Accordo dei coniugi nel procedimento di divorzio
Accordo dei coniugi nel procedimento di divorzio
CASSAZIONE CIVILE, sez. I, 20 agosto 2014, n. 18066 - Pres. Vitrone - Rel. Dogliotti - P.M. Ce- roni (conf.) - R.G. ( avv.ti Xxxxxxx, Xxxxx) c. F.E. (avv. Rovere)
La sentenza resa a seguito di conclusioni comuni nell'ambito di un procedimento di divorzio originariamente contenzioso è assimilabile a quella intervenuta in un giudizio di divorzio congiunto, sicché non è impugnabile dai coniugi qualora il giudice abbia integralmente recepito le conclusioni, che persiste, invece, ove le stesse siano state, in tutto o in parte, disattese, mentre il P.M., ai sensi dell'art. 5, comma 5, della legge 1 dicembre 1970, n. 898, può in ogni caso impugnare la sentenza limitatamente agli interessi patrimoniali dei figli.
In caso di separazione consensuale o divorzio congiunto (o su conclusioni conformi), la sentenza incide sul vincolo matrimoniale ma, sull'accordo tra i coniugi, realizza - in funzione di tutela dei diritti indisponibili del soggetto più debole e dei figli - un controllo solo esterno attesa la natura negoziale dello stesso, da affermarsi in ragione dell'ormai avvenuto superamento della concezione che ritiene la preminenza di un interesse, supe- riore e trascendente, della famiglia rispetto alla somma di quelli, coordinati e collegati, dei singoli componen- ti. Ne consegue che i coniugi possono concordare, con il limite del rispetto dei diritti indisponibili, non solo gli aspetti patrimoniali, ma anche quelli personali della vita familiare, quali, in particolare, l'affidamento dei fi- gli e le modalità di visita dei genitori.
ORIENTAMENTI GIURISPRUDENZIALI
Conforme
Sulla prima massima: Cass. civ., sez. I, 14 ottobre 0000, x. 00000; App. Roma, 15 aprile 1991, in Foro it., 1992, I, 474.
Sulla seconda massima: Cass. civ., sez. I, 8 luglio 1998, n. 6664, in Giust. civ., 1999, I; App. Catania, 28 luglio 2008, n. 1630.
…Omissis…
Motivi della decisione
…Omissis…
divorzio congiunto, tale previsione riguarda situazioni particolari: il primo giudice non ha recepito o ha rece- pito solo parzialmente l'accordo tra le parti, magari pre- cisando che erano in questione diritti indisponibili o l'accordo stesso appariva in contrasto con l'interesse del
La sentenza impugnata dichiara inammissibile l'appello principale, sostenendo che, ai sensi dell'art. 100 c.p.c., per far valere una domanda in giudizio e per proporre impugnazione, occorre avervi interesse, e che difetta to- talmente in capo al R. tale interesse, non essendo egli risultato soccombente per alcuna delle domande propo- ste nel primo grado, con le conclusioni definitive da lui rassegnate. Non rinviene il giudice a quo clausole nulle nell'accordo raggiunto tra le parti, non essendovi viola- zione alcuna di diritti indisponibili, né contrasto con l'interesse del minore: valido il trasferimento immobi- liare a suo favore della casa coniugale, con impegno del padre all'acquisto della proprietà e al predetto trasferi- mento, che garantirebbe al minore stesso la permanenza nell'habitat domestico.
Va condivisa, seppur con alcune doverose precisazioni, l'affermazione della pronuncia impugnata, per cui non è ammessa impugnazione se la parte o entrambe le parti, a seguito di accordo, risultino soccombenti.
La fattispecie in esame (conclusioni comuni nell'ambito di un procedimento di divorzio originariamente conten- zioso) è assimilabile a quella inerente ad un procedi- mento di divorzio congiunto. È bensì vero, come affer- ma il ricorrente, che l’ art. 5, comma 5, l. divorzio, pre- vede, apparentemente senza eccezione, la possibilità di impugnazione, da parte di ciascun coniuge, ma, per il
minore, ovvero non era "congrua" la corresponsione una tantum di somma, escludente, per il futuro l'asse- gno divorzile.
In tali casi ovviamente, ciascuno dei coniugi od en- trambi potrebbero impugnare la sentenza.
Il Pubblico Ministero, ai sensi dell’art. 5, comma 5, pre- detto, può impugnare limitatamente agli interessi patri- moniali dei figli.
Va interpretata in senso lato tale previsione, con riferi- mento al patrimonio del minore, al suo mantenimento, ai trasferimenti (immobiliari o mobiliari) che lo riguar- dano, ecc. E impugnazione potrebbe esservi, da parte di un curatore speciale del minore, in caso di conflitto di interessi con i genitori (questione estranea alla presente fattispecie, non essendovi stata, in corso di causa, istan- za alcuna di nomina di un curatore).
Si diceva della affermazione condivisibile, per cui non vi è interesse ad impugnare, senza soccombenza, ma, nella specie, vi è una ragione ulteriore per escludere l'impugnazione.
Nella separazione consensuale, cosi come nel divorzio congiunto, ma pure in caso di precisazioni comuni che concludano e trasformino il procedimento contenzioso di separazione e divorzio, si stipula un accordo, di natu- ra sicuramente negoziale (tra le altre, Cass. n. 17607 del 2003), che, frequentemente, per i profili patrimo-
xxxxx si configura come un vero e proprio contratto. Non rileva che, in sede di divorzio, esso sia recepito, fatto proprio dalla sentenza: all'evidenza tale sentenza è necessaria per la pronuncia sul vincolo matrimoniale, ma, quanto all'accordo, si tratta di un controllo esterno del giudice, analogo a quello di separazione consensua- le.
Com'è noto, nell'accordo tra le parti, in sede di separa- zione e di divorzio, si ravvisa un contenuto necessario (attinente all'affidamento dei figli, al regime di visita dei genitori, ai modi di contributo al mantenimento dei figli, all'assegnazione della casa coniugale, alla misura e al modo di mantenimento, ovvero alla determinazione di un assegno divorziale per il coniuge economicamente più debole) ed uno eventuale (la regolamentazione di ogni altra questione patrimoniale o personale tra i co- niugi stessi).
Tradizionalmente gli accordi "negoziali" in materia fa- miliare, erano ritenuti del tutto estranei alla materia e alla logica contrattuale, affermandosi che si perseguiva un interesse della famiglia trascendente quello delle parti, e l'elemento patrimoniale, ancorché presente, era strettamente collegato e subordinato a quello personale. Oggi, escludendosi in genere che l'interesse della fami- glia sia superiore e trascendente rispetto alla somma di quelli, coordinati e collegati, dei singoli componenti, si ammette sempre più frequentemente un'ampia autono- mia negoziale, e la logica contrattuale, seppur con qual- che cautela, là dove essa non contrasti con l'esigenza di protezione dei minori o comunque dei soggetti più de- boli, si afferma con maggior convinzione.
Nei verbali di separazione consensuale o in quelli rece- piti dalla sentenza di divorzio congiunto, sono assai fre- quenti le clausole contenenti promesse di trasferimenti, ma pure trasferimenti effettivi di proprietà o altri diritti reali su beni immobili o mobili da un coniuge all'altro. Intenti, modalità, contenuti possono essere i più diversi: regolamentazione di tutti o di alcuni rapporti reciproci tra i coniugi, magari anche al fine di prevenire possibili controversie, con un sistema più o meno complesso di concessioni, compromessi, risarcimenti, riconoscimenti, ecc, attribuzioni ed assegnazioni reciproche, talora an- che di portata divisoria, ma pure di adempimento del- l'obbligo ex lege di mantenimento (o comunque di assi- stenza) a favore del coniuge economicamente più debo- le.
