Maurizio Bellacosa Antonino Gullo
Xxxxxxxxxxxx xx Xxxxxxxxxxxxxx
Xxxxxxxx xx Xxxxxx 0
IL “PRINCIPIO DI NON CONTRADDIZIONE” NELLA FORMA GIURIDICA DELLE SCRIMINANTI NELL’ATTIVITÀ MEDICO- PSICHIATRICA: LA RESPONSABILITÀ PENALE DELLO PSICHIATRA
Xxxxxxxx Xxxxxxxxx Xxxxxxxx Xxxxx
Prof. Prof.
RELATORE CORRELATORE
143783 Xxxxxxx Xx Xxxx
Matr.
Anno Accademico 2020/2021
CANDIDATO
INTRODUZIONE 1
CAPITOLO I
IL PRINCIPIO PLATONICO-ARISTOTELICO DI “NON CONTRADDIZIONE” COME FONDAMENTO DELL’ORDINAMENTO GIURIDICO
1. LA STRUTTURA DEL REATO SECONDO LA CONDIVISA CONCEZIONE TRIPARTITA: TIPICITÀ, ANTIGIURIDICITÀ E COLPEVOLEZZA 7
1.1 La tipicità 20
1.1.1 I reati di mera condotta ed i reati d’evento 23
1.1.2 I reati commissivi ed omissivi 26
1.1.3 I reati omissivi propri ed impropri 27
1.1.4 I reati commissivi mediante omissione 28
1.2 La colpevolezza: nozione in una prospettiva sistemica 36
1.2.1 Elemento costitutivo della struttura del reato 47
2. L’ANTIGIURIDICITÀ: CATEGORIA RICOSTRUITA ALLA LUCE DELL’INTERO DELL’ORDINAMENTO GIURIDICO… 57
2.1 Fondamento e ratio delle cause di giustificazione 65
2.2 Il procedimento analogico applicato alle scriminanti 69
2.3 Gli effetti delle cause di giustificazione 72
2.4 Categorie analoghe 75
2.5 Disciplina generale 82
3. LE SCRIMINANTI ATIPICHE: COLLOCAZIONE SISTEMATICA ATTRAVERSO I CONTRIBUTI GIURISPRUDENZIALI E DOTTRINALI 91
3.1 Le scriminanti culturali 94
3.2 La scriminante sportiva 100
3.3 La scriminante dell’attività medica 102
CAPITOLO II
IL “CONSENSO” QUALE XXXXXXXXXX XXX XXXXXXXX XXXXXX-XXXXXXXX
0. L’EVOLUZIONE DEL RAPPORTO MEDICO-PAZIENTE: INTRODUZIONE STORICA 107
1.1 L’origine americana del consenso 110
1.2 L’approdo del consenso informato in Italia 115
2. IL CONSENSO INFORMATO COME REGOLA DEL RAPPORTO MEDICO- PAZIENTE 120
2.1 Il consenso informato tra lex artis e causa di giustificazione 123
2.2 Il fondamento normativo del consenso informato… 130
2.3 Il limite al consenso del paziente: il rifiuto del trattamento da parte del professionista tra dovere e facoltà 136
2.4 Le eccezioni alla regola del consenso del paziente 137
3. IL CONSENSO INFORMATO COME CONQUISTA DI CULTURA E DI CIVILTÀ DEI VALORI DELLA PERSONA 145
3.1 I requisiti di validità dell’informazione e del consenso: introduzione 150
3.1.1 L’abilitazione del medico e del professionista sanitario 152
3.1.2 La titolarità dell’obbligo di informazione 153
3.1.3 La funzione del consenso in rapporto al quantum ed al quomodo
dell’informazione 155
3.1.4 Il contenuto dell’informazione 158
3.1.5 Le modalità ed i tempi 163
3.1.6 La forma e la prova del consenso 166
3.1.7 L’identità tra intervento acconsentito ed intervento eseguito 168
3.1.8 La capacità legale 168
3.1.9 Il carattere personale del consenso 172
3.1.10 L’effettività del consenso informato 173
3.1.11 La revocabilità 176
3.1.12 L’attualità 177
3.1.13 La capacità naturale 183
4. IL CONSENSO INFORMATO IN PSICHIATRIA: INTRODUZIONE 186
4.1 La tutela della libertà di autodeterminazione del malato di mente 189
4.2 Il trattamento sanitario obbligatorio del minorenne 194
4.3 Assenso o consenso in psichiatria? 194
4.4 Informazione e comunicazione in psichiatria 202
4.5 La scriminante del consenso negli accertamenti diagnostici 205
4.6 Il privilegio terapeutico 205
4.7 Il “contratto di Xxxxxx” 207
4.8 Il ruolo della famiglia e dello psichiatra 208
4.9 Il consenso informato nell’amministrazione di sostegno 209
5. CONFERME A LIVELLO GIURISPRUDENZIALE E NORMATIVO IN MATERIA DI “CONSENSO INFORMATO”: IN PARTICOLARE, LA RECENTE ORDINANZA DELLA CORTE DI CASSAZIONE, N. 11112 del 2020 PER RESPONSABILITÀ CIVILE DEL MEDICO
…………………………………………………………………………………………......215
CAPITOLO III
LA RESPONSABILITÀ PENALE NELL’ATTIVITÀ MEDICO-PSICHIATRICA
1. ESISTE LA NORMALITÀ?: RICOSTRUZIONE DEL SIGNIFICATO DI “MALATTIA” ATTRAVERSO LA CATEGORIA CONCETTUALE DELLA “NORMALITÀ” 221
2. DEFINIZIONE SOCIOLOGICA E TECNICO-SCIENTIFICA DI “DISTURBO MENTALE” 227
3. LA RIVOLUZIONE DELLA LEGGE BASAGLIA NEL SUO CONTESTO STORICO… 237
4. BREVE EXCURSUS SUI CONTORNI “STORICI” DELLA FIGURA DELLO PSICHIATRA 241
5. LA POSIZIONE GIURIDICA DELLO PSICHIATRA ALLA LUCE DELLA RESPONSABILITÀ PENALE MEDICA: INTRODUZIONE 247
5.1 Le linee generali della responsabilità medica 248
5.2 L’accertamento della responsabilità: il nesso di causalità e l’elemento soggettivo 258
5.3 La posizione di garanzia dello psichiatra: condotta attiva o omissiva? 274
5.4 Il coefficiente psicologico della “colpa” dello psichiatra prima della riforma Gelli- Bianco 291
5.5 Il 590 sexies c.p. come “nuovo” fondamento giuridico della responsabilità medica 303
6. LA RESPONSABILITÀ DELLO PSICHIATRA: FONDAMENTO NORMATIVO CIVILISTICO E CASISITICA DEL TIPICO FENOMENO AUTOLESIVO
……..……………………………………..…………………………...……...……………317
7. CENNI SULLA RESPONSABILITÀ DA TRATTAMENTO SANITARIO OBBLIGATORIO ILLEGITTIMO. 333
OSSERVAZIONI CONCLUSIVE 336
BIBLIOGRAFIA 340
INDICE GIURISPRUDENZIALE 359
Mi piacerebbe accogliere il lettore, prima di lasciarlo alla trattazione della tematica presentata,
con un semplice, ma mai banale, scioglilingua:
“Il sano folle chiama il folle sano “folle” che chiama il sano folle “sano””.
INTRODUZIONE
Il “principio di non contraddizione”, introdotto nel quarto libro della Metafisica aristotelico, governa, insieme al principio di causalità, la struttura della ragione occidentale e, come conseguenza logica, il nostro agire è governato, inconsciamente, dal nostro “essere” oggettivizzato nel mondo e dal mondo (“Umwelt” in tedesco, che sta a significare il mondo circostante, l’ambiente), che per il sol essere venuto ad esistere nella realtà empirica è divenuto “ente” ( “In der Welt”, colui che “è”, sta nel mondo), dunque tutt’altro da quella che è la nostra vera essenza e dal “senso” della nostra esistenza1. Ciascuno di noi – la presenza umana di ogni essere umano (“Dasein”, in tedesco) – esiste nel proprio originario “essere-nel-mondo” (In-der-Welt-sein), senza alcuna distinzione, caricandoci, invece, di caratterizzazioni che ci differenziano2, tuttavia riduttivamente o in peius, per i diversi modi di essere con cui decidiamo di vivere “nel mondo”, anziché “fuori da esso”. Questi diversi “modi di essere” sono da interpretare come funzioni, non dis-funzioni, di una certa strutturazione dell’esistenza, di un progetto (“Ent-wurf”) – che ciascun uomo elabora per sé – che permette di collocarci nel “Welt” e di “aprirci ad esso”, iniziando una relazione con esso definita anche come “Verweltlichung”. È bene precisare ciò in quanto prodromico alla comprensione ed alla giusta considerazione del/dei protagonista/i della trattazione: il medico psichiatra ed il paziente, nel loro rapporto giuridico e metagiuridico3. Come emergerà in seguito, limitandocisi qui a fornire la chiave di lettura corretta, “il sano di mente” ed il “malato” non esistono se non come distinti “modi di essere” perché, come è stato detto, entrambi appartengono allo stesso “mondo” – senza ricorrere a precostituiti modelli, anche, come in questo caso, “nosografici”, o norme generali – ed il secondo, “l’alienato”, vi appartiene in un “modo diverso”, in quanto l’unico possibile, per lui, di realizzare la propria “essenza”, che, come si è lasciato emergere implicitamente, altro è dall’ “essere (-ci, nel mondo)”, (“Dasein”, in tedesco) o “esistere”, questi essendo la sua rappresentazione “menomata” o “esistenza negata”, immanente, e non trascendente, mai libera: colui che è considerato “fuori di testa”, in realtà, ha “consapevolmente” scelto di vivere “fuori” dal tempo (“zeitigt”), dallo spazio
1 X. Xxxxxxxxxx, “Il tramonto dell’Occidente nella lettura di Xxxxxxxxx e Xxxxxxx”, Milano, 2005, 10ss.
2 Attraverso i diversi modelli percettivi, comportamentali e comprensivi. Si veda X. Xxxxxxxxxx, “Psichiatria e fenomenologia”, Milano, 2019, 18 ss.
3 X. Xxxxxxxxxx, op. cit., 18 ss.
(“raumgibt”), dal mondano (“weltlicht”), da un’esistenza “condivisa” (“mit-da-sein”)4. Contrariamente ai nostri comuni dogmi, nessuno di noi è realmente libero di scegliere o agire, quantomeno discostandosi dal modo di comportarsi che gli è solito – nessuno di noi si contraddice mai veramente, quantunque lo volesse – al fine di rispondere non alle proprie esigenze, ma a quelle dettate dalla categoria gutturale, come la avrebbero definita i Greci, della “necessità” (“Anánkē”, che nel greco antico sta a significare la “necessità” immutabile dettata dalla Natura), che viene utilizzata per rappresentare un potere forte ed incontrastabile da parte dell’uomo: siamo mezzi nella mani della danzatrice, la Natura, utilizzati per soddisfare i suoi di bisogni, della sua economia, ovvero la riproduzione della specie5. Fu Xxxxxxxxx, il primo, che alla base delle sue indagini pose questa affermazione: “l’essere è e il non essere non è”, o, detto in altro modo, che “è impossibile che l’essere non sia e che il non essere sia.” Queste due proposizioni, esprimenti sia pure in modo diverso, lo stesso contenuto, vennero più tardi chiamate, rispettivamente, “il principio di identità” ed il “principio di non contraddizione”. Contro coloro che tentano di negarlo Parmenide inveisce, definendoli “sordi”, “ciechi”, i quali si mettono per una via del tutto inindagabile. In che cosa consista concretamente questa sordità e cecità egli non lo svela. E’ quanto invece farà Xxxxxxxxxx nell’opera di cui in precedenza si è fatta menzione6. Cosa significa esattamente essere “principio”? Se negassimo l’immobilità e la semplicità dell’essere, due importanti teoremi, verrebbe negato il principio di identità-non contraddizione. Infatti qualcosa diviene soltanto in quanto c’è un momento in cui esso non è – ossia o in un primo momento non è e poi è, o viceversa – sì che l’essere divenisse, si dovrebbe affermare che, in un momento del processo del divenire, l’essere non è; e questo è appunto quanto non può essere assolutamente sostenuto7. E, se l’essere fosse molteplice, i termini della molteplicità potrebbero sussistere solo in quanto, oltre al loro essere, fossero altro dall’essere; ma altro dall’essere è solo il non essere; si che dire che il molteplice “è” significa dire che il non essere è; e anche questo è un modo di negare quanto assolutamente non può essere negato8. Da quanto appena considerato sembra evidente che Xxxxxxxxx fu il primo ad offrirne una “dimostrazione” del significato filosofico, primario che questo termine possiede. Nella logica classica, per fornire
4 X. Xxxxxxxxxx, op. cit., 18 ss.
5 X. Xxxxxxxxxx, “L’illusione della libertà”, conferenza svoltasi presso l’auditorium comunale “Xxxx Xxxxx”, (LE), 2016; X.X. xxx Xxxxxx, “Meditazioni sulla natura”, Prato, 2018, pp.160; X. Xxxxxxxxxxx, “La volontà nella natura”, 1836.
6 X. Xxxxxxxx, “Il principio di non contraddizione”, Milano, 1995, 1ss.
7 X. Xxxxxxxx, op. cit., 1 ss.
8 X. Xxxxxxxx, op. cit., 1 ss.; Xxxxx, “Scienza della logica”, Bari, 2020, 10 ss.
un’applicazione ed illustrazione pratica di quanto dichiarato, si definisce “dimostrata” una proposizione A, in senso rigoroso o filosofico, quando e soltanto quando si è in grado di mostrare che la sua negazione implica necessariamente la negazione del principio di identità-non contraddizione, ossia implica la negazione di ciò che non può essere negato, sì che nemmeno la A può essere negata9. Con ciò diventa chiaro che quel principio che sta “alla base” è principio di altri asserti, nel senso che la sua affermazione implica necessariamente l’affermazione di quegli asserti: la implica perché la negazione di questi – per Parmenide “l’essere diviene”, “l’essere è molteplice” – implica necessariamente la negazione di quello. Sia Xxxxxxxxxx che Xxxxxxx, confermando la validità assoluta del principio di non contraddizione, ne accolgono necessariamente una formulazione diversa, che si fonda su un intendere diverso il concetto dell’essere: l’essere come ente (ὄν), come ciò che è (id quod est, ὁ ἐστί(ν)). Su di esso si concentra l’attenzione di Xxxxxxxxxx e la dottrina platonica dei due sensi del non-essere si completa nella dottrina aristotelica dell’ente in quanto ente e dell’analogia dell’ente10. Il quarto libro della Metafisica di Xxxxxxxxxx si apre con la seguente osservazione: l’essere può essere scientificamente indagato in quanto è come ente oppure in quanto è quella certa determinazione che differisce dalle altre. Solo la filosofia prima o metafisica considera dell’essere le proprietà conferitegli dal “qualcosa che è”, le quali “gli convengono essenzialmente” – o per se (tò kath'autò) – non potendo rilevare qualità accidentali (per accidens)11. “È impossibile che la stessa cosa convenga e insieme non convenga e per il medesimo rispetto”12. È infatti impossibile che uno stesso creda, ad un tempo, che la stessa cosa sia e non sia: se così fosse ogni uomo si ingannerebbe da sé, avendo opinioni contrarie. Perciò ogni dimostrazione viene ricondotta alla convinzione per cui il principio in questione è fonte di ogni altro assioma ed il più saldo di tutti. Esso è la prima e fondamentale proprietà dell’essere in quanto essere, ossia affermazione che non si basa su altra, è vera per se stessa, non può essere negata: nell’atto stesso in cui tale principio è negato, esso è implicitamente affermato, poiché lo si può negare solo a parole, confermandone la validità ed esistenza13. Il principio di non contraddizione trova diverse formulazioni, soprattutto nella branca della logica classica, di matrice aristotelica: la stessa cosa x non può convenire e insieme non convenire per il medesimo rispetto alla stessa cosa y, perché per rispetti diversi, la stessa cosa x può
9 X. Xxxxxxxx, op. cit., 1 ss.
10 X. Xxxxxxxx, op. cit., 1 ss
11 Xxxxxxxxxx, “Metafisica”, IV libro, par. I, Bari, 2018, 1 ss. Si veda X. Xxxxxxxx, op. cit., 1 ss. 12 Xxxxxxxxxx, “Metafisica”, IV libro, par. IV, Bari, 2018, 1 ss. Si veda X. Xxxxxxxx, op. cit., 1 ss. 13 X. Xxxxxxxx, op. cit., 1 ss.
convenire e insieme non convenire alla stessa cosa y. Altro modo di applicare questo principio si rinviene nei contrari, non soltanto rappresentati dalle nozioni (es: bello- brutto, vero-falso, ecc.), ma anche dalle proposizioni. Si consideri che il genere G sia il giudizio sul colore di x (dove x sta ad indicare una superficie qualsiasi)14. Dunque, la proposizione “x è colorato” sta a G così come “bianco” sta al genere colore. Infatti come il bianco è un certo colore, ossia è una specificazione del genere colore, così la proposizione “x è colorato” è un certo giudizio sul colore di x, ossia è una specificazione di G, la quale, in relazione alla proposizione “x non è colorato” (che è anche essa una specificazione di G), costituisce la differenza o opposizione massima di G. Le due proposizioni, “x è colorato” (sia p questa) e “x non è colorato” (sia q questa) sono pertanto due termini contrari tra loro. P e q valgono primariamente, o per se (ex se), come contrari15. Il significato delle espressioni “per se”, “per accidens” possono essere chiarite con due esempi: se un architetto costruisce una casa, l’architetto è per se, ossia come tale, in quanto tale, costruttore della casa; se poi l’architetto è vegetariano – se cioè all’architetto capita, accidit, di essere vegetariano –, si dirà che un vegetariano è per accidens, costruttore di quella casa. Per riassumere quanto appena illustrato si può dire che è impossibile che la stessa persona insieme creda che una cosa sia e che questa cosa non sia16. Una riflessione su tale principio, o come si suol dire nel linguaggio giuridico, un norma generale o generalissima, è necessaria non solo per chi è interessato al sapere filosofico, in quanto suo incipit, ma essenziale ancor più per comprendere uno dei fondamenti dell’ordinamento giuridico, in particolare nella sua branca penalistica, secondo una concezione sistemica. Le prospettive ed il modus operandi adottati dalle due scienze, quella giuridica e filosofica, che sono l’una coessenziale all’altra, sono le medesime. La ricerca dell’elemento assoluto, generale ed astratto, il primo regolatore e da nient’altro ulteriormente regolato, generatore di altre e nuove regole, ma non preceduto da altre a priori esistenti, è proprio di entrambe e con Xxxxxxxxxx, per la prima volta, lo sguardo è stato sollevato dal mondo fisico e materiale, verso la totalità di tutte le cose, innalzandosi da questo e oltre questo. È precisamente l’apertura dell’orizzonte della totalità che conduce alla domanda sul principio (ἀρχή): sorge la questione, più o meno esplicita e consapevole, di stabilire che cosa sia ciò per cui tutte le cose, che pur si differenziano tra di loro (non contraddizione inteso come molteplicità), si realizzano in una unità. Allora la domanda è altra: quale sia il principio unificatore del molteplice,
14 X. Xxxxxxxx, op. cit., 1 ss.
15 X. Xxxxxxxx, op. cit., 1 ss
16 X. Xxxxxxxx, op. cit., pag. 32; si veda anche Xxxxx, “Scienza della logica”, Bari, 2020.
quale sia il fondamento o principio dell’unità. I primi pensatori greci lo ricercarono ed identificarono nelle diverse manifestazioni della materia. Tuttavia esso non può per nulla essere determinato, determinabile, qualificabile, diveniente e mutabile nella particolarità, ma, come dice Parmenide, appartenente ad ogni essere, comune ad ogni cosa., ciò in cui ogni cosa è identica ad ogni altra: il suo essere. Dall’unità parmenidea si è poi addivenuti, in base a quanto prima dichiarato, a conferire cittadinanza al “non essere” platonico-aristotelico in quanto molteplice e diverso, questa o quella determinazione possono convenire o meno ad un oggetto che “è”. Per concludere con una illustrazione esemplificativa, dire che un fiore rosso non è rosso significa dire infatti che l’essere (il fiore rosso) è non essere (appunto in quanto il fiore non rosso è non essere rispetto a quell’essere che è il fiore rosso). Dopotutto persino Xxxx, nella “Critica del giudizio”, sottolinea che una qualunque divisione fatta a priori, o sarà analitica secondo il principio di non contraddizione (quodlibet ens est aut A aut non A), ed allora sempre in due parti, o sintetico-triadica.17 Perché il lettore meglio colga l’importanza nel diritto, e non soltanto, di tale principio, il quale per il sol fatto oggettivo di essere di matrice filosofica rende naturale e consequenziale la convinzione che esso permei l’intera realtà empirica da cui l’insieme di regole normative traggono la loro origine ed ivi finiscono per trovare il loro senso o la loro ratio, basta considerare che la sua valenza logica viene richiamata ed esaltata nel quadro di prescrizioni deontologiche inerenti la condotta umana, in modo tale che i due livelli – quello logico e deontologico
– risultano strettamente connessi. Per spiegare questo convincimento, si osservi la celeberrima terzina dantesca di Inf. c. XVII, vv. 118-12018, il cui discorso è intorno al pentimento e all’assoluzione, avente natura teologica e morale, e si rappresentino le proposizioni secondo la logica della premessa maggiore (c’è assoluzione se e solo se c’è pentimento)19, della premessa minore (non c’è pentimento dato che Xxxxx “vuole” ancora quell’azione)20 e della conclusione (dunque, non c’è assoluzione)21. Il diritto è interessato dal principio di non contraddizione nella misura in cui fra i suoi campi
17 “Das liegt aber in der Natur der Sache. Soll eine Eintheilung a priori geshehen, so wird sie entweder analytisch sein nach dem Satze des Widespruchs;und da ist sie jederzeit zweitheilig (quodlibet ens est aut A aut non A). Oder sie ist synthetisch. Die Eintheilung nothwendig Trichotomie sein”, I. Xxxx, “Critica del giudizio”, Bari, 2020, pag. 67.
18 “Ch’assolver non si può chi non si pente, /né pentere e volere insieme puossi/ per la contradizion che nol consente.” X. Xxxxxxxxx, “La Divina Commedia”, Inf. c. XVII, vv. 118-120. Si veda AA. VV., “La contradizion che nol consente”, Milano, 2010, pag. 92.
19 Oppure simbolicamente (P= “C’è assoluzione” e Q= “c’è pentimento”), P se e solo se Q. Si veda AA. VV., op. cit.
20 Non si dà il caso che Q. Si veda AA. VV., op. cit., 92 ss.
21 Non si dà il caso che P. Si veda AA. VV., op. cit., 92 ss
d’indagine rientrano le proposizioni di genere prescrittivo nonché il rapporto coerente fra esse. Esso è sì un principio logico, ma anche ontologico, nel senso che è fondamento di tutto, ed in particolare del modello di sapere dialettico, che si snoda attorno alla co- originarietà di identità e differenza e che si destruttura e snatura nelle discipline cosiddette umanistiche22. Insomma, lo studio del diritto non può prescindere dalla connessione oggetto-soggetto, essere-pensiero-discorso23: pretendendosi “oggettiva” la scienza giuridica si priverebbe di una parte essenziale dell’intero, il soggetto appunto, essendo l’oggetto soltanto una parte dell’intero e oltretutto nell’epistemologia contemporanea, “oggettivo” non è affatto sinonimo di “universale”, né in ambito formale (ove ogni tentativo di conseguire l’oggettività è viziato da “incompletezza”), né in ambito empirico (l’osservatore condiziona inevitabilmente l’esperimento)24.
22 “Il diritto in ogni suo aspetto, anche quello meramente normativo, è pur sempre hominum causa constitutum, cioè relativo, benché in modo peculiare, alla relazione fra soggetti.”, AA. VV., op. cit., 92 ss.
23 “Senza la sua opera di profilassi logica non sarebbe possibile organizzare rigorosamente i discorsi che hanno luogo nel e intorno al processo”, AA. VV., op. cit., pag. 81.
24 AA. VV., op. cit., pag 1 ss.
CAPITOLO I
IL PRINCIPIO PLATONICO-ARISTOTELICO DI “NON CONTRADDIZIONE” COME FONDAMENTO DELL’ORDINAMENTO GIURIDICO
1. LA STRUTTURA DEL REATO SECONDO LA CONDIVISA CONCEZIONE TRIPARTITA: TIPICITÀ, ANTIGIURIDICITÀ E COLPEVOLEZZA
L’elaborazione sul piano teorico della struttura del reato e la sua rappresentazione attraverso i singoli elementi costitutivi rappresentano un presupposto fondamentale dello studio delle norme di parte generale del diritto penale ed inoltre forniscono le coordinate necessarie per l’analisi di singole forme di manifestazione delle species facti di reato. D’altronde il giudice penale per addivenire alla sua res iudicata deve dar seguito all’operazione di sussunzione (nota ad ogni giurista) del fatto concreto, oggetto del giudizio, nella fattispecie penale astratta, imputata al reo25. Terminata la raccolta del materiale istruttorio e l’attività di accertamento, è necessario, ai fini della decisione, verificare se il fatto storico-materiale posto in essere corrisponda effettivamente alla fattispecie raffigurata dal legislatore, in ossequio ai principi di legalità, tassatività, precisione, chiarezza e determinatezza. Dunque quanto appena introdotto impone di destrutturare la norma incriminatrice nei singoli elementi costitutivi affinché sia verificata la loro sussistenza nella realtà empirica26. Questo procedimento, che può risultare in un primo momento astratto e speculativo, è fondamentale per accertare il reato e si snoda attraverso un iter logico che comporta, in primis, l’accertamento di una condotta che abbia rilevanza penale27; tuttavia, è possibile che la condotta del soggetto non dia la prova che l’imputato sia stato l’autore dell’illecito o persino che venga
25 X. Xxxxxxxxx, “Diritto penale”, Milano, 2019, pag. 120; X. Xxxxxxxx- X. Xxxxx, “Diritto penale. Parte generale”, Bologna, 2018, pag. 193; F. Antolisei, “Manuale di diritto penale. Parte generale”, Milano, 2018, pag. 196. X. Xxxxxxxxxx- X. Xxxxxxx, “Manuale ragionato di diritto penale”, Roma, 2019, pag. 450.
26 X. Xxxxxxxxx, “Diritto penale”, Milano, 2019, pag. 120; X. Xxxxxxxx- X. Xxxxx, “Diritto penale. Parte generale”, Bologna, 2018, pag. 193; F. Antolisei, “Manuale di diritto penale. Parte generale”, Milano, 2018, pag. 196. X. Xxxxxxxxxx- X. Xxxxxxx, “Manuale ragionato di diritto penale”, Roma, 2019, pag. 450.
27 Diversamente il giudice xxxxxxx ricorso alla formula: “Perché il fatto non sussiste”. Si veda X. Xxxxxxxxxx- X. Xxxxxxx, op. cit., 450 ss.
dimostrato che altro soggetto l’ha compiuta28. Quando invece risulti accertato il dato xxxxxxxxx, riconducibile all’imputato, e la sua corrispondenza al dato normativo, il giudice penale deve proseguire in ordine agli accertamenti relativi al carattere illecito della condotta: la cosiddetta “antigiuridicità”, verificando che non risulti autorizzata da una norma giuridica o dalla persona offesa, consentita dall’ordinamento o imposta dalla legge; qualora il giudice dovesse riscontrare la presenza di una di suddette ipotesi, che integrano le c.d. scriminanti o cause di giustificazione, non potrebbe pronunciare una sentenza di condanna e sarebbe tenuto ad assolvere l’imputato “perché il fatto non costituisce reato”29; nel mentre lo iudex deve verificare la rimproverabilità del reo, capace quindi di intendere e di volere, imputabile, il quale allora dovrà aver commesso il fatto previsto come reato con dolo – intenzionalmente – ovvero, nei casi previsti dalla legge, con colpa o preterintenzione; se dovesse mancare il requisito dell’imputabilità e cioè il reo non sarebbe in grado di comprendere il significato e di valutare le conseguenze del proprio agire ovvero di autodeterminarsi in modo consapevole nella commissione dell’illecito, il giudice lo assolverà con la seguente formula: “ Perché il fatto è stato commesso da persona non imputabile”30. Vi è poi il caso in cui si ricorra alla formula “perché il fatto non costituisce reato” per difetto dell’elemento soggettivo (medesima per il fatto scriminato o non colpevole), oppure “perché l’imputato non è punibile”, ex art. 131 bis c.p., ed infine “perché il fatto non è previsto dalla legge come reato” nell’ipotesi di abolitio criminis o di depenalizzazione31. Successivamente e alla luce di questo breve excursus sull’ operato procedurale del giudice, è necessario introdurre una delle teorie dottrinali elaborate e condivise sulla struttura del reato e nelle sue ripartizioni interne: la teoria tripartita, la quale riconosce le tre fondamentali componenti del reato nella tipicità, antigiuridicità e colpevolezza32. La tipicità, come meglio si illustrerà in seguito, attiene all’elemento oggettivo del reato ed in modo particolare agli elementi che costituiscono le condotta del reo. Tra questi vi è il nesso causale, il quale nei reati cc.dd. di evento consente di imputare oggettivamente l’evento
28 La sentenza assolutoria del giudice in questo caso è: “Perché l’imputato non l’ha commesso”. Si veda
X. Xxxxxxxxxx- X. Xxxxxxx, op. cit., 450 ss.
29 X. Xxxxxxxxx, “Diritto penale”, Milano, 2019, pag. 120; X. Xxxxxxxx- X. Xxxxx, “Diritto penale. Parte generale”, Bologna, 2018, pag. 193; F. Antolisei, “Manuale di diritto penale. Parte generale”, Milano, 2018, pag. 196. X. Xxxxxxxxxx- X. Xxxxxxx, “Manuale ragionato di diritto penale”, Roma, 2019, pag. 450.
30 X. Xxxxxxxxxx- X. Xxxxxxx, op. cit., 450 ss.
31 X. Xxxxxxxxx, op. cit., pag. 120; X. Xxxxxxxx- X. Xxxxx, op. cit., pag. 193; F. Antolisei, op. cit., pag.
196. X. Xxxxxxxxxx- X. Xxxxxxx, op. cit., pag. 450.
32 X. Xxxxxxxxx, “Fatto e scriminanti. Note dogmatiche e politico-criminali”, in Riv.it.dir.proc.pen, 1983, 1190 ss.; X. Xxxxxxxx, “Il fatto negli elementi del reato”, Milano, 1984, 529 ss.; X. Xxxxxx, “Commentario”, cit., 267 ss.
lesivo alla condotta del reo. L’antigiuridicità attiene invece alla qualificazione giuridica del fatto tipico posto in essere dal reo e permette di stabilirne la rilevanza penale33. Il carattere illecito del fatto, infatti, dipende dalla contrarietà all’ordinamento complessivamente inteso (concezione sistemica), dato che si esclude che la legge possa imporre o consentire il comportamento incriminato (per il principio di non contraddizione). Infine la colpevolezza è costituita dagli elementi soggettivi del reato, in modo che si possa muovere un rimprovero al reo per il suo comportamento penalmente rilevante34. È una categoria complessa dato che vi afferiscono elementi soggettivi della responsabilità penale, primo fra tutti l’imputabilità del reo, la sua capacità di intendere e di volere. Dei cenni introduttivi ed esplicativi della “Teoria del reato” sono prodromici alla comprensione del diritto penale e della seguente trattazione: essa, la teoria, presenta diverse varianti a seconda dei diversi tipi di sistemi penali e da questi dipende la scelta tra le possibili soluzioni interpretative35. La storia del diritto penale si caratterizza, per alcuni aspetti, per la contrapposizione dialettica tra un diritto penale oggettivo ed un diritto penale soggettivo, con le sue combinazioni intermedie di un diritto penale misto, oggettivo-soggettivo36. Un diritto penale oggettivo puro funziona essenzialmente come un sistema di norme-valutazione, poste a tutela di determinati beni. Si incentra sull’obiettiva lesione di tali beni con le seguenti implicazioni: 1) porre al centro “condotta”, l’ “evento”, legati tra loro dal nesso di causalità, esistente ogni qual volta l’agente abbia posto in essere una condicio sine qua non del fatto stesso cagionato; 2) attribuire il reato al soggetto sulla mera base del nesso di causalità tra condotta ed evento, senza distinzione tra soggetti imputabili e non, tra dolo, colpa e responsabilità oggettiva; 3) determinare la gravità del reato e della sanzione esclusivamente in base alla effettiva lesione del bene protetto, a prescindere dalla valutazione del grado della colpevolezza o della personalità del soggetto; 4) non conoscere gli istituti del tentativo, del reato continuato e della compartecipazione psichica nel reato, dandosi rilievo al solo concorso materiale nell’esecuzione; 5) riconoscere l’analogia, essendo la tassatività coessenziale alla norma come comando e non come mera valutazione della lesione di
33 X. Xxxxxxxxx, op. cit., pag. 120; X. Xxxxxxxx- X. Xxxxx, op. cit., pag. 193; F. Antolisei, op. cit., pag.
196. X. Xxxxxxxxxx- X. Xxxxxxx, op. cit., pag. 450.
34 X. Xxxxxxxxxx- X. Xxxxxxx, “Manuale ragionato di diritto penale”, Roma, 2019, pag. 409 ss.; vedi anche X. Xxxxxxxx- X. Xxxxx, “Diritto penale. Parte generale.”, Torino, 2014, pag 000 xx.
00 X. Xxxxxxxxxx- X. Xxxxxxx, op. cit., 450 ss.
36 Vedi X. Xxxxxxxxx, op. cit., pag. 97; X. Xxxxxxxx- X. Xxxxx, op. cit., pag. 193; F. Antolisei, op. cit., pag. 196; X. Xxxxxxxxxx- X. Xxxxxxx, op. cit., pag. 450.
certi beni giuridici; 6) classificare i reati secondo l’importanza del bene leso37. Tutto questo comporta la centralità dell’offensività del reato. Tutt’altro attiene al diritto penale soggettivo puro, che a sua volta richiede delle differenziazioni. Il diritto penale soggettivo repressivo(o della volontà) funziona essenzialmente come un sistema di norme-comando, cioè si incentra sulla volontà, con i seguenti corollari: 1) si pone al centro la colpevolezza e non la lesione, che è sintomo della volontà criminosa, rilevando il bene giuridico come obiettivo di tutela; 2) si distingue tra soggetti capaci ed incapaci di ubbidire al comando, tra coloro che non vogliono ubbidire e coloro che disubbidiscono per negligenza, derivando le categorie giuridiche degli imputabili e non, del dolo, colpa, errore, aberratio; 3) si riconoscono gli istituti del tentativo, della compartecipazione morale, del reato continuato e delle circostanze soggettive; 4) si concede ampio spazio al carattere “punitivo” della sanzione; 5) si fa divieto al ricorso all’analogia e si creano i limiti connaturali, logicamente, alla norma intesa come comando (stato di necessità, scriminanti putative, ecc.)38. Il risultato di ciò è dato dal rilievo concesso alla colpevolezza. Segue un diritto penale soggettivo preventivo (o della pericolosità), che funziona essenzialmente come un sistema di norme-garanzia contro i soggetti pericolosi e, dunque, si incentra sulla pericolosità del soggetto, con le seguenti conseguenze: 1) la sanzione viene irrogata in funzione del pericolo che il soggetto rappresenta per l’ordine sociale; 2) si attribuisce alle sanzioni (misure di sicurezza) soltanto lo scopo di rendere innocuo il soggetto o di riadattarlo, se possibile, alla vita sociale; 3) si adeguano, conseguentemente, tali misure alla personalità del delinquente, cosicché la legislazione sia orientata verso “una tipologia di delinquenti”;
4) l’attribuzione ai fatti lesivi, alle circostanze, al tentativo, alla compartecipazione, il semplice valore di “sintomi” rilevatori di tendenze interne al soggetto; 5) l’ammissione dell’analogia e la considerazione delle sole scriminanti che si fondano sull’assenza della pericolosità39. Viene naturale concludere che il prodotto di ciò è la prevalenza della capacità a delinquere. Tuttavia questi due sistemi appena sviluppati nei loro tratti caratteristici sono ideali, mentre nella realtà storica si riscontrano sistemi penali misti, in cui le istanze soggettivistiche ed oggettivistiche si combinano e contemperano, funzionando la norma come tutela dei beni, come comando della volontà, come garanzia
37 X. Xxxxxxxxx, op. cit., pag. 120; X. Xxxxxxxx- X. Xxxxx, op. cit., pag. 193; F. Antolisei, op. cit., pag.
196. X. Xxxxxxxxxx- X. Xxxxxxx, op. cit., pag. 450.
38 X. Xxxxxxxxx, op. cit., pag. 120; X. Xxxxxxxx- X. Xxxxx, op. cit., pag. 193; F. Antolisei, op. cit., pag.
196. X. Xxxxxxxxxx- X. Xxxxxxx, op. cit., pag. 450.
39 X. Xxxxxxxxx, op. cit., pag. 120; X. Xxxxxxxx- X. Xxxxx, op. cit., pag. 193; F. Antolisei, op. cit., pag.
196. X. Xxxxxxxxxx- X. Xxxxxxx, op. cit., pag. 450.
contro i soggetti pericolosi40. Per il reato, e per ogni accadimento, due sono i modi fondamentali di comprensione: o si considera il reato razionalmente-analiticamente (il reato “va capito”) o emotivamente-unitariamente (il reato va “sentito”). Dunque, nella storia del diritto penale si sono sviluppate: 1) la c.d. concezione analitica del reato, per la quale il reato va scomposto e studiato nei suoi elementi costitutivi. Questo tipo di studio rappresenta un’esigenza connaturale alla nozione formale del reato e al sottostante principio garantista del nullum crimen sine lege e della certezza giuridica. Solo individuando ed interpretando i singoli elementi costitutivi della fattispecie legale è possibile stabilire con sicurezza ciò che è effettivamente vietato dalla legge e se il fatto commesso concretamente sia conforme ad essa e quindi punibile41. 2) La concezione unitaria del reato, per la quale il reato è un insieme inscindibile che può presentare “aspetti”, ma che non si lascia dividere in singoli “elementi”42. Essa fu un “punto di passaggio” del processo di soggettivizzazione del diritto penale tedesco, che ebbe come “punto di partenza” la critica alla concezione classica del reato, per poi arrivare al progressivo rifiuto della analisi razionale dell’illecito penale e l’accoglimento di una concezione unitaria del reato, ed infine la concezione di tipo normativo d’autore43. Si parte infatti dalla concezione classica, fondata sulla tripartizione del reato in Tatbestandsmäßigkeit (conformità al fatto tipico), Rechtswidrigkeit (antigiuridicità) e Schuld (colpevolezza) ed espressione garantista dello Stato liberale di diritto44. Poiché
40 X. Xxxxxxxxx, op. cit., pag. 120; X. Xxxxxxxx- X. Xxxxx, op. cit., pag. 193; F. Antolisei, op. cit., pag.
196. X. Xxxxxxxxxx- X. Xxxxxxx, op. cit., pag. 450.
41 “Ad opera del pensiero giuridico liberale nel diciannovesimo secolo ebbe inizio l’analisi del reato nella sua funzione garantista, ma la dottrina, in nome di un concettualismo raffinato e di un esasperato formalismo, ha finito per pervertire il metodo analitico, frantumando il reato in una serie di elementi, posti sullo stesso piano e visti come entità tra loro indipendenti; per perdere di vista la concezione unitaria e dar luogo ad una concezione analitica, atomistica, frammentaria, che degrada il reato ad una somma di elementi disparati eterogenei. La Babele degli istituti e delle lingue”. Si veda anche X. Xxxxxxxxx, op. cit., pag. 99; X. Xxxxxxxx- X. Xxxxx, op. cit., pag. 193; F. Antolisei, op. cit., pag. 196. X. Xxxxxxxxxx- X. Xxxxxxx, op. cit., pag. 450.
42 “Essa sorse come reazione agli eccessi del formalismo analitico e sotto la spinta di una concezione sostanzialistica del reato. E, prendendo poi le mosse dall’irrazionalismo filosofico e dalla conseguente sfiducia verso la conoscenza per concetti, detta concezione trovò la sua estrema espressione in quell’intuizionismo, che caratterizzò il pensiero giuridico nazionalsocialista e per il quale l’analisi per concetti sezionerebbe l’essenza del reato in frammenti privi di vita ed impedirebbe di cogliere il fenomeno criminoso nella sua concreta individualità. Sicché solo attraverso il procedimento intuitivo sarebbe possibile attingere l’essenza del reato, sentireil reato in ogni suo elemento ed in ogni elemento tutto il reato.”. X. Xxxxxxxxx, “Diritto penale”, Milano, 2019, pag. 99; si veda anche X. Xxxxxxx, “Sul metodo della considerazione unitaria del reato”, in Xxx.xx, 1938, 513. Si veda X. Xxxxxxxxx, op. cit., pag
100 ss.; X. Xxxxxxxx- X. Xxxxx, op. cit. pag. 157 ss.; F. Antolisei, op. cit., 196 ss.; X. Xxxxx, “Antigiuridicità e cause di giustificazione”, Napoli, 1996, 87; X. Xxxxxxxxxx- X. Xxxxxxx, op. cit., pag. 450. 43 X. Xxxxxxxxx, op. cit., pag. 120; X. Xxxxxxxx- X. Xxxxx, op. cit., pag. 193; F. Antolisei, op. cit., pag.
196. X. Xxxxxxxxxx- X. Xxxxxxx, op. cit., pag. 450.
44 X. Xxxxxxxxx, “Diritto penale”, 2019, Milano, 100 ss.; X. Xxxxxxxxxx, “Teoria generale del reato”, Palermo 1933, pag. 72; F. Antolisei, “Lo studio analitico del reato”, in “Scritti di diritto penale”, Milano, 1955; X. Xxxxx, “Antigiuridicità e cause di giustificazione”, Napoli, 1996, 87. Si veda anche F.
ogni considerazione unitaria del reato sospinge nel campo delle intuizioni e delle apprensioni irrazionali, il metodo analitico resta lo strumento irrinunciabile nello studio del reato45. Antolisei, sul punto in questione, sottolinea che il reato non può essere studiato solo sinteticamente , e cioè nella sua unità e nelle note comuni, ma occorre individuare ed esaminare gli elementi che lo compongono. Infatti la dottrina adottò un approccio metodologico analitico , la cui esasperazione ha portato ad astrazioni tali da spezzare la fattispecie criminosa in diverse entità indipendenti, come quid dotati di vita autonoma46. Una concezione meccanica ed atomistica che non coglie l’organicità e l’unitarietà essenziale di un oggetto (il reato) non frazionabile: una unità inscindibile ed organicamente omogenea. Tutto ciò è dimostrato da un evidenza: le note essenziali del reato sono collegate tra loro in modo indissolubile, che nessuna di esse può essere compresa, se non considerata in rapporto alle altre47. Nello studio analitico del reato bisogna distinguere gli elementi essenziali dagli elementi accidentali. Sono essenziali quegli elementi che costituiscono l’essenza del reato, senza i quali esso non può esistere48. Detti anche “elementi costitutivi”. Gli “accidentalia delicti”, sono quegli elementi la cui presenza o assenza non influisce sulla esistenza del reato, ma sulla gravità e più in generale sull’entità della pena: sono le cc.dd. “circostanze del reato”. Questi ultimi a loro volta si distinguono in generali e speciali, a seconda che caratterizzino tutti gli illeciti o specifiche figure di reato49. Alla luce di quanto
Xxxxxxxxx, op. cit., pag 100 ss.; X. Xxxxxxxx- X. Xxxxx, op. cit. pag. 157 ss.; F. Antolisei, op. cit., 196 ss.; X. Xxxxx, “Antigiuridicità e cause di giustificazione”, Napoli, 1996, 87; X. Xxxxxxxxxx- X. Xxxxxxx, op. cit., pag. 450.
