Sede Amministrativa: Università degli Studi di Padova
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Dipartimento di Scienze Politiche, Giuridiche e Studi Internazionali
Corso di Dottorato di Ricerca in: Diritto internazionale e diritto privato e del lavoro
XXX CICLO
Il contratto modificativo
Coordinatore: Xx.xx Prof.ssa Xxxxxxx Xxxxxxxxx
Supervisore: Xx.xx Xxxx. Xxxxxxxx Xxxxxx
Dottoranda : Xxxxxxxx Xxxxxxx
Abstract
La figura del contratto modificativo pone come primo obiettivo d’indagine quello di individuare una definizione in grado di spiegare il particolare effetto che questo contratto produce. E’ proprio l’effetto modificativo la cifra caratterizzante di questo tipo di contratto, consentendo di segnare la distanza rispetto ad altre fattispecie che presentano dei profili comuni.
Il riferimento è in primo luogo alla novazione, che costituisce in un certo senso il termine di paragone obbligato di ogni riflessione sul contratto modificativo. Un secondo elemento di confronto è rappresentato dalla prestazione in luogo dell’adempimento, di cui si dimostrerà l’estraneità rispetto alla sfera del contratto modificativo attraverso la proposizione di un’interpretazione, che riesca a dare coerenza ed unità al dettato dell’art. 1197 c.c.
La seconda parte del lavoro si concentra sulla modifica degli elementi accidentali del negozio: la modifica del termine offre l’occasione per stabilire un confronto con la dilazione, figura poco studiata ma che ha grande rilievo nella pratica negoziale. Da ultimo, l’indagine sarà dedicata alla particolare ipotesi dell’eliminazione della condizione, e si cercherà di comprendere la sua appartenenza al contratto modificativo attraverso un percorso argomentativo che integra l’aspetto riguardante la vicenda traslativa con i meccanismi tipici della condizionalità.
Abstract
This body of research is devoted to the study of that particular type of contract which modifies a previous one stipulated by the same parties. The main aim of this thesis is to try and give a definition of the so called “modificative contract”. Its distinctive trait is the difference between the modification and both the effects of canceling and creating contractual obligations.
This point is crucial to address, in order to separate the case we are discussing from different situations. First of all, the main term of comparison is that of the novation of a contractual obligation. After that, we move on to discuss “performance in place of fulfillment” to demonstrate that there is no reason to regard it as a type of modificative contract. To argue so, we propose a new interpretation that can finally explain the three clauses of article 1197 of the Italian Civil Code.
The second part of the research is focused on the modification of the inessential elements of a contract. The termination of a contract is useful in understanding the difference between modification and other cases that are more common in everyday life, such as the delay or the postponement of the deadline. Finally, we discuss whether the elimination of a condition is a form of modification or not, comparing the way property is transferred with the conditional contract.
Sommario
Parte Prima
La modifica dell'oggetto del contratto
Capitolo I
1. Introduzione.......................................................................................................................................- 3 -
2. L’accordo modificativo di un precedente contratto...........................................................................- 4 -
3. Il contratto modificativo e l’autonomia procedimentale..................................................................- 16 -
4. Il contenuto della modifica: la salvaguardia dell’oggetto dell’obbligazione...................................- 18 -
5. L’analisi di una diversa ipotesi: l’ammissibilità del contratto modificativo dell’oggetto ...............- 31 -
6. Considerazioni finali: uno sguardo d’insieme al problema del contratto modificativo ...................- 35 -
Capitolo II
1. L’inquadramento del problema .......................................................................................................- 39 -
2. Una differente proposta interpretativa della prestazione in luogo dell’adempimento .....................- 42 - 3. L’art. 1197 c.c. e il rapporto con la novazione ................................................................................- 46 - 4. Il secondo comma dell’art. 1197 c.c................................................................................................- 51 -
5. L’interesse del creditore alla prestazione in luogo dell’adempimento ............................................- 58 -
6. L’inidoneità della prestazione viziata ad estinguere l’obbligazione................................................- 61 - 7. La definizione dell’evento ...............................................................................................................- 62 - 8. La pendenza della condizione..........................................................................................................- 64 - 9. Il mancato avveramento della condizione .......................................................................................- 65 - 10. L’avveramento della condizione .................................................................................................- 68 -
11. Il risarcimento del danno previsto dal secondo comma dell’art. 1197 c.c...................................- 74 -
12. Il caso in cui la seconda prestazione sia obbligatoria e non traslativa e la cessione di un credito - 74
-
13. La realità e il pactum de in solutum dando..................................................................................- 76 -
14. Il terzo comma dell’art. 1197 c.c. e l’estinzione delle garanzie prestate dai terzi .......................- 82 -
15. La prestazione in luogo dell’adempimento come modo di estinzione dell’obbligazione............- 88 -
16. La prestazione in luogo dell’adempimento e l’obbligazione con facoltà alternativa ..................- 92 - 17. Xxxxxxxx e criticità della tesi proposta ........................................................................................- 96 -
Parte Seconda
La modifica degli elementi accidentali del contratto
Capitolo I
La modifica del termine del contratto . - 99 -
1. La modifica del termine come oggetto dell’indagine ......................................................................- 99 -
2. Il contratto modificativo del termine di adempimento e la dilazione ............................................- 100 - 3. Effetti eliminativi e inadempimento del contratto .........................................................................- 105 - 4. La dilazione gratuita ......................................................................................................................- 107 -
5. Il contratto modificativo del termine e la dilazione nei contratti di durata....................................- 116 -
6. L’obbligazione del fideiussore nel caso di dilazione e di modifica del termine............................- 118 - 7. La dilazione onerosa......................................................................................................................- 124 - 8. La dilazione concessa dal debitore ................................................................................................ - 129 - 9. La modifica del termine di adempimento di un contratto.............................................................. - 131 - 10. La modifica del termine di efficacia.......................................................................................... - 135 -
11. La modifica del termine di un contratto e il contratto modificativo ..........................................- 142 -
Capitolo II
L’eliminazione della condizione nei contratti......................................................................... - 145 -
1. Il campo di indagine ......................................................................................................................- 145 -
2. L’eliminazione della condizione nei contratti ad effetto traslativo ...............................................- 147 -
3. L’eliminazione della condizione risolutiva nei contratti traslativi ................................................- 152 - 5. L’eliminazione della condizione sospensiva .................................................................................- 167 -
6. Il possibile operare retroattivo del contratto non più condizionato sospensivamente ...................- 178 -
7. Il rapporto con i terzi e le conseguenze sugli atti compiuti dopo l’eliminazione della condizione. - 179
-
8. L’eliminazione della condizione nei contratti ad effetti obbligatori..............................................- 181 -
9. L’eliminazione della condizione di un contratto e il contratto modificativo.................................- 186 -
Conclusione................................................................................................................................ - 189 -
Introduzione
La teoria delle sopravvenienze1 che colpiscono i contratti di durata costituisce il terreno d’elezione per lo studio delle modifiche contrattuali: è in quest’ambito, infatti, che troviamo la definizione di rinegoziazione2 del contratto e l’applicazione del cosiddetto ius variandi. La prospettiva delle sopravvenienze vincola la modifica contrattuale ad una molteplicità di fattori esterni, dato che, per rispondere alle nuove e mutate esigenze, le parti si determinano a modificare il contratto originariamente predisposto. In quest’ottica, l’adeguamento del contratto funge da rimedio che consente ai contraenti di conservare il proprio rapporto, sottoponendolo a modifiche che, in assenza dei mutamenti esogeni, esse probabilmente non avrebbero avuto interesse a realizzare.
Al di fuori di questo contesto, è possibile ricostruire un percorso nel quale la modifica del contratto diventa piena espressione dell’autonomia contrattuale che governa le scelte dei contraenti, indipendentemente dalle ragioni che li hanno spinti a ritornare su quanto avevano inizialmente previsto. La modifica del contratto rappresenta un’occasione privilegiata per analizzare i limiti posti all’autonomia privata rispetto alla possibilità di configurare diversamente il regolamento originario, cercando al contempo di conservarne il vincolo iniziale.
La sfida che si pone ad ogni tentativo di modifica del contratto è quella di capire fino a che punto possano spingersi le parti lungo la strada della
1 Si segnala lo studio, ancora attuale, di (Osti, 1913) p. 471 ss.; per la dottrina più recente si richiamano (Cesàro, 2000); (Xx Xxxxxxx, 2004); (Xxxxxxx, 2007), p. 1095 ss.
2 Per un approfondimento sul tema della rinegoziazione del contratto e dei rapporti con il contratto modificativo si rinvia a (Xxxxxxx, 1996), p. 360 ss.; (Xxxxxxx, 2000); (Xxxxxxx, 2006); (Xxxxx F. P., 2013) p. 210 ss. Per la cosiddetta clausola di hardship si rimanda a (Xxxx & Xxxxxxx, 2005), p. 263. Per la dottrina straniera si rinvia a (Xxxxxxxx & Xxxxxxxx, 2016), in particolare p. 55 ; (Xxxx-Xxxxxxx, 2010) p. 89 ss.
modifica: il rischio è, infatti, quello di abbandonare il regolamento già predisposto e di realizzare un nuovo e diverso accordo. Si cercherà, quindi, un metodo che permetta di fissare questi confini, rifiutando le opinioni che lasciano ampio spazio alla discrezionalità dell’interprete. Stabilire con chiarezza le ipotesi in cui si realizza un contratto modificativo, e non una diversa fattispecie, assume importanza per le conseguenze che la vicenda modificativa porta con sé, in termini di decorso della prescrizione, di mantenimento delle garanzie prestate dai terzi e, più in generale, di sviluppo del rapporto contrattuale.
Il campo di indagine si concentra sulle modifiche che si possono apportare ad un contratto, non necessariamente di durata: l’analisi si sviluppa intorno alla ricerca di una definizione di contratto modificativo, per poi proseguire con la disamina di alcuni elementi che si prestano a modifica, quali l’oggetto del contratto, il temine e la condizione. Vedremo che lo studio sul contratto modificativo sollecita, per ciascuno di questi aspetti, dei differenti profili di interesse, messi in luce proprio dal confronto – e in alcuni casi dalla confusione – che ruota intorno al concetto di modifica del contratto. Senza avere la pretesa di esaurire un ambito di indagine così ampio e articolato, lo studio si propone di fornire alcuni spunti di riflessione su un tema ricco di fascino e quanto mai attuale.
Le modifiche contrattuali tra contratto modificativo e novazione
1. Introduzione
Impostare un’indagine sul contratto modificativo significa avere di mira due obiettivi principali: il primo è quello di tentare di ricostruirne una possibile definizione3; il secondo è quello di tratteggiarne i confini rispetto alla novazione, figura che costituisce il termine di paragone obbligato per chi si voglia addentrare nello studio del contratto modificativo4.
Il binomio contratto modificativo/novazione è difficile da decifrare, stante, da un lato, l’assenza di una definizione normativa di contratto modificativo e, dall’altro lato, la presenza nel codice di elementi quanto mai indeterminati come, ad esempio, il carattere di accessorietà della modifica non novativa.
Proprio l’accessorietà, intesa come principale criterio guida nella distinzione tra modifica e novazione, ha dato luogo a molteplici interpretazioni, sulla base delle quali possiamo definire come modificativo quel contratto che non incide sulla natura, oppure sull’identità5, sull’entità, sulla rilevanza6 del
3 Si può notare la diversità di approccio rispetto agli studiosi di Common Law, per i quali assume prioritaria importanza la prospettiva dei rimedi. Si veda ad es. (Xxxxxxxx & Xxxxxxxx, 2016) p. 55, che si interroga se “[…] should that attract some legal modification of the rule so as to allow a contract law remedy or is it a risk that the offeree must accept unless some other area of law provides a remedy?”.
4 Sulla necessità di teorizzare il contratto modificativo si rinvia a (Xxxxxxxx, 1988), p. 69 e 74; sul tema si richiama anche (Xxxxxxxx, 2010) p. 63, che segnala come “Il problema di distinguere la novazione dal negozio modificativo è proprio del diritto moderno; si è già visto, infatti, che nel diritto romano la novazione rappresentava l’unico modo per apportare modifiche al rapporto obbligatorio.”
5 Si rinvia a (Xxxxxxxx, 1987), p. 185 ss., sulla questione relativa alla “soglia di identità” del rapporto obbligatorio, per la quale si tratta “di stabilire se il mutamento del titolo o dell’oggetto <<snaturi>> il rapporto al punto da mutarne la fondamentale identità”. L’Autore, a proposito dell’identità dell’obbligazione afferma che “fondamentalmente, si è, infatti, tutti d’accordo che nelle ipotesi in cui l’entità della modifica sia tale da alterare l’identità dell’obbligazione, per forza di cose la novazione non potrebbe essere evitata.”
6 In questi stessi termini si esprimono (Xxxxxxxx & Aynès, 2011) con riferimento alla novazione, p. 659 “Elle implique un changement essentiel de l’obligation originaire, faute de quoi il y aurait simple modification de l’obligation; si le changement est trop important, l’obligation nouvelle n’a plus de lien avec l’ancienne: il y aura eu résolution de l’ancienne,
rapporto originario. Si tratta, come è facile intuire, di formule vaghe, in base a cui è difficile individuare il confine tra contratto modificativo e novazione. Da queste impostazioni pare emergere una regola comune, sintetizzabile nella formula per cui le modifiche contrattuali si potranno sempre fare, purché non si vada ad intaccare il “nucleo portante” del contratto: fino ad allora, sarà sempre possibile aggiungere e togliere elementi e, per così dire, aggiustare il contratto. Quando invece si supera questa soglia, la modifica non è più tale, ma conduce ad una novazione, portandoci direttamente di fronte ad un contratto diverso da quello originario7.
Un approccio di questo tipo potrebbe portare ad interpretare come indice di un certo grado di elasticità, la capacità del contratto di subire modifiche senza perdere la propria identità originaria. In quest’ottica, si potrebbe persino attribuire al contratto un fascio di differenti gradazioni, che comunque lo facciano rimanere sempre fedele a se stesso.
Anche in base a questa considerazione, il punto da capire rimane sempre il medesimo, ed è quello di comprendere che cosa sia possibile cambiare, senza alterare l’identità del contratto originario e, al contempo, che cosa ci faccia riconoscere un contratto come tale, e non come uno diverso. Si impone a questo punto una riflessione sul contratto modificativo, avendo di mira un duplice obiettivo: sia di definirne la portata, sia di arrivare ad affermare o negare l’individuazione di un paradigma generale di tale tipo di figura.
2. L’accordo modificativo di un precedente contratto
La vicinanza con l’istituto della novazione rischia di far incentrare l’intera analisi del contratto modificativo su una prospettiva di confronto e di ricerca
suivie de la naissance d’une obligation indépendante; la nouvelle n’aura pas été contractée pour éteindre l’ancienne.”
7 La necessità di individuare un criterio guida tra contratto modificativo e novazione emerge chiaramente dai tentativi della giurisprudenza di fornire un’elencazione il più possibile esaustiva delle possibili modifiche non novative. In particolare, si ritiene che costituiscano modificazione accessoria, e che quindi non diano luogo a novazione: il mutamento delle modalità o della quantità della prestazione (Cass. 2796/1978); la modifica del prezzo di vendita (Cass. 1407/1971); l'aumento del canone di locazione (Cass. 2126/1967); la proroga del termine di scadenza di un contratto (Cass. 2026/1969); la sostituzione della cosa oggetto del contratto con altra dello stesso genere (App. Milano, 1957); le modifiche delle modalità di esecuzione della prestazione (Cass. 6749/1987); la modifica delle clausole relative al saggio degli interessi (Trib. Firenze, 1951); l'accordo con cui le parti riducono la porzione del fondo dato in affitto (Cass. 4544/1985).
delle differenze tra le due figure, senza però soffermarsi adeguatamente su quale sia il contenuto del contratto modificativo stesso.
Provando a ricostruire il quadro normativo di riferimento, ci si scontra con indici8 – anche solo letterali– che potrebbero far desistere dal tentativo di ricomporre un possibile significato di modifica contrattuale: si pensi all’assenza non solo di una definizione, ma anche della stessa denominazione di contratto modificativo, in aggiunta alla mancanza del termine “modificare” nel testo dell’art. 1321 c.c.9, ed infine al richiamo, formulato però in negativo, alla sola modificazione accessoria come non produttiva di novazione. In un simile contesto, è naturale continuare a pensare alla novazione come termine di paragone obbligato per il contratto modificativo, con la conseguenza di ritagliare una definizione di quest’ultimo che sia residuale rispetto alla prima.
L’indagine che si propone vuole, invece, cercare di cogliere l’essenza dell’operazione di modifica di un precedente contratto, partendo dall’analisi dell’art. 1321 c.c., e precisamente dalla scomposizione nei due diversi elementi della costituzione e dell’estinzione di un rapporto giuridico, per individuare se e in che misura questi due aspetti coinvolgano la modifica contrattuale.
L’aspetto costitutivo
E’ noto che la novazione concentri in sé sia l’elemento estintivo sia quello costitutivo di un nuovo rapporto10. La presenza della fase costitutiva si rende necessaria proprio in conseguenza dell’eliminazione del precedente
8 E’ possibile trovare alcuni riferimenti a fenomeni modificativi in contesti più specifici, come ad esempio nella disciplina dell’appalto, in cui, però, il termine prevalente è quello di variazioni (si veda l’art.1659 ss.).
9 Si veda sul punto (Xxxxxxxxx, 1957), p. 848, secondo il quale nella funzione regolamentare di un rapporto preesistente va compresa quella di modificare: “il negozio modificativo appartenendo ai negozi regolamentari è perfettamente legittimo.” Di contrario avviso è invece (Carresi, 1963), p. 388, che individua la categoria del contratto regolamentare come distinta da quella del contratto modificativo: “Tali contratti [quelli regolamentari], come si è detto, non possono considerarsi costitutivi (in senso stretto) perché non creano una relazione fra le parti (infatti: questa relazione esiste già, o, se non esiste, come nel caso del contratto normativo, se pure questo lo si vuole considerare come un contratto regolamentare, non è che sorga per effetto dello stipulato contratto); ma non possono neppure considerarsi modificativi perché di modificazione può parlarsi soltanto quando un elemento del rapporto venga sostituito rimanendo gli altri immutati: ipotesi questa che, nella specie non ricorre.”
10 Sul carattere costitutivo ed estintivo della novazione si rimanda a (Xxxxxxxx, Novazione , 1957), p.431 ss.
rapporto: estinta l’obbligazione originaria, la formazione di un nuovo vincolo è il risultato di un’operazione di tipo costitutivo, grazie alla quale si pone in essere tra le parti una nuova obbligazione. In un certo senso, se l’interesse delle parti è diretto al mantenimento di un vincolo reciproco, è logico che là dove ci sia stata estinzione del precedente rapporto, non possa che seguire la costituzione di un nuovo rapporto.
Diversamente si deve argomentare per quanto riguarda il contratto modificativo.
La tesi che si propone vuole dimostrare che un contratto modificativo non realizzi alcuna operazione di tipo costitutivo di un nuovo rapporto obbligatorio.
L’argomento che permette di sostenere questa affermazione deriva proprio dalla mancanza, nella modificazione, dell’elemento estintivo11 della precedente obbligazione: se è vero che la modifica non estingue la precedente obbligazione, allora si deve concludere che l’eventuale costituzione di una nuova obbligazione comporterebbe una duplicazione del vincolo obbligatorio tra le stesse parti. Il fatto, però, che la modifica non corrisponde alla costituzione di una nuova obbligazione, permette di scongiurare il rischio di un cumulo di obbligazioni.
Il ragionamento così condotto ci permette di raggiungere due ulteriori considerazioni, che verranno meglio analizzate nel proseguo della trattazione.
1) La prima riguarda il fatto che negare al contratto modificativo la fase costitutiva significa che la modifica non potrebbe introdurre una nuova obbligazione, ossia un nuovo rapporto che sia in grado di sorreggersi da sé. Questa affermazione non è priva di rilevanza, perché pone delle limitazioni riguardo al contenuto della modifica che si vuole apportare al contratto.
2) La seconda considerazione è una conseguenza della prima, e precisamente consiste nel rilevare che, se la modifica non comporta la costituzione di una nuova obbligazione, altro non vuol dire che ricostruire il modificativo come
11 Si permetta, per il momento, di assumere, come dato già verificato, l’assenza dell’elemento estintivo, affermazione che verrà analizzata nel dettaglio nelle pagine che seguono.
un contratto privo di obbligazione12: si vedrà meglio oltre in che termini precisare questa affermazione.
Queste due prime riflessioni, per ora solo brevemente accennate, pongono le basi per quella che sarà l’analisi del contenuto della modifica, da un lato, e della natura del contratto modificativo, dall’altro lato. L’indagine non può fermarsi a queste considerazioni, ma necessita di svilupparsi ulteriormente, prendendo in esame anche l’aspetto estintivo del rapporto, e solo dopo sarà possibile avere una visione d’insieme del contratto modificativo.
Prima di passare ad analizzare l’elemento estintivo, è però possibile fissare una prima, parziale, conclusione.
La possibilità di modificare il contratto incontra il limite insito nella stessa funzione modificativa: questa non può porre in essere una nuova obbligazione, perché in tal caso andrebbe oltre la modifica, entrando nel campo della costituzione di una nuova obbligazione. Tutte le modifiche che fuoriescono dalla semplice funzione modificativa, e rientrano invece in quella costitutiva, non possono formare oggetto di un contratto modificativo.
L’aspetto estintivo
Non necessita di dimostrazione l’affermazione, in sé banale, per cui il contratto modificativo non comporti l’estinzione della precedente obbligazione13: anzi, questo è proprio l’aspetto che lo distingue dalla diversa figura della novazione.
Il punto che richiede, invece, una riflessione più approfondita è un altro, e precisamente ci si interroga sul fatto che, a fronte della mancata estinzione
12 Uno spunto in tal senso lo si ricava da (Carresi, 1963), p. 387, che afferma “Mentre i contratti d’obbligazione sono tutti costitutivi, perché rivolti a dare vita ad un rapporto giuridico patrimoniale, i contratti di disposizione possono essere o modificativi o estintivi di un rapporto giuridico: perciò si dicono anche contratti di <<secondo grado>>”.
13 Si rinvia a (Xxxxxxxxxxx, 1958), p. 353 ss., sulla duplice vicenda estintiva e costitutiva che caratterizza la novazione sul piano dell’efficacia.
Anche nel diritto francese ritroviamo la presenza di entrambi questi aspetti: si veda ad es. (Xxxxxxxxx & Fenouillet, 2012), p. 630 “Les effets de la novation sont exprimés dans sa définition; la novation entraîne l’extinction de l’obligation ancienne et la création corrélative de l’obligation nouvelle, l’une étant la cause de l’autre”.
Si può altresì osservare che la recente riforma del diritto francese delle obbligazioni, portata a compimento con l’Ordonnance n. 2016-131 del 10.02.2016, propone nel nuovo articolo 1329 Code Civil, in sostituzione dell’art. 1271 previgente, una definizione di novazione che sembra consacrare i due caratteri sopra visti “La novation est un contrat qui a pour objet de substituer à une obligation, qu'elle éteint, une obligation nouvelle qu'elle crée.”
della obbligazione originaria, tuttavia, una volta intervenuta la modifica, l’esecuzione della prestazione originaria – pur non estinta – non sarebbe più satisfattiva. E’ chiaro, infatti, che dopo la modifica del contratto, la sua esecuzione nei termini originariamente posti dalle parti non è più in grado di soddisfare il loro mutato interesse, ma questa considerazione è difficilmente conciliabile con il fatto che la modifica non produca l’estinzione della prestazione originaria, ma il suo mantenimento.
Possiamo affermare che la modifica opera come elemento impeditivo rispetto alla esecuzione della prestazione originaria, riuscendo così a spiegare la perdita del carattere satisfattivo dell’adempimento della obbligazione originaria e non estinta. Questo ragionamento ci consente di fare un passo ulteriore nello studio del contratto modificativo, dal momento che possiamo riconoscere come effetto modificativo, e non estintivo, quello nel quale l’obbligazione originaria non viene eliminata, ma allo stesso tempo si rende il suo adempimento non più attuale e soddisfacente.
Si pone a questo punto la necessità di capire quale sia l’obbligazione, la cui esecuzione costituisca adempimento satisfattivo: la risposta non può non tenere conto della riflessione precedentemente condotta in tema di carattere costitutivo della modifica, portando a riallacciare le fila dei due percorsi intrapresi.