Questa Corte da tempo ritiene che la clausola di trasfe- rimento di immobile tra i coniugi, contenuta nei verbali di separazione o recepita dalla sentenza di divorzio con- giunto o magari, come nella specie, sulla base di conclu- sioni uniformi, è valida tra le parti e nei confronti dei terzi, essendo soddisfatta l'esigenza della forma scritta (tra le prime pronunce al riguardo, Xxxx. 11 novembre 1992, n.12110 e, ancora recentemente, Cass. n. 2263 del 2014), cosi come il trasferimento o la promessa di trasferimento di immobili, mobili o somme di denaro, quale adempimento dell'obbligazione di mantenimento (o assistenziale) da parte di un coniuge nei confronti dell'altro (tra le altre, Xxxx. 17 giugno 1992 n. 7470). Ma pure questa Corte ha sostenuto la ammissibilità, a
titolo di contributo per il mantenimento del figlio mi- nore, del trasferimento di un immobile a suo favore, quale contratto atipico e gratuito, che si perfeziona per effetto del mancato rifiuto (Xxxx. 21 dicembre 1987, n. 9500).
Va altresì precisato che gli accordi omologati (ovvero recepiti dalla sentenza di divorzio) non esauriscono ne- cessariamente ogni rapporto tra i coniugi o tra genitori e figli. Si potrebbero ipotizzare (e nella prassi ciò accade frequentemente) accordi anteriori, contemporanei o magari successivi alla separazione o al divorzio, nella forma della scrittura privata o dell'atto pubblico.
Al riguardo, la giurisprudenza di questa Corte è varia- mente intervenuta, con particolare riferimento agli ac- cordi extragiudiziali, in occasione della separazione, at- traverso una complessa evoluzione verso una più ampia autonomia negoziale dei coniugi. Dapprima si affermava che tutti i patti intercorsi tra i coniugi, in vista della se- parazione, anteriori, coevi o successivi, indipendente- mente dal loro contenuto, dovevano essere sottoposti al controllo del giudice che, con il suo decreto di omolo- ga, conferiva ad essi valore ed efficacia giuridica. Suc- cessivamente si cominciò ad effettuare distinzione sul contenuto necessario ed eventuale delle separazioni consensuali, sui rapporti tra i genitori e figli, riservati al controllo del giudice, e tra coniugi, che, almeno ten- denzialmente, rimanevano nell'ambito della loro discre- zionale ed autonoma determinazione, in base alla valu- tazione delle rispettive convenienze, fino a sostenere, successivamente, l'autonomia negoziale dei genitori, an- che nel rapporto con i figli, purché si pervenga ad un miglioramento degli assetti concordati davanti al giudi- ce (tra le altre, Xxxx. 22 gennaio 0000 x. 000; x. 00000
del 2006).
Al contrario, la giurisprudenza di questa Corte è rimasta tradizionalmente orientata a ritenere gli accordi assunti prima del matrimonio o magari in sede di separazione consensuale, in vista del futuro divorzio, nulli per illi- ceità della causa, perché in contrasto con i principi di indisponibilità degli status e dello stesso assegno di di- vorzio (tra le altre Cass. n. 6857 del 1992).
(Sono stati invece ritenuti validi accordi in vista di una dichiarazione di nullità del matrimonio, in quanto cor- relati ad un procedimento dalle forti connotazioni in- quisitorie, volto ad accertare l'esistenza o meno di una causa di invalidità matrimoniale, fuori da ogni potere negoziale di disposizione degli status: tra le altre Cass. n. 348 del 1993). Giurisprudenza più recente ha sostenuto che tali accordi non sarebbero di per sé contrari all'or- dine pubblico: più specificamente il principio dell'indi- sponibilità preventiva dell'assegno di divorzio dovrebbe rinvenirsi nella tutela del coniuge economicamente più debole, e l'azione di nullità (relativa) sarebbe proponi- bile soltanto da questo (al riguardo, Cass. n. 8109 del 2000).
Questa Corte più recentemente (Cass. n.23713 del 2012; ma v. pure Cass. n. 19304 del 2013), pur esclu- dendo che nella specie si trattasse di accordi prematri- moniali in vista del divorzio, ha avuto modo di precisa- re che tali accordi sono molto frequenti in altri Stati,
segnatamente quelli di cultura anglosassone, dove essi svolgono una proficua funzione di deflazione delle con- troversie familiari e divorzili, e pure ha sottolineato le critiche di parte della dottrina all'orientamento tradizio- nale, che trascurerebbe di considerare adeguatamente non solo i principi del diritto di famiglia ma la stessa evoluzione del sistema normativo, ormai orientato a ri- conoscere sempre più ampi spazi di autonomia ai coniu- gi nel determinare i propri rapporti economici, anche successivi alla crisi coniugale, ferma ovviamente la tute- la dell'interesse dei figli minori.
Come si è detto, l'accordo delle parti in sede di separa- zione o di divorzio (e magari quale oggetto di precisazio- ni comuni in un procedimento originariamente conten- zioso) ha natura sicuramente negoziale, e talora dà vita ad un vero e proprio contratto.
Ma, anche se esso non si configurasse come contratto, all'accordo stesso sarebbero sicuramente applicabili al- cuni principi generali dell'ordinamento come quelli at- tinenti alla nullità dell'atto o alla capacità delle parti, ma pure alcuni più specifici (ad es. relativi ai vizi di vo- lontà, del resto richiamati da varie norme codicistiche in materia familiare dalla celebrazione del matrimonio al riconoscimento dei figli nati fuori di esso) (al riguar- do, ancora, Cass. n. 17607 del 2003).
Tornando alla fattispecie in esame, si deve affermare che i coniugi, in quanto parti dei predetti accordi, non possono impugnare un decreto di omologa o la sentenza che li abbia recepiti.
Lo potrebbero, come si diceva, il Pubblico Ministero per gli interessi patrimoniali dei minori ovvero un cura- tore speciale, nominato dal giudice, in nome e per con- to dei minori stesso.
Ove l'accordo (o il contratto) sia nullo, tale nullità po- trebbe essere fatta valere da chiunque vi abbia interesse, e dunque anche da chi abbia dato causa a tale nullità. Ed esso potrebbe essere oggetto di annullamento da par- te del soggetto incapace o la cui volontà risulti viziata (ad es. da un errore pure sulla sussistenza dell'interesse del minore, ma si dovrebbe ricordare che se nell'accor- do sia preminente una causa transattiva, non rilevereb- be ai sensi dell'art. 1969 c.c., errore di diritto). Ma nul- lità o annullamento non potrebbero costituire motivo di impugnazione dei soggetti dell'accordo da cui essi so- no vincolati, ma dovrebbero essere fatti valere in un autonomo giudizio di cognizione (In termini generali n. 17607 del 2003).
Vi sono peraltro alcuni equivoci da chiarire, in relazio- ne alla fattispecie dedotta in giudizio. È vero che l'ac- cordo (o il contratto) collegato alla crisi familiare, po- trebbe violare diritti indisponibili. Si pensi ad es. ad una clausola che escluda in perpetuo la possibilità, per il coniuge, di un assegno di mantenimento o divorzile, ovvero che impedisca, sempre e comunque, un control- lo del genitore sull'esercizio della potestà (oggi "respon- sabilità") esercitata dall'altro, o magari, addirittura, che limiti la possibilità o vincoli le parti al divorzio. Ma al di là di tali clausole "estreme", che ben difficilmente nella prassi vengono stipulate, i coniugi possono, con reciproche concessioni, raggiungere un accordo sull'affi-
damento dei figli e modalità di visite genitoriali nonché su ogni altra questione (personale o patrimoniale) della vita familiare.
