COLLEGIO DI COORDINAMENTO
COLLEGIO DI COORDINAMENTO
composto dai signori:
(CO) MARZIALE Presidente
(CO) QUADRI Membro designato dalla Banca d'Italia
(CO) GAMBARO Membro designato dalla Banca d'Italia
(NA) XXXXXXX FARINA Membro designato da Associazione rappresentativa degli intermediari
(RM) XXXXXXXX Membro designato da Associazione rappresentativa dei clienti
Relatore QUADRI
Nella seduta del 19/03/2014 dopo aver esaminato:
- il ricorso e la documentazione allegata
- le controdeduzioni dell’intermediario e la relativa documentazione
- la relazione della Segreteria tecnica
FATTO
Alla presente decisione il Collegio di coordinamento è chiamato in base alla Ordinanza del Collegio di Roma, n. 260/2014 del 17.01.2014, pronunciata in ordine al ricorso n. 661736 dell’11.07.2013.
Nella predetta Ordinanza, il caso, alla luce di quanto rappresentato dai ricorrenti e dall’intermediario resistente risulta così riassunto.
“I ricorrenti hanno affermato che il 15 settembre 2010, avrebbero stipulato con la banca resistente un contratto di credito fondiario, il quale prevederebbe un TAEG del 4,114% e un tasso degli interessi moratori del 5,75%. Secondo quanto chiarito dalla giurisprudenza di legittimità, ai sensi dell’art. 644, 4° comma, c.p., gli interessi moratori concorrerebbero al superamento del limite oltre il quale gli interessi sono sempre usurari: a tal fine, occorrerebbe pertanto sommare il tasso degli interessi moratori a quello degli interessi
corrispettivi. Nel caso di specie, tale somma sarebbe pari al 9,864%, laddove nel terzo trimestre del 2010 il limite oltre il quale gli interessi di un mutuo a tasso fisso sono sempre usurari sarebbe stato del 7,485%. Gli interessi pattuiti tra le parti avrebbero pertanto superato tale limite e sarebbero usurari senz’altro, ai sensi dell’art. 644, 3° comma, c.p. e dell’art. 2, 4° comma, della legge 7 marzo1996, n. 108 (Disposizioni in materia di usura).
Ciò posto, i ricorrenti hanno chiesto che la banca resistente sia condannata alla restituzione della quota di interessi di ciascuna rata pagata dai ricorrenti, aumentata degli interessi legali dal giorno del suo pagamento a oggi, e che sia accertato che i ricorrenti sono obbligati al pagamento della sola quota di capitale delle rate non ancora scadute, e non anche della rispettiva quota di interessi.
La banca ha resistito al ricorso, affermando che si sarebbe attenuta alle Istruzioni per la rilevazione dei tassi effettivi globali medi ai sensi della legge sull’usura, che sono emanate dalla Banca d’Italia. Al paragrafo C4 (Trattamento degli oneri e delle spese nel calcolo del TEG), in particolare, le suddette Istruzioni prevederebbero espressamente che dal calcolo del tasso effettivo globale medio siano esclusi “gli interessi di mora e gli oneri assimilabili contrattualmente previsti per il caso di inadempimento di un obbligo”. Tale esclusione sarebbe stata altresì ribadita dalla Banca d’Italia nei chiarimenti resi il 3 luglio 2013. Ciò posto, la banca resistente ha chiesto che il ricorso sia rigettato, perché infondato”.
Nella Ordinanza, in diritto, si evidenzia che:
“Si deve anzitutto rilevare che, se partitamente considerati, né il tasso degli interessi corrispettivi, né quello degli interessi moratori che sono stati convenuti dalle parti sono superiori al limite imperativamente posto dall’art. 644, 3° comma,c.p. e dall’art. 2, 4° comma, della legge 7 marzo 1996, n. 108 (Disposizioni in materia di usura). I ricorrenti hanno tuttavia allegato che tale limite sarebbe stato superato dalla somma dei medesimi tassi.
In un precedente analogo, questo Xxxxxxx ha ritenuto che, al fine di accertare se il suddetto limite sia stato superato, il tasso convenzionale degli interessi moratori non debba essere sommato a quello degli interessi corrispettivi, laddove il contratto preveda che gli uni siano sostitutivi degli altri (decisione ABF, Collegio di Napoli, n. 5877 del 2013).
Se si muove dagli orientamenti interpretativi della Suprema Corte di Cassazione richiamati dai ricorrenti, tali considerazioni potrebbero non essere tuttavia decisive ai fini del presente giudizio.
Si deve rilevare infatti che il decorso degli interessi moratori sostituisce quello degli
interessi corrispettivi soltanto a partire dal giorno in cui il mutuante provochi la risoluzione del contratto per l’inadempimento del mutuatario. Quest’ultimo deve allora provvedere sì
«alla immediata restituzione della quota di capitale ancora dovuta, ma non al pagamento degli interessi conglobati nella semestralità a scadere, dovendosi invece calcolare, sul credito così determinato, gli interessi di mora a un tasso corrispondente a quello contrattualmente pattuito, se superiore al tasso legale, secondo quanto previsto dall’art. 1224, 1° comma, c.c.» (Cass. civ., sez. un., 19 maggio 2008, n. 12639).
Ciò non toglie che, com’è stato chiarito dalla sentenza delle Sezioni Unite Civili della Corte di Cassazione che è stata appena menzionata, il mutuatario resti obbligato «al pagamento integrale delle rate già scadute» prima della risoluzione del contratto per il suo inadempimento: egli sarà pertanto obbligato al pagamento degli interessi moratori non soltanto sulla quota di capitale, ma anche su quella di interessi che è incorporata in ciascuna delle rate già scadute. In tal senso, si è più recentemente pronunciata anche Cass. civ., sez. I, 25 settembre 2013, n. 21885:
«In tema di mutuo fondiario è prevista la decorrenza automatica degli interessi corrispettivi maturati alle singole scadenze e l’applicabilità degli interessi di mora sugli importi a tale titolo dovuti, al pari del capitale versato».
In altri termini, quanto dovuto dal mutuatario a titolo di interessi corrispettivi produce a sua volta interessi moratori, verificandosi così un fenomeno di anatocismo ai sensi dell’art. 120, 2° comma, t.u.b. Se ne trova del resto un’espressa conferma nella deliberazione che, proprio sulla base di tale disposizione di legge, è stata emanata dal CICR il 9 febbraio 2000 (Modalità e criteri per la produzione di interessi sugli interessi scaduti nelle operazioni poste in essere nell’esercizio dell’attività bancaria e finanziaria (art. 120, 2° comma, del testo unico bancario, come modificato dall’art. 25 del decreto legislativo n. 342/1999), il cui art. 3, 1° comma, così prevede: «Nelle operazioni di finanziamento per le quali è previsto che il rimborso del prestito avvenga mediante il pagamento di rate con scadenze temporali predefinite, in caso di inadempimento del debitore l’importo complessivamente dovuto alla scadenza di ciascuna rata può, se contrattualmente stabilito, produrre interessi a decorrere dalla data di scadenza e sino al momento del pagamento […]».