L’indagine finora condotta richiede un’analisi dei risultati raggiunti. Abbiamo visto che il contratto modificativo, da un lato, non produce un effetto di tipo costitutivo di una nuova obbligazione; dall’altro lato, non comporta nemmeno un effetto di tipo estintivo dell’obbligazione precedente. Si pone quindi la necessità di capire come sia possibile che l’obbligazione originaria, che non viene né sostituita da una nuova obbligazione, né estinta a seguito della modifica, tuttavia non sia più in grado di soddisfare l’interesse delle parti, con la conseguenza che la sua esecuzione non realizza un adempimento satisfattivo. In maniera speculare, nasce l’esigenza di comprendere a quale obbligazione corrisponda l’adempimento satisfattivo, dal momento che, lo abbiamo visto, la modifica non costituisce una nuova obbligazione che sostituisce o elimina quella originaria.
Cerchiamo di affrontare con ordine le problematiche così delineate.
La modifica produce delle conseguenze dirette sul rapporto originario, nonostante quest’ultimo, come abbiamo visto, non venga né eliminato, né sostituito dalla costituzione di una nuova obbligazione.
Il fatto che il contratto modificativo non produca un effetto di tipo costitutivo dell’obbligazione non impedisce alla modifica di determinare un’alterazione del contenuto obbligatorio originario, ma incide soltanto in termini di delimitare l’entità della modifica. Il contenuto della modifica incontra infatti il limite rappresentato dall’impossibilità di costituire una nuova obbligazione, e questo sarà da considerare come un’espressa indicazione rispetto al contenuto che può concretamente assumere la modifica. Se si escludono, infatti, dal raggio di azione della modifica, tutte le espressioni che rientrano nel concetto di costituzione di una nuova obbligazione, possiamo ricavare, in via residuale, quale possa essere il contenuto del contratto modificativo.
Prima di procedere, si permetta una breve indicazione di metodo: il percorso argomentativo che si sta affrontando è incentrato sul concetto di modifica del contratto, con l’obiettivo di isolare l’operazione di modifica, per cercare di individuare quale sia il suo contenuto. Il metodo si ispira ad un’analisi di laboratorio nel quale si tenta, in un primo momento, di studiare individualmente ogni singolo fattore rilevante, isolandolo dagli altri dati, per poi, in un secondo momento, reinserirlo nel contesto di riferimento per una visione più completa. Allo stesso modo, in questa prima parte, si è deciso di concentrarsi unicamente sulla singola operazione di modifica del contratto, per meglio capirne i meccanismi di funzionamento, affidando ad un successivo momento l’integrazione dei risultati raggiunti con una prospettiva più ampia, che tenga in considerazione l’impatto esercitato dalla modifica sul contratto originario, da un lato, e sul contratto risultante dalla modifica, dall’altro lato.
Riprendendo l’indagine sul contenuto della modifica contrattuale, proviamo a ricavare delle indicazioni rispetto al limite della mancanza di un effetto di tipo costitutivo.
La prima considerazione è quella di escludere che la modifica possa introdurre nel contratto una nuova obbligazione, in grado di sorreggersi da sé. Questo significa che il contratto modificativo non può rappresentare la
fonte di nuovi obblighi imposti alle parti, ma questi – ove presenti – dovranno dipendere da altra fonte. Se si assume come dato di partenza l’impossibilità del contratto modificativo di produrre un effetto di tipo costitutivo, ne segue che il contratto modificativo non possa autonomamente sorreggere nuovi e ulteriori obblighi rispetto a quelli già posti dal contratto originario.
Una seconda considerazione che si può trarre come conseguenza di quanto appena detto, è quella di escludere che il contratto modificativo possa avere un contenuto corrispondente ad un’attività di tipo esecutivo14. Se il contratto modificativo imponesse alle parti di comportarsi in un certo modo, introdurrebbe inevitabilmente una nuova obbligazione, con il rischio quindi di fuoriuscire dai confini della modificazione e di entrare nel campo degli effetti costitutivi. Ma c’è di più. Il punto centrale è quello di focalizzarsi sull’operazione di modifica del contratto, e chiedersi in che cosa consista l’obbligazione di modificare il contratto.
Un errore da evitare è quello di considerare il contratto modificativo come un contratto avente ad oggetto una “prestazione di modificare” il contratto, intesa come prestazione di un’attività materiale, esecutiva. Se così fosse, il rischio sarebbe quello di considerare l’operazione di modifica equivalente ad una prestazione di “riparazione” dell’obbligazione precedente: proprio come è possibile riparare un bene difettoso, allo stesso modo sarebbe possibile −ma lo si esclude− “aggiustare” il contratto. Al contrario, l’idea che si sostiene è quella di considerare il contratto modificativo come privo
14 Da questo punto di vista si coglie la vicinanza del contratto modificativo al contratto normativo, rispetto al quale si rinvia a (Xxxxxxxxxxxx, 1969), p. 47 ss. “E se, nell’ambito del diritto privato, si contrappone <<un’attività esecutiva>> ad << un’attività regolatrice e normativa>>, può ulteriormente precisarsi che il contratto normativo non va classificato tra gli atti esecutivi, perché è diretto a porre delle regole. In sintesi, può, pertanto, ritenersi che il contratto normativo costituisce un fenomeno di autonomia privata attraverso il quale si pone in essere un’attività regolatrice e normativa, nel senso che esso regola l’attività di coloro che l’hanno stipulato.” (corsivo nel testo). Per vero, anche l’Autore riconosce la distanza tra le due fattispecie, laddove afferma a p. 38 “[…] è possibile che i contraenti convengano di sostituire, modificare od integrare le clausole di negozi particolari già esistenti. Ma, in tal caso, il contratto normativo non è in realtà tale, ma si risolve in un contratto modificativo di contratto in corso”. La differenza risiede quindi nel fatto che le regole poste dal contratto normativo debbano applicarsi soltanto a rapporti futuri e non già esistenti, ma la questione è discussa in dottrina: si veda lo stesso (Xxxxxxxxxxxx, 1969) p.37ss. Un’altra distinzione potrebbe essere rinvenuta nel fatto, anch’esso però dibattuto, che i contratti normativi dovrebbero “regolare una tantum una serie di eventuali rapporti, stabilendone, in tutto o in parte, il contenuto” (si veda l’Autore a p. 33), mentre per il contratto modificativo non si richiede che esso sia inserito all’interno di una pluralità di rapporti tra le stesse parti.
di un contenuto di tipo esecutivo, dal momento che non è possibile attribuire un significato materiale alla prestazione di modificare il contratto. In questo aspetto si può notare la distanza dell’effetto modificativo rispetto a quello costitutivo: quest’ultimo non può essere privo di contenuto corrispondente ad un’attività esecutiva od operativa (un dare, un fare o un non fare, e così via), mentre non è così per il contratto modificativo, che si esaurisce in maniera simile alla (pura) prestazione di consenso.
Si potrebbe obiettare, a questo punto, che anche l’operazione di modifica comporta necessariamente un’attività di tipo esecutivo, perché, se così non fosse, non ci sarebbe nessuna differenza tra il contratto originario e quello modificato.
La tesi che si sostiene vuole proprio evitare la confusione tra questi diversi momenti: quello modificativo, da un lato, e quello risultante dalla modifica, dall’altro, passando inevitabilmente per il contratto originario. Vedremo meglio oltre come declinare questi tre aspetti, che necessitano, in ogni caso, di rimanere distinti; cerchiamo ora di evidenziare quali problematiche crea questo tipo di impostazione.
Innanzitutto, è difficile attribuire un contenuto obbligatorio al contratto modificativo, dal momento che si finirebbe per introdurre una nuova obbligazione, e quindi ad attribuire alla modifica il diverso ruolo di produrre un effetto di tipo costitutivo. La necessità di evitare l’introduzione di un nuovo obbligo pone serie difficoltà anche riguardo ad un altro aspetto già affrontato, ossia quello relativo alle conseguenze dell’esecuzione della prestazione originaria a seguito della modifica. Si potrebbe, infatti, tentare di spiegare la perdita del carattere satisfattivo dell’esecuzione dell’obbligazione originaria, affermando l’imposizione di un obbligo di contenuto negativo, come potrebbe essere quello di non eseguire il contratto nei suoi termini originari. Così facendo, però, si andrebbe ad attribuire al contratto modificativo l’effetto costitutivo di un nuovo obbligo, anche se di contenuto negativo. Allo stesso modo, però, questo ragionamento ci porta ad affrontare un’altra questione, e precisamente ci si chiede se la parte, che adempisse in base al contratto originario e non a quello modificato, sarebbe da considerare inadempiente rispetto al contratto modificativo: se così fosse, cioè se fosse possibile affermare l’esistenza di un inadempimento rispetto al
modificativo, xxxxxxxx concludere che anche il contratto modificativo impone un obbligo di comportarsi in un certo modo, e quindi, in definitiva, ammettere che sia produttivo di obbligazione.
Xxxxxxx, così, scandagliato tutte le possibili problematiche che pone il contratto modificativo, ed è arrivato il momento di tentare di fornire una risposta alle questioni lasciate aperte.
La tesi che si propone è incentrata sulla necessità di leggere il contratto modificativo come inseparabile dal contratto originario, senza il quale non potrebbe produrre alcun tipo di effetto. Se è vero che, come abbiamo visto, il contratto modificativo, di per sé, non è in grado di determinare né un effetto di tipo costitutivo né eliminativo della precedente obbligazione, è altrettanto vero che l’assenza di un effetto costitutivo o eliminativo non impedisce alla modifica di produrre un’alterazione del contratto originario. E’ proprio in questa alterazione, priva di carattere costitutivo o eliminativo, che risiede il proprium del contratto modificativo, e sulla quale è necessario focalizzare l’attenzione, se si vuole cogliere la modalità di funzionamento del meccanismo modificativo.
La modifica non è produttiva di una nuova obbligazione, e questo potrebbe essere sintetizzato dicendo che il contratto modificativo è privo di obbligazione: con tale formula, però, non si indica altro che l’impossibilità del contratto modificativo di imporre alle parti un nuovo obbligo, con la conseguenza per cui gli obblighi che nascono a seguito della modifica trovano nel contratto originario la loro unica fonte15.
La situazione che si crea è del tutto peculiare, perché l’obbligazione deriva dal contratto originario, ma la modalità in cui le parti si obbligano è definita dal contratto modificativo. La prova di questa affermazione la ritroviamo nel fatto che l’esecuzione della prestazione originaria non varrebbe più come adempimento, dopo che è intervenuta la modifica: e questo significa che i termini che vincolano le parti sono dettati dal contratto modificativo, non più dal contratto originario. Allo stesso tempo, però, sappiamo che il contratto modificativo non può far sorgere nuove obbligazioni, perché, in tal
15 Il contratto modificativo non sostituisce la fonte regolatrice del rapporto, che resta quella originaria: questa caratteristica vale a distinguerlo dalla rinnovazione del negozio, che si realizza quando “il secondo negozio rinnova il primo, che è messo nel nulla e come fonte genetica e come fonte regolatrice del rapporto”: si veda (Irti, 1970), x. 000 xx.
xxxx, non si tratterebbe più di modifica, ma di costituzione di una nuova e diversa obbligazione.
Questa impostazione, che individua un effetto modificativo “puro”, o comunque autonomo rispetto all’effetto costitutivo o estintivo, consente di risolvere un’altra questione, e precisamente quella relativa al modo in cui si pone in essere la modifica.
A questo problema si potrebbero dare differenti risposte, anche lontane dall’impostazione che qui si è adottata. Infatti, se si attribuisse al contratto modificativo un contenuto corrispondente ad una prestazione di tipo esecutivo, avremmo come risultato quello di individuare nel contratto modificativo un contratto con un contenuto che sia, in misura minore o maggiore, equivalente a quello originario, e che contenga in più le modifiche che si vogliono apportare. Se così fosse, la modifica opererebbe o come sostituzione del secondo contratto al primo; o come una fusione tra il contratto originario e quello che chiamiamo modificativo. In quest’ordine di idee, dovremmo immaginare che il contratto modificativo di una vendita sia un’altra vendita, avente contenuto più o meno corrispondente a quella originaria. Prendiamo ad esempio il caso di una vendita non ancora eseguita: se, per ipotesi, si volesse modificare quantitativamente il contenuto del contratto originario, allora il cosiddetto contratto modificativo altro non sarebbe che una vendita equivalente alla prima, ma con il contenuto maggiorato. E’ chiaro che, in una simile prospettiva, è difficile capire se, di fatto, si sia operata la sostituzione del secondo contratto con il primo, oppure se i due contratti si siano, per così dire, fusi tra loro, in modo tale da determinare un cambiamento relativo solamente al profilo che si voleva modificare16.
Non si concorda con l’impostazione così descritta, e si propone una differente lettura del problema.
Xxxxxxx detto che il contratto modificativo non ha un contenuto di tipo esecutivo e questo impedisce di considerarlo come un contratto dal contenuto corrispondente, in diversa misura, a quello originario, sul quale
16 Sempre rimanendo nell’esempio proposto, ci dovremmo anche chiedere se sia opportuno parlare di ripetizione del negozio, relativamente alla parte che non è mutata. Per un approfondimento sul tema della ripetizione si richiama lo studio, ancora attuale di (Irti, 1970), p. 135 ss. Sui rapporti tra ripetizione, rinnovazione e riproduzione del negozio si rinvia a (Gorla, La riproduzione del negozio giuridico, 1933), p. 31 ss.
andrà ad incidere. Quello che si vuole evitare è di separare la finalità modificativa dallo strumento suo proprio, che è il (solo) contratto modificativo.
Una volta individuata una finalità di tipo modificativo, si potrebbe attribuire il ruolo di contratto modificativo a qualsiasi tipo di contratto, cioè ad un contratto che abbia un proprio contenuto determinato (un dare, un fare, o un non fare), e che, sostituito al contratto originario, vada a modificare la situazione giuridica preesistente. Così ragionando, è chiaro che, di fatto, si sia posta in essere una modifica, ma è altrettanto vero che questa non corrisponde al ricorso delle parti allo strumento del contratto modificativo.
Il concetto di modifica è più ampio di quello di contratto modificativo17, perché la modifica si può realizzare in tanti modi diversi, senza richiedere necessariamente l’utilizzo del contratto modificativo. Quando, però, si vuole ricorrere a tale ultimo strumento, è importante averne chiari i meccanismi di funzionamento.
L’unico contenuto che può assumere il contratto modificativo è quello di incidere sul contenuto del contratto originario, integrandone la portata, e in questo esaurisce la sua funzione. Si capisce, quindi, che l’effetto modificativo non si traduce in una prestazione dal contenuto di tipo esecutivo, come se si potesse individuare una “prestazione di modificazione del contratto”, ma agisce piuttosto come un’ulteriore prestazione di consenso, che influisce sul consenso originariamente manifestato.
Non è quindi possibile considerare il contratto modificativo come un contratto corrispondente a quello originario e dal contenuto più o meno simile, dal momento che il contenuto del contratto modificativo si esaurisce nell’effetto modificativo, risultando così estraneo a qualsivoglia altra prestazione. In base a questa impostazione, è possibile riconoscere un’autentica funzione modificativa, senza dover confondere il contratto modificativo con quello che è il risultato della modifica.
Siamo, infine, giunti ad affrontare il momento conclusivo della vicenda modificativa, che si articola in tre differenti fasi: quella iniziale, corrispondente al contratto originario; quella intermedia, avente ad oggetto
17 Se ne dimostra consapevole (Ghozi, 1980), p. 13 “Certes, la technique même de la modification n’est pas spécifiquement juridique puisqu’on la trouve dans un très grand nombre d’activités, comme imposée ou justifiée par l’ordre des choses.”
il contratto modificativo; e quella finale, relativa al contratto risultante dalla modifica. Una simile distinzione è possibile solo in linea teorica, ma si rivela utile in particolare per non confondere tra loro il contratto modificativo e il contratto finale. Quest’ultimo contiene in sé le modifiche che sono state apportate, e ciò consente di riconoscere una corrispondenza diretta tra il contratto finale e quello originario: entrambi sono contratti che hanno un contenuto di tipo esecutivo, a differenza del contratto modificativo, che invece ha ad oggetto solo l’imposizione di una modifica, cioè attiene al momento di prestazione del consenso tra le parti, non invece a quello operativo.
Mentre il contratto originario e quello modificato contengono una prescrizione di comportarsi in un certo modo, il contratto modificativo non obbliga le parti ad alcunché, ma si limita ad impostare diversamente il consenso originariamente prestato.
Quello che ci permette di vedere una continuità tra il contratto originario e quello finale, risultante dalla modifica, è il permanere di un vincolo di “impegnatività” tra le medesime parti, che muta o può mutare parzialmente di contenuto, ma non altera il rapporto che si è instaurato tra debitore e creditore.
In un certo senso, ammettere l’esistenza del contratto modificativo e, più in generale, la possibilità di modificare il vincolo obbligatorio tra le parti, costringe a pensare diversamente la natura del rapporto obbligatorio. Quest’ultimo, infatti, permane come vincolo sottostante tra il medesimo debitore e creditore, ma il suo contenuto concreto è suscettibile di mutare nel corso del tempo.
A fronte di questa considerazione si aprono due riflessioni.
La prima, è di carattere formale, e riguarda la modalità di formazione del contratto. Ci si domanda, in particolare, se la modifica vada in qualche modo ad alterare l’ordinario processo di formazione del contratto.
La seconda considerazione, invece, pone l’attenzione sul profilo sostanziale, e si interroga fino a dove possa spingersi la modifica del contratto, chiedendosi quale contenuto possa in concreto assumere.
3. Il contratto modificativo e l’autonomia procedimentale
Lo studio del contratto modificativo pone in discussione l’ordinario processo di formazione del contratto18, dal momento che realizza il passaggio da un contratto originario a quello finale, attraverso un processo di modificazione, che non fa venir meno l’identità del contratto di partenza. Abbiamo, infatti, visto che la distinzione tra contratto iniziale e quello modificato è solo teorica, perché si tratta sempre del medesimo contratto originario. Quest’ultimo, come sappiamo, non è stato eliminato dal contratto modificativo, e permane come unica fonte degli obblighi nascenti tra le parti, nonostante sia intervenuta una modifica delle modalità in cui le parti sono vincolate.
Sorge a questo punto una domanda, ed è quella di chiedersi se sia possibile prevedere, fin dall’inizio delle trattative, il contratto modificato come obiettivo avuto di mira dalle parti.
A questa impostazione si potrebbe obiettare che, se l’interesse delle parti è rivolto verso un determinato contratto, logica vorrebbe che si determinassero a concludere proprio quel contratto, e non un altro. Senza considerare, inoltre, che la modifica del contratto comporta costi non indifferenti per le parti, in termini di trattative e di tempo.
Se questo è vero, e se è altrettanto vero che la maggior parte delle modifiche derivano dalla necessità di affrontare degli interessi sopravvenuti e non esistenti al momento della conclusione del contratto, nulla però esclude che le parti abbiano già previsto la necessità di modificare il contratto iniziale, e quindi abbiano interesse ad avere un contratto programmato per svilupparsi in un modo determinato, ad esempio al verificarsi di certe circostanze19. Inoltre, anche nei casi in cui la modifica deriva da esigenze sopravvenute, non si può non riconoscere che attraverso il contratto modificativo si sta, in realtà, ponendo in essere un contratto diverso da quello iniziale, ed è proprio il modo di formazione di quest’ultimo contratto che richiede una riflessione.
18 Lo spunto nasce dalla lettura di (Xxxxxxxxx, 2002) e dalle sue osservazioni riguardo al riconoscimento di un certo grado di flessibilità grazie al quale è concesso ai privati di incidere sul modo di formazione o sulla struttura del contratto.
19 Si può notare la somiglianza con il contratto condizionale, che risulta fin dall’inizio programmato per svilupparsi in un certo modo: il verificarsi o meno di una determinata circostanza potrebbe – a seconda della natura sospensiva o risolutiva della condizione – realizzare un’evoluzione della vicenda contrattuale diversa dalla fisionomia iniziale che ha assunto il contratto.
Proviamo ad immaginare la vicenda modificativa assumendo una panoramica dall’alto, che tenga conto della progressione delle tre diverse fasi che abbiamo individuato. Attraverso una prospettiva diacronica, si nota che l’obbligazione, cui sono tenute le parti, muta nel tempo, e potremmo immaginare che l’interesse dei contraenti risieda proprio in questo passaggio graduale, da un contratto predisposto in un certo modo, alla sua modifica. Se così è, assume rilievo anche il modo in cui si forma il contratto modificato, che passa necessariamente tramite la fissazione del contratto originario e della sua successiva modifica.
In tal modo, il contratto modificativo verrebbe ad acquistare senso all’interno di una più ampia prospettiva, che si traduce in una modalità di formazione del contratto del tutto peculiare. L’aspetto procedimentale che regge la formazione del contratto modificato si articola in fasi distinte, per approdare al contratto risultante dalla modifica20.
Non si pongono simili problemi di natura procedimentale per la novazione, la quale, estinguendo l’obbligazione originaria, comporta la costituzione di una nuova e diversa obbligazione, che non ha più nulla da condividere con quella precedente.
Non è così, invece, per il contratto modificativo, che, come sappiamo, non rappresenta un modo di estinzione dell’obbligazione precedente, che resta in vita, e permane nonostante la sua modifica. E’ proprio la mancanza di un effetto estintivo del rapporto precedente, ad impedire la costituzione di una nuova obbligazione secondo un procedimento di formazione ordinario, realizzando un’evoluzione graduale della stessa obbligazione.
20 Visto nell’ottica della modalità di formazione dell’accordo, possiamo osservare che il contratto modificativo viene ad assumere il ruolo di un negozio di configurazione, “mediante il quale le parti esplicano facoltà procedimentali già previste dalla legge, o pongono regole nuove e diverse, mutando gli schemi formativi legali o creandone di nuovi”: si veda a proposito (Xxxxxxxxx, 2002) p. 425 ss. La distanza tra le due figure, però, è segnata dal fatto che mentre l’accordo di configurazione “si connota in ragione di proprie caratteristiche che discendono dalla natura procedimentale della sua funzione: che è quella di regolare lo svolgimento del procedimento formativo di un contratto che deve ancora essere concluso” (la citazione è sempre di (Xxxxxxxxx, 2002) p. 427); il contratto modificativo, o meglio, la fattispecie modificativa si sviluppa, invece,“in itinere”, nel tempo, ben potendo sorgere come un ordinario contratto, che solo successivamente si modifica: solo attraverso una considerazione ex post potremmo quindi cogliere una modalità di formazione del contratto del tutto peculiare.
4. Il contenuto della modifica: la salvaguardia dell’oggetto dell’obbligazione
Abbiamo visto quali sono le caratteristiche del contratto modificativo in un’ottica di tipo descrittivo, senza però aver individuato quale contenuto concreto possa assumere la modifica. La premessa da cui dobbiamo partire ha come capisaldi i due aspetti che, in base alla nostra impostazione, definiscono il contratto modificativo.
Il primo, riguarda l’assenza di un effetto di tipo eliminativo dell’obbligazione cui accede: il contratto modificativo non è un modo di estinzione dell’obbligazione originaria, che permane anche a seguito della modifica. Il secondo aspetto attiene, invece, alla mancanza di un effetto di tipo costitutivo: abbiamo infatti già osservato che il contratto modificativo non potrebbe diventare la fonte di una nuova obbligazione rispetto a quella originaria, a pena di perdere la sua funzione modificativa, e di dar vita ad un nuovo rapporto, che si aggiungerebbe a quello originario.
Poste queste premesse, non è facile individuare quale contenuto attribuire al contratto modificativo, così delineato. Possiamo ipotizzare due differenti soluzioni.
La prima è quella di considerare i vincoli sopra posti in modo rigoroso, applicando il criterio della mancanza di un effetto di tipo costitutivo di una nuova obbligazione. Potranno così rientrare a pieno titolo nella modifica del contratto le modifiche che riguardano il termine, il luogo dell’adempimento, le modalità di esecuzione della prestazione, oppure la rimozione o l’aggiunta di clausole accessorie.
Al contrario, non potranno essere qualificate come modifica tutte le alterazioni che incidono sull’oggetto dell’obbligazione, sia che sia inteso come bene materiale, sia come prestazione. In tali ipotesi, la tesi che si propone nega il ricorso al contratto modificativo, a vantaggio, invece, della figura della novazione dell’obbligazione oppure, qualora manchi l’intento estintivo, si realizzerà la costituzione di una nuova e diversa obbligazione, indipendente dalla prima.
