti pubblici;
b) con procedura negoziata (art. 56 codice dei contratti pubblici) o con affidamento in economia (art. 125 codice dei contratti pubblici) fuori dai casi consentiti, e ciò avesse determinato la mancata
pubblicazione del bando o dell'avviso nelle Gazzette Ufficiali di cui si è detto suba). Anche in questo caso condizione necessaria era che detta pubblicazione fosse imposta dal codice.
La declaratoria di inefficacia era parimenti obbligatoria se il contratto fosse stato stipulato senza rispettare:
a) il termine dilatorio fissato dall'art. 11 comma 10, del codice dei contratti pubblici, ma nel concorso di una duplice condizione, e cioè che: a’) per effetto della violazione dell'obbligo di non stipulare il contratto prima di trenta giorni dalla comunicazione ai controinteressati del provvedimento di aggiudicazione, il ricorrente fosse stato privato, prima della stipula del contratto, della possibilità di avvalersi dei rimedi giudiziari che l'ordinamento mette a disposizione dei partecipanti a gare pubbliche; a’’) tale violazione, aggiungendosi ai vizi propri del provvedimento di aggiudicazione definitiva, avesse influito sulla possibilità per il ricorrente di ottenere l'aggiudicazione dell'appalto;
b) la sospensione obbligatoria del termine per la stipulazione derivante dalla proposizione del ricorso giurisdizionale avverso il provvedimento di aggiudicazione definitiva (art. 11 comma 10-ter codice), ma anche in questo caso a condizione che tale violazione, aggiungendosi ai vizi propri di detto provvedimento, avesse influito sulla possibilità per il ricorrente di ottenere l'affidamento dell'appalto.
In tutti questi casi il giudice che, avendo annullato l'aggiudicazione definitiva, era competente a pronunciare anche sulla sorte del contratto, era tenuto a dichiarare se l'inefficacia di questo doveva intendersi limitata alle sole prestazioni ancora da eseguire alla data di pubblicazione del dispositivo o aveva effetto retroattivo.
A questo fine, previa considerazione della situazione di fatto, doveva acquisire le deduzioni delle parti in causa e valutare la gravità del comportamento tenuto nel corso del procedimento dalla stazione appaltante.
12. (segue):
B) I CASI NEI QUALI LA DECLARATORIA DI INEFFICACIA DEL CONTRATTO NON ERA OBBLIGATORIA
Peraltro, anche nell'accertata presenza delle violazioni di cui si è detto, il contratto restava efficace (art. 245-bis comma 2 codice contratti pubblici) se «il rispetto di esigenze imperative connesse ad un interesse generale» imponeva che i suoi effetti fossero mantenuti in vita. Fra dette esigenze eccezionali, la cui esistenza e rilevanza dovevano intendersi rimesse alla valutazione ampiamente discrezionale del giudice in sede di giurisdizione esclusiva, il comma 2 distingueva quelle di
«carattere tecnico» da quelle di «carattere economico».
Fra le prime (le esigenze di «carattere tecnico») il comma 2 assegnava prioritaria rilevanza alla circostanza che i residui obblighi contrattuali non potessero essere eseguiti se non dall'esecutore attuale. Erano quindi richieste due condizioni, ambedue «imprescindibili» e tali da risultare con palese evidenza; si doveva trattare: a) di un contratto già in avanzato stato di esecuzione; b) del completamento di un'opera che non poteva essere affidato, per ragioni tecniche, se non a chi l'aveva iniziata e portata ad un avanzato stato di realizzazione.
Ancora più rigorose erano le condizioni che dovevano ricorrere per quanto attiene alle esigenze di
«carattere economico», da tenere in considerazione nell'interesse generale.
La regola era che gli interessi economici assumevano il connotato di «esigenze imperative» solo in casi eccezionali, per essi dovendosi intendere quelli nei quali la declaratoria di inefficacia del contratto avrebbe condotto a conseguenze sproporzionate. È il caso, che il comma 2 espressamente menzionava, ma solo a titolo esemplificativo, che il vizio riscontrato nella procedura di aggiudicazione non comportasse l'obbligo di rinnovare la gara e mancasse una domanda di subentro nel contratto da parte di soggetto avente titolo a proporla.
In ogni caso non assumevano rilevanza (id est non erano qualificabili come esigenze imperative) gli interessi economici direttamente legati al contratto (sempre a titolo esemplificativo: i costi derivanti dal ritardo nella sua esecuzione; la necessità di indire una nuova procedura; il cambio dell'operatore economico; gli obblighi di legge derivanti dalla declaratoria di inefficacia).
Nei casi previsti dal comma 1, lett. a) (aggiudicazione definitiva senza pubblicazione del bando o dell'avviso) e lett. b) (procedura negoziata o affidamento in economia senza pubblicazione del bando o dell'avviso) non era applicabile la regola, dalle stesse norme fissate, di inefficacia del contratto ove la stazione appaltante:
a) prima dell'avvio della procedura di aggiudicazione dell'appalto avesse dichiarato, con atto motivato, «di non essere tenuta», ai sensi della disciplina codicistica, alla previa pubblicazione del bando o dell'avviso di gara;
b) trattandosi di contratti di rilevanza comunitaria o di contratti sottosoglia avesse pubblicato, sulla Gazzetta Ufficiale dell'Unione europea o della Repubblica italiana, un avviso volontario per la trasparenza preventiva (art. 79-bis codice contratti pubblici), in cui manifestava la sua intenzione di concludere il contratto;
c) il contratto non fosse stato concluso prima della scadenza di un termine di almeno dieci giorni decorrenti dal giorno successivo alla data di pubblicazione del succitato avviso volontario per la trasparenza preventiva.
Ai sensi del comma 4 in tutti i casi nei quali, nonostante le riscontrate violazioni, il contratto fosse considerato efficace o la sua inefficacia temporalmente limitata, si applicavano le sanzioni alternative di cui all'art. 245-quater.
13. LA DISCIPLINA DETTATA DALL'ART. 121 DEL CODICE DEL PROCESSO AMMINISTRATIVO:A) LA DECLARATORIA D'INEFFICACIA DEL CONTRATTO
La disciplina dettata dall'art. 245-bis codice dei contratti pubblici è stata integralmente recepita e fatta propria, senza variazioni neppure di ordine formale, dall'art. 121 codice del processo amministrativo (d'ora in poi c.p.a.), che in tal modo ha implicitamente manifestato di condividerla sia nell'impostazione generale data alla problematica relativa alla sorte del contratto già stipulato, sia nelle determinazioni conseguenziali.