E’ pertanto evidente che, rispetto alle rate scadute, gli interessi moratori (non si sostituiscono, ma) vengono ad aggiungersi a quelli corrispettivi. A ciò consegue che, laddove l’art. 644, 4° comma, c.p. fosse ritenuto applicabile anche agli interessi
xxxxxxxx, il loro tasso dovrebbe essere sommato a quello degli interessi corrispettivi convenuti tra le parti contraenti, al fine di accertare se sia stato superato il limite imperativamente posto dall’art. 644, 3° comma, c.p. e dall’art. 2, 4° comma, della legge n. 108 del 1996.
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A sostegno delle loro domande, i ricorrenti hanno invocato l’applicazione del principio di diritto che è stato affermato da Cass., 9 gennaio 2013, n. 350, secondo il quale «ai fini dell’applicazione dell’art. 1815 c.c. e dell’art. 644 c.p. si considerano usurari gli interessi che superano il limite stabilito dalla legge al momento in cui sono promessi o comunque convenuti a qualunque titolo, e quindi anche a titolo d’interessi moratori».
Nella motivazione di tale sentenza si richiama espressamente il precedente di Xxxx. civ., sez. III, 4 aprile 2003, n. 5324, il quale ha stabilito che: «In tema di contratto di mutuo, l’art. 1 della legge n. 108 del 1996, che prevede la fissazione di un tasso soglia al di là del quale gli interessi pattuiti debbono essere considerati usurari, riguarda sia gli interessi corrispettivi che gli interessi moratori […]». Si richiama inoltre la sentenza della Xxxxx Xxxx., 00 febbraio 2002, n. 29, la quale, sia pure in un passaggio incidentale della motivazione, ha affermato che: «va in ogni caso osservato – ed il rilievo appare in sé decisivo – che il riferimento contenuto all’art. 1,1° comma, del decreto-legge n. 394 del 2000 agli interessi “a qualunque titolo convenuti” rende plausibile – senza necessità di specifica motivazione – l’assunto, del resto fatto proprio anche dal giudice di legittimità, secondo cui il tasso soglia riguarderebbe anche gli interessi moratori». Già in precedenza, Cass. civ., sez. I, 22 aprile 2000, n. 5286 aveva infatti deciso che:
«L’usurarietà del superamento del “tasso soglia” di cui alla l. 7 marzo 1996 n. 108 vale anche per le clausole concernenti gli interessi moratori».
Potrebbe peraltro obbiettarsi che il dettato dell’art. 644, 1° comma, c.p. inequivocabilmente stabilisce che possano essere usurari gli interessi dati o promessi «in corrispettivo di una prestazione di denaro o di ogni altra utilità», ossia quegli interessi che si qualificano appunto come corrispettivi, in quanto costituiscono la prestazione sinallagmatica della dazione di una somma di denaro da parte del mutuante e del suo passaggio in proprietà del mutuatario, ai sensi dell’art. 1814 c.c. Tali evidentemente non sono gli interessi moratori, i quali, secondo quanto si desume in modo in equivoco fin dalla rubrica dell’art. 1224 c.c., costituiscono invece una preventiva e forfetaria liquidazione del
danno risarcibile che l’inadempimento di un’obbligazione pecuniaria ha cagionato al creditore.
Né varrebbe in contrario osservare che il già menzionato art. 1, 1° comma, del d.l. n. 394 del 2000, provvedendo a interpretare autenticamente l’art. 644 c.p. e l’art. 1815, 2° comma, c.c., avrebbe chiarito che possono essere usurari gli interessi promessi o comunque convenuti «a qualunque titolo», e pertanto anche quelli moratori.
Per quanto qui rileva, già il dettato dell’art. 644, 1° comma, c.p. fa riferimento agli interessi che una parte «si fa dare o promettere, sotto qualsiasi forma», ma ciò non toglie che essi siano proprio e solo quelli corrispettivi: l’inciso finale di tale espressione legislativa chiarisce piuttosto che possono essere usurari anche quegli interessi (corrispettivi) che siano dissimulati o che comunque, in frode al divieto imperativo posto dalla medesima disposizione di legge, siano convenuti in un apposito patto aggiunto o contrario al contratto stipulato tra le parti. Poiché l’espressione di interessi «promessi o comunque convenuti, a qualunque titolo» che è impiegata dall’art. 1, 1° comma, del d.l. n. 394 del 2000 non risulta avere un significato diverso, si deve ritenere che l’entrata in vigore di quest’ultimo provvedimento legislativo non abbia ampliato l’ambito oggettivo di applicazione dell’art. 644 c.p. e dell’art.1815, 2° comma, c.c. a una categoria di interessi (quelli moratori, appunto) che in precedenza non vi rientrava.
In realtà, l’autonomo contenuto precettivo dell’art. 1, 1° comma, del d.l. n. 394 del 2000 è consistito nel limitare l’applicazione delle suddette disposizioni legislative agli interessi (corrispettivi) che fossero usurari al giorno in cui essi sono promessi o comunque convenuti «a qualunque titolo», escludendo invece che esse siano altresì applicabili agli interessi (corrispettivi) che siano divenuti usurari durante l’esecuzione del contratto. Ciò risulta chiaro, se si considera che i presupposti di necessità e di urgenza per l’emanazione del decreto-legge di cui si tratta sono espressamente individuati negli «effetti che la sentenza della Corte di cassazione n. 14899/2000 può determinare in ordine alla stabilità del sistema creditizio nazionale»: gli effetti di tale sentenza si riferiscono infatti all’usurarietà c.d. sopravvenuta degli interessi corrispettivi, non riguardando invece quelli moratori.
***La tesi secondo la quale il tasso degli interessi moratori non è suscettibile di determinare il superamento del limite imperativamente posto dall’art. 644, 3° comma, c.p. e dall’art. 4, 2° comma, l. n. 108 del 1996 risulta del resto coerente con quanto statuito dall’art. 19, 2° paragrafo, della direttiva 2008/48/CE del Parlamento europeo e del
Consiglio del 23 aprile 2008 relativa ai contratti di credito ai consumatori e che abroga la direttiva 87/102/CEE, secondo il quale «al fine di calcolare il tasso annuo effettivo globale, si determina il costo totale del credito al consumatore, ad eccezione di eventuali penali che il consumatore sia tenuto a pagare per la mancata esecuzione di uno qualsiasi degli obblighi stabiliti nel contratto di credito e delle spese, diverse dal prezzo d’acquisto, che competono al consumatore all'atto dell'acquisto, in contanti o a credito, di merci o di servizi» (sottolineatura aggiunta). In termini analoghi, l’art. 4, n. 13), della proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio in merito ai contratti di credito relativi a immobili residenziali (COM(2011)142), la quale è stata approvata dal Parlamento europeo il 10 settembre 2013 con emendamenti, espressamente prevede che dal costo totale del credito «sono escluse eventuali penali pagabili dal consumatore per la mancata esecuzione degli obblighi stabiliti nel contratto di credito».