A questa tesi si potrebbe contestare di seguire ossequiosamente una lettura troppo rigida dell’art. 1230 c.c., dal momento che arriva a negare cittadinanza alle modifiche oggettive non novative, non solo quando sia in
questione la prestazione, ma anche l’oggetto del contratto: in quest’ultimo caso, in particolare, vorrebbe dire escludere dal campo modificativo anche le cosiddette modifiche quantitative dell’oggetto. Cerchiamo di affrontare più approfonditamente i distinti profili della modifica quantitativa e qualitativa dell’oggetto.
Le modifiche quantitative dell’oggetto
Le modifiche, che attengono alla misura dell’oggetto o al quantum della prestazione, possono trovare una radice comune nella possibilità, in generale, di scindere il contratto e, più precisamente, di consentire la divisibilità della prestazione, oppure di porre in essere atti di disposizione sulla quota di un bene21. Si tratta, in entrambi i casi, di una medesima prospettiva, che ha riguardo al profilo quantitativo dell’oggetto del contratto, e valida qualunque sia la definizione di oggetto che assumiamo, come bene o come prestazione. Questi esempi, però, non fanno altro che confermare la possibilità di incidere, con diverse modalità, sull’oggetto del contratto, ma non danno alcuna indicazione circa la natura modificativa di tali operazioni.
Un’altra questione, dalla quale è bene fin d’ora prendere le distanze, è quella che riguarda la riduzione del prezzo a seguito dell’esperimento della garanzia per vizi: alcuni autori22 hanno infatti attribuito all’azione estimatoria una funzione modificativa, motivando dalla variazione quantitativa che subisce il prezzo originariamente pattuito23.
Non si condivide una simile opinione, per due ordini di ragioni: in primo luogo, si può notare che la riduzione del prezzo in conseguenza dei vizi non comporta una modifica del regolamento contrattuale, ma incide unicamente sulla fase esecutiva della prestazione. Ma, qualora la distinzione tra la previsione contrattuale e il momento della sua esecuzione non convincesse,
21 Sul punto si veda (Ceolin, 2014) p. 9 ss.
22 (Xxxxx, 1980) p. 24 cita l’azione estimatoria come esempio di modificazione dell’oggetto del contratto.
23 Da osservare che in un ordinamento molto simile al nostro, come quello francese, alcuni Autori hanno visto nell’azione estimatoria un modello di risoluzione parziale: si veda ad es. (Xxxxxxx & Xxxxxx, 1990), secondo i quali, a p. 815, “l’action estimatoire, qui conduit à une réduction du prix, a les effets de la réfaction, mode de résolution partielle consacré par la jurisprudence”. Di contrario avviso è (Xxxxxxx-Xxxxxx, 2003), p.171, che tiene distinte le due fattispecie, dal momento che non riscontra nell’azione estimatoria un effetto estintivo, che, invece, dovrebbe caratterizzare la risoluzione parziale.
si porta un’altra argomentazione per negare la natura modificativa della riduzione del prezzo a seguito dell’azione estimatoria.
Le tesi, che considerano l’actio aestimatoria come una modifica del contratto24, si focalizzano unicamente sulla riduzione del prezzo, ossia sulla prestazione di carattere pecuniario, che, in sé, non subisce alcun vizio. Resta, invece, in ombra la prestazione che è viziata, che, a logica, costituisce il presupposto per la successiva richiesta di riduzione del prezzo. A questo punto, coerenza vorrebbe che la modifica ricada non solo sulla prestazione che non è viziata, ossia sulla prestazione di pagare il prezzo, ma anche sulla prestazione che risulta viziata. Anche così ragionando, si deve concludere che, se a fronte della prestazione di un bene viziato si procedesse alla modifica del prezzo, quello che solo in apparenza potrebbe sembrare un vantaggio per il compratore, si rivelerebbe in realtà una rinuncia alla disciplina dei vizi, che gli garantisce una tutela non solo in termini di riduzione del prezzo, ma anche in via di risarcimento. Infatti, nessun risarcimento sarebbe più dovuto, se le parti acconsentissero a modificare il contratto, ossia a considerare, come una modifica volontaria, quello che invece è un difetto a livello di esecuzione della prestazione.
La modifica successiva avrebbe infatti l’effetto di “sanare” il vizio25, il quale non sarebbe più tale, ma andrebbe considerato come una esecuzione corretta del contratto, così come successivamente modificato. Al contrario, è proprio il fatto che il contratto non muta, a consentire di qualificare come
24 La questione non è priva di rilevanza, se è vero che ha portato le Sezioni Unite della Cassazione a pronunciarsi e ad affermare che in tema di compravendita, l’impegno del venditore di eliminare i vizi che rendano il bene inidoneo all’uso cui è destinato, o che ne diminuiscano in modo apprezzabile il valore economico, di per sé non dia vita ad una novazione oggettiva dell’originaria obbligazione di garanzia, e hanno attribuito a tale dichiarazione il solo effetto di consentire al compratore di non soggiacere ai termini di decadenza di cui all’art. 1495 c.c. in sede di esercizio dell’azione di riduzione del prezzo o di risoluzione del contratto: si rinvia a Cass. S. U. 13294/2005. Sul punto si richiama (Xxxxxxxx, 2010), p. 40 ss., in cui con riferimento all’impegno del venditore di eliminare i vizi afferma che “La questione è se l’assunzione di detto impegno dia luogo ad una novazione oggettiva del rapporto, sostituendo all’originaria obbligazione di garanzia ex art. 1490 c.c. una nuova obbligazione, avente ad oggetto appunto l’eliminazione dei vizi, oppure costituisca una diversa modalità di esecuzione dell’originaria e persistente obbligazione di garanzia.” Si rinvia altresì a (Xxxxxxx, 2006), p. 2423 ss.
25 In quest’ordine di idee, assume un ruolo decisivo il fatto che si sia realizzato un inadempimento, ossia un’esecuzione errata della prestazione. Una volta che sia intervenuto l’inadempimento, il contratto non può più essere modificato, e le vicende che riguardano la fase successiva alla erronea esecuzione non potranno più essere “sanate” con l’espediente del contratto modificativo. Questo aspetto sarà maggiormente approfondito oltre, in tema di modifica del termine di adempimento del contratto.
viziata la prestazione che non corrisponde a quella prevista e, di conseguenza, a legittimare la parte che l’ha ricevuta a promuovere l’azione estimatoria. Da questi motivi non può che negarsi la possibilità di attribuire una funzione modificativa del contratto alla riduzione del prezzo in conseguenza dei vizi.
Se torniamo a concentrarci sulle modifiche quantitative, noteremo che è possibile portare un argomento in grado di confutare la loro presunta irrilevanza. Si potrebbe infatti osservare che anche la più minima modifica della quantità è suscettibile di essere ripetuta un’infinità di volte, così da incidere grandemente sull’entità della prestazione, fino ad azzerarla, in caso di modifica in diminuzione; oppure fino a stravolgere il contratto originario, in caso di modifica in aumento.
Se così è, per continuare ad ammettere la possibilità di realizzare una modifica quantitativa dell’oggetto tramite il contratto modificativo, dovremmo introdurre dei limiti a tale tipo di modifica nel quantum, come potrebbe essere, ad esempio, il raggiungimento, in eccesso o in difetto, della metà della prestazione originaria, o di una qualsiasi altra sua frazione.
Come è facile intuire, non si condivide tale impostazione, dal momento che, con simili tentativi, non si farebbe altro che cercare di quantificare la rilevanza della modifica, utilizzando un criterio che, se in sé è oggettivo, trattandosi di un limite numerico, la sua fissazione, tuttavia, è quanto di più soggettivo possa esserci: non è chiaro infatti come si possa essere certi che la modifica della metà, o di un terzo o di un quinto di una data prestazione sia irrilevante, mentre non lo sia la medesima frazione aumentata di una sola unità, ossia appena superato il limite indicato.
Al di là di questo aspetto, si vuole rilevare che un simile tentativo ha come presupposto un’impostazione completamente opposta rispetto a quella che, invece, si condivide. Il tentativo di trovare un contenuto obiettivo alla soglia di rilevanza della modifica ci riporta a scontrarci con la difficoltà di individuare non solo un criterio univoco per tracciare il confine tra la modifica rilevante e quella irrilevante, ma soprattutto implica la possibilità di poter definire che cosa si intenda per rilevanza della modifica. La scelta sulla quale si è impostata la presente indagine è, invece, quella di individuare la creazione di un effetto di tipo costitutivo o estintivo e, in caso
positivo, negare la possibilità di attribuire un simile contenuto al contratto modificativo, in favore di altre figure. In tal modo, si introduce un indice obiettivo che consente di abbandonare il criterio della rilevanza della modifica, che abbiamo visto fondarsi su basi poco solide e non facilmente individuabili.
Le difficoltà appena osservate si rivelano ineliminabili, se si attribuisce al contratto modificativo la possibilità di incidere quantitativamente sul contenuto del contratto. In una simile ipotesi, infatti, dovremmo riuscire ad individuare quale sia il limite oltre il quale la modifica non è più tale, ma assume così rilevanza da alterare il contenuto del contratto, con il risultato di intrappolare l’indagine in un problema senza soluzione.
Si può invece affermare che la modifica quantitativa comporta un effetto di tipo costitutivo, in caso di aumento; viceversa, in caso di riduzione, produce un effetto di tipo eliminativo26 dell’oggetto del contratto, ragion per cui, in base all’impostazione sopra adottata, dovremmo concludere per l’impossibilità di ricondurre tali operazioni allo strumento del contratto modificativo, rigorosamente inteso. Ad ulteriore sostegno di questa tesi, si potrebbe osservare che l’alterazione del profilo quantitativo del contenuto contrattuale non si riduce ad una mera operazione di calcolo aritmetico, ma incide bensì sulla misura dell’obbligo assunto dal debitore, comportando una diversa valutazione dell’impegno da questo inizialmente previsto.
Le modifiche qualitative dell’oggetto
Diversamente bisogna argomentare per quanto riguarda le modifiche di tipo qualitativo, rispetto alle quali non si tratta di variare il quantum della prestazione, ma il quid. Anche in tal caso, l’impostazione che adottiamo consente di considerare l’oggetto del contratto indifferentemente come bene oppure come prestazione: non si condivide, infatti, la tesi di chi considera meno rilevante la modifica del bene, come se fosse semplicemente una “sostituzione” priva di spessore giuridico, ma, al contrario, si crede che anche questa ipotesi si presti ad un maggior approfondimento.
26 A sostegno di questa tesi si può portare la riflessione di Gorla, che ricostruisce in termini di remissione la modifica quantitativa per riduzione dell’oggetto: si veda (Gorla, 1952) p. 342; mentre riconduce allo schema della donazione, pur senza lo spirito di liberalità, le ipotesi di modifica quantitativa per aumento: si veda p. 276 (Gorla, 1966).
Si potrebbe osservare che non sono estranee al nostro ordinamento le ipotesi in cui il bene oggetto della prestazione muti rispetto a quello che era stato originariamente previsto: si potrebbe portare l’esempio della sostituzione di bene viziato oppure della surrogazione reale, come modelli per suffragare l’ammissibilità di una modifica oggettiva che – sicuramente in tali casi – non importa novazione27. Una simile impostazione non pare condivisibile, almeno per quanto riguarda la riconducibilità al fenomeno modificativo dei due esempi sopra proposti.
Più precisamente, per quanto riguarda la sostituzione dell’oggetto viziato, si nega la sua qualificazione in termini di modifica, dal momento che la consegna di un bene difettoso attiene al momento dell’esecuzione del contratto e, come tale, non sarebbe in grado di influire sul regolamento contrattuale. Le vicende che riguardano l’esecuzione contrattuale non vanno ad incidere sulla previsione così come è stata inizialmente predisposta dalle parti: tanto è vero che l’esecuzione potrebbe persino non esserci, ma, anche in tal caso, il contratto non subirebbe alcuna modificazione.
Inoltre, in maniera analoga a quanto osservato per l’azione estimatoria28, si deve notare che lo stesso rimedio della sostituzione del bene viziato presuppone l’esistenza immutata del contratto originario, che funge da termine di confronto rispetto al quale valutare l’idoneità o meno del bene effettivamente consegnato.
Una diversa prospettiva, invece, è da assumere con riguardo alla surrogazione reale, rispetto alla quale non si nega la vicinanza alla fattispecie modificativa, ma ci si limita a rilevarne i fattori di divergenza. Due sono gli elementi da prendere in considerazione.
27 Per un’analisi dettagliata dell’argomento di rinvia a (Xxxxxxx, 1999), p. 238 ss., che ricostruisce in termini di problematicità il rapporto tra surrogazione reale e novazione. In particolare, è con riguardo alla cosiddetta surrogazione in senso lato, ossia all’ipotesi che ricorre nel caso in cui il nuovo bene risulti incompatibile con il diritto originario e quindi il nuovo rapporto giuridico appaia diverso da quello precedente, che si riscontrano opinioni divergenti. Parte della dottrina ha ricondotto anche questa ipotesi alla surrogazione: si veda (Xxxxxxxxx, 1971), p. 696; invece, altri Autori hanno negato una simile possibilità: per tutti, si richiama (Xxxxxxx, 1990), p. 1502, secondo cui “La necessità perché vi sia surrogazione reale del trasferimento del diritto da un bene ad un altro porta all'impossibilità di ricomprendere nella nozione in esame quelle vicende in cui, a causa di una incompatibilità del diritto originario con il nuovo bene, il mutamento oggettivo comporta l'estinzione del diritto e la nascita di un nuovo diritto avente ad oggetto il nuovo bene. La surrogazione reale, in altri termini, opera solo se il bene oggetto del diritto è fungibile o quantomeno convertibile in danaro.”
28 Si noti il parallelismo tra le due argomentazioni, tale da escludere in ogni caso la loro riconducibilità alla modificazione del contratto.
Il primo profilo consiste nell’osservare che la surrogazione interviene in quei casi in cui il bene inizialmente previsto viene meno per ragioni indipendenti dalla volontà delle parti. Si pensi, ad esempio, al caso di perdita della detenzione della cosa per fatto non imputabile al depositario (art. 1780 c.c.), oppure all’ipotesi di alienazione della cosa in buona fede da parte dell’erede del depositario (art. 1776 c.c.): in questi casi, potremmo attribuire alla surrogazione reale un ruolo simile a quello di rimedio per le sopravvenienze, dal momento che funge da risposta che l’ordinamento appresta per quelle situazioni nelle quali il bene originario non può essere restituito a causa di eventi non inizialmente previsti dalle parti.
Il secondo elemento da considerare riguarda il fatto che, nel caso di surrogazione reale, il bene non assume importanza per sé stesso, ma per il valore economico che esprime29. Questo profilo, in particolare, ci permette di affrontare un argomento che si rivela decisivo anche per la riflessione sul contratto modificativo.
La possibilità di surrogare un bene con il suo valore economico assume due diversi significati: dal punto di vista dell’oggetto considerato, assume la funzione di una liquidazione; dal punto di vista del rapporto tra le parti, assume un significato più importante, perché si traduce in un giudizio di equivalenza tra il bene e il suo valore, introducendo nel rapporto contrattuale il concetto di fungibilità30 dell’oggetto.
La sostituzione del bene originario è possibile perché le parti considerano equivalente ricevere l’uno invece che l’altro, perdendo importanza il fatto che la sostituzione sia realizzata con denaro31 o con un bene diverso. Se il
29 Si legge in (Xxxxxxx, 1999), p. 241, che “La dottrina ravvisa il fondamento della surrogazione reale nell'inerenza dell'interesse giuridicamente protetto al valore economico della cosa”. Sul punto si segnala anche (Esu, 1993), p. 2 ss., che conferma che la surrogazione reale trova applicazione in tutti i casi in cui l'ordinamento giuridico considera meritevole di tutela l'interesse del titolare del diritto al conseguimento del valore economico del bene.
30 Si veda (Magazzù, 1990), p. 1504 “occorre che l’oggetto del diritto (il bene in senso giuridico), corrispondente all’interesse astrattamente tipizzato dalla norma, consenta il mutamento del suo elemento materiale (la cosa); occorre cioè che questo elemento materiale sia per così dire fungibile e al limite convertibile in valore pecuniario, appunto quanto accade nella maggior parte delle ipotesi: allora si ha un vero mutamento nell’oggetto del diritto ossia uno svolgimento interno della situazione giuridica non un mutamento del diritto una sua trasformazione, o tantomeno, una sorta di novazione”.
31 (Xxxxxxxxx, 1971), p. 975 “Al dato fenomenico del succedere, nella realtà economica, di una somma di denaro ad una cosa, o viceversa, corrisponde, nella valutazione dell’ordinamento, un’ipotesi di surrogazione reale, in tutti i casi in cui si presenti come meritevole di tutela giuridica l’interesse al conseguimento del valore economico della cosa.
criterio che rende possibile la surrogazione risiede nel giudizio di equivalenza operato dalle parti, nulla impedisce che una simile valutazione possa essere rivolta anche all’intera prestazione oggetto del contratto.
La fungibilità di un elemento con un altro si basa, infatti, su una valutazione di tipo soggettivo, che, in quanto tale, potrebbe abbracciare qualsiasi tipo di variazione, senza incontrare limiti, al di fuori della mera volontà delle parti. Xxxxxxxx, però, che non è così, perché la legge stessa, nel momento in cui ammette la surrogazione, ne disciplina anche il contenuto, fornendo in tal modo un indicatore in grado di segnalare i limiti che si impongono alle parti nel porre in essere tale tipo di operazione. Nelle varie ipotesi di surrogazione reale, la legge consente la sostituzione del bene originario con il corrispettivo ricevuto dal debitore per la sua alienazione (artt. 535 e 1776 c.c.), oppure con la prestazione di quanto il debitore abbia conseguito dal terzo a titolo di risarcimento (artt. 1259 e 1780 c.c.).
Si capisce, quindi, che la surrogazione reale ha sempre come punto di riferimento il valore obiettivo del bene che viene surrogato, non contemplando, invece, alcuna ipotesi di modifica svincolata dai parametri che segnano il valore economico del bene iniziale. Nulla di tutto ciò potrebbe essere più distante rispetto alla libera modificabilità del bene oggetto della prestazione.
Questa riflessione ci riporta ad affrontare il tema del contratto modificativo e del contenuto che può assumere la modifica.
La surrogazione reale e la fungibilità del bene sono argomenti che si prestano ad essere riproposti anche in merito alla possibilità di modificare l’oggetto del contratto, senza alterarne la sua originaria identità32. E questo è
[...] Il fondamento dei due aspetti del fenomeno giuridico, riassumibile nella nozione di surrogazione reale, e cioè del permanere dell’identità del rapporto, allorché di questo la novità dell’oggetto non ne alteri la struttura, o del nesso di derivazione del nuovo rapporto da quello preesistente, va dunque individuato nell’inerenza dell’interesse giuridicamente protetto, in via primaria o anche in via succedanea, al valore economico della res”.
32 Si prenda ad esempio la ricostruzione che fa (Ghozi, 1980) del contratto modificativo, in cui assume particolare rilevanza l’elemento della fungibilità: egli propone una teoria della doppia fungibilità, non solo tra gli oggetti, ma anche tra l’oggetto e la causa. Si veda p. 33 “C’est pourquoi le succès de la modification – sans altération du rapport de droit- suppose nécessairement, outre la fongibilité des objects entre eux, le respect du rapport instrumental existant entre l’objet et la cause. Ce n’est qu’à cette double condition que le nouvel objet
<<paiera>> le rapport jurudique originaire. La conservation du rapport juridique originaire impose donc l’équivalence des objets entre eux tant pour leur valeur satisfactoire aux yeux des parties que pour leur rôle instrumental par rapport à la cause. C’est ce que nous appellerons la double fongibilité.” E prosegue, a p. 34 “Ici la fongibilité est parfaite
vero se pensiamo al fatto che l’intera riflessione sul contratto modificativo dell’oggetto ruota attorno ad un’unica grande domanda, che è quella di chiedersi se possano i contraenti operare un giudizio di equivalenza tra due beni distinti, ritenuti, però, fungibili dalle parti.
La fungibilità si rivela come l’elemento chiave nella distinzione tra contratto modificativo e novazione, dal momento che è in grado di annullare la distanza tra due beni che sono oggettivamente distinti e, quindi, di fornire una risposta alla domanda che possiamo ricavare dalla lettura a contrario dell’art. 1230 c.c., ossia: quando l’xxxxxxx00 dell’obbligazione non è diverso da un altro? Quando è fungibile.
In altre parole, si tratta di capire se ci siano limiti alla libera fungibilità del bene oggetto dell’obbligazione, oppure tale facoltà sia affidata alla sola discrezionalità dei contraenti. E’ chiaro infatti che, in un caso, si potrebbe ammettere la sostituzione di un bene diverso a quello originario, senza però incidere sull’obbligazione; nell’altro caso, invece, dovremmo negare tale possibilità, ricadendo nella novazione o nella costituzione di una nuova obbligazione.
Resta da osservare che un simile ragionamento si presenta negli stessi termini anche laddove la modifica riguardi la prestazione: il giudizio di fungibilità può rivolgersi anche alla prestazione, qualora le parti la ritengano equivalente ad una diversa34.
Se è vero che, come abbiamo detto, il giudizio sulla fungibilità si rivela un fattore determinante per l’analisi sul contratto modificativo, è altrettanto vero che questo non consente di giungere ad una soluzione univoca del problema. Basti pensare al fatto che, anche ammettendo la libera fungibilità ad opera delle parti, bisognerà sempre prevedere un limite al di là del quale il contratto originario perde la propria identità35. E’ proprio
puisqu’on trouve la double équivalence des objets tant au regard de leur valuer satisfactoire pour les parties que du rôle qu’ils jouent dans la convention: permettre la réalisation de son but”.
33 In questa sede si è deciso di non dedicare spazio alla riflessione sulla modifica del titolo del contratto, che si presta a differenti argomentazioni.
34 A tal proposito, si può cogliere la vicinanza con la figura della prestazione in luogo dell’adempimento, di cui ci occuperemo più approfonditamente in un apposito capitolo, mettendone in evidenza la rilevanza che assume il giudizio di equivalenza operato dalle parti tra due distinte prestazioni.
35 Scorge questo problema anche (Ghozi, 1980), il quale, sebbene ammetta la libera fungibilità degli oggetti tra loro, tuttavia sente la necessità di inserire un ulteriore limite,
nell’individuazione di questo limite alla possibilità di operare un giudizio di fungibilità, che risiede il principale ostacolo che impedisce di riconoscere nel concetto di fungibilità l’elemento chiarificatore della ricerca in tema di contratto modificativo.
Il limite alla fungibilità, infatti, non può che risiedere, in via generale, nel mantenimento dell’identità del contratto originario: in tal modo, però, emerge con tutta evidenza il carattere non risolutivo del concetto di fungibilità rispetto al problema teorico che costituisce la base della presente indagine. Se l’intento era quello di riuscire a capire quando si abbia novazione o contratto modificativo, il criterio di fungibilità ci ripropone proprio quella difficoltà che, invece, avrebbe dovuto spiegare, ossia quella di individuare quando l’accordo originario non possa più dirsi tale a seguito di una modifica.
Il rischio che si ripresenta adottando il criterio della fungibilità è quello di affiancarlo alla valutazione di rilevanza, per cui, quando la fungibilità porta ad una modifica non rilevante, allora si dovrebbe rimanere nei confini del contratto modificativo; mentre, quando si supera il giudizio di rilevanza, allora non sarebbe più possibile ricondurre la modifica al contratto originario. Si capisce, però, che una simile soluzione non consente di fare alcun passo in avanti nell’individuazione del contratto modificativo.
E’ in quest’ottica che si coglie, invece, l’utilità dell’impostazione che abbiamo adottato, consentendoci di abbandonare il criterio della rilevanza della modifica, che di per sé si è rivelato poco efficace, dal momento che lascia persistere un ventaglio di situazioni che non riesce a decifrare. Si preferisce, a questo punto, affidare l’appartenenza o meno alla sfera del
che consiste nel cambiamento della qualificazione giuridica del rapporto. Si veda p. 35 “que le débiteur délivre une barque ou une motocyclette, il aura toujours accompli une vente de meubles corporels. Ausse, dans ce cas, seule la vérification que l’objet substitué permet d’atteindre le but en vue duquel l’acte a été initialement conçu révèlera si la modification a compromis le maintien du lien de droit. En revanche, on porrai penser que le changement de la qualification de l’acte à la suite de sa modification fournit une preuve irréfutable de sa destruction car l’acte modifié est alors manifestement distinct de l’acte original. Le changement de la qualification constituerait ainsi un nouveau critère qui se joindraitt à celui tiré de la double fongibilité pour contôler si la modification n’a pas détruit le lien de droi.” Non si concorda, però, con una tale impostazione, dal momento che il fatto di inserire il criterio della qualificazione giuridica significa considerarlo un elemento intrinseco dell’obbligazione, trattandosi invece di una determinazione che resta in certo senso al di fuori del potere delle parti. Più incisivo, invece, è il riferimento allo scopo per il quale l’atto è stato inizialmente convenuto: ma è chiaro che ogni sostituzione di un bene diverso a quello originario muta lo scopo economico cui l’atto è rivolto, anche se, per ipotesi, si restasse all’interno dello stesso tipo contrattuale.
contratto modificativo ad un criterio di tipo oggettivo, che consiste nel chiedersi se la modifica apportata dalle parti abbia efficacia di tipo costitutivo o eliminativo dell’obbligazione e, in caso positivo, si dovrà negare la sua riconduzione al contratto modificativo.