Altrimenti... non vi sarebbe spazio alcuno per separazio- ni consensuali, divorzi congiunti o conclusioni comuni. Quanto all'interesse del minore, si è detto che la giuri- sprudenza conosce e ha ritenuto pienamente valida la clausola di trasferimento immobiliare da un coniuge al figlio, anche a scopo di mantenimento, utilizzando lo schema del contratto a favore di terzo e/o di quello con obbligazione per il solo proponente, ai sensi dell'art. 1333 c.c.. (Cass. n. 2500 del 1987). Ne rileverebbe la circostanza che l'immobile in questione non sia di pro- prietà del genitore obbligato.
Si tratterebbe, in sostanza, di fattispecie analoga a quel- la di vendita di cosa altrui, ai sensi dell'art. 1478 c.c. ss..: l'obbligato dovrà acquistare l'immobile e trasferirlo al beneficiario; in caso di inottemperanza, egli sarà te- nuto al risarcimento del danno. Il trasferimento immo- biliare supererebbe la necessità di assegnazione della ca- sa coniugale al genitore collocatario del minore. D'altra parte, essendo il R. titolare del contratto di locazione della casa coniugale, con il divorzio, si potrebbe confi- gurare una successione del coniuge, convivente con il figlio minore, nel rapporto locatizio, ai sensi dell’art.6 l.
n. 392 del 1978, sulla locazione degli immobili urbani. E se il proprietario facesse valere i suoi diritti sull'immo- bile, sarebbe sempre possibile richiedere, in sede di mo- difica delle condizioni di divorzio, un'elevazione dell'as- segno a favore del coniuge collocatario del figlio, per permettergli di rinvenire una nuova sistemazione abita- tiva.
Non si ravvisa dunque né violazione di diritti indisponi- bili né contrasto alcuno con l'interesse del minore.
…Omissis…
Conclusioni comuni e autonomia privata nel procedimento ordinario di divorzio di Xxxxx Xxxxxxx (*)
La decisione affronta il problema della rilevanza degli accordi dei coniugi nel procedimento ordi- nario di divorzio, quando l’accordo è recepito nella sentenza di scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio. Correlativamente, individua l’ampiezza dei poteri di controllo dell’au- torità giudiziaria e stabilisce i casi in cui è ammessa l’impugnazione della sentenza proposta dai coniugi, che sono parti processuali e soggetti dell’accordo. Secondo l’interpretazione fornita dalla Cassazione i poteri del giudice sono conformati dalla presenza di un atto di autonomia, non già dalla struttura (ordinaria o su domanda congiunta) o dalla natura (contenziosa o volon- taria) del procedimento. Pertanto nelle ipotesi di conclusioni comuni nel procedimento ordinario di divorzio (ma anche in quelle di divorzio su domanda congiunta e di separazione consensuale), i coniugi possono regolare ogni questione patrimoniale e personale, anche relativa alla prole, e il giudice non può interferire con i poteri dell’autonomia, salve le ipotesi di illiceità e manifesta iniquità. Attraverso un’operazione concettuale la Corte astrae l’accordo dalla sentenza, che è so- lo il suo rivestimento formale, e a ciascun atto riconduce la propria disciplina giuridica: rispetti- vamente quella negoziale (con particolare riferimento al vincolo negoziale e ai diritti di impugna- tiva in ipotesi di nullità o di annullamento) e quella processuale. Ne consegue che i coniugi, a pena di inammissibilità dell’impugnazione, non possono impugnare la sentenza che recepisce integralmente il loro accordo per ottenere una modifica giudiziale della regola negoziale, perché da questa sono vincolati ai sensi dell’art. 1372 c.c.; possono invece far valere in un autonomo giudizio di cognizione eventuali vizi dell’accordo.
La fattispecie
In un procedimento ordinario i coniugi raggiun- gono un’intesa sulle condizioni patrimoniali e per- sonali del divorzio e il loro accordo, che viene pre- cisato nelle conclusioni, diventa parte integrante del contenuto della sentenza di cessazione degli ef- fetti civili del matrimonio. In seguito la sentenza viene impugnata da uno di essi per ottenere la mo- difica di alcuni aspetti patrimoniali, relativi all’en- tità del mantenimento, e personali, relativi alla prole.
Nei successivi gradi di giudizio, la Corte d’appel- lo si pronuncia dichiarando l’inammissibilità del- l’impugnazione per mancanza del necessario requi- sito della soccombenza (art. 100 c.p.c.). Il proble- ma è affrontato nel suo profilo processuale riguar- xxxxx la legittimazione dei coniugi a impugnare la sentenza di divorzio che accoglie le conclusioni co- muni (ossia recepisce l’accordo).
La Corte di cassazione rigetta il ricorso del co- niuge e quindi conferma la decisione del giudice di
secondo grado, ma inquadra l’ipotesi di conclusioni comuni nel procedimento ordinario nell’ambito delle possibili manifestazioni dell’autonomia priva- ta (art. 1322 c.c.) volte a definire i rapporti patri- moniali conseguenti alla crisi coniugale. In parti- colare afferma la possibilità di adattare alla fatti- specie in esame, non espressamente regolata dalla legge, la disciplina espressamente prevista per il di- vorzio congiunto dall’art. 4, comma 13, l. 1 dicem- bre 1970, n. 898 (in seguito l. div.). (1)
Più in generale individua un nucleo disciplina comune alle ipotesi di divorzio congiunto, conclu- sioni comuni nel procedimento di divorzio e sepa- razione consensuale (artt. 150 e 158 c.c.): tutte sottendono un accordo di natura negoziale che vincola i coniugi in quanto parti ai sensi dell’art. 1372, in ordine al quale occorre stabilire le condi- zioni di rilevanza processuale e, correlativamente, l’ampiezza dei poteri di decisione e di controllo del giudice.
(*) Il contributo è stato sottoposto, in forma anonima, alla valutazione di un referee.
(1) La fattispecie di conclusioni conformi nel procedimento ordinario si realizza nella fase successiva a quella presidenzia- le: infatti se l’accordo sulle condizioni del divorzio è raggiunto già al momento della domanda, è verosimile che i coniugi vo-
xxxxxx presentare domanda congiunta; se invece si forma nella fase presidenziale del giudizio contenzioso, il Presidente dispo- ne il passaggio del rito, da contenzioso a camerale. Sul muta- mento di rito si veda X. Xxxxxxxxx, La separazione personale tra i coniugi e il divorzio, Milano, 1996, 823.
La questione può essere analizzata sotto un du- plice profilo: sostanziale, con riferimento al più ampio problema dell’ammissibilità e rilevanza degli accordi tra coniugi in sede di divorzio, e processua- le, con riferimento al regime di impugnazione della sentenza di divorzio.
Il piano sostanziale: l’autonomia dell’accordo
Con riferimento al problema dell’ammissibilità e rilevanza degli accordi tra coniugi in sede di divor- zio, pare utile richiamare preliminarmente due questioni affini.