Infatti, «il calcolo del tasso annuo effettivo globale è fondato sull'ipotesi che il contratto di credito rimarrà valido per il periodo di tempo convenuto e che il creditore e il consumatore adempiranno ai loro obblighi nei termini ed entro le date convenuti nel contratto di credito» (art.19, 3° paragrafo, direttiva 2008/48/CE).
Invero, gli interessi moratori realizzano una liquidazione preventiva e forfetaria del danno risarcibile, e, pertanto, la clausola che ne determina convenzionalmente l’ammontare è certamente assimilabile alle “penali” cui fanno specifico riferimento i testi comunitari.
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Sembrerebbe così trovare ulteriore conferma la validità dell’orientamento espresso dalle già menzionate “Istruzioni della Banca d’Italia “per la rilevazione dei tassi effettivi globali medi ai sensi della legge sull’usura”, le quali dispongono che «gli interessi di mora e gli oneri assimilabili contrattualmente previsti per il caso di inadempimento di un obbligo» siano esclusi dal calcolo del TEGM (paragrafo C4, Trattamento degli oneri e delle spese nel calcolo del TEG). Tale precisazione è riportata anche nei decreti ministeriali che, ai sensi dell’art. 4, 1° comma, l. n. 108 del 1996, periodicamente rilevano il TEGM. D’altro canto, com’è stato osservato dalla Banca d’Italia nei Chiarimenti in materia di applicazione della legge antiusura del 3 luglio 2013, l’eventuale inclusione degli interessi moratori nel calcolo del TEGM avrebbe una conseguenza giuridicamente ed economicamente perversa, risolvendosi in un vero e proprio pregiudizio a carico dei clienti delle banche e degli intermediari abilitati. In tal caso, posto che il tasso degli interessi moratori è
naturalmente maggiore di quello degli interessi corrispettivi, si verificherebbe infatti un aumento del TEGM, facendo così innalzare il limite oltre il quale gli interessi sono sempre usurari, ai sensi dell’art. 644, 3° comma, c.p. e dell’art. 2, 4° comma, della legge n. 108 del 1996.
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La Banca d’Italia ha peraltro di recente riconosciuto che “anche gli interessi di mora sono soggetti alla normativa anti-usura”, con la precisazione che, in relazione ad essi, l’usura andrebbe accertata sulla base di un tasso soglia diverso, risultante dalla maggiorazione di 2,1 punti percentuali dei tassi globali medi periodicamente rilevati e pubblicati con decreti del ministro del Tesoro (ora dell’Economia) ai sensi dell’art. 2, comma 1, n. 108 del 1996 (Chiarimenti in materia di applicazione della legge antiusura, 3 luglio 2013); maggiorazione che – come si ricava in una nota illustrativa contenuta nei citati decreti - corrisponde a quella rilevata come “mediamente stabilita contrattualmente per i casi di ritardato pagamento”, a seguito un’indagine statistica eseguita nel 2002 “a fini conoscitivi” dalla Banca d’Italia e dall’Ufficio Italiano Cambi
La legittimità dell’introduzione di un tasso soglia diverso e più elevato per la rilevazione dell’usura, in presenza di interessi moratori, appare tuttavia dubbia, se si considera che le norme in tema di usura non contemplano alcuna deroga, né prevedono alcuna differenziazione del tasso soglia connessa alla funzione assolta dall’interesse.
Sarebbe d’altro canto incongruo ritenere che l’usurarietà degli interessi moratori possa essere accertata sulla base di un tasso soglia stabilito senza tener conto dei maggiori costi indotti, per il creditore, dall’inadempimento del debitore.
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Deve comunque escludersi che la determinazione convenzionale degli interessi moratori sfugga, sotto il profilo quantitativo, ad ogni controllo di legittimità. Da tempo, invero, è stata riconosciuta la “confluenza nel rapporto negoziale – accanto al valore costituzionale della «iniziativa economica privata» (sub art. 41) che …. si esprime attraverso lo strumento contrattuale – di un concorrente «dovere di solidarietà» nei rapporti intersoggettivi (art. 2 Cost.).”. E da tale dovere è stata desunta «l’esistenza di un principio di inesigibilità come limite alle pretese creditorie» (C. Cost. n. 19 del 3 febbraio 1994,; Cass. n. 10511 del 24 settembre 1999; ABF, Coll. coord. n. 77 del 10/01/2014)
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La determinazione convenzionale degli interessi moratori, come si è già osservato, realizza una liquidazione preventiva e forfetaria del danno risarcibile e può essere quindi assimilata alla clausola penale.
Da ciò consegue che, laddove il tasso convenzionale degli interessi moratori sia manifestamente eccessivo, esso potrà essere diminuito equamente dal giudice, ai sensi dell’art. 1384 c.c., anche d’ufficio (Cass. 24 settembre 1999, n. 10511; Cass. sez. un. 13 settembre 2005, n. 18128). Fermo restando che rispetto ai consumatori – ed è questo il caso di specie – la “manifesta eccessività” rende la clausola determinativa, che non sia stata oggetto di trattativa, fino a prova contraria “abusiva” e, come tale, nulla (art. 33, comma 2, lett. f), d.lgs. n. 206/05, in relazione all’art. 36 dello stesso decreto).
Resta inteso, a giudizio del Collegio, che le conseguenze della manifesta eccessività del tasso convenuto vengono ad incidere solo sugli interessi moratori (art. 1224 c.c.) e non anche su quelli corrispettivi inglobati, nelle rate già scadute (art. 1282 c.c.), ai quali quelli moratori vengono a sommarsi, a partire dalla data della mora.
Onde evitare ingiustificate disparità nella individuazione della “manifesta eccessività”, potrebbe infine farsi riferimento alla maggiorazione di 2,1 punti percentuali prevista dai decreti ministeriali sulla rilevazione e la pubblicazione dei tassi globali medi ai sensi dell’art. 2, comma 1, l. n.108 del 1996, già richiamati. Trattasi, invero, di maggiorazione corrispondente a quella mediamente stabilita dalle parti per compensare l’aggravio di costi determinato dall’inadempimento del debitore e appare quindi ragionevole ritenere gli importi ad essa superiori “manifestamente eccessivi”, in mancanza di prove più specifiche”.
DIRITTO
1. La vertenza qui in esame si incentra sul problema della rilevanza da conferire alle valutazioni concernenti la previsione contrattuale di interessi moratori ai fini dell’applicazione della disciplina in materia di usura.
La problematica in questione è stata affrontata da questo Collegio di coordinamento con la decisione n. 1875/2014 in relazione all’ipotesi di un’apertura di credito ad utilizzo flessibile concessa ad un imprenditore e, quindi, ad un soggetto rientrante, ai fini della procedura dinanzi all’ABF, tra i “non consumatori”. In questa sede viene affrontata con riferimento, come emerge dalla narrativa che precede, ad una ipotesi di mutuo con piano di ammortamento pluriennale, a tasso fisso e rate costanti, contratto da soggetti
qualificabili quali “consumatori”. La diversità delle fattispecie oggetto di contestazione, anche per la differente qualificazione dei ricorrenti, comporta, secondo quanto evidenziato dall’ordinanza di rimessione, la necessità di tenere presenti, in una con gli sviluppi argomentativi e le conclusioni di cui al dianzi citato provvedimento, le peculiarità di quella qui specificamente in esame.