45 Ciò sia per ragioni scientifico-sistematiche, in quanto è una legge del pensiero umano che la sintesi segua l’analisi e perché sull’intuizione, per il suo soggettivismo, incomunicabilità e incontrollabilità, non può fondarsi una vera scienza; sia per ragioni didattiche, perché l’unitarietà del reato, fondata sull’intuizione, in quanto incomunicabile non è suscettibile di insegnamento e di apprendimento; sia per motivi pratico-garantisti, essendo l’analisi la premessa necessaria per poi stabilire se il fatto concreto presenti o meno tutti gli elementi costitutivi della fattispecie legale, costituendo reato. Si veda X. Xxxxxxxxx, “Diritto penale”, 2019, Milano, 100 ss. Si veda anche X. Xxxxxxxxx, op. cit., pag. 100 ss.; X. Xxxxxxxx- X. Xxxxx, op. cit. pag. 157 ss.; F. Antolisei, op. cit., 196 ss.; X. Xxxxx, “Antigiuridicità e cause di giustificazione”, Napoli, 1996, 87; X. Xxxxxxxxxx- X. Xxxxxxx, op. cit., pag. 450.
46 X. Xxxxxxxxx, op. cit., pag. 100 ss.; X. Xxxxxxxx- X. Xxxxx, op. cit. pag. 157 ss.; F. Antolisei, op. cit., 196 ss.; X. Xxxxx, “Antigiuridicità e cause di giustificazione”, Napoli, 1996, 87; X. Xxxxxxxxxx- X. Xxxxxxx, op. cit., pag. 450.
47 X. Xxxxxxxxx, op. cit., pag. 120; X. Xxxxxxxx- X. Xxxxx, op. cit., pag. 193; F. Antolisei, op. cit., pag.
196. X. Xxxxxxxxxx- X. Xxxxxxx, op. cit., pag. 450.
48 X. Xxxxxxxxx, op. cit., pag. 100 ss.; X. Xxxxxxxx- X. Xxxxx, op. cit. pag. 157 ss.; F. Antolisei, op. cit., 196 ss.; X. Xxxxx, “Antigiuridicità e cause di giustificazione”, Napoli, 1996, 87; X. Xxxxxxxxxx- X. Xxxxxxx, op. cit., pag. 450.
49 “Chi, pertanto, nello studio analitico del reato non voglia smarrire la diritta via, non deve mai perdere di vista l’intima, profonda connessione che esiste tra i vari elementi che lo compongono; in altri termini, non deve mai dimenticare che il reato costituisce una entità essenzialmente unitaria ed organicamente omogenea. L’analisi quindi non deve essere fine a se stessa, ma va considerata soltanto come uno strumento per meglio perseguire l’indagine di questa unitaria entità”, F. Antolisei, “Manuale di diritto penale, parte generale”, Milano, 2003, pag. 210; sul punto rileva Petrocelli, “Riesame degli elementi del
introdotto, la concezione analitica del reato ha dato luogo a due teorie fondamentali: la “tripartita”, per cui il reato è un “fatto umano, antigiuridico e colpevole” e la “bipartita”, per cui il reato è un “fatto umano commesso con volontà colpevole”. Per la prima50, sorta in Germania e seguita anche in Italia e che ha favorito gli eccessi analitici menzionati, il reato si compone di tre elementi che rappresentano i tre grandi capitoli della teoria generale del reato: 1) il fatto tipico (Tatbestand), inteso come fatto materiale restrittivamente, comprensivo dei soli requisiti oggettivi (condotta, evento, causalità) e non come fatto lato sensu, comprensivo degli elementi soggettivi ed oggettivi; 2) l’antigiuridicità obiettiva (Rechtswidrigkeit), con la quale si intende designare non l’antigiuridicità penale globale (che investe l’intero fatto in tutti i suoi elementi oggettivi e soggettivi e quindi non può essere elemento del reato), ma soltanto la contrarietà del fatto materiale all’ordinamento giuridico e, quindi, l’esistenza di un momento di “torto obiettivo” nella fattispecie, indipendentemente dall’elemento psicologico; 3) la colpevolezza (Schuld), cioè la volontà riprovevole nel suo diverso atteggiarsi51. Sul piano sistematico, la concezione tripartita espresse soprattutto l’esigenza di introdurre, accanto al fatto materiale ed alla colpevolezza, un terzo elemento, l’antigiuridicità obiettiva, per poter così dare una adeguata sistemazione dogmatica al requisito negativo dell’assenza di cause di giustificazione. Infatti, è nello studio delle cause giustificatrici che ha preso vita e corpo il requisito dell’antigiuridicità52. Tuttavia a tale teoria fu contestato l’autonomia dell’antigiuridicità obiettiva, risolvendosi essa nel dato meramente negativo dall’assenza delle scriminanti; nonché di spezzare l’unitaria valutazione espressa dalla norma penale, nei due giudizi parziali e tronconi dell’antigiuridicità e riprovevolezza soggettiva53. Ed essa entrò in
reato”, cit., p.9: “La considerazione analitica, come ogni operazione della mente, tende ad una sua finalità; e questa è appunto la considerazione, meglio ancora, la visione unitaria del reato, cioè la visione della sintesi e dell’unità attraverso l’analisi”. Si veda anche X. Xxxxxxxxx, op. cit., pag. 100 ss.;
X. Xxxxxxxx- X. Xxxxx, op. cit. pag. 157 ss.; F. Antolisei, op. cit., 196 ss.; X. Xxxxx, “Antigiuridicità e cause di giustificazione”, Napoli, 1996, 87; X. Xxxxxxxxxx- X. Xxxxxxx, op. cit., pag. 450.
50 Per la tripartizione: Delitala, Maggiore, Xxxxxxxxxx, X.Xxxxxxx, Xxxxxxx, Xxxxxxxx, Romano, Fiandaca- Musco, Padovani, Riz, Fiore, Palazzo, Romacci, Cadoppi-Veneziani, X.X Xx Xxxxxxxxx. X. Xxxxxxxxx, op. cit., pag. 100 ss.; X. Xxxxxxxx- X. Xxxxx, op. cit. pag. 157 ss.; F. Antolisei, op. cit., 196 ss.; X. Xxxxx, “Antigiuridicità e cause di giustificazione”, Napoli, 1996, 87; X. Xxxxxxxxxx- X. Xxxxxxx, op. cit., pag. 450. 51 X. Xxxxxxxxx, op. cit., pag. 100 ss.; X. Xxxxxxxx- X. Xxxxx, op. cit. pag. 157 ss.; F. Antolisei, op. cit., 196 ss.; X. Xxxxx, “Antigiuridicità e cause di giustificazione”, Napoli, 1996, 87; X. Xxxxxxxxxx- X. Xxxxxxx, op. cit., pag. 450.
52 X. Xxxxxxxxx, op. cit., pag. 100 ss.; X. Xxxxxxxx- X. Xxxxx, op. cit. pag. 157 ss.; F. Antolisei, op. cit., 196 ss.; X. Xxxxx, “Antigiuridicità e cause di giustificazione”, Napoli, 1996, 87; X. Xxxxxxxxxx- X. Xxxxxxx, op. cit., pag. 450.
53 X. Xxxxxxxxx, op. cit., pag. 100 ss.; X. Xxxxxxxx- X. Xxxxx, op. cit. pag. 157 ss.; F. Antolisei, op. cit., 196 ss.; X. Xxxxx, “Antigiuridicità e cause di giustificazione”, Napoli, 1996, 87; X. Xxxxxxxxxx- X. Xxxxxxx, op. cit., pag. 450.
crisi con la scoperta degli elementi normativi del fatto (che contraddicevano la pretesa natura avalutativa del fatto tipico), degli elementi subiettivi dell’illecito (che, attenendo alla stessa realizzazione di certi fatti di reato, ne ponevano in dubbio la pretesa natura oggettiva), nonché degli elementi obiettivi della colpevolezza (che, previsti come elementi costitutivi della fattispecie, ma sintomatici di una certa colpevolezza, sembrano presentare questa come non riducibile alle sole circostanze psichiche)54. Secondo l’Antolisei, mentre la dottrina ravvisava nel reato due soli elementi generali, quello oggettivo e soggettivo (la forza fisica e la forza morale, secondo la terminologia del Carrara), successivamente da molti si ritenne in Italia che gli elementi essenziali del reato fossero tre: fatto, l’antigiuridicità, colpevolezza55. Per tale sistematica, tedesca, essendo il reato un fatto umano antigiuridico e colpevole, lo studio deve ripartirsi in tre indagini distinte. Tra il fatto e la colpevolezza, che in sostanza rappresentano l’elemento materiale e psicologico del reato, viene posta quale requisito distinto ed autonomo, l’antigiuridicità, la quale si desume da due note: l’una positiva (la conformità del fatto concreto al modello astratto di reato configurato dal legislatore) e l’altra negativa (la mancanza di cause di giustificazione)56. Anche se questa tripartizione, rappresentativa di un notevole sforzo per la sistemazione razionale degli elementi del reato, non può essere seguita per la degradazione dell’antigiuridicità, quest’ultima non è altro che un giudizio, in particolare di relazione. Quando si parla di antigiuridicità si emette un giudizio sul fatto: si riconosce, cioè, mediante una valutazione, che il fatto è in opposizione con un precetto del diritto57. Ma se così è, allora non è possibile affiancare l’antigiuridicità al fatto dell’uomo ed alla colpevolezza , in quanto cose che per la loro eterogeneità non sono suscettibili di essere coordinate58. Tanto il fatto quanto la colpevolezza, invero, sono fenomeni esistenti nel mondo naturale, mentre non è tale un giudizio di relazione.
54 X. Xxxxxxxxx, op. cit., pag. 100 ss.; X. Xxxxxxxx- X. Xxxxx, op. cit. pag. 157 ss.; F. Antolisei, op. cit., 196 ss.; X. Xxxxx, “Antigiuridicità e cause di giustificazione”, Napoli, 1996, 87; X. Xxxxxxxxxx- X. Xxxxxxx, op. cit., pag. 450.
55 Tra i seguaci si veda anche: X. Xxxxxxxx, “Il fatto”, Padova, 1930, pag. 13 ss.; X. Xxxxxxxxxx, “Principi”, Napoli, 1964, pag. 237; X. Xxxxxxx- X. Xxxxxxxxx Mantovani, “Dir. Pen.”, Padova, 1986, pag. 248 ss.; X. Xxxxxxxx, “Dir. Pen.”, Milano, 2019, pag. 124; X. Xxx, “Lineamenti”, Padova, 2012, p. 189; Xxxxxxx, Xxxxxxx, Bellavista. Il Grispigni è seguace della sistematica germanica; X. Xxxxxxxx, “Il fatto negli elementi del reato”,in Xxx.xx., 1984, pag. 529 ss. Vedi X. Xxxxxxxxx, op. cit., pag. 100 ss.; X. Xxxxxxxx- X. Xxxxx, op. cit. pag. 157 ss.; F. Antolisei, op. cit., 196 ss.; X. Xxxxx, “Antigiuridicità e cause di giustificazione”, Napoli, 1996, 87; X. Xxxxxxxxxx- X. Xxxxxxx, op. cit., pag. 450.
56 X. Xxxxxxxxx, op. cit., pag. 100 ss.; X. Xxxxxxxx- X. Xxxxx, op. cit. pag. 157 ss.; F. Antolisei, op. cit., 196 ss.; X. Xxxxx, “Antigiuridicità e cause di giustificazione”, Napoli, 1996, 87; X. Xxxxxxxxxx- X. Xxxxxxx, op. cit., pag. 450.
57 X. Xxxxxxxxx, op. cit., pag. 120; X. Xxxxxxxx- X. Xxxxx, op. cit., pag. 193; F. Antolisei, op. cit., pag.
196. X. Xxxxxxxxxx- X. Xxxxxxx, op. cit., pag. 450.
58 X. Xxxxxxxxx, op. cit., pag. 120; X. Xxxxxxxx- X. Xxxxx, op. cit., pag. 193; F. Antolisei, op. cit., pag.
196. X. Xxxxxxxxxx- X. Xxxxxxx, op. cit., pag. 450.
La conferma dell’esattezza di questo rilievo si ottiene scomponendo il fatto delittuoso nei suoi elementi strutturali59. In questa operazione noi troviamo un fatto umano ed un atteggiamento psichico del soggetto; non troviamo l’antigiuridicità perché essa non è un quid che si distingua dagli altri e due e possa isolarsi, quale entità a sé stante, dagli stessi, ma la loro risultante. La teoria in esame da un lato ha visto un sostanziale ritorno di alcuni suoi seguaci al bipartismo quando ha ridotto il concetto di antigiuridicità oggettiva all’assenza di cause di giustificazione; dall’altro è caduta in un eccessivo frammentarismo quando ha proposto la separata analisi di quattro categorie di reati: commissivi dolosi, commissivi colposi, omissivi dolosi ed omissivi colposi60. Quanto si è detto per la sistematica si riscontra anche in Xxxxxxxxx e Xxxxxxx che hanno ravvisato nel reato quattro elementi: il fatto, l’antigiuridicità, la colpevolezza, e la punibilità e61, in passato, dal Battaglini62, il quale sostenne che nel diritto positivo italiano la punibilità deve considerarsi elemento costitutivo del reato, giungendo così alla tripartizione. Le due teorie presentate prestano il fianco all’obiezione che la punibilità può essere concepita in due modi soltanto: come caratteristica generale del reato, oppure come applicabilità della pena, e cioè come possibilità giuridica di irrogare questa sanzione. In entrambi i casi non è logicamente consentito ravvisare nella punibilità un elemento che concorre all’esistenza del reato63. Al contrario la teoria bipartita del reato scinde l’illecito penale in due parti, distinguendo l’elemento oggettivo del reato dall’elemento soggettivo. Il primo comprende, come abbiamo già avuto modo di illustrare, la condotta del reo ed i presupposti del reato mentre il secondo attiene all’imputazione soggettiva
59 X. Xxxxxxxxx, op. cit., pag. 100 ss.; X. Xxxxxxxx- X. Xxxxx, op. cit. pag. 157 ss.; F. Antolisei, op. cit., 196 ss.; X. Xxxxx, “Antigiuridicità e cause di giustificazione”, Napoli, 1996, 87; X. Xxxxxxxxxx- X. Xxxxxxx, op. cit., pag. 450.
60 Questa suddivisione è stata adottata in Italia da Fiandaca e Musco. Si veda X. Xxxxxxxxx, op. cit., pag.
100 ss.; X. Xxxxxxxx- X. Xxxxx, op. cit. pag. 157 ss.; F. Antolisei, op. cit., 196 ss.; X. Xxxxx, “Antigiuridicità e cause di giustificazione”, Napoli, 1996, 87; X. Xxxxxxxxxx- X. Xxxxxxx, op. cit., pag. 450. 61 X. Xxxxxxxxx e X. Xxxxxxx, “Xxxxx”, Xxxxxx, 0000, pag. 467 ss. Si veda X. Xxxxxxxxx, op. cit., pag. 100 ss.; X. Xxxxxxxx- X. Xxxxx, op. cit. pag. 157 ss.; F. Antolisei, op. cit., 196 ss.; X. Xxxxx, “Antigiuridicità e cause di giustificazione”, Napoli, 1996, 87; X. Xxxxxxxxxx- X. Xxxxxxx, op. cit., pag. 450.
62 X. Xxxxxxxxxx, “Gli elementi del reato nel nuovo cod. pen.”, in Annali, 1934, 1089. Si veda X. Xxxxxxxxx, op. cit., pag. 100 ss.; X. Xxxxxxxx- X. Xxxxx, op. cit. pag. 157 ss.; F. Antolisei, op. cit., 196 ss.; X. Xxxxx, “Antigiuridicità e cause di giustificazione”, Napoli, 1996, 87; X. Xxxxxxxxxx- X. Xxxxxxx, op. cit., pag. 450.
63 Il Xxxxxxxxxx ha sostenuto che il reato, al pari di ogni atto giuridico, risulta di due note soggettive: la capacità e la legittimazione e di tre requisiti oggettivi: la causa illecita, la volontà colpevole e la forma vietata. La causa sarebbe l’interesse attivo che spinge l’agente al reato: interesse da valutarsi in maniera oggettiva, è perciò da non confondersi con lo scopo. Si veda X. Xxxxxxxxx, op. cit., pag. 100 ss.; X. Xxxxxxxx- X. Xxxxx, op. cit. pag. 157 ss.; F. Antolisei, op. cit., 196 ss.; X. Xxxxx, “Antigiuridicità e cause di giustificazione”, Napoli, 1996, 87; X. Xxxxxxxxxx- X. Xxxxxxx, op. cit., pag. 450.
del fatto al reo e alla sua imputabilità64. Più nel dettaglio, l’elemento oggettivo è costituito, secondo i sostenitori di questa concezione65, dalla condotta posta in essere dal reo, dall’evento cagionato – se previsto dalla norma incriminatrice – dal nesso eziologico che lega l’evento all’azione od omissione del reo, nonché dall’antigiuridicità del fatto commesso, in termini, ormai ben noti, di assenza di cause di giustificazione. L’elemento soggettivo, nella teoria che stiamo discutendo, comprende ogni profilo attinente alla sfera psicologica del reo, nei termini di capacità di intendere e di volere e di elemento soggettivo in senso stretto (dolo, colpa, preterintenzione o forme di responsabilità miste)66. Anche qui l’Antolisei afferma che in ogni reato si può rinvenire un fatto materiale, e per essere più precisi un comportamento esteriore dell’uomo, perché il diritto è norma dell’operare, è regola di condotta, destinata a disciplinare i rapporti della vita sociale. Per conseguire i suoi fini lo Stato proibisce determinate azioni e ne prescrive altre. Un fatto esterno dell’uomo quindi, è sempre indispensabile perché si abbia reato67. Ma nel reato vi è sempre un elemento di natura psichica: un atteggiamento della volontà che ha dato origine al fato materiale. Il diritto è un complesso di imperativi che si dirigono agli uomini come esseri forniti di coscienza e volontà. La norma penale, di conseguenza, non viene violata se il fatto esterno non è espressione del volere del soggetto. Senza la partecipazione della volontà il reato non può esistere68. La dicotomia prospettata ha un solido fondamento logico. Dato che l’uomo si compone di spirito e materia, in quel fatto umano che è il reato sono individuabili un elemento materiale o fisico ed un elemento morale o psichico. Questa distinzione si presentò alla mente dei criminalisti non appena si accinsero allo studio analitico del reato, e non poteva essere diversamente, dato il dualismo nella natura delle cose. La seguente bipartizione oltre ad avere una base logica risponde meglio alle esigenze della scienza del diritto, costruendo il fulcro del contenuto del reato attorno ai
64 X. Xxxxxxxxx, op. cit., pag. 120; X. Xxxxxxxx- X. Xxxxx, op. cit., pag. 193; F. Antolisei, op. cit., pag.
196. X. Xxxxxxxxxx- X. Xxxxxxx, op. cit., pag. 450.
65 Per la bipartizione: Carrara, Xxxxxxx, Xxxxxxx, Xxxxx, Xxxxx, Xxxxxxx, Xxxxxxx, Xxxxxxxxx, Xxxxxxx, Xxxxxxxx, Gallo M., Xxxxxxxx, Bricola, Xxxxxx, Xxxxxx, Xxxxxxxx, Xxxxxxxxxx, Xxxxx, Giunta. Vedi X. Xxxxxxxxx, op. cit., pag. 100 ss.; X. Xxxxxxxx- X. Xxxxx, op. cit. pag. 157 ss.; F. Antolisei, op. cit., 196 ss.; X. Xxxxx, “Antigiuridicità e cause di giustificazione”, Napoli, 1996, 87; X. Xxxxxxxxxx- X. Xxxxxxx, op. cit., pag. 450.
66 X. Xxxxxxxxx, op. cit., pag. 100 ss.; X. Xxxxxxxx- X. Xxxxx, op. cit. pag. 157 ss.; F. Antolisei, op. cit., 196 ss.; X. Xxxxx, “Antigiuridicità e cause di giustificazione”, Napoli, 1996, 87; X. Xxxxxxxxxx- X. Xxxxxxx, op. cit., pag. 450.
67 X. Xxxxxxxxx, op. cit., pag. 120; X. Xxxxxxxx- X. Xxxxx, op. cit., pag. 193; F. Antolisei, op. cit., pag.
196. X. Xxxxxxxxxx- X. Xxxxxxx, op. cit., pag. 450.
68 X. Xxxxxxxxx, op. cit., pag. 100 ss.; X. Xxxxxxxx- X. Xxxxx, op. cit. pag. 157 ss.; F. Antolisei, op. cit.,
due poli, oggettivo e soggettivo (fatto materiale e volontà colpevole). Corrisponde anche alla necessità pratica della scienza giuridica, che si muove sempre su quel binario e mai ha sentito il bisogno di allontanarsene69. La teoria bipartita è stata elaborata nell’ordinamento tedesco e si caratterizza per la netta ripartizione della struttura del reato tra elemento oggettivo e soggettivo: nel primo, come ben sappiamo, è ricompresa l’antigiuridicità70. La natura negativa di questo presupposto, che consiste nell’assenza dell’elemento giustificativo, pone dei problemi sul piano dell’accertamento e del riparto dell’onere della prova. In forza, infatti, della presunzione di innocenza, prevista nel nostro ordinamento dall’art 27, comma secondo, Cost., spetta al Pubblico Ministero dimostrare la sussistenza del reato, ivi compresa l’assenza delle cause di giustificazione, secondo questa concezione71. Nella prova dell’elemento negativo, la relativa dimostrazione in giudizio assume carattere di probatio diabolica, dal momento che impone alla parte processuale onerata di prendere in considerazione ogni possibile causa di esclusione dell’antigiuridicità e dimostrane la mancanza. Ulteriori profili problematici attengono all’operatività in materia penale del principio di legalità e dei suoi corollari, i quali impongono una fonte strettamente legislativa - fanno eccezione i casi di integrazione tecnico-scientifica – delle norme penali e non ammettono una formulazione vaga degli elementi costitutivi del reato, né tantomeno il ricorso all’analogia72. D’altronde sono molteplici i casi in cui il legislatore consente di escludere l’antigiuridicità della condotta che integri gli estremi di un reato, facendo ricorso ad altre branche dell’ordinamento – ovvero a fonti di rango secondario o consuetudinario (se si condivide questo orientamento dottrinale). La stessa formulazione delle cause di giustificazione comuni, disciplinate agli artt. 50 ss. c.p. fa ricorso spesso a clausole generali, che non rispondono appieno alle esigenze della fattispecie penale73. Tali considerazioni hanno pertanto suggerito di espungere l’antigiuridicità dall’elemento oggettivo del reato e di assegnare a tale elemento
69 F. Antolisei, op. cit., pag. 215; X. Xxxxxxxxx, op. cit., pag 100 ss.; X. Xxxxxxxx- X. Xxxxx, op. cit. pag. 157 ss; X. Xxxxx, “Antigiuridicità e cause di giustificazione”, Napoli, 1996, 87; X. Xxxxxxxxxx- X. Xxxxxxx, op. cit., pag. 450.
70 X. Xxxxxxxxx, op. cit., pag. 120; X. Xxxxxxxx- X. Xxxxx, op. cit., pag. 193; F. Antolisei, op. cit., pag.
196. X. Xxxxxxxxxx- X. Xxxxxxx, op. cit., pag. 450.
71 X. Xxxxxxxxx, op. cit., pag. 100 ss.; X. Xxxxxxxx- X. Xxxxx, op. cit. pag. 157 ss.; F. Antolisei, op. cit., 196 ss.; X. Xxxxx, “Antigiuridicità e cause di giustificazione”, Napoli, 1996, 87; X. Xxxxxxxxxx- X. Xxxxxxx, op. cit., pag. 450.
72 X. Xxxxxxxxx, op. cit., pag. 100 ss.; X. Xxxxxxxx- X. Xxxxx, op. cit. pag. 157 ss.; F. Antolisei, op. cit., 196 ss.; X. Xxxxx, “Antigiuridicità e cause di giustificazione”, Napoli, 1996, 87; X. Xxxxxxxxxx- X. Xxxxxxx, op. cit., pag. 450.
73 X. Xxxxxxxxx, op. cit., pag. 100 ss.; X. Xxxxxxxx- X. Xxxxx, op. cit. pag. 157 ss.; F. Antolisei, op. cit.,
autonoma rilevanza nella struttura del reato. Ciò ha condotto alla struttura tricotomica dell’illecito penale, che affianca, come abbiamo precedentemente affermato, all’elemento oggettivo del reato, la tipicità, e all’elemento soggettivo, detto colpevolezza, un terzo ed autonomo elemento, consistente nell’antigiuridicità del reato74. Dunque le cause di giustificazione assumono autonoma rilevanza nella struttura dell’illecito75. La collocazione autonoma dell’antigiuridicità consente di giustificare la rilevanza legislativa assegnata alle fonti extra-penali, anche di rango secondario o estese analogicamente. Si superano, inoltre, così i problemi relativi al riparto dell’onere probatorio: secondo l’impostazione tripartita graverà quest’ultimo sulla pubblica accusa, in misura esclusiva o totale, con riferimento all’elemento oggettivo o soggettivo del reato, laddove, con riferimento all’antigiuridicità, spetterà all’imputato allegare l’esistenza di una causa di giustificazione, senza provarla, e rimettendo al p.m. l’onere di dimostrarne l’inesistenza76. I sostenitori della teoria tripartita osservano che l’opposta teoria bipartita nasce in un ordinamento – tedesco – in cui non rileva espressamente l’errore del reo circa l’esistenza di una causa di giustificazione, con la necessità conseguente di attrarre l’antigiuridicità del fatto nell’elemento oggettivo del reato per consentire al reo di valersi della disposizione che, al contrario, riconosce rilevanza all’errore sul fatto, escludendo la responsabilità penale77. Nel nostro ordinamento, diversamente, le due ipotesi di errore trovano autonoma e distinta disciplina, ex artt. 47 e 59 c.p.; il primo infatti assegna efficacia scusante all’errore incolpevole sul fatto, laddove l’art. 59 c.p. consente al reo di beneficiare dell’effetto scriminante delle cause di giustificazione che questi abbia ritenuto sussistenti per un errore incolpevole78. Attenendoci al dettato della disposizione dell’art. 59, ultimo comma, c.p., è dunque possibile assegnare autonomamente rilevanza all’antigiuridicità, non essendo necessario riferire tale elemento costitutivo all’elemento oggettivo del reato perché l’errore incolpevole del reo possa escludere la punibilità. Inoltre,
74 X. Xxxxxxxxx, op. cit., pag. 120; X. Xxxxxxxx- X. Xxxxx, op. cit., pag. 193; F. Antolisei, op. cit., pag.
196. X. Xxxxxxxxxx- X. Xxxxxxx, op. cit., pag. 450.
75 X. Xxxxxxxx- X. Xxxxx, “ Diritto penale. Parte Generale”, Bologna, 2018, 267; X. Xxxxxxxxx, “Diritto penale”, Milano, 2019, 233; F. Antolisei, “Manuale di diritto penale”, Milano, 2018, 196; Padovani, “Diritto penale”, Milano, 2019; X. Xxxxx, “Antigiuridicità e cause di giustificazione”, Napoli, 1996, 87. 76 X. Xxxxxxxxx, op. cit., pag. 100. ss.; X. Xxxxxxxx- X. Xxxxx, op. cit. pag. 157 ss.; F. Antolisei, op. cit., 196 ss.; X. Xxxxx, “Antigiuridicità e cause di giustificazione”, Napoli, 1996, 87; X. Xxxxxxxxxx- X. Xxxxxxx, op. cit., pag. 450.
77 X. Xxxxxxxxx, op. cit., pag. 100 ss.; X. Xxxxxxxx- X. Xxxxx, op. cit. pag. 157 ss.; F. Antolisei, op. cit., 196 ss.; X. Xxxxx, “Antigiuridicità e cause di giustificazione”, Napoli, 1996, 87; X. Xxxxxxxxxx- X. Xxxxxxx, op. cit., pag. 450.
78 X. Xxxxxxxxx, op. cit., pag. 100 ss.; X. Xxxxxxxx- X. Xxxxx, op. cit. pag. 157 ss.; F. Antolisei, op. cit., 196 ss.; X. Xxxxx, “Antigiuridicità e cause di giustificazione”, Napoli, 1996, 87; X. Xxxxxxxxxx- X. Xxxxxxx, op. cit., pag. 450.
nell’accertamento della responsabilità penale il giudice è chiamato dapprima a verificare la sussistenza della tipicità del reato e solo in un momento successivo, che presuppone l’integrazione degli elementi costitutivi della condotta criminosa, procede a verificare se sussista o meno una causa di giustificazione79. Infine, anche il Codice di procedura penale, all’art. 530, disciplina in autonoma sede la sentenza di assoluzione per mancanza di antigiuridicità o di dubbio in merito alla sussistenza di una causa di antigiuridicità, prevedendo al terzo comma che “Se vi è la prova che il fatto è stato commesso in presenza di una causa di giustificazione o di una causa personale di non punibilità ovvero vi è dubbio sull’esistenza delle stesse, il giudice pronuncia sentenza di assoluzione”80. Diversamente l’insussistenza del fatto, inteso come elemento oggettivo del reato, è disciplinata ai commi primo e secondo dell’art. 530 c.p.p.; è necessario evidenziare che il secondo comma dell’articolo in questione prevede l’assoluzione quando “manca, è insufficiente o è contraddittoria la prova che il fatto sussiste”, laddove il terzo comma fa riferimento al mero dubbio circa l’esistenza della causa di giustificazione81. La diversa formulazione delle citate disposizioni processuali conferma dunque l’autonomia e la distinzione tra tipicità ed antigiuridicità, evidenziando il diverso regime processuale dell’accertamento del fatto rispetto all’esistenza di una causa di giustificazione: la pubblica accusa è infatti tenuta a provare, al di là di ogni ragionevole dubbio - ex art. 533 c.p.p. – la responsabilità penale del reo, compresa la tipicità del fatto commesso (cioè la sussistenza in concreto di tutti gli elementi costitutivi della fattispecie penale astratta); diversamente, con riferimento alle cause di giustificazione, la prova richiesta al Pubblico Ministero è in negativo ed è volta a dimostrare l’inesistenza delle scriminanti che l’imputato adduca a propria difesa; in questo caso, dunque, solo la piena prova e non il solo superamento del ragionevole dubbio circa l’assenza di una causa scriminante potrà condurre ad una sentenza di condanna, dovendo altrimenti emettersi una sentenza di assoluzione ai sensi dell’art. 530 c.p.p.82 La giurisprudenza, specie di legittimità, su tutt’altro versante, non ha preso
79 X. Xxxxxxxxx, op. cit., pag. 120; X. Xxxxxxxx- X. Xxxxx, op. cit., pag. 193; F. Antolisei, op. cit., pag.
196. X. Xxxxxxxxxx- X. Xxxxxxx, op. cit., pag. 450.
80 X. Xxxxxxxxx, op. cit., pag. 100 ss.; X. Xxxxxxxx- X. Xxxxx, op. cit. pag. 157 ss.; F. Antolisei, op. cit., 196 ss.; X. Xxxxx, “Antigiuridicità e cause di giustificazione”, Napoli, 1996, 87; X. Xxxxxxxxxx- X. Xxxxxxx, op. cit., pag. 450.
81 X. Xxxxxxxxx, op. cit., pag. 100 ss.; X. Xxxxxxxx- X. Xxxxx, op. cit. pag. 157 ss.; F. Antolisei, op. cit., 196 ss.; X. Xxxxx, “Antigiuridicità e cause di giustificazione”, Napoli, 1996, 87; X. Xxxxxxxxxx- X. Xxxxxxx, op. cit., pag. 450.
82 X. Xxxxxxxxx, op. cit., pag. 100 ss.; X. Xxxxxxxx- X. Xxxxx, op. cit. pag. 157 ss.; F. Antolisei, op. cit., 196 ss.; X. Xxxxx, “Antigiuridicità e cause di giustificazione”, Napoli, 1996, 87; X. Xxxxxxxxxx- X. Xxxxxxx, op. cit., pag. 450.
una posizione decisiva in merito alla struttura del reato: nel 1995 la Corte di Cassazione si limitava a far cenno all’antigiuridicità, prospettando in via ipotetica l’autonomia dell’antigiuridicità “per chi accetta la teoria tripartita, che non ha avuto seguito in giurisprudenza” (Cass.16 novembre 1995, 11240), ma vent’anni più tardi ha riconosciuto tale impostazione come alternativa alla teoria bipartita, contrapponendo all’elemento oggettivo la nozione di fatto tipico “se si accede alla concezione tripartita” (Cass. 6 febbraio 2007, n. 4675)83. Altri recenti interventi sono seguiti con la sentenza del 21 luglio del 1978 n. 9991, della prima sezione, in cui si afferma che “le cause di giustificazione si configurano come elementi negativi di un reato perfetto in tutti i suoi aspetti (tipicità, antigiuridicità e colpevolezza)”, così aderendo alla teoria predetta; nel mentre la Corte aveva già manifestato l’adesione con la sentenza n. 2161, del 7 marzo del 1970, contrapponendo la “categoria delle cause di non punibilità in senso stretto, correlata a presupposti non riconducibili al reato, e cioè nella categoria di quelle cause che per particolari ragioni di politica criminale esimono il reo dalla responsabilità penale e dalla pena (cosiddette condizioni negative di punibilità)” a “ quelle elaborate sulla base degli elementi costitutivi del reato, delle cause di esclusione del fatto o della tipicità, di esclusione dell’antigiuridicità (cause di giustificazione), e di esclusione della colpevolezza (scusanti o scriminanti)”84.
1.1 La tipicità
La presente trattazione segue lo schema tripartito, distinguendo tra tipicità, antigiuridicità e colpevolezza. La tipicità del reato attiene all’elemento oggettivo dell’illecito penale, ma, a differenza della teoria bipartita, non ricomprende l’elemento dell’antigiuridicità. Secondo la condivisa teoria tripartita, il fatto tipico si compone dell’insieme degli elementi costitutivi del reato, individuati dal legislatore nel descrivere la fattispecie criminosa. Solo in presenza di ciascuno di essi il fatto tipico può ritenersi
83 X. Xxxxxxxxx, op. cit., pag. 100 ss.; X. Xxxxxxxx- X. Xxxxx, op. cit. pag. 157 ss.; F. Antolisei, op. cit., 196 ss.; X. Xxxxx, “Antigiuridicità e cause di giustificazione”, Napoli, 1996, 87; X. Xxxxxxxxxx- X. Xxxxxxx, op. cit., pag. 450.
84 X. Xxxxxxxxxx- X. Xxxxxxx, “Manuale ragionato di diritto penale”, Roma, 2019, pag. 513 ss.; G. Conso-
X. Xxxxx-X. Xxxxxx, “Compendio di procedura penale”, Padova, 2018, 739 ss.; Antolisei, “Manuale di diritto penale”, Milano, 2018, 196; X. Xxxxx, “Antigiuridicità e cause di giustificazione”, Napoli, 1996, pag. 87 ss.
integrato, consentendo al giudice di procedere all’accertamento dell’antigiuridicità e della colpevolezza del reo85. Un esempio può consentire la miglior comprensione della nozione del fatto tipico: l’art. 575 c.p. punisce con la pena della reclusione non inferiore ad anni ventuno “chiunque cagiona la morte di un uomo”86; a fronte di un’imputazione di omicidio, dunque, il giudice dovrà accertare che l’imputato abbia cagionato la morte della persona offesa; occorre dimostrare in giudizio, nel contraddittorio tra le parti, la sussistenza degli elementi costitutivi del delitto di omicidio, e, in specie, la condotta dell’imputato che si assume essere causativa della morte della persona offesa, nonché l’effettivo decesso della vittima, e l’imputabilità sul piano oggettivo dell’evento morte alla condotta dell’imputato (nesso causale). Successivamente all’aver verificato la sussistenza dei suddetti elementi costitutivi del fatto tipico, cioè della fattispecie criminosa nel suo elemento oggettivo, lo “iudex”, ovvero il giudice, potrà valutare se l’imputato abbia agito in presenza di una causa di giustificazione (nel caso dello stato di necessità, uso legittimo delle armi e legittima difesa) e se sussista in capo allo stesso soggetto l’imputabilità (capacità di intendere e di volere) e l’elemento soggettivo (doloso, colposo o preterintenzionale a seconda del capo d’imputazione)87. Pertanto il fatto tipico è rappresentato dagli eventi storico-materiali che il legislatore punisce come reato e ricomprende ogni elemento costitutivo della fattispecie criminosa88. Non bisogna, tuttavia, considerare che la tipicità costituisca un elemento autonomo e separato, indifferente, alle componenti dell’antigiuridicità e della colpevolezza, poiché la ripartizione della struttura del reato rappresenta esclusivamente lo strumento analitico che agevola il magistrato ed il difensore in sede di interpretazione e di accertamento degli elementi costitutivi della fattispecie criminosa, pur quest’ultima restando un fenomeno unitario, come dimostrando le interferenze tra le tre fondamentali componenti. Si pensi alla rilevanza, ad esempio, che assume il consenso del paziente nell’attività medico-chirurgica, che può operare quale scriminante della condotta del
85 X. Xxxxxxxxx, op. cit., pag. 100 ss.; X. Xxxxxxxx- X. Xxxxx, op. cit. pag. 157 ss.; F. Antolisei, op. cit., 196 ss.; X. Xxxxx, “Antigiuridicità e cause di giustificazione”, Napoli, 1996, 87; X. Xxxxxxxxxx- X. Xxxxxxx, op. cit., pag. 450.
86 Fiandaca- Musco, “Diritto penale, Parte speciale”, Bologna, 2018, pag. 1. Si veda X. Xxxxxxxxx, op. cit., pag. 100 ss.; X. Xxxxxxxx- X. Xxxxx, op. cit. pag. 157 ss.; F. Antolisei, op. cit., 196 ss.; X. Xxxxx, “Antigiuridicità e cause di giustificazione”, Napoli, 1996, 87; X. Xxxxxxxxxx- X. Xxxxxxx, op. cit., pag. 450. 87 X. Xxxxxxxxx, op. cit., pag. 100 ss.; X. Xxxxxxxx- X. Xxxxx, op. cit. pag. 157 ss.; F. Antolisei, op. cit., 196 ss.; X. Xxxxx, “Antigiuridicità e cause di giustificazione”, Napoli, 1996, 87; X. Xxxxxxxxxx- X. Xxxxxxx, op. cit., pag. 450.
88 X. Xxxxxxxxx, “Diritto penale”, Milano, 2019, pag. 120; X. Xxxxxxxx- X. Xxxxx, “Diritto penale. Parte generale”, Bologna, 2018, pag. 193; F. Antolisei, “Manuale di diritto penale. Parte generale”, Milano, 2018, pag. 196. X. Xxxxxxxxxx- X. Xxxxxxx, “Manuale ragionato di diritto penale”, Roma, 2019, pag. 450.
sanitario che abbia cagionato lesioni al paziente ovvero come elemento costitutivo, in negativo, con rilevanti conseguenze pratiche a seconda dell’impostazione a cui si aderisce89. Più intensa è l’interferenza tra la tipicità e la colpevolezza, stante la duplice funzione che l’elemento soggettivo del reato svolge nella fattispecie incriminatrice: si può addurre come esempio il richiamo alle fattispecie con cui si puniscono le lesioni e l’omicidio, rispetto ai quali il legislatore ha autonomamente disciplinato le ipotesi criminose dolose (intenzionali, di cui agli artt. 582 e 575 c.p.) rispetto alle medesime in forma colposa (ex artt. 589 e 590 c.p., cui si aggiunge l’art. 584 c.p. per l’omicidio preterintenzionale)90. Il diverso atteggiarsi dell’elemento soggettivo rileva già sul piano della tipicità del reato e comporta la contestazione di una diversa fattispecie criminosa e, dunque, l’accertamento di elementi costitutivi diversi a seconda che si tratti di omicidio, per esempio colposo, doloso e preterintenzionale91. Tuttavia, la tipicità del reato e gli elementi costitutivi della fattispecie penale utilizzati per descrivere il fatto tipico comportano conseguenze sul piano della colpevolezza, specie in sede di accertamento dell’elemento soggettivo del reo e sulla possibilità di invocare una causa di giustificazione (ad esempio il consenso dell’avente diritto non può sortire effetto alcuno in caso di condotte che ledono un bene indisponibile)92. Come si è già avuto modo di evidenziare, l’ordinamento penale richiede, perché possa prevedersi la punizione di un reato e quindi pervenirsi ad una sentenza di condanna, che questo si sostanzi in un fatto idoneo ad offendere un bene giuridico meritevole di tutela penale (e quindi costituzionalmente rilevante, almeno implicitamente)93. La stessa Carta costituzionale, all’art. 25, secondo comma, fa espresso riferimento ad un “fatto”, che sia stato commesso prima dell’entrata in vigore della legge che punisce. Allo stesso modo, il Codice penale, recependo il noto brocardo “cogitationis poenam nemo patitur”, secondo cui nessuno può subire una pena esclusivamente per le proprie intenzioni,
89 X. Xxxxxxxxx, op. cit., pag. 100 ss.; X. Xxxxxxxx- X. Xxxxx, op. cit. pag. 157 ss.; F. Antolisei, op. cit., 196 ss.; X. Xxxxx, “Antigiuridicità e cause di giustificazione”, Napoli, 1996, 87; X. Xxxxxxxxxx- X. Xxxxxxx, op. cit., pag. 450.
90 X. Xxxxxxxx- X. Xxxxx, “Diritto penale, Parte speciale. I delitti contro la persona”, Bologna, 2018, pag. 1 ss. Vedi X. Xxxxxxxxx, op. cit., pag. 100 ss.; X. Xxxxxxxx- X. Xxxxx, op. cit. pag. 157 ss.; F. Antolisei, op. cit., 196 ss.; X. Xxxxx, “Antigiuridicità e cause di giustificazione”, Napoli, 1996, 87; X. Xxxxxxxxxx- X. Xxxxxxx, op. cit., pag. 450.
91 X. Xxxxxxxxx, op. cit., pag. 120; X. Xxxxxxxx- X. Xxxxx, op. cit., pag. 193; F. Antolisei, op. cit., pag.
196. X. Xxxxxxxxxx- X. Xxxxxxx, op. cit., pag. 450.
92 X. Xxxxxxxxx, op. cit., pag. 100 ss.; X. Xxxxxxxx- X. Xxxxx, op. cit. pag. 157 ss.; F. Antolisei, op. cit., 196 ss.; X. Xxxxx, “Antigiuridicità e cause di giustificazione”, Napoli, 1996, 87; X. Xxxxxxxxxx- X. Xxxxxxx, op. cit., pag. 450.