Assunta questa chiave interpretativa, non ci resta che applicarla al caso in esame, e quindi capire se la sostituzione dell’oggetto dell’obbligazione con uno diverso produca come effetto la costituzione di una nuova e diversa obbligazione.
A questa domanda si può dare una riposta affermativa, se si attribuisce all’oggetto dell’obbligazione un ruolo, per così dire, identificativo della obbligazione di appartenenza, in modo che, se cambia l’oggetto, cambia anche l’obbligazione. Si deve, così, concludere che la sostituzione dell’oggetto non possa dare luogo ad un contratto modificativo.
In base a questa impostazione, non assume importanza la volontà delle parti di considerare fungibile un oggetto con un altro, per cui, anche nel caso di sostituzione consensuale, non si realizzerà un contratto modificativo, ma, a seconda dei casi, si avrà una novazione, se viene anche eliminata la prima obbligazione; oppure si avrà la costituzione di una nuova obbligazione accanto alla precedente. L’elemento che prevale è quello della esistenza di un effetto di tipo costitutivo (che può o meno essere affiancato ad un effetto eliminativo) e che, dove presente, non consente di realizzare una semplice modifica del contratto.
A nulla vale la volontà delle parti, perché esse non potranno chiamare “modificativo” un contratto che ha come effetto quello di costituire o di eliminare un’obbligazione, e non semplicemente di modificarla. Il criterio, che ci consente di distinguere il contratto modificativo da altre figure, risiede proprio nell’individuazione dell’effetto che tale contratto produce: effetto che, in una certa misura, è indipendente dalla volontà delle parti. Queste ultime, infatti, vorranno sostituire l’oggetto dell’originaria obbligazione con un altro, e la loro volontà sarà diretta non tanto all’effetto contrattuale, ma al fine, al risultato che hanno di mira, ossia quello di sostituire l’oggetto della precedente obbligazione. Il fatto che la sostituzione dell’oggetto dell’obbligazione comporti anche la costituzione di una nuova obbligazione, e non consenta invece la “trasformazione” di quella
precedente, è un elemento al quale le parti non possono sottrarsi e dal quale dipende, come abbiamo visto, l’impossibilità di configurare un contratto modificativo.
A sostegno della tesi per cui la modifica dell’oggetto del contratto non possa essere realizzata attraverso la fattispecie modificativa, si può osservare che la sostituzione dell’oggetto incide sull’impegno inizialmente assunto dal debitore.
Si sostiene, infatti, che la modifica del bene comporta l’alterazione della iniziale valutazione di impegnatività legata alla prestazione originariamente pattuita, in termini (non solo) di costo, ma anche di maggiore o minore facilità a reperire il bene diverso, e, in ogni caso, di responsabilità del debitore.
Tale alterazione del rapporto tra le parti si riflette immediatamente anche nella relazione con gli eventuali garanti, che avevano assunto l’impegno rispetto ad un preciso bene, cambiando il quale, non dovrebbero più essere tenuti a garantire per un bene diverso. La modifica del bene oggetto dell’obbligazione garantita non è un fatto neutro, ma determina la liberazione dei fideiussori che vedono cambiare l’obbligazione per la quale inizialmente avevano prestato la garanzia.
Diversamente argomentando, cioè sostenendo che i garanti restano vincolati, anche a fronte della modifica dell’oggetto dell’obbligazione garantita, dovremmo ammettere che l’obbligazione di garanzia sia prestata “in bianco”, ossia indipendentemente dall’identità dell’obbligazione garantita, lasciando i garanti in balìa della volontà dei contraenti principali di modificare a piacimento l’obbligazione iniziale. Ma una simile conclusione non è ammissibile, perché priva i garanti di qualsiasi tutela, addirittura costringendoli a mantenere le garanzie per un rapporto sottostante che è mutato rispetto al suo contenuto essenziale, ossia l’oggetto. In questa ipotesi, infatti, non si tratta della modifica di un elemento accessorio o della modalità di esecuzione del contratto, ma abbiamo di fronte una modifica essenziale dell’obbligazione, tanto è vero che – in base all’impostazione adottata – non si può parlare di contratto modificativo, ma di costituzione di una nuova obbligazione. Se così è, allora, è chiaro che rispetto alla nuova obbligazione non è possibile predicare l’esistenza di
alcun vincolo dei precedenti garanti: questi ultimi avranno, invece, diritto di valutare la nuova situazione debitoria e decidere di prestare o meno garanzia, ma non potranno essere tenuti in base alla garanzia prestata per l’obbligazione originaria.
Siamo, così, arrivati al momento di trarre le conclusioni in base a questa prima, più rigorosa, impostazione. Il punto di partenza risiede nella definizione di contratto modificativo come quel contratto che non possiede un contenuto di tipo costitutivo o eliminativo dell’obbligazione. Attenendoci a questa definizione, il metodo utilizzato è stato quello di studiare i vari tipi di modifiche che le parti possono apportare, al fine di individuare se queste comportano la costituzione di una nuova obbligazione o l’eliminazione di quella originaria: è, infatti, nell’individuazione di un effetto costitutivo o eliminativo che risiede il criterio per capire se la modifica in questione possa essere realizzata attraverso un contratto modificativo oppure no.
In base a questo criterio, è quindi stato possibile attrarre nel campo del contratto modificativo le modifiche del tempo e del luogo dell’esecuzione e delle altre modalità dell’adempimento, trattandosi di modifiche che non importano un effetto costitutivo o eliminativo dell’obbligazione.
Al contrario, si è osservato che le modifiche relative all’oggetto dell’obbligazione, sia esso inteso come bene oppure come prestazione, comportano un effetto di tipo costitutivo di una nuova obbligazione, sia quando incidano sul quantum dell’oggetto, sia quando ne modifichino qualitativamente il contenuto. Ne deriva, quindi, che le modifiche apportate all’oggetto dell’obbligazione restano escluse dall’ambito del contratto modificativo.
Questa conclusione segna una presa di posizione piuttosto forte nel dibattito riguardo all’ammissibilità o meno di un contratto modificativo dell’oggetto che non importi novazione. Secondo la posizione qui adottata, infatti, dovremmo escludere la possibilità di configurare la modifica dell’oggetto in termini di contratto modificativo, cedendo il posto, a seconda dei casi, alla novazione, qualora ci sia la volontà di eliminare la precedente obbligazione; oppure alla costituzione di una nuova obbligazione accanto all’antica. Questa impostazione, però, non è l’unica possibile, ragion per cui ci
riserviamo di prendere una posizione nel dibattito, solo dopo l’analisi di una differente configurazione del problema.
5. L’analisi di una diversa ipotesi: l’ammissibilità del contratto modificativo dell’oggetto
Come anticipato, si affronterà ora un’impostazione alternativa rispetto a quella finora descritta, che prenda in considerazione la possibilità di realizzare un contratto modificativo dell’oggetto dell’obbligazione. L’ammissibilità di una simile ipotesi potrebbe essere argomentata, aggirando il principale ostacolo che, in base alla tesi contraria (e qui sostenuta), impedirebbe la configurazione di una modifica dell’oggetto attraverso lo strumento del contratto modificativo.
Abbiamo, infatti, osservato che un contratto modificativo, per dirsi tale, deve avere come contenuto la sola modifica dell’obbligazione e, di seguito, abbiamo ritagliato una definizione di modifica in senso tecnico dalla lettura dell’art. 1321 c.c., per cui la modifica dovrà essere priva di un effetto di tipo costitutivo o estintivo dell’obbligazione. Posta questa premessa, l’osservazione per cui la modifica dell’oggetto dell’obbligazione comporta un effetto non semplicemente modificativo, ma costitutivo ed eventualmente anche eliminativo dell’obbligazione originaria, ha imposto una conclusione necessaria, ossia quella di escludere la modifica dell’oggetto dell’obbligazione dal campo del contratto modificativo.
A ben guardare, è possibile giungere ad una differente conclusione, pur lasciando inalterate le due premesse appena viste: ossia la prima, che nega al contratto modificativo un contenuto di tipo costitutivo o eliminativo; e la seconda premessa, in base alla quale la modifica dell’oggetto comporta un effetto costitutivo e/o eliminativo. Potremmo, infatti, imputare la modifica dell’oggetto non in capo al contratto modificativo, ma al contratto originario, recuperando, così, una prospettiva che tiene astrattamente separate le fasi relative al contratto originario, al contratto modificativo e al contratto risultante dalla modifica.
Se è vero che, da una parte, come abbiamo visto, al contratto modificativo è impedito di realizzare effetti costitutivi o eliminativi dell’obbligazione;
dall’altra parte, è altrettanto vero che nulla impedisce al contratto originario di porre in essere un simile contenuto. In tal modo, la modifica dell’oggetto dell’obbligazione, che comporta, di per sé, un effetto costitutivo e, in alcuni casi, anche eliminativo della precedente obbligazione, viene prodotta dal contratto originario, così come risulta a seguito del contratto modificativo.
Questa impostazione ci consente, così, di distinguere tra contratto originario, al quale vengono imputati tutti i nuovi effetti che le parti vogliono realizzare; e contratto modificativo, che si limita ad assumere un ruolo meramente strumentale, di integrazione del regolamento contrattuale originario, ma privo di una vis produttiva di effetti.
Abbiamo così dimostrato, da un punto di vista formare, l’ammissibilità di un contratto modificativo dell’oggetto dell’obbligazione o, più correttamente, visto che l’effetto modificativo non è prodotto direttamente dal contratto modificativo, la possibilità di modificare l’oggetto dell’obbligazione attraverso una fattispecie modificativa.
Una simile soluzione, però, lascia spazio ai dubbi che già ampliamente abbiamo manifestato, in particolare in merito all’esistenza di un medesimo contratto che, da un certo momento in poi, muti il proprio contenuto36.
Se, però, ritenessimo possibile che, all’interno di un medesimo contratto, si modifichi l’oggetto dell’obbligazione, dovremmo fermarci a riflettere su due aspetti in particolare.
1- Il primo punto riguarda la riformulazione del concetto di fungibilità, in termini non più soggettivi, ma oggettivi: non basterebbe, infatti, un giudizio di equivalenza realizzato dalle parti, ma sarebbe necessaria una previsione legislativa, che configuri, come astrattamente possibile, il mutamento dell’obbligazione con un’altra, restando invariato il contratto principale.
A sostegno di questa tesi potremmo ulteriormente osservare che la modifica dell’oggetto dell’obbligazione, se – come si crede – determina la modifica dell’obbligazione stessa, non necessariamente, però, ha ripercussioni sul
36 Questa direzione di indagine potrebbe essere suggerita dai casi di trasformazioni societarie, di cui in questa sede non ci occuperemo: basti qui evidenziare il fatto che si tratta di una disciplina speciale che non può essere presa a modello per la ricostruzione di un paradigma generale di contratto modificativo: si veda ad es. l’esplicito riferimento contenuto nell’art. 2498 c.c. alla continuità dei rapporti giuridici tra l’ente che ha effettuato la trasformazione e quello che ne è risultato.
contratto principale. In questa direzione, ossia nel senso del mantenimento dell’identità del contratto principale nonostante la variazione di sue obbligazioni, si collocano tutti quei casi che riconoscono il contratto come entità suscettibile di essere considerata parziariamente37, e non (solo) nella sua totalità. Il riferimento è alle ipotesi di nullità38 o annullabilità39 parziale del contratto: in tutti questi casi il contratto mantiene la propria identità originaria nonostante una sua parte40, che potrebbe essere una sua obbligazione, sia dichiarata nulla o annullabile.
Queste ipotesi aprono la strada verso una concezione del contratto in termini non più rigorosamente fissati al momento della sua conclusione; tuttavia, a ben guardare, non tracciano una via percorribile per quanto riguarda la modificabilità del contratto. La nullità e l’annullabilità parziale41, infatti, agiscono sul contratto in senso eliminativo, riducendone il suo contenuto attraverso la rimozione di una obbligazione. Diverso, invece, è il caso del mantenimento del contratto nonostante la modifica dell’oggetto dell’obbligazione, per il quale si impongono delle ulteriori considerazioni.
Il ragionare in termini di modifica contrattuale impone di collocare il contratto in una dimensione temporale che è necessariamente diversa da quella iniziale del momento di conclusione dell’accordo. Se, da un lato, è proprio il trascorrere del tempo che rende più impellente il ricorso ad una
37 In questa direzione sembra andare anche lo studio sulla <<clausola>> come “frazione elementare del negozio”, e della sua distinzione dalla <<parte>> di un negozio, sviluppata da (Fragali, 1959), cui si rinvia per un maggior approfondimento.
38 Per un’analisi della nullità parziale si rimanda a (Xxxxxxxxx, 1959), in particolare, l’Autore afferma, a p. 143 ss., la possibilità di avere nullità parziale di negozio oggettivamente semplice “Non si può quindi ritenere a priori che solo le fattispecie negoziali oggettivamente complesse possano essere colpite da nullità parziale ed escludere conseguentemente che lo possano essere quelle di altra specie. Il problema dell’accertamento se un negozio possa essere nullo solo in parte va risolto in concreto, di volta in volta, sulla base delle circostanze di fatto: ricorre il fenomeno della nullità parziale tutte le volte in cui la parte del contenuto negoziale nulla, qualunque sia, soggettiva od oggettiva, non sia tutto intero un elemento costitutivo od essenziale della figura iuris del negozio, talché questo non potrebbe sorreggersi sugli elementi restanti e cadrebbe nel nulla, ma sia costituita soltanto da una porzione individua dell’intero elemento costitutivo, onde il negozio, utilizzando, unitamente agli altri suoi elementi costitutivi, la sua parte residua, possa reggersi in piedi e conservarsi in vita.” Per un ulteriore approfondimento sul tema si veda (Casella, 1974).
39 Xxxxx figura si rinvia (Xxxxxxxxx, 1964), p. 364 ss.; per la dottrina più recente a (Xxxxxxx, 2008), p. 569 ss.
40 Sui vari significati che sono stati attribuiti al concetto di “parte”del contenuto del negozio si fa rinvio a (Xxxxx, 2004), p. 46 ss. Sul punto, si richiamano le riflessioni critiche di (D'Adda, 2008) sull’adozione di un approccio di carattere strutturale per il giudizio di separabilità di una parte dal resto del negozio: p. 36 ss.
41 Si tralascia di considerare l’ipotesi della risoluzione parziale, in quanto relativa alla fase esecutiva del contratto, non invece al suo regolamento.
modifica, dall’altra parte, bisogna capire dove si colloca il confine tra la modifica che conserva il contratto iniziale, e la creazione di un nuovo e differente accordo.
I casi di nullità o annullamento parziale del contratto si collocano a metà strada tra una dimensione eliminativa e una conservativa del contratto, dal momento che ne viene rimossa una parte, ma l’altra parte resta immutata42. Al contrario, l’ipotesi in questione riguarderebbe la possibilità di modificare il contenuto dell’obbligazione, continuando, però, a riconoscere il contratto come quello inizialmente pattuito: si tratta quindi di una situazione non riconducibile ai casi di nullità o annullabilità parziale.
2- Il secondo punto da prendere in considerazione, in merito all’ammissibilità di un contratto che modifichi il contenuto delle proprie obbligazioni, riguarda la modalità di formazione di tale fattispecie. Se, infatti, fosse possibile per le parti modificare l’oggetto dell’obbligazione, mantenendo fermo il contratto iniziale, dovremmo chiederci se siamo di fronte ad una ipotesi di formazione progressiva del contratto, che, in un primo momento, possiede un determinato contenuto, e successivamente un altro.
Ammettere una simile ipotesi significherebbe prevedere una fattispecie contrattuale “in bianco”, che possa cioè assumere qualsiasi tipo di contenuto, trattandosi di un contratto che muta l’oggetto delle proprie obbligazioni. Come è chiaro, una simile soluzione non è consentita dal nostro ordinamento.
Possiamo così fissare alcune osservazioni riguardo all’impostazione che ammette il contratto modificativo dell’oggetto dell’obbligazione. Una simile soluzione è possibile se, come si è visto, si imputano gli effetti di tipo costitutivo ed eliminativo dell’obbligazione sul contratto originario, e non su quello modificativo, che, come tale, potrebbe produrre solamente un effetto di tipo modificativo, non potendo costituire o rimuovere una obbligazione. Questa impostazione, però, solleva una serie di problemi di difficile soluzione: da un lato, infatti, non trova un modello giuridico di riferimento, non essendo riconducibile, come abbiamo visto, alle ipotesi di
42 Si veda (Xxxxxxxxx, 1959), p. 207 “Il problema della nullità parziale, si sa, è un problema di relazione tra la parte nulla e il resto del negozio valido”.
nullità o annullabilità parziale del contratto; dall’altro lato, richiederebbe una modalità di formazione del tutto peculiare, che, però, non ha riscontro nell’ordinamento.
6. Considerazioni finali: uno sguardo d’insieme al problema del contratto modificativo
Le riflessioni sopra svolte spingono ad abbracciare un’impostazione di tipo rigoroso, che escluda la modifica dell’oggetto dell’obbligazione dall’ambito del contratto modificativo. Come abbiamo visto, ogni operazione, sia di tipo quantitativo sia qualitativo, sull’oggetto dell’obbligazione produce un effetto costitutivo e, in alcuni casi, eliminativo: ossia due effetti che assumono un ruolo chiave nel segnalare l’assenza di un contratto modificativo.
La tesi che si sostiene consente di utilizzare gli effetti come indicatori del tipo contrattuale, in modo tale da individuare nell’effetto modificativo il proprium del contratto modificativo. A sua volta, l’effetto modificativo viene isolato rispetto all’effetto costitutivo ed eliminativo, sulla base di una lettura dell’art. 1321 c.c. che contempla una visione tripartita degli effetti che un contratto possa realizzare.
Abbiamo di seguito escluso, in quanto troppo artificiosa, la soluzione che ammetteva il contratto modificativo dell’oggetto dell’obbligazione attraverso l’imputazione degli effetti in capo al contratto originario, e non direttamente a quello modificativo.
Siamo, così, giunti ad affermare un’impostazione che, per la verità, delimita non poco il campo di applicazione del contratto modificativo, di fatto, ammettendolo solo al di fuori di quelle modifiche che vadano ad intaccare l’oggetto originario dell’obbligazione43.
43 Non si può non riconoscere che l’impostazione qui adottata si pone in controtendenza rispetto al filone dottrinale tendente, invece, a ridimensionare la novazione, a vantaggio del contratto modificativo. Si veda ad esempio (Xxxxxxxx & Xxxxx, 2011), p. 664, che si esprime in termini di inutilità della novazione, pur rilevandone il diverso ruolo in caso di cambiamento dell’oggetto “ La novation est devenue une source de complications inutiles. Elle pourrait disparaître au profit de nombreuses insitutions: la remise de dette, la transaction, la dation en paiement, la cession de créance, la délégation, la modification ou le mutuus dissensus suivi d’une obligation nouvelle. Son intérêt (le seule?) se trouve dans la novation par changement d’objet qui permet de transformer une relation économique dans la continuité, là ou la séquence mutuus dissensus/nouvelle convention dissocierait radicalement la convention ancienne et la future; par le lien qu’elle conserve entre
La ragione principale dell’esclusione dal campo del contratto modificativo delle modifiche relative all’oggetto dell’obbligazione non è dovuta tanto ad un’esigenza di tutela dei terzi, ma per un altro motivo.
Ragionare in termini di tutela dell’affidamento che è stato riposto dai terzi nello svolgimento del contratto, così come è stato pattuito, non è un argomento risolutivo e potrebbe persino risultare fuorviante, se si pensa che l’unico modo per garantire una tutela delle ragioni dei terzi, sarebbe quello di imporre la conservazione del contratto nella sua versione originaria, senza consentire alcun tipo di modifica.
La tutela dei terzi rappresenta un elemento che si pone in contrasto con qualsiasi spinta modificativa dell’originario assetto contrattuale: sappiamo, però, che è in un certo senso fisiologico che i contratti, che si sviluppano in una dimensione temporale estesa, possano subire delle modifiche rispetto al contenuto iniziale, e non ci sono ragioni per impedire alle parti di trovare dei meccanismi giuridici per rispondere adeguatamente alle nuove esigenze che si sono loro presentate. Allo stesso modo, anche qualora la modifica sorga indipendentemente da fattori esterni, la volontà di modificare il contratto costituisce un bisogno meritevole di tutela, dal momento che non è possibile tenere vincolate le parti ad un impegno che, per ipotesi, entrambe vogliono cambiare. E proprio su questo aspetto fa leva l’impostazione che si sostiene.
L’oggetto dell’obbligazione funge da misura dell’impegno richiesto al debitore e, per questo motivo, non potrà essere cambiato attraverso un contratto modificativo. Là dove a mutare è l’impegno dei contraenti rispetto a quanto assunto in precedenza, non si fa più questione di modifica del contratto, ma di ricorso ad altri strumenti giuridici, che saranno, a seconda delle varie esigenze: il mutuo dissenso, oppure la novazione, oppure ancora la costituzione di una nuova obbligazione accanto all’antica.
Viceversa, il contratto modificativo sarà consentito per tutti gli altri aspetti del contratto che non vadano ad alterare la misura dell’impegno originariamente concordato tra le parti.
l’obligation primitive et la suivante, la novation marque un trait d’union entre le passé et l’avenir.” Si veda in tal senso anche (Xxxxxxx, Xxxxxxx, & Xxxxxxx, 2005), p. 889.
Un’ultima riflessione ci impone di rispondere alla domanda se si possa affermare l’esistenza di un contratto modificativo come tipo contrattuale.
A sostegno della tesi negativa, ossia dell’impossibilità di riunire, sotto uno stesso schema, un contratto che possa avere il contenuto più vario, è sufficiente focalizzarsi sui diversi tipi di modifica che si possono realizzare. Un contratto modificativo potrebbe, infatti, andare a modificare il termine, o il luogo dell’adempimento, oppure la modalità di esecuzione del contratto: in tutti questi casi, l’unico denominatore comune risiede nell’effetto modificativo, che, però, preso isolatamente, non aiuterebbe a capire quale tipo di modifica si stia apportando al contratto originario. L’utilità del nome “contratto modificativo” sarebbe pari a quella di “contratto costitutivo”: si tratterebbe, in entrambi i casi, di formule che avrebbero sempre bisogno di essere accompagnate dalla specificazione di che cosa si voglia modificare o costituire44.
Più correttamente, allora, si potrebbe parlare non di “contratto modificativo”, ma di accordo ad effetto modificativo, rinunciando, in tal modo, a configurarlo come un tipo predefinito.
L’analisi che segue sarà volta a dimostrare la bontà della tesi sostenuta, attraverso lo studio di alcune situazioni in cui si è riconosciuta, sulla base di differenti impostazioni, l’esistenza di un contratto modificativo.
44 Si potrebbe invece osservare, per inciso, che una simile necessità di contestualizzazione non ricorre laddove ci si riferisca al contratto eliminativo di precedente contratto, ossia, al mutuo dissenso.
La modifica dell’oggetto dell’obbligazione e la prestazione in luogo dell’adempimento
1. L’inquadramento del problema
L’indagine sulla possibilità di modificare l’oggetto dell’obbligazione non può non svilupparsi attraverso un confronto con la figura della prestazione in luogo dell’adempimento.