In sintesi il cit. art. 121 affida al giudice, che ha annullato l'aggiudicazione definitiva, il potere- dovere di dichiarare l'inefficacia del contratto contestualmente precisando, tenuto conto delle deduzioni delle parti, della gravità della condotta della stazione appaltante e della situazione di fatto, se detta declaratoria ha effetto retroattivo o deve invece intendersi limitata alle prestazioni ancora da eseguire alla data di pubblicazione del dispositivo della sentenza di annullamento.
Detto potere-dovere può essere esercitato in presenza di «gravi violazioni» specificamente e tassativamente considerate ricorrenti nei casi in cui:
a) l'aggiudicazione definitiva è avvenuta senza previa pubblicazione del bando o dell'avviso, con cui è stata indetta la gara, nella Gazzetta ufficiale dell'Unione europea o nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana, quando tale pubblicazione è prescritta dal Codice contratti pubblici;
b) l'aggiudicazione definitiva è avvenuta con procedura negoziata senza bando o con affidamento in economia fuori dei casi consentiti, e ciò abbia determinato la mancata pubblicazione del bando o dell'avviso di indizione della gara nella Gazzetta Ufficiale dell'Unione europea o nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana, anche in questo caso se tale pubblicazione è prescritta dal codice contratti pubblici;
c) il contratto è stato stipulato senza rispettare il termine dilatorio stabilito dall'art. 11 comma 10 codice contratti pubblici per la stipula del contratto (48) , ma alla duplice condizione che detta violazione: c') abbia privato il ricorrente della possibilità di avvalersi dei mezzi di ricorso prima della stipulazione del contratto e c’’) aggiungendosi ai vizi propri dell'aggiudicazione definitiva, abbia influito sulle possibilità del ricorrente di ottenere l'affidamento dell'appalto;
d) il contratto è stato stipulato senza rispettare il disposto dell'art. 11 comma 10-ter codice contratti pubblici, che impone la sospensione del termine per la stipulazione del contratto nel caso di proposizione di ricorso giurisdizionale avverso l'aggiudicazione definitiva, ma anche in questo caso a condizione che detta violazione, aggiungendosi ai vizi propri del provvedimento di definitiva aggiudicazione, abbia influito sulle possibilità del ricorrente di ottenere l'affidamento dell'appalto
(49) .
Peraltro, limitatamente ai casi indicati suba) e b), la declaratoria di inefficacia del contratto non può essere adottata dal giudice amministrativo, nonostante l'avvenuto annullamento dell'aggiudicazione definitiva, ove la stazione appaltante abbia:
a') con atto motivato, anteriore all'avvio della procedura di affidamento dell'appalto, dichiarato di ritenere che la procedura, senza previa pubblicazione del bando o dell'avviso di indizione della gara pubblica nella Gazzetta Ufficiale dell'Unione europea ovvero nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana, è consentita dal Codice contratti pubblici;
b') pubblicato, rispettivamente per i contratti di rilevanza comunitaria e per quelli sotto soglia, nella Gazzetta Ufficiale dell'Unione europea ovvero nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana, un avviso volontario per la trasparenza preventiva ai sensi dell'art. 79-bis del codice contratti pubblici
(50) , in cui manifesta l'intenzione di concludere il contratto;
c') il contratto non stato concluso prima dello scadere di un termine di almeno dieci giorni, decorrenti dal giorno successivo alla data di pubblicazione dell'avviso volontario di cui alla precedente lett. b').
14. (segue):
B) I CASI DI INEFFICACIA DEL CONTRATTO RIMESSI ALLA VALUTAZIONE DEL GIUDICE
L'art. 245-ter, introdotto dall'art. 10 d.lg. 20 marzo 2010, n. 53, recante «Attuazione della direttiva 2007/66/CE, che modifica le direttive 89/665/CEE e 92/13/CEE per quanto riguarda il miglioramento dell'efficacia delle procedure di ricorso in materia d'aggiudicazione degli appalti pubblici», e successivamente sostituito dall'art. 3 comma 19, lett. f), xxx.xx n. 4 al codice del processo amministrativo, il quale peraltro ne ha recepito e riproposto integralmente il testo nel suo art. 122, è ad avviso di chi scrive il frutto di una tecnica redazionale discutibile, che il legislatore delegato ha deciso di poter utilizzare al fine di dare distinto ed autonomo rilievo ai casi, diversi da quelli elencati nel precedente art. 245-bis, ed ora nell'art. 121 c.p.a., in presenza dei quali si era ritenuto poter di rimettere alla libera valutazione del giudice, che aveva annullato il provvedimento di aggiudicazione definitiva dell'appalto, se dichiarare o non l'inefficacia del contratto e, in caso affermativo, fissarne la decorrenza, ad essi riservando un apposito articolo.
Si tratta, in effetti, di casi che avrebbero potuto trovare corretta collocazione nel precedente art. 245-bis, come ipotesi residuale, e nei quali il ruolo centrale, che nel l'intero sistema era riservato al giudice, risultava particolarmente accentuato e anche contraddittorio rispetto ai poteri di cui lo stesso disponeva nel precedente procedimento preordinato alla verifica dell'effettiva sussistenza dei denunciati e tipizzati vizi di illegittimità che, soli, potevano condurre all'annullamento dell'atto autoritativo di aggiudicazione dell'appalto.
Nel merito, la soluzione codificata nell'art. 245-ter (ed ora confermata dal cit. art. 122 c.p.a.) era in effetti di dubbia legittimità.
È probabile che il legislatore delegato avesse inteso perseguire obiettivi di pragmatismo e di concretezza, ma la flessibilità, che in tal modo si era inteso riservare alla decisione che il giudice doveva adottare caso per caso, mal si concilia con il carattere tassativo delle ipotesi di inefficacia del contratto previste dall'art. 245-bis, in assenza delle quali sarebbe stato ragionevole per l'interprete concludere nel senso che gli effetti del contratto dovevano intendersi mantenuti per carenza di presupposti.