Per giungere ad un esito in senso contrario all’accoglimento del ricorso, in considerazione delle domande specificamente svolte dai ricorrenti, potrebbe essere, invero, sufficiente constatare che la proposta operazione di “sommatoria” del tasso degli interessi corrispettivi e di quelli moratori – in vista del relativo confronto col “tasso soglia” individuato con riguardo al momento della stipulazione del mutuo e delle conseguenze che se ne intendono trarre sotto il profilo dell’applicazione della sanzione di cui all’art. 1815, co. 2, c.c. – non trova, in realtà, alcun supporto proprio nella giurisprudenza invocata.
Pare il caso, in proposito, di evidenziare – al di là di quanto si concluderà più oltre con riguardo alla stessa applicabilità o meno della vigente disciplina in materia di interessi usurari a quelli moratori – come non sembri che in tal senso deponga, in particolare, Cassazione, 9 gennaio 2013, n. 350, pur correntemente addotta a fondamento di doglianze del tipo di quelle qui prospettate. Dalla lettura di tale decisione, in effetti, emerge come la Cassazione abbia inteso semplicemente ribadire che gli interessi moratori devono essere assoggettati al vaglio di usurarietà al pari di quelli corrispettivi, la relativa verifica risultando poi effettuata assumendo, per confrontare la relativa misura col “tasso soglia”, il tasso convenuto autonomamente considerato (nella specie, quale risultante dalla maggiorazione prevista rispetto al tasso degli interessi corrispettivi, senza alcuna forma di cumulo con questi ultimi).
Nel caso di specie, dalle pattuizioni richiamate anche dai ricorrenti, emerge con chiarezza che, al momento della conclusione del contratto (a tale momento riferendosi i ricorrenti e non risultando, del resto, mai effettivamente applicati interessi moratori), tanto il tasso degli interessi corrispettivi, quanto quello degli interessi moratori si presentavano di gran lunga inferiori al limite previsto in materia di usura. Ne consegue, quindi, proprio alla luce della prospettiva seguita dalla Cassazione, l’infondatezza delle domande così come formulate nel ricorso, le quali si richiamano, come accennato, all’effetto usurario della “sommatoria”, in quanto tale, dei due tassi, senza alcun ulteriore riferimento, cioè, alla questione di una diversa eventuale incidenza, in ordine alle valutazioni da operare ai fini della disciplina concernente l’usura, delle peculiarità del dedotto rapporto contrattuale.
2. In effetti, la previsione contrattuale del carattere sostitutivo e alternativo della prestazione degli interessi moratori rispetto a quella avente ad oggetto gli interessi corrispettivi vale senz’altro a rendere logicamente errata ogni operazione di “sommatoria” dei relativi tassi in fattispecie come quella esaminata nella ricordata decisone n. 1875/2014 (e v., in proposito, ivi considerazioni in tal senso). Nell’ordinanza di rimessione si evidenzia, però, che una questione di cumulo di interessi corrispettivi e moratori potrebbe porsi – sia pure in termini assai diversi da quelli prospettati dai ricorrenti – in relazione alla peculiare operatività degli effetti dell’inadempimento del mutuatario nei contratti del tipo di quello qui in esame.
Nell’art. 4, co. 3, del dedotto contratto di mutuo si specifica che “su ogni somma dovuta, a qualsiasi titolo, in dipendenza del presente contratto e dei relativi allegati – e quindi anche a seguito di risoluzione del medesimo – e non pagata, vanno corrisposti dal giorno di scadenza gli interessi di mora a carico della parte mutuataria a favore della Banca. Su detti interessi non è consentita la capitalizzazione periodica”.
Secondo quanto evidenziato nell’ordinanza di rimessione, il ragionamento fondato sul carattere sostitutivo del decorso degli interessi moratori rispetto a quello degli interessi corrispettivi appare tendenzialmente decisivo solo nel caso di risoluzione del contratto per inadempimento del mutuatario. In tal caso, sulla parte di capitale residua (come sottolinea Cassazione, sez. un., 19 maggio 2008, n. 12639) saranno dovuti gli interessi di mora al tasso convenzionale (e “non anche gli interessi conglobati nelle rate a scadere”). Il mutuatario, peraltro, resta obbligato a corrispondere pure l’ammontare delle rate già scadute prima della risoluzione del contratto, dovendo pagare, quindi, gli interessi (moratori) anche sul relativo importo, comprensivo, per ogni singola rata, di una quota di capitale e di una quota di interessi corrispettivi. Ed un simile meccanismo ricorre, in genere, ogniqualvolta sia prevista la corresponsione di interessi (moratori) sull’ammontare complessivo di rate scadute rimaste inadempiute: ciò, si ricordi, secondo quanto originariamente disposto dalla specifica disciplina in materia di mutui fondiari (art. 14
D.P.R. 21 gennaio 1976, n. 7) e poi, in termini generali, consentito – “se contrattualmente stabilito”, come nell’ipotesi qui in esame – dall’art. 3, co. 1, della Delibera CICR del 9 febbraio 2000, adottata in attuazione dell’art. 120, co. 2, TUB (nella formulazione ratione temporis vigente, non venendo conseguentemente in rilievo gli eventuali riflessi – che pure non si è mancato di ipotizzare – sulla questione dell’intervenuta modificazione dell’art. 120,
co. 2, a seguito dell’art. 1, co. 629, della legge 27 dicembre 2013, n. 147).
La citata disposizione prevede, infatti, che “nelle operazioni di finanziamento per le quali è previsto che il rimborso del prestito avvenga mediante il pagamento di rate con scadenze temporali predefinite, in caso di inadempimento del debitore l’importo complessivamente dovuto alla scadenza di ciascuna rata può, se contrattualmente stabilito, produrre interessi dalla data di scadenza e sino al momento del pagamento. Su questi interessi non è consentita la capitalizzazione periodica”. E il contratto qui in esame, non a caso, si richiama espressamente, nel relativo art. 4, co. 4, alla disciplina del CICR.
Essendo compreso nell’importo della rata scaduta una quota di interessi corrispettivi, il meccanismo in questione, ove ricondotto alla prospettiva anatocistica, potrebbe ipotizzarsi dar luogo, come osserva l’ordinanza di rimessione, ad un peculiare profilo – non preso in considerazione da Cassazione, 9 gennaio 2013, n. 350, e di portata, invero, comunque alquanto limitata nella ricostruzione, ad es., di Tribunale Milano, 28 gennaio 2014 – di “sommatoria” di interessi corrispettivi e xxxxxxxx, “al fine di accertare se sia superato il limite imperativamente posto dall’art. 644, co. 3, c.p. e dell’art. 2, co. 4, della legge n. 108 del 1996”. Ciò, ovviamente, “laddove l’art. 644, co. 4, c.p. fosse ritenuto applicabile anche agli interessi moratori”.