93 X. Xxxxxxxxx, “Diritto penale”, Milano, 2019, 233 ss. ; X. Xxxxxxxx- X. Xxxxx, “Diritto penale. Parte generale”, Bologna, 2018, 267; F. Antolisei, “Manuale di diritto penale. Parte generale”, Milano, 2018,
esclude, ai sensi dell’art. 115, secondo xxxxx, che il mero accordo finalizzato alla commissione di un delitto possa essere punito se non viene materialmente eseguito. Pertanto nell’ordinamento penale non è possibile punire le mere intenzioni dell’individuo, occorrendo che la sua volontà criminosa si estrinsechi in un comportamento materiale, realizzando il “fatto” previsto dalla legge come reato94. Questo fatto, dunque, deve venire ad esistenza e deve essere riconducibile ad un comportamento del reo, dal momento che il nostro sistema penale non ammette forme di responsabilità per fatto altrui o di carattere strettamente oggettivo (non può attribuirsi responsabilità penale ad un soggetto per un fatto che non sia ad esso imputabile, oggettivamente e soggettivamente)95.
1.1.1 Reati di mera condotta e reati d’evento
La condotta del reo può assumere diverse caratteristiche a seconda della fattispecie criminosa in questione: distinguiamo i “reati di mera condotta” e i “reati evento”, i “reati in forma attiva” ed in “forma omissiva”96. Il comportamento del reo , infatti, può assumere autonoma rilevanza penale o essere punita in quanto causativa di conseguenze ulteriori; inoltre il comportamento sanzionato può consistere in una azione ovvero omissione, a seconda che si contesti al reo di aver posto in essere una condotta da cui avrebbe dovuto astenersi ovvero di aver omesso di compiere un’azione che era tenuto a realizzare97. Per quanto riguarda l’azione si è posto il problema di stabilire se debba accogliersi la concezione naturalistica - quale complesso di movimenti materiali del reo
– ovvero normativo – in termini di comportamento descritto dal legislatore.
94 X. Xxxxxxxxx, “Diritto penale”, Milano, 2019, 233; Fiandaca-Musco, “Diritto penale. Parte generale”, Bologna, 2018, 267; F. Antolisei, “Manuale di diritto penale. Parte generale”, Milano, 2018, 196; X. Xxxxx, “Antigiuridicità e cause di giustificazione”, Napoli, 1996, 87; X. Xxxxxxxxxx- X. Xxxxxxx, op. cit., pag. 450.
95 X. Xxxxxxxxx, op. cit., pag. 100 ss.; X. Xxxxxxxx- X. Xxxxx, op. cit. pag. 157 ss.; F. Antolisei, op. cit., 196 ss.; X. Xxxxx, “Antigiuridicità e cause di giustificazione”, Napoli, 1996, 87; X. Xxxxxxxxxx- X. Xxxxxxx, op. cit., pag. 450.
96 X. Xxxxxxxxx, op. cit., pag. 100 ss.; X. Xxxxxxxx- X. Xxxxx, op. cit. pag. 157 ss.; F. Antolisei, op. cit., 196 ss.; X. Xxxxx, “Antigiuridicità e cause di giustificazione”, Napoli, 1996, 87; X. Xxxxxxxxxx- X. Xxxxxxx, op. cit., pag. 450.
97 X. Xxxxxxxxx, op. cit., pag. 100 ss.; X. Xxxxxxxx- X. Xxxxx, op. cit. pag. 157 ss.; F. Antolisei, op. cit.,
Condividendo l’accezione naturalistica dell’azione, il problema che si pone è quello di stabilire quale, tra la pluralità di comportamenti tenuti dal reo nella preparazione ed esecuzione del reato, possa considerarsi come azione autonoma e penalmente rilevante. Le incertezze di questa tesi hanno consentito l’affermarsi dell’opposto orientamento, che assegna rilevanza ai soli comportamenti che corrispondono alla condotta tipizzata: l’azione viene intesa dunque nella sua accezione normativa, come condotta legislativamente descritta98. L’accezione normativa di azione consente dunque di selezionare, tra le plurime azioni materiali del reo, quelle effettivamente rilevanti ai fini dell’accertamento del reato e dell’affermazione della responsabilità penale. La condotta del reo, omissiva o attiva che essa sia, corrispondente alla condotta descritta dal legislatore, in senso normativo, può assumere rilevanza penale o costituisce il presupposto causale dell’evento necessario per integrare la fattispecie criminosa99. Nella prima ipotesi il reato è di “mera condotta”, dal momento che la legge punisce la sola realizzazione della condotta, ritenuta idonea a ledere o ad esporre a pericolo il bene giuridico tutelato: esempi di reati di mera condotta sono le fattispecie di cui agli artt. 609 bis o 385 c.p., le quali puniscono rispettivamente i delitti di violenza sessuale o evasione100; Diversamente nei “reati d’evento”, la condotta del reo non è da sola sufficiente ad integrare gli estremi del reato, occorrendo invece che la stessa abbia determinato il verificarsi di un evento, autonomo e distinto rispetto al comportamento del reo. È la sola causazione dell’evento che consentirà di ritenere perfezionato il reato e
98 X. Xxxxxxxx- X. Xxxxx, “Diritto penale. Parte generale”, Bologna, 2018, pag 170 ss.; si prenda l’esempio di plurimi comportamenti di un sicario che si reca presso un ricettatore di armi, acquista un fucile e le annesse munizioni e successivamente affitti sotto falso nome un appartamento nelle immediate vicinanze dell’abitazione della vittima, contro cui, dopo una lunga osservazione delle abitudini di quest’ultima, esploda un colpo che ne cagioni la morte colpendola al petto; queste condotte, anche se autonome e distanziate temporalmente, non rilevano ai fini della condanna del soggetto per omicidio- assumendo al più rilevanza in termini di premeditazione- dal momento che il legislatore richiede al giudice di focalizzare l’accertamento sulla condotta che “cagiona la morte di un uomo”: ne deriva che l’azione, in questo caso, va individuata nel comportamento che ha causato il decesso e quindi nella esplisione di un colpo d’arma da fuoco che raggiunto la testa della vittima; X. Xxxxxxxxx, “Diritto penale”, Milano, 2019, 100 ss.; X. Xxxxxxxx- X. Xxxxx, op. cit. pag. 157 ss.; F. Antolisei, op. cit., 196 ss.;
X. Xxxxx, “Antigiuridicità e cause di giustificazione”, Napoli, 1996, 87; X. Xxxxxxxxxx- X. Xxxxxxx, op. cit., pag. 450.
99 X. Xxxxxxxxx, op. cit., pag. 100 ss.; X. Xxxxxxxx- X. Xxxxx, op. cit. pag. 157 ss.; F. Antolisei, op. cit., 196 ss.; X. Xxxxx, “Antigiuridicità e cause di giustificazione”, Napoli, 1996, 87; X. Xxxxxxxxxx- X. Xxxxxxx, op. cit., pag. 450.
100 X. Xxxxxxxx- X. Xxxxx, “Diritto penale. Parte speciale. I delitti contro la persona.”, Bologna, 2018, pag. 243 ss.; X. Xxxxxxxxxx- X. Xxxxxxx, “Manuale ragionato di diritto penale”, Roma, 2019, 513 ss.; nel primo caso il legislatore assegna rilevanza penale alla condotta violativa della libertà sessuale consistente nella costrizione, con violenza o minaccia, a compiere o subire atti sessuali; nel secondo caso, invece, è punitala condotta di evasione, cioè di volontaria sottrazione all’esecuzione di una misura restrittiva, da parte di chi sia legalmente arrestato o detenuto.
di affermare la responsabilità del reo101. La distinzione tra i reati d’evento e i reati di condotta non è sempre agevole, per la formulazione delle norme incriminatrici spesso priva di chiarezza102. Al di là di ciò, da evidenziare è il criterio adottato per qualificare l’illecito come reato d’evento invece che di mera condotta va rinvenuto nell’autonomia tra il comportamento che costituisce la condotta del reo e le sue conseguenze: quando queste ultime rappresentano una conseguenza distinta ed ulteriore rispetto alla condotta del reo potrà infatti ritenersi che il legislatore abbia richiesto il verificarsi di un evento per il perfezionamento della fattispecie di reato. Questo non avviene quando pur a far fronte di un mutamento della realtà giuridica e materiale, quest’ultimo derivi e sia connaturato alla condotta dal reo103; Quindi anche in relazione alla nozione di evento bisogna far riferimento al dato normativo della descrizione del reato. La corretta identificazione, infatti, dell’evento del reato assume una cruciale importanza nel determinare i termini del nesso eziologico, che permette di imputare l’evento, sul piano oggettivo, alla condotta del reo. Inoltre altro elemento discusso è il significato da attribuire al termine “evento”104, che il legislatore ha voluto accogliere nel dettare la disciplina della struttura del reato, e del nesso causale. Tornando all’esame della condotta del reo, la quale è un elemento indefettibile della fattispecie criminosa, vi è un’altra distinzione che è necessario introdurre: reati in forma omissiva e commissiva.
101 Un chiaro esempio è rappresentato dalla fattispecie dell’omicidio, di cui all’art. 575 c.p., che punisce chiunque “cagiona la morte di un uomo”, incentrando il disvalore della condotta proprio sulla causazione dell’evento-morte; X. Xxxxxxxxxx- X. Xxxxxxx, op. cit., 513 ss.
102 A titolo di esempio, l’ingiuria, prima delle depenalizzazione nel 2016, è stato oggetto di attenzione, come delitto, da parte della dottrina penale in merito alla possibilità di qualificare il reato come reato di evento o condotta. Il previgente art 594 c.p. puniva “Chiunque offende l’onore o il decoro di una persona”. Pertanto la condotta criminosa consisteva nell’offesa altrui, idonea a ledere l’onore ed il decoro della persona offesa realizzata da parte del reo, in via diretta e immediata, o attraverso l’uso del mezzo telefonico, telegrafico, ovvero con scritti e disegni diretti alla persona offesa. Le possibili modalità previste dalla norma hanno indotto parte della dottrina a considerare la fattispecie in discussione come reato d’evento quando la percezione da parte della vittima delle espressiojni offensive del suo decoro od onore non avvenisse contestualmente all’esternazione dell’offesa. X. Xxxxxxxxxx- X. Xxxxxxx, “Manuale ragionato di diritto penale”, Roma, 2019, 513 ss.
103 Si pensi al detenuto che evade dal carcere e che a seguito della condotta evasiva si trovi in uno stato materiale di libertà. Esso è sì un evento del reato, ma non come conseguenza, bensì connaturato ed intrinseco alla condotta. Si veda X. Xxxxxxxxx, op. cit., pag. 100 ss.; X. Xxxxxxxx- X. Xxxxx, op. cit. pag. 157 ss.; F. Antolisei, op. cit., 196 ss.; X. Xxxxx, “Antigiuridicità e cause di giustificazione”, Napoli, 1996, 87; X. Xxxxxxxxxx- X. Xxxxxxx, op. cit., pag. 450.
104 X. Xxxxxxxx- X. Xxxxx, “Diritto penale. Parte generale”, Bologna, 2018, pag. 208; X. Xxxxxxxxx, “Diritto penale”, Milano, 2019, 233; F. Antolisei, “Manuale di diritto penale. Parte generale”, Milano, 2018, 196; X. Xxxxx, “Antigiuridicità e cause di giustificazione”, Napoli, 1996, 87 ss.; X. Xxxxxxxxxx- A.
1.1.2 Reati commissivi ed omissivi
Sono i reati in forma attiva quelli consistenti in un “facere” del reo, che pone in essere un comportamento attivo penalmente sanzionato; i reati in forma omissiva avrebbero invece ad oggetto un “non facere”, ossia un comportamento negativo. A tale impostazione, che considera l’omissione come dato naturalistico, in termini di non azione o inerzia, è stato opposto che il reo, anche nei reati omissivi, non si limita a non agire, ma molto spesso, agisce diversamente, tenendo cioè un comportamento diverso rispetto alla condotta prescritta105; Per tale motivo si è abbandonata l’accezione c.d. naturalistica o materiale di omissione, facendo leva sul dato normativo, che, nei reati omissivi, prescrive in maniera espressa o implicita, in base alla formulazione della norma incriminatrice, di tenere un determinato comportamento, in mancanza del quale il soggetto si rende responsabile del reato106. Secondo l’impostazione normativa, l’omissione non si sostanzia in una inerzia, ma nel mancato adempimento all’obbligo di tenere il comportamento dovuto. In sintesi, i reati di azione consistono in una condotta attiva che viola un precetto normativo di divieto, mentre i reati omissivi sanzionano il mancato adempimento dell’obbligo di tenere un comportamento imposto dal legislatore in presenza di determinati presupposti107.
105 Si pensi ad uno dei reati omissivi per antonomasia, l’omissione di soccorso, punita ai sensi dell’art. 593 c.p.: il delitto punisce, ai sensi del secondo comma, chiunque, trovando un corpo umano che sia o sembri inanimato, ovvero una persona ferita o altrimenti in pericolo, ometta di prestare assistenza o di darne immediato avviso all’Autorità. X. Xxxxxxxx- X. Xxxxx, “Diritto penale. Parte generale”, Bologna, 2018, 267 ss.; per i reati omissivi si veda: X. Xxxxxxx, “I reati commissivi mediante omissione; G Grasso, “Il reato omissivo improprio. La struttura obiettiva della fattispecie”; X. Xxxxxxx, “La distinzione fra reato omissivo proprio ed improprio”, Xxxxxxx critici , in Studi parmensi.
106 X. Xxxxxxxxx, op. cit., pag. 100 ss.; X. Xxxxxxxx- X. Xxxxx, op. cit. pag. 157 ss.; F. Antolisei, op. cit., 196 ss.; X. Xxxxx, “Antigiuridicità e cause di giustificazione”, Napoli, 1996, 87; X. Xxxxxxxxxx- X. Xxxxxxx, op. cit., pag. 450.
107 X. Xxxxxxxxx, op. cit., pag. 100 ss.; X. Xxxxxxxx- X. Xxxxx, op. cit. pag. 157 ss.; F. Antolisei, op. cit., 196 ss.; X. Xxxxx, “Antigiuridicità e cause di giustificazione”, Napoli, 1996, 87; X. Xxxxxxxxxx- A.
1.1.3 I reati omissivi propri ed impropri
Approfondendo l’ambito dei reati omissivi, si distingue a seconda che il legislatore penale punisca la mera omissione da parte del reo ovvero la causazione di un evento in ragione della condotta omissiva. Nel primo caso non occorre che il mancato compimento dell’azione dovuta abbia determinato la causazione dell’evento, necessario è invece nei reati omissivi d’evento, definiti “commissivi mediante omissione”108. Infatti mentre nei reati omissivi di mera condotta, il legislatore descrive compiutamente
, per il principio di tassatività, i presupposti dell’obbligo di agire e il comportamento a cui è tenuto il reo, nei reati omissivi in cui è richiesta la causazione di un evento è possibile registrare due diverse modalità di descrizione del reato109. Non sempre tuttavia il legislatore individua espressamente l’obbligo di agire: il Codice penale all’art. 40 prevede in via generale che “che non impedire un evento, che si ha l’obbligo giuridico di impedire, equivale a cagionarlo”. La norma in questione è definita dalla dottrina e dalla giurisprudenza “clausola di equivalenza”, poiché equipara la causazione di un evento al mancato impedimento del medesimo, quando sul reo gravi l’obbligo giuridico di impedirlo. Sulla scorta di quanto detto, è possibile allora affermare che un soggetto è responsabile penalmente se, gravato dall’obbligo di impedire un evento, non si sia attivato in tal senso; qui il legislatore non ha costruito la fattispecie omissiva ma ha optato per il combinato disposto tra una norma incriminatrice d’evento e la clausola di equivalenza ex art. 40, comma secondo, che consente, a determinate condizioni, di convertire il reato d’evento in forma omissiva110. Una parte della dottrina assegna rilevanza alla diversa tecnica descrittiva dei reato omissivi d’evento, definendo i primi come reati omissivi propri e qualificando come reati omissivi impropri le fattispecie che richiedono il ricorso alla clausola di equivalenza ex art. 40, 2° comma c.p. Diversa impostazione fonda la distinzione tra reati omissivi propri ed impropri sulla struttura
108 Si veda X. Xxxxxxxxx, op. cit., pag. 100 ss.; X. Xxxxxxxx- X. Xxxxx, op. cit. pag. 157 ss.; F. Antolisei, op. cit., 196 ss.; X. Xxxxx, “Antigiuridicità e cause di giustificazione”, Napoli, 1996, 87; X. Xxxxxxxxxx- X. Xxxxxxx, op. cit., pag. 450.
109 Una prima è rappresentata dall’art 659 c.p., che nel punire il disturbo del riposo delle persone, sanziona chiunque “non impedendo strepiti di animali, disturba le occupazioni o il riposo delle persone”: il legislatore descrive puntualmente i requisiti in presenza dei quali il reo è tenuto ad attivarsi per impedire il verificarsi dell’evento, nonchè l’evento da impedire. X. Xxxxxxxxxx- X. Xxxxxxx, “Manuale ragionato di diritto penale”, Roma, 2019, 513 ss.
110 Si pensi all’omicidio causato attraverso l’omesso impedimento della morte di una persona di cui il reo abbia la responsabilità (nel caso dei genitori rispetto ai figli minori). Si veda X. Xxxxxxxxx, op. cit., pag
100 ss.; X. Xxxxxxxx- X. Xxxxx, op. cit. pag. 157 ss.; F. Antolisei, op. cit., 196 ss.; X. Xxxxx, “Antigiuridicità e cause di giustificazione”, Napoli, 1996, 87; X. Xxxxxxxxxx- X. Xxxxxxx, op. cit., pag. 450.
della fattispecie penale, a seconda che il legislatore abbia richiesto o meno l’impedimento di un evento o abbia sanzionato la mera condotta omissiva. Un’autorevole dottrina111 ha al riguardo evidenziato che, alla luce della peculiare disciplina dell’art. 40 e delle rilevanti implicazioni pratiche che derivano dal ricorso a questa clausola, specie in sede di accertamento dei presupposto del reato, è opportuno adottare quale criterio distintivo tra le due categorie, quello inerente alla tecnica di formulazione normativa; può affermarsi che i reati omissivi impropri sono tutti reati d’evento, poiché tutti si caratterizzano per il ricorso alla norma generale di cui all’art. 40, secondo comma, c.p., anche se non è corretto considerare tutti i reati d’evento come reati omissivi impropri, dato che esistono fattispecie omissive d’evento espressamente e puntualmente tipizzate dal legislatore, senza necessità di far ricorso alla clausola dell’equivalenza (come la contravvenzione del 659 c.p.)112.
1.1.4 I reati commissivi mediante omissione
È necessario soffermarsi sull’applicazione del secondo comma dell’art. 40 c.p., considerando che da questa categoria può iniziare a delinearsi, anche se ancora flebilmente, la figura del protagonista della trattazione. La norma in questione equipara la causazione dell’evento al mancato impedimento dello stesso quando sul reo gravi un obbligo giuridico di impedirlo113. Pertanto, quando occorre procedere alla verifica della responsabilità penale per un reato omissivo improprio bisogna accertare, da un lato, che il reo fosse obbligato giuridicamente ad impedire l’evento, e dall’altro, che la sua
111 In tal senso Fiandaca e Musco. Si veda X. Xxxxxxxxx, op. cit., pag. 100 ss.; X. Xxxxxxx- X. Xxxxx, op. cit. pag. 157 ss.; F. Antolisei, op. cit., 196 ss.; X. Xxxxx, “Antigiuridicità e cause di giustificazione”, Napoli, 1996, 87; X. Xxxxxxxxxx- X. Xxxxxxx, op. cit., pag. 450.
112 Si veda X. Xxxxxxxxx, op. cit., pag. 100 ss.; X. Xxxxxxxx- X. Xxxxx, op. cit. pag. 157 ss.; F. Antolisei, op. cit., 196 ss.; X. Xxxxx, “Antigiuridicità e cause di giustificazione”, Napoli, 1996, 87; X. Xxxxxxxxxx- X. Xxxxxxx, op. cit., pag. 450.
113 X. Xxxxxxxxx, op. cit., pag. 120; X. Xxxxxxxx- X. Xxxxx, op. cit., pag. 193; F. Antolisei, op. cit., pag.
196. X. Xxxxxxxxxx- X. Xxxxxxx, op. cit., pag. 450.
condotta omissiva abbia effettivamente cagionato questo114. Per quanto riguarda le analogie e le differenze esistenti rispetto ai reati omissivi impropri, in entrambi i casi sussiste l’obbligo giuridico di agire: tuttavia, nel caso dei reati omissivi propri il legislatore individua espressamente, nella norma incriminatrice, i presupposti in presenza dei quali il reo è tenuto a porre in essere l’azione, in assenza dei quali il reato non si perfeziona. In siffatte ipotesi, dunque, occorre accertare che la situazione tipica da cui deriva l’obbligo di agire, penalmente sanzionato, sussista nella realtà materiale e che il reo ne abbia avuta effettiva e corretta percezione, determinandosi in maniera consapevole all’omissione115. Diversamente, nei reati omissivi impropri, il dovere giuridico non viene esplicitato dal legislatore, né la fattispecie penale è formulata in forma omissiva: l’interprete è chiamato ad operare un combinato disposto tra la norma incriminatrice che prevede un reato d’evento, in forma attiva, e la clausola di equivalenza menzionata, che consente di convertire il reato in forma attiva in un reato in forma omissiva116. Il ricorso all’art 40 c.p., inoltre, impone di accertare l’esistenza in capo al reo di un obbligo giuridico di impedire l’evento, attraverso il ricorso a norme ulteriori e distinte rispetto a quella incriminatrice e da ciò deriva una c.d. posizione di garanzia117, la quale presuppone che il reato d’evento in forma attiva possa essere “convertito” in un reato omissivo improprio. Quindi occorre verificare se l’art. 40, 2° comma, del c.p. possa operare con riferimento alla fattispecie criminosa prevista dal legislatore in forma attiva. Non è sempre possibile affermare una generale ed indiscriminata compatibilità di ogni fattispecie d’evento con il disposto dell’art. 40, comma secondo c.p.: perché possa trovare applicazione la norma richiede infatti che la condotta descritta dal legislatore nella fattispecie penale in forma attiva possa essere
114 X. Xxxxxxxxx, op. cit., pag. 100 ss.; X. Xxxxxxxx- X. Xxxxx, op. cit. pag. 157 ss.; F. Antolisei, op. cit., 196 ss.; X. Xxxxx, “Antigiuridicità e cause di giustificazione”, Napoli, 1996, 87; X. Xxxxxxxxxx- X. Xxxxxxx, op. cit., pag. 450.
115 Basta pensare all’omissione di soccorso in cui il reo deve avere percezione della situazione di pericolo e difficoltà in cui il terzo versa. Sull’essenza dell’omissione sono sorte difficoltà nella dottrina: X. Xxxxxxx, L’omissione nel sistema giuridico, Perugia, 1911; X. Xxxxxxx, “I reati commissivi mediante omissione”, Roma, 1916; X. Xxxxxxxxxx, “Illiceità penale dell’omissione”, in Annali, 1993; X. Xxxxxxxxx, “L’omissione nel dir. pen”, in Riv. it., 1934; X. Xxxxxxxx, “La condotta omissiva nel quadro della legittima difesa”, in Riv. it., 1970; X. Xxxxxxx, “La distinzione fra reato omissivo proprio ed un improprio”, Xxxxxxx critici, in Studi parmensi. Si veda X. Xxxxxxxxx, op. cit., pag. 100 ss.; X. Xxxxxxxx- X. Xxxxx, op. cit. pag. 157 ss.; F. Antolisei, op. cit., 196 ss.; X. Xxxxx, “Antigiuridicità e cause di giustificazione”, Napoli, 1996, 87; X. Xxxxxxxxxx- X. Xxxxxxx, op. cit., pag. 450.
116 X. Xxxxxxxxx, op. cit., pag 100 ss.; X. Xxxxxxxx- X. Xxxxx, op. cit. pag. 157 ss.; F. Antolisei, op. cit., 196 ss.; X. Xxxxx, “Antigiuridicità e cause di giustificazione”, Napoli, 1996, 87; X. Xxxxxxxxxx- X. Xxxxxxx, op. cit., pag. 450.
117 Tale per cui è tenuto ad impedire il verificarsi del’evento. Si veda X. Xxxxxxxxx, op. cit., pag. 100 ss.;
X. Xxxxxxxx- X. Xxxxx, op. cit. pag. 157 ss.; F. Antolisei, op. cit., 196 ss.; X. Xxxxx, “Antigiuridicità e cause di giustificazione”, Napoli, 1996, 87; X. Xxxxxxxxxx- X. Xxxxxxx, op. cit., pag. 450.
indistintamente realizzata dal reo mediante azione od omissione118. La non rilevanza sul piano della responsabilità penale consente dunque di affermare la compatibilità dei reati causali puri con la clausola dell’equivalenza di cui all’art. 40. Quando invece il legislatore non sanziona la semplice causazione di un evento ma richieda determinate modalità di commissione del reato in forma attiva perché si possa muovere un rimprovero al reo119 e si fa ricorso a diverse rispetto a quelle tipizzate allora il soggetto non potrà essere punito, con conseguente impossibilità di convertire il reato in questione in una fattispecie d’evento in forma omissiva120. Non deve, però, ritenersi che l’espressa descrizione delle modalità di causazione dell’evento rappresenti un elemento di per sé ostativo all’applicazione della clausola dell’equivalenza121. Questo è infatti avvenuto per le due fattispecie del favoreggiamento e della truffa 122. La dettagliata formulazione della condotta criminosa ha indotto dottrina e giurisprudenza a qualificare il delitto come reato di mera condotta, consistente negli artifizi e raggiri posti in essere a vantaggio del reo e con danno alla persona offesa; la giurisprudenza ha tuttavia reinterpretato la disposizione incriminatrice, ponendo la propria attenzione sull’induzione in errore della persona offesa ed affermando che alla condotta truffaldina, realizzata mediante artifizi o raggiri123, debba seguire un triplice ordine di eventi, consistenti innanzitutto nell’errore della persona offesa, nonché nel profitto ingiusto e
118 Il problema non si pone, dunque, in riferimento ai “reati causali puri”, in cui il legislatore sanziona la causazione dell’evento, a prescindere dalle concrete modalità di condotta: sono questi i reati in cui il disvalore penale è incentrato esclusivamente sulla causazione dell’evento, che consentono di punire qualsiasi condotta ne abbia determinato il verificarsi; si tratta di una tecnica descrittiva volta ad espandere il più possibile la tutela del bene giuridico protetto (come nel tipico caso dell’omicidio, in cui la condotta si sostanzia nella causazione della morte di un uomo, in modo tale da garantire la più ampia tutela penale al bene vita). Si veda X. Xxxxxxxxx, op. cit., pag 100 ss.; X. Xxxxxxxx- X. Xxxxx, op. cit. pag. 157 ss.; F. Antolisei, op. cit., 196 ss.; X. Xxxxx, “Antigiuridicità e cause di giustificazione”, Napoli, 1996, 87; X. Xxxxxxxxxx- X. Xxxxxxx, op. cit., pag. 450.
119 Si pensi al delitto di epidemia, di cui all’art 438 c.p., in cui il legislatore punisce “chiunque cagiona un’epidemia”, ma richiede al contempo che la causazione dell’epidemia avvenga “mediante la diffusione di agenti patogeni”. X. Xxxxxxxx- X. Xxxxx, op. cit., 267. Si veda di X. Xxxxxxxxx, op. cit., pag. 100 ss.;
F. Antolisei, op. cit., 196 ss.; X. Xxxxx, “Antigiuridicità e cause di giustificazione”, Napoli, 1996, 87; X. Xxxxxxxxxx- X. Xxxxxxx, op. cit., pag. 450.
120 Ne deriva che la causazione dell’epidemia attraverso modalità diverse rispetto a quelle legislativamente previste non consentirà di punire ex art. 438 c.p. Si veda X. Xxxxxxxxx, op. cit., pag.
100 ss.; X. Xxxxxxxx- X. Xxxxx, op. cit. pag. 157 ss.; F. Antolisei, op. cit., 196 ss.; X. Xxxxx, “Antigiuridicità e cause di giustificazione”, Napoli, 1996, 87; X. Xxxxxxxxxx- X. Xxxxxxx, op. cit., pag. 450.
121 La giurisprudenza ha infatti evidenziato che, in presenza di una condotta puntualmente descritta dal legislatore, è ravvisabile la responsabilità del reo in forma omissiva, ai sensi dell’art. 40, secondo comma, c.p., quando tali modalità risultino comunque compatibili con la realizzazione del reato mediante omissione. Si veda X. Xxxxxxxxxx- X. Xxxxxxx, op. cit., 450 ss.
122 Il primo delitto, disciplinato ex art. 640 c.p., punisce “Chiunque, con artifici e raggiri, inducendo taluno in errore, procura a sé o ad altri un ingiusto profitto con altrui danno”. Si veda X. Xxxxxxxxxx- X. Xxxxxxx, op. cit., 450 ss.
123 I primi consistenti nell’alterazione materiale della realtà ed i secondi in una condotta di carattere psicologico-comunicativa; X. Xxxxxxxx- X. Xxxxx, “Diritto penale. Parte speciale. I delitti contro la persona”, Bologna, 2018, 174 xx. Xx xxxx X. Xxxxxxxxxx- X. Xxxxxxx, op. cit., 450 ss.
nell’altrui danno124. Chiarita la natura del reato d’evento in relazione al delitto di truffa si è posto il problema della rilevanza penale dell’errore altrui, insieme all’ingiusto profitto e danno alla persona offesa, cagionato mediante silenzio; parte della dottrina e della giurisprudenza hanno infatti ritenuto che la formulazione della norma incriminatrice, richiedendo la realizzazione di artifizi o raggiri, imponesse una condotta attiva del reo, impedendo quindi di sanzionare il mero silenzio; si discuteva inoltre dell’esistenza di un obbligo giuridico di impedire l’altrui errore, necessario ai fini dell’art. 40, 2° comma, c.p. L’opposto orientamento della giurisprudenza di legittimità125 ha tuttavia evidenziato che “anche il silenzio maliziosamente serbato su alcune circostanze da parte di chi abbia il dovere di farle conoscere” possa integrare gli estremi del reato di truffa, sub specie raggiri. Questa soluzione è stata confermata nel 2013 con sentenza n. 51136 e si fonda sulla riconosciuta compatibilità tra le modalità della condotta tipizzate dal legislatore e la causazione in forma omissiva dell’evento, individuando, nel caso di specie, l’obbligo giuridico di impedirlo nel generale dovere di buona fede e correttezza di cui agli artt. 1175 e 1375, i quali richiedono l’adempimento di doveri informativi da parte del contraente126. La giurisprudenza di legittimità è pervenuta alle medesime conclusioni ed attraverso un percorso argomentativo analogo in relazione al delitto di favoreggiamento personale127. Anche in questo caso, a fronte di un consolidato orientamento che qualificava il delitto come reato di mera condotta, il quale punisce l’aiuto offerto al terzo indagato, la Corte di Cassazione, con sentenza n. 21832 del 2007, ha qualificato la fattispecie penale come reato d’evento e si è quindi pronunciata in merito alla possibilità di integrare il delitto in forma omissiva128. Sulla base di questi presupposti è stata pertanto ritenuta punibile la condotta dell’acquirente di sostanza stupefacente che, sentito come persona informata sui fatti dalla polizia giudiziaria, abbia omesso di rilevare l’identità di chi abbia già ceduto la sostanza rinvenuta nella sua disponibilità. Una soluzione criticata da parte della dottrina che ha negato autonomia al preteso evento d’ostacolo all’attività giudiziaria, evidenziando che si tratterebbe invece dell’effetto immediato e connaturato
124 A differenza delle altre fattispecie penali contro il patrimonio, caratterizzate dal c.d. dolo specifico, in caso di truffa questi devono essere in concreto accertati. Si veda X. Xxxxxxxxxx- X. Xxxxxxx, op. cit., 450 ss. 125 Tra le prime, la Seconda Sezione della Corte di Cassazione nella sentenza n. 41717 del 2009.
126 X. Xxxxxxxxxx- X. Xxxxxxx, op. cit., 450 ss.
127 Ai sensi dell’art. 378 c.p. è punito “chiunque aiuta taluno ad eludere le investigazioni dell’Autorità o a sottrarsi alle ricerche di questa”. Si veda X. Xxxxxxxxxx- X. Xxxxxxx, op. cit., 450 ss.
128 Nella specie, la Corte ha affermato che la condotta di aiuto deve essere qualificata come condotta libera, non caratterizzata dunque da particolari modalità esecutive, precisando inoltre che la fattispecie criminosa di favoreggiamento richiede il verificarsi di un evento a seguito della condotta del reo, consistente nell’ostacolo all’attività giudiziaria; X. Xxxxxxxxxx- X. Xxxxxxx, op. cit., 513 ss.
all’azione di aiuto del reo e che rappresenta l’offesa insita nella condotta di aiuto consente di punire la condotta omissiva del reo senza tuttavia qualificare il reato come d’evento: si tratterebbe quindi di una fattispecie di mera condotta, integrabile indifferentemente in forma omissiva o attiva, rispetto alla quale, dunque non occorrerebbe neanche verificare la sussistenza di un obbligo di impedire l’evento129. Necessariamente, proseguendo sul tracciato dell’art. 40, secondo comma, c.p., perché possa muoversi all’imputato un rimprovero per non aver impedito l’evento, il soggetto deve occupare una “posizione di garanzia”130. Come si è avuto modo di evidenziare, infatti, nei reati omissivi propri il legislatore individua espressamente l’obbligo di attivarsi penalmente sanzionato, precisandone i presupposti ed il contenuto, mentre nei reati omissivi impropri affida all’interprete il compito di individuare l’esistenza di un “obbligo giuridico di impedire” l’evento: l’equivalenza tra il cagionare ed il non impedire l’evento del reato opera solo in presenza di un obbligo di carattere giuridico131. Per quanto riguarda la fonte dell’obbligo giuridico di impedire l’evento, occorre prendere in considerazione le diverse posizioni assunte dalla dottrina sul punto, che oscillano tra un’impostazione restrittiva, fondata sul principio di riserva di legge in materia penale, ed un orientamento che, al contrario, estende le possibili fonti della posizione di garanzia ad atti normativi secondari e finanche ad atti di autonomia privata132. Secondo la prima impostazione, infatti, il principio di legalità e il suo corollario della riserva assoluta di legge in materia penale imporrebbero di individuare in xxx xxxxxxxxx xx xxxxx xx xxxxxxxxx xx xxxxxxxx xxxxxxxxxx un atto normativo di rango primario: solo in questo modo risulterebbe soddisfatta la riserva assoluta di legge di cui all’art. 25, 2° comma, Cost.133 L’opposto orientamento ritiene invece il legislatore, attraverso il generico richiamo alla giuridicità dell’obbligo di impedire l’evento, abbia ammesso il ricorso a qualsiasi fonte di obblighi giuridici, anche di rango non legislativo.
129 X. Xxxxxxxxxx- X. Xxxxxxx, op. cit., 450 ss.
130 X. Xxxxxxxxx, “Diritto penale”, Milano, 2019, 233; X. Xxxxxxxx- X. Xxxxx, “Diritto penale. Parte generale”, Bologna, 2018, 267; F. Antolisei, “Manuale di diritto penale. Parte generale”, Milano, 2018,
196 ss.; Xxxxxxxxx, “L’obbligo di impedire l’evento”, in Riv. it., 1936; X. Xxxxxxxx, “Il reato”; X. Xxxxxxxxx, “L’obbligo di garanzia ricostruito alla luce dei principi di legalità, solidarietà, di libertà e di resp.personale”, in Riv. it., 2001; X. Xxxxxx, “Orientamenti legislativi in tema di omesso impedimento dell’evento: il nuovo parag. 13 del cod. pen. Della Repubblica federale tedesca”, in Riv. it., 1978. Si veda
X. Xxxxxxxxxx- X. Xxxxxxx, op. cit., 513 ss.
131 X. Xxxxxxxxx, op. cit., pag. 100 ss.; X. Xxxxxxx- X. Xxxxx, op. cit. pag. 157 ss.; F. Antolisei, op. cit., 196 ss.; X. Xxxxx, “Antigiuridicità e cause di giustificazione”, Napoli, 1996, 87; X. Xxxxxxxxxx- X. Xxxxxxx, op. cit., pag. 450.
132 X. Xxxxxxxxxx- X. Xxxxxxx, op. cit., 450 ss.
133 X. Xxxxxxxxx, “Diritto penale”, Milano, 2019, op. cit.; X. Xxxxxxxx- X. Xxxxx, “Diritto penale. Parte generale”, Bologna, 2018, op. cit.; F. Antolisei, “Manuale di diritto penale. Parte generale”, Milano, 2018., op. cit.; X. Xxxxxxxxxx- X. Xxxxxxx, op. cit., pag. 450
Secondo i sostenitori di tale soluzione la posizione di garanzia che impone al reo di impedire l’evento potrebbe dunque trovare la propria fonte non solo nella legge e negli atti aventi forza di legge, bensì anche in un atto regolamentare e finanche in un contratto134; Una parte della dottrina che aderisce a tale seconda impostazione ha inoltre sostenuto che le consuetudini o la gestione di affare altrui (ai sensi degli artt. 2028 ss. c.c.) potrebbero soddisfare il requisito dell’obbligo giuridico di impedire l’evento ai sensi dell’art. 40, 2° comma135. A tale seconda impostazione si è opposto che assegnando piena ed indiscriminata rilevanza agli atti di autonomia privata, nonché alle fonti di secondo grado si finirebbe per tradire la ratio della riserva di legge sancita all’art. 25, secondo comma, Cost., nonché dello stesso principio di legalità, poiché si consentirebbe al potere esecutivo, da un lato, e all’autonomia privata, dall’altro, di incidere sulla libertà personale del reo, attraverso l’introduzione di un obbligo di agire penalmente sanzionato136. Si è osservato che, specie con riferimento all’autonomia negoziale, non è del pari corretto negare qualsiasi forma di rilevanza ai fini dell’accertamento della posizione di garanzia, essendo molteplici i casi in cui l’obbligo di impedire l’evento possa essere trasferito in capo ad un soggetto diverso dal garante originario137. In tali ipotesi, non deve ritenersi che la posizione di garanzia che viene a gravare sul nuovo responsabile trovi origine in un atto di autonomia privata e quindi nel contratto, occorrendo invece ulteriori e specifici presupposti perché la posizione di garante possa ritenersi effettivamente trasferita138. La ragione della differenza illustrata
134 Si osserva infatti che l’art. 1372 c.c. nella parte in cui afferma che il contratto “ha forza di legge tra parti”, consentirebbe di qualificare penalmente rilevanti obblighi giuridici che ne derivano. X. Xxxxxxxxxx-
X. Xxxxxxx, op. cit., pag. 450; X. Xxxxxxxxx, op. cit., pag. 100 ss.; X. Xxxxxxx- X. Xxxxx, op. cit. pag. 157 ss.; F. Antolisei, op. cit., 196 ss.
135 Si vedano X. Xxxxxxxxx, “Diritto penale”; I. Xxxxxxxxxx, “Omissione (dir. pen.)” in Xxxxxx.xxx.xx.; F. Antolisei, “L’obbligo di impedire l’evento”, in Scritti. X. Xxxxxxxxxx- X. Xxxxxxx, op. cit., pag. 450; X. Xxxxxxxxx, op. cit., pag. 100 ss.; X. Xxxxxxxx- X. Xxxxx, op. cit. pag. 157 ss.; F. Antolisei, op. cit., 196.
136 X. Xxxxxxxxxx- X. Xxxxxxx, op. cit., pag. 450; X. Xxxxxxxxx, op. cit., pag. 100 ss.; X. Xxxxxxx- X. Xxxxx, op. cit. pag. 157 ss.; F. Antolisei, op. cit., 196 ss.
137 Si pensi ai genitori che iscrivano il proprio figlio ad una scuola materna o lo affidino ad una bambinaia; X. Xxxxxxxx-X. Xxxxx, “Diritto penale. Parte generale”, Milano, 2018, 267 ss. X. Xxxxxxxxxx- X. Xxxxxxx, op. cit., pag. 450; X. Xxxxxxxxx, op. cit., pag 100 ss.; X. Xxxxxxxx- X. Xxxxx, op. cit. pag. 157 ss.; F. Antolisei, op. cit., 196 ss.
138 Si pensi ad uno stabilimento balneare ove un genitore affidi il proprio figlio minore ad un istruttore di nuoto perché gli impartisca delle lezioni in sua assenza; nel contempo si confronti tale situazione con quella in cui viene a trovarsi un volontario di un’associazione che persegue lo scopo di monitorare i bagnanti sulle spiagge per prevenire gli affogamenti. Qualora il minore dovesse affogare durante le lezioni di nuoto, in capo all’istruttore sarebbe ravvisabile una posizione di garanzia, cioè l’obbligo di impedire l’evento, in virtù del contratto intervenuto con il padre del minore; dall’altra parte, non potrebbe muoversi alcun rimprovero sul piano penale al volontario che, nonostante il suo impegno contrattuale con l’associazione di volontariato, abbia omesso di intervenire per salvare il minore durante il suo xxxxx.Xx entrambi i casi si è di fronte ad un atto di autonomia privata, da cui deriva l’obbligo di impedire il medesimo evento; solo nel primo caso sarà tuttavia ravvisabile la responsabilità penale del soggetto
in nota attraverso l’esempio del bagnante e del volontario è insita nella riserva di legge e nella conseguente necessità che ogni elemento costitutivo della fattispecie penale trovi il fondamento in un atto normativo di rango primario: nell’ipotesi esemplificativa adotta la legge pone, ai sensi della disciplina civilistica di cui agli artt. 315 bis, 147 e 316 c.c.. in capo al genitore il dovere di proteggere il figlio minore, assegnando pertanto allo stesso il ruolo di garante ex lege; solo in questo caso, quando cioè la posizione di garanzia è “originaria” e trova fonte direttamente nella legge, sarà possibile trasferirla in forma derivata ad un soggetto diverso, poiché il trasferimento avviene da parte del garante originario139. Dunque un primo e necessario requisito della posizione di garanzia perché acquisti rilevanza ai fini della responsabilità penale è da ravvisarsi nella sua fonte legislativa, diretta, nel caso del garante originario, o indiretta, con riferimento al garante derivato140. Rispetto alla necessità di una fonte legislativa dell’obbligo di impedire l’evento di diverso avviso sono i sostenitori della c.d. teoria funzionale della posizione di garanzia, i quali non ritengono invece necessaria una base legislativa dell’obbligo di impedire l’evento, assegnando rilevanza penale ad ogni situazione in cui un soggetto sia in condizione di intervenire per impedirlo, anche in assenza di un obbligo giuridico formale in tal senso141. Secondo questa concezione, in altre parole, non occorre accertare sul piano formale l’esistenza di un obbligo di agire per evitare l’evento, purché il reo sia in condizione, sul piano meramente fattuale, di intervenire per
inadempiente. X. Xxxxxxxxxx- X. Xxxxxxx, op. cit., 450 ss.; X. Xxxxxxxxx, op. cit., pag. 100 ss.; X. Xxxxxxxx- X. Xxxxx, op. cit. pag. 157 ss.; F. Antolisei, op. cit., 196 ss.
139 Pertanto, il volontario, che si sia obbligato nei confronti della propria associazione a monitorare i bagnanti, pur essendo gravato da un obbligo giuridico di impedire l’annegamento del minore, non potrà essere ritenuto penalmente responsabile poiché tale obbligo non è assunto nei confronti del garante originario e non trova quindi fonte, neanche indirettamente, in una norma primaria; al contrario, l’istruttore di nuoto che riceva incarico direttamente dal genitore, garante originario ex lege, sarà tenuto ad impedire l’evento-morte e ne risponderà penalmente in quanto titolare di una posizione di garanzia derivata direttamente dal garante ex lege. X. Xxxxxxxx, “Il reato commissivo”, Milano, 1979; X. Xxxxxx, “Il reato omissivo”, Milano, 1983; X. Xxxxxxxxx, op. cit., pag. 100 ss.; X. Xxxxxxxx- X. Xxxxx, op. cit. pag. 267 ss.; F. Antolisei, op. cit., 196 ss.; X. Xxxxxxxxxx- X. Xxxxxxx, op. cit., 450 ss.