Con l'art. 245-ter si è voluto invece creare un duplice e concorrente sistema, il primo interamente codificato nei presupposti e negli effetti, il secondo (quello introdotto dall'art. 245-ter ed ora confermato dall'art. 122 c.p.a.) «in bianco», nel quale il dominus è il giudice, completamente libero (tranne i limiti che derivano alla sua attività, in qualunque settore esplicata, dalla doverosa applicazione dei criteri di adeguatezza e ragionevolezza) non solo di decidere se mantenere o non in vita il contratto, ma preliminarmente di valutare se, a suo avviso, esistevano vizi, ulteriori rispetto a quelli che avevano condotto all'annullamento del provvedimento di aggiudicazione ovvero che, pur rientrando fra di essi, erano di gravità inferiore a quelli previsti dall'art. 245-bis ma che, ciò
nonostante, potevano condurre ad una declaratoria di inefficacia del contratto, cioè ad un risultato escluso dal cit. art. 245-bis.
L'art. 245-ter non elencava, e non li elenca neppure il sopravvenuto art. 122 c.p.a. (che ne ha ripreso integralmente il testo), neppure a titolo esemplificativo, né ragionevolmente avrebbe potuto farlo, quali sarebbero i casi oggetto del possibile e libero intervento del giudice, quali i «vizi riscontrati» (ma neppure specificati) che assumerebbero rilievo agli effetti della decisione che egli era ed è tuttora chiamato ad assumere, e nemmeno i limiti intrinseci del suo sindacato, ma solo i criteri escludenti (id est l'impossibilità per il ricorrente vittorioso di ottenere l'aggiudicazione, lo stato di esecuzione del contratto, l'impossibilità di subentrare in esso, in sostanza gli stessi previsti dall'art. 245-bis).
In sostanza si trattava, e si tratta ancora, di una norma in bianco, che disattende il principio fondamentale di ogni ordinamento giuridico per il quale la predeterminazione della regola costituisce presupposto ineludibile di ogni intervento sanzionatorio, crea uno stato di incertezza sulla sorte del contratto che priva la stazione appaltante, l'aggiudicatario e il ricorrente vittorioso della regola della certezza del diritto, norma che il giudice lungimirante dovrà evitare di applicare, consapevole del contenzioso che una qualsiasi sua decisione ingenererà (51) .
15. LE SANZIONI ALTERNATIVE NEL SISTEMA DEGLI APPALTI PUBBLICI:A) LA DISCIPLINA DETTATA DALL'ART. 245-QUATERDEL CODICE DEI CONTRATTI PUBBLICI. TIPOLOGIA
L'art. 245-quater, introdotto dall'art. 11 d.lg. 20 marzo 2010, n. 53, recante «Attuazione della direttiva 2007/66/CE, che modifica le direttive 89/665/CEE e 92/13/CEE per quanto riguarda il miglioramento dell'efficacia delle procedure di ricorso in materia d'aggiudicazione degli appalti pubblici», ed ora abrogato dall'art. 3 comma 19, lett. g), xxx.xx n.4 al codice del processo amministrativo, approvato con d.lg. 2 luglio 2010, n. 104, che peraltro ne ha recepito e riproposto integralmente il testo nel suo art. 123, va letto congiuntamente al precedente art. 245-bis, atteso che è questo che prevedeva (comma 4: ora art. 121 comma 4) l'applicazione di sanzioni per il caso in cui, nonostante le violazioni da esso elencate e qualificate per la loro intrinseca gravità, non sussistessero le condizioni per dichiarare l'inefficacia del contratto o, quanto meno, per ridurne l'efficacia nel tempo (52) .
Il campo di applicazione del sistema sanzionatorio regolamentato dall'art. 245-quater era, quindi, già definito dall'art. 245-bis, ma era il comma 3 del cit. art. 245-quater che prevedeva l'obbligo per il giudice di comminare sanzioni alternative («applica»), anche se il contratto fosse stato stipulato senza rispettare il termine dilatorio stabilito per la sua stipulazione ovvero senza rispettare la sospensione della stipulazione derivante dalla proposizione del ricorso giurisdizionale avverso l'aggiudicazione definitiva, quando nell'un caso e nell'altro la violazione non avesse privato il ricorrente della possibilità di avvalersi, prima della stipulazione del contratto, dei rimedi giurisdizionali che l'ordinamento mette a disposizione dei partecipanti a gare pubbliche e non avesse influito sulla possibilità per lo stesso ricorrente di ottenere l'affidamento.
Si sanzionava (53) cioè un comportamento scorretto della stazione appaltante a prescindere dall'effettivo pregiudizio che da esso il ricorrente potesse aver subito, il che è soluzione che non si conciliava agevolmente con la ratio sottesa alla disciplina generale dettata dall'art. 245-bis(54) .
L'aggettivazione «alternative», che il legislatore delegato aveva riservato alle misure da esso introdotte, lasciava ragionevolmente intendere che identica funzione sanzionatoria si era inteso sostanzialmente riconoscere anche alla declaratoria di inefficacia o di limitata efficacia temporale del contratto, in quanto misure dirette, in ambedue i casi, a colpire il comportamento illegittimo tenuto dalla stazione appaltante nella conduzione e gestione del procedimento di aggiudicazione dell'appalto.
Destinataria di detto regime sanzionatorio era infatti la stazione appaltante, in quanto unica responsabile delle gravi violazioni alle quali tassativamente si riferiva il cit. art. 245-bis (l'aggiudicatario poteva infatti essere considerato beneficiario, ma non corresponsabile delle stesse),
e che non potevano essere sanzionate, come si è detto, con la declaratoria di inefficacia o di limitata efficacia temporale del contratto.
Si trattava di soluzione che, quanto meno sotto il profilo della ragionevolezza, ma limitatamente alle sanzioni economiche, suscitava qualche perplessità perché destinata ad essere applicata in un sistema nel quale stazioni appaltanti sono di regola enti pubblici direttamente o indirettamente finanziati dalla collettività, con la conseguenza che quest'ultima, con una partita di giro, dapprima puniva sé stessa ma poi recuperava i proventi delle sanzioni economiche sopportate. Disponeva infatti l'art. 245-quater, comma 1, lett. a), e analoga disposizione detta anche l'art. 123 comma 1, lett. a) c.p.a., che detti proventi dovevano essere versati, entro sessanta giorni dal passaggio in giudicato della sentenza che irrogava la sanzione, all'entrata del bilancio dello Stato, con imputazione al capitolo 2301, capo 8 («Multe, ammende e sanzioni amministrative inflitte dalle autorità giudiziarie ed amministrativa, con esclusione di quelle aventi natura tributaria»).