Ove, peraltro, si ritenga che, a seguito dell’inadempimento, ossia nella fase patologica del rapporto, proprio in considerazione della dianzi ricordata disciplina, la rata scaduta debba considerarsi ormai – nella sua acquisita inscindibilità funzionale – quale oggetto di un debito unitario, sembrerebbe addirittura risultare superato in radice il problema stesso della possibile rilevanza di una “sommatoria” dei due tipi di interesse (e per sviluppi in tal senso si rinvia a quanto rilevato da Collegio ABF di Napoli, decisione n. 125/2014). In ogni caso, per sgomberare il campo da qualsiasi dubbio, è da ritenere imporsi come necessario l’approfondimento della problematica relativa alla valutabilità o meno – ai fini del giudizio di usurarietà quale configurato nella disciplina vigente – delle previsioni contrattuali concernenti gli interessi moratori. E, all’esito di tale indagine, dovranno essere adeguatamente vagliate – nell’ottica fatta propria dall’ordinanza di rimessione e condivisa da questo Collegio nella decisione n. 1875/2014 – pure le opportunità di tutela del mutuatario offerte da meccanismi diversi e, in particolare, da quello, per sua natura caratterizzato da peculiare duttilità, di cui all’art. 1384 c.c.
3. Anche alla luce della impostazione già seguita da questo Collegio nella ricordata
pronuncia, pare opportuno muovere dalla rilevanza che deve ritenersi assumere, nel complessivo sistema normativo di reazione all’usura, il procedimento istituito al fine di individuare i “tassi soglia”.
Al riguardo, si può osservare che il sistema organizzato dalla legge n. 108 del 1996 trova il suo fulcro, sul piano civilistico che qui interessa, nella previsione dell’art. 1815, co. 2, c.c., secondo cui “se sono convenuti interessi usurari, la clausola è nulla e non sono dovuti interessi”. E, trattandosi di un rimedio scopertamente e marcatamente sanzionatorio, come risulta del resto evidente dalla – pacificamente proposta quale unica via ipotizzabile – mutuazione della nozione di “usurarietà” da quella penalistica, appare chiaro che la sua applicazione debba avvenire sulla base di una interpretazione particolarmente rigorosa dei dati normativi.
Questi depongono, nello spirito di una legislazione dichiaratamente volta a superare le limitazioni operative derivanti dalla previgente disciplina della materia, nel senso di un sistema complessivo, in cui la legge affida il proprio effettivo funzionamento alla determinazione di parametri oggettivi, atti a concretizzare quella norma in bianco in cui si risolve l’art. 644, co. 3, c.p., quale risultante dal coordinamento con l’art. 2 della legge n.
108 del 1996. In effetti, la “legge” demanda la fissazione del “limite oltre il quale gli interessi sono sempre usurari” – non risultando evocata nella controversia in esame (e non essendo, quindi, in questa sede materia di discussione) l’ipotesi alternativa, di cui al secondo periodo dell’art. 644, co. 3, che pure non si è mancato di richiamare, ai fini di una possibile rilevanza di valutazioni attinenti agli interessi moratori – ad un complesso meccanismo di determinazione trimestrale (e pubblicazione senza ritardo nella Gazzetta Ufficiale), da parte (all’epoca) del Ministero del Tesoro, “sentiti la Banca d’Italia e l’Ufficio italiano dei cambi”, del “tasso effettivo globale medio, comprensivo di commissioni, di remunerazioni a qualsiasi titolo e spese, escluse quelle per imposte e tasse, riferito ad anno, degli interessi praticati dalle banche e dagli intermediari finanziari iscritti negli elenchi tenuti dall’Ufficio italiano dei cambi e dalla Banca d’Italia ai sensi degli artt. 106 e
107 del D.L.vo 1° settembre 1993, n. 385, nel corso del trimestre precedente per operazioni della stessa natura”. In effetti, “il limite previsto dal terzo comma dell’art. 644 c.p., oltre il quale gli interessi sono sempre usurari, è stabilito nel tasso medio risultante dall’ultima rilevazione statistica pubblicata nella G.U. ai sensi del comma 1 relativamente alla categoria di operazioni in cui il credito è compreso”, aumentato originariamente “della metà” e ora (ai sensi del D.L. n. 70 del 2011), “aumentato di un quarto, cui si aggiunge un
margine di ulteriori quattro punti percentuali. La differenza tra il limite e il tasso medio non può essere superiore a otto punti percentuali”.
La nozione di “interesse usurario” finisce, quindi, per dipendere da un simile procedimento di determinazione in una misura “certa” dei tassi usurari. E ciò avviene sulla base di dati che vengono rilevati a tal fine per categorie omogenee di operazioni creditizie, partendo da segnalazioni che gli intermediari debbono sistematicamente inviare alla Banca d’Italia, seguendo istruzioni all’uopo puntualmente emanate. Tali istruzioni (al paragrafo C4, “Trattamento degli oneri e delle spese”) prevedono quali oneri sostenuti dal cliente debbano essere inclusi nella base di calcolo. Espressamente esclusi, per quanto qui rileva, sono “gli interessi di mora e gli oneri assimilabili contrattualmente previsti per il caso di inadempimento di un obbligo”. Tale esclusione (“i tassi effettivi globali medi non sono comprensivi degli interessi di mora contrattualmente previsti per i casi di ritardato pagamento”) è costantemente ripresa anche nei decreti ministeriali che, ai sensi della ricordata normativa, periodicamente “rilevano” il TEGM, disponendone la pubblicazione nella G.U. (con la dianzi precisata efficacia, in sostanza, di determinarlo).
Se la nozione di “interesse usurario”, in applicazione del vigente sistema normativo, viene ad essere così determinata, anche ai fini civilistici, non può, quindi, che assumere rilevanza decisiva la circostanza del risultare del tutto estranei gli interessi moratori dall’insieme delle voci di costo del credito che confluiscono nella individuazione dei “tassi soglia”. Come sottolineato da questo Collegio nella decisione n. 1875/2014, richiamando anche la precedente n. 77/2014, tra i due insiemi, quello concretamente pattuito tra le parti
– si ricordi che le banche, ai sensi dei decreti ministeriali via via emanati, “al fine di verificare il rispetto del limite di cui all’art. 2 co. 4, della legge 7 marzo 1996, n. 108, si attengono ai criteri di calcolo delle istruzioni … emanate dalla Banca d’Italia” – e quello rilevato ai fini della determinazione del “tasso soglia”, vi deve essere una perfetta simmetria, sia sotto il profilo della composizione dell’insieme, sia sotto il profilo cronologico. Xxxxxx, cioè, solo se una certa voce di costo del credito sia effettivamente presa in considerazione nelle rilevazioni che sfociano nella identificazione del “tasso soglia”. Come, insomma, sarebbe palesemente scorretto confrontare gli interessi convenuti per una specifica operazione di credito con i “tassi soglia” relativi ad una diversa tipologia di operazione creditizia, altrettanto risulta scorretto calcolare nel costo del credito
– ai fini della relativa valutazione in chiave di usurarietà – i tassi moratori che non sono presi in considerazione per la determinazione dei “tassi soglia”, perché in tutti e due i casi
si tratta di fare applicazione del medesimo principio di simmetria.