140 Si dibatte se tuttavia il garante derivato possa trasferire a propria volta ad un terzo la posizione di garanzia, con effetti sulla responsabilità penale di quest’ultimo; secondo un primo orientamento, quando la posizione di garanzia trasferita derivi comunque dal garante originario, chi la assume dal garante derivato risponderà, al pari di quest’ultimo, dell’evento che è tenuto ad impedire purchè sia consapevole dell’origine legislativa dell’obbligo di impedirlo. Secondo un diverso orientamento dottrinale, invece, non sarebbe ammissibile un ulteriore traferimento della posizione di garanzia, con effetti sulla responsabilità penale, poiché altrimenti si rischierebbe di rendere eccessivamente difficile l’accertamento della fonte dell’obbligo di impedire l’evento, con conseguente incertezza da parte degli operatori giuridici in merito alle conseguenze, penali anche, dell’inadempimento. X. Xxxxxxxxx, op. cit., pag 100 ss.; X. Xxxxxxxx- X. Xxxxx, op. cit. pag. 267 ss.; F. Antolisei, op. cit., 196 ss.; X. Xxxxxxxxxx- X. Xxxxxxx, op. cit., 450 ss.
141 X. Xxxxxxxxxx- X. Xxxxxxx, op. cit., pag. 450; X. Xxxxxxxxx, op. cit., pag. 100 ss.; X. Xxxxxxx- X. Xxxxx, op. cit. pag. 157 ss.; F. Antolisei, op. cit., 196 ss.
impedirlo142. Tuttavia questa teoria si scontra con il principio di riserva di legge, vigente nel nostro ordinamento penale, nonché con la lettera dell’art. 40, 2° comma c.p., che richiede espressamente la sussistenza di un “un obbligo giuridico” in capo al reo143. Ciò nonostante, la suddetta teoria ha avuto il merito di prendere in esame l’obbligo di impedimento dell’evento non solo sotto il profilo giuridico-formale ma anche in relazione ai suoi aspetti dinamici e funzionali, richiedendo di verificare se il reo fosse in condizione di intervenire per impedire l’evento: se fosse cioè titolare di poteri impeditivi – problematici e, per certi aspetti, “scomodi”, come si vedrà, per lo psichiatra. Traendo spunto da questa e considerando le critiche dei sostenitore della teoria formale, la giurisprudenza e la dottrina maggioritarie hanno aderito alla c.d. teoria mista o eclettica che richiede cumulativamente i presupposti dei due approcci, formale e sostanziale144. Secondo questa, una posizione di garanzia penalmente rilevante potrà configurarsi solo in presenza di un obbligo giuridico con base legale, diretta o indiretta, purché alla titolarità formale dell’obbligo di impedire l’evento corrisponda la materiale disponibilità di idonei poteri di intervento. Ne consegue che, ove l’impedimento di un evento sia affidato ad un soggetto, che non per sua colpa, risulti sprovvisto dei necessari poteri impeditivi, la responsabilità penale continuerà a gravare sul garante originario e non potrà comunque essere ravvisata in capo al titolare formale della posizione di garanzia, che non sia tuttavia provvisto dei necessari poteri impeditivi, secondo il principio “ad impossibilia nemo tenetur”145. La soluzione accolta dalla dottrina e giurisprudenza maggioritarie consente, allora, il rispetto del principio di legalità e di scongiurare forme di responsabilità da posizione che violerebbero il principio della personalità della responsabilità penale. Alla luce di tale impostazione e proprio in forza del principio di cui all’art. 27, primo comma, Cost., perché possa ritenersi sussistente la responsabilità penale del reo ai sensi dell’art. 40, 2° comma, c.p., occorrerà che
142 X. Xxxxxxxxx, op. cit., pag. 100 ss.; X. Xxxxxxxx- X. Xxxxx, op. cit. pag. 157 ss.; F. Antolisei, op. cit., 196 ss.; X. Xxxxxxxxxx- X. Xxxxxxx, op. cit., 450 ss.
143 X. Xxxxxxxxx, op. cit., pag. 100 ss.; X. Xxxxxxxx- X. Xxxxx, op. cit. pag. 267 ss.; F. Antolisei, op. cit., 196 ss.; X. Xxxxxxxxxx- X. Xxxxxxx, op. cit., 450 ss.
144 X. Xxxxxx, “Il reato omissivo”, op. cit.; I. Xxxxxxxx, “Obbligo di attivarsi, obbligo di garanzia e obbligo di sorveglianza”, Torino, 1999; X. Xxxxxx, “L’omesso impedimento del reato”, in Riv. it. dir. proc. pen., 1997; X. Xxxxxxxxx, op. cit., pag. 100 ss.; X. Xxxxxxxx- X. Xxxxx, op. cit. pag. 157 ss.; Si veda
F. Antolisei, op. cit., 196 ss.; X. Xxxxxxxxxx- X. Xxxxxxx, op. cit., 450 ss.
145 Basta pensare al caso dell’amministratore di una società che, appena subentrato nella carica sociale, sia rinviato a giudizio per la morte di un dipendente sul posto di lavoro, avvenuta poche ore dall’assunzione della qualità di amministratore (e quindi di datore di lavoro): in questo caso è innegabile la sussistenza di un obbligo formale di impedire l’evento e della posizione di garanzia propria del datore di lavoro in capo al neo-amministratore; è tuttavia del pari innegabile che questi non potrà essere condannato per aver cagionato, in forma omissiva, la morte del lavoratore poiché, pur essendo obbligato ad impedire l’evento non ne ha avuto la materiale disponibilità. Si veda X. Xxxxxxxxx, op. cit., pag 100 ss.; X. Xxxxxxxx- X. Xxxxx, op. cit. pag. 157 ss.; F. Antolisei, op. cit., 196 ss.; X. Xxxxxxxxxx- X. Xxxxxxx, op. cit., 450 ss.
l’obbligo di impedire l’evento presenti base legale, diretta o indiretta, e che il reo risulti provvisto dei necessari poteri impeditivi sul piano materiale e funzionale146; in ossequio al principio di tassatività e di colpevolezza, inoltre, l’obbligo di impedire l’evento dovrà risultare specifico e non vago o generico, al pari dei suoi destinatari, titolari della posizione di garanzia, e dei suoi beneficiari147. Riservando ad una sezione successiva della trattazione quanto mi limito ad accennare, occorre precisare che l’omissione, stante la sua natura normativa, cioè di azione dovuta e non tenuta dal reo, è priva di sostrato materiale, consistendo in un comportamento che doveva essere tenuto ma che non lo è stato e quindi non realizzato. La natura virtuale della condotta omessa, dunque, non può che ripercuotersi sull’accertamento del nesso causale che deve sussistere tra condotta ed evento perché quest’ultimo possa addebitarsi al reo148.
1.2 La colpevolezza: nozione in una prospettiva sistemica
E’ possibile riferirsi a due significati della colpevolezza: il primo indica l’elemento soggettivo, di cui abbiamo ampiamente discusso, del reato nella tripartizione della struttura dell’illecito penale, in assenza del quale il fatto tipico e antigiuridico non è punibile, con conseguente assoluzione dell’imputato “perché il fatto non costituisce
146 X. Xxxxxxxxx, op. cit., pag. 100 ss.; X. Xxxxxxxx- X. Xxxxx, op. cit. pag. 267 ss.; F. Antolisei, op. cit., 196 ss.; X. Xxxxxxxxxx- X. Xxxxxxx, op. cit., 450 ss.
147 Xxxxxxxx all’esempio in riferimento alla fonte legale della posizione di garanzia, se il padre del minore, che abbia stipulato un contratto con l’insegnante di nuoto, non attende che quest’ultimo prenda in carico il minore per le lezioni e, senza attendere l’arrivo dell’insegnante lasci il minore incustodito, non potrà ritenersi che la mera stipula del contratto abbia fatto sorgere in capo all’insegnante, garante derivato, una posizione di garanzia, poiché manca l’effettiva presa in carico del minore, beneficiario, e non sono quindi ravvisabili in capo all’insegnante i necessari poteri impeditivi, sul piano materiale, durante il tempo in cui il genitore si sia allontanato e la lezione non sia iniziata. In caso di annegamento del minore in tale frangente, pertanto, solo il genitore dovrà rispondere penalmente. Si veda X. Xxxxxxxxx, op. cit., pag. 100 ss.; X. Xxxxxxxx- X. Xxxxx, op. cit. pag. 157 ss.; F. Antolisei, op. cit., 196 ss.; X. Xxxxxxxxxx- X. Xxxxxxx, op. cit., 450 ss.
148 Se infatti nei reati in forma attiva l’evento deriva da una condotta materiale effettivamente tenuta dal reo, sicché il giudice è chiamato ad accertare se questa costituisca o meno un antecendente causale del primo, nei reati omissivi l’accertamento richiede un passaggio ulteriore: bisognerà ipotizzare che la condotta dovuta sia stata effettivamente tenuta e, in via ulteriormente ipotetica, accertare se l’eventuale adempimento dell’obbligo sarebbe valso ad impedire l’evento. Si veda X. Xxxxxxxxx, op. cit., pag. 100 ss.; X. Xxxxxxxx- X. Xxxxx, op. cit. pag. 157 ss.; F. Antolisei, op. cit., 196 ss.; X. Xxxxxxxxxx- X. Xxxxxxx, op. cit., 450 ss.
reato”149 Il secondo significato è quello di responsabilità penale, rinvenibile nelle disposizioni della Costituzione così come nei Codici penale e di procedura penale. L’utilizzo dell’espressione “colpevolezza” o “colpevole” per indicare la responsabilità penale ed il relativo responsabile si riscontra infatti, in primis, nella lettera dell’art. 27, 2° comma, della Carta Costituzionale, ai sensi del quale “l’imputato non è considerato colpevole sino alla condanna definitiva”. La sineddoche utilizzata dal Costituente trova fondamento nel ruolo indefettibile della colpevolezza rispetto alla responsabilità del reo, non potendo pervenirsi ad una sentenza di condanna ove manchi l’elemento soggettivo del reato150. Sono numerose le disposizioni di legge ordinaria che utilizzano le espressioni di colpevolezza e colpevole nell’accezione di responsabilità penale e di responsabile del reato151. E del pari nelle più importanti disposizioni del Codice di procedura penale152. Il frequente utilizzo delle espressioni colpevolezza e colpevole nell’accezione di responsabile e responsabilità non deve tuttavia indurre a sovrapporle alla nozione di colpevolezza, intesa come elemento soggettivo del reato, che richiede l’accertamento della capacità di intendere e di volere del soggetto agente e dell’elemento psicologico che ha caratterizzato la condotta tipica153. Tuttavia anche la
149 X. Xxxxxxxxxx- X. Xxxxxxx, op. cit., pag. 450; X. Xxxxxxxxx, op. cit., pag. 100 ss.; X. Xxxxxxx- X. Xxxxx, op. cit. pag. 157 ss.; F. Antolisei, op. cit., 196 ss.
150 Il medesimo uso delle espressioni di “colpevole” e di “colpevolezza” si riscontrano nel testo della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea che all’art. 48, primo paragrafo, richiede che la “colpevolezza” dell’imputato debba essere “legalmente provata”, e si riferisce “ad una persona colpevole” nell’ammettere, all’art. 49, la punibilità dei fatti che, al momento in cui furono commessi, costituivano un crimine secondo i principi generali riconosciuti da tutte le nazioni. Anche nel testo della Convenzione europea dei diritti dell’uomo (CEDU) si rinviene l’uso dell’espressione colpevolezza nell’accezione di responsabilità penale, al secondo comma dell’art.6, ai sensi del quale “Ogni persona accusata di un reato è presunta innocente fino a quando la sua colpevolezza non sia stata legalmente accertata”; del pari, all’art. 2 del Protocollo aggiuntivo n.7 alla Convenzione, si fa riferimento al colpevole nell’accezione di responsabile, sancendo il “Diritto a un doppio grado di giudizio in materia penale”. Si veda X. Xxxxxxxxxx- X. Xxxxxxx, op. cit., 450 ss.
151 L’art. 133 del c.p. qualifica l’autore del reato “colpevole” nella disciplina della quantificazione della pena, o l’art. 185, trattando delle conseguenze civili del reato: vengono in rilievo poiché presuppongono l’accertamento del fatto tipico, dell’antigiuridicità e della colpevolezza del reo. Si veda X. Xxxxxxxxxx- X. Xxxxxxx, op. cit., 450 ss.
152 L’art. 273 c.p. richiede la sussistenza di “gravi indizi di colpevolezza” per l’applicazione di misure cautelari nei confronti dell’indagato o dell’imputato; nonché l’art. 533 c.p., che nel disciplinare i presupposti della sentenza di condanna, che richiede l’accertamento di tutti gli elementi costitutivi del reato, oggettivi e soggettivi, nonché dell’antigiuridicità e dell’assenza di cause di non punibilità, prevede, al primo comma, che “Il giudice pronuncia sentenza di condanna se l’imputato risulta colpevole del reato contestatogli al di là di ogni ragionevole dubbio”. Si veda X. Xxxxxxxxxx- X. Xxxxxxx, op. cit., 450 ss.
153 L’espressione è utilizzata in questa seconda accezione nel testo della Convenzione Europea dei diritti dell’uomo, all’art. 7, rubricato “Nulla poena sine lege”, il cui paragrafo 1 prevede che “Nessuno può essere condannato per una azione o omissione che, al momento in cui è stata commessa , non costitutiva reato secondo il diritto interno o internazionale”; nonostante l’assenza di un espresso riferimento alla colpevolezza nella traduzione italiana della disposizione, la Corte di Strasburgo ha infatti evidenziato che la norma richiede l’accertamento dell’elemento soggettivo del reato nela sua formulazione originale, in lingua inglese, che prevede “No one shall be held guilty of any criminal offence”. La Corte ha interpretato
CEDU adotta l’espressione colpevole in entrambe le accezioni, come emerge dal paragrafo 2 dell’art.6, rubricato “diritto a un equo processo” ai sensi del quale “Ogni persona accusata di un reato è presunta innocente fino a quando la sua colpevolezza non sia stata legalmente accertata”154. La colpevolezza, in questo caso, è infatti da intendersi come responsabilità penale, che dovrà essere accertata nelle forme della legge e nel rispetto del disposto paragrafo 1 dell’art. 6, che sancisce i canoni del giusto processo, richiedendone la pubblicità, la ragionevole durata, nonché l’indipendenza e l’imparzialità del giudice, che hanno ispirato la riforma costituzionale del 1999 e la nuova formulazione dell’art 111 Cost.155 Inevitabilmente nel testo della Carta Costituzionale l’espressione colpevole è utilizzata nella sua accezione di responsabile, nell’affermare all’art. 27, secondo xxxxx, che “L’imputato non è considerato colpevole sino alla condanna definitiva”. La norma costituzionale citata sancisce uno dei più rilevanti principi di garanzia in materia penale, richiedendo il carattere definitivo dell’accertamento della responsabilità penale perché l’imputato possa considerarsi colpevole del fatto contestatogli156. Precedentemente è stato introdotta l’importanza che assume la presunzione di colpevolezza nel nostro ordinamento, relativamente all’accertamento della tipicità e dell’antigiuridicità, imponendo, da un lato, di verificare l’imputabilità oggettiva dell’evento lesivo, superando ogni ragionevole dubbio, e, dall’altro, di porre in capo alla pubblica accusa la prova in giudizio dell’inesistenza delle cause di esclusione dell’antigiuridicità che l’imputato abbia invocato a sua difesa157. Al livello sovranazionale anche la Convenzione europea dei diritti dell’uomo e la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea affermano la medesima regola, sebbene in termini diversi. Tanto l’art. 6 quanto l’art. 48 della Carta di Xxxxx affermano l’innocenza dell’accusato, la prima, e dell’imputato, la seconda, fino a che la colpevolezza “non sia stata legalmente provata”. Nonostante la diversità terminologica, legata all’uso dell’espressione innocenza nelle fonti sovranazionali, deve ritenersi oggi del tutto superato il dibattito che animò la dottrina processual-penalistica a fine Ottocento e inizi Novecento in merito alla correttezza dell’uso dell’espressione “innocenza” e alle differenze semantiche rispetto alla “non colpevolezza”. Si sostenne,
l’espressione “guilty” (colpevole), nell’accezione soggettiva di “colpevole”, richiedendo, pertanto, l’accertamento dell’elemento soggettivo del reato perché possa essere irrogata la pena. Si veda X. Xxxxxxxxxx- X. Xxxxxxx, op. cit., 450 ss.
154 X. Xxxxxxxxxx- X. Xxxxxxx, op. cit., 450 ss. 155 X. Xxxxxxxxxx- X. Xxxxxxx, op. cit., 450 ss. 156 X. Xxxxxxxxxx- X. Xxxxxxx, op. cit., 450 ss. 157 X. Xxxxxxxxxx- X. Xxxxxxx, op. cit., 450 ss.
infatti, da parte della dottrina158 che la presunzione di innocenza, riferita ad un soggetto che si assume responsabile di un fatto di reato, risultasse paradossale e ponesse in contraddizione l’assunzione della qualità di indagato rispetto alla presunzione che il medesimo soggetto sia innocente; del pari si sottolineava la differenza concettuale tra il presumere innocente taluno e il divieto di affermarne la colpevolezza sino all’accertamento definitivo della sua responsabilità159. La questione, che ad oggi è ritenuta un falso problema in forza della piena equiparazione sul piano pratico e normativo delle due formule di innocenza e non colpevolezza, ha tuttavia impegnato i giudici della Corte Costituzionale nel 1972, nel pronunciarsi in merito alla compatibilità con il disposto dell’art. 27, comma secondo, Cost. della previgente disciplina processuale, con particolare riferimento all’abrogato art. 479 c.p.p.160: nella motivazione della sentenza il giudice delle leggi precisa preliminarmente che “la disposizione dell’art. 27, secondo comma, Cost., nel dichiarare che l’imputato non è considerato colpevole sino alla condanna definitiva, vuol garantirgli l’esclusione della presunzione di colpevolezza durante tutto lo svolgimento del rapporto processuale; la condizione giuridica dell’imputato si ricollega al processo, mentre la condizione giuridica di condannato, cioè di colpevolezza, segue il processo”161. La Corte dà quindi atto dell’alternativa tra non colpevolezza e innocenza, precisando che il divieto di presumere la responsabilità dell’imputato opera “sia alla stregua del concetto stesso di colpevolezza”, che per la dottrina generale del reato è comunemente intesa come presupposto indispensabile per l’applicazione della pena; sia in conformità all’espressione testuale usata dall’Assemblea costituente, che nel contrasto delle opinioni, non ha sancito la presunzione d’innocenza, ma, con l’emendare l’originaria proposta della I Sottocommissione, ha voluto presumibilmente asserire che durante il processo non esiste un colpevole, bensì soltanto un imputato”162. Emerge allora, dalla ricostruzione operata dalla Corte Costituzionale, che la questione fu affrontata dall’Assemblea costituente, che sostituì l’originario riferimento alla presunzione di innocenza con l’attuale formulazione dell’art. 27, secondo comma, Cost. Si sottolinea quindi, nella sentenza citata, che “Nel nostro sistema e nella terminologia corrente, dunque, la condizione di non colpevole non sembra identificarsi con quella
158 Manzini, Mortara. Si veda X. Xxxxxxxxxx- X. Xxxxxxx, op. cit., 450 ss.
159 X. Xxxxxxxxxx- X. Xxxxxxx, op. cit., 450 ss.
160 X. Xxxxxxxxxx- X. Xxxxxxx, op. cit., 450 ss.
161 Sentenza n. 107 del 1957; X. Xxxxxxxxxx- X. Xxxxxxx, op cit, Roma, 2019.
162 X. Xxxxxxxxx, op. cit., pag. 100 ss.; X. Xxxxxxxx- X. Xxxxx, op. cit. pag. 267 ss.; F. Antolisei, op. cit.,
d’innocente”, escludendo così che i due concetti si equivalgano e precisando che “chi durante il processo, è non colpevole può essere giudicato, con la sentenza definitiva, innocente oppure colpevole”163. Può dunque rilevarsi, dalla motivazione della sentenza in esame, che il riconoscimento delle qualità di innocente, al pari della qualità di colpevole, in relazione al fatto di reato oggetto di imputazione, necessita di un accertamento in giudizio e del carattere definitivo della sentenza, rispettivamente di assoluzione e di condanna164. La Corte conclude l’esame della questione affermando infatti che “Se fosse vero il contrario, sarebbe illegittima ogni misura di carcerazione preventiva, che invece è ammessa dall’ultimo comma dell’art. 13165; viene evidenziato che la presunzione di innocenza impedirebbe di applicare misure restrittive della libertà personale, anche solo in via provvisoria, a differenza della presunzione di colpevolezza che, richiedendo un accertamento definitivo perché l’imputato possa considerarsi penalmente responsabile, non esclude che, in presenza dei requisiti di legge, possano applicarsi misure restrittive della libertà personale in pendenza del procedimento. Da questa pronuncia emerge la diversa valenza semantica riconosciuta dalla Corte Costituzionale alle due espressioni, che non è idonea ad incidere sulle norme processuali che regolano l’onere di prova nel giudizio. La dottrina166, infatti, ha evidenziato al riguardo che, in realtà, a prescindere dall’espressione utilizzata dal legislatore costituzionale e nonostante la diversa terminologia presente nelle fonti sovranazionali, non mutano le conseguenze pratiche del principio in esame, che detta nel contempo due precetti: uno di carattere sostanziale e l’altro processuale. In forza della prima regola, sostanziale, non può irrogarsi una pena prima che sia stata accertata la responsabilità penale con sentenza passata in giudicato, restando ferma l’ammissibilità, nei soli casi ed in presenza di requisiti fissati dalla legge, delle misure cautelari, stante la diversità della natura e funzione che le caratterizza rispetto alla pena167. La seconda regola, processuale, invece incide sul riparto dell’onere della prova, ed impone all’accusa di dimostrare in giudizio la responsabilità penale dell’imputato, che in questo caso può propriamente ritenersi presunto innocente, con una presunzione relativa da vincere in giudizio, al di là di ogni ragionevole dubbio. È dunque la
163 X. Xxxxxxxxxx- X. Xxxxxxx, op. cit., 450 ss.
164 X. Xxxxxxxxx, op. cit., pag. 100 ss.; X. Xxxxxxxx- X. Xxxxx, op. cit. pag. 267 ss.; F. Antolisei, op. cit., 196 ss.; X. Xxxxxxxxxx- X. Xxxxxxx, op. cit., 450 ss.
165 La sentenza 64 del 1970 di questa Corte; X. Xxxxxxxxxx- X. Xxxxxxx, op. cit., 450 ss
166 Si veda il Xxxxxx; X. Xxxxxxxxx, op. cit., pag. 100 ss.; X. Xxxxxxxx- X. Xxxxx, op. cit. pag. 267 ss.; F. Antolisei, op. cit., 196 ss.; X. Xxxxxxxxxx- X. Xxxxxxx, op. cit., 450 ss.
167 X. Xxxxxxxxx, op. cit., pag. 100 ss.; X. Xxxxxxxx- X. Xxxxx, op. cit. pag. 267 ss.; F. Antolisei, op. cit.,
coesistenza dei due descritti precetti, l’uno sostanziale e l’altro processuale, a consentir di tenere distinti i due concetti di non colpevolezza, nel senso di non responsabilità, e di innocenza, che trovano la loro sintesi sul piano normativo. Difatti, anche le norme sovranazionali, che fanno espresso riferimento all’innocenza dell’imputato o dell’accusato utilizzano contestualmente, nella medesima disposizione, tanto il termine “innocente” quanto l’espressione “colpevolezza”168. Quest’ultima è adoperata dal legislatore costituzionale nell’accezione di responsabilità penale, e quindi di responsabile, nel art. 27, comma secondo. Tuttavia non è da ritenersi che l’accezione di colpevolezza, quale elemento soggettivo del reato, necessario perché possa affermarsi la responsabilità penale dell’imputato, sia estranea al dettato costituzionale169. La dottrina e la giurisprudenza costituzionale hanno infatti affermato la vigenza nell’ordinamento penale del principio di colpevolezza, in forza del combinato disposto del primo e terzo comma dell’art. 27 ai sensi dei quali, rispettivamente, “La responsabilità penale è personale” e “Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato”170. Bisogna dunque procedere a ricostruire l’evoluzione dell’interpretazione costituzionale delle disposizioni citate, che ha condotto alla piena e generale affermazione del principio di colpevolezza, nella storica sentenza n. 364 del 1988, seguita a breve distanza dalla sentenza n. 1085 del medesimo anno. L’assenza di un espresso riferimento nella disciplina costituzionale ha infatti richiesto l’intervento della Corte Costituzionale per far emergere, dalla lettera dell’art. 27 Cost., il principio di colpevolezza, cui era stata negata cittadinanza nell’ordinamento penale, prima che la Corte fosse resa operativa e iniziasse a svolgere la propria funzione di controllo costituzionale171. In questa sede, si rende necessario dare atto dell’evoluzione172 che l’interpretazione dell’art. 27 ha registrato nel corso del tempo, sino alla piena affermazione del principio di colpevolezza. In particolare il primo comma della disposizione, ove prevede che “la responsabilità penale è personale”, è stato inizialmente interpretato in maniera restrittiva e letterale da parte della dottrina, in
168 X. Xxxxxxxxx, op. cit., pag. 100 ss.; X. Xxxxxxxx- X. Xxxxx, op. cit. pag. 267 ss.; F. Antolisei, op. cit., 196 ss.; X. Xxxxxxxxxx- X. Xxxxxxx, op. cit., 450 ss.
169 X. Xxxxxxxxx, op. cit., pag. 100 ss.; X. Xxxxxxxx- X. Xxxxx, op. cit. pag. 267 ss.; F. Antolisei, op. cit., 196 ss.; X. Xxxxxxxxxx- X. Xxxxxxx, op. cit., 450 ss.
170 X. Xxxxxxxxx, op. cit., pag. 100 ss.; X. Xxxxxxxx- X. Xxxxx, op. cit. pag. 267 ss.; F. Antolisei, op. cit., 196 ss.; X. Xxxxxxxxxx- X. Xxxxxxx, op. cit., 450 ss.
171 X. Xxxxxxxxx, op. cit., pag. 100 ss.; X. Xxxxxxxx- X. Xxxxx, op. cit. pag. 267 ss.; F. Antolisei, op. cit., 196 ss.; X. Xxxxxxxxxx- X. Xxxxxxx, op. cit., 450 ss.
172 X. Xxxxxxx, “Diritto pubblico”, Torino, 2017, 561 ss. Si veda X. Xxxxxxxxx, op. cit., pag. 100 ss.; X. Xxxxxxxx- X. Xxxxx, op. cit. pag. 267 ss.; F. Antolisei, op. cit., 196 ss.; X. Xxxxxxxxxx- X. Xxxxxxx, op. cit., 450 ss.
ragione della ratio della disposizione, che emerge dai lavori preparatori dell’Assemblea costituente. Il requisito della personalità della responsabilità penale, infatti, è stato inizialmente interpretato come divieto di responsabilità per fatto altrui. Tuttavia fin dalle prime pronunce della Corte Costituzionale in materia penale, tra cui particolare rilevanza assume la sentenza n. 3 del 15 giugno 1956173, è emersa progressivamente la rilevanza della colpevolezza, nell’accezione di elemento soggettivo del reato, ai fini dell’accertamento del carattere personale della responsabilità penale. In questo percorso giurisprudenziale di affermazione del principio di colpevolezza si inserisce la sentenza
n. 107 del 1957, poco più di un anno dopo dalla apertura della Corte alla colpevolezza come elemento indefettibile del reato, in cui viene dichiarato che, nell’art. 27, primo comma, “la Costituzione, come emerge dalla formulazione letterale del testo, non fa che enunciare il carattere personale della responsabilità penale e contiene perciò un tassativo divieto della responsabilità penale per fatto altrui, senza alcun riferimento al divieto della cosiddetta responsabilità oggettiva” 174. Particolare importanza infine va riconosciuta alla sentenza n. 42 del 1965 intervenuta sulla questione di legittimità costituzionale dell’art 116 c.p., il quale disciplina il concorso anomalo175. È solo nel 1988 che il principio di colpevolezza si emancipa dal divieto di responsabilità per fatto altrui, assurgendo a principio generale di diritto penale ed esigendo così l’accertamento
173 Nella citata sentenza la Corte ha affrontato la questione di legittimità costituzionale della responsabilità del direttore di giornale sotto la previgente disciplina dell’art. 57 c.p., in relazione all’art. 27, comma primo, Cost., interpretato come divieto di fatto altrui. Nella sentenza si afferma tuttavia che la responsabilità penale richiede “sempre un certo nesso psichico, ex art. 40 c.p., sufficiente a conferire alla responsabilità il connotato di personalità”; il profilo soggettivo viene valutato, in tale sede, per verificare se la responsabilità del direttore possa ritenersi per fatto, materialmente, proprio invece che per fatto altrui, senza vagliare il rispetto del principio costituzionale di colpevolezza, ed il conseguente divieto di responsabilità oggettiva. Si veda X. Xxxxxxxxx, op. cit., pag. 100 ss.; X. Xxxxxxxx- X. Xxxxx, op. cit. pag. 267 ss.; F. Antolisei, op. cit., 196 ss.; X. Xxxxxxxxxx- X. Xxxxxxx, op. cit., 450 ss.
174 Questa impostazione legata alla interpretazione tradizionale e restrittiva del primo comma dell’art. 27 Cost., è stata confermata dalla successiva giurisprudenza costituzionale, in cui tuttavia è possibile scorgere qualche apertura in riferimento alla necessità di accertamento dell’elemento soggettivo del reato, come nella sentenza n. 54 del 1964, la cui motivazione prevede che il reato “presuppone nell’agente la volontà” di realizzare la condotta tipica, che consente, secondo la Corte, di affermare che “il fatto punito è perciò sicuramente un fatto proprio del soggetto cui la sanzione penale viene comminata”; la volontà rileva tuttavia, anche in questo caso, quale indice del carattere” proprio” del fatto tipico, in contrapposizione al “fatto altrui” di cui la Costituzione vieta la punizione. Si veda X. Xxxxxxxxx, op. cit., pag. 100 ss.; X. Xxxxxxxx- X. Xxxxx, op. cit. pag. 267 ss.; F. Antolisei, op. cit., 196 ss.; X. Xxxxxxxxxx- X. Xxxxxxx, op. cit., 450 ss.
175 Nella sentenza citata un significativo progresso viene compito nel riconoscimento del principio di colpevolezza, affermando che il principio di personalità della responsabilità penale “trova la sua massima affermazione” proprio “nella partecipazione psichica dell’agente al fatto”. Dunque pur rimanendo ancorata alla concezione tradizionale del divieto di fatto altrui, la Corte opera il proprio giudizio di costituzionalità incentrandolo sull’esistenza di un nesso psichico tra il fatto e l’autore, che consente di escludere che questi debba rispondere per un fatto non proprio; X. Xxxxxxxx- X. Xxxxx, op. cit. pag. 267 ss.; F. Antolisei, op. cit., 196 ss.; F. Caringella- A. Salerno, op. cit., 450 ss. F. Mantovani, “Diritto penale”, Milano, 2019, pag 286 ss.
dell’elemento soggettivo in capo al reo perché possa essere ritenuto penalmente responsabile. La pronuncia n. 364 del 1988 della Corte Costituzionale, il cui relatore fu Dell’Andro, rappresenta l’epilogo dell’evoluzione giurisprudenziale che ha progressivamente riconosciuto detto principio, come viene confermato nella motivazione, in cui si legge “Qui quella tendenza si completa e conclude”176. Oggetto della sentenza in esame è stata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 5 c.p. nella parte in cui non assegnava efficacia all’errore scusabile sulla legge penale. Nella sentenza, la Corte prende le mosse dall’interpretazione tradizionale dell’art. 27, primo comma, Cost. che prendeva in considerazione il solo divieto di responsabilità per fatto altrui. Si osserva che già nei lavori preparatori dell’art. 27 Cost. l’Assemblea costituente aveva rilevato il carattere indefettibile dell’elemento soggettivo perché possa configurarsi un reato, facendo riferimento al “fatto” proprio o altrui, “come comprensivo anche d’un minimo di requisiti subiettivi”177. È tuttavia nel combinato disposto tra il primo e terzo comma dell’art. 27 che la Corte individua il fondamento costituzionale del principio di colpevolezza. Innanzitutto nella sentenza è necessario evidenziare che l’espressione “fatto proprio”, che si contrappone al “fatto altrui” nell’accezione minima della personalità della responsabilità penale, non si rinviene nella lettera del comma primo, che utilizza l’aggettivo “personale”178. Tale scelta lessicale secondo i giudici della Corte, non è causale e trova la propria chiave di lettura nel terzo comma del medesimo articolo, nella parte in cui enuncia la funzione rieducativa della pena: si è infatti osservato che “comunque si intenda la funzione rieducativa di quest’ultima, essa postula almeno la colpa dell’agente in relazione agli elementi più significativi della fattispecie tipica. Non avrebbe senso la “rieducazione” di chi, non essendo almeno “in colpa”(rispetto al fatto) non ha, certo, “bisogno” di essere “rieducato”179. La Corte sostiene, pertanto, che è corretto affermare “che si risponde penalmente soltanto per il fatto proprio, purché si precisi che per “fatto proprio” non s’intende il fatto collegato al soggetto, all’azione dell’autore, dal mero nesso di causalità materiale (da notare infatti che, anzi, nella fattispecie plurisoggettiva il fatto comune diviene anche “proprio” del singolo compartecipe in base al solo “favorire” l’impresa comune, ma anche, e soprattutto, dal momento subiettivo, costituito, in
176 F. Mantovani, op. cit., pag. 100 ss.; G. Fiandaca- E. Musco, op. cit. pag. 267 ss.; F. Antolisei, op. cit., 196 ss.; F. Caringella- A. Salerno, op. cit., 450 ss.
177 F. Mantovani, op. cit., pag. 100 ss.; G. Fiandaca- E. Musco, op. cit. pag. 267 ss.; F. Antolisei, op. cit., 196 ss.; F. Caringella- A. Salerno, op. cit., 450 ss.
178 F. Caringella- A. Salerno, op. cit., 450 ss.
179 F. Mantovani, op. cit., pag. 100 ss.; G. Fiandaca- E. Musco, op. cit. pag. 267 ss.; F. Antolisei, op. cit., 196 ss.; F. Caringella- A. Salerno, op. cit., 450 ss.
presenza della prevedibilità ed evitabilità del risultato vietato almeno dalla “colpa” in senso stretto”180. Nella motivazione della sentenza viene pertanto messo in luce lo stretto legame tra requisito di personalità e fine rieducativo cui la pena deve tendere, precisando che, fermo il divieto di responsabilità penale per fatto altrui, non riconducibile sul piano oggettivo alla condotta dell’imputato, deve interpretarsi il requisito di personalità della responsabilità penale come responsabilità per fatto proprio colpevole, cioè caratterizzato dalla sussistenza di un pur minimo coefficiente soggettivo che consenta di muovere un rimprovero al reo. La Corte conclude precisando sul punto che “il fatto imputato, perché sia legittimamente punibile, deve necessariamente includere almeno la colpa dell’agente in relazione agli elementi più significativi della fattispecie tipica. Il fatto (punibile, proprio dell’agente) va, dunque, nella materia che si sta trattando, costituzionalmente inteso in una larga, anche subiettivamente181 caratterizzata accezione e non in quella, riduttiva, d’insieme di elementi oggettivi”; ne deriva che “Dal collegamento tra il primo e terzo comma dell’art. 27 Cost. risulta, altresì, insieme con la necessaria “rimproverabilità” della personale violazione normativa, l’illegittimità costituzionale della punizione di fatti che non risultino essere espressione di consapevole, rimproverabile contrasto con i (od indifferenza ai) valori della convivenza, espressi dalle norme penale”182. La sentenza n. 364 del 1988 esprime così il principio di colpevolezza, accogliendo una interpretazione estensiva dell’art. 27, comma primo Cost., in combinato disposto con il comma terzo della disposizione costituzionale, che impone l’accertamento dell’elemento soggettivo del reato perché l’autore del fatto tipico ed antigiuridico possa essere ritenuto penalmente responsabile. I principi e le argomentazioni espressi nella sentenza sono stati richiamati e confermati nella successiva pronuncia n. 1085 dello stesso anno, avente ad oggetto la legittimità costituzionale delle norme che disciplinano il c.d. furto d’uso, nella parte in cui non consentono la configurabilità del tentativo di furto d’uso, bensì un furto semplice consumato, quando il reo non abbia potuto restituire la cosa sottratta per caso fortuito o forza maggiore183. Nell’affrontare la questione la Corte richiama espressamente la sentenza n. 364, evidenziando che in tale occasione è stata affermata la necessità di accertare che sussista “almeno la colpa quale collegamento subiettivo tra l’autore del
180 F. Mantovani, op. cit., pag. 100 ss.; G. Fiandaca- E. Musco, op. cit. pag. 267 ss.; F. Antolisei, op. cit., 196 ss.; F. Caringella- A. Salerno, op. cit., 450 ss.
181 G. Fiandaca- E. Musco, op. cit., pag. 330; F. Mantovani, “Diritto penale”, Milano, 2019, pag. 278.
fatto ed il dato significativo (sia esso evento oppur no) addebitato” perché possa ritenersi soddisfatto il requisito di personalità della responsabilità penale184. Si precisa inoltre che “Dal primo comma dell’art. 27 Cost., come è stato chiarito nella citata sentenza n. 364 del 1988, non soltanto risulta indispensabile ai fini dell’incriminabilità, il collegamento (almeno nella forma della colpa) tra soggetto agente e fatto (o, nella specie, tra soggetto ed elemento significativo della fattispecie) ma risulta altresì necessaria la rimproverabilità dello stesso soggettivo collegamento”. La rimproverabilità non è stata riscontrata nell’ipotesi in cui il fatto tipico, anche solo in parte, non risulti imputabile, né sul piano oggettivo, né sul piano soggettivo soprattutto, alla condotta e alla volontà dell’imputato185. Nella sentenza si afferma infatti che “Perché l’art. 27, primo comma, Cost, sia pienamente rispettato e la responsabilità penale sia autenticamente personale, è indispensabile che tutti e ciascuno degli elementi che concorrono a contrassegnare il disvalore della fattispecie siano soggettivamente collegati all’agente (siano, cioè investiti dal dolo e dalla colpa) ed altresì indispensabile che tutti e ciascuno dei predetti elementi siano allo stesso agente rimproverabili e cioè anche soggettivamente disapprovati”186. Attraverso il riportato passaggio motivazionale, dunque, il giudice delle leggi precisa l’ambito operativo del principio di colpevolezza, affermando che l’elemento soggettivo deve abbracciare “tutti e ciascuno” degli elementi costitutivi del reato. Sulla scorta di tale considerazione, dunque, la Corte ha ritenuto incostituzionale l’art. 626, comma primo, n.1, c.p. laddove “nell’ipotesi di mancata restituzione per caso fortuito o forza maggiore della cosa sottratta, chiama a rispondere di furto ordinario il reo del quale è rimasto intatto il dolo, generico e specifico, del furto d’uso, senza che si siano aggiunti diversi, rilevanti contenuti intenzionali”. Manca infatti la volontarietà, in questo caso, della mancata restituzione, che è dovuta a cause al reo non imputabili187. I principi consacrati nelle sentenze del 1988 e l’affermazione del principio di necessaria colpevolezza in essa contenuta hanno trovato conferma nel 2007 in una importante pronuncia, n. 322, della Corte Costituzionale, relativa alla legittimità costituzionale dell’art 609 sexies c.p., nella parte in cui escludeva rilevanza all’ignoranza dell’età della persona offesa nei delitti
184 F. Mantovani, op. cit., pag. 100 ss.; G. Fiandaca- E. Musco, op. cit. pag. 267 ss.; F. Antolisei, op. cit., 196 ss.; F. Caringella- A. Salerno, op. cit., 450 ss.
185 F. Mantovani, op. cit., pag. 100 ss.; G. Fiandaca- E. Musco, op. cit. pag. 267 ss.; F. Antolisei, op. cit., 196 ss.; F. Caringella- A. Salerno, op. cit., 450 ss.
186 F. Mantovani, op. cit., pag. 100 ss.; G. Fiandaca- E. Musco, op. cit. pag. 267 ss.; F. Antolisei, op. cit., 196 ss.; F. Caringella- A. Salerno, op. cit., 450 ss.
187 F. Mantovani, op. cit., pag. 100 ss.; G. Fiandaca- E. Musco, op. cit. pag. 267 ss.; F. Antolisei, op. cit., 196 ss.; F. Caringella- A. Salerno, op. cit., 450 ss.
contro la libertà sessuale. La Corte ha infatti dichiarato inammissibile la questione di legittimità costituzionale sollevata riguardo la disposizione citata e, nel contempo, ne ha indicato una interpretazione “costituzionalmente orientata”, proprio in ragione dei principi espressi nelle sentenza 1988, che hanno consentito di assegnare rilevanza all’errore del soggetto agente quando risulti scusabile188. Nella motivazione della sentenza si legge infatti che “l’art. 27 primo comma, Cost., secondo quanto chiarito dalle sentenze n. 364 e n. 1085 del 1988 di questa Corte, non si limita a vietare la responsabilità per fatto altrui, ma esige altresì un collegamento psichico almeno nella forma della colpa tra l’agente e il nucleo significativo e fondante della fattispecie, nel quale si risolve il disvalore del fatto incriminato, giustificando così la funzione rieducativa della pena che ne consegue”. Si ribadisce quindi, nella sentenza del 2007, che occorre “un coefficiente di partecipazione psichica del soggetto al fatto, rappresentato quando meno dalla colpa in relazione agli elementi più significativi della fattispecie tipica” tra cui rientra senza dubbio l’età della persona offesa nei reati contro la liberà sessuale189. Anche la sentenza n. 1085 del 1988 è oggetto di espresso richiamo, nella parte in cui afferma che “è indispensabile che tutti e ciascuno degli elementi che concorrono a contrassegnare il disvalore della fattispecie siano soggettivamente collegati all’agente (siano, cioè, investiti dal dolo e dalla colpa) ed è altresì indispensabile che tutti e ciascuno dei predetti elementi siano allo stesso agente rimproverabili e cioè anche soggettivamente disapprovati”190. Sulla scorta di tali considerazioni, dunque, la Corte afferma che, in relazione ai delitti contro la libertà sessuale, “l’elemento dell’età, quale che ne sia il ruolo nella struttura della fattispecie (elemento costitutivo, presupposto del fatto, condizione non obiettiva di punibilità), deve poter essere collegato all’agente anche dal punto di vista soggettivo, così da rendere la sua condotta, alla stregua delle indicazioni proposte dalla sentenza n. 364 del 1988, espressiva di un rimproverabile contrasto o indifferenza rispetto ai valori sanciti dalla norma incriminatrice”191. La Corte ha tuttavia riscontrato che tali principi non sono stati adoperati dal giudice a quo nel valutare la praticabilità di una interpretazione costituzionalmente orientata della disposizione denunciata, che
188 F. Mantovani, op. cit., pag. 100 ss.; G. Fiandaca- E. Musco, op. cit. pag. 267 ss.; F. Antolisei, op. cit., 196 ss.; F. Caringella- A. Salerno, op. cit., 450 ss.