Il che induceva a dubitare anche della funzione dissuasiva che, in via prioritaria, detto sistema sanzionatorio era chiamato a svolgere e che, almeno in linea di principio, doveva ritenersi assicurata dalla normativa in tema di responsabilità per danno erariale dei funzionari pubblici.
Era invece prevista anche una maggiorazione della sanzione economica di non limitato spessore (un decimo della sanzione per ogni semestre di ritardo) per il caso in cui detto termine non fosse rispettato; a fini di controllo era fatto obbligo alla segreteria dell'organo giudiziario, che detta sanzione aveva comminato, di darne comunicazione al Ministero dell'economia e delle finanze entro cinque giorni dalla pubblicazione della sentenza.
Un discorso a parte merita la sanzione consistente nella riduzione della durata del contratto, alla quale gli studiosi della materia hanno dedicato una particolare attenzione, ad essa assegnando una funzione diversa da quella propria della sanzione pecuniaria, e cioè «ristabilire la legalità materiale alterata dalla stipula contra ius del contratto, secondo lo schema tipico delle misure a carattere ripristinatorio incentrate sulla res, le quali servono appunto a ristabilire l'equilibrio (legalità materiale) alterato dalla violazione, e non a punire il responsabile della violazione, se non in via del tutto eccezionale» (55) .
In sostanza, la sanzione della riduzione della durata del contratto svolgerebbe la medesima funzione che, nell'ambito civilistico, è affidata alla sostituzione automatica di clausola nulla ex art. 1419 comma 2 c.c., per violazione di norma imperativa o comune dell'ordine pubblico economico (56) , ovvero si configurerebbe come «rimedio oggettivo assimilabile all'inefficacia» (57) .
Competente ad applicare le sanzioni alternative era lo stesso giudice che, in sede di giurisdizione esclusiva, aveva annullato il provvedimento di aggiudicazione definitiva dell'appalto e che, in presenza dei presupposti tassativamente richiesti dall'art. 245-bis, sarebbe stato chiamato anche a dichiarare l'inefficacia, totale o parziale, dell'appalto.
Nell'esercizio di detta funzione egli era tenuto (comma 2, art. 245-quater, ed ora art. 123 comma 2 c.p.a.) innanzi tutto ad assicurare il rispetto del principio del contraddittorio; in secondo luogo a determinare la misura delle sanzioni (non solo economiche) di guisa che risultassero effettive, dissuasive e proporzionate al valore del contratto.
Particolare rilevanza era attribuita alla gravità della condotta della stazione appaltante ma al tempo stesso, in positivo, anche all'opera da essa svolta per eliminare o, quanto meno, attenuare le conseguenze della violazione che s'intendeva sanzionare.
Le sanzioni alternative, che il giudice competente comminava, erano dichiaratamente cumulabili con l'eventuale condanna della stazione appaltante al risarcimento dei danni.
16. (segue):
B) SANZIONI ECONOMICHE E RIDUZIONE DELLA DURATA DEL CONTRATTO
Per quanto, più in particolare, riguarda la tipologia delle sanzioni alternative, l'art. 245-quater comma 1, prevedeva due tipi di sanzioni che potevano essere comminate in alternativa alla declaratoria di inefficacia del contratto, nei casi espressamente consentiti dal precedente art. 245- bis. Identica disposizione reca anche l'art. 123 comma 1, lett. a) e b), del codice del processo amministrativo.
La prima era una sanzione pecuniaria, d'importo compreso fra un minimo pari allo 0,5% e un massimo pari al 5% del «valore» del contratto, quest'ultimo quantificato con riferimento al prezzo sulla cui base era avvenuta l'aggiudicazione; la seconda, ma applicabile solo se possibile, consisteva nella riduzione della durata del contratto, anche in questo caso contenuta entro un limite minimo costituito dal 10% e un limite massimo pari al 50% della durata residua dello stesso, la quale costituiva il presupposto logico della sua applicazione.
La scelta fra le due sanzioni era rimessa alla valutazione discrezionale del giudice nell'esercizio di una giurisdizione sostanzialmente di merito che, nella materia de qua, in effetti non gli apparteneva atteso che la stessa, ancorché prevista dall'art. 44, lett. h), l. delega 7 luglio 2009, n. 88, non compariva nel testo del decreto delegato, che nella suddetta materia attribuiva al giudice amministrativo una giurisdizione esclusiva, ma non anche di merito (art. 244 comma 1), d'altro canto non utilizzabile per la definizione di controversie che coinvolgono posizioni di diritto soggettivo.
Né tanto meno compare nell'art. 134 c.p.a., che elenca le controversie per la cui definizione il giudice amministrativo dispone di una giurisdizione che di merito.
Aggiungasi che comunque la giurisdizione di merito comporta la possibilità per il giudice di sovrapporre le sue statuizioni ai provvedimenti adottati dall'Amministrazione, che è situazione estranea al contenzioso in materia di appalti pubblici.
In ogni caso, anche se interlocutore obbligato del giudice in detta scelta era la stazione appaltante, in quanto destinataria della misura sanzionatoria, soggetto interessato alla scelta, e quindi da coinvolgere necessariamente nel contraddittorio prescritto dall'art. 245-quater comma 2, era anche il ricorrente vittorioso, il quale poteva anche non essere interessato a subentrare nella gestione di un contratto, specie se di lavori, in parte già eseguito dall'aggiudicatario, condividendo con quest'ultimo la responsabilità finale del modo in cui l'opera, oggetto dell'appalto, è stata realizzata. In effetti i dubbi di maggior spessore sollevati dagli studiosi più attenti all'analisi delle innovazioni che periodicamente si introducono nel sistema riguardavano la compatibilità con il quadro costituzionale della scelta legislativa per effetto della quale «il giudice diventa l'arbitro di una operazione economica complessiva colta nella sua unitarietà, nell'ambito della quale possono essere definiti dall'ordinamento i parametri per l'esercizio della funzione, e mai stabilite ex ante le conseguenze automatiche delle illegittimità accertate in sede giurisdizionale» (58) .