4. Ma anche da un diverso punto di vista l’orientamento tendente ad includere gli interessi moratori nelle valutazioni concernenti il carattere usurario degli interessi sembra trovare significativi ostacoli.
Ci si riferisce, sul piano della legislazione civile, al rilievo che pare da conferire al dover essere il limite e la sanzione che formano oggetto dell’art. 1815, co. 2, c.c. evidentemente riferiti alla previsione, nel primo comma della stessa disposizione, della naturale fruttuosità del mutuo e, quindi, agli interessi corrispettivi (essendo, di conseguenza, palesemente scorretto, sotto il profilo sistematico, argomentare dal carattere generico del riferimento agli “interessi”, di cui al secondo comma, una interpretazione estensiva pure a quelli moratori).
Sul piano, poi, della normativa penalistica (cui la nozione civilistica di “interessi usurari” risulta, come accennato, tributaria), non può venire certo trascurato il chiaro riferimento delle valutazioni in chiave di usurarietà al nesso di corrispettività tra la prestazione del mutuante e quella del mutuatario: difficilmente in ciò non potendosi ravvisare, con riguardo alla materia creditizia, un evidente collegamento – come si sottolinea nell’ordinanza di rimessione – con (e solo con) quegli interessi che “si qualificano appunto come corrispettivi, in quanto costituiscono la prestazione sinallagmatica della dazione di una somma di denaro da parte del mutuante e al suo passaggio in proprietà del mutuatario, ai sensi dell’art. 1814 c.c.”. Nello stesso senso deponendo, del resto, quell’idea di “remunerazione”, che finisce col rappresentare la filigrana della disciplina in questione, ove si rifletta, da una parte, al relativo riferimento di cui al quarto comma dell’art. 644 c.p. ed al primo comma dell’art. 2 legge 108/1996, dall’altra, forse ancora più scopertamente, alla previsione dell’art. 2, co. 2, legge 28 gennaio 2009, n. 2, con la sua allusione a tutto ciò che deve essere inteso come previsione di “una remunerazione, a favore della banca, dipendente dall’effettiva durata dell’utilizzazione dei fondi da parte del cliente”.
Di fronte ad un simile quadro normativo complessivo, tende a perdere gran parte del suo mordente l’argomento testuale su cui finiscono col far leva le decisioni che prendono posizione nel senso dell’interpretazione più estensiva del riferimento legislativo agli “interessi”. Si allude alla formulazione dell’art. 1, co. 1, legge 28 febbraio 2001, n. 24 (di “interpretazione autentica della legge n. 108 del 7 marzo 1996”), secondo cui “ai fini dell’applicazione dell’art. 644 del codice penale e dell’art. 1815, secondo comma, del
codice civile, si intendono usurari gli interessi che superano il limite stabilito dalla legge nel momento in cui essi sono promessi o comunque convenuti, a qualunque titolo, indipendentemente dal momento del loro pagamento”.
In effetti, da una parte, la disposizione, come risulta evidente dalla sua genesi, sembra assumere una valenza essenzialmente intertemporale e, secondo quanto si sottolinea condivisibilmente nella ordinanza di rimessione, non si può ritenere avere avuto l’intenzione di “ampliare l’ambito oggettivo di applicazione dell’art. 644 c.p. e dell’art. 1815, co. 2, c.c.”. Dall’altra, poi, l’impiego della espressione “a qualunque titolo” può essere riferito alla fonte convenzionale dell’interesse e, quindi, come “inteso a sanzionare qualunque modalità di pattuizione di interessi corrispettivi contra legem, tale essendo l’oggetto della norma interpretata” (così l’ordinanza di rimessione cui si riferisce la decisione n. 1875/2014).
A ben vedere, in effetti, il riferimento, in sostanza quale unico argomento, a tale disposizione, si presenta come portato – secondo quanto non si è mancato di sottolineare in dottrina – di una eccessiva “scioltezza” dell’atteggiamento di Cassazione 350/2013, la quale, oltretutto, finisce col far leva (solo) su tale dato normativo, contraddittoriamente confrontando il tasso contrattuale degli interessi moratori con una rilevazione trimestrale riferita al tempo della scadenza della rata rimasta inadempiuta: quindi, proprio nell’ottica di quella “usurarietà sopravvenuta”, la cui incidenza il provvedimento in questione era dichiaratamente finalizzato a contrastare.
Ciò consente anche di evidenziare come la rilevanza delle valutazioni in chiave usuraria degli interessi moratori sia, da parte della giurisprudenza correntemente invocata al riguardo, riferita alla relativa concreta applicazione, in dipendenza di un intervenuto inadempimento del mutuatario, come sembra emergere anche dalla Cassazione, 11 gennaio 2013, nn. 602 e 603, in cui si allude a “interessi corrispettivi e moratori ulteriormente maturati”, i quali, in quanto superiori al tasso soglia, “vanno considerati usurari”: senza, insomma, alcuna possibilità di operare una valutazione, in tale ottica, di interessi che, in quanto destinati a venire applicati solo in caso di inadempimento, all’atto della stipulazione devono essere considerati solo “virtuali” (anche da tale punto di vista, allora, risultando priva di qualsiasi ragionevole fondamento la domanda qui svolta, basata su di un confronto col “tasso soglia” di un tasso, al momento della stipulazione, di solo eventuale applicazione e, del resto, da determinare – in adesione ad una prassi diffusa – in funzione di parametri mutevoli nel tempo). Profilo, questo, non a caso messo in luce
anche nei “Chiarimenti in materia di applicazione della legge antiusura”, diffusi dalla Banca d’Italia il 3 luglio 2013, ove, appunto, si motiva l’esclusione dal calcolo del TEG degli interessi moratori, proprio “perché non sono dovuti dal momento dell’erogazione del credito ma solo a seguito di un eventuale inadempimento da parte del cliente”.
Del resto, il ricercato (sempre nella medesima decisione) avallo della propria conclusione nel richiamo di un inciso di Corte costituzionale, 25 febbraio 2002, n. 29, si scolorisce tenendo presente la scarsa rilevanza, sul piano della vincolatività per l’interprete, degli obiter dicta, e pure di quelli della Corte costituzionale: inciso enunciato, oltretutto, solo al fine di assumere come “plausibile” un indirizzo giurisprudenziale di legittimità, a sua volta senz’altro troppo stringato nelle motivazioni e, il più delle volte, acriticamente appiattito sull’autorità di precedenti, come quello di Cassazione, 22 aprile 2000, n. 5286, che, peraltro, si riferisce ad interessi moratori “risultati di gran lunga eccedenti lo stesso tasso soglia” (in una logica, dunque, più consona alla ipotesi alternativa di usura, di cui alla seconda frase dell’art. 644, co. 3, che a quella, in questa sede invocata, basata sul superamento, come tale, del “tasso soglia”). Interessi, il tasso dei quali, comunque, viene preso in considerazione in quanto “applicato in sede di condanna”, confermandosi, così, ciò che si è dianzi accennato circa la possibilità – ovviamente, ove se ne ipotizzi l’ammissibilità – di una valutazione del tasso degli interessi moratori ai fini del giudizio di usurarietà solo se effettivamente applicati.