189 F. Mantovani, op. cit., pag. 100 ss.; G. Fiandaca- E. Musco, op. cit. pag. 267 ss.; F. Antolisei, op. cit., 196 ss.; F. Caringella- A. Salerno, op. cit., 450 ss.
190 F. Mantovani, op. cit., pag. 100 ss.; G. Fiandaca- E. Musco, op. cit. pag. 267 ss.; F. Antolisei, op. cit., 196 ss.; F. Caringella- A. Salerno, op. cit., 450 ss.
191 F. Mantovani, op. cit., pag. 100 ss.; G. Fiandaca- E. Musco, op. cit. pag. 267 ss.; F. Antolisei, op. cit., 196 ss.; F. Caringella- A. Salerno, op. cit., 450 ss.
consentisse di verificare se l’errore, quando scusabile, possa escludere la punibilità del soggetto agente. La questione è stata pertanto ritenuta inammissibile, sottolineando che “il principio di colpevolezza, quale delineato dalle sentenze n. 364 e 1085 del 1988 di questa Corte, si pone non soltanto quale vincolo per il legislatore, nella conformazione degli istituti penalistici e delle singole norme incriminatrici; ma anche come canone ermeneutico per il giudice, nella lettura e nell’applicazione delle disposizioni vigenti”192. Emerge, dunque, la piena ed esplicita affermazione del principio di colpevolezza che, oltre a parametro di legittimità costituzionale delle disposizioni di diritto penale, è indicato come criterio interpretativo a disposizione del giudice penale193.
1.2.1 Elemento costitutivo della struttura del reato
Dopo aver illustrato le due accezioni della nozione di colpevolezza, quale sinonimo di responsabilità penale e come elemento soggettivo del reato, cui si riferiscono rispettivamente i principi costituzionali della presunzione di non colpevolezza, ex art. 27, comma secondo, e del principio di colpevolezza, desumibile dal primo e terzo comma del medesimo articolo, occorre introdurre l’esame della colpevolezza quale elemento soggettivo del reato che, nella struttura dell’illecito penale, si affianca all’elemento oggettivo, secondo la teoria bipartita, o alla tipicità ed antigiuridicità, nella concezione tripartita del reato194. Questo elemento subiettivo, alla luce della concezione condivisa, può dirsi aver conseguito lo status civitatis fra gli “essentialia delicti”, il quale ha rappresentato, per lungo tempo, il “il principale campo di battaglia del pensiero penalistico”195. Infatti la teoria generale del reato in inspecie si avvantaggia della reciproca collaborazione e scambio di risultati nei campi dottrinari dei diversi paesi, in
192 F. Mantovani, op. cit., pag. 100 ss.; G. Fiandaca- E. Musco, op. cit. pag. 267 ss.; F. Antolisei, op. cit., 196 ss.; F. Caringella- A. Salerno, op. cit., 450 ss.
193 F. Mantovani, op. cit., pag. 100 ss.; G. Findaca- E. Musco, op. cit. pag. 267 ss.; F. Antolisei, op. cit., 196 ss.; F. Caringella- A. Salerno, op. cit., 450 ss.
194 F. Mantovani, op. cit., pag. 100 ss.; G. Fiandaca- E. Musco, op. cit. pag. 267 ss.; F. Antolisei, op. cit., 196 ss.; F. Caringella- A. Salerno, op. cit., 450 ss.
195 G. Bellavista, “Annali del seminario giuridico della Università di Palermo”, 1944, XIX volume: “Questo campo è diviso da tre diverse concezioni della stessa colpevolezza: psicologica, normativa e caratterologica. Ma così dicendo si pone in essere un’approssimazione di utilità didattica e sistematica”.
particolare giuristi italiani e tedeschi196. Così come si è dimostrato che è di Carrara la lucida intuizione dell’antigiuridicità, come rapporto di contraddizione tra il fatto e la norma penale, è merito dei giuristi germanici aver elaborato in maniera impeccabile detto concetto, catalogando l’antigiuridicità tra gli elementi essenziali del reato. Ma a proposito del concetto di colpevolezza, le due scienze, quella italiana e tedesca, si sono reciprocamente chiuse in uno “splendido isolamento con qualche sparuta lodevole eccezione”197. Scrive il Vannini198 che per rispondere penalmente di un fatto previsto dalla legge come reato, non basta che questo fatto sia stato realizzato da un soggetto attivo in stato di imputabilità, ma è necessario che il fatto deve essere stato commesso “colpevolmente”, vale a dire che il soggetto attivo deve essere stato del fatto non soltanto causa materiale, ma anche causa morale, onde la colpevolezza può definirsi “il rapporto causale soggettivo tra il fatto previsto dalla legge come reato e l’autore del fatto. In ogni reato, secondo il Vannini, sia esso un delitto di danno o di pericolo o una contravvenzione, la colpevolezza è conseguentemente, sempre ed esclusivamente, volontà di compiere il fatto vietato dalla legge penale, senza peraltro la necessità di conoscere che quel fatto costituisce reato199. Il concetto di colpevolezza sarebbe unico di fronte a qualsiasi reato appunto perché è dato dalla corrispondenza precisa del contenuto della volontà al contenuto del fatto incriminato. E se questo contenuto della colpevolezza varia, è perché ogni reato ha un suo proprio contenuto speciale, diverso da quello degli altri reati del sistema200. Si insiste, nel Vannini, che l’essenza della colpevolezza consiste soltanto nel rapporto di identità tra volontà e concorrenti a realizzare un “fatto di reato”: codesto rapporto non consentirebbe graduazioni quantitative e qualitative, appunto perché come la libera volizione non è più “in guise libera” per la diversità dei motivi che l’hanno determinata, alla stessa maniera la colpevole volizione non è più “in guise colpevole” per il diverso contenuto della volizione stessa; onde sarebbe falso argomentare del dolo e della colpa come di due opposte forme, di due opposti atteggiamenti della colpevolezza. A queste ultime
196 Tra Mittermaier e Carmigiani. Si veda G. Bellavista, “Annali del seminario giuridico della Università di Palermo”, 1944, XIX volume: “Questo campo è diviso da tre diverse concezioni della stessa colpevolezza: psicologica, normativa e caratterologica. Ma così dicendo si pone in essere un’approssimazione di utilità didattica e sistematica”.
197 G. Bellavista, op. cit.
198 O. Vannini, “Per un concetto unitario di colpevolezza”, in Studi senesi, 1926, cit., pag. 316 ss. Si veda
G. Bellavista, “Annali del seminario giuridico della Università di Palermo”, 1944, XIX volume: “Questo campo è diviso da tre diverse concezioni della stessa colpevolezza: psicologica, normativa e caratterologica. Ma così dicendo si pone in essere un’approssimazione di utilità didattica e sistematica”. 199 G. Bellavista, op. cit.
200 O. Vannini, “Per un concetto unitario”, op. cit. Si veda G. Bellavista, op. cit.
conclusioni giunge Vannini collocandosi in una posizione perfettamente opposta a quella tenuta dalla comune dottrina. Quando egli parla di “colpa”, intende riferirsi soltanto ed esclusivamente alla colpa con previsione, cosciente201. L’altra specie di colpa, che tuttavia vive nella realtà giuridica, la c.d. colpa incosciente202 che per alcuni autori è l’unica vera colpa, non potrebbe essere fondamento di imputabilità se, di fronte ad una norma di pericolo, qual è quella che impone prudenza e diligenza, esprime volontarietà dell’azione che si compie perché si ignorano i pericoli che possono eventualmente derivare203. Ranieri e la sua dottrina, invece, incarnano la visione odierna di colpevolezza di “relazione soggettiva di carattere psicologico tra autore e reato”, cioè tra un soggetto capace di colpa ed un avvenimento esteriore: della colpevolezza dolo e colpa sono le due forme. Se però la colpa viene contrapposta al dolo, afferma il Ranieri, perché per essa si ha azione volontaria con evento involontario, mentre nella ipotesi di dolo all’azione volontaria segue un evento anch’esso volontario, sono queste caratteristiche proprie della colpa e del dolo, che nessuna abilità dialettica può eliminare perché fondate in natura prima che in legislazione204. Anzi ogni sforzo volto a sopprimere questo contrasto ineliminabile sarebbe, secondo il nostro autore, destinato a cadere nel nulla, “non potendosi comporre in unità ciò che di composizione unitaria non è suscettivo”205. Si conclude ritenendo il concetto di colpevolezza come superiore, nel quale rientrano il dolo e la colpa, che ne esauriscono il contenuto senza d’uopo di altri requisiti206. La costruzione che ne fa il Ranieri è più profonda di quella che comunemente le si attribuisce: essa non esprime soltanto la relazione soggettiva di carattere psicologico tra autore e reato, ma per essa la personalità del delinquente si riflette nel reato ed il reato è espressione dell’antigiuridicità della personalità del suo autore. Non si esaurisce dunque nell’atto cosciente del volere che unisce il soggetto alla sua opera, ma si estenderebbe anche alla conformità dell’opera alla persona dell’autore, alla conformità dell’avvenimento antigiuridico alla personalità del reo207. Dunque, l’indagine deve rivolgersi al generale stato psichico del soggetto e l’essenza della colpevolezza si fonda sulla conformità dell’intera personalità del suo autore all’avvenimento esteriore antigiuridico; ai fini del magistero punitivo il reato va considerato non soltanto nel suo valore causale ma anche nel suo valore sintomatico,
201 C.d. “Bewuste Fahrlässigkeit” della dottrina tedesca. Si veda G. Bellavista, op. cit.
202 “Unbewuste”. Si veda G. Bellavista, op. cit.
203 Per il Vannini colpa cosciente e dolo sono un unum et idem. Si veda G. Bellavista, op. cit.
204 G. Bellavista, op. cit.
205 Ranieri, “Colpevolezza”, Milano, 1933, cit., pag. 32. Si veda G. Bellavista, op. cit.
206 Ranieri, op. cit., pag. 36. Si veda G. Bellavista, op. cit.
207 Ranieri, op. cit., pag. 36. Si veda G. Bellavista, op. cit.
esigendo la determinazione da attribuire all’espressione della personalità del reo208. Questa, rivelatasi nel reato, deve intendersi come la generale personalità bio-psichica, come complesso di condizioni morfologiche, fisiologiche, psichiche individuali delle quali il reato è veramente rivelazione in questo ampio significato che il Ranieri riterrebbe di poter attribuire alla nozione di colpevolezza, non costretta nei limiti tradizionali, ma comprensiva della relazione tra reato e personalità del reo. Dunque, esso è sì un elemento complesso che, al pari della tipicità, si compone di ulteriori e altrettanto indispensabili elementi costitutivi, in assenza dei quali il reato non può ritenersi perfezionato209. Può sinteticamente affermarsi che l’elemento soggettivo210 del reato si compone di imputabilità del soggetto agente, della coscienza e della volontà della condotta, definita “suitas”, nonché dell’elemento soggettivo in senso stretto, che può configurarsi nelle forme del dolo, della colpa o della preterintenzione, anche in combinazione tra loro211. Perché un reato possa ritenersi perfezionato occorre che il fatto tipico sia stato commesso in assenza di cause di giustificazione e da parte di un soggetto capace di intendere e di volere, imputabile allora, che abbia posto in essere la condotta criminosa con coscienza e volontà, la c.d. suitas, e con dolo, colpa o preterintenzione a seconda dell’elemento soggettivo richiesto dalla norma incriminatrice, la quale viene meno in presenza di cause di esclusione della colpevolezza o scusanti212. L’elemento psicologico che regge la condotta tipica rileva non solo ai fini della colpevolezza, ma incide a monte sulla configurabilità del fatto tipico. Il legislatore descrive infatti le fattispecie penali, sul piano della tipicità, e cioè, del fatto che integra sul piano oggettivo l’elemento materiale del reato, assegnando rilevanza all’elemento soggettivo richiesto perché il reato possa ritenersi integrato, distinguendo tra forme colpose, preterintenzionali o dolose della realizzazione della
208 Ranieri, op. cit., pag. 75. Si veda G. Bellavista, op. cit.
209 Ranieri, op. cit., pag. 75 ss. Si veda G. Bellavista, op. cit.
210 Per la concezione psicologica, si veda la dottrina: G. Musotto, “Colpev., dolo e colpa”, Palermo, 1939; G. Bellavista, “Il problema della colpev.”, Palermo, 1942; G. Bettiol, “Colpev. Normativa e pena retributiva”, in Annali Triestini di Dir. Econ. e Polit., Padova, 1943; B. Petrocelli, “La colpevolezza”, Padova, 1955; D. Santamaria, “Colpevolezza”, in Enc. dir., VII, 1961; P. Nuvolone, “La concezione giuridica italiana del colpevole”, in Xxx.xx., 1976; T. Padovani, “Appunti sull’evoluzione del concetto di colpevole., in Xxx.xx, 1973; G. Vassalli, “Colpevolezza”, in Enc. giur., VI, 1988; G. Fiandaca, “Considerazioni sulla colpev. e prevenzione, ivi 1987, C. Roxin, “Considerazioni di politica crim. sul prinicipio di colpev., in Xxx.xx., 1980. Si veda inoltre G. Bellavista, op. cit. F. Mantovani, op. cit., pag. 100 ss.; G. Fiandaca- E. Musco, op. cit. pag. 267 ss.; F. Antolisei, op. cit., 196 ss.
211 Nei casi di dolo misto a colpa. Si veda F. Caringella- A. Salerno, op. cit., 450 ss.
212 F. Caringella- A. Salerno, op. cit., 450 ss. F. Mantovani, op. cit., pag. 100 ss.; G. Fiandaca- E. Musco, op. cit. pag. 267 ss.; F. Antolisei, op. cit., 196 ss.
medesima offesa 213. Il Codice prevede tre distinte ed autonome fattispecie penali che, sebbene sia accomunate dall’evento letale cagionato dal reo, si distinguono, già sul piano della tipicità e quindi della condotta punibile, per l’elemento soggettivo richiesto214. Per cogliere le differenze tra omicidio colposo e doloso si può iniziare facendo riferimento alla definizione normativa di delitto colposo ex art. 43, primo comma, terzo capoverso, c.p., in cui si richiede che l’evento si sia verificato a causa di un comportamento contrario a regole cautelari generiche ovvero per violazioni di norme cautelari specifiche; la citata disposizione richiede quindi un elemento costitutivo ulteriore rispetto alla fattispecie dolosa di omicidio, che consiste, già sul piano della tipicità, nella causalità della colpa, ossia nella derivazione dell’evento-morte dalla violazione di una regola cautelare215. Oltre ad incidere sulla fattispecie penale entro cui sussumere il comportamento del reo, l’elemento soggettivo può rilevare ai fini del regime normativo applicabile, come nel caso di omicidio e di lesioni colposi, cagionati tuttavia per violazione delle norme che regolano la circolazione stradale, che comporta, a determinate condizioni, l’applicazione delle disposizioni di cui, rispettivamente agli artt. 589 bis ss. e 590 bis ss. del Codice penale216. Quindi la colpevolezza possiede un duplice ruolo nella struttura del reato, che costituisce elemento indefettibile dell’illecito penale, ed allo stesso tempo incide sulla tipicità del reato e sugli elementi costitutivi della condotta criminosa217. Sulla base della premessa fatta sulla rilevanza della
213 Si pensi al delitto di omicidio doloso, che ai sensi dell’art. 575 c.p. punisce “chiunque cagiona la morte di un uomo”, quando il fatto sia stato commesso con dolo, cioè con intenzione; alla disposizione citata si affianca il delitto di omicidio colposo, di cui all’art. 589, primo comma, c.p., ai sensi del quale è altresì punito, con una pena minore, “Chiunque cagiona per colpa la morte di una persona”. Il quadro normativo è completato dall’art. 584 c.p. che punisce a titolo di omicidio preterintenzionale, “Chiunque, con atti diretti a commettere uno dei delitti preveduti dagli artt. 581 e 582, cagiona la morte di un uomo”. F. Caringella- A. Salerno, op. cit., 450 ss. F. Mantovani, op. cit., pag. 100 ss.; G. Fiandaca- E. Musco, op. cit. pag. 267 ss.; F. Antolisei, op. cit., 196 ss.
214 Questa distinzione emerge chiaramente nel caso dell’omicidio preterintenzionale, in cui la causazione della morte di un uomo deve essere derivata dall’ulteriore elemento costitutivo degli atti diretti a commettere i delitti di percosse e di lesioni, poiché la preterintenzione si caratterizza per la volontà di un’offesa meno grave di quella effettivamente realizzata, come nel caso di lesioni della vittima rispetto alla sua morte. F. Caringella- A. Salerno, op. cit., 450 ss. F. Mantovani, op. cit., pag. 100 ss.; G. Fiandaca- E. Musco, op. cit. pag. 267 ss.; F. Antolisei, op. cit., 196 ss.
215 F. Caringella- A. Salerno, op. cit., 450 ss. F. Mantovani, op. cit., pag. 100 ss.; G. Findaca- E. Musco, op. cit. pag. 267 ss.; F. Antolisei, op. cit., 196 ss.
216 La particolare natura delle norme cautelari violate e la gravità delle infrazioni commesse comporta infatti una serie di conseguenze rilevanti, tanto sul piano dell’accertamento del reato, quanto in relazione al regime giuridico cui il reo è sottoposto, a partire dalla possibilità di procedere all’arresto in flagranza del soggetto agente. F. Caringella- A. Salerno, op. cit., 450 ss. F. Caringella- A. Salerno, op. cit., 450 ss.
F. Mantovani, op. cit., pag. 100 ss.; G. Fiandaca- E. Musco, op. cit. pag. 267 ss.; F. Antolisei, op. cit., 196 ss.
217 Questa duplice veste è stata affermata dalla Corte Costituzionale nell sentenza n. 364 del 1988, in cui si legge “La tipicità (oggettiva e soggettiva) del fatto (ovviamente, di regola, vengono richiesti nelle diverse ipotesi criminose, ulteriori elementi subiettivi, come il dolo ecc.), costituisce, così, primo, necessario “presupposto” della punibilità ed è distinta dalla valutazione e rimproverabilità del fatto
colpevolezza nella struttura del reato, proseguendo la trattazione di quest’ultima come elemento soggettivo dell’illecito, occorre compiere alcune preliminari precisazioni sulla nozione di colpevolezza. È possibile infatti registrare un’evoluzione nel pensiero della dottrina e nell’impostazione giurisprudenziale accolta, che ha visto alternarsi due concezioni dell’elemento soggettivo218. La prima è definita “concezione psicologica”, configurandosi la componente quale nesso psichico tra il reo e la condotta tipica, come già è stato in precedenza detto, ossia tra il soggetto agente ed il fatto di reato. In questa accezione la colpevolezza è concepita in astratto, e in via generale, quale requisito della punibilità del fatto, e non ammette graduazioni dell’intensità dell’elemento soggettivo, legate alle particolarità del caso concreto219. A tale ricostruzione della colpevolezza è stato obiettato che, limitandosi a richiedere un effettivo nesso psichico tra il reo e la condotta criminosa, la concezione psicologica impedisce di assegnare rilevanza alla diversa intensità del rimprovero che è possibile muovere nei confronti del reo per il fatto commesso, la cui valutazione richiede invece di tenere in considerazione ogni profilo concreto del reato; del pari, si è rilevato che tale accezione della colpevolezza mal si concilia con la struttura della colpa, in cui può anche mancare un’effettiva consapevolezza e adesione psicologica del reo rispetto alla condotta220. Alla luce delle obiezioni esposte è stata sostenuta la “concezione normativa” della colpevolezza, elaborata dalla dottrina tedesca221, che individua il fondamento della colpevolezza nel
stesso”; emerge dunque, attraverso il riferimento alla “tipicità soggettiva”, la rilevanza dell’elemento soggettivo in relazione al fatto tipico che va dunque distinto dalla “rimproverabilità del fatto stesso”, identificabili con la colpevolezza in senso stretto. F. Caringella- A. Salerno, op. cit., 450 ss. F. Mantovani, op. cit., pag. 100 ss.; G. Fiandaca- E. Musco, op. cit. pag. 267 ss.; F. Antolisei, op. cit., 196 ss.
218 F. Caringella- A. Salerno, op. cit., 450 ss. F. Mantovani, op. cit., pag 100 ss.; G. Fiandaca- E. Musco, op. cit. pag. 267 ss.; F. Antolisei, op. cit., 196 ss.
219 Secondo tale impostazione, infatti, è sufficiente accertare l’esistenza dell’elemento soggettivo del reato, inteso come effettiva adesione psicologica del reo all’azione od omissione, restando invece indifferenti al giudizio del giudice penale le motivazioni del reo, la sua personalità, l’intensità del dolo, cioè l’intenzione, o la gravità della colpa, e ogni altro profilo attinente alla fattispecie concreta; presupposto della concezione psicologica è infatti la secca alternativa tra la sussistenza o la mancanza dell’elemento soggettivo ai fini dell’accertamento della responsabilità penale. F. Caringella- A. Salerno, op. cit., 450 ss. F. Mantovani, op. cit., pag. 100 ss.; G. Fiandaca- E. Musco, op. cit. pag. 267 ss.;
F. Antolisei, op. cit., 196 ss.
220 Allo stesso modo di una violazione cautelare volontaria: si pensi a chi cagioni un evento lesivo per imprudenza, senza essere effettivamente consapevole, perché ad esempio distratto, di stare violando una regola cautelare. F. Caringella- A. Salerno, op. cit., 450 ss. F. Mantovani, op. cit., pag. 100 ss.; G. Fiandaca- E. Musco, op. cit. pag. 267 ss.; F. Antolisei, op. cit., 196 ss.
221 Per la colpevolezza come “condotta di vita”, per il modo di essere del soggetto, si veda: P. Bochelmann, “Studien zum Täterstrafrecht, Berlino, 1934-40; H. Welzel,“ Persönlichkeit und Schuld”, in ZStW, 1941; K. Engisch, “Zur Idee der Täterschuld“, ivi 1942; vd. anche G. Bettiol,“Azione e colpev. nelle teorie dei tipi d’autore, in Xxx.xx., 1942; per il concetto di colpevolezza come Gesinnungsstrafecht (atteggiamento interiore) si veda: E. Schmidhäuser, Gesinnungsmerkmale im Strafrecht, Tübingen 1958; In Italia vedi: G. Bettiol, “Sul diritto pen. dell’atteggiamento interiore”, in Xxx.xx., 1971; Id., “Stato di diritto e Gesinnungsstrafecht”, in Indice pen., 1973. F. Caringella- A. Salerno, op. cit., 450 ss. F.
giudizio della rimproverabilità del reo, avente ad oggetto la divergenza tra la condotta tenuta e quanto prescritto dalla legge. Si tratta di un’impostazione di carattere empirico- normativo, che consente di tenere in considerazione tutte le peculiarità del fatto concreto, per valutare in che misura sia rimproverabile il reo per non aver tenuto o non essersi astenuto dal comportamento prescritto dall’ordinamento; in questo modo è possibile assegnare rilevanza diversa e ponderata alla volontarietà o meno della condotta e graduare la rimproverabilità a seconda della personalità del reo, delle motivazioni sottese alla commissione del reato e ad ogni altra circostanza rilevante222. Il padre della concezione normativa della colpevolezza, Reinhard Frank, poneva a fondamento della necessità di graduazione delle conseguenze del reato, a seconda dell’intensità della colpevolezza e della gravità del rimprovero, l’esempio del furto della medesima somma di danaro commesso dal cassiere scapolo di un negozio, dedito ad una vita dispendiosa, contrapposto al medesimo fatto commesso da un fattorino sottopagato, che debba occuparsi della moglie malata e dei suoi bambini223. Il legislatore penale ha recepito in parte la concezione normativa della colpevolezza, prevedendo all’art. 133 c.p. che la quantificazione della pena va effettuata in considerazione della gravità del reato, desunta anche “dall’intensità del dolo o dal grado di colpa”, nonché dalla capacità a delinquere del reo, che si desume, tra i diversi indici, da “i motivi a delinquere”, “dalla condotta e dalla vita del reo, antecedenti al reato” e “dalle condizioni di vita individuale, familiare e sociale del reo”224. La disciplina dell’elemento soggettivo del reato è principalmente dettata dagli artt. 42 ss. del Codice penale; in particolare, all’art. 42 c.p., il legislatore individua, nel primo comma, uno dei fondamentali presupposti della colpevolezza, la coscienza e la volontà dell’azione che costituisce, insieme all’imputabilità, elemento indispensabile perché possa ritenersi sussistente l’elemento soggettivo del reato225. Il secondo comma ed il
Mantovani, op. cit., pag. 100 ss.; G. Fiandaca- E. Musco, op. cit. pag. 267 ss.; F. Antolisei, op. cit., 196 ss.
222 F. Caringella- A. Salerno, op. cit., 450 ss. F. Mantovani, op. cit., pag. 100 ss.; G. Fiandaca- E. Musco, op. cit. pag. 267 ss.; F. Antolisei, op. cit., 196 ss.
223 Osservava che non si potrebbe trattare in modo uguale le due differenti situazioni, nonostante si equivalgano sul piano della tipicità, poiché diversa è l’intensità della colpevolezza e diverso è il grado di riprovevolezza della condotta posta in essere da ciascun soggetto, che la concezione psicologica della colpevolezza non consente tuttavia di prendere in considerazione. Si veda F. Caringella- A. Salerno, op. cit., 450 ss. F. Mantovani, op. cit., pag. 100 ss.; G. Fiandaca- E. Musco, op. cit. pag. 267 ss.; F. Antolisei, op. cit., 196 ss.
224 F. Caringella- A. Salerno, op. cit., 450 ss. F. Mantovani, op. cit., pag. 100 ss.; G. Fiandaca- E. Musco, op. cit. pag. 267 ss.; F. Antolisei, op. cit., 196 ss.; T. Padovani, “Diritto penale”, Milano, 2019, op. cit., 200 ss.
225 F. Caringella- A. Salerno, op. cit., 450 ss. F. Mantovani, op. cit., pag. 100 ss.; G. Fiandaca- E. Musco, op. cit. pag. 267 ss.; F. Antolisei, op. cit., 196 ss.
terzo della disposizione sono invece dedicati all’elemento psicologico del reato, o elemento soggettivo in senso stretto, prevedendo che il dolo è elemento soggettivo normale o di default del reato, che deve ricorrere quando la legge non preveda espressamente la punibilità a titolo di colpa o preterintenzione226, ad eccezione dei casi di cui al comma terzo, in cui “l’evento è posto altrimenti a carico dell’agente”. L’ultimo comma dell’art. 42 disciplina invece la colpevolezza nelle contravvenzioni. La definizione normativa delle tre possibili forme dell’elemento soggettivo è invece dettata, come già si è evidenziato, al primo comma dell’art. 43 c.p.: “Il delitto è doloso, o secondo l’intenzione, quando l’evento dannoso e pericoloso, che è il risultato dell’azione od omissione e da cui la legge fa dipendere l’esistenza del delitto, è dall’agente preveduto e voluto come conseguenza della propria azione od omissione; è preterintenzionale, o oltre l’intenzione, quando dall’azione od omissione deriva un evento dannoso o pericoloso più grave di quello voluto dall’agente; è colposo, o contro l’intenzione, quando l’evento, anche se preveduto, non è voluto dall’agente e si verifica a causa di negligenza o imprudenza o imperizia, ovvero per inosservanza di leggi, regolamenti, ordini o discipline”. L’ultimo comma dell’art. 43 prende in considerazione la colpevolezza nelle contravvenzioni227. Occorre esaminare in questa sede il contenuto precettivo dell’art. 42 c.p., primo comma, ai sensi del quale “Nessuno può essere punito per un’azione od omissione preveduta dalla legge come reato, se non l’ha commessa con coscienza e volontà”. La norma evidenzia la distinzione concettuale tra tipicità228 ed il primo presupposto della colpevolezza, consistente nella coscienza e nella volontà della condotta tipica. La dottrina si riferisce all’istituto della suitas, indicando la necessità che il soggetto sia compus sui, dal latino “padrone di sé”229. In forza dell’art.
226 Come nel caso dell’omicidio colposo o preterintenzionale. F. Caringella- A. Salerno, op. cit., 450 ss. F. Mantovani, op. cit., pag. 100 ss.; G. Fiandaca- E. Musco, op. cit. pag. 267 ss.; F. Antolisei, op. cit., 196.
227 A grandi linee, l’art. 44 c.p. disciplina le condizioni obiettive di punibilità, precisando che l’evento dedotto in condizione può non essere voluto dal soggetto agente, senza che per ciò solo venga meno la sua responsabilità penale. Gli articoli 45 c.p. e 48 c.p. prendono invece in considerazione le cause di esclusione della colpevolezza, con particolare riferimento al caso fortuito o alla forza maggiore, al costringimento fisico e all’errore, proprio o determinato dall’altrui inganno. La disciplina codicistica della colpevolezza è infine completata dalle norme di cui agli artt. 85 ss. c.p., dettate in materia di imputabilità, in cui il legislatore individua il presupposto generale della capacità di intendere e di volere del reo e le singole cause idonee a far venir meno o ad attenuare l’imputabilità. F. Caringella- A. Salerno, op. cit., 450 ss. F. Mantovani, op. cit., pag. 100 ss.; G. Fiandaca- E. Musco, op. cit. pag. 267 ss.; F. Antolisei, op. cit., 196 ss.
228 “Un’azione od omissione preveduta dalla legge come reato”. F. Caringella- A. Salerno, op. cit., 450 ss. F. Mantovani, op. cit., pag 100 ss.; G. Fiandaca- E. Musco, op. cit. pag. 267 ss.; F. Antolisei, op. cit., 196 ss.
229 Per questo ordine di idee si veda: F. Mantovani, “Il principio di soggettività”, Padova, 2007; per la prima volta nello scritto “Sul concetto dell’azione nel reato”, in Riv. pen., 1925; H. Schafestein, “Die Behandlung der Schuldarten in ausländischen Strafrecht seit 1928”, 1928, pp. 15-16; V. Hippel, “Deutches Strafecht”, v. II, 1930; S. Ranieri, “Dir. Pen., parte gen.”, pag. 235-236. Si veda anche F.
42 c.p., primo comma, dunque il fatto non è punibile se manca in capo all’autore materiale della condotta la coscienza e la volontà di porre in essere il comportamento penalmente rilevante230. Tale accertamento presuppone dunque che, sul piano strettamente materiale, la condotta sia imputabile al reo, il quale tuttavia non ne risponderà in assenza di detti requisiti231. Per coscienza deve intendersi la capacità attuale ed effettiva del reo di percepire la realtà circostante e la conseguente consapevolezza della propria condotta; la volontà è invece da intendersi in un significato diverso dalla volontarietà che caratterizza invece il dolo: la norma non richiede infatti l’intenzionalità della condotta bensì la possibilità per il reo di dominare le proprie azioni e di determinarsi liberamente a commetterle in relazione allo specifico fatto commesso232. Per quanto riguarda il rapporto tra il requisito e l’imputabilità, quest’ultima è definita nell’art. 85 c.p. come capacità di intendere e di volere, che può apparire coincidente con il requisito di coscienza e volontà233. Si è osservato in dottrina che i due presupposti della colpevolezza, entrambi necessari perché possa muoversi un rimprovero al soggetto agente, devono considerarsi autonomi e distinti, sebbene entrambi afferiscano al momento precettivo e al momento volitivo della condotta. L’imputabilità – esclusa prima degli anni quattordici e si presume dopo il compimento del diciottesimo anno, salvo l’accertamento delle cause di esclusione della stessa
Mantovani, “Dir. Pen.”, pag. 298 ss.; sui problemi applicativi della suitas al reato omissivo A. Cadoppi, “Il reato omissivo proprio”, Padova, 1988. F. Caringella- A. Salerno, op. cit., 450 ss. F. Mantovani, op. cit., pag. 100 ss.; G. Fiandaca- E. Musco, op. cit. pag. 267 ss.; F. Antolisei, op. cit., 196 ss.
230 La portata pratica dei due requisiti può essere apprezzata attraverso una serie di esemplificazioni: basta pensare alla condotta omissiva posta in essere da una guardia del corpo che venga immobilizzata dagli attentatori del suo protetto e che quindi non impedisca la consumazione di un omicidio; in questo caso il soggetto è cosciente, percependo appieno gli accadimenti esterni, ma non può ritenersi che abbia posto in essere la condotta omissiva, nella specie di omicidio colposo, con volontà, dal momento che non era in condizione di agire liberamente e di autodeterminarsi, poiché fisicamente immobilizzato. Un secondo esempio riguarda un caso di carenza del requisito di coscienza, da parte del soggetto che sia stato ipnotizzato e commetta, in stato di ipnosi e quindi di incoscienza, un delitto doloso; in questo caso dunque l’azione è commessa con volontà poiché il comportamento non è frutto di costrizione, ma il soggetto non percepisce la realtà esterna, perché in stato di incoscienza. Un ulteriore esempio di carenza di entrambi i requisiti è invece ravvisabile nella condizione in cui venga a trovarsi chi, alla guida della propria autovettura, sia colto da un improvviso ed imprevedibile malore e, sbandando con la propria auto, cagioni la morte di alcuni passanti; la condotta, che ha causato sul piano materiale la morte delle vittime non è caratterizzata da coscienza, essendo venuta meno in ragione del malore, né con volontà, poiché il soggetto non ha potuto governare la propria condotta. F. Caringella- A. Salerno, op. cit., 450 ss. F. Mantovani, op. cit., pag. 100 ss.; G. Fiandaca- E. Musco, op. cit. pag. 267 ss.; F. Antolisei, op. cit., 196 ss.
231 F. Caringella- A. Salerno, op. cit., 450 ss. F. Mantovani, op. cit., pag. 100 ss.; G. Fiandaca- E. Musco, op. cit. pag. 267 ss.; F. Antolisei, op. cit., 196 ss.
232 F. Caringella- A. Salerno, op. cit., 450 ss. F. Mantovani, op. cit., pag. 100 ss.; G. Fiandaca- E. Musco, op. cit. pag. 267 ss.; F. Antolisei, op. cit., 196 ss.
233 Per l’imputabilità come “capacità di colpevolezza” o presupposto della medesima si veda: M. Romano e G. Grasso, “Commentario”, v. II, pag. 1 ss.; M. Spasari, “Diritto criminale e scienza del diritto criminale. Oggetto e metodo della dommatica criminale e della criminologia”, in Xxxx.xx., 1990, IV, col. 506 ss. Vedi anche F. Caringella- A. Salerno, op. cit., 450 ss. F. Mantovani, op. cit., pag. 100 ss.; G. Fiandaca- E. Musco, op. cit. pag. 267 ss.; F. Antolisei, op. cit., 196 ss.
individuate dal legislatore – rappresenta uno status infatti o una qualità soggettiva del reo, il quale deve risultare, al momento della commissione del fatto, in grado di intendere e di volere la commissione del reato, e cioè, in via di prima approssimazione, di comprendere il significato delle proprie azioni e di formare la propria volontà, attraverso l’esercizio dei propri poteri di impulso o di inibizione234. Diversamente, il presupposto di coscienza e volontà della condotta non riguarda in generale la persona del reo ma si riferisce, in concreto, alla riferibilità al soggetto agente della condotta posta in essere: non si tratta dunque di un requisito potenziale ed astratto, bensì attuale e concreto, per una effettiva ed attuale coscienza e volontà richiesta in relazione allo specifico fatto commesso235. Non è dunque corretto sovrapporre i due elementi della colpevolezza, i quali operano su piani diversi, riferibili a categorie aristoteliche di atto, la coscienza e volontà, e di potenza, l’imputabilità. Inoltre, la capacità di intendere e di volere, pur dovendo essere accertata in relazione al singolo reato e al momento della commissione del fatto, costituisce uno status del soggetto agente, che si presume, in caso di soggetto agente maggiorenne, per tutti i fatti commessi in assenza di cause di esclusione dell’imputabilità, laddove la coscienza e la volontà si riferiscono ed esauriscono la propria rilevanza in relazione al singolo fatto concreto, posto in essere dal soggetto agente236.
234 F. Mantovani, “Diritto penale”, Milano, 2019, pag. 288; F. Caringella- A. Salerno, op. cit., 450 ss..;
G. Fiandaca- E. Musco, op. cit. pag. 267 ss.; F. Antolisei, op. cit., 196 ss. In senso negativo: G. Sabatini, “L’azione dell’incapace d’intedere e di volere”, in Riv. pen. 1934; G. Marini e M. Portigliatti Barbos,”La capacità di intendere e di volere nel sistema pen. ital., Milano, 1964; A. Pagliaro, “Principi”, Milano, 2008; B. Petrocelli, “La colpevolezza”, Padova, 1955; A. Crespi, “Imputabilità, in Enc. dir., XX, 1970;
P. Nuvolone, “Il sistema”, Padova, 1975.
235 Può essere commesso senza coscienza e volontà un reato da parte di un soggetto imputabile; al contrario, anche un soggetto non imputabile potrà commettere un fatto con coscienza e volontà, ma non potrà rispondere penalmente per mancanza della capacità di intendere e di volere: si pensi al minore tredicenne che ponga in essere una condotta criminosa, in stato di piena coscienza e volontà, ma senza essere imputabile, perché minore degli anni quattordici. F. Caringella- A. Salerno, op. cit., 450 ss. F. Mantovani, op. cit., pag. 100 ss.; G. Fiandaca- E. Musco, op. cit. pag. 267 ss.; F. Antolisei, op. cit., 196 ss.
236 F. Caringella- A. Salerno, op. cit., 450 ss. F. Mantovani, op. cit., pag. 100 ss.; G. Fiandaca- E. Musco, op. cit. pag. 267 ss.; F. Antolisei, op. cit., 196 ss.
2 L’ANTIGIURIDICITÀ: CATEGORIA RICOSTRUITA ALLA LUCE DELL’INTERO DELL’ORDINAMENTO GIURIDICO
Precedentemente abbiamo trattato della tipicità del reato che, secondo la teoria tripartita, attiene all’elemento oggettivo dell’illecito penale, cioè al “fatto” previsto dalla legge come reato. Perché assumano rilevanza penale, non è tuttavia sufficiente che il comportamento del reo e le sue conseguenze integrino gli estremi di una fattispecie criminosa, occorrendo altresì che il fatto sia stato commesso in assenza di causa di giustificazione e che presenti perciò carattere antigiuridico237. L’antigiuridicità rappresenta l’elemento normativo del reato – e in questa sedes materiae uno degli aspetti portanti della tematica trattata – il quale si affianca all’elemento oggettivo, la tipicità, ed all’elemento soggettivo, la colpevolezza, ed attiene al suo carattere illecito, cioè contrario all’ordinamento giuridico (contra ius) e da esso non autorizzato o giustificato238. Allorché la condotta del reo integri gli estremi di una fattispecie astratta di reato, si presume che il fatto tipico sia antigiuridico239. La peculiarità del regime probatorio delle cause di giustificazione è legata, da un lato, alla natura negativa del requisito dell’antigiuridicità, che sussiste solo quando non vi sono cause di giustificazione; dall’altro, alla vigenza nel nostro ordinamento della presunzione di innocenza sino alla sentenza di condanna passata in giudicato, di cui l’imputato beneficia ai sensi dell’art. 27, secondo comma, Cost.240 La particolare natura negativa dell’accertamento dell’antigiuridicità, che richiede di dimostrare che non sussistono cause di giustificazione, renderebbe tuttavia eccessivamente gravoso il compito della pubblica accusa, tenuta a offrire in giudizio la prova della inesistenza241 di un numero potenzialmente infinito di ipotetiche cause di giustificazione; onde evitare, dunque, da
237 F. Caringella- A. Salerno, op. cit., 450 ss
238 F. Caringella- A. Salerno, op. cit., 450 ss. F. Mantovani, op. cit., pag. 100 ss.; G. Fiandaca- E. Musco, op. cit. pag. 267 ss.; F. Antolisei, op. cit., 196 ss.; T. Padovani, op. cit.; C. Roxin, op. cit.
239 È dunque onere della difesa dell’imputato allegare la sussistenza di una c.d. causa di giustificazione, definita scriminante o causa di esclusione dell’antigiuridicità, in presenza del quale viene meno l’illiceità della condotta e il fatto non è punibile. L’onere che grava sulla difesa è dunque di mera allegazione e non richiede la dimostrazione in giudizio della sussistenza di una causa di giustificazione. G. Conso-V. Grevi-
M. Bargis, “Compendio di procedura penale”, Padova, 2018, op. cit.; F. Caringella- A. Salerno, op. cit., 450 ss. F. Mantovani, op. cit., pag. 100 ss.; G. Fiandaca- E. Musco, op. cit. pag. 267 ss.; F. Antolisei, op. cit., 196 ss.
240 Quest’ultima disposizione impedisce di porre a carico dell’imputato l’onere probatorio di dimostrare la propria innocenza, che si presume, facendo gravare, di conseguenza, sul Pubblico Ministero il compito di dimostrare in giudizio ogni elemento costitutivo del reato. F. Caringella- A. Salerno, op. cit., 450 ss. F. Mantovani, op. cit., pag. 100 ss.; G. Fiandaca- E. Musco, op. cit. pag. 267 ss.; F. Antolisei, op. cit., 196.
241 Da cui il carattere negativo. F. Caringella- A. Salerno, op. cit., 450 ss. F. Mantovani, op. cit., pag. 100 ss.; G. Fiandaca- E. Musco, op. cit. pag. 267 ss.; F. Antolisei, op. cit., 196 ss.
un lato, l’imposizione di una c.d. probatio diabolica, impossibile da realizzare e, dall’altro, la violazione della presunzione costituzionale di innocenza dell’imputato, la giurisprudenza ha posto in capo a quest’ultimo un mero onere di allegazione della sussistenza di un’eventuale causa di giustificazione242. A seguito dell’allegazione di una causa di giustificazione, individuata nello specifico dalla difesa, spetterà all’accusa provare in giudizio la sua inesistenza e, di conseguenza, l’antigiuridicità del fatto243. In seguito al breve quadro processuale illustrato, occorre tornare e più profondamente delineare la disciplina sostanziale di questa categoria dogmatica. Come è già stato affermato, il reato consiste nella violazione di un precetto dell’ordinamento giuridico- penale, sua nota fondamentale è il contrasto, l’opposizione col diritto244. Questa contraddizione viene indicata con il termine “antigiuridicità” ed anche “illiceità”245. Essa, l’antigiuridicità, non è, come ritiene una larga corrente dottrinaria, una componente, vale a dire, un elemento costitutivo dell’illecito. Essa è molto di più: è come fu rivelato dal Rocco246 con felice espressione, “l’essenza stessa, la natura intrinseca, l’ “in se” del reato”. Dato che il reato è l’infrazione della norma penale ed in tale relazione si esaurisce la sua essenza, l’illiceità non può ritenersi un elemento che concorre a formare il reato, ma deve considerarsi carattere essenziale di esso. Essa ne
242 La difesa non è cioè tenuta a dimostrare l’esistenza di una causa di giustificazione ma ad indicare quale causa di giustificazione si assuma operare nel caso concreto, senza tuttavia doverne dimostrare l’effettiva sussistenza. Ad esempio, a fronte di un comportamento violento dell’imputato nei confronti della persona offesa, la difesa dovrà esclusivamente invocare la scriminante della legittima difesa, senza essere tenuta a dimostrare la sussistenza dei relativi requisiti. F. Caringella- A. Salerno, op. cit., 450 ss. F. Mantovani, op. cit., pag. 100 ss.; G. Fiandaca- E. Musco, op. cit. pag. 267 ss.; F. Antolisei, op. cit., 196.