Tra le molteplici interpretazioni che hanno ricostruito, secondo vari criteri, la prestazione in luogo dell’adempimento45, una in particolare attira la nostra attenzione, costituendo un punto di riferimento necessario per proseguire l’indagine sul contratto modificativo. La teoria in commento è quella che riconduce la prestazione in luogo dell’adempimento ad un contratto modificativo dell’oggetto del rapporto originario46, tentando di riguadagnare la distanza del contratto modificativo dalla novazione. Secondo questa impostazione, l’esecuzione di una diversa prestazione
45 Le tesi principali che si individuano sull’argomento sono le seguenti. La più risalente riconduce la prestazione in luogo dell’adempimento ad una vendita, nell’ipotesi in cui la precedente obbligazione pecuniaria sia sostituita dalla dazione di una cosa (con la precisazione che si pone in essere una permuta, se anche la controprestazione è un’obbligazione di trasferire una cosa), ad un contratto innominato, se invece è sostituita da una prestazione di facere. Un’altra teoria scorge nella prestazione in luogo dell’adempimento una novazione oggettiva con contemporaneo adempimento della nuova obbligazione. L’impostazione maggiormente seguita prevede invece la configurazione della prestazione in luogo dell’adempimento come un contratto estintivo oneroso, che prevede l’esecuzione di una diversa prestazione e contestuale rinuncia−remissione del debito originario. Un’altra teoria considera la figura de qua un sostituto−surrogato dell’adempimento. All’interno di quest’ultima teoria si può ricondurre il pensiero di Xxxxxx, che scompone la figura in una duplice volontà: di compiere un atto equivalente all’adempimento, e di compiere la prestazione equivalente. Per un adeguato approfondimento dell’excursus storico sulle teorie che si sono avvicendate in tema di prestazione in luogo dell’adempimento si vedano (Allara, 1927) p. 33 ss.; e (Xxxxxxxx, 1987) p. 72 ss.
46 La tesi della prestazione in luogo dell’adempimento come contratto modificativo risale agli inizi del secolo scorso, si veda in proposito la ricostruzione storica fornita da (Allara, 1927) p. 51; Parlano di modificazione del rapporto (Candian) p. 262; (Xxxxxxxxxx, 1984) p. 630-631; (Xxxxxxxx, 1987). Anche la dottrina francese ha elaborato un’interpretazione della dazione in pagamento come “une convention modificative particulière”: si veda in proposito (Ghozi, 1980) p. 106 ss., che la definisce come “la modification de l’objet de l’obligation”.
attribuisce al debitore la facoltà di modificare unilateralmente il contratto, sostituendo l’obbligazione originaria con una nuova obbligazione, che si viene a costituire e ad adempiere nel momento stesso in cui è esercitato il potere di modifica47.
Si è quindi deciso di richiamare questa teoria, per evidenziarne gli snodi argomentativi principali, nell’ottica di valutare l’ammissibilità di un accordo che modifichi l’oggetto dell’obbligazione, senza però comportare la novazione della stessa.
Proponiamo ora solo qualche spunto relativo ai punti critici sui quali è opportuno interrogarsi e che forniranno la traccia da seguire per il prosieguo della nostra ricerca, che sarà scandita da un approfondimento di ciascuno di questi argomenti.
1) Il rapporto con la novazione.
La questione più rilevante riguarda la possibilità di fissare con precisione il confine tra novazione e contratto modificativo dell’oggetto. La tesi che considera l’art. 1197 c.c. come un contratto modificativo individua un discrimen che è mobile, e che varia a seconda dell’entità della modifica, per poi arrivare ad affidare la scelta tra modificativo e novazione alla volontà delle parti, con l’eccezione per cui, una modifica troppo significativa importa in ogni caso novazione, nonostante la contraria volontà dei contraenti. Emerge la difficoltà di distinguere la modifica novativa da quella non novativa, e soprattutto la necessità di trovare dei criteri più affidabili ed oggettivi su cui fondare questa distinzione48.
Di qui nasce un secondo aspetto problematico. Quando la prestazione fornita in luogo dell’adempimento sia totalmente diversa da quella originaria, la configurazione dell’art. 1197 c.c. come un contratto modificativo comporta che la modifica, giudicata significativa, venga irrimediabilmente attratta nell’area della novazione, nonostante la contraria volontà dei contraenti. Ne segue che, per mantenersi nel campo della prestazione in luogo dell’adempimento, le parti dovrebbero limitarsi a modifiche non accessorie, ma non si rinviene nell’art. 1197 c.c. alcun riferimento a questo limite.
47 (Xxxxxxxx, 1987), p. 26 ss.
48 Sui rapporti tra novazione e datio in solutum si rimanda a (Xxxxxxxxx, 1968) p. 54 ss; (Xxxxx, 2012) p. 59 ss.; per la dottrina più risalente si veda (Xxxxxxxxx, 1924) p. 18 ss.
Un ultimo aspetto critico della teoria della prestazione in luogo dell’adempimento come contratto modificativo consiste nella possibilità di mantenere intatta l’identità del rapporto obbligatorio originario, nonostante questo subisca una modifica del proprio oggetto.
2) Le tutele previste dal secondo comma dell’art. 1197 c.c.
La teoria, che interpreta la prestazione in luogo dell’adempimento come un contratto modificativo, non riesce ad inserire il primo e il secondo comma dell’art. 1197 c.c. all’interno di una visione unitaria della norma. Al contrario, essa considera la disciplina prevista nel secondo comma come il recepimento di due differenti e opposte ricostruzioni della datio in solutum nel diritto romano e, precisamente, l’interpretazione come solutio o come vendita49. Tale contraddizione sarebbe rimasta fino ad oggi, e da qui trarrebbe origine la difficoltà di spiegare l’alternatività dei rimedi esperibili dal creditore che abbia ricevuto, in luogo dell’adempimento, una prestazione viziata o suscettibile di evizione. La tesi dell’intima contraddittorietà dell’art. 1197 c.c. non convince, ma rivela piuttosto la complessità di armonizzare, mediante una medesima chiave di lettura, la disciplina dei diversi commi dell’articolo in esame.
3) La realità della prestazione in luogo dell’adempimento.
Uno dei punti più controversi riguardo alla prestazione in luogo dell’adempimento è se sia o meno un contratto reale, intendendosi per tale un accordo, che si perfeziona solo nel momento in cui la diversa prestazione viene eseguita. La tradizionale configurazione come contratto reale50 è stata
49 (Xxxxxxxx, 1987) p. 23. Come segnalato da (Xxxxxxx, Xxxxxxx, & Xxxxxxx, Le régime des créances et des dettes, 2005), p. 990, l’interpretazione della datio in solutum come vendita è stata sviluppata da Domat, secondo il quale, “si un créancier d’une somme consentoit de recevoir en payement un fonds ou autre chose, ce seroit une vente dont la somme due seroit le prix”. Tale interpretazione è ancora presente nel diritto francese attuale, si veda in proposito (Xxxxxxxxx & Fenouillet, 2012) p. 651; in senso contrario invece si pone la posizione di (Ghozi, 1980) p. 93 ss.; e (Xxxxxxx, Xxxxxxx, & Xxxxxxx, Le régime des créances et des dettes, 2005), p. 995.
Attualmente, a seguito della recente riforma del diritto francese delle obbligazioni, portata a compimento con l’Ordonnance n. 2016-131 del 10.02.2016, è stata consacrata la dazione in pagamento dandole il supporto testuale che le mancava, precisando, all’art. 1342-4, che il creditore “Il peut accepter de recevoir en paiement autre chose que ce qui lui est dû”. Si rimanda, per un commento, a (Buffelan-Xxxxxx & Larribau-Terneyre, 2014) p. 198 con riferimento all’avant –projet Xxxxxx xx xxxxxxx xx xxxxx xxx xxxxxxxxxxx; x (Xxxxx, 0000), x. 00; e a (Dissaux & Xxxxx, 2016) p. 208.
50 Si richiama, ad es., l’opinione di (Xxxxxxx) che sostiene la posizione della prevalente dottrina, giustificando la realità, per il fatto che l’estinzione dell’obbligazione è contestuale all’effettiva prestazione dell’aliud “Il carattere della realità appare, in tale prospettiva, compiutamente idoneo a dare ragione ed a giustificare l’immediatezza dell’effetto estintivo
messa in crisi51 di recente, da chi sostiene la natura modificativa della prestazione in luogo dell’adempimento. Quest’ultima tesi afferma che la realità sarebbe incompatibile con la possibilità di concludere un pactum de in solutum dando, ossia un accordo diretto a consentire al debitore di liberarsi eseguendo una prestazione diversa da quella convenuta, non accompagnato dall’esecuzione della prestazione medesima52. Cercheremo di affrontare questo tema, partendo dall’analisi degli effetti realizzati attraverso la prestazione in luogo dell’adempimento, per capire se la definizione di contratto reale sia idonea a rappresentare una figura come quella dell’art. 1197 c.c.
2. Una differente proposta interpretativa della prestazione in luogo dell’adempimento
La configurazione della prestazione in luogo dell’adempimento come contratto modificativo lascia aperte le questioni che abbiamo brevemente richiamato, non fornendo una spiegazione in grado di riunire sotto uno stesso schema il primo e il secondo comma dell’art. 1197 c.c. Per questi motivi, si tenterà di proporre una diversa ipotesi di lettura, che si allontani dall’impostazione del contratto modificativo, e che invece riconosca la prestazione in luogo dell’adempimento come una fattispecie autonoma.
La difficoltà principale che si incontra studiando la figura di cui all’art. 1197
c.c. è quella di “reperire una struttura idonea a <<mediare>> fra la diversa prestazione e l’obbligazione originaria e, così, a fondare ugualmente l’estinzione di quest’ultima nonostante la diversità oggettiva fra la prestazione dovuta e quella eseguita”53. Se si prova, per il momento, ad astrarre dalla questione teorica relativa all’adempimento, e ci si concentra,
tipico della figura, così come delineato nella previsione del codice, ché altrimenti si creerebbe un obbligo nuovo, mantenendo in vita quello originario” (p.3).
51 Sostiene la natura consensuale del contratto di prestazione in luogo dell’adempimento (Buccisano, 1968) p. 166.
52 (Xxxxxxxx, 1987) individua, a p. 103, due schemi di prestazione in luogo dell’adempimento: uno tipico, nel quale “le parti procedono direttamente alla modifica dell’oggetto dell’obbligazione, accompagnato dall’adempimento della medesima”; e “un accordo con cui venga attribuito al debitore un potere di modificare unilateralmente l’oggetto dell’obbligazione, potere utilizzabile, però, solo tramite il compimento della diversa prestazione”: a quest’ultimo modello è dato il nome di pactum de in solutum dando. 53 (Xxxxxxxx, 1987) p. 98.
invece, sugli effetti realizzati dall’art. 1197 c.c., quello che si presenta alla nostra attenzione è un’obbligazione che viene estinta dall’esecuzione di una prestazione diversa da quelle originaria, o - il che è lo stesso- l’esecuzione di una prestazione che estingue un’obbligazione diversa da quella da cui deriva. Possiamo a questo punto osservare una duplicità di effetti:
1) Il primo effetto è quello che sorge dall’esecuzione della seconda prestazione, la quale produrrà l’effetto di trasferire un diritto o di realizzare un facere, a seconda del contenuto proprio della prestazione stessa;
2) Il secondo effetto riguarda invece l’estinzione dell’obbligazione, quindi un effetto di tipo estintivo che nulla ha a che fare con il contenuto della seconda prestazione eseguita.
Ci si domanda quale sia quel meccanismo giuridico che consenta la produzione di un effetto di tipo estintivo al realizzarsi di una prestazione, che abbia un contenuto diverso rispetto a quello di estinguere l’obbligazione.
La prestazione che viene pattuita per seconda, infatti, non prevede direttamente, come proprio contenuto, quello di estinguere l’obbligazione originaria, ma l’effetto estintivo è ottenuto come un risultato mediato, indiretto, dell’esecuzione della prestazione54. La sola volontà del creditore o di entrambe le parti non basta a consentire questo risultato, o meglio, questa volontà andrebbe convogliata verso la scelta di uno strumento giuridico in grado di creare un nesso che leghi la prima prestazione alla seconda.
La tesi che si propone individua nel meccanismo condizionale quella struttura idonea a mediare tra l’obbligazione originaria e la seconda prestazione.
La scelta dello strumento condizionale deriva dalla presa di consapevolezza che la duplicità di effetti, sopra segnalata, non riesce ad essere inserita all’interno di uno schema, che veda l’effetto estintivo dell’obbligazione come conseguenza dell’esecuzione di una diversa prestazione: tra questi due
54 Si può osservare che l’estinzione della obbligazione originaria come effetto mediato e indiretto della seconda prestazione dipende proprio dal fatto che non venga eseguita la prestazione originaria, che è quella dovuta, e la cui esecuzione costituisce adempimento. Questa osservazione la si ritrova già in (Xxxxxx, 1927), p. 58 “la estinzione del debito non può considerarsi come effetto diretto del negozio solutorio, un effetto cioè che si riporti direttamente all’atto volitivo del solvens, ma va piuttosto considerato come una conseguenza ulteriore, come un effetto dell’effetto del negozio giuridico di adempimento, come effetto cioè della prestazione adempiuta” (corsivo nel testo).
effetti non si instaura un nesso di tipo causalistico, e nemmeno è possibile sopperire alla mancanza di un rapporto causa-effetto, tramite il ricorso ad un giudizio di equivalenza tra le due prestazioni55. La prestazione eseguita in luogo dell’adempimento potrebbe essere totalmente differente rispetto a quella originaria, e persino rispondere ad interessi che nulla hanno a che fare con quello che era l’assetto contrattuale di partenza. Tuttavia questa seconda prestazione permette ugualmente di arrivare al risultato di estinguere l’obbligazione, non attraverso la corretta attuazione del rapporto56, ma per altra via.
Da qui nasce l’idea di abbandonare il tentativo di ristabilire un legame diretto tra la diversa prestazione e l’effetto estintivo dell’obbligazione, come invece mirano a fare quelle tesi che cercano di riportare la diversa prestazione all’interno del contratto. E’ questo infatti il risultato cui conduce la tesi che vede nella prestazione in luogo dell’adempimento un contratto modificativo. In base a questa impostazione, l’esecuzione della diversa prestazione modifica l’oggetto dell’obbligazione originaria, sostituendolo: la diversa prestazione diventa essa stessa obbligazione, e così è possibile spiegare come possa la sua esecuzione costituire adempimento.
Se, invece, si rimane coerenti con il presupposto per cui manca un nesso tra l’esecuzione della seconda prestazione e l’effetto di estinguere l’obbligazione, e si rinuncia a ricostruire un legame attraverso l’inserimento, a vario titolo, della diversa prestazione nel contratto, è possibile arrivare a considerare la diversa prestazione come un evento, ossia come un fatto estraneo all’obbligazione originaria57 e da essa indipendente.
55 Il passaggio sarà adeguatamente approfondito nel corso dell’analisi.
56 Si fanno proprie le parole di (Xxxxxxxxxx, 1984) p. 620: “Il rapporto obbligatorio non è stato attuato perché la prestazione adempiuta ha fatto conseguire al creditore un bene diverso da quello originariamente pattuito; conseguentemente l’obbligazione non si dovrebbe essere estinta. Tuttavia è possibile, come accade nell’ipotesi considerata, che il debitore venga liberato ugualmente e che l’obbligazione si estingua per l’intero”. E aggiunge a p. 624 “[…] si deve verificare come il debitore si possa liberare dalla propria obbligazione prestando un aliud rispetto a quello pattuito, e realizzando interessi creditori (che potrebbero essere) totalmente differenti da quelli originari. In altri termini, il debitore, operando un’attribuzione patrimoniale diversa da quella cui era tenuto, non attua né la situazione giuridica soggettiva attiva né quella passiva e ciò nonostante consegue la liberazione.”
57 Nel proseguo, si continuerà ad usare l’aggettivo di “originaria” accanto ad “obbligazione” per questioni di maggior chiarezza, anche se, secondo l’impostazione qui proposta, la diversa prestazione non deriva da una nuova obbligazione, per cui per noi l’obbligazione “originaria” è anche l’unica obbligazione convenuta.
L’unico strumento giuridico in grado di creare una correlazione tra la diversa prestazione e l’estinzione dell’obbligazione è il congegno condizionale. Configurando58l’esecuzione della diversa prestazione come un evento, dal quale dipende l’estinzione dell’originaria obbligazione, è possibile giustificare la realizzazione di quella duplicità di effetti che abbiamo sopra visto, consentendo altresì di spiegare il nesso che fa dipendere l’estinzione di un’obbligazione da una prestazione diversa da quella originaria.
Si evita così di dover inserire surrettiziamente la diversa prestazione nel contratto, per poter spiegare l’estinzione dell’obbligazione. Essendo dedotta in condizione, la seconda prestazione non entra nel contratto originario, ma ne resta in un certo senso fuori: rimane un evento e non costituisce una nuova obbligazione cui il debitore si trova vincolato.
Si osserva che, così ricostruita, la figura di cui all’art. 1197 c.c. risulta autenticamente conforme al nome che gli è stato attribuito: l’esecuzione della diversa prestazione, infatti, avviene “in luogo dell’adempimento”, e quindi non costituisce adempimento. Quest’ultimo termine può essere riferito solo all’esecuzione della prestazione dovuta, e questa è solo una, ossia quella corrispondente all’obbligazione originaria59.
Prima di proseguire, si consenta una precisazione: la lettura che si propone vuole essere un’ipotesi di spiegazione del meccanismo di funzionamento dell’art. 1197 c.c., basata sull’osservazione che esso contiene una disciplina analoga a quella che si avrebbe nel caso in cui la seconda prestazione fosse dedotta in condizione. Con questo, non si intende promuovere l’inserimento nel contratto di una condizione dal contenuto analogo all’art. 1197 c.c.60
58 Riguardo alla possibilità di configurare diversamente la prestazione in luogo dell’adempimento, si richiamano le parole di (Candian) p. 265, il quale, con riferimento al fatto che la disciplina codicistica abbia configurato la tradizionale datio in solutum in termini generali di prestazione in luogo del (primitivo) adempimento, afferma: “In un contesto così ampio era inevitabile che i confini tra la figura tradizionale ed il generico negozio modificativo del rapporto, si slabbrassero alquanto. E poiché il negozio modificativo del rapporto può essere messo in atto dalle parti in dieci modi diversi, era altrettanto inevitabile che la datio in solutum si presti, di per sé, ad essere dommaticamente ricostruita in riferimento ad un numero di figure combinatorie molto elevato.”
59 Se, invece, l’esecuzione della diversa prestazione entra nel contratto come una nuova obbligazione, o meglio come modifica della nuova obbligazione, la sua esecuzione a rigore dovrebbe configurare “adempimento” in senso tecnico, e non invece una prestazione “in luogo dell’adempimento”.
60 Questo aspetto verrà approfondito oltre, par. 15.
L’analisi che segue tenterà di approfondire l’impostazione proposta, vagliandone la bontà sulla base della capacità esplicativa rispetto a questi punti problematici: il rapporto della prestazione in luogo dell’adempimento con la novazione (par. 3); la ricostruzione del secondo comma dell’art. 1197
c.c. (par. 4); il carattere reale dell’art. 1197 c.c. (par. 13).
3. L’art. 1197 c.c. e il rapporto con la novazione
Il tentativo di definire i confini61 tra il contratto modificativo e la novazione è risolto, da chi considera la prestazione in luogo dell’adempimento come un contratto modificativo, individuando due possibili criteri distintivi nell’animus novandi e nel carattere non accessorio della modifica62. In particolare, si afferma che “l’animus novandi costituisce, di regola, un elemento essenziale della novazione, e, perciò, ben risulta configurabile anche un negozio modificativo dell’oggetto, non novativo”, salvo poi sostenere che “al di là di questo principio di fondo, possano comunque darsi modificazioni di rilievo tale da comportare necessariamente novazione”63, e aggiungere che “nelle ipotesi in cui l’entità della modifica sia tale da alterare l’identità dell’obbligazione, per forza di cose la novazione non potrebbe essere evitata”64.
L’individuazione dei criteri proposti si rivela insufficiente, poiché si ammette apertamente che la modifica dell’oggetto o del titolo del rapporto obbligatorio possa non costituire novazione se manca l’animus novandi65, ma, in ogni caso, una modifica non accessoria produce sempre novazione. Si ricade quindi nella trappola logica di dover spiegare che cosa si intenda
61 Il problema dell’individuazione dei confini con la novazione è rilevato da (Candian) p.
263. Si richiamano anche (Rodotà) p. 736; (Marchio) p. 7.
62 Identici problemi nell’individuazione dei confini della novazione si riscontrano nel diritto francese, per il quale si rimanda a (Xxxxxxx, Xxxxxxx, & Xxxxxxx, Le régime des créances et des dettes, 2005), p. 907, “La question qui se pose alors est celle de savoir si une simple modification est possible quelle que soit l’ampleur de l’altération ou si, au-delà, d’un certain degré, l’accord des parties ne dégénère pas ipso iure en une novation ou une résiliation amiable suivie de la conclusion d’un nouvel engagement.”
63 Entrambe le citazioni sono di (Xxxxxxxx, 1987) p. 195.
64 (Xxxxxxxx, 1987) p. 185.
65 Si concorda con l’impostazione seguita da (Xxxxxxx, Adeguamento e rinegoziazione nei contratti a lungo termine, 1996), p. 362, in merito alla “sostanziale inutilità dell’indagine sugli elementi di carattere psicologico del negozio modificativo”, e, più in generale, all’opportunità di “sgombrare il campo da questioni relative alla differenziazione degli stati psicologici” a proposito della differenza tra animus modificandi rispetto all’animus novandi o renovandi.
per modifica non accessoria66, visto che la modifica dell’oggetto o del titolo, in alcuni casi, è considerata idonea a produrre novazione, mentre, in altri casi, non lo è.
Così ragionando, l’unico rimedio per consentire alla prestazione in luogo dell’adempimento di non essere assorbita dalla novazione, sarebbe quello di imporre all’art. 1197 c.c. dei limiti che esso, però, non prevede: tali limitazioni consisterebbero nell’evitare modifiche che siano troppo significative, come potrebbero essere, ad esempio, una prestazione di facere che sostituisca quella di dare, o viceversa. Solo sostituendo alla prestazione originaria una prestazione affine nel contenuto, non si dovrebbe correre il rischio di porre in essere (persino contro la propria volontà) una novazione, al posto di una prestazione in luogo dell’adempimento.
A questa impostazione si obietta che l’art. 1197 c.c. consente al creditore di accettare, in luogo dell’adempimento, una prestazione diversa da quella originaria, senza imporre alcun limite alla scelta di questa seconda prestazione67. Ne deriva che, al posto dell’originaria prestazione di dare x, possa essere fornita la prestazione di dare un bene diverso, così come possa essere eseguita una prestazione di fare.
Al contrario, la teoria della prestazione in luogo dell’adempimento come contratto modificativo è costretta a limitare la libertà dei contraenti di attribuire alla seconda prestazione qualsiasi tipo di contenuto. Seguendo questa tesi, dovremmo ammettere che le parti, che volessero realizzare una prestazione in luogo dell’adempimento, dovrebbero far sì che la seconda
66 La difficoltà di definire la non accessorietà della modifica è avvertita anche dalla dottrina francese, per la quale si segnala (Xxxxxx & Goldie-Genicon, 2016) p. 7 ss. “En d’autres termes, toute modification, même mineure, de l’obligation est-elle susceptible de servir de support à une novation, dès lors que l’intention de nover des parties est clairement établie, ou doit-on exiger que la modification apportée à l’obligation soit d’une importance suffissante pour pouvoir emporter novation, quand bien même l’intention de nover des partie aurait été clairement établie?”
67 Si veda (Xxxxxxx, 1963), p. 146, secondo il quale non c’è dubbio che possa essere eseguita in luogo dell’adempimento qualsiasi tipo di prestazione, avente ad oggetto sia un dare, sia un fare. Sul punto anche (Candian) p. 261 “attualmente non sussistono dubbi sulla possibilità che sia la res debita sia la res data possano consistere in qualsiasi genere di prestazione”. L’Autore osserva anche l’innovazione lessicale portata dalla codificazione del 1942, che, distaccandosi dalla tradizione, ha abbandonato l’espressione <<dazione in pagamento>>, preferendovi l’espressione <<prestazione in luogo dell’adempimento>>. Questa innovazione è stata però anticipata anche dalla dottrina che si era formata sotto l’impero del codice precedente, la quale aveva creato un vasto consenso sulla ammissibilità di un facere che venga eseguito a titolo di datio in solutum. In tal senso si vedano anche (Xxxxxxxxxx) p. 123 e (Xxxxxxxxx, 3/2002) p. 1384.
prestazione ponga in essere una modifica dal carattere solo accessorio, per evitare di compiere una novazione. Ci sarebbe, così, una limitazione alla autonomia privata di prevedere qualsiasi tipo di prestazione, dal momento che una modifica non accessoria darebbe come risultato un effetto novativo, e non semplicemente modificativo. In tal modo, però, si finisce per trasferire sull’art. 1197 c.c. i limiti che sono ricavabili dagli artt. 1230 e 1231 c.c. in materia di novazione e di contratto modificativo.