In primo luogo un analogo problema di rilevanza delle disposizioni patrimoniali concordate dai co- niugi in sede di divorzio si pone in caso di revoca del consenso prestato alla presentazione della ri- chiesta congiunta di divorzio (che qui non viene in considerazione poiché nella specie i coniugi non erano d’accordo al momento della domanda). Tan- to se il coniuge intende revocare il consenso al di- vorzio, quanto (e ancor più) se intende ritrattare le sole condizioni patrimoniali concordate. (2)
In proposito una parte della dottrina ha sostenu- to che le pattuizioni devono ritenersi subordinate all’adozione del provvedimento giurisdizionale e perciò sono revocabili. Se revocate, sono inefficaci per il venir meno – in prospettiva – della situazio- ne di diritto entro la quale avrebbero operato: il
mutamento di status conseguente alla pronuncia di divorzio. (3)
Altra parte le considera immediatamente vinco- lanti per i coniugi e quindi irrevocabili, ma efficaci solo a partire dal passaggio in giudicato della sen- tenza di divorzio (salva la diversa decorrenza degli effetti eventualmente stabilita dai coniugi stessi). La ragione dell’irrevocabilità risiede in ciò, che si tratta di manifestazioni dell’autonomia privata (artt. 1322 e 1372 c.c.). (4)
In secondo luogo un problema di ammissibilità si è posto con riferimento agli accordi conclusi in vista del divorzio. È noto che secondo un orienta- mento giurisprudenziale consolidato i patti con i quali i coniugi intendono regolare i rapporti eco- nomici conseguenti al futuro ed eventuale divorzio, sono radicalmente nulli per illiceità della causa (art. 1343 c.c.). (5)
Siffatta invalidità non colpirebbe invece né l’ac- cordo sulle condizioni del divorzio di cui al citato art. 4 l. div., né (deve dedursi) l’accordo precisato nelle conclusioni comuni delle parti in un procedi- mento ordinario, perché entrambi si formano in un momento in cui il divorzio, più che semplicemente prefigurato, è richiesto. (6)
Nello specifico caso esaminato la Corte non ha smentito l’orientamento formatosi sulla nullità per illiceità della causa degli accordi preventivi sui rap- porti economici conseguenti al divorzio, sicché nell’ipotesi in cui l’accordo fosse stato raggiunto
(2) La revoca del consenso al divorzio congiunto pone an- che un problema processuale relativo alla forma (camerale o ordinaria) del procedimento di divorzio. In giurisprudenza si è affermata la tesi dell’irrevocabilità unilaterale e immotivata del- la domanda congiunta, la quale conterrebbe un’intesa proces- suale che vincola le parti a seguire il rito camerale (Cass. n. 6664/1998, in Foro it., 1998, I, 2368). In senso contrario: C.M. Xxxxxx, Diritto civile, 2.1, La famiglia, Milano, 2014, 287, secon- do cui la domanda congiunta non contiene un impegno divor- zile e pertanto sarebbe revocabile anche unilateralmente, es- sendo la materia degli status sottratta ai poteri di disposizione privati; X. Xxxxxxxxxxx, Pretesa irretrattabilità del consenso pre- stato dai coniugi alla domanda congiunta di divorzio, in Giust. civ., 1999, I, 819, per il quale l’accordo è un presupposto della domanda, la quale dunque sarebbe revocabile anche unilate- ralmente finché il giudice non abbia trattenuto la causa in de- cisione; X. Xxxxxx, I contratti della crisi coniugale, Milano, 1999, 313, secondo cui il ricorso congiunto deve essere dichia- rato improcedibile.
(3) X. Xxxx, La rilevanza del consenso dei coniugi nella sepa- razione consensuale e nella separazione di fatto, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 1996, 1095.
(4) X. Xxxxxxxx, Autonomia privata e potere di disposizione nei rapporti familiari, Padova, 1997, 417, il quale però precisa che il processo si estingue per rinunzia all’azione nel caso in cui il coniuge revocante sia l’unico legittimato all’azione di di- vorzio; X. Xxxxx, Autonomia privata e “causa” familiare, 1996, 325; X. Xxxxxx, Famiglia e rapporti patrimoniali, Milano, 2002, 845, il quale, pur facendo salve le ipotesi in cui le parti hanno
espressamente condizionato gli effetti dell’accordo all’emana- zione della sentenza, ha proposto di considerare l’accordo in questione quale patto modificativo delle condizioni della sepa- razione in atto, onde affermarne l’irretrattabilità e l’efficacia.
(5) Il caso guida in materia risale alla sentenza della Cassa- zione n. 3777/1981, in Giur. it., 1981, I, 1. L’opinione, riferita anche dalla sentenza che si annota, è variamente argomenta- ta: facendo riferimento ora all’indisponibilità dell’assegno di di- vorzio, ora al divieto di commercio dello status (ossia al perico- lo che il coniuge sia indotto a modificare il proprio comporta- mento processuale in vista dell’attribuzione patrimoniale con- cordata). L’orientamento in questione è stato seguito da appa- renti aperture, per le quali si segnalano le seguenti decisioni: Cass. n. 8109/2000, in Foro it., 2001, I, 1318; Cass. n. 15349/2000, in Giust. civ., 2001, I, 1592; Cass. n. 2076/2003, in Fam. e dir., 2003, 344; Cass. n. 23713/2012, in Foro it., 2013, I, 864. Al contrario, la dottrina si è sempre mostrata più favore- vole all’esercizio dell’autonomia in sede di divorzio, specie in seguito alla riforma del 1987: X. Xxxxxxxx, op. ult. cit., 431; X. Xxxxx, op. ult. cit., 189 ss.; X. Xxxxxxxxxx, Contratti tra coniugi in vista della cessazione del ménage, Padova, 1999, 144; X. Xxxx- to, Famiglia e rapporti patrimoniali, cit., 762. Vedi però C.M. Xxxxxx, Diritto civile, cit., 230, secondo cui gli accordi preventi- vi sono nulli per indeterminatezza dell’oggetto, giacché i pre- supposti del diritto all’assegno non sarebbero valutabili fino al momento della sentenza di scioglimento del vincolo.
(6) In argomento, si vedano le osservazioni di X. Xxxxxxxxxx, Contratti tra coniugi in vista della cessazione del ménage, cit., 130.
prima della fase decisoria e invocato altrimenti - ad esempio da uno solo dei coniugi per ridimensio- nare la domanda dell’altro in corso di procedimen- to - si sarebbe ben potuto dubitare del fatto che i giudici l’avrebbero ritenuto vincolante per le parti e rilevante per il giudice del divorzio.
Forse lo stesso ricorrente aveva sollecitato una dichiarazione di nullità, inserendo tra i motivi di ricorso l’indisponibilità dei diritti oggetto della sentenza e dunque dell’accordo; in questo caso pe- rò l’intesa sulle condizioni del divorzio era stata raggiunta in corso di procedimento e la Corte ha ritenuto insussistenti eventuali profili di illiceità della causa.
In realtà i giudici non seguono esattamente que- sto percorso argomentativo ma adottano una moti- vazione fondata sui principi generali dell’autono- mia negoziale, prendendo in considerazione l’ac- cordo in quanto atto di privata autonomia a pre- scindere dalla sua formazione in corso di procedi- mento.
La decisione quindi non si limita a confermare la liceità dell’accordo: contiene un più ampio rico- noscimento della meritevolezza di tutela dell’accor- do e delle posizioni che in esso trovano fonte. Vi si statuisce che la sentenza di divorzio non può essere impugnata da una delle parti al fine di modificare unilateralmente le condizioni ivi stabilite, perché queste sono vincolanti in quanto tali (1372 c.c.) ossia in quanto manifestazioni dell’autonomia pri- vata; ma si degrada a circostanza del tutto irrile- vante che l’accordo sia stato (raggiunto in corso di procedimento, dunque) recepito dalla sentenza.