Secondo Xxxxxxxx (59) è incostituzionale la norma che assegna al giudice amministra tivo il compito di soggetto comminatore di sanzioni amministrative, che è funzione riservata all'Amministrazione. Si trattava di tesi che si fondava, in sostanza, su due ordini di ragioni:
a) «la scelta del tipo di sanzione da irrogare, l'opzione fra la cumulabilità o alternatività delle due sanzioni e, soprattutto, la fissazione della loro concreta misura sono tutte manifestazioni di un potere amministrativo autonomo»;
b) l'assegnazione al giudice amministrativo del potere di comminare sanzioni amministrative, scegliendo fra le stesse sulla base di una valutazione a lui solo riservata, non era conseguente ad una specifica prescrizione in questo senso della c.d. direttiva ricorsi, la quale si era limitata a stabilire che le sanzioni fossero irrogate da un organo di «ricorso indipendente».
Ma sulla configurabilità di una «riserva di amministrazione» sull'irrogazione di sanzioni amministrative ha di recente replicato, con osservazioni meritevoli di attenta considerazione, Cerbo
(60) , per il quale «se dall'art. 13 Cost. è possibile desumere una riserva di giurisdizione sull'irrogazione delle sanzioni penali, in ragione della loro capacità di incidere sulla libertà personale, non è corretto per ciò solo ritenere che sussista una simmetrica riserva di amministrazione sull'irrogazione delle sanzioni amministrative, in ragione della loro incidenza su beni essenzialmente patrimoniali: infatti, la riserva di legge contenuta nell'art. 23 non comporta la necessaria attribuzione all'amministrazione del potere di imporre prestazioni personali e patrimoniali».
L'autore supporta la sua tesi con puntuale e specifico richiamo ai numerosi casi nei quali il diritto positivo attribuisce non all'amministrazione, ma al giudice il compito di comminare sanzioni amministrative pecuniarie o ripristinatorie della legalità materiale violata:
a) l'art. 24 l. 24 novembre 1981, n. 689 (recante Modifiche al sistema penale) prevede che, ove l'esistenza di un reato dipenda dall'accertamento di una violazione non costituente reato, il giudice penale, competente a conoscere del reato, è pure competente a decidere sulla predetta violazione e ad applicare, con la sentenza di condanna, la sanzione amministrativa pecuniaria stabilita per detta violazione dalla legge;
b) l'art. 118 c.p.c. assegna al giudice civile il compito di irrogare una sanzione pecuniaria (d'importo variabile ex art. 45 comma 15, l. 18 giugno 2009, n. 69 da euro 250 a euro 1.500) al terzo che non adempie all'ordine dello stesso giudice di consentire un'ispezione sulla propria persona o sulle cose in suo possesso, quando ciò sia indispensabile per la conoscenza dei fatti di causa;
c) l'art. 709-ter c.p.c., introdotto dall'art. 2 l. 8 febbraio 2006, n. 54 (recante Norme in materia di separazione dei genitori e affidamento condiviso dei figli) assegna al giudice civile, che nelle controversie fra genitori sull'esercizio della patria potestà o sulle modalità di affidamento del minore riscontri gravi inadempienze o atti che pregiudichino il minore, il potere di condannare il genitore inadempiente al pagamento di una «sanzione amministrativa pecuniaria»;
d) l'art. 260 comma 4 d.lg. 3 aprile 2006, n. 152, recante Norme in materia ambientale, assegna al giudice penale anche il potere di ordinare al responsabile del reato di traffico illecito di rifiuti, con la sentenza di condanna o con quella emessa ai sensi dell'art. 444 c.p.p., «il ripristino dello stato dell'ambiente e può subordinare la concessione della sospensione condizionale della pena all'eliminazione del danno o del pericolo per l'ambiente»;
e) l'art. 31 comma 9 d.P.R. 9 giugno 2001, n. 380, recante Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia, per il quale il giudice penale può, con la sentenza di condanna dell'autore di abusi edilizi, ordinare anche la demolizione delle opere da lui realizzate sine titulo «se ancora non sia stata altrimenti eseguita».
In effetti, come nota Xxxxx nel suo pregevole contributo, «l'unica vera peculiarità delle sanzioni alternative del d.lg. n. 53 del 2010 sta nella circostanza che ad irrogarle non sia il giudice civile o quello penale, ma il giudice amministrativo», il che da un lato è conseguenza della «unità pluralistica della giurisdizione» predicata dal giudice delle leggi (61) e, dall'altro lato, è corroborata dalla mancanza di «specifiche ragioni che precludano al giudice amministrativo di effettuare le valutazioni necessarie all'irrogazione di sanzioni alternative all'irrogazione delle sanzioni alternative, come ad esempio quelle relative alla quantificazione delle sanzioni, alla scelta se irrogarle congiuntamente o singolarmente e alla sussistenza stessasi una violazione sanzionabile. Xxxx, a ben vedere, il giudice amministrativo compie già da tempo valutazioni di questo tipo» (62) .
17. (segue):C) SANZIONI PATRIMONIALI E SANZIONI RIPRISTINATORIE
Altra questione, sulla quale è necessaria una breve precisazione, è il potere che l'art. 245-quater comma 1, riconosceva al giudice amministrativo (e che l'art. 123 comma 1 c.p.a. ha confermato) di decidere se applicare le due sanzioni (patrimoniale e ripristinatoria) cumulativamente o singolarmente.
Non risulta infatti condivisibile la tesi (63) che, partendo dal testo della norma, per la quale le sanzioni «si applicano», sostiene che l'applicazione «congiunta» delle due tipologie di sanzioni costituirebbe la regola per il giudice, privo di qualsiasi discrezionalità in materia, che potrebbe disapplicarla solo ove la sanzione ripristinatoria non fosse possibile.
In effetti è proprio il testo della norma che conduce alla conclusione opposta, dal momento che dispone che le sue sanzioni possono essere applicate «alternativamente o cumulativamente», ma con il limite, nella scelta necessariamente affidata alla valutazione dell'unico soggetto competente ad intervenire, rappresentato, per quella ripristinatoria, dal fatto che la stessa sia materialmente possibile.
18. LE SANZIONI ALTERNATIVE NEL CODICE DEL PROCESSO AMMINISTRATIVO
Alle problematiche sollevate dal testo dell'art. 245-quater, che meritavano una ade guata risposta, il codice del processo amministrativo è rimasto indifferente, recependo integralmente nel testo del suo art. 123 quello dell'art. 245-quater, senza variazioni neppure di ordine formale, sicché le osservazioni e i dubbi formulati nei confronti del primo valgono anche per il secondo.