5. In realtà, appare controvertibile quello che appare il fondamento della pronuncia da ultimo citata (su cui ha finito col radicarsi la sostanzialmente acritica successiva ripetizione del relativo assunto), dell’essere, cioè, già presente nel sistema “un principio di omogeneità di trattamento degli interessi, pur nella diversità di funzione”, come emergerebbe dall’art. 1224, co. 1, c.c., “nella parte in cui prevede che se prima della mora erano dovuti interessi in misura superiore a quella legale, gli interessi sono dovuti nella stessa misura”. In effetti, come si sottolinea nella decisione n. 1875/2014 e nella ordinanza di rimessione, è proprio l’art. 1224 c.c. a far emergere con chiarezza quella così marcata specificità della funzione degli interessi moratori che vale a differenziarli – in una prospettiva sicuramente oggi rafforzata dagli orientamenti del diritto comunitario ampiamente illustrati nei ricordati provvedimenti – radicalmente rispetto agli interessi corrispettivi (significativa, al riguardo, risultando già la stessa rubrica dell’art. 1224, “danni nelle obbligazioni pecuniarie”, nonché, sembra il caso di aggiungere, la medesima
collocazione della norma nel quadro della disciplina dell’inadempimento delle obbligazioni).
Basti solo ricordare come siano i lavori preparatori ad individuare la funzione dei primi in chiave di “risarcimento del danno” e, quindi, nel relativo saggio una mera modalità di liquidazione di questo, essendo comunque destinati a valere in pieno i principi generali della materia risarcitoria, come emerge dal secondo comma dell’art. 1224 c.c., laddove – in relazione all’inadempimento dell’obbligazione pecuniaria – si fa espressamente salvo, da una parte, il principio della integrale risarcibilità del danno, dall’altra, quello che fa rientrare nella sfera dell’autonomia privata degli interessati la liquidazione preventiva di “ogni conseguenza patrimoniale dell’inadempimento” (così la Relazione al c.c., n. 570), attraverso una “convenzione” che viene, quindi, a porsi nella stessa prospettiva di quanto risulta stabilito, in genere, per il risarcimento del danno dall’art. 1382 c.c., con la relativa disciplina della clausola penale (la Relazione al c.c., n. 632, non a caso individuando nel regime stabilito, con l’art. 1384 c.c., per il controllo della clausola penale, lo strumento specificamente deputato, con riguardo alla materia delle conseguenze dell’inadempimento, “a contenere l’autonomia dei contraenti, in modo da impedire che il risultato dell’accordo sia usurario”: evidentemente con ciò intendendosi indicare la peculiare via che l’ordinamento ha voluto battere in ogni caso di predeterminazione consensuale delle conseguenze dell’inadempimento, per ovviare alle manifestazioni abusive dell’esercizio dell’autonomia privata).
Proprio la puntualizzazione in ordine alla funzione della “convenzione” relativa agli interessi moratori, individuata nella preventiva e forfetaria liquidazione del danno risarcibile in caso di inadempimento di un’obbligazione pecuniaria, consente anche di porre fuori gioco le eventuali pattuizioni che si risolvano in una utilizzazione abusiva dello strumento in questione. Si allude alle pattuizioni consistenti nella fissazione di termini di adempimento congegnati – in particolare sotto il profilo della brevità del termine – in modo tale da porre il mutuatario in posizione di immediato ed inevitabile inadempimento (prospettiva, questa, anche di recente indicata dalla Cassazione penale, 5 febbraio 2013,
n. 5683, la quale, dopo avere negato, in linea di principio, che la clausola penale possa “essere considerata come parte di quel ‘corrispettivo’ che previsto dall’art. 644 c.p. può assumere carattere di illiceità”, ha escluso, appunto, il caso “in cui le parti, con la ‘clausola penale’ non abbiano dissimulato il pagamento di un corrispettivo (usurario), attraverso un ‘simulato’ e ‘preventivo’ inadempimento”).
In tal caso, evidentemente, può essere utilmente evocata – secondo una diffusa indicazione della dottrina – la disciplina della “frode alla legge”, di cui all’art. 1344 c.c. (via, quest’ultima, significativamente seguita dalla giurisprudenza francese, in un quadro di reputata estraneità alla disciplina dell’usura degli interessi moratori e, in genere, della clausola penale). Al giudizio di illiceità della causa della pattuizione conseguirà il pieno dispiegamento – nell’ottica della nullità quale configurata dal legislatore in materia usuraria
– del regime previsto dall’art. 1815, co. 2, c.c., con la sanzionatoria eliminazione del carattere feneratizio del mutuo.
6. Al di fuori della peculiare situazione, dianzi delineata, di esercizio dell’autonomia privata in frode alla legge sull’usura, il carattere di liquidazione preventiva e forfetaria del danno risarcibile in caso di inadempimento di obbligazione pecuniaria conduce, insomma, all’assimilazione della convenzione relativa al tasso degli interessi moratori alla clausola penale. E proprio una simile assimilazione, allora, vale ad individuare il piano rimediale su cui potrà essere sviluppato il controllo, al riguardo, dell’esercizio dell’autonomia privata in materia.
Un simile piano è, ovviamente, quello, nell’ottica dell’art. 1384 c.c., della riducibilità del – validamente ai sensi della legislazione creditizia (in particolare, art. 117, co. 4, TUB) – convenuto tasso degli interessi moratori, ove ne risulti il carattere “manifestamente eccessivo”. Si tratta, del resto, di una via già sperimentata dalla giurisprudenza di merito, la quale, appunto, assimilata la clausola determinativa degli interessi moratori a quella penale, ne ha senz’altro ammessa la riducibilità, in caso di ammontare “manifestamente eccessivo”, ai sensi dell’art. 1384 c.c.: riducibilità, ormai pacificamente, a seguito di Cassazione, sez. un., 13 settembre 2005, n. 18128, operabile anche di ufficio (v., in particolare, Tribunale Roma, 1° febbraio 2001, nonché Tribunale Napoli, 12 febbraio 2004).
Residua, peraltro, il problema relativo all’accertamento – dunque, se del caso, pure officioso – della sussistenza delle condizioni per la riduzione del tasso convenuto degli interessi moratori, in quanto assimilato ad una clausola penale. E, in proposito, da parte della citata giurisprudenza, non si è mancato di alludere alla utilizzabilità del “tasso soglia”, quale previsto e determinato in sede di disciplina in materia di usura (Tribunale di Roma, 1° febbraio 2001).