243 In questo modo si garantisce il rispetto della presunzione di innocenza e, nel contempo, attraverso l’onere di allegazione delle cause di giustificazione che la difesa intenda invocare in giudizio, si consente al p.m. di concentrare i propri sforzi probatori su circostanze specifiche e concrete, scongiurando il rischio della probatio diabolica. Ai sensi dell’art. 530 c.p.p, infatti, qualora il p.m. non riesca a dimostrare la mancanza di cause di giustificazione e, quindi, l’antigiuridicità della condotta, il giudice dovrà mandare assolto l’imputato: è cioè sufficiente un mero dubbio circa la presenza di una causa di giustificazione per impedire al giudice penale di pervenire ad una sentenza di condanna. F. Caringella- A. Salerno, op. cit., 450 ss. F. Mantovani, op. cit., pag 100 ss.; G. Fiandaca- E. Musco, op. cit. pag. 267 ss.; F. Antolisei, op. cit., 196 ss.
244 Si è negato in genere che l’atto illecito possa violare la legge, o il diritto oggettivo, per il riflesso che questa, nonostante l’atto in parola, rimane integra nella sua validità giuridica. Si può peraltro rilevare, nel Petrocelli, che quando si parla di violazione della legge, non si pensa ad una lesione della stessa, ma si considera il comando che le è inerente e si vuole dire che tale comando non è stato osservato. Questa inosservanza senza dubbio può verificarsi, ma è ovvio che di per sé sola non implica che la legge, o il diritto oggettivo, perde alcunché della sua validità generale. B. Petrocelli, op. cit., pag. 16-17. F. Caringella- A. Salerno, op. cit., 450 ss. F. Mantovani, op. cit., pag. 100 ss.; G. Fiandaca- E. Musco, op. cit. pag. 267 ss.; F. Antolisei, op. cit., 196 ss.
245 F. Antolisei, op. cit., pag. 196 ss. F. Caringella- A. Salerno, op. cit., 450 ss. F. Mantovani, op. cit., pag. 100 ss.; G. Fiandaca- E. Musco, op. cit. pag. 267 ss.
246 A. Rocco, “L’oggetto”, Milano, 1913, pag. 475. F. Caringella- A. Salerno, op. cit., 450 ss. F. Mantovani, op. cit., pag 100 ss.; G. Fiandaca- E. Musco, op. cit. pag. 267 ss.; F. Antolisei, op. cit., 196 ss.
esprime l’intima natura247. L’antigiuridicità, considerata nella sua essenza, non è altro che “un giudizio”, e precisamente un giudizio di relazione. Dunque, nel parlare di antigiuridicità si esprime un giudizio su un fatto, si compie una valutazione, riconoscendo che il fatto è contrario ad un precetto dell’ordinamento giuridico. Tale giudizio viene effettuato dal giudice, rectius, dall’interprete, ma questi non fa che riprodurre in sé la valutazione dell’ordinamento giuridico, il quale, nel proibire il fatto, ha conferito ad esso l’impronta della riprovevolezza, considerandolo contrario ai fini dello Stato. Il fatto riprovato dal diritto di qualifica “fatto illecito”248. L’ordinamento giuridico-penale, allo scopo di eliminare incertezze sul contenuto e sulla portata dei suoi comandi, segue il sistema di indicare con la maggiore precisione possibile i fatti proibiti. Di ognuno di questi il legislatore fissa le caratteristiche: li descrive in modo che i cittadini sappiano ciò che è permesso e ciò che è vietato249. Quindi, affinché un fatto concreto costituisca reato, è necessario che esso corrisponda alla figura delineata dal legislatore; occorre, in altri termini, che il soggetto abbia realizzato un’azione simile, o meglio conforme a quella contemplata nella norma incriminatrice. Senonché, bisogna tener presente che il legislatore, a causa della complessità dei rapporti della vita sociale e dell’intrecciarsi dei vari interessi, talune volte autorizza e in qualche caso persino comanda comportamenti che di regola sono vietati. In conseguenza nella legge sono previste ipotesi generali nelle quali l’azione dell’uomo, pur presentando i requisiti indicati in una norma incriminatrice, non è sottoposta all’azione penale250. Dato questo sistema, affinché un fatto costituisca reato ovvero nello stesso sussista l’antigiuridicità penale, non basta che il medesimo corrisponda ad una delle particolari ipotesi previste dalla legge: è necessario che non sussistano le c.d. cause di giustificazione. Al ricorrere di queste due condizioni, l’una positiva, l’altra negativa, può parlarsi di reato. Da quanto
247 F. Caringella- A. Salerno, op. cit., 450 ss. F. Mantovani, op. cit., pag. 100 ss.; G. Fiandaca- E. Musco, op. cit. pag. 267 ss.; F. Antolisei, op. cit., 196 ss.. Per una netta presa di posizione in dottrina si veda: P. Nuvolone, “I limiti taciti della norma penale”, Palermo, 1947; G. Guarnieri, “Diritto penale e influenze civilistiche”, Milano, 1947; B. Petrocelli, “Riesame degli elementi del reato”, in “Studi in onore di F. Antolisei”, v. III.
248 F. Caringella- A. Salerno, op. cit., 450 ss. F. Mantovani, op. cit., pag. 100 ss.; G. Fiandaca- E. Musco, op. cit. pag. 267 ss.; F. Antolisei, op. cit., 196 ss.
249 Ad esempio per quanto riguarda il reato di truffa: “Chiunque, con artifizi o raggiri, inducendo taluno in errore, procura a sé o ad altri un ingiusto profitto con altrui danno, è punito con con la reclusione da sei mesi a tre anni e con la multa da cinquantuno euro a milletrentadue euro” ex art. 640 c.p. Ogni norma incriminatrice fornisce in tal modo la figura astratta, tipo o modello, di un reato. F. Caringella- A. Salerno, op. cit., 450 ss. F. Mantovani, op. cit., pag. 100 ss.; G. Fiandaca- E. Musco, op. cit. pag. 267 ss.;
F. Antolisei, op. cit., 196 ss.
250 A titolo esemplificativo: mentre il cagionare la morte di una persona è normalmente vietato, chi uccida per legittima difesa è esente da pena. In questo caso si è in presenza di una causa di giustificazione. F. Caringella- A. Salerno, op. cit., 450 ss. F. Mantovani, op. cit., pag. 100 ss.; G. Fiandaca- E. Musco, op. cit. pag. 267 ss.; F. Antolisei, op. cit., 196 ss.
si è detto deve desumersi che l’assenza di cause di giustificazione è indispensabile perché sussista l’antigiuridicità penale e quindi il reato. Il verificarsi di una di queste causa non fa venir meno l’antigiuridicità anzidetta, ma impedisce che questa sorga251. Quando, infatti, si riscontra una causa di giustificazione, il fatto ab origine è lecito, e cioè non costituisce reato, come non costituisce reato il fatto che non corrisponde a nessuna delle figure criminose previste nella legge. Deve altresì dedursi correttamente da un’autorevole corrente dottrinaria che le cause in parola sono considerate come elementi negativi del fatto, cioè essere in realtà integrano le fattispecie criminose, in quanto la loro presenza produce gli stessi effetti della mancanza degli elementi essenziali dei singoli reati risultanti dalle varie norme incriminatrici. Naturalmente la presenza di un elemento negativo, dal punto di vista del diritto rileva solo quando tutti gli elementi positivi esprimono il modello astratto del reato252. Occorre dar massimo rilievo al fatto oggettivo che per l’esistenza del reato non è necessario che in concreto all’autore del fatto illecito sia applicabile una pena, come molti giuristi ritengono: basta che sussistano le due condizioni sopra indicate, e cioè la conformità del fatto ad una figura di reato e l’assenza di cause di giustificazione253. L’antigiuridicità, come carattere essenziale del reato, è immanente nel reato stesso: lo investe nella sua totalità, e cioè in tutti i fattori che lo costituiscono. Per questo motivo non possiamo accogliere la teoria secondo la quale l’antigiuridicità ha natura oggettiva, intendendosi con ciò dire che il giudizio relativo si esprime sulla base del solo aspetto materiale del reato254. Prescindendo dalla fragilità della ragione che è addotta in sostegno di questa concezione255, fragilità che è stata dimostrata in modo convincente256, può sembra che
251 F. Caringella- A. Salerno, op. cit., 450 ss. F. Mantovani, op. cit., pag. 100 ss.; G. Fiandaca- E. Musco, op. cit. pag. 267 ss.; F. Antolisei, op. cit., 196 ss.
252 M. Gallo, “Appunti”, vol. II, parte I; T. Padovani, “Dir. pen.”, op. cit., pag. 175 ss, con atteggiamento critico rispetto alla teoria in esame. F. Caringella- A. Salerno, op. cit., 450 ss. F. Mantovani, op. cit., pag. 100 ss.; G. Fiandaca- E. Musco, op. cit. pag. 267 ss.; F. Antolisei, op. cit., 196 ss.
253 Ci si convince di ciò agevolmente, riflettendo che, se occorresse l’effettiva irrogabilità della pena nei casi concreti, dovrebbe escludersi, ad es., la qualifica di delitto al furto fra prossimi congiunti nelle ipotesi contemplate nell’art 649 c.p., il che sembra evidentemente inammissibile. In queste ed in altre ipotesi, anche se l’autore non sia assoggettabile a pena per “cause di esclusione della punibilità”, il reato sussiste.
F. Caringella- A. Salerno, op. cit., 450 ss. F. Mantovani, op. cit., pag. 100 ss.; G. Fiandaca- E. Musco, op. cit. pag. 267 ss.; F. Antolisei, op. cit., 196 ss.
254 Fra gli scrittori italiani: G. Delitala, “Il fatto”, Padova, 1930; B. Bettiol- L. Pettoello Mantovani, “Dir. pen.”, Padova, 1986; T. Padovani, “Dir. pen.”, op. cit.; F. Carnelutti, “Teoria”, Napoli, 1999; A. Pagliaro, “Principi”, Milano, 1972; F. Mantovani, “Dir. pen.”, op. cit.; sulle matrici storiche della teoria dell’antigiuridicità obiettiva cfr. T. Padovani, “Alle radici di un dogma: appunti sulle origini dell’antigiuridicità obiettiva”, in Xxx.xx., 1938. F. Caringella- A. Salerno, op. cit., 450 ss. F. Mantovani, op. cit., pag. 100 ss.; G. Fiandaca- E. Musco, op. cit. pag. 267 ss.; F. Antolisei, op. cit., 196 ss.
255 L’ordinamento giuridico prima valuterebbe le azioni umane nella loro direzione oggettiva e poi imporrebbe ai sudditi di comportarsi in un certo modo. F. Caringella- A. Salerno, op. cit., 450 ss. F.
non sia mai possibile pronunciare il giudizio di liceità o meno di un comportamento dell’uomo, se non si considera l’atteggiamento della volontà dello stesso257. Astraendo da questo elemento soggettivo, noi non ci troviamo di fronte ad un fatto “umano”, ma ad una frazione, ad un vero e proprio moncone di esso258. Dunque, avulso dal suo contenuto spirituale, il fatto dell’uomo non differisce dalle forze brute della natura e non può avere alcun significato per l’ordinamento giuridico. Se ben si riflette, a riprova di ciò, non esiste un solo caso in cui il fatto dell’uomo possa qualificarsi “antigiuridico”, guardando soltanto al suo aspetto esteriore259. Se ne deve concludere, allora, che non esiste antigiuridicità oggettiva: essa, riguardando il reato nel suo complesso, non può essere né soggettiva, né oggettiva. È semplicemente il “rapporto di contraddizione” tra il fatto, unitariamente considerato, ed i dettami dell’ordine giuridico260. Il problema dell’antigiuridicità è intimamente connesso al problema delle fonti. Poiché il reato è, per definizione, un fatto penalmente antigiuridico, l’antigiuridicità è formale o sostanziale a seconda che si assuma come fonte del diritto penale la sola legge positiva o anche altre fonti extralegali261. L’antigiuridicità formale sta ad indicare il rapporto di contraddizione tra il fatto e la legge: ossia l’antigiuridicità legale, non esistendo altre fonti fuori dalla legge. Propria degli ordinamenti penali incentrati sul principio di legalità formale e sulla concezione formale del reato, essa svolge quella funzione garantista propria dello Stato di diritto, pur potendo degradare a strumento di un diritto penale autoritario o del privilegio. Anche nell’ambito degli ordinamenti del presente tipo si distingue, per la verità, tra antigiuridicità formale e materiale, intendendosi designare, con la prima, l’azione in quanto violatrice della norma di legge, e con la seconda, l’azione in quanto offensiva del bene protetto dalla legge: cioè l’offesa di
Mantovani, op. cit., pag. 100 ss.; G. Fiandaca- E. Musco, op. cit. pag. 267 ss.; F. Antolisei, op. cit., 196 ss.
256 V. Petrocelli, “Pericolosità e antigiuridicità”, in Riv. dir. pen. , 1937. Vedi F. Caringella- A. Salerno, op. cit., 450 ss. F. Mantovani, op. cit., pag. 100 ss.; G. Fiandaca- E. Musco, op. cit. pag. 267 ss.; F. Antolisei, op. cit., 196 ss.
257 F. Antolisei, “L’analisi del reato”, in Scritti, op. cit.
258 F. Antolisei, op. cit., pag. 202. F. Caringella- A. Salerno, op. cit., 450 ss. F. Mantovani, op. cit., pag. 100 ss.; G. Fiandaca- E. Musco, op. cit. pag. 267 ss.
259 Si pensi ad esempio al reato di sabotaggio contemplato nel capoverso dell’art. 508 c.p.. Obiettivamente i casi che rientrano nella figura giuridica non sono diversi dai danneggiamenti di macchine, strumenti, ecc. che spesso si verificano negli stabilimenti industriali o agricoli per incapacità degli operai, errori di manovra ed altre simili cause. Il fatto può ritenersi antigiuridico solo quando sia compiuto intenzionalmente, e cioè col proposito di danneggiare l’azienda. Persino l’uccisione di un uomo non si può qualificare “fatto antigiuridico”, se non viene considerato il momento soggettivo. Se, infatti, l’evento è stato cagionato per caso fortuito o per forza maggiore, l’uccisione di fronte al diritto, non differisce appunto dalla morte di un uomo determinata, ad esempio, da un fulmine o da un masso che cade dall’alto.
F. Antolisei, op. cit., 202 ss.
260 F. Antolisei, op. cit., 202 ss.
261 F. Mantovani, op. cit., pag. 103 ss.
esso262. Ma proprio perché il riferimento è sempre alle valutazioni della legge, l’antigiuridicità è, in realtà, sempre legalistico-formale. Perciò altri autori più esattamente preferiscono parlare, accanto ad un aspetto formale, di un aspetto sostanziale, di “contenuto” della antigiuridicità, che non è però né distinto né contrapposto al primo e, di certo, nulla ha a che fare con l’autentica antigiuridicità materiale263. L’antigiuridicità sostanziale o materiale sta ad indicare, viceversa, il contrasto del fatto col diritto materiale o, più propriamente, tra il fatto e gli interessi sociali tutelati dal diritto, legislativo o extralegislativo che sia: con l’ordinamento giuridico nella sua unitarietà di fonti formali e sostanziali, tra loro collegate ed integratesi secondo determinati criteri di coordinazione. Tale antigiuridicità coincide con la “pericolosità sostanziale” della condotta: è sostanzialmente antigiuridica la condotta socialmente pericolosa. Può consistere anche nel solo contrasto col diritto extralegislativo. E, nella sua formulazione più radicale, si pone in posizione di “primato” rispetto all’antigiuridicità formale, tendendo a sovrapporsi o contrapporsi alla legge: sia in bonam che in malam partem264. Propria degli ordinamenti penali incentrati sul principio di legalità sostanziale e sulla conseguente concezione materiale del reato, essa esprime l’esigenza di una più efficace difesa sociale ed anche di una più concreta giustizia, ma per la estrema strumentalizzabilità politica costituisce un pericoloso mezzo di discriminazione e persecuzione. Il che avvenne o avviene nel diritto penale dei paesi nazionalsocialisti, il quale addirittura aprì le porte all’intuizionismo quale mezzo per attingere il diritto vivente dalle fonti sostanziali del sano sentimento di giustizia del Popolo. E dalla antigiuridicità materiale trasse vita la stessa figura del “Tipo normativo d’autore”, che, nella sua funzione di guida nella applicazione della pena, svolse una duplice funzione sia repressiva sia scriminante265. Nelle posizioni più moderate, attraverso l’antigiuridicità sostanziale ci si propone, invece, non di sradicare il principio del nullum crimen sine lege, ma solo di adeguare continuamente le astratte e rigide
262 F. Von Liszt, “Lehrbuch des deutschen Strafechts”, Berlino, 1905; A. Rocco, “L’oggetto del reato e della tutela giuridica pen.”, Torino, 1913. F. Caringella- A. Salerno, op. cit., 450 ss. F. Mantovani, op. cit., pag. 100 ss.; G. Fiandaca- E. Musco, op. cit. pag. 267 ss.; F. Antolisei, op. cit., 196 ss.
263 Sulla letteratura sul tema si veda: G. Delitala, “Il fatto”, op. cit.; B. Petrocelli, “L’antigiuridicità”, Padova, 1966, op. cit.; P. Nuvolone, “I limiti”, op. cit.; G. Vassalli, “La dottrina italiana dell’antigiuridicità”, in Jescheck Festschrift, 1985; T. Padovani, “Alle radici di un dogma: appunti sulle origini dell’antigiuridicità obiettiva”, in Xxx.xx., 1983; A. Pagliaro, “Il reato”, op. cit. Vedi F. Mantovani, op. cit., pag. 104.
264 F. Caringella- A. Salerno, op. cit., 450 ss. F. Mantovani, op. cit., pag. 100 ss.; G. Fiandaca- E. Musco, op. cit. pag. 267 ss.; F. Antolisei, op. cit., 196 ss.
265 Ad esempio, si riteneva non rispondente al “tipo” di delinquente, sottinteso dal legislatore e dalla coscienza popolare alla norma incriminatrice dell’omicidio e dell’aborto, il medico che procedeva all’eutanasia pietosa, eugenica, economica, o all’aborto eugenico. F. Mantovani, op. cit., pag. 104.
formule della legge al divenire della vita e, esclusivamente, in bonam partem266. Così da parte della dottrina tedesca, la quale, al fine di scriminare attività socialmente utili o non pericolose, ma non riconducibili alle c.d. scriminanti codificate267 fece ricorso all’antigiuridicità materiale attraverso le teorie268: 1) del bilanciamento degli interessi in conflitto, con la prevalenza dell’interesse di maggior valore secondo gli indici desumibili dalla legge, quali quantità o qualità della pena prevista per la loro tutela, ecc., e se ciò non è possibile, dalle c.d. “norme di civiltà”269. Principio, usato non solo come criterio sussidiario di interpretazione di certe scriminanti codificate, quali la proporzionalità nella legittima difesa, ma come criterio per l’introduzione di scriminanti non codificate; 2) del giusto mezzo per un giusto scopo, per la quale un’azione è conforme al diritto e, quindi, non punibile quando rappresenta il mezzo adeguato per la realizzazione di uno scopo riconosciuto giusto dall’ordinamento legislativo, o secondo i valori sociali che, al di fuori di esso, determinano le azioni umane270; 3) dell’azione socialmente adeguata, tale essendo ritenuta ogni azione, che, pur se apparentemente punibile, è conforme alle esigenze ed alle finalità sociali di una comunità in un determinato momento storico e, pertanto, non costituisce reato. La dottrina dell’adeguatezza sociale è però, costantemente oscillante tra le posizioni di coloro che ad essa ricorrono soprattutto per fornire uno strumento di interpretazione evolutiva della norma legislativa, per determinare cioè i limiti esegetici via via che mutano i valori della società271, e di coloro che su di essa, invece, fanno leva per trovare scriminanti
266 F. Mantovani, op. cit., pag. 104.
267 Attività medico-chirurgica, attività sportiva violenta, informazioni commeciali, circoncisione degli isrealiti, uccisione in guerra. F. Mantovani, op. cit., pag. 104.
268 La costante predisposizione della dottrina tedesca ad attingere il diritto, in qualche misura, da fonti anche materiali affonda le proprie radici ultime nell’Anima germanico-protestante, per cui ogni norma prima che dalla legge scaturisce dalla coscienza della Comunità originaria, onde la stessa inconcepibilità di un contrasto tra norme e soggetto-membro della comunità e la fedele ubbidienza della legge. F. Mantovani, op. cit., pag. 105.
269 Così M.S. Mayer, “Der allgemeine Teil des deutschen Strafrechts”, Heidelberg, 1923; Per il bilanciamento in termini non quantitativi, naturalistico-matematici, ma qualitativi, di valore si veda: G. Bettiol- L. Pettoello Mantovani, “Diritto penale”. Col criterio di bilanciamento fu risolto il problema dei conflitti di doveri (Pflichtennkollisionem). Sulle discussioni sorte al riguardo in Germania, ivi mancando una norma sullo stato di necessità ampia come la nostra, si veda: Gallas, “Pflichtenkollisionem als Schuldausschliessungsgrund”, in Festschrifgt Mezger, 1954; A. Baratta, “Antinomie giuridiche e conflitti di coscienza”, Milano, 1963. F. Mantovani, op. cit., pag. 104.
270 Formulata dal Zu Dohna, “Die Rechtswidrigkeit, Halle, 1905, la teoria fu ripresa in Italia dal De Marsico, “Lezioni di diritto penale”, Napoli, 1937. Si veda F. Mantovani, op. cit., pag. 104.
271 H. Welzel, “Der allgemeine Teil des Strafechts in seinen Grundzügen”, Berlin, 1940; E’ questa la posizione della dottrina italiana, richiamantesi all’adeguatezza sociale. Così il G. Bettiol, “Diritto penale”, per il quale nei casi di azione socialmente adeguata non si pone neppure il problema della giustificazione perché manca di tipicità; C. Fiore, “L’azione socialmente adeguata nel diritto pen.”, Napoli, 1966, per il quale si tratta di fornire uno strumento logico al giudice per meglio determinare l’ambito della incriminazione secondo la ratio della norma, onde nessun contrasto vi sarebbe con il principio di legalità; G. Gregori, “Adeguatezza sociale e teoria del reato”, Padova, 1969, il quale, dopo
tacite al di fuori della legge, fino a pervenire ad uno svuotamento del principio di legalità formale. Come contro l’antigiuridicità materiale in generale, così contro tali teorie l’obiezione di fondo, da sempre, è la pressoché impossibilità, tranne alcuni casi limite, di una loro pratica applicazione, data la difficoltà di identificare obiettivamente i valori in base ai quali graduare gli interessi da bilanciare, di determinare l’adeguatezza del mezzo e la giustizia dello scopo, di stabilire l’adeguatezza sociale della azione272. Le suddette categorie scriminanti extralegali sono state, esplicitamente ed implicitamente, evocate in certe pronunce della magistratura italiana ed in certe affermazioni dottrinali per mitigare certe fratture tra legge e realtà sociale o sotto spinte ideologiche radicalmente contestatrici. E si è riproposta, altresì, l’idea della “adeguatezza sociale” come una moderna via d’uscita dalla attuale crisi del diritto, sia di fronte alla crescente insofferenza verso un diritto positivo, interpretato in termini puramente logico-deduttivi ed incapace di appagare ideali di concreta giustizia, sia contro un pericoloso desiderio di evasione dal diritto positivo verso il “diritto libero”273. La nostra Costituzione accoglie una concezione di antigiuridicità né sostanziale, aperta all’arbitrio del giudice, né meramente formale, aperta all’arbitrio del legislatore, ma formale-sostanziale. Con il sancire il principio nullum crimen sine lege ha inteso ribadire che l’antigiuridicità è contrasto del fatto con la legge. Col sancire, però, il principio della tutela penale dei soli valori costituzionalmente rilevanti o non incompatibili, e prevalenti rispetto ad altri eventuali valori collidenti, pur se costituzionalmente protetti, ha inteso affermare che l’antigiuridicità è contrasto del fatto non con qualsiasi legge penale, ma soltanto con la legge conforme a Costituzione274. Sicché l’antigiuridicità, se sotto il profilo formale è il rapporto di contraddizione tra il fatto umano e la legge penale costituzionalmente legittima, sotto il profilo sostanziale è il rapporto di contraddizione tra il fatto umano e i valori costituzionali, o non incompatibili con la Costituzione, tutelati dalla legge penale275. Sotto altro profilo, si ha l’antigiuridicità o illiceità speciale nei casi in cui la
aver affermato l’esigenza di ricorrere al metodo teleologico-storico come mezzo di adattamento della norma ai valori mutuati, attraverso anche l’aiuto della intuizione, finisce per riconoscere che si tratta pur sempre di interpretazione restrittiva o evolutiva; E. Morselli, “Analogia”, in Ind. Pen., 1990. Vedi F. Mantovani, op. cit., pag. 104.
272 F. Mantovani, op. cit., pag. 104.
273 P. Nuvolone, “I limiti”, op. cit.; G. Bettiol, “Aspetti e problemi”, op. cit.; G. Gregori, “Adeguatezza”, op. cit.; F. Mantovani, op. cit., pag. 104.
274 F. Mantovani, op. cit., pag. 104.
275 “Con il conseguente duplice potere-dovere, per il giudice, di adeguare, in via interpretativa, la legislazione penale alla Costitutizione, riplasmandone gli interessi tutelati e facendo filtrare, attraverso gli elementi “vivi” della fattispecie, i valori costituzionali nella loro più attuale e concreta accezione, o altrimenti, di sospenderne l’applicazione, investendo la Corte cost. della questione di costituzionalità per gli interventi interpretativi o amputativi necessari. Resta, però, il problema di fondo di procedere ad un
legge richiede, tra i requisiti del fatto tipico, anche elementi normativi che ne implicano, di per sé, una illiceità già in base a norme extrapenali. Rileva, specie, ai fini dell’errore276.
2.1 Fondamento e ratio delle cause di giustificazione
Le cause di giustificazione sono individuate dal legislatore agli artt. 50 ss. c.p., e costituiscono ipotesi tipiche, nonostante parte della dottrina e della giurisprudenza di merito abbia sostenuto la possibilità di estenderne la portata attraverso il procedimento analogico277. In questa sede introduttiva occorre dare atto del carattere eterogeneo delle cause, che ha sollevato in dottrina dubbi riguardo la ratio sottesa alla categoria; in via di approssimazione, l’art. 50 c.p. prevede la scriminante del consenso dell’avente diritto, che esclude la punibilità quando l’offesa del bene giuridico tutelato sia stata autorizzata da chi possa validamente disporne; l’art. 51, invece, esclude la punibilità allorché il fatto tipico sia stato posto in essere nell’esercizio di un diritto ovvero in esecuzione di un dovere imposto da una norma giuridica o di un ordine legittimo della pubblica Autorità; l’art. 52 esclude l’antigiuridicità quando il soggetto attivo abbia agito per legittima difesa, mentre l’art 53 c.p. prende in considerazione l’uso legittimo delle armi da parte di un pubblico ufficiale; infine l’art. 54 c.p. disciplina lo stato di necessità, che ricorre
aggiornamento di un intero sistema penale, alla realizzazione del quale, se non interviene il potere legislativo, sarà fatalmente sempre più tentato il giudice: attraverso le vie nebulose e pericolose dell’antigiuridicità materiale”. Si veda F. Mantovani, op. cit., pag. 104.
276 L’illiceità speciale può essere: 1) espressa, quando la legge richiede espressamente che il fatto sia commesso “illegittimamente”, “abusivamente”, “indebitamente”, “arbitrariamente”, “abusando dei poteri” o “delle qualità”, ecc. (es. artt. 348, 328); 2) implicita, quando il requisito della illiceità speciale si desume implicitamente dalla considerazione complessiva della fattispecie legale: es. per i concetti di “usurpazione” di un potere politico (art. 287 c.p.) e di “distrazione” (art. 323), che implicano la contrarietà alle norme amministrative relative alla assunzione dei pubblici poteri o alla destinazione delle cose della pubblica amministrazione. Va distinta però l’illiceità speciale reale da quella apparente, che si ha nei casi in cui il richiamo all’illiceità speciale si limita a ribadire la necessità dell’assenza di scriminanti e, perciò, non occorre a descrivere il fatto tipico (es: artt. 615 bis, 615 ter). Una particolare qualificazione dell’illiceità si ha pure nei casi in cui la legge richiede, tra i requisiti del fatto tipico, anche gli elementi negativi del “senza giusta causa” (artt.616-622), del “senza necessità” (art. 638), ecc., per cui ricorrendo la giusta causa, la necessità, ecc., il fatto è lecito oltre le ipotesi previste dalle scriminanti codificate, ma pur sempre sulla base di bilanciamento e di giudizio di proporzione, affidati però al giudice, stante la difficoltà di codificare tutte le ipotesi riconducibili a tali categorie. Si veda F. Mantovani, op. cit., pag. 104.
277 F. Caringella- A. Salerno, op. cit., 450 ss.
quando il fatto risulti commesso per evitare un danno grave alla propria o altrui persona278. Forti sono le differenze che caratterizzano, specie sul piano funzionale, le diverse scriminanti e che hanno diviso la dottrina riguardo l’individuazione della relativa ratio. Sul punto si sono divisi due orientamenti, di cui il primo ha inteso individuare un’unica e comune funzione delle cause di giustificazione ed il secondo ha invece ritenuto che ciascuna scriminante risponda ad una ratio autonoma e distinta279. I sostenitori della c.d. teoria monista si sono a propria volta divisi in merito alla funzione da assegnare alla categoria delle scriminanti; in particolare, secondo una prima impostazione, le scriminanti risponderebbero al principio di non contraddizione dell’ordinamento giuridico, in forza del quale non è consentito sanzionare, specie in sede penale, una condotta che l’ordinamento stesso autorizza o impone280. Tale ricostruzione si fonda principalmente sul disposto dell’art 51 c.p. che esclude la punibilità quando il soggetto abbia agito nell’esercizio di un diritto o nell’adempimento di un dovere giuridico; i sostenitori di tale impostazione osservano inoltre che la presenza di una causa di giustificazione esclude l’illiceità del fatto e la relativa sanzione non soltanto in relazione alla responsabilità penale, ma anche con effetti in ogni altra branca del diritto, ivi compresa dunque la responsabilità amministrativa, civile o disciplinare281. Si è tuttavia rivelato che questa spiegazione in merito al fondamento e alla funzione delle cause di giustificazione mal si concilia con alcune ipotesi di scriminanti, come ad esempio il consenso dell’avente diritto, in cui l’offesa non è autorizzata dall’ordinamento ma dal titolare del bene leso; del pari, non è dato ravvisare una ratio di non contraddizione nel disposto dell’art. 52 c.p. o dell’art. 54, che prendono in considerazione il rapporto tra l’offesa realizzata dal soggetto attivo ed il pericolo di un’offesa futura, senza perciò tendere a prevenire un contrasto tra norme giuridiche282. Alla luce delle descritte obiezioni è stata pertanto elaborata una seconda ricostruzione del fondamento delle cause di giustificazione e della loro funzione, sostenendo che l’istituto risponda ad un’esigenza di bilanciamento di interessi, che consente di escludere la punibilità allorché l’interesse di cui sia portatore il soggetto attivo risulti prevalente o quantomeno equivalente al bene giuridico leso dalla condotta283. Anche
278 F. Caringella- A. Salerno, op. cit., 450 ss. 279 F. Caringella- A. Salerno, op. cit., 450 ss. 280 F. Caringella- A. Salerno, op. cit., 450 ss. 281 F. Caringella- A. Salerno, op. cit., 450 ss. 282 F. Caringella- A. Salerno, op. cit., 450 ss.
283 Ad esempio, nel caso della legittima difesa, l’interesse a proteggere i propri beni o la propria integrità da un’offesa ingiusta altrui prevale sull’interesse dell’aggressore, stante il carattere illecito della sua
questa ricostruzione è stata tuttavia criticata per il suo carattere parziale, che non si adatta a tutte le ipotesi di scriminanti individuate dal legislatore284. Proprio il carattere parziale e non esaustivo delle teorie moniste ha indotto parte della dottrina a rinunciare ad una ricostruzione unitaria del fondamento e della ratio delle cause di giustificazione, ricercandoli in maniera puntuale per ciascuna di esse. Si è pertanto sostenuto che la funzione di prevenire contraddizioni all’interno dell’ordinamento giuridico sia propria delle scriminanti disciplinate ex art. 51 c.p. e, in particolare, dell’esercizio di un diritto e dell’adempimento di un dovere giuridico, nonché dell’uso legittimo delle armi, di cui all’art. 53 c.p., stante l’inerenza della condotta offensiva all’esercizio di una pubblica funzione, disciplinata legislativamente285. Nel contempo si è fatto ricorso alla teoria di bilanciamento di interessi con esclusivo riferimento alla legittima difesa ed allo stato di necessità, in presenza dei quali il giudice penale è chiamata a valutare se sussista un’effettiva proporzione tra l’offesa arrecata e l’offesa pervenuta, bilanciando gli interessi in gioco286. Parte della dottrina estende tale soluzione anche alla scriminante del consenso dell’avente diritto, precisando che in tal caso il consenso farebbe venir meno l’interesse della persona offesa, con conseguente prevalenza, nel bilanciamento, dell’interesse del soggetto attivo287. A tale impostazione si contrappone tuttavia la teoria della carenza di interesse, che individua così una terza ed autonoma ratio della causa di giustificazione ex art. 50 c.p.: il venire meno dell’interesse renderebbe superfluo operare il bilanciamento. Il Mantovani sostiene infatti che le cause di giustificazione o scriminanti sono particolari situazioni in presenza delle quali un fatto, che altrimenti sarebbe reato, tale non è perché la legge lo impone o consente288. Esse sono “variabili storiche”, attraverso cui la dinamica dei mutamenti sociali penetra nel diritto penale e sposta, a seconda dei vari ordinamenti, i confini dell’illecito. Problematico è il fondamento e la collocazione dogmatica di queste. Anche il Mantovani sottolinea la
azione; del pari, nel caso di esercizio di un diritto si può escludere la punibilità quando il diritto esercitato presenti un valore superiore o almeno equivalente a quello leso. F. Caringella- A. Salerno, op. cit., 450 ss. 284 Si menziona il caso del consenso dell’avente diritto, in cui non occorre procedere ad un bilanciamento di interessi, posto che il titolare del bene protetto ha autorizzato a monte l’offesa. F. Caringella- A. Salerno, op. cit., 450 ss.
285 F. Caringella- A. Salerno, op. cit., 450 ss. 286 F. Caringella- A. Salerno, op. cit., 450 ss. 287 F. Caringella- A. Salerno, op. cit., 450 ss.
288 Si veda in generale: P. Nuvolone, “I limiti taciti”, Padova, 1972; R. Dolce, “Lineamenti di una teoria generale delle scusanti nel dir. pen.”, Pavia, 1960-61; L. Santamaria, “Lineamenti di una dottrina delle esimenti”, Napoli, 1961; G. Contento, “Limiti della norma e fattispecie non punibili”, in Arch. Pen., 1965; Carlo F. Grosso, “Cause di giust.”, in Enc. giur., VI, 1988; F. Bellagamba, “I problematici confini della categoria delle scrim.”, Milano, 2007; M. Donini, “Antigiuridicità e giustificazione”, Milano, 1996. Si veda inoltre F. Caringella- A. Salerno, op. cit., 450 ss. F. Mantovani, op. cit., pag. 100 ss.; G. Fiandaca- E. Musco, op. cit. pag. 267 ss.; F. Antolisei, op. cit., 196 ss.
distinzione tra il fondamento politico-sostanziale della illiceità del fatto, che si rinviene, secondo il dominante criterio pluralistico, nell’interesse mancante o nell’interesse prevalente o equivalente289. Il fatto scriminato è lecito sotto il profilo penale ed extrapenale, cioè per l’intero ordinamento giuridico, stante l’unitarietà dello stesso; perciò non giuridicamente sanzionabile e non impedibile, ad esempio mediante la legittima difesa, con eccezione per lo stato di necessità. Tuttavia profondamente diverse sono le ragioni della liceità, che illuminano la essenza delle varie scriminanti e giustificano i differenti limiti cui sottostanno290. Il fondamento logico-giuridico è dato invece, dal “principio di non contraddizione”, per cui uno stesso ordinamento non può, nella sua unitarietà, imporre o consentire e, ad uno stesso tempo, vietare il medesimo fatto senza rinnegare se stesso e la sua pratica possibilità di attuazione. Onde le norme scriminanti posso essere situate in qualsiasi ramo del diritto. Il fondamento tecnico- dommatico291, come lo definisce il Mantovani, consiste nell’assenza di tipicità del fatto scriminato292. Le scriminanti, infatti costituiscono, sotto il profilo formale- descrittivo, elementi oggettivi negativi della fattispecie criminosa, che debbono cioè mancare perché esista il reato293. Sotto il profilo sostanziale le scriminanti escludono l’offesa,
289 Per il consenso dell’avente diritto, con la rinuncia del titolare alla conservazione del proprio bene, viene meno lo stesso interesse da tutelare, onde non susssiste qui conflitto di interessi. Tutte le altri scriminanti postulano, invece, un conflitto di interessi, il cui bilanciamento si risolve con la prevalenza dell’interesse, attuabile mediante l’adempimento del dovere o l’esercizio del diritto o ingiustamente aggredito nella legittima difesa o di valore superiore nello stato di necessità, o in base all’equivalenza degli interessi di pari valore in quest’ultima scriminante. Si veda F. Caringella- A. Salerno, op. cit., 450 ss. F. Mantovani, op. cit., pag. 100 ss.; G. Fiandaca- E. Musco, op. cit. pag. 267 ss.; F. Antolisei, op. cit., 196 ss.
290 Secondo una decrescente intensità scriminante, nell’adempimento del dovere il fatto lesivo è imposto perché valutato necessario per l’interesse generale. Nell’esercizio del diritto è positivamente autorizzato perché utile. Nel consenso dell’avente diritto è permesso perché indifferente per l’ordinamento. Nella legittima difesa è invece, giuridicamente accettato come autotutela privata per l’impotenza dello Stato a prevenire o arrestare l’ingiusta aggressione. Nello stato di necessità è soltanto tollerato data la inevitabile soccombenza di almeno uno dei due beni e la obiettiva inesigibilità umana di un diverso comportamento. Tant’è che l’agente deve sottostare all’onere di corrispondere un equo indennizzo all’offeso secondo l’apprezzamento del giudice, ex art. 2045 c.c. Si veda F. Caringella- A. Salerno, op. cit., 450 ss. F. Mantovani, op. cit., pag. 100 ss.; G. Fiandaca- E. Musco, op. cit. pag. 267 ss.; F. Antolisei, op. cit., 196 ss.
291 L’assimilazione, ovvero la trasformazione della “g” nella “m”, la quale ha assorbito la prima, è stata, presumo, una scelta della lingua italiana, per rendere il suono più dolce e la pronuncia più fluida, dato che la parola originaria, del greco antico da cui proviene, è “δογματικός”, dunque vi è un suono gutturale ed uno nasale, liquido.
292 F. Caringella- A. Salerno, op. cit., 450 ss. F. Mantovani, op. cit., pag. 100 ss.; G. Fiandaca- E. Musco, op. cit. pag. 267 ss.; F. Antolisei, op. cit., 196 ss.
293 Ad esempio, l’omicidio consiste nel cagionare la morte, ma in assenza degli estremi della legittima difesa, stato di necessità, uso legittimo di armi, adempimento del dovere. Esse sono infatti soggette ad una disciplina simmetrica a quella degli elementi positivi, i quali debbono esserci perchè sussita il reato. Parimenti essenziale è, infatti, l’esistenza e degli elementi positivi e di quelli negativi, cioè l’inesistenza delle scriminanti, sia sotto il profilo oggettivo che soggettivo: la loro mancanza oggettiva esclude la illiceità; la loro mancanza putativa esclude la colpevolezza, cioè il dolo, e, se scusabile, anche la colpa; la loro esistenza putativa è irrilevante. (artt. 49, comma 1e 59, comma 1, artt. 47 comma 1 e 59 comma 3).
costituendo dei limiti alla tutela del bene: in presenza di queste manca l’offesa per la semplice ragione che il bene non è più tutelato dalla norma. Vi sarà un’offesa in senso naturalistico, come ad esempio la perdita della vita nell’uccisione per legittima difesa; ma non un’offesa in senso giuridico, perché appunto giustificata294.
2.2 Il procedimento analogico applicato alle scriminanti
Con l’espressione “analogia in bonam partem” si intende il procedimento di estensione analogica di norme di favore che, cioè producono effetti favorevoli per il reo quali l’esclusione della pena o l’attenuazione della risposta sanzionatoria per il reato commesso295. Tra le norme di favore rientrano a pieno titolo quelle che prevedono cause di giustificazione, che escludono l’antigiuridicità del reato, ovvero le norme che disciplinano cause di esclusione dell’imputabilità, della colpevolezza, o della punibilità in senso stretto; sono altresì norme di favore quelle che incidono sul quantum della pena, come le circostanze attenuanti, o che prevedono cause di estinzione del reato o della pena296. Tra gli istituti penali di favore più frequentemente oggetto di estensione analogica innanzitutto le già menzionate cause di giustificazione, che possono definirsi come circostanze in presenza delle quali l’ordinamento esclude il carattere illecito della condotta tenuta dal privato e rinuncia pertanto a qualsiasi forma di sanzione, penale, civile e amministrativa297. In più occasioni la giurisprudenza ha dovuto affrontare il problema dell’estensione analogica delle scriminanti, generali o speciali, a casi non espressamente disciplinati dalla legge penale e dell’ammissibilità di tale operazione.
Per la concezione tripartita le scriminanti escludono, invece, l’antigiuridicità oggettiva. Si veda F. Caringella- A. Salerno, op. cit., 450 ss. F. Mantovani, op. cit., pag. 100 ss.; G. Fiandaca- E. Musco, op. cit. pag. 267 ss.; F. Antolisei, op. cit., 196 ss.
294 Sono quindi superate le vecchie dottrine per cui le scriminanti sarebbero fatti giuridici autonomi, con la funzione di impedire o estinguere la punibilità del fatto, che sarebbe pur sempre nato come penalmente illecito. Ambiguo e generico resta, perciò, il linguaggio del codice, che parla di “circostanze di esclusione della pena”, ex art. 59. F. Caringella- A. Salerno, op. cit., 450 ss. F. Mantovani, op. cit., pag. 100 ss.; G. Fiandaca- E. Musco, op. cit. pag. 267 ss.; F. Antolisei, op. cit., 196 ss.
295 F. Caringella- A. Salerno, op. cit., 450 ss. F. Mantovani, op. cit., pag. 100 ss.; G. Fiandaca- E. Musco, op. cit. pag. 267 ss.; F. Antolisei, op. cit., 196 ss.
296 F. Mantovani, op. cit., pag. 100 ss.; G. Fiandaca- E. Musco, op. cit. pag. 267 ss.; F. Antolisei, op. cit., 196 ss.; F. Caringella- A. Salerno, op. cit., 450 ss.
297 F. Caringella- A. Salerno, op. cit., 450 ss. F. Mantovani, op. cit., pag. 100 ss.; G. Fiandaca- E. Musco, op. cit. pag. 267 ss.; F. Antolisei, op. cit., 196 ss. T. Padovani, “Diritto penale”, Milano, 2019, op. cit.; C. Roxin, “Antigiuridicità e cause di giustificazione”, Napoli, 1996, op. cit.