In pratica ha confermato:
a) la regola per la quale le sanzioni pecuniaria e ripristinatoria possono essere applicate alternativamente e pecuniariamente, ed ha affidato la scelta al giudice amministrativo che aveva definito il ricorso avverso l'aggiudicazione definitiva;
b) l'importo massimo e minimo della sanzione pecuniaria e il termine per il pagamento, con le connesse conseguenze ove lo stesso decorra inutilmente;
c) con riferimento alla sanzione ripristinatoria, la durata minima e massima della riduzione di durata del contratto;
d) l'obbligo per il giudice, in sede di applicazione delle sanzioni sia sanzionatoria che ripristinatoria, di rispettare il principio del contraddittorio e di determinare la loro misura in modo che siano
«effettive, dissuasive, proporzionate alla gravità della condotta della stazione appaltante e all'opera svolta dalla stessa per l'eliminazione o attenuazione delle conseguenze della violazione»;
e) la cumulabilità delle suddette sanzioni con l'azione risarcitoria;
f) l'applicabilità delle sanzioni anche nei casi in cui il contratto sia stato stipulato senza rispettare: f') il termine dilatorio stabilito per la stipulazione del contratto ovvero f'') la regola della sospensione della stipulazione conseguente alla proposizione del ricorso giurisdizionale avverso l'aggiudicazione definitiva, ove la violazione non abbia privato il ricorrente della possibilità di avvalersi di mezzi di ricorso prima della stipulazione del contratto e non abbia influito sulle possibilità per il ricorrente di ottenerne l'affidamento.
19. LE CONTROVERSIE RELATIVE A INFRASTRUTTURE E INSEDIAMENTI PRODUTTIVI:A) LA DISCIPLINA DETTATA DALL'ART. 246 DEL CODICE DEI CONTRATTI PUBBLICI
Prima dell'entrata in vigore del codice del processo amministrativo l'art. 246 codice dei contratti pubblici che — limitatamente alle controversie relative agli atti delle procedure di progettazione, approvazione e realizzazione delle infrastrutture e degli insediamenti produttivi, e relative attività di espropriazione, occupazione e asservimento — introduceva norme processuali aggiuntive a quelle da esso Codice fissate in via generale, era già stato ampiamente emendato dall'art. 13 d.lg. 20 marzo 2010, n. 53, recante «Attuazione della direttiva 2007/66/CE, che modifica le direttive 89/665/CEE e 92/13/CEE per quanto riguarda il miglioramento dell'efficacia delle procedure di ricorso in materia d'aggiudicazione degli appalti pubblici».
In prosieguo di tempo lo stesso emendato art. 246 è stato sostituito dall'art. 3 comma 19, lett. i), xxx.xx 4 al c.p.a., con contestuale rinvio, per la materia de qua, alla disciplina dallo stesso dettata nel quale, peraltro, il testo del cit. art. 246 è stato riportato, con una sola variante, nel suo art. 125, recante «Ulteriori disposizioni processuali per le controversie relative a infrastrutture strategiche». Il predetto art. 13, d.lg. n. 53 del 2010, intervenendo sull'art. 246 codice dei contratti pubblici, aveva:
a) soppresso nel comma 1 il rinvio alle disposizioni dettate dall'art. 23-bis, l. 6 dicembre 1971, n. 1034, che prevedevano un rito abbreviato per la definizione delle controversie afferenti le materie innanzi indicate e, quindi, ne aveva escluso l'applicabilità e dichiarato applicabili, al loro posto, le nuove disposizioni introdotte, per tutti i contratti pubblici, dagli artt. 244 («giurisdizione»), 245 («tutela processuale»), 245-bis («inefficacia del contratto in caso di gravi violazioni»), 245-quater («sanzioni alternative») e 245-quinquies («tutela in forma specifica e per equivalente»), codice contratti pubblici;
b) abrogato il comma 2, che escludeva la necessità per le parti in causa costituite di presentare la domanda di fissazione dell'udienza di merito (sul presupposto che a ciò dovevasi provvedere d'ufficio entro quarantacinque giorni dalla data di deposito del ricorso), avendo il precedente art.
245 introdotto tale principio come regola generale per tutte le controversie in materia di appalti pubblici;
c) modificato il testo del comma 4, sopprimendo la regola in esso enunciata, secondo la quale la sospensione o l'annullamento dell'affidamento dell'appalto non comportano la caducazione del contratto già stipulato dalla stazione appaltante con l'originario aggiudicatario, facendo invece espressamente salvi i casi di inefficacia del contratto previsti dall'art. 245 bis, che il giudice era obbligato a dichiarare in ragione della particolare gravità che il legislatore delegato aveva ravvisato in determinati comportamenti tenuti dalla stazione appaltante, e di applicazione di sanzioni alternative di cui all'art. 245-quater.
Era rimasto invece immutato il solo comma 3, che fissava i criteri valutativi ai quali il giudice adito deve conformarsi nel pronunciare sull'istanza cautelare presentata dal ricorrente ed intesa ad ottenere la temporanea sospensione degli effetti del provvedimento impugnato fino alla decisione di merito.
La Commissione speciale, incaricata di esprimere il parere del Consiglio di Stato sullo schema di decreto sottoposto al suo esame, aveva in effetti suggerito nel suo elaborato (n. 368 dell'1 febbraio 2010) l'abrogazione anche del comma 5 dell'art. 246, che estendeva le disposizioni di cui al precedente comma 4 (sulla caducazione del contratto) ai casi regolamentati dell'art. 140 codice dei contratti pubblici (fallimento dell'aggiudicatario e risoluzione per inadempimento), sull'assunto che essi non riguardano opere di particolare importanza.
Il suggerimento non era stato recepito dal legislatore delegato, il quale aveva mantenuto fermo, nel testo del novellato art. 246, il comma in questione. Il Codice sul processo amministrativo ha riportato nel suo art. 125 il testo emendato dell'abrogato art. 246, con una sola aggiunta al comma 3, di cui si dirà in seguito.
Di qui la necessità, per una migliore comprensione della materia, di ricostruire l'evoluzione che la disciplina per essa dettata ha subito nel tempo.