In realtà, alla luce delle considerazioni dianzi svolte con riguardo alla reciproca
completa estraneità degli interessi moratori e del “tasso soglia”, tale parametro non risulta, almeno di per se stesso, utilizzabile. Non a caso, come evidenziano i dianzi ricordati “Chiarimenti” della Banca d’Italia, i decreti ministeriali trimestrali riportano i risultati di una indagine, per cui “ la maggiorazione stabilita contrattualmente per i casi di ritardato pagamento è mediamente pari a 2,1 punti percentuali”. E la Banca d’Italia si attiene, nella sua attività di vigilanza sulle procedure degli intermediari, ad un simile criterio (onde determinare, di riflesso, la “soglia” da prendere in considerazione). Si tratta, però, di un riferimento fondato su di una rilevazione lontana nel tempo (2001), oltre che dichiaratamente non caratterizzato da un’adeguata precisione statistica.
L’indicazione che ne deriva – ma, pare il caso di precisare, anche quella eventualmente derivante da una ipotizzabile (ed auspicabile) più aggiornata, periodica e statisticamente affidabile, futura rilevazione – può valere, comunque, secondo quanto evidenziato anche nella decisione n. 1875/2014, solo a fornire elementi di giudizio, da valutare in un quadro circostanziale più complesso, al fine di formare nel giudicante il ragionevole convincimento del carattere “manifestante eccessivo” della misura degli interessi moratori. In tale direzione, allora, pare poter essere valorizzato il riferimento dell’art. 1384 c.c. al parametro rappresentato dall’“interesse che il creditore aveva all’adempimento”: parametro che, in quanto evidentemente relativo all’operazione economica concretamente posta in essere, si presenta adeguatamente idoneo a governare la diversità tipologica dei rapporti creditizi, con riferimento ai quali può venire evocata la questione della eccessività del tasso degli interessi moratori. E ciò anche in considerazione, in particolare, della distinzione di fondo operata, sia pure ad altri fini, dai ricordati “Chiarimenti” della Banca d’Italia, in cui si distinguono i “finanziamenti a utilizzo flessibile” (come nel caso esaminato nella decisione
n. 1875/2014) da quelli “con un piano di ammortamento predefinito” (come nel caso qui in esame).
In ambedue i casi, il riferimento ai dati statistici, quindi, deve rappresentare solo una base di partenza di una valutazione che, in primo luogo, non può trascurare il rapporto quantitativo intercorrente tra i tassi corrispettivi e quelli moratori convenzionalmente predefiniti: infatti, benché le due tipologie di interessi siano – secondo quanto dianzi accennato – significativamente diverse per natura e funzione, tuttavia entrambe incorporano la stima del sacrificio che il prestatore accetta di subire per trasferire una somma di danaro dalla propria all’altrui sfera di disponibilità. Né pare da trascurare il rilievo che, ai fini della valutazione in questione, è destinata ad assumere la rischiosità aggiuntiva
dell’inadempimento per il creditore, in considerazione, ovviamente, dell’assetto complessivo dell’operazione economica, quale risultante anche alla luce delle garanzie che assistono il credito.
Si tratta di una prospettiva di controllo dell’autonomia privata secondo parametri che la giurisprudenza – al di là di ogni ipotizzabile preventiva rigida predeterminabilità – ha da tempo affidato alla valutazione complessiva degli interessi delle parti in chiave di correttezza e buona fede (e v. anche la decisione n. 77/2014). E proprio in una simile ottica sembra sdrammatizzarsi anche la questione – destinata, come dianzi all’inizio accennato, a porsi nei casi, quali quello in esame, di “finanziamenti con piano di ammortamento predefinito” – della produzione, in applicazione della disciplina convenzionale che tende ad adeguarsi alla normativa vigente in materia, di interessi moratori sull’importo globale delle rate scadute: la valutazione della “manifesta eccessività” o meno del tasso convenzionale moratorio non potendo che riflettere sempre un giudizio complessivo sull’economia della operazione creditizia, nel passaggio dalla fase fisiologica a quella patologica.
Ovviamente, come si sottolinea nella ordinanza di rimessione, le conseguenze della valutazione in termini di “manifesta eccessività” del tasso moratorio convenuto – con una relativa eventuale riduzione che deve trovare il proprio limite inferiore nel tasso degli interessi corrispettivi – sono destinate ad incidere esclusivamente sugli interessi moratori, ferma restando l’operatività del regime convenzionale degli interessi corrispettivi: regime che, nel caso di mutui con piano di ammortamento fondato sulla corresponsione di rate, è da ritenere debba restare fermo, ai fini della relativa composizione, per le rate scadute, così come per quelle – in assenza di risoluzione del contratto – a scadere.
Piuttosto, pare necessario richiamare l’attenzione sulla circostanza – cui pure si riferisce l’ordinanza di rimessione – che, ove si tratti di credito erogato ai consumatori, la valutazione in termini di “manifesta eccessività” del tasso convenuto è chiamata – sul piano rimediale – a confrontarsi con la disciplina dei “contratti del consumatore”, quale delineata nel codice del consumo (D.Lgs. 6 settembre 2005, n. 206). Ai sensi dell’art. 33, comma 2, lett. f, infatti, “si presumono vessatorie fino a prova contraria le clausole che hanno per oggetto, o per effetto di … imporre al consumatore, in caso di inadempimento o di ritardo nell’adempimento, il pagamento di una somma di denaro a titolo di risarcimento, clausola penale o altro titolo equivalente d’importo manifestamente eccessivo”. E l’art. 36, co. 1, dispone che “le clausole considerate vessatorie ai sensi degli artt. 33 e 34 sono
nulle mentre il contratto rimane valido per il resto” (sul giudizio di vessatorietà incidendo, secondo l’art. 34, oltre alle valutazioni di cui al primo comma, l’essere stati, secondo il quarto comma, “le clausole o gli elementi di clausola … oggetto di trattativa individuale”, alla luce di quanto previsto dal quinto comma).
Nella fattispecie sottoposta all’esame del Collegio, il meccanismo stesso di determinazione del tasso degli interessi moratori – in una prospettiva, quindi, che tende ad abbracciare sia la previsione in sede contrattuale, sia la dinamica successiva del rapporto e la relativa eventuale futura applicazione (e v. le conclusioni della decisione n. 1875/2014, ove si rinvia, in ogni caso, a tale secondo momento ogni questione circa la misura concreta della riduzione) – in quanto riferito ad una maggiorazione di quattro punti percentuali rispetto “al tasso, pro tempore vigente durante la mora, per le operazioni di rifinanziamento marginale fissato dalla Banca Centrale Europea (attualmente pari all’1,75% annuo)”, sembra ragionevolmente escludere la stessa ipotizzabilità di una sua anche futura (non risultando ancora mai effettivamente applicato ai ricorrenti) valutabilità in termini di “manifesta eccessività”, pure alla luce del criterio di calcolo dei “tassi soglia” per gli interessi corrispettivi (del resto, attestandosi esso, nel momento del contratto, ad un sicuramente accettabile livello sostanzialmente intermedio del 5,75%, tra il tasso corrispettivo del 4,114%, peraltro inferiore al tasso medio annuo del tempo del 4,99%, ed il “tasso soglia” del 7,485%).
Il Collegio non accoglie il ricorso.
PQM
IL PRESIDENTE
firma 1