Per un verso l’accordo è considerato meritevole di tutela, oltre che lecito. Vi è un particolare rico- noscimento della funzione dell’autonomia privata nella sistemazione dei rapporti conseguenti al di- vorzio.
L’autonomia può manifestarsi anche nel corso di un procedimento ordinario, anche dopo la fase istruttoria del giudizio e nonostante il giudice abbia già acquisito ogni elemento utile a decidere diver- samente. Inoltre può disciplinare la totalità dei rapporti post-matrimoniali patrimoniali e persona- li, anche nei confronti dei figli.
È significativo che si siano evocate le analogie tra accordi omologati in sede di separazione con- sensuale e accordi recepiti nella sentenza di divor- zio: in entrambi i casi al giudice spetterebbe solo
un “controllo esterno” sulle condizioni concordate. L’affermazione ha bisogno di essere spiegata perché la funzione che caratterizza i poteri del giudice in sede di omologa ai sensi dell’art. 158 c.c., trova di- retta giustificazione nel fatto che il fondamento della separazione consensuale è l’accordo dei co- niugi, i cui effetti sono subordinati all’emanazione del decreto di omologazione.
L’analogia serve sicuramente a esprimere una particolare approvazione per le intese tra coniugi in sede di divorzio. Non serve invece a individuare nell’accordo, anziché nella sentenza, il fondamento del divorzio: infatti il giudice dovrà comunque ac- certare la sussistenza di una causa di divorzio e, in caso di disaccordo dei coniugi, ha senz’altro il po- tere di individuare la regola dei rapporti post-ma- trimoniali.
Per altro verso l’accordo è tenuto in autonoma considerazione rispetto alla determinazione giuri- sdizionale di scioglimento del vincolo: si tratta di atti che si incontrano solo nella forma ma non nel- la natura. Gli effetti della pronuncia, sia patrimo- niali che personali, andrebbero quindi ricondotti alla volontà negoziale delle parti e non alla deci- sione del giudice, essendo irrilevante la particolare forma processuale di sentenza imposta dalla legge per l’accordo.
Vi è da dire che una parte della dottrina, che ora sembra essere parzialmente smentita, giunge a conclusioni identiche limitatamente ai rapporti economici tra coniugi, mentre sostiene che il giu- dice conserva un potere ufficioso e d’intervento nel merito sia sulla generalità delle clausole riguar- danti i figli, sia in alcune ipotesi tassative per quanto riguarda i rapporti economici tra coniugi (ad esempio, ai sensi dell’art. 5, comma 8, l. div., il giudice è tenuto a svolgere un controllo di equità dell’accordo raggiunto dai coniugi in ordine alla corresponsione dell’assegno di divorzio in un’unica soluzione). (7)
La Cassazione invece non distingue tra effetti patrimoniali relativi ai coniugi ed effetti personali e patrimoniali relativi ai figli: si tratta in ogni caso di effetti negoziali. A dimostrarlo è la disciplina dell’atto-sentenza: la sua eventuale impugnazione è dichiarata inammissibile perché recepisce l’accordo coniugale, anche se è diretta a modificare le deter- minazioni relative alla prole, sotto i profili del
(7) X. Xxxx, La rilevanza del consenso, cit., 1096; X. Xxxxxx, Famiglia e rapporti patrimoniali, cit., 849; contra X. Xxxxxxxxx, La separazione personale, cit., 831, secondo cui il giudice può sin-
dacare il merito delle clausole che riguardano i coniugi, anche relativamente ai loro rapporti patrimoniali.
mantenimento, dell’affidamento e dell’esercizio della responsabilità genitoriale.
Non è possibile quindi sostituire un regolamento pattizio valido con uno giudiziale diverso, sol per- ché ad esempio il giudice lo ritenga migliore o più completo, anche per la parte che riguarda i figli.
Le ipotesi in cui la volontà del giudice può so- vrapporsi a quella delle parti sono definite “estre- me” e limitate a casi di macroscopica violazione di diritti indisponibili. Ad esempio: le clausole che li- mitano l’esercizio della responsabilità genitoriale o che contengono un impegno divorzile o che esclu- dono in perpetuo il diritto all’assegno divorzile.
Il piano processuale: l’inammissibilità dell’impugnazione
L’impugnazione della sentenza di divorzio resa su domanda congiunta (o a seguito di conclusioni co- muni) e promossa da un coniuge, è inammissibile se il primo giudice ha recepito in modo completo l’accordo dei coniugi in ordine alle condizioni del divorzio, anche relative ai figli.
Nella sua assolutezza la soluzione non trova ri- scontro nella dottrina, dove si afferma comune- mente che la sentenza di divorzio congiunto è sog- getta ad impugnazione negli stessi termini e con le stesse modalità della sentenza resa nel divorzio contenzioso: (8) quindi, almeno per gli aspetti con- cernenti i rapporti economici e la prole, senza al- cun limite. Al più si precisa che in caso di accogli- mento della domanda di divorzio congiunto la pro- nuncia non è impugnabile per difetto di soccom- benza nella parte in cui dispone lo scioglimento del vincolo coniugale. (9)
La decisione di merito quindi contiene già alcu- ne novità interessanti perché applica alla sentenza di divorzio (in ogni sua parte, necessaria o even- tuale) il criterio della soccombenza formale, che esige la verifica della mancata corrispondenza tra chiesto e pronunciato, delimitando in concreto l’interesse ad impugnare della parte processuale. Risulta così delineato un regime differenziato nelle impugnazioni: se la sentenza è resa su conclusioni comuni delle parti o su domanda congiunta, non è appellabile per mancanza del requisito della soc- combenza; se chiude un giudizio totalmente con- tenzioso, è appellabile in tutte le sue parti.
Più in particolare la Corte ha rilevato che difet- ta l’interesse ad impugnare in capo alla parte pro- cessuale le cui richieste siano state accolte nella pronuncia giudiziale; perciò l’impugnazione even- tualmente promossa dai coniugi deve essere dichia- rata inammissibile per mancanza del requisito della soccombenza (art. 100 c.p.c.), se la sentenza di scioglimento del vincolo ha recepito integralmente il loro accordo in ordine alle condizioni patrimo- niali e personali del divorzio. (10)
La Cassazione enuncia in modo più articolato la regola sulle impugnazioni e la estende anche al de- creto di omologazione emesso dal Tribunale in se- de di separazione consensuale. Prende in conside- razione la posizione di ciascuno dei soggetti astrat- tamente legittimati all’impugnazione (art. 5 l. div.) e osserva che mentre il p.m. (ed eventualmente il curatore speciale nominato in caso di conflitto di interesse dei genitori con i figli minori) può co- munque esercitare il potere di impugnazione nel- l’interesse della prole minorenne, i coniugi se ne precludono l’esercizio a causa dell’accordo che li tiene vincolati ai sensi dell’art. 1372, cioè in quan- to parti sostanziali di esso, essendo del tutto irrile- vante che lo stesso sia contenuto nel provvedimen- to giurisdizionale.
Non si tratta però di un’ipotesi di acquiescenza tacita alla sentenza. All’evidenza la regola serve a tutelare l’accordo dai tentativi di modifica o scio- glimento, provenienti da una sola delle parti; inol- tre si coordina con la funzione primaria dell’auto- nomia privata nella regolamentazione dei rapporti post-matrimoniali, cui si affianca la funzione giudi- ziale di controllo esterno dell’accordo.