L'art. 246 codice dei contratti pubblici, nel testo originario precedente gli emendamenti ai quali è stato sottoposto dall'art. 13, d.lg. 20 marzo 2010, n. 53, recepiva, ma con varianti di non poco momento, il testo dell'art. 14, d.lg. 20 agosto 2002, n. 190 (recante Attuazione della l. 21 dicembre 2001, n. 443, per la realizzazione delle infrastrutture e degli insediamenti produttivi strategici e di interesse nazionale), che aveva già esteso il rito speciale di cui all'art. 23-bis, l. 6 dicembre 1971, n. 1034 ai «giudizi davanti agli organi di giustizia amministrativa che comunque riguardino le procedure di pro gettazione, approvazione e realizzazione delle infrastrutture ed insediamenti produttivi e relative attività di espropriazione, occupazione e asservimento» (64) .
Dal richiamo al succitato art. 23-bis si faceva discendere che l'art. 246 comma 1 codice dei contratti pubblici non aveva inteso innovare rispetto agli ordinari criteri di riparto della giurisdizione fra giudice amministrativo e giudice ordinario, ma si era limitato a indicare il rito applicabile alle controversie aventi ad oggetto le procedure innanzi indicate (65) e con esclusione di quelle che insorgono nella fase di esecuzione del contratto stipulato a seguito dell'aggiudicazione (66) .
La situazione fin qui descritta era interamente mutata con l'entrata in vigore del cit. d.lg. n. 53 del 2010, che non solo aveva assegnato le controversie afferenti i pubblici appalti, senza distinzioni relative al loro oggetto e prescindere dal fatto che riguardassero la fase dell'aggiudicazione o quella successiva dell'esecuzione del contratto, ad un giudice unico con giurisdizione esclusiva (art. 7: v. art. 244 comma 1 del Codice dei contratti pubblici), ma aveva anche assoggettato tutti i ricorsi in materia di appalti pubblici ad un unico rito speciale (artt. 8-13: x. xxxx. 000, 000-xxx, 245-ter, 245- quater, 245-quinquies codice dei contratti pubblici).
Il rito speciale introdotto dall'art. 246 codice dei contratti pubblici, nel testo originario precedente le modifiche ad esso apportate dall'art. 13 d.lg. n. 53 del 2010, pur recependo in via generale le regole dettate dall'art. 23-bis l. n. 1034 del 1971, se ne distaccava per determinati profili in coerenza con le connotazioni proprie delle materie oggetto del contendere e con le esigenze acceleratorie perseguite dal legislatore delegato del 2006. In particolare:
a) il ricorrente non era tenuto a presentare istanza di fissazione d'udienza, atteso che a quest'ultima doveva provvedere d'ufficio il giudice adito;
b) l'udienza doveva essere fissata per una data non successiva al quarantacinquesimo giorno da quella di deposito del ricorso presso la segreteria (termine sostanzialmente inferiore a quello di trenta giorni previsto dall'art. 23-bis l. n. 1034 del 1997, ma decorrente dalla data di deposito dell'ordinanza cautelare), e non era condizionata dall'avvenuta presentazione di un'istanza di sospensione degli effetti del provvedimento impugnato.
Non diversamente dal termine di cui al succitato art. 23-bis, anche a quello di cui all'art. 246 comma 2 codice dei contratti pubblici, si assegnava carattere meramente sollecitatorio, con la conseguenza che la sua inosservanza non influiva sulla validità del processo, ma poteva al limite comportare conseguenze sul piano disciplinare per il giudice inadempiente.
Peraltro la disciplina generale dettata dall'art. 23-bis continuava a costituire l'inevitabile punto di riferimento per tutto quanto non formasse oggetto di specifica previsione di segno contrario nell'art. 246, il che stava a significare, esemplificando, che nonostante le finalità acceleratorie da esso perseguite i termini a difesa dovevano essere comunque rispettati.
20. (segue):
B) LE INNOVAZIONI INTRODOTTE DALL'ART. 20 COMMA 8 D.L. 29 NOVEMBRE 2008, N. 185
L'art. 20, comma 8 d.l. 29 novembre 2008, n. 185, recante Misure urgenti per il sostegno a famiglie, lavoro, occupazione e impresa e per ridisegnare in funzione anti-crisi il quadro strategico nazionale, aveva introdotto radicali modificazioni nella disciplina del processo amministrativo per quanto attiene ai tempi e alle modalità di svolgimento dello stesso, con riferimento ai giudizi aventi ad oggetto i provvedimenti concernenti gli interventi programmati nell'ambito del Quadro strategico nazionale e individuati dal Presidente del Consiglio dei Ministri, con un decreto da lui adottato su proposta del Ministro competente per materia,di concerto con il Ministro dell'economia, come prioritari per lo sviluppo economico del territorio, nonché per le implicazioni occupazionali e i connessi riflessi sociali. Queste le principali novità:
a) il termine per la notificazione del ricorso proposto al competente Tar avverso i provvedimenti di cui si è detto era ridotto da 60 a 30 giorni; detti provvedimenti erano comunicati agli interessati a mezzo fax o posta elettronica all'indirizzo da essi indicato; l'accesso agli atti del procedimento era consentito entro dieci giorni dall'invio della comunicazione del provvedimento;
b) lo stesso ricorso doveva essere depositato presso il Tar entro 5 giorni dalla scadenza del termine di notificazione del ricorso; peraltro, in luogo della prova delle eseguite notifiche, poteva essere depositata attestazione dell'ufficiale giudiziario che il ricorso era stato consegnato per notifiche; la prova delle eseguite notifiche andava depositata entro 5 giorni da quando fosse disponibile;
c) le parti diverse dal ricorrente principale (autorità emanante e controinteressati) dovevano costituirsi entro 10 giorni dalla notificazione del ricorso principale;
d) il ricorso incidentale doveva essere proposto entro 10 giorni dalla notifica del ricorso principale e depositato con le modalità e i termini previsti per il ricorso principale;
e) i motivi aggiunti potevano essere proposti entro 10 giorni dall'accesso agli atti e andavano notificati e depositati con le modalità previste per il ricorso principale;
f) il processo doveva essere definito in una udienza da fissarsi entro 15 giorni dalla scadenza del termine per la costituzione delle parti diverse dal ricorrente;
g) il dispositivo della sentenza era pubblicato in udienza;
h) la sentenza doveva essere redatta in forma semplificata con i criteri (ma non nella sussistenza dei presupposti ) di cui all'art. 26 comma 4 l. 6 dicembre 1971, n. 1034;
i) le misure cautelari e l'annullamento dei provvedimenti impugnati non comportavano, in alcun caso, la sospensione o la caducazione degli effetti del contratto già stipulato;
l) il giudice, che sospendeva o annullava detti provvedimenti, disponeva il risarcimento degli eventuali danni solo per equivalente;
m) il risarcimento per equivalente non poteva comunque eccedere la misura di utile effettivo che il ricorrente avrebbe conseguito se fosse risultato aggiudicatario, desumibile dall'offerta economica presentata in gara;
n) per quanto non espressamente previsto dall'art. 20, d.l. n. 185 del 2008 si applicavano gli artt. 23-
bis l. 6 dicembre 1971, n. 1034 e 246 codice.