Superato tuttavia l’ostacolo della concezione assoluta del divieto, con particolare riguardo alle cause di giustificazione, si è posto il problema della loro natura eccezionale: secondo un’impostazione ormai minoritaria, infatti, le cause di giustificazione presenterebbero carattere eccezionale, come tale ostativo alla loro estensione analogica, poiché costituirebbero eccezioni rispetto alle norme incriminatrici298; si è tuttavia osservato, da parte della dottrina maggioritaria, che, in realtà le cause di giustificazione sono espressive di principi generali dell’ordinamento, primo fra tutti di quello di non contraddizione, che impedisce all’ordinamento di sanzionare comportamenti che esso stesso autorizza o impone, e pertanto non assumono carattere eccezionale, ammettendo in astratto un’applicazione analogica delle scriminanti. Esclusa la natura eccezionale delle cause di giustificazione, si è posto tuttavia il problema legato alla loro struttura, che non sempre si presta ad una estensione analogica299. Si pensi al caso della scriminante del consenso dell’avente diritto o dell’esercizio di un diritto o di un dovere: la prima scriminante esclude la punibilità di chi leda o ponga in pericolo un diritto con il consenso di chi possa validamente disporne; in tal caso si è osservato che la fattispecie scriminante dettata dall’art. 50 c.p. non consente alcuna forma di analogia, dal momento che si presenta di per sé esaustiva e priva cioè di lacune300. L’interprete sarà dunque chiamato a verificare se il consenso sussiste ed è validamente espresso, senza imbattersi in alcuna lacuna normativa; invero parte della dottrina ha osservato che la scriminante in questione potrebbe trovare applicazione nei casi in cui il consenso non sia stato espresso ma il reo abbia presunto che il titolare del bene, ove richiesto, avrebbe acconsentito alla lesione o alla messa in pericolo del bene. Tale ipotesi è stata tuttavia esclusa, poiché la norma di cui all’art. 50
c.p. non può trovare applicazione in relazione ad un’ipotesi priva di affinità strutturali e funzionali301: nel caso di specie, infatti, il consenso presunto non implica alcuna manifestazione di volontà da parte del titolare del bene tutelato dalla norma penale, e, nel contempo presuppone in capo al reo la consapevolezza che il consenso non è stato espresso, poiché solo presunto; mancherebbe pertanto il presupposto dell’eadem ratio,
298 F. Caringella- A. Salerno, op. cit., 450 ss. F. Mantovani, op. cit., pag. 100 ss.; G. Fiandaca- E. Musco, op. cit. pag. 267 ss.; F. Antolisei, op. cit., 196 ss.
299 F. Caringella- A. Salerno, op. cit., 450 ss. F. Mantovani, op. cit., pag. 100 ss.; G. Fiandaca- E. Musco, op. cit. pag. 267 ss.; F. Antolisei, op. cit., 196 ss.
300 F. Caringella- A. Salerno, op. cit., 450 ss. F. Mantovani, op. cit., pag. 100 ss.; G. Fiandaca- E. Musco, op. cit. pag. 267 ss.; F. Antolisei, op. cit., 196 ss.
301 F. Mantovani, op. cit., pag. 100 ss.; G. Fiandaca- E. Musco, op. cit. pag. 267 ss.; F. Antolisei, op. cit., 196 ss.; F. Caringella- A. Salerno, op. cit., 450 ss.
necessario per procedere in via analogica302. Un’ulteriore ipotesi di incompatibilità tra la struttura della scriminante e l’analogia è rappresentata dalle scriminanti dell’esercizio di un diritto e dell’adempimento di un dovere, entrambe disciplinate dall’art. 51 c.p., che esclude la punibilità di chi abbia commesso il fatto nell’esercizio di un diritto o nell’adempimento di un dovere giuridico. Anche in questo caso, infatti, la fattispecie astratta espressamente disciplinata presenta un ambito operativo talmente vasto da prevenire ogni forma di lacuna normativa: l’espressione diritto è infatti interpretata estensivamente come ogni posizione giuridico-soggettiva di vantaggio; del pari l’art. 51
c.p. prende espressamente in considerazione, quale fonte del dovere ogni norma giuridica o ordine legittimo dell’autorità, così esaurendo le fattispecie astrattamente riconducibili alla scriminante303. Diverso il caso in cui l’analogia non operi in riferimento alla norma penale che prevede le scriminanti, ma alla norma giuridica, extrapenale, che funge da base normativa del diritto o del dovere: in siffatte ipotesi, infatti, l’estensione analogica a monte della norma giuridica che riconosce un diritto può legittimamente far nascere una posizione giuridico-soggettiva di vantaggio rilevanti ai fini dell’art. 51 c.p., purché sussistano tutti i requisiti che consentono di estenderla analogicamente, tra cui il suo carattere non eccezionale304. Di estensione analogica in senso proprio di cause di esclusione dell’antigiuridicità può invece parlarsi con
302 F. Caringella- A. Salerno, op. cit., 450 ss. F. Mantovani, op. cit., pag. 100 ss.; G. Fiandaca- E. Musco, op. cit. pag. 267 ss.; F. Antolisei, op. cit., 196 ss.
303 Anche in questo caso non sono mancate invero istanze di estensione della disciplina ex art. 51 c.p. a casi ritenuti analoghi a quelli disciplinati dalla norma, come nell’ipotesi del reato commesso nell’asserito esercizio di un interesse legittimo o dell’adempimento di un dovere morale. E’ stato tuttavia osservato che, nel primo caso, la posizione giuridico-soggettiva dell’interesse legittimo non è assimilabile a quella del diritto soggettivo e, pertanto, non presenta il requisito dell’eadem ratio, in quanto si tratta di una posizione giuridico-soggettiva strettamente connessa all’esercizio del pubblico potere, che non consente al privato di agire in autonomia, disinteressandosi delle determinazioni della Pubblica Amministrazione. Basta pensare al privato che, ritenendo di essere titolare di un interesse legittimo a edificare, proceda ai lavori di costruzione senza permesso edilizio, opponendo la scriminate di cui all’art. 51 c.p. Del pari, nel caso di adempimento di un dovere morale, non sarà possibile estendere analogicamente la scriminante in questione poichè manca l’identità strutturale tra la fattispecie espressamente disciplinata, che richiede una base giuridica del dovere, e quella priva di disciplina, che si fonda invece sul dato mutabile e contingente della morale. F. Caringella- A. Salerno, op. cit., 450 ss. F. Mantovani, op. cit., pag 100 ss.; G. Fiandaca-
E. Musco, op. cit. pag. 267 ss.; F. Antolisei, op. cit., 196 ss.
304 Si pensi al caso in cui il curatore dell’eredità, dopo la cessazione del suo ufficio ma prima di averne notizia, abbia alienato un bene dell’asse ereditario a un terzo che, a fronte della richiesta da parte degli eredi di riconsegnare il bene, abbia opposto il suo rifiuto e sia stato pertanto querelato per appropriazione indebita, sul presupposto che non esistono norme che prevedano la validità degli atti compiuti dal curatore a seguito della cessazione dell’ufficio; nel caso di specie la giurisprudenza civile estende analogicamente il disposto dell’art. 1729, che fa salvi gli atti posti in essere dal mandatario prima di aver avuto notizia della cessazione del mandato, con la conseguenza che l’atto dispositivo del curatore, anche dopo la cessazione dell’ufficio ma prima di averne avuto conoscenza, è efficace e fa nascere in capo al terzo, per analogia, un valido diritto che opera in funzione scriminante, ai sensi dell’art. 51 c.p. F. Caringella- A. Salerno, op. cit., 450 ss. F. Mantovani, op. cit., pag 100 ss.; G. Fiandaca- E. Musco, op. cit. pag. 267 ss.; F. Antolisei, op. cit., 196 ss.
riferimento alle ipotesi di legittima difesa anticipata: parte della dottrina ha infatti sostenuto che la scriminante dell’art. 52 c.p., che consente la legittima difesa, in caso di pericolo attuale di un’offesa ingiusta, possa essere ravvisata anche quando il pericolo è solo futuro ma inevitabile per il soggetto agente, che è pertanto costretto ad agire in propria difesa prima che esso si manifesti; la medesima soluzione estensiva, in via analogica, è stata prospettata per lo stato di necessità, che esclude la punibilità di chi abbia agito per salvare sé o altri da un pericolo attuale di un grave danno alla persona, quando il pericolo non sia attuale ma il comportamento necessitato non possa essere ritardato, in vista di un pericolo certo sebbene futuro305.
2.3 Gli effetti delle cause di giustificazione
In seguito all’illustrazione dell’operatività dell’analogia avente ad oggetto le cause di giustificazione, è necessario procedere ad esaminare gli effetti sulla posizione giuridica del soggetto agente306. Il principale effetto delle cause di giustificazione è il venir meno dell’antigiuridicità della condotta, ossia del suo carattere illecito; come si è avuto modo di osservare, il medesimo fatto può tuttavia rilevare non solo ai fini della responsabilità penale ma anche e preliminarmente sul piano della responsabilità civile del soggetto agente per i danni cagionati alla persona offesa307. Nel nostro ordinamento manca tuttavia una norma di raccordo tra la disciplina penale delle scriminanti e la disciplina della responsabilità civile, limitandosi il legislatore a regolare gli effetti del giudicato di assoluzione, all’art. 652 c.p.p., nei processi civile, disciplinare e amministrativo308; Emerge dalla disciplina processual-penalistica che solo in ipotesi di esercizio del diritto
305 F. Caringella- A. Salerno, op. cit., 450 ss. F. Mantovani, op. cit., pag 100 ss.; G. Fiandaca- E. Musco, op. cit. pag. 267 ss.; F. Antolisei, op. cit., 196 ss.
306 F. Caringella- A. Salerno, op. cit., 450 ss. F. Mantovani, op. cit., pag. 100 ss.; G. Fiandaca- E. Musco, op. cit. pag. 267 ss.; F. Antolisei, op. cit., 196 ss.
307 F. Caringella- A. Salerno, op. cit., 450 ss. F. Mantovani, op. cit., pag. 100 ss.; G. Fiandaca- E. Musco, op. cit. pag. 267 ss.; F. Antolisei, op. cit., 196 ss.
308 Per quanto rileva in questa sede, la disposizione citata prevede che: “La sentenza penale irrevocabile di assoluzione pronunciata in seguito a dibattimento ha efficacia di giudicato, quanto all’accertamento che il fatto non sussiste o che l’imputato non lo ha commesso o che il fatto è stato compiuto nell’adempimento di un dovere o nell’esercizio di una facoltà legittima, nel giudizio civile o amministrativo per le restituzioni e il risarcimento del danno”. Si veda F. Caringella- A. Salerno, op. cit., 450 ss. F. Mantovani, op. cit., pag. 100 ss.; G. Fiandaca- E. Musco, op. cit. pag. 267 ss.; F. Antolisei, op. cit., 196 ss.
o adempimento di un dovere, di cui all’art. 51 c.p., l’accertamento in sede penale, a determinate condizioni, produrrà effetti vincolanti nel giudizio civile volto ad accertare la responsabilità dell’imputato in veste di danneggiante per i medesimi fatti309. Manca invece alcun riferimento alle restanti cause di giustificazione di cui agli artt. 50, 52 e 54 c.p., mentre l’uso legittimo delle armi può essere ricondotto alla nozione di adempimento di un dovere, adoperata dal legislatore nell’art. 652. c.p.p.; del pari, occorre evidenziare che la norma del Codice di procedura penale si limita a disciplinare gli effetti del giudicato penale di assoluzione nel giudizio civile, ma nulla prescrive in merito all’efficacia delle scriminanti di cui agli artt. 51 e 53 c.p. sulla responsabilità civile per i medesimi fatti, quando manchi una sentenza penale definitiva310. In tal senso rilevano le disposizioni di cui agli artt. 2044 e 2045 c.c., rubricate, rispettivamente, “legittima difesa” e “stato di necessità”. Il primo prevede espressamente, al primo comma311, che “Non è responsabile chi cagiona il danno per legittima difesa di sé o altri”, estendendo dunque l’effetto scriminante della causa di giustificazione disciplinata dall’art. 52 c.p. alla responsabilità civile per fatto illecito312. Nel contempo, l’art, 2045 c.c. dispone che: “Quando chi ha compiuto il fatto dannoso vi è stato costretto dalla necessità di salvare sé o altri dal pericolo attuale di danno grave alla persona e il pericolo non è stato da lui volontariamente causato né era altrimenti evitabile, al danneggiato è dovuta un’indennità, la cui misura è rimessa all’equo apprezzamento del giudice”. La disposizione civilistica riproduce pedissequamente nella sostanza i presupposti dello stato di necessità disciplinato dall’art. 54 c.p., ad eccezione del requisito della necessaria proporzione tra il fatto ed il pericolo313. In caso di stato di necessità tuttavia, il legislatore non si limita ad escludere la responsabilità dell’autore del fatto, prevedendo altresì il riconoscimento, a favore del danneggiato, di
309 Il primo comma dell’art. 652 c.p.p. prosegue infatti precisando che l’effetto di giudicato opera nel giudizio “promosso dal danneggiato nell’interesse dello stesso, sempre che il danneggiato si sia costituito o sia stato posto in condizione di costiuirsi parte civile, salvo che il danneggiato dal reato abbia esercitato azione in sede civile a norma dell’art. 75 comma 2”, così garantendo il rispetto del principio del contraddittorio, di cui all’art. 111 Cost. Si veda F. Caringella- A. Salerno, op. cit., 450 ss. F. Mantovani, op. cit., pag. 100 ss.; G. Fiandaca- E. Musco, op. cit. pag. 267 ss.; F. Antolisei, op. cit., 196 ss.
310 F. Caringella- A. Salerno, op. cit., 450 ss.
311 La legge 26 aprile 2019, n. 36, ha aggiunto due nuovi commi ai suddetti articoli. F. Caringella- A. Salerno, op. cit., 450 ss. F. Mantovani, op. cit., pag. 100 ss.; G. Fiandaca- E. Musco, op. cit. pag. 267 ss.;
F. Antolisei, op. cit., 196 ss.
312 F. Caringella- A. Salerno, op. cit., 450 ss.
313 Rientrano pertanto nell’ambito di applicazione dell’art. 2045 c.c. tutte le ipotesi di stato di necessità rilevanti in sede penale, stante la maggior ampiezza della fattispecie civile, la quale non richiede il requisito della proporzione. F. Caringella- A. Salerno, op. cit., 450 ss. F. Mantovani, op. cit., pag. 100 ss.;
G. Fiandaca- E. Musco, op. cit. pag. 267 ss.; F. Antolisei, op. cit., 196 ss.A. Torrente- P. Schlesinger,
“Manuale di diritto privato”, Milano, 2015, 905 ss.
un’indennità nella misura ritenuta equa dal giudice civile314. Sia la legittima difesa che lo stato di necessità trovano dunque espressa disciplina in materia civile, a differenza delle scriminanti del consenso e dell’adempimento di un dovere, ivi compreso il legittimo uso delle armi, o dell’esercizio di un diritto; tanto non consente tuttavia di ritenere che dette cause di giustificazione siano prive di effetti sulla responsabilità civile315. Deve infatti considerarsi che, in materia civile, la responsabilità ed il conseguente obbligo di risarcire il pregiudizio cagionato, sussiste solo quando il danno risulti “ingiusto”, secondo la formulazione dell’art. 2043 c.c. L’ingiustizia del pregiudizio cagionato presuppone che risulti leso un bene giuridico meritevole di tutela; va precisato che il requisito di meritevolezza presuppone che l’interesse leso si collochi in una posizione gerarchicamente superiore rispetto all’interesse di cui sia portatore il danneggiante: qualora, pertanto, il danno sia stato cagionato nell’esercizio di un diritto che prevale o quantomeno equivale per valore giuridico all’interesse leso, non potrebbe ravvisarsi il requisito di ingiustizia del danno e verrebbe di conseguenza meno il carattere illecito della condotta del danneggiante316. Non resta che valutare gli effetti, in materia civile, del consenso dell’avente diritto sulla responsabilità civile del danneggiante. Ad una prima soluzione, di carattere aprioristico, che esclude l’ingiustizia del danno in presenza del consenso del danneggiato, si contrappone una tesi dottrinale che evidenzia la incompatibilità tra la struttura dell’illecito civile e l’espressione del consenso in merito alla causazione del danno da parte del danneggiato. La responsabilità extracontrattuale, infatti, si caratterizza per l’estraneità tra il danneggiante e danneggiato, contrapposta alla relazione tra le parti, su cui si fonda la responsabilità contrattuale317. L’espressione del consenso da parte dell’avente diritto, al contrario,
314 F. Caringella- A. Salerno, op. cit., 450 ss.
315 F. Caringella- A. Salerno, op. cit., 450 ss. F. Mantovani, op. cit., pag. 100 ss.; G. Fiandaca- E. Musco, op. cit. pag. 267 ss.; F. Antolisei, op. cit., 196 ss.
316 Alle medesime conclusioni deve pervenirsi con riferimento all’adempimento di un dovere giuridico, quando l’interesse sotteso alle norme o all’ordine dell’Autorità che lo impongono sia di rango pari o superiore rispetto all’interesse leso. Anche le scriminanti dell’esercizio di un diritto e dell’adempimento di un dovere assumono pertanto rilevanza in materia civile, escludendo l’illiceità della condotta, come è possibile confermare alla luce dell’art. 652 c.p.p., che prende in considerazione espressamente entrambe le cause di giustificazione. F. Caringella- A. Salerno, op. cit., 450 ss. F. Mantovani, op. cit., pag. 100 ss.;
G. Fiandaca- E. Musco, op. cit. pag. 267 ss.; F. Antolisei, op. cit., 196 ss.
317 La prima infatti non consente di individuare il soggetto responsabile prima del verificarsi del danno; nella seconda, invece, stante l’esistenza di un precedente rapporto tra responsabile e danneggiato, è possibile individuare ex ante il soggetto su cui ricade l’obbligo di risarcimento del danno. Ciò è confermato dalla giurisprudenza di legittimità, che ha in più occasioni affermato che “la responsabilità extracontrattuale ricorre solo quando la pretesa risarcitoria venga formulata nei confronti di un soggetto autore di un danno ingiusto non legato all’attore da alcun rapporto giuridico precedente”. In tal senso la sentenza delle Sezioni Unite n. 589 del 1999, in materia di contatto sociale qualificato. Si veda F. Caringella- A. Salerno, op. cit., 450 ss. F. Mantovani, op. cit., pag. 100 ss.; G. Fiandaca- E. Musco, op. cit. pag. 267 ss.; F. Antolisei, op. cit., 196 ss.
presuppone che tra danneggiante e danneggiato sussista un rapporto giuridico, nell’ambito del quale il consenso viene espresso, che esclude pertanto la possibilità di ravvisare in capo al primo alcuna forma di responsabilità da fatto illecito318. Emerge, dunque, che la sussistenza di una causa di giustificazione, oltre ad elidere l’antigiuridicità del fatto tipico, esclude il carattere illecito della condotta anche ai fini della responsabilità civile, sulla scorta delle suesposte considerazioni, che si prestano ad operare altresì in materia amministrativa o disciplinare319. L’effetto scriminante delle cause di giustificazione è pertanto da ritenersi generale e tale conclusione non può essere revocata in dubbio ma risulta, al contrario, confermata dal disposto dell’art. 2045
c.c. che, pur prevedendo una conseguenza giuridica per il fatto commesso in stato di necessità, qualifica l’obbligo di pagamento di una somma equa al danneggiato come “indennità”, che presuppone proprio il carattere lecito della condotta, differenziandosi dal “risarcimento del danno”, che consegue invece all’illecito 320.
2.4 Categorie analoghe
L’esame della collocazione nella struttura del reato del fondamento e degli effetti della cause di giustificazione consente di definirle come “circostanze” in presenza delle quali una condotta, pur integrando gli estremi di un reato, non presenta per l’ordinamento carattere illecito e non può quindi essere sanzionata. Si tratta dunque di circostanze di carattere oggettivo321, poiché attengono alla qualificazione del fatto tipico; non possono tuttavia essere definite come elementi costitutivi del reato, dal momento che il
318 F. Caringella- A. Salerno, op. cit., 450 ss. F. Mantovani, op. cit., pag. 100 ss.; G. Fiandaca- E. Musco, op. cit. pag. 267 ss.; F. Antolisei, op. cit., 196 ss.
319 F. Caringella- A. Salerno, op. cit., 450 ss.
320 Più problematica è invece la neo-introdotta indennità nelle ipotesi di eccesso colposo verificatosi in una situazione di legittima difesa c.d. domiciliare, che consegue ad una condotta illecita, in quanto colposa e non scriminata, e tuttavia presenta natura indennitaria e non di risarcimento del danno. F. Caringella- A. Salerno, op. cit., 450 ss. F. Mantovani, op. cit., pag. 100 ss.; G. Fiandaca- E. Musco, op. cit. pag. 267 ss.; F. Antolisei, op. cit., 196 ss.
321 Il carattere oggettivo delle cause di giustificazione incide sulla possibilità di estenderle ai concorrenti nel medesimo reato, ai sensi dell’art. 119 c.p., il quale al secondo comma prevede che “Le circostanze oggettive che escludono la pena hanno effetto per tutti coloro che sono concorsi nel reato”. Pertanto, se il fatto commesso da più persone in concorso tra loro è realizzato in presenza di una scriminante, ne beneficerà ciascun concorrente. Si veda F. Caringella- A. Salerno, op. cit., 450 ss. F. Mantovani, op. cit., pag. 100 ss.; G. Fiandaca- E. Musco, op. cit. pag. 267 ss.; F. Antolisei, op. cit., 196 ss.
perfezionamento della fattispecie criminosa, intesa come fatto tipico, antigiuridico e colpevole, secondo l’impostazione tripartita, postula proprio la loro assenza322. Allorché invece si rilevi la sussistenza di una causa di giustificazione, viene meno l’antigiuridicità della condotta ed il giudice dovrà pronunciare sentenza di assoluzione “perché il fatto non costituisce reato”; inoltre la condotta non potrà assumere rilevanza neanche ai fini della responsabilità civile, disciplinare o amministrativa, come già è stato affermato323. Le suesposte caratteristiche delle cause di giustificazione consentono di distinguerle da istituti ad esse affini, poiché idonei ad escludere la punibilità del reo, ma differenti sotto il profilo strutturale e funzionale; ci si riferisce da un lato alle cc.dd. scusanti o cause di esclusione della colpevolezza e, dall’altro, alle esimenti o cause di non punibilità o di esclusione della punibilità in senso stretto324. Le prime incidono sulla colpevolezza, escludendo che possa rimproverarsi il reo per il fatto commesso; le seconde, invece, operano a fronte di un reato perfetto, in quanto tipico, antigiuridico e colpevole, e ne escludono tuttavia la punizione325. Sul piano funzionale, dunque, le scusanti consentono al giudice di assegnare rilevanza a circostanze concrete che incidono sull’elemento soggettivo del reato, facendo venir meno la coscienza e volontà della condotta326 ovvero l’elemento soggettivo del reato, come il dolo, in presenza dell’errore. L’istituto delle scusanti opera pertanto a garanzia del rispetto del principio di colpevolezza e impediscono il perfezionamento del reato in quanto fatto tipico, antigiuridico ma non colpevole. Diversa è la ratio delle cause di esclusione della punibilità in senso stretto, le quali rispondono invece ad una valutazione di opportunità da parte del legislatore - a fronte di una condotta che integri gli estremi di un reato, perfezionandolo sul triplice piano della tipicità, antigiuridicità e colpevolezza, in questo caso – di irrogare la sanzione penale nei confronti del reo: si tratta infatti di situazioni peculiari in cui sull’istanza di punizione dello Stato prevalgono valori altrettanto rilevanti nell’ordinamento, come ad esempio il sentimento familiare o la tutela degli interessi costituzionalmente rilevanti, che permettono di rinunciare all’irrogazione della
322 F. Caringella- A. Salerno, op. cit., 450 ss. F. Mantovani, op. cit., pag. 100 ss.; G. Fiandaca- E. Musco, op. cit. pag. 267 ss.; F. Antolisei, op. cit., 196 ss; T. Padovani, “Diritto penale”, Milano, 2019, op. cit., 100 ss.
323 F. Caringella- A. Salerno, op. cit., 450 ss. F. Mantovani, op. cit., pag 100 ss.; G. Fiandaca- E. Musco, op. cit. pag. 267 ss.; F. Antolisei, op. cit., 196 ss.
324 In senso lato assorbe tutti gli altri istituti. F. Caringella- A. Salerno, op. cit., 450 ss. F. Mantovani, op. cit., pag. 100 ss.; G. Fiandaca- E. Musco, op. cit. pag. 267 ss.; F. Antolisei, op. cit., 196 ss.
325 F. Caringella- A. Salerno, op. cit., 450 ss.
326 La c.d. suitas, cioè l’appartenenza soggettiva della condotta al soggetto, che deve averla posta in essere quando è padrone di sé stesso e delle proprie azioni. F. Caringella- A. Salerno, op. cit., 450 ss. F. Mantovani, op. cit., pag. 100 ss.; G. Fiandaca- E. Musco, op. cit. pag. 267 ss.; F. Antolisei, op. cit., 196 ss.T. Padovani, “Diritto penale”, Milano, 2019, op. cit., 100 ss.
pena327. Emerge, dunque, che pur conducendo al medesimo effetto pratico, ovvero l’esclusione della punibilità, le scusanti operano su un piano diverso nella struttura del reato, attinente alla colpevolezza e non all’antigiuridicità; nel contempo, si è avuto modo di evidenziare che le cause di non punibilità presuppongono il perfezionamento di un reato e dunque non possono sovrapporsi alle cause di giustificazione, dal momento che operano in relazione ad un reato perfetto, ed in quanto tale antigiuridico328. In entrambi i casi la presenza di una scusante o di una esimente non incide sul carattere illecito della condotta, facendo venir meno esclusivamente la punibilità del reo; ne consegue che, a differenza delle cause di giustificazione, che elidono in toto l’antigiuridicità, queste ultime lasciano intatto il carattere illecito della condotta e consentono, pertanto, di agire in sede civile nei confronti del soggetto attivo per i medesimi fatti329. A questa prima differenza tra scriminanti e altre cause di non punibilità si affianca il carattere eccezionale che presentano le esimenti; mentre infatti le cause di giustificazione sono disciplinate da norme espressive di principi generali dell’ordinamento, altrettanto non può dirsi delle cause di esclusione della punibilità in senso stretto, che invece derogano alle norme incriminatrici escludendo, eccezionalmente, la pena per specifiche e tassative ragione di opportunità330. Le cause di esclusione della colpevolezza condividono invece il carattere generale delle scriminanti, poiché, come già è stato detto, costituiscono applicazione del principio costituzionale di personalità della responsabilità penale331. Il carattere generale delle norme che regolano cause di giustificazione e cause di esclusione della colpevolezza, a fronte dell’eccezionalità delle cause di non punibilità, incide sull’ammissibilità di una eventuale estensione in via analogica, preclusa per le cause di esclusione della punibilità in senso stretto ai sensi dell’art. 14 Preleggi332. Oltre alla funzione e alla natura generale o eccezionale delle norme che le disciplinano, le circostanze che escludono la punibilità, cioè le cause di esclusione della punibilità in senso lato, si differenziano per il proprio carattere oggettivo o soggettivo, a seconda che attengano o meno ad una qualità o
327 F. Caringella- A. Salerno, op. cit., 450 ss. F. Mantovani, op. cit., pag. 100 ss.; G. Fiandaca- E. Musco, op. cit. pag. 267 ss.; F. Antolisei, op. cit., 196 ss.
328 F. Caringella- A. Salerno, op. cit., 450 ss. F. Mantovani, op. cit., pag. 100 ss.; G. Fiandaca- E. Musco, op. cit. pag. 267 ss.; F. Antolisei, op. cit., 196 ss.
329 F. Caringella- A. Salerno, op. cit., 450 ss.
330 F. Caringella- A. Salerno, op. cit., 450 ss. F. Mantovani, op. cit., pag. 100 ss.; G. Fiandaca- E. Musco, op. cit. pag. 267 ss.; F. Antolisei, op. cit., 196 ss.
331 F. Caringella- A. Salerno, op. cit., 450 ss. F. Mantovani, op. cit., pag. 100 ss.; G. Fiandaca- E. Musco, op. cit. pag. 267 ss.; F. Antolisei, op. cit., 196 ss.; T. Padovani, “Diritto penale”, Milano, 2019, op. cit., 100 ss.
332 F. Caringella- A. Salerno, op. cit., 450 ss.
situazione personale del reo333. A fronte, infatti, della natura oggettiva delle cause di giustificazione, le scusanti e le cause di esclusione della punibilità in senso stretto attengono al soggetto attivo del reato, poiché afferiscono, le prime, alla sua colpevolezza e, le seconde, ad una particolare condizione in cui il soggetto venga a trovarsi334. Tale distinzione non opera esclusivamente sul piano teorico e descrittivo, comportando importanti conseguenze pratiche in relazione all’estensibilità delle singole esimenti e delle scusanti agli eventuali concorrenti nella commissione del reato335. A fronte, infatti, del disposto del comma secondo dell’art. 119 c.p., “oggettive” che consente l’estensione delle “circostanze che escludono la pena” a tutti i concorrenti, il primo comma della medesima disposizione sancisce che “Le circostanze soggettive le quali escludono la pena per taluno di coloro che sono concorsi nel reato hanno effetto soltanto riguardo alla persona a cui si riferiscono”336. Ne consegue che tanto le scusanti, quanto le cause di esclusione della punibilità in senso stretto, non potranno operare a favore dei concorrenti diversi da quello cui si riferiscono. Occorre precisare che, secondo una parte minoritaria della dottrina, l’estensione delle cause di esclusione della punibilità in senso stretto a tutti i concorrenti nel reato è ammissibile quanto queste presentino carattere oggettivo e non siano cioè fondate su condizioni personali del reo337. Riepilogando le principali differenze tra le singole cause di esclusione della punibilità in senso lato, si può affermare che gli istituti rispondono a finalità differenti e si collocano diversamente nella struttura del reato, riferimento all’antigiuridicità ed alla colpevolezza, ovvero al di fuori di essa, come nel caso della cause di non punibilità338; inoltre, le disposizioni che ne dettano la disciplina hanno carattere generale, il quale
333 F. Caringella- A. Salerno, op. cit., 450 ss. F. Mantovani, op. cit., pag. 100 ss.; G. Fiandaca- E. Musco, op. cit. pag. 267 ss.; F. Antolisei, op. cit., 196 ss.
334 F. Caringella- A. Salerno, op. cit., 450 ss.
335 F. Caringella- A. Salerno, op. cit., 450 ss. F. Mantovani, op. cit., pag. 100 ss.; G. Fiandaca- E. Musco, op. cit. pag. 267 ss.; F. Antolisei, op. cit., 196 ss.
336 F. Caringella- A. Salerno, op. cit., 450 ss. F. Mantovani, op. cit., pag. 100 ss.; G. Fiandaca- E. Musco, op. cit. pag. 267 ss.; F. Antolisei, op. cit., 196 ss.
337 Si è quindi sostenuto che la causa di non punibilità ex art. 131 bis , come qualificata dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, nella sentenza n. 15449 del 2015, ove riconosciuta per uno dei correi, debba operare a favore di ciascun concorrente nel reato; a tale soluzione si è obiettato che il medesimo articolo prevede, tra i requisiti di applicazione della causa di non punibilità, anche elementi di carattere soggettivo, con conseguente natura quantomeno ibrida di causa di esclusione della punibilità, che impedisce di estenderla de plano a ciascun concorrente: occorrerà dunque verificare, per ciascun soggetto, se risultano soddisfatte anche le condizioni di carattere soggettivo. Tuttavia, riconosciuta la peculiarità della disciplina dell’art. 131 bis c.p., non pare potersi negare che, in astratto, il carattere oggettivo di una causa di esclusione della punibilità in senso stretto possa consentirne l’estensione a tutti i concorrenti nel reato. F. Caringella- A. Salerno, op. cit., 450 ss. F. Mantovani, op. cit., pag. 100 ss.; G. Fiandaca- E. Musco, op. cit. pag. 267 ss.; F. Antolisei, op. cit., 196 ss.
338 F. Caringella- A. Salerno, op. cit., 450 ss. F. Mantovani, op. cit., pag. 100 ss.; G. Fiandaca- E. Musco,
ammette in astratto l’analogia, nel caso delle scriminanti e scusanti, a fronte del carattere eccezionale delle cause di non punibilità; solo le cause di giustificazione fanno venir meno il carattere illecito o antigiuridico della condotta, che invece permane, insieme alle conseguenze sul piano civilistico, in presenza di scusanti e cause di non punibilità; infine, le cause di giustificazione, al pari tuttavia di alcune ipotesi di cause di non punibilità, presentano carattere oggettivo e sono perciò estensibili ai concorrenti nel medesimo reato, a differenza delle scusanti e delle cause di non punibilità di natura soggettiva339. Nonostante le plurime differenze tra le cause di esclusione della punibilità in senso lato, non è sempre agevole procedere alla relativa qualificazione, che assume notevole rilevanza sul piano pratico. Il problema si è posto nella giurisprudenza con riferimento alla qualificazione di alcune fattispecie disciplinate nella parte speciale del Codice penale, sulla cui natura di scriminanti, scusanti o cause di esclusione della punibilità in senso stretto si è dibattuto a lungo340. Parte della dottrina ha infatti sostenuto che il legislatore abbia previsto ipotesi di scriminanti speciali, contrapposte alle scriminanti comuni di cui agli artt. 50 ss. c.p.; l’opposto orientamento ha invece escluso l’ammissibilità della categoria delle scriminanti speciali, stante il carattere generale proprio delle cause di giustificazione, che mal si concilierebbe con la previsione di “scriminanti di settore”341. Il problema si è posto con particolare riferimento alle disposizioni di cui agli artt. 384 e 598 c.p., dettate in materia di reati contro l’Amministrazione della Giustizia, la prima, e diffamazione, la seconda. L’art. 384 c.p. esclude al primo comma la punibilità di “chi ha commesso il fatto per esservi stato costretto dalla necessità di salvare sé medesimo o un prossimo congiunto da un grave ed inevitabile nocumento nella libertà o nell’onore”, in relazione ad alcuni delitti contro l’Amministrazione della Giustizia. Secondo un primo orientamento, condiviso dalla giurisprudenza di legittimità, con la sentenza n. 38952 del 2006, la disposizione in commento introdurrebbe una causa di esclusione dell’antigiuridicità, quale applicazione speciale dello stato di necessità di cui all’art. 54 c.p. , in forza dell’assimilazione tra il “nocumento nella libertà o nell’onore” e il grave danno alla persona che caratterizza
339 Va inoltre evidenziato che la formula con cui il giudice penale assolve l’imputato coincide solo in presenza di scriminanti e scusanti, per cui opera la formula “perché il fatto non costituisce reato”, laddove, in presenza di una causa di non punibilità, il giudice orinuncia sentenza di assoluzione “perché il reato è stato commesso da persona non imputabile”, come previsto dall’art. 530 c.p.p. F. Caringella- A. Salerno, op. cit., 450 ss. F. Mantovani, op. cit., pag. 100 ss.; G. Fiandaca- E. Musco, op. cit. pag. 267 ss.;
F. Antolisei, op. cit., 196 ss..; T. Padovani, “Diritto penale”, Milano, 2019, op.cit., 100 ss.
340 F. Caringella- A. Salerno, op. cit., 450 ss.
341 F. Caringella- A. Salerno, op. cit., 450 ss. F. Mantovani, op. cit., pag 100 ss.; G. Fiandaca- E. Musco,
invece la scriminante comune342. Ma così interpretata la norma finirebbe per non trovare applicazione poiché la qualificazione in termini di scriminante, quale species dello stato di necessità, implicherebbe l’estensione del requisito di non volontaria causazione del pericolo, che manca nel caso di specie343; Si è quindi sostenuto che l’art. 384 c.p. integri una causa di esclusione della colpevolezza, facendo leva sul conflitto morale che si manifesta in capo al reo allorché la commissione del reato contro l’Amministrazione della Giustizia sia motivata dalla necessità di salvare sé stesso o un prossimo congiunto dalle conseguenze pregiudizievoli della verità sull’onore o sulla libertà, propri o di un proprio caro344. È tuttavia prevalsa la terza tesi, che inquadra l’istituto come causa di non punibilità, incentrata sulla valutazione di opportunità da parte del legislatore in merito alla punibilità di chi abbia commesso il reato al fine di tutelare il proprio onore o la propria libertà personale345 ovvero quelle di un prossimo congiunto, con conseguente rilevanza del sentimento familiare, che prevale in tali ipotesi sull’istanza punitiva dello Stato346. Sulla scorta di tale qualificazione la Corte Costituzionale, con sentenza n. 140 del 2009, ha quindi affermato la natura eccezionale della norma e ha escluso la possibilità di integrarne il precetto, estendendo la causa di non punibilità quando il fatto sia stato commesso per salvare la libertà o l’onore del convivente more uxorio, estraneo alla nozione di prossimo congiunto347. Una seconda questione qualificativa si è posta in relazione al summenzionato art. 598 c.p., che disciplina le “Offese in scritti e discorsi pronunciati dinanzi alle Autorità giudiziarie o amministrative”348. Ai sensi del primo comma della disposizione citata non sono punibili le offese contenute negli scritti
342 F. Caringella- A. Salerno, op. cit., 450 ss.
343 La disciplina dettata dagli artt. 198 e 199 c.p.p., nel disciplinare la prova della testimonianza, che trova applicazione anche in relazione alla deposizione del perito, esclude che il testimone possa essere obbligato a deporre “su fatti dai quali potrebbe emergere una sua responsabilità penale”; nel contempo, il citato art. 199 c.p.p. esclude tale obbligo anche per i prossimi congiunti dell’imputato. Ne consegue che il soggetto che si renda responsabile di alcuno dei reati in relazione ai quali opera l’art. 384 c.p., non potendo essere obbligato a deporre, qualora decida di rendere dichiarazioni determina volontariamente il pericolo di “nocumento nella libertà o nell’onore” per sé o per un prossimo congiunto, con conseguente inoperatività della norma. Uno spazio residuo di applicazione dell’art. 384 c.p. resterebbe in relazione alle deposizioni rese da un prossimo congiunto in procedimenti diversi da quelli in cui sussista la facoltà di astensione ex art. 199 c.p.p. F. Caringella- A. Salerno, op. cit., 450 ss..; G. Conso- V. Grevi-M. Bargis, “Compendio di procedura penale”, Padova, 2018, op. cit.
344 Anche in questo caso, tuttavia, si è fatto leva sulle norme che prevedono espressamente la facoltà di astenersi dalla deposizione nella veste di testimone, applicabili anche in riferimento alle altre ipotesi criminose per cui opera l’art. 384 c.p., che consentono di scongiurare a monte il descritto conflitto morale, lasciando pertanto intatta la colpevolezza del reo, ove non intenda avvalersene. In tal senso le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, nella sentenza n. 7208 del 2008. Si veda F. Caringella- A. Salerno, op. cit., 450 ss.
345 In linea con il brocardo, “nemo tenetur se detegere”, ovvero “nessuno è tenuto a voltare le spalle a se stesso”. Si veda F. Caringella- A. Salerno, op. cit., 450 ss.
346 F. Caringella- A. Salerno, op. cit., 450 ss. 347 F. Caringella- A. Salerno, op. cit., 450 ss. 348 F. Caringella- A. Salerno, op. cit., 450 ss.
presentati o nei discorsi pronunciati dalle parti o dai loro difensori nell’ambito di un procedimento pendente davanti all’Autorità giudiziaria o amministrativa, purché le stesse attengono all’oggetto della causa o del ricorso amministrativo349. Siffatta causa di non punibilità è stata qualificata da parte della dottrina come causa di giustificazione, ritenendo che l’art. 598 c.p. si ponga in rapporto di specialità rispetto all’art. 51 c.p., prevedendo una forma di esercizio di un diritto e, nella specie, del diritto di difesa della parte in giudizio ovvero del diritto di partecipazione del privato nel procedimento amministrativo350. A tale impostazione è stato tuttavia opposto che il secondo comma dell’art. 598 c.p. prevede che il giudice possa disporre, oltre alla cancellazione delle offese dagli atti e l’irrogazione di un provvedimento disciplinare, attraverso la trasmissione degli atti al competente Consiglio dell’ordine degli Avvocati e al competente Consiglio distrettuale di disciplina, anche l’assegnazione alla persona offesa di una somma “a titolo di risarcimento del danno non patrimoniale”351. Tanto la possibilità di incorrere in responsabilità disciplinare quanto il riferimento al “risarcimento del danno”, depongono nel senso del carattere illecito della condotta offensiva del difensore e della parte, che mal si concilia con l’effetto scriminante proprio delle cause di giustificazione352. La giurisprudenza di legittimità ha pertanto sostenuto che l’art. 598 c.p. disciplini una causa di non punibilità in senso stretto, che si fonda sull’esigenza di non inibire l’esercizio dell’attività difensiva, specie in considerazione del labile confine che spesso caratterizza veemenza difensiva e offese penalmente rilevanti. In quest’ottica, dunque, la disposizione trova applicazione, al contrario di quanto sostenuto dalla prima tesi, proprio quando il comportamento del difensore esorbiti i limiti dell’esercizio del diritto di difesa ed in ragione della delicatezza e del valore che caratterizza la funzione svolta dagli avvocati, il legislatore ritiene non opportuno che questi siano esposti al rischio di una sanzione penale, ferma la responsabilità disciplinare353. Dalla qualificazione dell’istituto come causa di non punibilità deriva dunque l’impossibilità di estensione in via analogica, stante il carattere eccezionale della disposizione, con conseguente esclusione dall’area di operatività dell’art. 598 c.p. degli scritti difensivi che non siano “presentati” davanti all’autorità
349 F. Caringella- A. Salerno, op. cit., 450 ss. 350 F. Caringella- A. Salerno, op. cit., 450 ss. 351 F. Caringella- A. Salerno, op. cit., 450 ss. 352 F. Caringella- A. Salerno, op. cit., 450 ss.
353 In tal senso la sentenza della Corte di Cassazione n. 39934 del 2005. Si veda F. Caringella- A. Salerno, op. cit., 450 ss.
giudiziaria, come nel caso dell’atto di citazione354. Si segnala, tuttavia, che la Corte di Cassazione, con sentenza n. 15525 del 2009, ha invece sostenuto la possibilità di escludere la punibilità delle offese contenute in un atto di citazione sul presupposto che l’art. 598 c.p. disciplini invece una causa di giustificazione, secondo l’indirizzo dottrinale minoritario suesposto355.
2.5 Disciplina generale
Terminata la ricostruzione dell’antigiuridicità e delle cause di giustificazione, anche attraverso alla determinazione dei confini dell’istituto rispetto alle limitrofe cause di esclusione della punibilità in senso lato, può procedersi in questa sede all’esame delle norme del Codice penale che ne dettano la disciplina generale356. Si tratta delle disposizioni di cui agli artt. 55 e 59 c.p., cui si aggiungono le disposizioni di diritto processuale penale che prendono espressamente in considerazione gli effetti della sussistenza di una causa di giustificazione357. Sono molteplici le disposizioni attraverso le quali il legislatore ha assegnato rilevanza alla sussistenza di cause di giustificazione in relazione alle fasi fondamentali in cui si sviluppa il procedimento penale, dalle indagini preliminari alla fase della decisione. Assume rilevanza, tra quest’ultime, il disposto dell’art. 385 c.p.p., ai sensi del quale “L’arresto o il fermo non è consentito quando, tenuto contro delle circostanze del fatto, appare che questo è stato compiuto nell’adempimento di un dovere o nell’esercizio di una facoltà legittima ovvero in presenza di una causa di non punibilità”358. Nonostante il riferimento specifico alle scriminanti di cui all’art. 51 c.p., infatti, per “ciascuna causa di non punibilità” deve intendersi ogni altra causa di giustificazione disciplinata dal Codice penale; attraverso la citata disposizione, dunque, si impedisce alla polizia giudiziaria di comprimere, anche solo temporaneamente, la libertà personale dei cittadini, quando emerga che il fatto commesso, pur integrando gli estremi di un fatto tipico di reato, non presenti carattere di
354 F. Caringella- A. Salerno, op. cit., 450 ss.
355 Si tratta di un orientamento che non ha avuto seguito nella successiva giurisprudenza di legittimità. Si veda F. Caringella- A. Salerno, op. cit., 450 ss.