Più in particolare la Corte esclude implicitamen- te che la completa recezione dell’accordo nella sentenza abbia valore di fatto incompatibile con la volontà di avvalersi delle impugnazioni ammesse dalla legge ai sensi art. 329 c.p.c. Al contrario, ri- badisce l’autonomia dell’accordo rispetto alla sen- tenza e di conseguenza non ammette che in riferi- mento al primo possano operare gli istituti applica- bili alla seconda, al punto che i vizi dell’accordo (nullità e annullamento) non si traducono in moti- vi di censura della sentenza di divorzio: non posso- no costituire motivo di impugnazione nello stesso giudizio di divorzio ma devono essere fatti valere dagli interessati in un autonomo giudizio di cogni-
(8) Vedi per tutti C.M. Xxxxxx, Diritto civile, cit., 287.
(9) C. Di Iasi, Procedimenti di separazione e di divorzio, in
Trattato di diritto di famiglia, diretto da X. Xxxxx, Milano, 2011,
1937.
(10) In senso conforma si veda anche Corte d’Appello Ro- ma del 15 aprile 1991, in Foro it., 1992, I, 474.
zione, come normalmente avviene quando è stipu- lato un accordo extraprocessuale.
Afferma inoltre che i coniugi possono impugna- re la sentenza quando il loro accordo non è stato recepito o è stato recepito solo parzialmente: in tali casi, se l’accordo è lecito ed equo, il giudice oltre- passa le proprie prerogative e sovrappone illegitti- mamente la propria decisione a quella dei coniugi, violando l’autonomia privata.
L’intreccio dei piani
Lo sviluppo processuale della vicenda lascia tra- pelare una divergenza significativa nelle motivazio- ni che stanno alla base delle decisioni assunte in sede di merito e di legittimità.
Il giudice di merito, pur seguendo un ordine lo- gico nella decisione delle questioni, sembra più lontano dal cogliere un collegamento tra inammis- sibilità dell’appello e principi dell’autonomia priva- ta. Nelle motivazioni dei giudici di legittimità in- vece il ragionamento transita dal piano processuale a quello sostanziale senza modifiche per la statui- zione della Corte d’appello, che risulta confermata con il rigetto del ricorso.
Il problema giuridico è esaminato sotto il diverso profilo dell’esercizio dell’autonomia privata nei rapporti familiari e risolto applicando il principio della vincolatività dei negozi bilaterali (1372, com- ma I, c.c.), in forza del quale l’ex coniuge non po- trebbe modificare o sciogliere il vincolo negoziale validamente assunto in occasione del procedimen- to di divorzio, e di riflesso non potrebbe impugnare la sentenza che lo ha recepito.
Non sarebbe corretto però interpretare le moti- vazioni della Corte in modo eccessivamente rigido. Sul piano processuale la preclusione della possibili- tà di impugnare è senz’altro utile a individuare la fonte del regolamento degli interessi (che è la vo- lontà delle parti, rispetto alla quale il giudice ha
solo poteri di controllo esterno), ma non comporta anche che quest’ultimo rimanga assolutamente sta- bile e immodificabile: sia perché ciascun interessa- to (e quindi anche un coniuge) potrebbe farne va- lere i vizi in un autonomo giudizio di cognizione, sia perché la parte di accordo relativa all’entità del mantenimento rimane soggetta a modifica in caso di mutamento delle circostanze di fatto (clausola rebus sic stantibus). (11)
Sul piano sostanziale la Corte ha individuato un elemento essenziale del contratto di transazione (le reciproche concessioni), ma non pare che l’accor- do sia stato ricondotto entro alcuno schema tipico. I giudici sembrano invece orientati verso il ricono- scimento di una causa atipica, (12) essendosi av- valsi del più blando effetto negoziale di cui all’arti- colo 1372 e non dell’efficacia preclusiva tipica del- l’accordo transattivo per respingere l’impugnazio- ne.
Perciò deve ritenersi che in realtà l’accordo non sia stato sussunto in un contratto tipico, neanche nella parte in cui aveva ad oggetto un’attribuzione traslativa in favore del figlio, in relazione alla quale però si afferma l’applicabilità per analogia degli artt. 1478 e ss. e quindi sembra escludersi la causa liberale. (13)
I giudici non hanno assunto una posizione chia- ra sulla natura dell’atto concluso dai coniugi, cui si riferiscono alternativamente in termini di “accor- do” e di “contratto”. Al riguardo non si è voluta evocare la categoria dell’accordo in senso stretto, utilizzata in passato per sottrarre gli atti bilaterali dei coniugi all’applicazione diretta e indiretta della disciplina sul contratto: tale interpretazione non sarebbe coerente con la decisione adottata in con- creto, nella quale invece si afferma il carattere vin- colante dell’intesa dei coniugi (1372 c.c.) e l’appli- cabilità degli istituti della nullità e dell’annullabili- tà con riferimento all’accordo di separazione omo-
(11) Gli accordi e i provvedimenti sulla separazione e sul di- vorzio sono soggetti alla clausola rebus sic stantibus nella parte in cui determinano o recepiscono le condizioni relative ai figli e all’entità dei contributi da corrispondere a titolo di manteni- mento. Pertanto possono essere modificati attraverso un ap- posito procedimento di revisione, disciplinato agli artt. 156, u.c., c.c. e 9 l. div., nel caso in cui un fatto sopravvenuto e con un intrinseco carattere di novità alteri l’equilibrio raggiunto in precedenza e renda opportuna la modifica della situazione giu- ridica esistente. In proposito: M. Comporti, Autonomia privata e convenzioni preventive di separazione, di divorzio e di annulla- mento del matrimonio, in Foro it., 1995, I, 118.
(12) La dottrina ha affrontato il problema della giustificazio- ne causale degli spostamenti patrimoniali in occasione della crisi coniugale. Fa ricorso alla causa transattiva X. Xxxxxxx, Contratto, autonomia contrattuale, ordine pubblico familiare nel-
la separazione personale dei coniugi, in Giur. it., 1990, 1326. In- vece, ritengono più appropriato l’utilizzo di cause atipiche: X. Xxxxx, Autonomia privata e causa familiare, cit., 203 e ss., se- condo cui la “causa familiare” è quella propria degli accordi volti a soddisfare interessi patrimoniali ed esistenziali nella fase patologica del matrimonio; X. Xxxxxx, I contratti della crisi co- niugale, cit., 705 e ss., per cui gli accordi volti a disciplinare le conseguenze della crisi coniugale sarebbero connotati da una
«causa di definizione della crisi coniugale».
(13) Anche la dottrina contesta che le attribuzioni patrimo- niali programmate dai coniugi nel corso della crisi coniugale, in assenza di controprestazione, possano essere ricondotte al- lo schema della donazione. Di questo contratto non hanno in- fatti il necessario requisito causale consistente nello “spirito di liberalità”, ossia nella volontà disinteressata di arricchire il be- neficiario: si veda X. Xxxxx, Autonomia privata, cit., 218.
logato e all’accordo recepito in sentenza di divor- zio. (14)
Tanta cautela si spiega quindi ricordando che gli ostacoli culturali e giuridici che storicamente han- no rallentato il percorso di affermazione del potere di autonomia nel diritto di famiglia, oggi alimenta- no incertezze interpretative o interpretazioni re- strittive.