Per quanto in particolare riguarda la tutela cautelare la circostanza che la data dell'udienza di merito fosse fissata d'ufficio in termini estremamente ridotti dal giudice adito non escludeva, ex art. 246 comma 2 codice dei contratti pubblici, la possibilità per il ricorrente di presentare istanza di sospensione degli effetti del provvedimento impugnato, ma la tutela cautelare di cui egli poteva fruire soggiaceva a restrizioni ben più accentuate di quelle fissate dall'art. 23-bis, l. n. 1034 del 1971 e si traducevano, in particolare, in precise direttive alle quali detto giudice era ex lege tenuto ad attenersi nel pronunciare sull'istanza.
Era infatti prescritto che il giudice amministrativo, in sede di comparazione degli interessi pubblici e privati confliggenti, doveva dare priorità al «preminente interesse nazionale alla sollecita realizzazione dell'opera», anche se non poteva neppure ignorare «l'irreparabilità del pregiudizio» che dall'esecuzione del provvedimento poteva derivare al suo destinatario.
Da ciò discendeva il rilievo formulato sulla discutibile utilità per il ricorrente di tale forma di tutela
(67) , anche se in parte compensata dalla pronta definizione nel merito della materia del contendere. In ogni caso, nonostante il contrario avviso espresso dal succitato autore, non sembra a chi scrive che la regola dettata dall'art. 246 comma 3 codice dei contratti pubblici si ponesse in contrasto con il disposto dell'art. 2, prg. 4, direttiva 89/665/CEE, per il quale «gli Stati membri possono prevedere che l'organo responsabile, quando esamina l'opportunità di prendere provvedimenti provvisori, può tener conto delle probabili conseguenze dei provvedimenti stessi per tutti gli interessi che possono essere lesi, nonché dell'interesse pubblico a decidere di non accordare tali provvedimenti qualora le conseguenze negative possono superare quelle positive».
Piuttosto, nonostante il contrario avviso di De Nictolis (68) , il dubbio in ordine alla compatibilità fra normativa comunitaria e normativa statale poteva insorgere in con seguenza dell'interpretazione che della succitata direttiva aveva offerto il giudice comunitario, atteso che lo stesso, mentre da un lato affermava che nulla osta a che uno Stato membro preveda che l'Autorità giudiziaria investita di ricorso in materia di lavori pubblici, nel pronunciarsi su una istanza cautelare, sia obbligata o abbia invece la facoltà di prendere in considerazione la possibilità di un successo del ricorso, apponeva subito dopo la condizione che la disciplina della misura cautelare non fosse meno favorevole di quella prevista per la tutela di analoghe situazioni di diritto nazionale o comunque tale da rendere impossibile o eccessivamente difficile l'esercizio del diritto conferito al singolo dall'ordinamento comunitario (X. Xxxxx. CE 9 aprile 2003).
L'elemento che più di ogni altro caratterizzava il rito speciale di cui all'art. 246 del Codice dei contratti pubblici, nel testo originario, era che, nell'ipotesi in cui il contratto fosse già stato stipulato, il successivo annullamento giurisdizionale dell'impugnato provvedimento di aggiudicazione non ne comportava la caducazione, ma ingenerava per il ricorrente vittorioso solo il diritto al risarcimento del danno non in forma specifica, ma per equivalente, cioè pecuniario.
Era stato sostenuto (69) che si trattava di soluzione giustificata alla luce della normativa sia comunitaria che statale, considerata la preminenza dell'interesse generale alla realizzazione dell'opera pubblica. In ogni caso era conclusione che, avendo come suo presupposto l'intervenuta stipula del contratto, poteva essere evitata ove l'ordinanza di sospensione fosse intervenuta prima di tale evenienza e contenesse anche la temporanea inibizione alla stazione appaltante alla firma del contratto prima della decisione di merito.
Al fine di tutelare la posizione del ricorrente a fronte di iniziative prese con immediatezza dall'Amministrazione la Corte di giustizia, con sentenza C-81/98 del 28 ottobre 1999, aveva imposto che il provvedimento di aggiudicazione fosse comunicato a tutti gli interessati e che intercorresse un ragionevole lasso di tempo fra la data di aggiudicazione dell'appalto e quella di stipula del contratto. L'obbligo per gli Stati membri di prevedere un termine sospensivo minimo,
durante il quale la stipula del contratto è sospesa, era stato affermato dal Parlamento europeo e dal Consiglio con la direttiva 11 dicembre 2007, n. 2007/66/CE.
In effetti a tale prescrizione il Codice contratti pubblici aveva già autonomamente provveduto con gli artt. 11 comma 10 e 79 comma 5, lett. a), imponendo all'Amministrazione di comunicare entro un termine non superiore a cinque giorni l'intervenuta aggiudicazione all'aggiudicatario, al concorrente che lo seguiva immediatamente in graduatoria, ai concorrenti che avevano presentato un'offerta ammessa alla gara e a coloro la cui offerta era stata esclusa, ma a condizione che fossero già insorti in sede giurisdizionale contro il provvedimento di esclusione o erano ancora in termini per impugnarlo.
Ulteriore garanzia era nel fatto che comunque il contratto non poteva essere stipulato prima di trenta giorni dall'invio di dette comunicazioni e che l'Amministrazione non disponeva del potere di ridurre discrezionalmente il termine in questione, qualunque fosse la ragione che in ipotesi poteva giustificare siffatta determinazione.
21. (segue):
C) LA DISCIPLINA DEL CODICE DEL PROCESSO AMMINISTRATIVO
Rispetto al quadro normativo fin qui descritto l'unica novità introdotta dall'art. 125 codice del processo amministrativo è la declaratoria (nella parte finale del comma 3) di applicabilità del precedente art. 34 comma 3, per il quale, «quando, nel corso del giudizio, l'annullamento del provvedimento impugnatorio non risulta più utile per il ricorrente, il giudice accerta l'illegittimità dell'atto se sussiste l'interesse ai fini risarcitori».