Prendendo le distanze da questa tesi, si può invece osservare che la configurazione come contratto condizionato pone la prestazione in luogo dell’adempimento al riparo dal rischio di attrazione nell’area della novazione. Abbiamo infatti visto che il meccanismo condizionale permette di considerare la nuova prestazione come un fatto, al cui verificarsi è subordinato l’effetto di estinguere l’obbligazione originaria. Ne deriva che, proprio in quanto costituisce un evento esterno all’obbligazione, la nuova prestazione possa assumere qualsiasi contenuto, anche distanziandosi in modo significativo dalla prestazione originaria, senza per questo dover essere qualificata come novazione.
Negata la realizzazione di un contratto modificativo dell’oggetto, questa impostazione permette di risolvere agevolmente un’altra questione teorica di grande rilievo. Ci si domanda infatti come possa il rapporto obbligatorio mantenere la propria identità, se ne viene modificato l’oggetto o il titolo originario68.
68 La questione prospettata è definita da (Xxxxxxxx, 1987) come il problema della soglia di identità del rapporto obbligatorio. Rispetto a questo tema, l’Autore assume una posizione che non convince, perché sostiene che la prestazione in luogo dell’adempimento costituisca modifica dell’oggetto del contratto, ma tuttavia, tale modifica dell’oggetto non vada a mutare l’identità originaria del rapporto. A sostegno di questa tesi afferma, per quanto riguarda il mutamento del titolo, che “il mutamento del tipo contrattuale non determina necessariamente novazione” (p. 187); aggiungendo che “Si può cioè inferire che il cambiamento del titolo non provochi necessariamente novazione neppure qualora sia determinato dal mutamento di una delle prestazioni: perché il rapporto mantenga la propria identità sembra pertanto sufficiente che rimanga inalterata anche una soltanto delle prestazioni reciprocamente dovutesi dalle parti” (p. 189). Per quanto riguarda, invece, la modifica dell’oggetto, sostiene che “oggi, infatti, i canoni di giudizio che sono sinteticamente riassumibili come <<generale considerazione del traffico giuridico>> e
<<rilevanza economica della modifica>> sono ritenuti esprimere la regola per cui l’identità del rapporto obbligatorio sussisterebbe, nonostante ne sia modificato l’oggetto, oltre che nell’ipotesi in cui la nuova prestazione dovuta sia dello stesso tipo di quella originaria, anche nel caso in cui, di qualunque specie sia la prestazione sostitutiva, rimanga comunque il medesimo lo scopo economico perseguito da entrambe le parti.” (p. 191).
Di fatto, la teoria che vede nell’art. 1197 c.c. un contratto modificativo dell’oggetto si trova stretta, da un lato, dalla difficoltà di ritagliarsi spazio dalla novazione, e, dall’altro lato, dalla (im)possibilità di mantenere l’identità del rapporto originario.
Queste difficoltà vengono meno, se la prestazione in luogo dell’adempimento non costituisce una modifica dell’oggetto dell’obbligazione.
La differenza principale con la tesi qui contestata, consiste nel fatto che essa considera l’esecuzione della seconda prestazione come esecuzione dell’obbligazione originaria “così come modificata”69.
Se, invece, propendiamo per la tesi della condizione, vedremo che la seconda prestazione né modifica l’obbligazione originaria né costituisce esecuzione dell’obbligazione originaria modificata: la seconda prestazione non è esecuzione di alcuna obbligazione, ma è vista piuttosto come un fatto, un evento, che estingue l’obbligazione originaria proprio grazie al congegno condizionale, che ha subordinato l’estinzione dell’obbligazione al suo verificarsi.
Nel caso di contratto modificativo, quindi, si ha una modifica effettiva dell’oggetto dell’obbligazione, per cui il debitore si obbliga ad eseguire la nuova prestazione.
Nel caso della condizione, invece, il debitore non si obbliga e non nasce un nuovo vincolo obbligatorio: la seconda prestazione, qualora venisse effettivamente eseguita, non va a modificare l’oggetto dell’obbligazione originaria, ma la estingue semplicemente. In questo modo, non essendoci la pattuizione di una nuova obbligazione, la seconda prestazione funge appunto da evento, che va ad incidere sull’originario rapporto obbligatorio solo per quanto riguarda la modalità di estinzione e di liberazione del debitore70.
69 (Xxxxxxxx, 1987) p. 18.
70 Immaginiamo un contratto di vendita di un bene, nel quale il venditore abbia già trasferito la proprietà, ma il debitore non ne abbia ancora pagato il prezzo e, a seguito della difficoltà del debitore ad adempiere, il creditore acconsentisse a ricevere il trasferimento della proprietà di un bene. In questa ipotesi, se il debitore non riuscisse a pagare il prezzo, ma consegnasse al creditore un diverso bene, il contratto resterebbe una vendita e non si tramuterebbe in una permuta. Questo risultato è possibile perché l’obbligazione prevista in origine è rimasta inalterata, senza aver subito modifiche: in altre parole, nel contratto non è stata modificato il prezzo come elemento del contratto, ma si è solo acconsentito a ricevere un altro bene al posto del pagamento. Sul fatto che la previsione del prezzo costituisca
La nuova prestazione non va, così, ad alterare né l’oggetto, né la causa del contratto, ma influisce soltanto sulle vicende esecutive, consentendo al contratto di vendita originario di mantenere la propria identità, nonostante l’applicazione dell’art. 1197 c.c.
Per finire, si può osservare che lo stesso tentativo di ricondurre la prestazione in luogo dell’adempimento nell’alveo della novazione è fonte di dubbi. Non si capisce, infatti, il motivo per cui le parti, che volessero realizzare una prestazione in luogo dell’adempimento, dovrebbero invece ritrovarsi a ricorrere alla novazione. Il creditore non avrebbe alcun interesse ad estinguere l’obbligazione non adempiuta, per poi concluderne una uguale con il contenuto modificato. Al contrario, l’interesse del creditore è quello di mantenere l’obbligazione originaria e di trovare una modalità alternativa all’adempimento per estinguerla.
Inoltre, interpretare la prestazione in luogo dell’adempimento come un contratto modificativo dell’oggetto porta a ridurre il campo di applicazione dell’art. 1197 c.c. in favore della novazione, la cui area risulta conseguentemente ampliata, riuscendo ad inglobare tutte quelle fattispecie, che nascono in origine come prestazione in luogo dell’adempimento, ma, a causa di una modifica troppo rilevante, finiscono per essere qualificate come novazione.
La classificazione di una fattispecie come prestazione in luogo dell’adempimento o come novazione non è priva di rilevanza pratica, se si pensa che, solo nel primo caso, ci sarà la possibilità di avvalersi della disciplina prevista dal secondo comma dell’art. 1197 c.c.
In conclusione, la tesi che si propone attribuisce autonomia alla prestazione in luogo dell’adempimento, evitando di appiattirla sulla figura della novazione, e presentando i seguenti punti di forza: 1) consentire alle parti di
elemento essenziale del contratto, e non invece il pagamento, e quindi sulla estraneità delle vicende esecutive rispetto alla definizione del tipo, si rinvia ad (Xxxxxx, 1996), p. 125 “Nel merito, deve escludersi che, nelle fattispecie cui lo strumento si applica, l’esecuzione o l’inesecuzione della prestazione ex contractu possano considerarsi come tratti individuanti il tipo. […]Che lo schema tipico della vendita possa considerarsi realizzato nel momento in cui alla previsione del trasferimento faccia riscontro la previsione del vincolo obbligatorio, è rilievo talmente ovvio da non richiedere il conforto di specifici riferimenti, e dal quale risulta confermata l’estraneità allo schema stesso della fase attuativa del programma obbligatorio.”(corsivo nel testo). E in nota a p. 125 “Diversamente ragionando (ritenendo cioè il pagamento del prezzo come elemento tipizzante), potrebbe anche negarsi (paradossalmente) l’inquadramento nel tipo, a tutte le ipotesi di compravendita in cui fosse prevista una dilazione di pagamento.”
assegnare qualsiasi contenuto esse vogliano alla seconda prestazione; 2) restare aderenti alla lettura dell’art. 1197 c.c., senza introdurre limiti che non vi sono previsti e che appartengono ad altre figure giuridiche; 3) consentire all’obbligazione di conservare la sua identità originaria, anche dopo l’esecuzione della diversa prestazione; 4) non restringere l’ambito di applicazione dell’art. 1197 in favore della novazione.
4. Il secondo comma dell’art. 1197 c.c.
La configurazione della prestazione in luogo dell’adempimento come contratto modificativo si scontra con la difficoltà di spiegare le due diverse forme di tutela previste dal secondo comma dell’art. 1197 c.c.
Se, infatti, consideriamo l’esecuzione della seconda prestazione come esercizio di un potere di modificare unilateralmente l’oggetto dell’obbligazione, modifica attuabile solo attraverso l’esecuzione dell’obbligazione medesima, così come modificata, ci troviamo di fronte ad una serie di problemi che riguardano la stessa possibilità, per il creditore, di chiedere, a sua scelta, la garanzia per l’evizione e per i vizi della cosa, oppure la prestazione originaria e il risarcimento del danno.
Non basta dire che l’art. 1197 prevede una tutela particolare proprio in ragione della sua natura di contratto modificativo71, dal momento che allora ci si dovrebbe domandare perché tale tutela non sia apprestata per tutti gli altri casi, in cui il contratto originario subisce delle modificazioni. Più in generale, non si capisce perché ci sia bisogno di una tutela speciale per chi ricorra alla prestazione in luogo dell’adempimento.
1) Il primo punto da affrontare riguarda proprio la possibilità di richiedere la prestazione originaria. La situazione di fatto, cui fa riferimento il secondo xxxxx, è quella che vede la seconda prestazione che è stata eseguita, ma
71 Secondo (Xxxxxxxx, 1987), pp. 22 e 23, il secondo comma racchiude un’intima contraddizione, derivando da due concezioni antitetiche della datio in solutum nel diritto romano, che sono rimaste fino ad oggi e, precisamente, dalla interpretazione come solutio o come vendita. Più avanti, a p. 261, definisce il secondo comma come “una tutela supplementare, connessa alla circostanza che l’obbligazione ha mutato la propria fisionomia in conseguenza di un accordo di << prestazione in luogo dell’adempimento>>.
successivamente sorgano dei vizi oppure compaia un terzo che rivendichi il bene come proprio.
In base alla tesi contestata, l’esecuzione della seconda prestazione costituisce esercizio del potere modificativo e, conseguentemente, estinzione dell’obbligazione originaria, così come è stata modificata. A fronte dell’estinzione della prima originaria obbligazione, dobbiamo però tener conto che il secondo comma dell’art. 1197 c.c. concede, in alternativa alla richiesta delle garanzie per vizi ed evizione, anche la possibilità che il creditore chieda l’adempimento della prestazione originaria.
A questo punto, sorge spontaneo chiedersi come sia possibile per il creditore domandare l’adempimento di una prestazione che è stata precedentemente estinta.
La risposta che viene data a questa domanda è quella della reviviscenza72 della prima prestazione, ma non si chiarisce come sia possibile da parte del creditore far rivivere una prestazione ormai estinta. Se questo fosse possibile, vorrebbe dire che la volontà unilaterale del creditore abbia ripristinato un obbligo già estinto, ma sorgono dubbi sul fatto che una sola parte possa ricostituire, in capo alla controparte, un obbligo precedentemente adempiuto.
Inoltre, rimanendo nell’ambito della teoria del modificativo, la situazione si complica ulteriormente, perché si tratterebbe non solo di recuperare l’obbligazione che è stata estinta, ma soprattutto di ripristinare l’obbligazione originaria, così come era prima della modifica: se questo fosse possibile, si tratterebbe di un’operazione di contro-modifica, realizzata in via unilaterale dal creditore. Si può osservare, infatti, che l’obbligazione che è stata estinta era l’obbligazione modificata dal potere unilaterale del debitore; mentre il secondo comma fa riferimento all’obbligazione originaria, ossia non modificata.
2) Un altro punto da affrontare, riguarda l’interpretazione del secondo comma dell’art. 1197 c.c. come attribuzione al creditore, a fronte dell’insorgere di vizi o dell’ipotesi di evizione, di due rimedi per l’inadempimento. Si permetta una breve precisazione: l’inadempimento di cui si discute è quello
72 Tale concetto è richiamato da (Xxxxxxxx, 1987) a pp. 277, 278, 280.
relativo alla seconda prestazione, come si evince dalla lettura del secondo comma dell’articolo in esame. La previsione dell’azione per vizi ed evizione è infatti riferibile solo alla prestazione che è stata eseguita in luogo di quella originaria, mentre perderebbe di significato se fossa relativa alla prima.
L’obiezione che si solleva muove proprio dalla configurazione della prestazione in luogo dell’adempimento come contratto modificativo, o, più esattamente, come un negozio che attribuisce al debitore il potere di modificare unilateralmente l’oggetto della prestazione. Se l’esecuzione della seconda prestazione costituisce esercizio di un potere, ci si domanda come sia possibile qualificare come inadempimento il mancato o l’errato esercizio del potere. L’inadempimento è un concetto estraneo al potere, perché la parte cui è attribuito il potere potrà decidere di esercitarlo o di non esercitarlo, ma, in tal caso, il mancato esercizio di un potere non potrà essere qualificato come inadempimento. Dove c’è potere, non c’è obbligo e, senza obbligo, non può esserci inadempimento.
A maggior ragione, non si capisce come l’insorgere successivo di vizi (o dell’evizione) possa essere considerato inadempimento, da chi comunque ritiene che l’esecuzione della prestazione, seppur viziata, sia stata in grado
−abbiamo visto sopra al punto 1) − di estinguere l’obbligazione originaria. La configurazione del secondo comma dell’art. 1197 c.c. come rimedio per l’inadempimento non può essere risolta semplicemente notando l’incongruenza tra la presenza di un potere e la presunta esistenza di un inadempimento, ma merita un approfondimento maggiore, cui saranno dedicate le pagine successive. Saranno infatti analizzati la possibilità di richiedere la prestazione originaria o, in alternativa, la richiesta di garanzia per evizione e per i vizi come rimedi per l’inadempimento.
a) La richiesta di adempimento della prestazione originaria
La tesi secondo cui le azioni previste dall’art. 1197 c.c. rappresentino una tutela supplementare73 per i casi di inadempimento verrà vagliata sulla base
73 (Xxxxxxxx, 1987) p. 261; inoltre, a p. 253, l’Autore riconosce l’incongruenza rispetto alle normali forme di tutela per l’inadempimento, ma lo giustifica come conseguenza di “quella particolare specie di modifica che consegue a una <<prestazione in luogo dell’adempimento>>: una modifica, cioè, cui il creditore ha consentito unicamente in vista della soddisfazione delle proprie ragioni, e che, per questo motivo, è attuabile solo attraverso l’adempimento.”
delle forme di tutela74 apprestate dal nostro ordinamento. Come è noto, per i casi di inadempimento, le norme di riferimento sono l’art. 1218 c.c., per le obbligazioni singole, e l’art. 1453 c.c. per quelle obbligazioni che sono in una relazione di corrispettività con un’altra obbligazione: i rimedi previsti sono, rispettivamente, il risarcimento del danno per le prime; per le seconde l’adempimento coattivo o, in via alternativa, la risoluzione, cui si aggiunge, in via cumulativa, il risarcimento75. Abbiamo, quindi, oltre alla comune tutela di tipo risarcitorio, la scelta tra una tutela di tipo satisfattivo attraverso la coazione all’adempimento, e una di tipo ripristinatorio - restitutorio.
Iniziamo prendendo in considerazione la possibilità, prevista dal secondo comma dell’art. 1197 c.c., che il creditore chieda la prestazione originaria, a fronte dell’insorgenza di vizi o dell’eventualità dell’evizione della seconda prestazione eseguita, e ci si domanda a quale forma di tutela appartenga questa azione.
a) Ipotesi di tutela satisfattiva.
Se proviamo a immaginare la richiesta di adempimento della prima originaria prestazione come rimedio a carattere satisfattivo per l’inadempimento, noteremo subito la mancata corrispondenza tra la prestazione non eseguita e quella di cui invece si chiede l’adempimento. La prestazione rimasta inadempiuta è infatti la seconda, ossia quella introdotta dall’accordo di prestazione in luogo dell’adempimento; mentre il secondo comma dell’art. 1197 c.c. consente al creditore di domandare l’adempimento della prima prestazione.
Verrebbe quindi a mancare il nesso di specificità che lega la richiesta di adempimento coattivo alla prestazione ineseguita: l’azione di adempimento serve appunto per richiedere coattivamente l’adempimento di quella specifica prestazione che è rimasta inadempiuta76, e ha lo scopo di ottenere
74 Per un approfondimento sulla tutela civile dei diritti si rinvia a (Xx Xxxx, 1993) e (Di Majo, 2009).
75 Sul tema si richiama (Xxxxxx, 2014) p. 1 ss. e 69 ss.
76 Sul fatto che la tutela satisfattiva, e in particolare, la coazione all’adempimento sia rivolta a chiedere l’adempimento della prestazione rimasta ineseguita, si veda (Di Majo, 1993), p. 249: “[l’avente diritto] ove invece egli abbia interesse ad ottenere quella specifica, esatta prestazione oggetto della propria aspettativa, opterà per l’adempimento in via coattiva. (corsivo nel testo)”. Più avanti, l’Autore così risponde a chi gli domanda cosa significa agire per ottenere l’adempimento in via coattiva: “La risposta è che l’adempimento in via coattiva implica la predisposizione, ad opera dell’ordinamento, di rimedi, la cui struttura
per altra via la soddisfazione di quel medesimo interesse che non è stato soddisfatto spontaneamente dal debitore.
Se fosse possibile per il creditore chiedere l’adempimento della prestazione originaria come rimedio per l’inadempimento della seconda prestazione, allora, in tal caso, l’adempimento coattivo perderebbe la sua finalità di tutela dei diritti.
Una volta scardinato il legame tra l’interesse creditorio a ricevere la prestazione ineseguita e l’adempimento coattivo, quest’ultimo non sarebbe più uno strumento che l’ordinamento predispone a protezione del creditore insoddisfatto, consentendogli di rivolgere al debitore una richiesta rafforzata di adempimento, ma perderebbe in toto la sua giustificazione.
b) Ipotesi di tutela ripristinatoria –restitutoria.
La richiesta di esecuzione della prima prestazione è stata interpretata come una forma di risoluzione77 dell’accordo di modifica, che ha sostituito la seconda prestazione alla prima: risolvendo il modificativo, verrebbe così ripristinata la prestazione originaria e, di conseguenza, sarebbe nuovamente possibile chiederne l’adempimento.
Se così fosse, ci si chiede se verrebbe effettivamente realizzata una tutela di tipo ripristinatorio - restitutorio, intesa nel senso in cui “restituire significa ristabilire le condizioni di fatto e di diritto che caratterizzavano la situazione del soggetto prima che un certo mutamento fosse intervenuto”78.
La risoluzione del solo effetto modificativo, se anche fosse possibile79, porterebbe, sì, le parti alla condizione iniziale precedente alla modifica, ma si dubita che una tale situazione sia in grado di fornire tutela al creditore. A fronte dell’inadempimento della seconda prestazione, il creditore,
può essere varia, ma la cui funzione e/o risultato sia tale comunque da garantire all’avente diritto il conseguimento di quel bene e/o utilità oggetto dell’aspettativa contrattuale e/o della obbligazione” (p. 250). Si rinvia ulteriormente a (Xx Xxxx, 2009), p. 123 ss.
77 Il richiamo è a (Xxxxxxxx, 1987) p. 259 “l’esigere la prestazione originaria presuppone chiaramente la risoluzione dell’accordo di <<prestazione in luogo dell’adempimento>>”.
78 (Xx Xxxx, 1993) p. 293 e, dello stesso autore, (Xx Xxxx, 2009) p. 197 ss.
79 Si veda (Xxxxxx, 2014) p. 24 in tema di risoluzione di un contratto ad effetti modificativi: “Nella misura in cui esso si limiti ad introdurre modificazioni nel rapporto giuridico costituito dal contratto modificato, senza sostituirlo, è evidente che non potrà rappresentare autonoma fonte del rapporto stesso. Ne discende che la mancata esecuzione delle prestazioni modificate non può costituire inadempimento del (solo) contratto modificativo, ma integra una violazione del rapporto contrattuale originario, sia pure modificato, la cui eventuale risoluzione comporterà il venir meno degli effetti complessivamente discendenti dai due atti.”
risolvendo il contratto modificativo, si troverebbe nuovamente nella posizione di creditore, con l’unica differenza che la prestazione cui ha diritto è diversa, essendo non più quella modificata, ma quella originaria. La risoluzione del contratto modificativo non offrirebbe nessun tipo di tutela al creditore insoddisfatto, ma si limiterebbe ad operare come una contro- modifica, senza riuscire a sciogliere il creditore dal vincolo con il debitore inadempiente: per ottenere questo risultato si dovrebbe, in ipotesi, ricorrere ad una seconda risoluzione.
Una tutela di tipo ripristinatorio, invece, è “diretta a ri-costituire la condizione originaria (e cioè a confermare una condizione preesistente)”80 nel senso di riportare le parti nella posizione giuridica precedente alla nascita dell’obbligazione, mentre, se seguissimo l’impostazione promossa dalla tesi contestata, la risoluzione lascerebbe permanere il vincolo obbligatorio esistente tra le parti, mutandone soltanto l’oggetto (non più la prestazione modificata, ma quella originaria).
Dalle considerazioni sopra svolte, pare emergere che la richiesta di adempimento della prestazione originaria, prevista dal secondo comma dell’art. 1197 c.c., non sia riconducibile a nessuna delle forme di tutela previste dal nostro ordinamento per le ipotesi di inadempimento. Si esclude altresì che essa possa rappresentare una forma di tutela speciale, o come è stato detto supplementare, e ulteriore rispetto alle forme tipiche previste. Se così fosse, non si capisce infatti il motivo di porre una tutela per l’inadempimento all’interno di un comma che richiama solo le obbligazioni traslative e, per di più, senza specificare se il suo ambito di applicazione sia quello dei contratti a prestazioni corrispettive oppure singole, e, ancora, se abbia una valenza generale, oppure sia limitato alla sola prestazione in luogo dell’adempimento.
b) La garanzia per l’evizione e per i vizi
La possibilità di domandare al debitore la garanzia per l’evizione e per i vizi costituisce l’elemento che più si allontana dai rimedi per l’inadempimento della prestazione.
80 (Di Majo, 1993) p. 45.
Per affrontare questo tema ci si richiama brevemente alle tesi che hanno teorizzato “il distacco della garanzia dal concetto di obbligazione”81 proprio in riferimento all’impegno del venditore in ordine a vizi e qualità del bene. Il punto centrale, che emerge anche da differenti impostazioni82, riguarda l’impossibilità di considerare la garanzia come uno strumento di reazione all’inadempimento.
Nonostante queste osservazioni, se anche volessimo assecondare la ricostruzione della garanzia come rimedio, ci si dovrebbe interrogare rispetto a quale obbligazione si possa predicare l’inadempimento. Abbiamo infatti visto che, secondo la teoria che riconduce la prestazione in luogo dell’adempimento ad un contratto modificativo, la seconda prestazione costituisce esercizio del potere modificativo da parte del debitore, e non invece adempimento di una obbligazione. Né tantomeno è convincente la soluzione di considerare l’obbligazione come sorta nel momento stesso in cui è adempiuta, momento corrispondente all’esercizio del potere modificativo83.
Si può concludere osservando che l’analisi dei due presunti rimedi previsti dal secondo comma dell’art. 1197 c.c. ha mostrato la loro estraneità alla tutela per l’inadempimento.
La richiesta di adempimento della prestazione originaria non è infatti riconducibile né ad una tutela di tipo satisfattivo né di tipo ripristinatorio, mancando, nella prima ipotesi, una corrispondenza tra la prestazione non eseguita e quella di cui invece si chiede l’adempimento; nella seconda ipotesi, la risoluzione del contratto modificativo si è rilevata non idonea a garantire l’interesse del creditore insoddisfatto.
81 (Xxxxxxx, 1953) p. 4, e p. 16, secondo il quale “il sorgere di una specifica obbligazione di garanzia è logicamente impossibile: in luogo dell’obbligazione subentra la garanzia”. Per un approfondimento delle posizioni in merito al binomio garanzia-responsabilità si rinvia a (Xxxxxx, 2001) p. 883; (Xxxxxx, 2004) p. 131 ss.