La valorizzazione dell’autonomia privata nei rap- porti familiari ha costituito il portato fondamentale del processo di privatizzazione del diritto di fami- glia, la cui sistemazione nel diritto privato è ormai indiscussa. Xxxx ricordarsi che in passato il dibatti- to sull’ammissibilità e sui limiti del potere di auto- nomia nel diritto di famiglia è stato notevolmente influenzato dalla soluzione del problema (ad esso complementare) relativo alla natura giuridica del matrimonio: dibattito che, com’è noto, maturò ini- zialmente in un contesto in cui le teorie pubblici- stiche diffuse sotto il codice civile del 1865 rico- struivano il matrimonio come atto riconducibile al potere dello Stato e perciò estraneo all’autonomia negoziale. (15)Così, benché la teoria negoziale ab- bia finito col prevalere, (16) anche sotto il vigore del codice del 1942 parte della dottrina ha conti- nuato a sostenere opinioni restrittive in ordine al- l’effettivo esplicarsi di un potere di autoregolamen- tazione dei privati nei rapporti giuridici familiari, pur attribuendo al matrimonio in quanto atto na- tura privata e fondamento nella dichiarazione di volontà degli sposi. (17)
Sin dall’inizio del periodo postbellico il diritto di famiglia ha subito trasformazioni notevoli, dovute al determinarsi di alcuni mutamenti che hanno ri- guardato sia la società sia le regole giuridiche. Il principale mutamento culturale riscontrabile nel
pensiero dei giuristi è dovuto al diffondersi di una certa consapevolezza riguardo all’opportunità di te- nere distinto l’interesse della famiglia da quello dei singoli che ne fanno parte, trattandosi di interessi per lo più eterogenei e non sovrapponibili, da con- siderare dialetticamente. Questa fondamentale in- tuizione si traduce inizialmente nei contributi di quella dottrina che per prima ha affermato l’am- missibilità dei poteri di autonomia privata nel cam- po del diritto di famiglia, isolando la categoria dei negozi giuridici familiari, sia pure con riferimento ai soli actus legitimi. (18)
Successivamente la limitazione degli spazi di autonomia individuale in nome di un (superiore) interesse del gruppo familiare era apparsa non più compatibile con i modelli costituzionali di famiglia e di società: la prima fondata sui valori dell’egua- glianza e della pari dignità dei coniugi (artt. 3 e 29 Cost.), la seconda imperniata sul valore della tute- la della persona umana (art. 2 Cost.). (19)
Questa consapevolezza interna alla dottrina co- stituisce la base culturale di numerosi interventi le- gislativi che, guardati singolarmente e in una pro- spettiva di ricostruzione storica, convergono a le- gittimare la categoria del negozio giuridico familia- re, inteso come espressione di un potere attribuito nell’interesse del singolo e non della famiglia.
Alle origini del percorso di valorizzazione del- l’autonomia privata nel diritto di famiglia si collo- ca la legge n. 898/1970 sullo scioglimento o la ces- sazione degli effetti civili del matrimonio, che ha fatto venir meno del principio di indissolubilità del vincolo coniugale: in questa prima fase l’autono- mia privata all’interno della comunità familiare svolge principalmente una funzione di protezione
(14) Sulle premesse teoriche della tesi che distingue gli ac- cordi in senso stretto dai contratti si veda X. Xxxxx, Teoria gene- rale del negozio giuridico, in Trattato di diritto civile, diretto da
X. Xxxxxxxx, Torino, 1950, 304, secondo il quale l’accordo in senso stretto, a differenza del contratto, si caratterizza per la concordanza degli interessi delle parti; per una sua applicazio- ne si veda Corte di Cassazione n. 4277/1978, in Foro it., 1979, I, 718, la quale aveva negato la possibilità di inserire una clau- sola a favore di terzo (art. 1411 c.c.) nell’accordo di separazio- ne consensuale.
(15) Secondo X. Xxxx, Il diritto di famiglia, Roma, 1915, 220 ss., l’elemento costitutivo del matrimonio è la dichiarazione dell’ufficiale di stato civile, rispetto al quale la volontà degli sposi costituisce un mero presupposto.
(16) Secondo l’opinione prevalente il matrimonio è un ne- gozio giuridico e dunque un atto di autonomia privata, che si perfeziona con l’incontro delle volontà degli sposi ed è volto a costituire un rapporto giuridico di natura personalissima: cfr.
X. Xxxxxxxxxxxx, Contributo alla teoria del negozio giuridico, Napoli, 1950, 358; X. Xxxxx, Teoria generale del negozio giuridi- co, cit., 297; X. Xxxxxxx Xxxxxxxxxx, Dottrine generali del diritto
civile, Napoli, 1964, 216.
(17) In proposito si veda X. Xxxxxxx, Il negozio giuridico, in Trattato di diritto civile e commerciale, diretto da X. Xxxx e X. Xxxxxxxx, 1988, 490 ss., secondo cui il matrimonio in quanto rapporto rimarrebbe comunque estraneo alle logiche e ai prin- cipi dell’autonomia negoziale perché caratterizzato dalla l’inde- rogabilità dei relativi effetti, tutti predeterminati dalla legge in quanto ricompresi nello status coniugale.
(18) Il riferimento è a X. Xxxxxxx Xxxxxxxxxx, L’autonomia pri- vata nel diritto di famiglia, in Dir. e giur., 1945, 3 e xx. (xxx xx Xxxxx xx xxxxxxx xxxxxx, Xxxxxx, 0000, 381 e ss.), secondo il quale la presenza di un interesse sovraordinato della famiglia non impedisce all’autonomia privata di operare, sebbene in manie- ra assai limitata rispetto al precetto generale di cui all’articolo 1322: in particolare l’autonomia negoziale nel diritto di famiglia potrebbe esplicarsi solo per funzioni determinate, ad opera di soggetti determinati, entro schemi formali e in vista della pro- duzione di effetti rigidamente predeterminati dalla legge.
(19) In argomento si vedano le considerazioni di M. Paradi- so, La comunità familiare, Milano, 1984, 25 e ss.
dell’individuo rispetto alle possibili prevaricazioni degli altri membri della famiglia.
Solo con l’entrata in vigore della legge di rifor- ma n. 151/1975 l’autonomia è presa in considera- zione anche per la funzione strumentale che può svolgere nel concreto modo di operare delle rela- zioni familiari: nella fase fisiologica l’accordo è la principale regola di governo della famiglia, entram- bi i coniugi possono dare attuazione all’indirizzo concordato (art. 144 c.c.) e la volontà di uno di questi non può prevalere su quella dell’altro, essen- do demandato al giudice il potere di individuare la soluzione in caso di disaccordo (art. 145, comma 2, c.c.).
Nella fase patologica l’accordo assume importan- za determinante nel funzionamento dell’istituto della separazione consensuale, disciplinato dagli artt. 150 e 158 c.c. e dall’art. 711 c.p.c.
L’accordo di separazione deve essere inteso come negozio di natura familiare che racchiude sia la vo- lontà di vivere separati sia la regola dei rapporti economici e personali tra i coniugi e di questi con i figli, rispetto al quale l’omologa opera dall’esterno e sul solo piano degli effetti: come una condizione legale di efficacia.
Tale inquadramento nell’area del negozio è argo- mentato principalmente attraverso l’analisi dei po- xxxx dell’autorità giudiziaria nell’ambito del proce- dimento ex art. 158 c.c.: quest’ultima norma infatti si limita a prevedere che il giudice può solo sugge- rire le modifiche ritenute opportune nell’interesse dei figli e che, in caso di perdurante contrasto del- l’accordo con gli interessi di questi, può rifiutare l’omologazione.
Per questo il giudice non può sindacare le ragio- ni che inducono i coniugi a separarsi né modificare o integrare direttamente le condizioni concordate, neppure nell’interesse dei figli: egli svolgerebbe, specialmente per quanto riguarda le condizioni che hanno ad oggetto i rapporti tra coniugi, un mero controllo esterno e di legittimità, ai sensi dell’arti- colo 1343 c.c.. (20)
In virtù della maggiore attinenza rispetto ai pro- blemi giuridici posti dalla decisione annotata, me- xxxx particolare considerazione la legge n. 74/1987 nella parte in cui ha disciplinato l’istituto del di-
vorzio su domanda congiunta (art. 4, comma 13, l. div.).