356 F. Caringella- A. Salerno, op. cit., 450 ss.
357 F. Caringella- A. Salerno, op. cit., 450 ss. G. Conso-V. Grevi-M. Bargis, “Compendio di procedura penale”, Padova, 2018, op.cit.
358 F. Caringella- A. Salerno, op. cit., 450 ss.
antigiuridicità, perché scriminato. Allo stesso modo, l’art. 273 c.p.p. sancisce che “Nessuna misura cautelare può essere applicata se risulta che il fatto è stato compiuto in presenza di una causa di giustificazione”, tutelando l’indagato nel corso del procedimento penale359. Inoltre, l’art. 129 c.p.p., pur non facendo espresso riferimento alle scriminanti, obbliga il giudice penale, “In ogni stato e grado del processo” a dichiarare con sentenza che “il fatto non costituisce reato”, quando riconosca la sussistenza di una causa di giustificazione360. Il Codice di procedura penale fa invece espresso riferimento alle cause di giustificazione nel già menzionato art. 530 c.p.p., che disciplina la sentenza di assoluzione e prevede, al comma terzo, che “Se vi è la prova che il fatto è stato commesso in presenza di una causa di giustificazione o di una causa personale di non punibilità ovvero vi è dubbio sull’esistenza delle stesse, il giudice pronuncia sentenza di assoluzione a norma del primo comma”. Infine l’accertamento delle cause di giustificazione, in specie dell’adempimento di un dovere e dell’esercizio di un diritto, nella sentenza di assoluzione che abbia acquisito valore di giudicato, produrrà effetti vincolanti “nel giudizio civile o amministrativo per le restituzioni ed il risarcimento del danno”, ai sensi dell’art. 652 c.p.p. Procedendo all’esame delle norme del Codice penale che disciplinano la loro applicazione361, si ricorda nuovamente che le cause di giustificazione hanno natura oggettiva, differenziandosi dalle cause di esclusione della colpevolezza e dalle cause soggettive di non punibilità. Tale carattere oggettivo incide sul regime di imputazione, inoltre, delle scriminanti che, ai sensi del primo comma dell’art. 59 c.p. “sono valutate a favore dell’agente anche se da lui non conosciute, o da lui per errore ritenute inesistenti”. Non occorre pertanto che il soggettivo attivo, al momento del compimento del fatto tipico, fosse consapevole della sussistenza di una causa di giustificazione che, ciò nonostante, eliderà l’antigiuridicità della condotta362. La disposizione del primo comma è dunque espressiva del medesimo
359 F. Caringella- A. Salerno, op. cit., 450 ss.; G. Conso-V. Grevi-M. Bargis, “Compendio di procedura penale”, Padova, 2018, op.cit.
360 F. Caringella- A. Salerno, op. cit., 450 ss.; G. Conso-V. Grevi-M. Bargis, “Compendio di procedura penale”, Padova, 2018, op.cit.
361 F. Caringella- A. Salerno, op. cit., 450 ss.; T. Padovani, “Diritto penale”, Milano, 2018, op. cit.; C. Roxin, “Antigiuridicità e cause di giustificazione”, Napoli, 1996, op. cit.; G. Conso-V. Grevi-M. Bargis, “Compendio di procedura penale”, Padova, 2018, op.cit.
362 Si pensi al caso in cui il soggetto agente abbia intenzionalmente ucciso una persona, senza tuttavia sapere che quest’ultima stava per esplodere un colpo di pistola contro di lui: ove il soggetto attivo avesse percepito le intenzioni delittuose della propria vittima sarebbe stato consapevole di poter agire per legittima difesa; nonostante tuttavia non si sia accorto di essere bersaglio della propria vittima, e abbia commesso il fatto con l’intenzione di ucciderla per motivi diverse, potrebbe ciò nonostante usufruire della causa di giustificazione della legittima difesa ai sensi del primo comma dell’art 59 c.p.; tanto in ragione del regime obiettivo di operatività della scriminante, che prescinde dalla consapevolezza del soggetto
principio di prevalenza del dato obiettivo e dell’insufficienza ai fini della responsabilità penale delle intenzioni delittuose del reo, che trova espressione al primo comma dell’art. 49 c.p., in forza del quale “Non è punibile chi commette un fatto non costituente reato, nella supposizione erronea che esso costituisca reato”. Il comma quarto363 dell’art. 59
c.p. disciplina invece l’ipotesi speculare in cui non sussiste una causa di giustificazione, ma l’agente ritiene che esista per errore; se nel caso disciplinato dal primo comma, dunque, sussiste il dato obiettivo, ma manca la percezione soggettiva della scriminante, nell’ipotesi di cui al quarto comma la situazione è inversa, essendo solo rappresentata, per errore, da parte del soggetto attivo, la sussistenza di una causa di giustificazione, che in realtà esiste solo nella sua mente. Dottrina e giurisprudenza definiscono tale ipotesi come “scriminante putativa”364 poiché la scriminante è solo ritenuta esistente dal soggetto attivo ma non sussiste nella realtà. Ciò nonostante, la norma in esame prevede che “Se l’agente ritiene per errore che esistano circostanze di esclusione della pena, queste sono sempre valutate a favore di lui”, consentendo così la produzione dell’effetto scriminante anche in assenza di un’effettiva causa di giustificazione 365. Ciò che rileva ai fini dell’accertamento dell’antigiuridicità della condotta non è, in questo caso, il dato obiettivo, bensì la percezione che il soggetto abbia avuto delle circostanze in cui è avvenuta la condotta366. La norma prevede tuttavia che “se si tratta di errore
attivo. G. Fiandaca-E. Musco, “Diritto penale. Parte generale”, Bologna, 2018, pag. 276 ss. Inoltre F. Caringella- A. Salerno, op. cit., 450 ss.
363 Si veda: C. F. Grosso, “L’errore sulle scriminanti”, Milano, 1961; P. Nuvolone, “Le due forme dell’eccesso colposo”, in Giust. pen., 1949; M. Gallo, “Eccesso colposo e previsione dell’evento”, in Giur. it., 1950; C. F. Grosso, “Eccesso colposo”, in Enc. giur., XII, 1989; F. Mantovani, “Diritto penale”, Milano, 2019, op. cit. Si veda F. Caringella- A. Salerno, op. cit., 450 ss. F. Mantovani, op. cit., pag. 100 ss.; G. Fiandaca- E. Musco, op. cit. pag. 267 ss.; F. Antolisei, op. cit., 196 ss.
364 Dal latino “putare” che significa “credere, ritenere”. Si veda F. Caringella- A. Salerno, op. cit., 450 ss.
F. Mantovani, op. cit., pag. 100 ss.; G. Fiandaca- E. Musco, op. cit. pag. 267 ss.; F. Antolisei, op. cit., 196 ss.
365 Si ponga il caso di Tizio, passeggiando di notte e sotto una pioggia assordante, per un vicolo buio, si imbatta in un uomo, mentre si dirige nella sua direzione brandendo un oggetto che appare essere un bastone; Tizio, convintosi che l’uomo intenda rapinarlo, estrae un’arma di cui è in possesso ed esplode una serie di colpi, ferendolo gravemente, per scoprire immediatamente dopo che si tratta di Caio, il suo vicino di casa, che gli si era avvicinato per offirgli riparo con l’ombrello. In un’ipotesi simile manca, sul piano oggettivo, una causa di giustificazione, nella specie riconducibile alla legittima difesa, poiché l’ipotizzato aggressore era animato da tutt’altre intenzioni e non brandiva un’arma. Si veda F. Caringella-
A. Salerno, op. cit., 450 ss. F. Mantovani, op. cit., pag. 100 ss.; G. Fiandaca- E. Musco, op. cit. pag. 267 ss.; F. Antolisei, op. cit., 196 ss.
366 Ne consegue che Tizio non potrà essere ritenuto responsabile per aver volontariamente cagionato lesioni a Caio, scambiandolo per un malintenzionato e quindi ritenendo di agire in presenza della scriminante della legittima difesa. Si veda: G. Marinucci, “Fatto e scriminanti”, Note dommatiche e politico-criminali, 1983; A. Cavaliere, “L’errore sulle scriminanti”, Napoli, 2000, il quale risente dell’impostazione di Roxin, secondo il quale nel caso di errore sulle scriminanti viene meno il “dolo d’illecito”. Una parte minoritaria della dottrina, influenzata dall’orientamento diffuso nell’ambito della dottrina tedesca, sostiene che l’errore sulle scriminanti non incida sul dolo del fatto, che rimarrebbe integro, ma determinerebbe un errore sull’illiceità valutabile autonomamente nell’ambito della colpevolezza: per questa impostazione, contrastante però nel nostro ordinamento col disposto dell’art. 59,
determinato da colpa, la punibilità non è esclusa, quando il fatto è preveduto dalla legge come delitto colposo”367; in questo modo il legislatore ha inteso prevenire un utilizzo distorto della norma, precisando che l’errore circa la sussistenza di una causa di giustificazione deve risultare incolpevole, ricorrendo altrimenti la responsabilità per colpa del soggetto attivo, quando il reato sia punibile a titolo colposo. Diversamente, sarebbe sufficiente addurre un errore in merito alla sussistenza di una scriminante invero inesistente per andare esenti da responsabilità penale; attraverso l’ultimo inciso del comma quarto, invece, il legislatore ha richiesto che l’errore debba essere ancorato ad elementi di carattere oggettivo, legati alla fattispecie concreta ed alle modalità in cui si è svolto il fatto tipico, tali da ritenerlo scusabile368. Qualora invece il soggetto attivo, in considerazione delle circostanze del caso concreto, fosse in grado di avvedersi che non sussisteva alcuna causa di giustificazione al momento della condotta e, pertanto, sia incorso in un errore per propria colpa, risponderà penalmente del reato commesso ma solo quando il legislatore ne preveda la punibilità a titolo di colpa369. Non potrà ravvisarsi una scriminante putativa ed il reo risponderà del fatto a titolo di dolo, quando invece emerga che, alla luce delle caratteristiche del fatto commesso, il soggetto agente non potesse percepire l’assenza di una causa di giustificazione, sì da escluderne la mera colpa e da ravvisarne una piena intenzione delittuosa, che consentirà di affermarne la responsabilità penale in giudizio370. Del pari non potrà operare il disposto del quarto comma dell’art. 59 c.p. quando la scriminante sia soltanto presunta ma non ritenuta sussistente per errore. La dottrina, recepita dalla giurisprudenza, ha infatti evidenziato la differenza tra le ipotesi genuine di scriminante putativa, legate cioè all’errore del reo circa la sussistenza di una causa di giustificazione inesistente, e le cc.dd. scriminanti
ultimo comma, si veda D. Santamaria, “Lineamenti”, Milano, 1996; C. Fiore, “Diritto penale”, Napoli, 1993; M. Donini, “Illecito e colpevolezza”, Milano, 1991. Vedi F. Caringella- A. Salerno, op. cit., 450 ss.
F. Mantovani, op. cit., pag. 100 ss.; G. Fiandaca- E. Musco, op. cit. pag. 267 ss.; F. Antolisei, op. cit., 196 ss.
367 Si veda: C. F. Grosso, “L’errore sulle scriminanti”, Milano, 1961; A. Pagliaro, “Principi”, Milano, 1972; contra A. Santoro, “La definizione del reato colposo”, in Riv. dir. penit., 1937. Si veda F. Caringella- A. Salerno, op. cit., 450 ss. F. Mantovani, op. cit., pag. 100 ss.; G. Fiandaca- E. Musco, op. cit. pag. 267 ss.; F. Antolisei, op. cit., 196 ss.
368 F. Caringella- A. Salerno, op. cit., 450 ss. F. Mantovani, op. cit., pag. 100 ss.; G. Fiandaca- E. Musco, op. cit. pag. 267 ss.; F. Antolisei, op. cit., 196 ss.
369 Ai sensi dell’art. 42 c.p., infatti, occorre un’espressa previsione legislativa perché un fatto possa essere punito a titolo di colpa o di preterintenzione, laddove, al contrario, il dolo rappresenta il normale elemento soggettivo in materia penale. Si veda F. Caringella- A. Salerno, op. cit., 450 ss. F. Mantovani, op. cit., pag. 100 ss.; G. Fiandaca- E. Musco, op. cit. pag. 267 ss.; F. Antolisei, op. cit., 196 ss.
370 Si pensi al caso in cui a fronte di un espresso e ripetuto dissenso della persona offesa il reo ponga in essere il fatto tipico e si difenda in giudizio affermando di aver ritenuto erroneamente di stare agendo in presenza del consenso dell’avente diritto, che scrimina il fatto ai sensi dell’art. 50 c.p. Si veda F. Caringella- A. Salerno, op. cit., 450 ss. F. Mantovani, op. cit., pag. 100 ss.; G. Fiandaca- E. Musco, op. cit. pag. 267 ss.; F. Antolisei, op. cit., 196 ss.
presunte; quest’ultime infatti non sono ritenute esistenti dal reo in ragione di un’errata percezione del dato materiale o giuridico bensì meramente supposte in forza di una valutazione presuntiva del soggetto agente371. In questa seconda ipotesi, dunque, non sussistono i requisiti perché operi il disposto dell’art. 59 comma quarto, c.p. poiché la condotta è stata realizzata da un soggetto che è ben consapevole di agire in assenza di una causa di giustificazione, avendo presunto che, ad esempio, il consenso sarebbe stato espresso se richiesto, e non può quindi ritenersi che sia incorso in errore372. È da evidenziare che opera anche in relazione alle scriminanti putative il disposto di cui all’art. 5 c.p., in forza del quale “Nessuno può invocare a propria scusa l’ignoranza della legge penale”. Ne deriva che il reo non potrà addurre a propria discolpa un errore relativo alle norme che disciplinano, nel Codice penale, le cause di giustificazione, sostenendo di aver erroneamente ritenuto che una circostanza diversa da quelle espressamente previste dal legislatore penale producesse un effetto scriminante sulla condotta, come ad esempio lo stato d’ira o la provocazione. Del pari, non potrà assumere rilevanza un errore circa l’interpretazione delle norme penali, tale per cui il reo abbia erroneamente inteso il significato della disciplina di una scriminante373. Devono invece ritenersi ammissibili errori sul fatto, legati cioè alla percezione della situazione materiale in cui la condotta è posta in essere dal reo, nonché errori su leggi diverse da quella penale, quando abbiano cagionato un errore sul fatto che costituisce reato; si tratta delle forme di errore cui l’art. 47 c.p. riconosce efficacia scusante e che sono ritenute rilevanti anche ai fini del riconoscimento di una scriminante putativa374. Occorre precisare che l’errore su legge diversa dalla legge penale riguarda i casi in cui il soggetto agente incorra in un’errata interpretazione di una disposizione integratrice della fattispecie penale, che implichi pertanto un’errata percezione degli elementi costitutivi
371 Si pensi al caso in cui il soggetto attivo, mal interpretando le parole della persona offesa, commetta un fatto integrante gli estremi di un reato ritenendo di agire previo consenso dell’avente diritto; in siffatta ipotesi si è in presenza di una scriminante putativa, derivante da un errore del soggetto agente; diverso il caso in cui lo stesso fatto sia stato realizzato nella convinzione che la persona offesa, se interpellata, avrebbe senza dubbio espresso il proprio consenso. Si veda F. Caringella- A. Salerno, op. cit., 450 ss. F. Mantovani, op. cit., pag. 100 ss.; G. Fiandaca- E. Musco, op. cit. pag. 267 ss.; F. Antolisei, op. cit., 196 ss.
372 In riferimento al tipo di errore a cui il legislatore assegna rilevanza ai fini del riconoscimento della scriminante putativa, operano in tal caso le medesime norme che disciplinano gli effetti dell’errore sull’elemento soggettivo del reato. Si veda F. Caringella- A. Salerno, op. cit., 450 ss. F. Mantovani, op. cit., pag. 100 ss.; G. Fiandaca- E. Musco, op. cit. pag. 267 ss.; F. Antolisei, op. cit., 196 ss.
373 F. Caringella- A. Salerno, op. cit., 450 ss.; F. Mantovani, op. cit., pag. 100 ss.; G. Fiandaca- E. Musco, op. cit. pag. 267 ss.; F. Antolisei, op. cit., 196 ss.
374 F. Caringella- A. Salerno, op. cit., 450 ss.; F. Mantovani, op. cit., pag. 100 ss.; G. Fiandaca- E. Musco, op. cit. pag. 267 ss.; F. Antolisei, op. cit., 196 ss.
del fatto di reato375; Si può dunque affermare, in merito ai presupposti del riconoscimento di una scriminante putativa, che, da un lato, occorre che il soggetto attivo sia incorso in un errore, il quale se dovuto a colpa non escluderà la responsabilità a titolo di colpa per il fatto commesso, ove prevista dal legislatore, a nulla rilevando invece le mere presunzioni o supposizioni, né tanto meno gli errori prospettati in assenza di alcun elemento oggettivo che possa suffragare la difesa del reo, cioè in caso di errore meramente pretestuoso e privo di riscontri obiettivi; dall’altro, occorre che l’errore attenga al fatto di reato, in termini di percezione distorta delle circostanze storiche in cui è stata realizzata la condotta, ovvero che si tratti di erronea interpretazione di una norma diversa da quella incriminatrice e che tuttavia disciplini un elemento costitutivo, integrando la fattispecie penale376. Concludendo con la seconda disposizione di parte generale riguardante le cause di giustificazione, l’art. 55 c.p. disciplina i casi di c.d. “eccesso colposo”377, prevendendo al primo comma che “Quando, nel commettere alcuno dei fatti preveduti dagli artt. 51, 52, 53 e 54, si eccedono colposamente i limiti stabiliti dalla legge o dall’ordine dell’Autorità ovvero imposti dalla necessità si applicano le disposizioni concernenti i delitti colposi, se il fatto è preveduto dalla legge come delitto colposo”378. Il legislatore, con la legge del 26 aprile 2019, n. 36, ha introdotto un secondo comma alla disposizione in esame, che prende in considerazione le ipotesi speciali di eccesso colposo nella legittima difesa c.d. domiciliare, anch’essa oggetto della novella379. La disposizione originaria di cui al primo comma prende invece in considerazione le ipotesi in cui, in presenza di una delle scriminanti di cui agli artt. 51, 52, 53 e 54 c.p., con esclusione del consenso dell’avente diritto, il soggetto agente ponga in essere una condotta che supera, per colpa, i limiti entro cui il fatto può ritenersi scriminato, incorrendo così in responsabilità penale, a
375 Applicando tali coordinate alle ipotesi scriminanti putative, potrà ricorrere un errore su legge diversa da quella penale, ad esempio, allorché il soggetto attivo male interpreti una disposizione civilistica, ritenendo che gli attribuisca il diritto in forza del quale egli è convinto di agire. Si veda F. Caringella- A. Salerno, op. cit., 450 ss.; F. Mantovani, op. cit., pag. 100 ss.; G. Fiandaca- E. Musco, op. cit. pag. 267 ss.;
F. Antolisei, op. cit., 196 ss.
376 F. Caringella- A. Salerno, op. cit., 450 ss.; F. Mantovani, op. cit., pag. 100 ss.; G. Fiandaca- E. Musco, op. cit. pag. 267 ss.; F. Antolisei, op. cit., 196 ss.
377 F. Mantovani, “Diritto penale”, Milano, 2019 pag. 273 ss.; G. Fiandaca-E. Musco, “Diritto penale. Parte generale”, Bologna, 2018, pag. 271 ss.; F. Caringella- A. Salerno, op. cit., 450 ss. In argomento si veda: E. Altavilla, “Eccesso colposo”, in Noviss. dig. It, IV, Torino, 1960; G. Azzali, “L’eccesso colposo”, Milano, 1965; P. Nuvolone, “Le due forme di eccesso colposo”, in Giust. pen., 1949; M. Gallo, “Eccesso colposo e previsione dell’evento”, in Giur. it., 1950.
378 F. Caringella- A. Salerno, op. cit., 450 ss.; F. Mantovani, op. cit., pag. 100 ss.; G. Fiandaca- E. Musco, op. cit. pag. 267 ss.; F. Antolisei, op. cit., 196 ss.
379 F. Caringella- A. Salerno, op. cit., 450 ss.; F. Mantovani, op. cit., pag. 100 ss.; G. Fiandaca- E. Musco, op. cit. pag. 267 ss.; F. Antolisei, op. cit., 196 ss.
titolo di colpa, ove il fatto sia previsto dal legislatore come reato colposo380. È possibile dunque mettere in evidenza la diversità delle ipotesi di eccesso colposo rispetto ai casi di scriminante putativa, dal momento che, pur essendo entrambe le fattispecie caratterizzate da un errore del soggetto agente, nel primo caso si tratta di un errore in executivis381, cioè nell’esecuzione o realizzazione del fatto tipico, che supera i limiti entro cui opera l’effetto scriminante; nel secondo caso, invece, si tratta di un errore percettivo, che incide sulla sfera soggettiva e non sulla sua condotta materiale. È infatti diverso rappresentarsi per errore la sussistenza di una scriminante inesistente rispetto al superamento colposo dei limiti entro cui opera una scriminante realmente esistente382. Nei casi di eccesso colposo, la colpa del soggetto agente può essere determinata da due tipologie di errore, a seconda che si tratti di un errore di giudizio ovvero di un errore materiale; nel primo caso, il soggetto agente valuta erroneamente al gravità o l’intensità dei presupposti della scriminante, ritenendo, ad esempio, che il proprio aggressore stia attentando alla sua vita nel caso i cui lo stesso miri invece a ledere un bene patrimoniale; se, dunque, in presenza di un simile errore di giudizio, il soggetto agente pone in essere una condotta difensiva che, sull’erroneo presupposto del pericolo per la propria vita, cagiona la morte dell’aggressore, avrà superato il limite di proporzione richiesto dall’art. 52 c.p., incorrendo in un eccesso colposo, che la dottrina e la giurisprudenza definiscono come “eccesso nei fini”383. Diversamente, se il soggetto agente, pur avendo correttamente percepito i presupposti della scriminante, incorre in un errore di carattere materiale, legato all’uso dei mezzi o agli effetti della propria condotta, sarà ravvisabile un eccesso colposo c.d. “eccesso nei mezzi” o “modale”, perché attiene proprio alle modalità della condotta che esorbitano i limiti della scriminante384. Tanto l’errore di giudizio quanto l’errore modale, dunque, commesso
380 Si pensi all’ipotesi di in cui Tizio, aggredito da Caio, reagisca all’offesa subita con una condotta che tuttavia supera il limite di proporzione (“sempre che la difesa sia proporizionata all’offesa”) che l’art. 52
c.p. espressamente richiede perché possa ravvisarsi la scriminante della legittima difesa. In tal caso, dunque, in forza dell’art. 55 c.p., dunque il legislatore esclude che il soggetto agente possa rispondere a titolo di dolo, cioè intenzionalmente, con volontà, del fatto di reato commesso in presenza di una causa di giustificazione e tuttavia muove un rimprovero allo stesso per aver colposamente valicato i confini entro cui opera l’effetto scriminante. Si veda F. Caringella- A. Salerno, op. cit., 450 ss.; F. Mantovani, op. cit., pag 100 ss.; G. Fiandaca- E. Musco, op. cit. pag. 267 ss.; F. Antolisei, op. cit., 196 ss.
381 Si veda P. Nuvolone, “Il sistema”, Padova, 1975; G. Azzali, “L’eccesso colposo”, Milano, 1965.
382 F. Caringella- A. Salerno, op. cit., 450 ss.; F. Mantovani, op. cit., pag. 100 ss.; G. Fiandaca- E. Musco, op. cit. pag. 267 ss.; F. Antolisei, op. cit., 196 ss.
383 F. Caringella- A. Salerno, op. cit., 450 ss.; F. Mantovani, op. cit., pag. 100 ss.; G. Fiandaca- E. Musco, op. cit. pag. 267 ss.; F. Antolisei, op. cit., 196 ss.
384 Esemplificando, se Tizio, avvertendosi che Caio intende sottrargli un bene di valore, con l’intento di dissuaderlo lo minaccia con un’arma da fuoco e, nel brandire l’arma, esplode per errore, detto errore materiale, un colpo che cagiona la morte di Caio, risponderà di omicidio colposo ai sensi dell’art. 55 c.p., poché ha colposamente ecceduto i limiti imposti, in questo caso, dalla necessità di difendere un proprio
con colpa dal soggetto agente, integrano gli estremi di un eccesso colposo. Rispettivamente, nei fini o nei mezzi, che comporta la responsabilità per il fatto commesso, se il legislatore ne prevede la punibilità come reato colposo. Il legislatore impone, pertanto, in capo al soggetto agente che operi in presenza di una scriminante un onere, a seconda dei casi, di diligenza, prudenza o perizia, sanzionando penalmente il superamento colposo dei limiti entro cui la condotta gode dell’effetto scriminante; ne consegue che, fuori dai casi di superamento colposo di suddetti limiti non può operare il disposto dell’art. 55 c.p., che richiede, da un lato, che l’errore non sia scusabile e, dall’altro, che il reo non abbia agito intenzionalmente385. Ove infatti si accerti che il superamento dei limiti della scriminante non sia avvenuto con colpa, poiché l’errore di giudizio o modale non è dipeso da negligenza, imprudenza o imperizia, non potrà imputarsi, neanche a titolo di colpa, la responsabilità per il fatto commesso dal soggetto agente, che beneficerà in pieno della causa di giustificazione386. Al contrario, quando il superamento dei limiti della scriminante risulti intenzionale e non dovuto invece ad un errore del reo, questi incorrerà in un’ipotesi c.d. di eccesso doloso, e, pertanto, risponderà penalmente, a titolo di dolo, dei fatti commessi nel superamento dei suddetti limiti387. L’art 55 c.p. non annovera il consenso dell’avente diritto tra le cause di giustificazione rispetto alle quali può ravvisarsi un eccesso colposo relativi al consenso dell’avente diritto. In dottrina388, in merito a ciò, di sono registrati due opposti orientamenti, divisi riguardo alla possibilità di estendere analogicamente la norma ai casi di eccesso colposo relativi al consenso dell’avente diritto, di cui all’art. 50 c.p. La tesi favorevole all’estensione analogica dell’istituto si fonda sull’effetto favorevole che l’art. 55 c.p. produce per il reo, il quale non risponderà del fatto di reato commesso,
bene e che si sostanziano nel suddetto requisito di proporzione tra difesa e offesa. Vedi G. Bettiol- L. Pettoello Mantovani, “Diritto penale”, Padova, 1986; F. Caringella- A. Salerno, op. cit., 450 ss.; F. Mantovani, op. cit., pag. 100 ss.; G. Fiandaca- E. Musco, op. cit. pag. 267 ss.; F. Antolisei, op. cit., 196.
385 Si veda la dottrina oggi dominante: C. F. Grosso, “L’errore sulle scriminanti”, op. cit.; G. Bettiol- L. Pettoello Mantovani, “Diritto penale”, op. cit.; F. Mantovani, “Diritto penale”, op. cit. Inoltre F. Caringella- A. Salerno, op. cit., 450 ss.; F. Mantovani, op. cit., pag. 100 ss.; G. Fiandaca- E. Musco, op. cit. pag. 267 ss.; F. Antolisei, op. cit., 196 ss.
386 F. Caringella- A. Salerno, op. cit., 450 ss.; F. Mantovani, op. cit., pag. 100 ss.; G. Fiandaca- E. Musco, op. cit. pag. 267 ss.; F. Antolisei, op. cit., 196 ss.
387 Se cioè la necessità di difesa, nel caso di legittima difesa ex art. 52 c.p., e il relativo requisito di proporizione tra difesa e offesa, avrebbe consentito al più di cagionare lesioni lievi all’aggressore ma il reo, approfittando delle circostanze concrete, abbia intenzionalmente superato tale limite e colto l’occasione per uccidere il proprio aggressore, risponderà di omicidio doloso ai sensi dell’art. 575 c.p., non potendo invocare in proprio favore una scriminante di cui abbia intenzionalmente superato i limiti. Si veda F. Caringella- A. Salerno, op. cit., 450 ss.; F. Mantovani, op. cit., pag 100 ss.; G. Fiandaca- E. Musco, op. cit. pag. 267 ss.; F. Antolisei, op. cit., 196 ss.
388 Si veda: F. Caringella- A. Salerno, op. cit., 450 ss.; F. Mantovani, op. cit., pag. 100 ss.; G. Fiandaca-
E. Musco, op. cit. pag. 267 ss.; F. Antolisei, op. cit., 196 ss. ; P. Nuvolone, “Il sistema”, op. cit.; A. Pagliaro, “I prinicipi”, op. cit.
nonostante il superamento dei limiti della scriminante, se non per colpa, e solo quando il fatto sia previsto anche come reato colposo389. Si ritiene inoltre che, in relazione al consenso dell’avente diritto, possano ravvisarsi le medesime esigenze di disciplina legate ai casi in cui il soggetto, ad esempio, pur agendo in presenza del consenso della persona offesa ne abbia, per un errore modale, travalicato i limiti390. L’opposto orientamento, contrario invece alla estensione dell’art. 55 c.p. ai casi di consenso ex art. 50 c.p., ha rilevato che non è dato rinvenire una lacuna normativa nell’eccesso colposo, dal momento che il legislatore ha elencato in maniera espressa e tassativa le scriminanti in relazione alle quali può ravvisarsi un eccesso colposo, confermando tale scelta nella seconda parte della norma, che si riferisce ai soli “ limiti stabiliti dalla legge o dall’ordine dell’Autorità ovvero imposti dalla necessità”, senza alcun riferimento ai limiti del consenso espresso dalla persona offesa391. Secondo questo orientamento si tratterebbe dunque di una c.d. lacuna tecnica o volontaria, in quanto insuscettibile di essere colmata in via analogica. Ulteriore questione che l’ambito operativo dell’art. 55
c.p. ha posto in dottrina e in giurisprudenza attiene alla possibilità di ravvisare un eccesso colposo in relazione al superamento dei limiti di una scriminante meramente putativa392. In siffatta ipotesi, infatti, si è in presenza di un fatto commesso in assenza di una causa di giustificazione che è ritenuta sussistente per errore del soggetto agente. Si è posto dunque il problema della possibilità di assegnare rilevanza al superamento colposo dei limiti di una circostanza che nella realtà non sussiste. Secondo l’orientamento che nega tale possibilità, il carattere putativo della scriminante, che è frutto di un errore del reo, impedisce di valutare se la condotta del reo ne abbia superato i limiti, stante l’assenza di un riscontro materiale, dovuta al carattere meramente virtuale della scriminante393. Un orientamento intermedio tra la soluzione negativa e la tesi delle compatibilità tra gli istituti ha infine sostenuto che la soluzione dipenda dalla tipologia
389 F. Caringella- A. Salerno, op. cit., 450 ss.; F. Mantovani, op. cit., pag. 100 ss.; G. Fiandaca- E. Musco, op. cit. pag. 267 ss.; F. Antolisei, op. cit., 196 ss.
390 F. Caringella- A. Salerno, op. cit., 450 ss.
391 F. Caringella- A. Salerno, op. cit., 450 ss.; F. Mantovani, op. cit., pag. 100 ss.; G. Fiandaca- E. Musco, op. cit. pag. 267 ss.; F. Antolisei, op. cit., 196 ss.
392 Si veda: E. Altavilla, “Eccesso colposo”, op. cit.; P. Nuvolone, “Il sistema”, op. cit. Contra G. Bettiol- L. Pettoello Mantovani, “Diritto penale”, op.cit. Inoltre F. Caringella- A. Salerno, op. cit., 450 ss.; F. Mantovani, op. cit., pag. 100 ss.; G. Fiandaca- E. Musco, op. cit. pag. 267 ss.; F. Antolisei, op. cit., 196 ss.
393 Di diverso avviso è la Corte di Cassazione, con sentenza n. 12420 del 2010, che ha ritenuto compatibili gli istituti di cui agli artt. 55 e 59 c.p., sostenendo che, in presenza dei presupposti per il riconoscimento di una scriminante putativa a favore del reo, sia possibile valutare se la sua condotta superi i limiti, in relazione alle caratteristiche che essa abbia assunto nella percezione del reo. F. Caringella- A. Salerno, op. cit., 450 ss.; F. Mantovani, op. cit., pag 100 ss.; G. Fiandaca- E. Musco, op. cit. pag. 267 ss.; F. Antolisei, op. cit., 196 ss.
di eccesso colposo verificatasi nel caso concreto, dal momento che un eccesso nei fini, dovuto ad un errore di giudizio, dovrà ritenersi assorbito, secondo tale impostazione, nell’errore in ragione del quale il soggetto agente ha ritenuto sussistente una scriminante; diversamente, nel caso di eccesso nei mezzi, in cui il superamento dei limiti della scriminante è dovuto ad un errore materiale nella esecuzione della condotta, sarebbe possibile ritenere che l’art. 55 c.p. operi in relazione alla scriminante putativa, poiché si tratta di errori di natura diversa e non sovrapponibili394. Diversamente, qualora la scriminante sia inesistente ma ritenuta esistente dal reo e questi, con un ulteriore errore di carattere valutativo o percettivo, abbia immaginato ed immaginato male che sussistano gli estremi di una scriminante, verserà in colpa ai sensi dell’art. 59, quarto comma, c.p., con conseguente inutilità di applicare l’art. 55 c.p., poiché entrambe le disposizioni prevedono la responsabilità colposa del reo, quando il fatto è previsto dalla legge come reato colposo395.
3. LE SCRIMINANTI ATIPICHE: COLLOCAZIONE SISTEMATICA ATTRAVERSO I CONTRIBUTI GIURISPRUDENZIALI E DOTTRINALI
La previsione di stringenti presupposti e di limiti all’efficacia scriminante delle cause di giustificazione cc.dd. tipiche, perché espressamente disciplinate dal legislatore, hanno posto, in diverse ipotesi, problemi di compatibilità tra la disciplina codicistica e le caratteristiche di determinate attività lecite, il cui svolgimento è tuttavia occasione della commissione di reati396. Il problema si è posto, ad esempio, in riferimento all’attività
394 Si pensi al caso in cui il soggetto agente ritenga erroneamente, con errore di percezione, che un passante intenda derubarlo e, minacciandolo con un’arma, lo colpisca accidentalmente per un errore materiale nell’esecuzione della condotta: in tal caso, da un lato, sussistono gli estremi per riconoscere a favore del reo una scriminante putativa e, nel contempo, non può ritenersi che egli abbia agito intenzionalmente, poiché la condotta erroneamente esorbitante è stata tenuta sul presupposto, sebbene erroneo, di doversi difendere da un’offesa ingiusta. F. Caringella- A. Salerno, op. cit., 450 ss.; F. Mantovani, op. cit., pag 100 ss.; G. Fiandaca- E. Musco, op. cit. pag. 267 ss.; F. Antolisei, op. cit., 196 ss. 395 F. Caringella- A. Salerno, op. cit., 450 ss.; F. Mantovani, op. cit., pag 100 ss.; G. Fiandaca- E. Musco, op. cit. pag. 267 ss.; F. Antolisei, op. cit., 196 ss.
396 F. Caringella- A. Salerno, op. cit., 450 ss.; F. Mantovani, op. cit., pag. 100 ss.; G. Fiandaca- E. Musco, op. cit. pag. 267 ss.; F. Antolisei, op. cit., 196 ss.
medico-chirurgica, in relazione alla scriminante del consenso dell’avente diritto, e ha trovato soluzione sul piano della tipicità; ulteriore settore in cui la dottrina e la giurisprudenza sono state impegnate nel valutare la compatibilità della materia con la disciplina delle cause di giustificazione è quello sportivo, con particolare riferimento ai cc.dd. sport a violenza necessaria o anche solo eventuale397. Un secondo ordine di problemi, legato all’estensione della portata applicativa delle scriminanti tipiche, ha infine riguardato le cc.dd. cultural defences, ovvero scriminanti culturali, in relazione alle quali la giurisprudenza è stata chiamata a stabilire se e quale rilevanza possa assumere in sede penale l’etnia del soggetto agente, con particolare riferimento alla cultura, alle tradizioni e alle regole morali e religiose che la contraddistinguono398. Tutte le summenzionate ipotesi sono accomunate dall’assenza di un’espressa disciplina nell’ordinamento penale, che regoli la rilevanza penale di comportamenti che, in ragione delle peculiarità oggettive o soggettive della fattispecie concreta, possano o debbano ritenersi non punibili o quantomeno meritevoli di un trattamento sanzionatorio attenuato399. All’assenza di un’espressa disciplina parte della dottrina ha sostenuto di poter sopperire attraverso il ricordo alla c.d. teoria dell’azione socialmente adeguata; si tratta di un’elaborazione dottrinale sviluppatasi nell’ordinamento tedesco durante il periodo nazista, che presuppone una concezione sostanziale del principio di legalità; tale impostazione consente, sulla scorta di tale fondamentale presupposto, di escludere la punibilità di quelle condotte che, pur integranti una fattispecie di reato e non espressamente scriminate dalla legge positiva, risultino espressive dei valori condivisi dalla società in un dato momento storico e quindi “socialmente adeguate” ed in quanto tali non punibili400. Si propone cioè, attraverso la descritta teoria, un parametro sostanziale legato ai valori che caratterizzano un determinato contesto sociale, attraverso cui valutare se la condotta del reo risulti conforme, e quindi adeguata, a siffatti valori ovvero contraria ed inadeguata rispetto ad essi, con conseguente possibilità di escludere, nel primo caso, la punibilità del fatto, anche prescindendo dal dato formale401. Il fondamento ideologico della teoria dell’azione socialmente adeguata
397 F. Caringella- A. Salerno, op. cit., 450 ss.; F. Mantovani, op. cit., pag. 100 ss.; G. Fiandaca- E. Musco, op. cit. pag. 267 ss.; F. Antolisei, op. cit., 196 ss.
è da rinvenirsi nell’accezione sostanziale del principio di legalità, che non richiede un’espressa previsione legislativa dei comportamenti penalmente rilevanti, consentendo la punizione dei fatti che risultino in contrasto con i valori condivisi dalla società402. La caduta dei sistemi totalitari e l’avvento delle moderne Carte costituzionali, fondate sull’accezione formale di legalità, che contraddistingue lo Stato di diritto, ha segnato il tramonto della legalità sostanziale e comporta l’incompatibilità con il vigente ordinamento penale dei suoi corollari, ivi compresa la teoria dell’azione socialmente adeguata403. Nonostante l’effetto favorevole che ne discende per il reo, tale impostazione risulta infatti in palese contrasto con il principio di legalità formale e con i suoi corollari di riserva di legge e tassatività, che regolano la materia penale nel nostro ordinamento, con conseguente impossibilità di invocare la corrispondenza della condotta tipica ai fini sociali condivisi in un determinato momento storico per escluderne la punibilità404. Occorre invece verificare se l’ordinamento penale, complessivamente inteso, offra sul piano strettamente normativo gli strumenti per assegnare rilevanza alle peculiarità oggettive e soggettive che contraddistinguono le materie in cui la dottrina ritiene operanti le c.d. scriminanti atipiche405. Deve precisarsi che questo argomento, delle “scriminanti tacite”, non deve essere sovrapposto o confuso con la questione relativa all’ammissibilità di un’estensione analogica delle cause di giustificazione, poiché in quest’ultimo caso, si presuppone l’esistenza di un’espressa disciplina delle scriminanti, che si intende estendere analogicamente a casi non ricompresi nell’ambito applicativo della legge. Nel caso delle scriminanti atipiche, invece, si parte dall’opposto presupposto dell’assenza di una disciplina della causa di giustificazione da invocare, anche solo per analogia, in un determinato settore o per una determinata fattispecie criminosa406. Anche il Mantovani definisce queste, le cause, come “tacite”, ovvero non codificate o extralegislative, perché, dunque, non previste dalla legge, ma da fonti materiali. Circa il problema della loro ammissibilità, esse sono coessenziali agli ordinamenti penali incentrati sul principio di legalità sostanziale, come
402 Nel periodo nazista tale impostazione consentiva frequenti e gravi violazioni delle garanzie dei cittadini, privati di ogni forma di tutela avverso l’abuso del potere del Reich. Si veda F. Caringella- A. Salerno, op. cit., 450 ss.; F. Mantovani, op. cit., pag. 100 ss.; G. Fiandaca- E. Musco, op. cit. pag. 267 ss.;
F. Antolisei, op. cit., 196 ss.
403 F. Caringella- A. Salerno, op. cit., 450 ss.; F. Mantovani, op. cit., pag. 100 ss.; G. Fiandaca- E. Musco,
si è detto, ove nei criteri del bilanciamento di interessi, del giusto mezzo per il giusto scopo, della azione socialmente adeguata, della non pericolosità sociale dell’azione, si individua la fonte del diritto extralegislativo avente efficacia limitativa della norma penale scritta407. Esse sono, invece, inconciliabili, con gli ordinamenti incentrati sul principio di legalità formale, quale appunto il nostro, che non ammettono scriminanti oltre quelle espressamente previste. Il problema che si pone è soltanto quello della estensione analogica delle scriminanti codificate, sempre che si ritenga ammessa l’analogia in bonam partem e pur sempre nei casi e limiti previsti408. Circa, invece, il problema della loro necessità pratica, esse sono inutili, poiché le c.d. ipotesi di scriminanti tacite sono in genere riconducibili alle scriminanti codificate409, come appunto: 1) la cultural defence; 2) l’attività sportiva violenta; 3) l’attività medico- chirurgica. In seguito al mutamento istituzionale, avvenuto nel nostro paese, il vigente diritto penale non risponde più appieno al complesso dei nuovi valori istituzionali. Tale mutamento di valori istituzionali, che non va confuso coi mutamenti di opinione pubblica o con le ideologie ed interessi di parte, è quello espresso attraverso i principi della Costituzione, in cui si conciliano e trovano il loro punto di equilibrio le varie forze operanti nella nostra società410. Pertanto, il contrasto totale o parziale di una norma col principio costituzionale deve essere rimosso attraverso le garanzie del giudizio di costituzionalità o il riconoscimento della liceità di particolari condotte, che, nel quadro dell’art. 51 c.p., delimita la portata della norma penale. Non, invece, attraverso le incerte e insidiose vie delle scriminanti tacite, così definite dal Mantovani411.
3.1 Le scriminanti culturali
Un primo ordine di questioni relative all’efficacia scriminante di circostanze non espressamente disciplinate dal legislatore ha interessato le cc.dd. scriminanti culturali o cultural defences, il cui fondamento è legato alle norme etiche, morali e religiose che
407 F. Mantovani, op. cit., pag. 269 ss.; F. Caringella- A. Salerno, op. cit., 450 ss. 408 F. Mantovani, op. cit., pag. 269 ss.; F. Caringella- A. Salerno, op. cit., 450 ss. 409 F. Mantovani, op. cit., pag. 269 ss.; F. Caringella- A. Salerno, op. cit., 450 ss. 410 F. Mantovani, op. cit., pag. 269 ss.; F. Caringella- A. Salerno, op. cit., 450 ss.