82 Si veda ad esempio la posizione di (Xxxxxx, 1962), secondo cui le obbligazioni di garanzia non costituiscono <<sanzione>> per l’inadempimento di un’obbligazione preesistente, ma sono esse stesse obbligazione primaria. Si rimanda anche a (Xx Xxxx, 2009) p. 17 ss.
83 Questa tesi era già critica da (Xxxxxx, 1927) che afferma, a p. 48: “La concezione di un obbligo che sorge e nel tempo stesso si adempie e si estingue è quanto mai artificiosa e contraria alla realtà stessa delle cose ed all’intento attuale delle parti”.
La garanzia per i vizi e per l’evizione, invece, muove da presupposti diversi dall’inadempimento dell’obbligazione, e, come tale, non potrebbe essere ricondotta agli strumenti di tutela per l’inadempimento.
Sembra emergere con chiarezza che i due strumenti, previsti in via alternativa tra loro, non rappresentano dei rimedi contro l’inadempimento dell’obbligazione. Abbiamo così raggiunto un risultato importante, quello di sottrarre il secondo comma dell’art. 1197 c.c. dal campo delle tutele per l’inadempimento.
5. L’interesse del creditore alla prestazione in luogo dell’adempimento
Negata l’appartenenza del secondo comma ai rimedi contro l’inadempimento, si intravede nella condizione il mezzo xxxxxxx00 in grado di armonizzare la possibilità di domandare la prestazione originaria e la richiesta di garanzia per i vizi o per l’evizione. Questo risultato è raggiungibile se si deduce in condizione non semplicemente l’esecuzione della seconda prestazione, ma la sua esecuzione integrata dalle garanzie.
L’interrogativo principale, che dobbiamo porci nell’affrontare lo studio della prestazione in luogo dell’adempimento, non è tanto quello di capire come sia possibile che un’obbligazione venga estinta attraverso l’esecuzione di una diversa prestazione: per rispondere a questo quesito ci viene in soccorso il primo comma dell’art. 1197 c.c., che illustra il principio generale per cui il debitore non possa liberarsi, se non attraverso l’adempimento, salvo il caso in cui il creditore presti il proprio consenso a ricevere una diversa prestazione.
Quello che l’articolo invece non spiega, è come possa ugualmente estinguersi l’obbligazione originaria, attraverso l’esecuzione di una prestazione viziata o che sia suscettibile di evizione85.
84 Si veda (Xxxxxx, 1961) p. 31-32 “D’altra parte, sempre in base ai principi generali non si vede in base a quale mezzo tecnico si potrebbe ritornare alla prestazione originariamente dovuta, una volta che il debitore le abbia sostituito la prestazione facoltativa.”
85 Secondo (Xxxxxxxx, 1987) anche la prestazione viziata è in grado di modificare il contratto ed estinguere l’obbligazione, la quale, infatti, per poter essere nuovamente richiesta dal creditore, deve “rivivere”.
Le difficoltà maggiori si presentano infatti quando la seconda prestazione non vada a buon fine, perché il bene sia alterato o perché un terzo ne rivendichi la proprietà. Se, invece, la seconda prestazione risulti perfetta e immune da vizi, e il creditore abbia acconsentito a riceverla, chiunque potrebbe osservare che il creditore, per così dire, non resta a mani vuote, ma viene soddisfatto, anche se con una prestazione diversa da quella originaria. Se invece il creditore non è così fortunato, e ottiene un bene difettoso o un terzo dichiari di esserne il proprietario, allora è facile capire che il creditore non raggiunge nessuna soddisfazione dalla prestazione viziata: da qui nasce il problema di spiegare come possa una tale prestazione essere in grado di estinguere l’obbligazione originaria.
Un suggerimento ci viene dato proprio dal secondo comma dell’art. 1197 c.c., che consente al creditore la scelta tra la prestazione originaria e le garanzie per la seconda prestazione.
L’alternativa, che l’articolo ci offre, è indicativa del fatto che è realizzato un giudizio di equivalenza tra questi due elementi: il creditore deve scegliere quale preferire, sapendo che l’uno esclude l’altro. Se questi elementi non fossero posti sullo stesso piano, l’alternativa tra uno dei due sarebbe a priori iniqua, dal momento che il creditore è costretto a sceglierne uno solo, rinunciando all’altro. La scelta potrà essere vantaggiosa o meno, ma questa è una valutazione soggettiva del creditore, e sarà anzi il criterio che lo guiderà nella decisione. Astrattamente, però, le due opzioni sono poste in alternativa, perché considerate equivalenti, ossia entrambe ugualmente idonee a soddisfare gli interessi creditori.
A questa conclusione si potrebbe obiettare che la garanzia, in quanto tale, non è in grado di soddisfare l’interesse del creditore alla prestazione, ma costituisce uno strumento diverso, che non può trasformarsi in un modo di estinzione dell’obbligazione. Questo è sicuramente vero, dal momento che l’interesse a ricevere la prestazione originaria non potrà mai essere soddisfatto dall’ottenimento di una garanzia, a maggior ragione se consideriamo anche il fatto che si tratta della garanzia relativa alla diversa prestazione, e non a quella originaria. Posto quindi che l’ottenimento della garanzia non possa soddisfare l’interesse alla prestazione originaria, possiamo aggiungere un’altra osservazione.
Si può notare, infatti, che l’interesse al raggiungimento della prestazione originaria x, non sarà mai soddisfatto nemmeno dall’esecuzione della diversa prestazione y: anzi, dopo la ricezione di y, l’interesse per x sarà definitivamente insoddisfatto, perché il creditore non potrebbe chiederne l’esecuzione, cumulandola alla prestazione y86. Eppure la prestazione x si estingue ugualmente, e la ragione è da collegare non alla capacità della nuova prestazione di soddisfare l’interesse originario, ma a quel giudizio di equivalenza87 che porta il creditore a pattuire una prestazione in luogo dell’adempimento.
Quando introduciamo un giudizio di equivalenza tra la prestazione originaria e una diversa, salta la corrispondenza tra l’interesse all’ottenimento dell’originaria prestazione e quella che invece sarà effettivamente eseguita. Venuta meno questa corrispondenza, non ha più senso obiettare che la garanzia non potrebbe soddisfare l’interesse originario, poiché nemmeno l’esecuzione di una differente prestazione potrebbe farlo. In entrambi i casi, però, si ottiene l’estinzione dell’obbligazione originaria, ma non come surrogato dell’adempimento di una prestazione che, lo abbiamo detto, resterà definitivamente insoddisfatta, ma come decisione di accettare un quid diverso.
L’ottenimento della garanzia si presta quindi a soddisfare l’interesse creditorio così inteso, mentre un simile risultato non potrebbe essere conseguito semplicemente con l’esecuzione della prestazione viziata o suscettibile di evizione. Con la prestazione in luogo dell’adempimento, il creditore non si accontenta di ricevere la diversa prestazione tout court88,
86 Si richiama (Xxxxxxxxxx, 1984) p. 620: “Ogni prestazione diversa da quella originaria risulterà inidonea, di per sé, a realizzare compiutamente gli interessi dedotti nell’obbligazione. Tuttavia poiché l’<<utilità>> risponde ad una valutazione soggettiva, estranea al rapporto, è possibile che il creditore consideri ugualmente <<utile>>, cioè conveniente, anche il conseguimento di un bene differente da quello dovuto.”
87 Si veda sul tema (Allara, 1927) p. 71 ss., che instaura il giudizio di equivalenza non direttamente tra le due prestazioni, ma tra l’esecuzione di una prestazione diversa da quella dovuta e l’adempimento.
88 Questo aspetto assumerà rilevanza proprio per stabilire la differenza con il contratto modificativo dell’oggetto, dove l’interesse delle parti si esaurisce nella composizione di un nuovo regolamento contrattuale. Nella prestazione in luogo dell’adempimento, invece, l’obiettivo del creditore è di estinguere il vincolo, non di modificarlo.
ma, a fronte della presenza di vizi o dell’ipotesi di evizione, ne richiede la garanzia, e solo con il suo ottenimento89 potrà dirsi soddisfatto.
Risulta così spiegato il motivo per cui la garanzia sia in grado di estinguere la prestazione originaria, che di conseguenza non potrà più essere pretesa dal creditore, come emerge anche dalla scelta alternativa, e non cumulativa, prevista nel secondo comma dell’art. 1197 c.c. tra la garanzia e la richiesta della prestazione originaria.
6. L’inidoneità della prestazione viziata ad estinguere l’obbligazione
L’incapacità di soddisfare l’interesse del creditore impedisce alla prestazione viziata o suscettibile di evizione di estinguere l’obbligazione90. Si osserva che la sopravvivenza dell’obbligazione originaria, per tutto il periodo successivo alla esecuzione della prestazione viziata, consente di dare una spiegazione alla possibilità di richiedere l’esecuzione dell’originaria prestazione, come previsto dal secondo comma dell’art. 1197
c.c. Se così non fosse, saremmo costretti ad interpretare la richiesta del secondo xxxxx come un’ipotesi di reviviscenza della prestazione ormai estinta.
Immaginiamo che l’esecuzione della seconda prestazione estingua subito l’obbligazione originaria: se successivamente dovessero sorgere dei vizi, la richiesta della prestazione originaria, prevista in base al secondo comma dell’art. 1197 c.c., sarebbe da considerare come reviviscenza della prima prestazione. La prestazione originaria, infatti, sarebbe estinta dall’esecuzione della seconda prestazione e, di conseguenza, verrebbe meno la possibilità di chiedere l’adempimento di un’obbligazione non più esistente: questa possibilità si avrebbe solo – come tra l’altro è stato fatto – ipotizzando la reviviscenza della prima prestazione, ma si nega che il
89 Vedremo più avanti perché si è preferito che solo con l’ottenimento della garanzia si estinguesse l’obbligazione principale, non bastandovi la semplice richiesta di garanzia. Forse si potrebbe persino vederne una traccia lessicale nel fatto che, nel secondo comma dell’art. 1197 c.c., non è scritto che il creditore deve chiedere la garanzia, ma che il debitore vi è tenuto.
90 Diversa opinione ha chi ritiene che la prestazione in luogo dell’adempimento sia un contratto modificativo che nasce e, nello stesso tempo, si estingue attraverso l’esecuzione della prestazione.
creditore, unilateralmente, possa ripristinare, a carico della controparte, un vincolo obbligatorio ormai estinto91.
Un secondo rilievo a sostegno della permanenza della prestazione originaria si ricava, ponendo l’attenzione sull’interesse del creditore. Se, nonostante la comparsa di vizi o dell’eventualità dell’evizione, l’esecuzione della seconda prestazione avesse estinto la prestazione originaria, verrebbe meno l’alternativa indicata dal secondo comma dell’art. 1197 c.c., restando solo la garanzia come scelta obbligata del creditore, a meno che non si sostenga la capacità del creditore di far rivivere l’obbligazione originaria. Diversamente, tale rischio non si presenta se la prestazione originaria si conserva, finché il creditore stesso non decida di optare per la garanzia.
Da ultimo, si evidenzia il vantaggio che il debitore otterrebbe se l’obbligazione originaria venisse estinta anche da un’esecuzione inesatta della seconda prestazione. Se quest’ultima fosse in grado di estinguere la prima prestazione, avremmo come risultato che il debitore non solo non avrebbe eseguito correttamente la seconda prestazione, ma otterrebbe pure la propria liberazione dall’obbligazione originaria (salva la possibilità, quanto mai dubbia, che il creditore possa farla rivivere).
7. La definizione dell’evento
A questo punto della trattazione abbiamo ricomposto tutti gli elementi necessari per ricostruire l’impostazione che qui si sostiene.
Da un lato, sappiamo che l’ottenimento della garanzia assume per il creditore un’efficacia estintiva pari a quella dell’esecuzione della diversa prestazione. Questo è dovuto al fatto che, a differenza dell’esecuzione della prestazione viziata, la garanzia è in grado di soddisfare l’interesse del creditore.
Dall’altro lato, la prima prestazione permane in vita92, appunto finché il creditore non risulta soddisfatto, anche con modalità diverse dall’adempimento.
91 Si richiama quanto già osservato sopra al paragrafo 4 di questo capitolo.
92 Sul punto si veda (Xxxxxxxxx, 3/2002) p. 1413 “Nel silenzio delle parti ed in mancanza di altri elementi sembra comunque che debba ammettersi la possibilità per il debitore di eseguire la prestazione originaria quale bene della vita spettante al creditore e sulla cui
Possiamo così affermare che la figura di cui all’art. 1197 c.c. permette l’estinzione dell’obbligazione attraverso strumenti diversi dall’adempimento, senza, però, sottrarre all’adempimento stesso l’efficacia estintiva che gli è propria. Finché il creditore non perde il diritto alla prima prestazione, infatti, l’adempimento resta satisfattivo, e sarà così possibile per il debitore adempiere, ossia eseguire l’unica (e originaria) prestazione dovuta. Come sia realizzabile questa duplicità di risultati è facilmente spiegabile ricorrendo al congegno condizionale.
La prestazione in luogo dell’adempimento si comporta come una condizione, che però non subordina l’efficacia o l’inefficacia dell’intero contratto al verificarsi di un evento, ma si limita a condizionare la modalità di estinzione dell’obbligazione non ancora eseguita. Senza modificare l’obbligazione originaria, la condizione introduce l’eventualità che fatti, diversi dall’esecuzione della prestazione originaria, possano intervenire ad estinguere l’obbligazione, affiancandoli all’ipotesi ordinaria dell’adempimento.
Si può notare, a questo proposito, che il creditore non rinuncia subito a ricevere la prestazione originaria, rispetto alla quale non perde interesse, come dimostra la possibilità, prevista al secondo comma dell’art. 1197 c.c., di richiederla. D’altra parte, il creditore accetta che modalità diverse dall’adempimento estinguano l’obbligazione, solo se esse siano ugualmente satisfattive dei suoi interessi: come abbiamo visto, l’esecuzione di una diversa prestazione o, a fronte di vizi ed evizione, l’ottenimento della garanzia sono fatti idonei a soddisfare l’interesse del creditore. Se così è, la prestazione in luogo dell’adempimento potrebbe presentarsi in questa forma: “Tizio debitore deve x a Caio, ma se presta y con le relative garanzie per vizi ed evizione, si estingue ugualmente l’obbligazione”.
Schematicamente, possiamo così riprodurre la situazione che nasce a seguito della prestazione in luogo dell’adempimento:
persistenza non vi è dubbio sol che si consideri il momento in cui si realizza l’effetto estintivo: se il debitore non esegue la prestazione sostitutiva, infatti, il creditore ha pur sempre il diritto di ricevere quella originaria e dunque non sembra prospettabile, in difetto di novazione, la sua pretesa a ricevere solo quella sostitutiva.”
a) Se il debitore esegue la prestazione originaria, si ha adempimento, e la vicenda si conclude indipendentemente dal meccanismo condizionale, nonché al di fuori dell’art. 1197 c.c.;
b) Se il debitore esegue la diversa prestazione, si aprono due scenari:
1. se la prestazione è immune da vizi e da evizione: si verifica la condizione e si estingue l’obbligazione (art. 1197.1 c.c.);
2. se la prestazione è viziata o suscettibile di evizione, il creditore ha due alternative (art. 1197.2 c.c.):
i) chiedere l’esecuzione della prima prestazione: la condizione è definitivamente mancata, e il debitore potrà liberarsi solo attraverso l’adempimento, ossia l’esecuzione della prestazione originaria;
ii) chiedere la garanzia per i vizi e l’evizione: l’ottenimento effettivo della garanzia coincide con il verificarsi della condizione, che consente di estinguere l’obbligazione.
8. La pendenza della condizione
La configurazione della prestazione in luogo dell’adempimento come una condizione comporta la sopravvivenza della prima originaria obbligazione, per tutto il tempo di pendenza della condizione.
Si potrebbe intravedere così il rischio di una moltiplicazione degli obblighi a carico del debitore, il quale, oltre alla originaria obbligazione, dovrebbe farsi carico anche dell’esecuzione della nuova prestazione.
All’obiezione si risponde osservando che il rischio di una moltiplicazione dei vincoli obbligatori viene evitato, proprio per il fatto di considerare la seconda prestazione come un evento dedotto in condizione: in tal modo, la sua esecuzione non rappresenta adempimento di una nuova obbligazione, ma costituisce avveramento della condizione, ossia rappresenta un comportamento che è valutato come un fatto esterno all’obbligazione. Questa impostazione consente di tutelare sia il creditore, sia il debitore.
Da un lato, infatti, il creditore, che si appresta a concludere una prestazione in luogo dell’adempimento, sa già che il suo debitore ha poche possibilità di adempiere alla prestazione originaria, per cui non avrebbe senso pattuire un’ulteriore obbligazione con lui. L’interesse del creditore è quello di
ottenere l’estinzione dell’obbligazione originaria, non invece quello di ritrovarsi nuovamente creditore di un debitore già poco affidabile.
Dall’altro lato, anche il debitore trova tutela, perché la nuova prestazione non costituisce un nuovo vincolo obbligatorio, ma resta tenuto all’unica originaria obbligazione. Con la prestazione in luogo dell’adempimento, il debitore ottiene la possibilità di estinguere l’(unica) obbligazione attraverso un comportamento, corrispondente alla seconda prestazione, ma che non diventa oggetto di un nuovo vincolo con il creditore. E’ in tal modo scongiurato il rischio di creare un cumulo di obbligazioni.
9. Il mancato avveramento della condizione
Se l’evento dedotto in condizione è costituito dalla esecuzione di una diversa prestazione con annesse garanzie, si pone il problema di individuare il momento del mancato verificarsi dell’evento.
Non c’è dubbio che la mancata esecuzione della seconda prestazione o la sua realizzazione soltanto parziale comportino il mancamento della condizione; al contrario, l’interpretazione non è così agevole nel caso in cui la prestazione venga eseguita, ma presenti vizi o sia suscettibile di evizione. In quest’ultimo caso, infatti, la condizione né si è avverata, né è mancata, ma è ancora in fase di pendenza, potendosi ancora verificare. Se così è, ci si domanda come possa il creditore chiedere l’esecuzione dell’originaria prestazione, prima ancora di sapere se la condizione si realizzerà o verrà meno.
Si potrebbe sostenere, infatti, che fino a quando la condizione non sia esaurita, e quindi finché non sia eliminata l’incertezza riguardo alla sorte dell’evento dedotto in condizione, non sia concesso al creditore intervenire. A questa obiezione si risponde, osservando che, se a fronte di una prestazione viziata o suscettibile di evizione il creditore non potesse fare alcunché, si creerebbe una situazione di stallo, durante la quale la garanzia non sarebbe né richiesta né rifiutata. Per eliminare l’incertezza connessa all’ottenimento o meno della garanzia, è prima necessario che il creditore manifesti il proprio consenso a ricevere la garanzia. L’ottenimento della garanzia funge, sì, da evento, ma si tratta di un evento che richiede un
presupposto per potersi attivare, e tale presupposto altro non è che la richiesta della garanzia da parte del creditore.
Se il creditore non domanda la garanzia, ma chiede invece l’esecuzione dell’originaria prestazione, la condizione si considera definitivamente mancata, perché non sarà più possibile per il debitore eseguire la garanzia contro la volontà del creditore. Il fatto stesso di chiedere l’adempimento della prima prestazione rende definitivamente impossibile l’avverarsi dell’evento e, di conseguenza, la condizione non potrà più realizzarsi.
Non si tratta quindi di una rinuncia del creditore alla condizione prima del suo avveramento, e nemmeno di una eliminazione unilaterale della condizione: la richiesta della prima prestazione è da leggere piuttosto come un comportamento che esclude definitivamente la richiesta della garanzia, che non potrà più essere eseguita. Analizziamo ora i due casi di mancamento della condizione.
1) La mancata esecuzione della seconda prestazione e il problema dell’inadempimento
Se la prestazione in luogo dell’adempimento pone in condizione l’esecuzione della seconda prestazione integrata dalla garanzie, ne segue che la mancata esecuzione della seconda prestazione, la sua esecuzione solo parziale o la mancata prestazione delle garanzie configurino ipotesi di mancamento dell’evento.
La mancata esecuzione della seconda prestazione non è qualificabile come inadempimento e non è nemmeno possibile individuare un margine di responsabilità del debitore: egli infatti né ha assunto una nuova obbligazione, né si è impegnato in alcun modo ad eseguire la seconda prestazione. Quest’ultima è stata configurata come evento condizionale, rispetto al quale non è possibile emettere una valutazione di inadempimento, ma si potrà solo osservarne la verificazione o il mancamento.
Ci si domanda quindi quale tutela spetti al creditore di fronte alla mancata esecuzione della seconda prestazione, non potendo ricorrere ai rimedi predisposti per l’inadempimento.
A questa domanda si risponde sulla base dell’evolversi della normale vicenda condizionale: la mancata esecuzione della seconda prestazione
corrisponde al mancamento della condizione, che non produrrà l’effetto di estinguere l’obbligazione originaria. Il creditore potrà quindi pretendere l’esecuzione della prima prestazione, che permane immutata, conservando così il diritto a chiederne l’adempimento.
2) La richiesta della prestazione originaria
La difficoltà di spiegare la richiesta della prestazione originaria sta nel fatto di capire che cosa consenta al creditore, dopo aver accettato la diversa prestazione, di reclamare poi quella originaria93.
A questa domanda si risponde osservando che è il congegno condizionale a permettere il recupero della prima prestazione. La prestazione in luogo dell’adempimento deduce in condizione un comportamento, corrispondente all’esecuzione della seconda prestazione con annesse garanzie. Se il creditore, a fronte dei vizi o della possibilità di evizione della seconda prestazione, decide di chiedere l’adempimento della prestazione originaria, allora la condizione manca definitivamente: di conseguenza l’obbligazione non si estingue e il creditore potrà esigerne l’adempimento.
Tale impostazione consente così di spiegare il recupero della prestazione originaria, senza dover ricorrere al concetto di reviviscenza dell’obbligazione precedentemente estinta.
A questo punto, ci si potrebbe chiedere cosa succederebbe nel caso in cui, pur dopo la richiesta di adempimento della prestazione originaria da parte del creditore, il debitore riuscisse spontaneamente a sostituire il bene alterato con uno privo di difetti: in un simile caso, ci si domanda se la condizione debba considerarsi verificata oppure no. Una risposta rigorosa sarebbe quella di dire che, se il creditore abbia già fatto domanda per richiedere la prestazione originaria, la condizione debba essere considerata come definitivamente non avverata. E’ chiaro, però, che, in un caso del genere, l’ultima parola spetta al creditore: se, nonostante il mancamento della condizione, preferisce accettare la seconda prestazione quando il debitore la esegue correttamente, allora non ci sono motivi per non consentirgli di fare quello che ritenga più opportuno.
93 (Candian) p. 261.
10. L’avveramento della condizione
L’esecuzione della seconda prestazione o, in caso di comparsa di vizi o del rischio di evizione, l’ottenimento della garanzia, comportano l’avveramento della condizione e, di conseguenza, l’estinzione dell’originaria obbligazione.
Abbiamo già visto che il primo comma dell’art. 1197 c.c. spiega come l’esecuzione di una diversa prestazione possa estinguere l’obbligazione originaria, mentre il secondo comma è dedicato al caso in cui la diversa prestazione sia viziata o suscettibile di evizione. In tale situazione, si offrono al creditore due possibilità alternative: o esigere l’adempimento dell’obbligazione originaria, oppure chiedere al debitore di essere tenuto indenne dai vizi e dall’evizione. In entrambi i casi, l’obbligazione originaria non si estingue immediatamente, ma, nella prima situazione, l’estinzione si avrà solo con l’adempimento da parte del debitore; nella seconda, con l’effettivo ottenimento della garanzia. Analizziamo ora la scelta di chiedere la garanzia per l’evizione e per i vizi, rivelandosi l’ipotesi che solleva più aspetti critici.
La richiesta di garanzia per l’evizione e per i vizi
L’impostazione che si è seguita finora considera l’ottenimento della garanzia come evento condizionale, al cui verificarsi è subordinata l’estinzione dell’obbligazione originaria.
Si osserva che, abbandonando il ricorso al meccanismo condizionale, risulta difficile spiegare come sia possibile che la garanzia per una diversa prestazione possa estinguere un’altra obbligazione, se non interpretando la scelta del debitore come una remissione del debito. Secondo tale interpretazione, il creditore, accettando la garanzia per la nuova prestazione, sarebbe costretto a ricorrere alla remissione, per estinguere l’originaria obbligazione, che altrimenti resterebbe in vita, anche a seguito dell’ottenimento della garanzia. Una simile interpretazione è da escludere, se si tiene in considerazione l’interesse del creditore, il quale non avrebbe nessun vantaggio ad estinguere immediatamente l’obbligazione, per rimanere soltanto con una garanzia. Al contrario, tale rischio non si presenta se, come crediamo, l’ottenimento della garanzia è dedotto in condizione, per
cui l’obbligazione originaria si conserva fino a quando il creditore non ottiene la garanzia.