In questa sede l’accordo dei coniugi non dà luo- go a un’ipotesi di divorzio consensuale, ma consen- te loro di seguire un procedimento semplificato che prescinde dalla fase istruttoria e prende avvio con la fase decisoria camerale, nel quale il giudice è chiamato a verificare la sussistenza di una delle cause di divorzio di cui all’art. 3 l. div. e a svolgere un controllo di legittimità dell’accordo sulle condi- zioni riguardanti i coniugi, con poteri estesi al me- rito relativamente alle sole condizioni relative ai fi- gli. Inoltre, trattandosi di giurisdizione contenzio- sa, (21) il giudice è sempre tenuto a decidere la do- manda di divorzio: pure in caso di illegittimità del- l’accordo o di contrasto tra questo e gli interessi dei figli (e in tal caso il procedimento prosegue nelle forme ordinarie ai sensi dell’art. 4, comma 8,
l. div.).
Tuttavia, in considerazione della particolare te- nuità dei poteri di controllo del giudice che sono sostanzialmente assimilabili a quelli del Tribunale in sede di omologazione della separazione consen- suale, la dottrina ha individuato la fonte della re- golamentazione dei rapporti conseguenti al divor- zio nell’accordo, anziché nella sentenza che lo re- cepisce. (22)
In continuità con i dati emergenti dalla legisla- zione, come interpretati dalla giurisprudenza e dal- la dottrina dominanti, la Cassazione si mostra ora favorevole ad ulteriori aperture. Da un lato confer- ma la funzione strumentale dell’autonomia privata nella fase patologica del matrimonio, individuan- done il fondamento generale nel superamento della concezione istituzionale-pubblicistica della famiglia e quello speciale nella particolare idoneità dei co- niugi a regolare in proprio i rapporti patrimoniali e personali conseguenti alla separazione o al divor- zio.
Dall’altro prende in considerazione il caso in cui l’autonomia privata sia esercitata dai coniugi nel corso del giudizio ordinario di divorzio, attraverso la formulazione di conclusioni conformi.
Secondo la decisione annotata, ogni volta che i coniugi raggiungono un accordo sulla sistemazione dei rapporti conseguenti alla crisi coniugale e a prescindere della sede giurisdizionale in cui lo stes-
(20) X. Xxxxxxxx, Autonomia privata e potere di disposizione nei rapporti familiari, cit., 234; X. Xxxxxx, Famiglia e rapporti pa- trimoniali, cit., 819; X. Xxxxxxxxxx, Contratti tra coniugi in vista della cessazione del ménage, cit., 58; X. Xxxxx, Autonomia pri- vata e “causa” familiare, cit., 120.
(21) Secondo X. Xxxxxx, op. ult. cit., 849, il procedimento di
divorzio congiunto appartiene alla volontaria giurisdizione e la pronuncia del Tribunale assume “un mero carattere di omolo- ga”. Sulla natura contenziosa vedi invece Corte di Cassazione n. 26365/2011, in Fam. e dir., 2012, IV, 1477.
(22) X. Xxxxxxxx, op. cit.., 457.
so accordo si è formato (volontaria in caso di sepa- razione, contenziosa in caso di divorzio), il giudice esercita un potere di controllo esterno consistente in un ordinario controllo della legittimità del suo contenuto. Né i suoi poteri si differenziano con ri- guardo alle clausole relative alla prole, la cui tutela è però assicurata in giudizio dal pubblico ministero il quale è sempre legittimato ad impugnare la sen- tenza di divorzio nell’interesse dei figli.
In questa ipotesi, configurata come “normale”, ai coniugi è precluso il potere di impugnazione della sentenza che recepisce integralmente l’accordo. Attraverso un’operazione concettuale la Corte astrae l’accordo dalla sentenza, che è solo il suo ri- vestimento formale, e a ciascun atto riconduce la disciplina giuridica che gli è propria: rispettiva- mente quella negoziale (con particolare riferimento ai diritti di impugnativa in ipotesi di nullità o di annullamento) e quella processuale. In particolare, la sentenza non è impugnabile sia perché senza soccombenza non c’è interesse ad impugnare, sia perché sotto il profilo degli errores in procedendo nessuna violazione del procedimento commette il giudice se recepisce in modo integrale l’accordo co- niugale.
Solo nelle ipotesi, definite estreme e residuali, in cui l’accordo è illecito o manifestamente iniquo, alle parti spetta sempre il potere di impugnare la sentenza a tutela delle prerogative dell’autonomia privata nella fase della crisi coniugale.
La soluzione preferita è sostanzialmente analoga a quella adottata dalla legge nelle ipotesi di separa- zione consensuale e divorzio congiunto, ma è bene evidenziare che non è l’unica astrattamente ipotiz- zabile.
In primo luogo, con particolare riferimento alle clausole relative ai figli, perché in materia di affi- damento l’attuale art. 337ter, già art. 155 introdot- to con l. 54/2006, prevede che il giudice debba prendere atto degli accordi dei genitori, pur facen- do salvo il potere di adottare ogni provvedimento relativo alla prole. Il tenore letterale della norma consente all’autonomia privata di dare soluzione al
conflitto genitoriale, ma secondo la dottrina, che tende a dare un’interpretazione restrittiva della norma, l’accordo dei genitori non impedisce al giu- dice di esercitare nell’interesse dei figli i poteri uffi- ciosi di sindacato nel merito. (23)
In secondo luogo perché in un procedimento or- dinario l’organo giudicante raccoglie ogni elemen- to utile a decidere autonomamente nella fase istruttoria e dunque è nelle condizioni di esercitare un potere di sindacato nel merito sull’eventuale ac- cordo dei coniugi. Tale possibilità invece non è ipotizzabile in caso di divorzio congiunto, dove il giudice non può che svolgere un controllo di mera legittimità perché il procedimento inizia con la fa- se decisoria.
Infatti, nel caso in cui l’accordo raggiunto nel procedimento ordinario sia illecito o manifesta- mente iniquo, la Cassazione non esclude che il giu- dice possa imporre la propria decisione su quella dei coniugi: egli non è tenuto a recepire l’accordo e può decidere immediatamente perché nella fase istruttoria del procedimento ordinario ha già acqui- sito ogni informazione. Invece in casi analoghi nel procedimento su domanda congiunta la decisione sarebbe inevitabilmente differita alla conclusione del procedimento nelle forme ordinarie ai sensi dell’art. 8 l. div..
Secondo l’interpretazione fornita dalla Xxxxxxxx- ne però è la presenza di un accordo, non già la struttura del procedimento, a determinare l’ampiez- za dei poteri di sindacato del giudice.
La ratio della preferenza interpretativa è indivi- duabile, da un lato, nella volontà di non interferire con i poteri di privata autonomia dei coniugi, at- traverso l’individuazione tassativa dei casi di xxxx- fica o integrazione giudiziale del contenuto del loro accordo; dall’altro, nell’esigenza di garantirne la stabilità della decisione concordata attraverso la modulazione del potere di impugnazione della sen- tenza, per evitare che a seguito dell’esperimento di un mezzo di impugnazione il coniuge arrivi a xxxx- ficare o a sciogliere surrettiziamente un accordo che lo vincola.
(23) Secondo X. Xxxxxx, Famiglia e rapporti patrimoniali, cit., 649, il giudice ha solo l’onere di motivare le ragioni per cui l’accordo coniugale viene disatteso.