Confermata la scelta del meccanismo condizionale, ci si domanda perché non basti la semplice richiesta della garanzia a far estinguere l’obbligazione, ma sia richiesto, invece, che il debitore sia effettivamente tenuto indenne dall’ipotesi di vizi e di evizione.
La risposta, anche in tal caso, è da cercare nel meccanismo che meglio tuteli la posizione del creditore. Se fosse sufficiente la richiesta della garanzia a considerare avverato l’evento e, conseguentemente, ad estinguere l’obbligazione, si costringerebbe il creditore ad assumersi il rischio che la garanzia non venga effettivamente prestata, avendo nel contempo perso la possibilità di ricorrere alla prestazione originaria, ormai già venuta meno.
La sopravvivenza dell’obbligazione originaria, finché il debitore non tenga indenne il creditore dai vizi e dall’evizione, potrebbe far emergere un problema già visto, quello della duplicazione dei vincoli obbligatori a carico del debitore: abbiamo in precedenza affrontato il tema con riguardo alla seconda prestazione; resta ora da capire se la garanzia costituisca per il debitore un ulteriore vincolo.
Si potrebbe infatti sostenere che la mancata estinzione dell’obbligazione originaria a seguito dell’esecuzione della prestazione viziata porterebbe ad un cumulo di vincoli obbligatori, dal momento che la garanzia si aggiungerebbe all’obbligazione originaria, senza sostituirla e senza estinguerla: in tal modo il creditore risulterebbe doppiamente avvantaggiato, a scapito del debitore.
A questa obiezione, si possono fornire due risposte. La prima è quella di negare che la garanzia costituisca un’obbligazione, rappresentando invece uno strumento diverso, rivolto ad altri fini: il garante non si obbliga, né assume alcun tipo di obbligazione.
La seconda risposta riguarda il fatto che la garanzia è configurata come evento condizionale, rispetto al quale, abbiamo già osservato, il debitore non può mai essere ritenuto inadempiente: ci si domanda, quindi, come sarebbe possibile definire “vincolo obbligatorio” quello che, già a priori, non è in grado di produrre conseguenze in termini di responsabilità del debitore.
Il fatto che la garanzia costituisca un evento dedotto in condizione lascia aperte ancora alcune questioni da chiarire, riguardanti, in particolare, la definizione del momento in cui la condizione possa considerarsi avverata, la possibilità stessa di attivare la garanzia e l’esito cui conduce il suo ottenimento.
1) Il momento di verificazione dell’evento-garanzia
La deduzione in condizione della garanzia potrebbe rivelarsi poco efficiente, in termini di teoria economica del diritto, per il fatto di costringere il creditore ad aspettare molto tempo, prima di sapere se la condizione si sia avverata o meno. Infatti, i vizi potrebbero comparire anche mesi dopo l’esecuzione della seconda prestazione, così come un terzo potrebbe sopraggiungere dopo molto tempo a rivendicare il bene.
Per rispondere a questa difficoltà, si potrebbero osservare le norme che il codice fissa in materia di vendita, che prevedono un termine di prescrizione di un anno dalla consegna, in caso di vizi (art. 1495 c.c.), e la possibilità di far fissare un termine dal giudice, se la cosa risulti gravata da garanzie reali o da altri vincoli (art. 1482 c.c.).
Il richiamo alle norme del codice può risolvere solo in parte il problema, ma si osserva che, da un lato, l’incertezza è insita nella scelta dello stesso strumento condizionale; dall’altro lato, si deve circoscrivere l’incertezza ad un ambito limitato, proprio in ragione delle caratteristiche della condizione di cui all’art. 1197 c.c. Tale condizione, infatti, non subordina al suo verificarsi né l’efficacia del contratto, né l’efficacia traslativa della seconda prestazione, ma si limita a influire sull’estinzione dell’obbligazione originaria. Quest’ultima, infatti, resterà in vita, finché il creditore non sia tenuto indenne dai vizi e dall’evizione: è solo l’estinzione dell’obbligazione originaria che resta sospesa, non invece l’efficacia del trasferimento del bene che il debitore abbia consegnato al creditore in esecuzione della seconda prestazione.
2) L’attivazione della garanzia
Un argomento importante da chiarire riguarda la possibilità di attivare la garanzia, pur in assenza di un’obbligazione da garantire. La questione non
concerne la natura giuridica della garanzia, ossia se essa costituisca o meno una obbligazione: abbiamo infatti già brevemente affrontato questo tema e adottato l’impostazione che sostiene la diversità della garanzia rispetto all’obbligazione. Il problema che ci si presenta a questo punto della trattazione è diverso, ed è quello di capire come sia possibile per il creditore chiedere la garanzia per una prestazione, che è configurata come un evento condizionale, ossia come un fatto, e non invece come una nuova obbligazione. In altre parole, ci si chiede se l’attivazione della garanzia presupponga o meno l’esistenza di una obbligazione da garantire.
Analizzando la disciplina delle garanzie per vizi ed evizione, possiamo notare che non sempre un’obbligazione di dare si accompagna alla garanzia: questo lo si deduce sia dalla possibilità, prevista dall’art. 1487 c.c., di escludere convenzionalmente la garanzia, sia dalle attenuazioni94 di responsabilità del donante nel caso di vizi della cosa donata o di evizione.
La disciplina delle donazioni, come è noto, riserva un diverso trattamento95 per le due garanzie. Da un lato, l’art. 798 c.c. è applicabile ad ogni donazione, anche se rimuneratoria o modale, ed ammette la responsabilità del donante per vizi della cosa, solo se assunta con patto speciale o in caso di dolo. Dall’altro lato, l’art. 797 c.c. limita la responsabilità del donante, per l’ipotesi di evizione, solo se espressamente pattuita oppure se ci sia stato dolo o se dipenda dal fatto personale del donante; se, invece, si tratta di donazione modale o rimuneratoria, la garanzia è dovuta fino alla concorrenza dell’ammontare degli oneri o dell’entità delle prestazioni ricevute dal donante. Quest’ultima particolare disciplina ha portato ad affermare che “anche rispetto alla donazione rimuneratoria, il fondamento della garanzia deve rinvenirsi al di fuori del congegno proprio del sinallagma”, e si è aggiunto che “del resto, che la garanzia per evizione non si ricolleghi necessariamente con l’esistenza di un rapporto sinallagmatico, è dimostrato dalla sua applicazione alla divisione (art. 759 c.c.)”96.
Merita attenzione anche la disciplina prevista per i legati, rispetto ai quali si ritiene che “l’onerato non sia normalmente tenuto alla garanzia per evizione,
94Sulle garanzie per vizi ed evizione nella vendita si vedano (Balbi, 1964) p. 45 ss.; (Xxxxxx, 1961) p. 544 ss.; (Xxxxxxxx, 1982) p. 832 ss.; (Gardani Contursi-Lisi) p. 432 ss; (Torrente,
2006) x. 000 xx.
00 (Xxxxxxxx, 2006) p. 628.
96 Le citazioni sono di (Torrente, 2006), rispettivamente, p. 626 e p. 618.
né a quella per vizi, salvo diversa disposizione del testatore, se trattasi di cosa di proprietà dell’onerato.[…]Più incerto, invece, è se un’analoga conclusione debba raggiungersi quando l’onerato abbia l’obbligo di acquistare la cosa per trasmetterla al legatario: benché la soluzione non appaia del tutto coerente né equa, è però opinione sostanzialmente concorde, a tal proposito, che la garanzia debba essere prestata”97.
Dal quadro così brevemente tratteggiato, emerge che non sempre la prestazione di trasferire la proprietà di una cosa è accompagnata dalla garanzia per i vizi e per l’evizione del bene stesso. Non sempre, infatti, il dante causa si assume la responsabilità per la regolarità e la completezza del trasferimento e, d’altra parte, l’assenza della garanzia non inficia in alcun modo la validità dell’attribuzione patrimoniale98.
Qualora, però, la garanzia sia prevista, allora possiamo affermare, in un certo senso, che la prestazione di dare risulti qualificata, proprio per il fatto di essere garantita. Non a caso, la disciplina della vendita prevede la garanzia come un naturale negotii, ossia un effetto che trova luogo in mancanza di patti che la limitino od escludano; mentre la posizione che alla garanzia spetta nella donazione è invertita rispetto a quella che essa assume nella vendita, esigendo un’apposita pattuizione99.
Si capisce così il motivo per cui l’art. 1197 c.c. preveda espressamente la garanzia: la nuova prestazione è garantita, perché costituisce un trasferimento qualificato in un certo modo, trattandosi di una prestazione di dare che è prestata “in luogo dell’adempimento”, e quindi resa il più vicino possibile ad un’obbligazione, pur non essendo tale100. Con tale previsione, è possibile neutralizzare il rischio che la nuova prestazione resti priva di qualsiasi garanzia, dal momento che essa è configurata come un evento e non come un’obbligazione nascente dal contratto. La nuova prestazione è,
97 (Sesta, 2011) p. 1457.
98 (Xxxxxxx, 1953) p. 12 “La vendita è valida malgrado i vizi della cosa […]”.
99 Così letteralmente (Torrente, 2006) p. 618.
100 Si rimanda a quanto affermato da (Gorla, 1934) “Resta a vedere se caratteristica delle obbligazioni di dare sia la prestazione della garanzia di evizione. La risposta non può essere che negativa. Tale prestazione non c’è nelle obbligazioni di dare che non nascono ex negotio; e fra quelle negoziali, a parte l’esempio storico della vendita romana, non è necessaria: può essere esclusa, oltre che dalla volontà delle parti, dalla natura del negozio, così per la donazione (art. 1077c.c.). Sicché la garanzia è un elemento proprio del rapporto contrattuale di scambio, piuttosto che dell’obbligazione di dare.” (corsivo nel testo, pp. 53- 54).
sì, un evento, ma il creditore acconsente a riceverla in sostituzione dell’adempimento della prestazione originaria, per cui, per evitare di trovarsi senza tutele nell’eventualità che il bene sia difettoso o un terzo venga a rivendicarlo, ne richiede la garanzia.
La possibilità di prevedere la garanzia per una prestazione di dare, che risulti configurata come evento e non come obbligazione, è giustificata se riteniamo che la garanzia rappresenti un rimedio che l’ordinamento appresta per la mancata realizzazione di un risultato101. Possiamo così affermare che, nella prestazione in luogo dell’adempimento, la garanzia funge quasi da assicurazione per il caso di vizi e di evizione della prestazione, di cui il debitore si assume la responsabilità.
3) L’ottenimento delle garanzie: in particolare la risoluzione
Abbiamo visto che l’ottenimento delle garanzie funge da evento che consente l’estinzione dell’originaria obbligazione attraverso il meccanismo condizionale.
Si potrebbe quindi osservare una sovrapposizione tra strumenti che portano ad un medesimo risultato, se pensiamo che anche l’esercizio delle garanzie può ugualmente portare alla risoluzione del contratto.
A tale considerazione, si obietta che le garanzie per i vizi e per l’evizione non offrono al creditore solo rimedi di tipo estintivo, ma gli consentono di ottenere il diritto al risarcimento del danno (artt. 1479, 1482, 1483, 1494 c.c.) e, se la cosa risulti viziata o gravata da oneri o diritti di godimento di terzi, la riduzione del prezzo (artt. 1489, 1492 c.c.).
Si evidenzia inoltre la differenza che intercorre tra i due strumenti, risolutorio ed estintivo: l’avveramento della condizione, infatti, estingue l’obbligazione originaria, lasciando il creditore soddisfatto, proprio in virtù di quel patto di prestazione in luogo dell’adempimento, con il quale ha acconsentito a ricevere un quid, diverso rispetto alla prestazione originaria, ma che sia ugualmente in grado di rispondere suoi interessi. Diversamente, la risoluzione non costituisce uno strumento che possa estinguere l’obbligazione in maniera satisfattiva: al contrario, il creditore ricorre alla
101 Si veda (Xxxxx) p. 581 ss.
risoluzione proprio per tutelarsi a fronte dell’inadempimento della controparte.
00.Xx risarcimento del danno previsto dal secondo comma dell’art. 1197 c.c.
La disciplina della prestazione in luogo dell’adempimento consente al creditore di domandare la prima prestazione e il risarcimento del danno, a fronte della presenza di vizi o del rischio di evizione della seconda prestazione. Si può osservare che il risarcimento del danno costituisca un elemento in più rispetto alla dinamica condizionale. Se, come crediamo, la richiesta della prima prestazione renda definitivamente impossibile il verificarsi della condizione, quest’ultima, venendo meno, dovrebbe consentire al creditore il diritto ad ottenere solamente l’esecuzione della prima prestazione.
Il risarcimento del danno non ha nulla a che fare con il mancato avverarsi della condizione, ma riguarda piuttosto “i danni sofferti per non aver potuto disporre della prestazione originaria alla scadenza inizialmente convenuta”102.
Rispetto alla condizione, invece, non è possibile prevedere un risarcimento per l’affidamento che il creditore avesse riposto nel fatto che la seconda prestazione potesse essere valida e idonea ad estinguere la prima. Il mancato avveramento della condizione è uno dei due possibili esiti cui dà luogo il meccanismo condizionale, e l’incertezza, propria del periodo di pendenza, non può essere intesa come violazione dell’affidamento riposto nel buon esito dell’evento.
12. Il caso in cui la seconda prestazione sia obbligatoria e non traslativa e la cessione di un credito
L’impostazione che interpreta la prestazione in luogo dell’adempimento come una condizione è applicabile anche laddove la seconda prestazione non sia traslativa, ma semplicemente obbligatoria. Si seguiranno, anche in tal caso, le regole del normale svolgimento della condizione: l’unica
102 (Xxxxxxxx, 1987) p. 261.
differenza riguarda il fatto che sarà dedotta in condizione la seconda prestazione, senza le garanzie per i vizi e l’evizione, che logicamente non si accompagnano ad una prestazione ad effetti obbligatori e non traslativi, ma con le garanzie proprie del tipo di obbligazione cui ci si riferisce. Si può osservare, infatti, che solo la deduzione in condizione della garanzia consente di attribuire al creditore lo stesso livello di tutela che avrebbe, se non avesse accettato la prestazione in luogo dell’adempimento. Non si vede infatti il motivo per cui il creditore dovrebbe avere delle tutele ridotte, solo per il fatto di ricorrere alla prestazione in luogo dell’adempimento.
L’esecuzione della seconda prestazione costituisce l’evento, al cui verificarsi è subordinata l’estinzione dell’obbligazione originaria; viceversa, se la prestazione non viene eseguita, la condizione si considera mancata, e il creditore avrà nuovamente la possibilità di esigere la prestazione originaria. Per fare un esempio, nel caso in cui l’evento dedotto in condizione corrisponda alla prestazione dovuta dall’appaltatore, il creditore avrà ugualmente la possibilità di avvalersi delle garanzie per difformità o vizi dell’opera di cui all’art. 1668 c.c. In tal caso, vista l’affinità rispetto alla garanzia per i vizi della vendita, l’evento dedotto in condizione dovrebbe essere l’esecuzione dell’opera con annesse garanzie per l’ipotesi in cui ci siano difetti. Allo stesso modo, dovranno applicarsi anche le garanzie previste per il contratto di locazione, nel caso di vizi della cosa locata o nel caso di molestie provenienti da terzi che diminuiscano l’uso o il godimento della cosa (art. 1578 ss. c.c.).
L’impostazione sopra seguita è valida anche quando in luogo dell’adempimento sia ceduto un credito. Si potrebbe infatti leggere l’art. 1198 c.c. come se fosse dedotta in condizione la riscossione del credito, a seguito della quale, infatti, si estingue l’obbligazione originaria.
L’articolo in esame può essere visto come una conferma della scelta di dedurre in condizione anche la garanzia, e non solo la prestazione: come nella cessione di un credito il creditore acconsente alla liberazione del debitore solo con l’effettiva riscossione, allo stesso modo, negli altri casi di prestazione in luogo dell’adempimento, il creditore non sarebbe soddisfatto se ricevesse una prestazione viziata o suscettibile di evizione, ma
l’ottenimento effettivo della garanzia si rende indispensabile per permettere l’estinzione dell’obbligazione.
00.Xx realità e il pactum de in solutum dando
Rispetto al tema della realità della prestazione in luogo dell’adempimento, emerge un dato significativo, che consiste nella mancanza di identità dei significati attribuiti a questo concetto103.
Non è infatti chiaro se, per il perfezionamento dell’accordo di prestazione in luogo dell’adempimento, si debba fare riferimento alla consegna del bene oppure all’esecuzione della diversa prestazione convenuta104. Si può osservare, però, che entrambe queste interpretazioni hanno come riferimento il momento in cui si realizza l’effetto traslativo della seconda prestazione, e non invece l’effetto estintivo dell’obbligazione originaria.
La realità è un concetto che, se applicato alla prestazione in luogo dell’adempimento, confonde due momenti che invece devono rimanere distinti: da un lato, infatti, abbiamo l’effetto traslativo od obbligatorio prodotto dalla seconda prestazione; dall’altro lato, invece, si pone l’effetto estintivo dell’obbligazione originariamente pattuita. Quando ci si riferisce al momento della consegna del bene, è chiaro che si ha riguardo alla produzione dell’effetto traslativo della seconda prestazione. Allo stesso modo, quando si fa coincidere il perfezionamento con il momento dell’esecuzione105, è ancora agli effetti traslativi od obbligatori della seconda prestazione che si fa riferimento.
Se, invece, si prova ad isolare l’effetto estintivo dell’originaria obbligazione, si nota che, a rigore, non si potrebbe parlare né di consegna né di esecuzione rispetto al risultato di estinguere un’obbligazione, perché non
103 In tal senso si veda (Candian) p. 264, che parla di “terminologia polisemica” con riferimento al carattere della realità. Egli si distanzia dalla concezione che interpreta la realità con riferimento all’inquadramento dell’accordo tra il debitore e il creditore nello schema del contratto, ritenendo eccessivo ricondurre la datio in solutum al contratto “potendosi meglio intendere tale manifestazione di volontà come un atto unilaterale mediante il quale si riconduce l’atto di disposizione compiuto dal debitore alla sua causa, rappresentata dall’obbligazione da adempiere”.
104 (Marchio) p. 3, applica il carattere della realità anche ai casi di datio aventi ad oggetto un bene diverso da una cosa materiale, come la cessione di un credito o il porre in essere o l’omettere un’attività, occorrendo, nella prima ipotesi che il credito venga riscosso, nella seconda, che la prestazione sia eseguita.
105 Si vedano le critiche di (Xxxxxx, 1927), p. 48, già sopra richiamate, contro chi ritiene possibile che un contratto si perfezioni nel momento stesso della sua esecuzione.
è possibile individuare il contenuto di una “prestazione di estinzione” che abbia ad oggetto la consegna o l’esecuzione di alcunché106. L’estinzione di una obbligazione esiste come effetto di un accordo107, ma non nella forma di prestazione, ossia di comportamento che una parte deve eseguire per ottenere un certo risultato: l’estinzione quindi non costituisce attività esecutiva della prestazione.
In modo analogo, nella prestazione in luogo dell’adempimento, non si riesce ad individuare una prestazione corrispondente alla “esecuzione” dell’effetto estintivo, perché anche in tal caso, l’estinzione dell’obbligazione non si compie tramite un comportamento positivo, un facere o un dare, o finanche negativo, un sopportare o un non facere, ma si verifica automaticamente nel momento e al ricorrere delle circostanze che sono state stabilite dalle parti.
D’altra parte, non varrebbe attribuire all’esecuzione della diversa prestazione il ruolo di “eseguire” l’estinzione dell’obbligazione. L’esecuzione della diversa prestazione ha ad oggetto solo il proprio contenuto, che sarà traslativo od obbligatorio, ma non ha ad oggetto l’estinzione dell’obbligazione. Quest’ultimo effetto si realizza automaticamente nel momento in cui si esegue la diversa prestazione, ma non costituisce attività esecutiva di alcuna prestazione.
La difficoltà di ricostruire la prestazione in luogo dell’adempimento risiede proprio nel fatto che una medesima prestazione realizza due effetti: quello traslativo o obbligatorio, proprio della seconda prestazione; e quello invece estintivo dell’obbligazione originaria.
Il meccanismo della condizione riesce a spiegare il realizzarsi di questa duplicità di effetti, perché lega l’estinzione dell’obbligazione al realizzarsi dell’effetto proprio della seconda prestazione, consentendo in tal modo la
106 Si potrebbero forse intendere come esecuzione del risultato estintivo tutte quelle operazioni che consistono nella restituzione di quanto precedentemente prestato, ma si tratta però di prestazioni diverse dall’estinzione in sé considerata. Se si pensa invece al mutuo dissenso, che costituisce l’esempio tipico di contratto estintivo, non si riesce ad individuare una “prestazione di estinzione”, ma l’effetto estintivo si realizza automaticamente ed istantaneamente a seguito del consenso, senza bisogno di un comportamento attivo delle parti.
107 Le considerazioni svolte valgono anche se applicate al di fuori dell’ambito negoziale, e precisamente nel campo delle tutele per l’inadempimento. Si pensi, ad esempio, alla risoluzione di un contratto: una volta richiesta (ed ottenuta) la risoluzione, l’effetto di risolvere il rapporto è automatico e non necessita di un comportamento attivo di alcuna delle parti, salvo le eventuali restituzioni.
produzione dell’effetto estintivo automaticamente108, al momento del verificarsi della prestazione dedotta in condizione.
Attraverso il concetto di realità, invece, si resta legati unicamente alle sorti della diversa prestazione, perché è infatti con esclusivo riferimento ad essa che si può parlare di perfezionamento al momento della consegna o della esecuzione. Si rischia, però, di trascurare il profilo estintivo, che costituisce l’aspetto caratterizzante della prestazione in luogo dell’adempimento, rispetto al quale, però, il concetto di realità si rivela privo di capacità esplicativa o anche solo descrittiva.
Xxxxx potrà essere definito il contratto dal quale sorge la seconda prestazione109, e in tal caso la realità sarà autenticamente riferita al momento perfezionativo del contratto. Se invece, pensiamo all’effetto estintivo dell’obbligazione, la realità non riguarda il momento perfezionativo della prestazione in luogo dell’adempimento, ma il momento di estinzione dell’obbligazione. Emerge, quindi, la duplice valenza del termine realità, che comporta significati diversi per l’esecuzione della seconda prestazione e l’estinzione dell’obbligazione, che invece avvengono simultaneamente e per effetto dell’unico accordo di prestazione in luogo dell’adempimento.
La svalutazione del concetto di realità applicato alla prestazione in luogo dell’adempimento riscuote sostegno anche presso Autori che ne hanno rilevato il mancato riscontro nelle fonti, evidenziando anche la non coincidenza tra il suo significato attuale e quello che aveva assunto nella dottrina più risalente110. Si conferma quindi che il dato normativo non faccia
108 Il fatto che l’effetto estintivo sia automatico al momento della esecuzione della seconda prestazione è un dato incontestato.
109 Non si tralascia di notare l’insidia insita in un simile ragionamento, che è quella di considerare, in modo implicito e in un certo senso, di “default”, la diversa prestazione come un’obbligazione, e non invece, come si tenta di fare nella presente indagine, come un fatto estraneo all’obbligazione.
110 Il rinvio è allo scritto di (Xxxxxxxxx, 3/2002), p. 1391, che, criticando la concezione della realità promossa da Xxxxxx, afferma: “Di tali indicazioni deve invece valorizzarsi l’idea che l’effetto estintivo della datio derivi non dall’accordo di sostituzione ma dalla sua esecuzione, come è ora per regola di legge: assumendo cioè natura reale – secondo quella prospettazione – da questo semplice profilo, che però non coincide con la nozione moderna di contratto reale, tale essendo quello in cui la consegna rileva per la conclusione dell’accordo stesso e non per gli effetti che sia destinato a produrre. Infatti oggi non si dubita che la datio non sia un contratto reale nel senso moderno, non fosse altro perché priverebbe di rilevanza ogni accordo per la sostituzione della prestazione originaria con quella nuova; risultando decisiva l’osservazione che «il requisito della consegna attiene all’effetto estintivo del precedente rapporto e non agli elementi costitutivi del negozio traslativo»”.
riferimento al momento di perfezionamento della prestazione in luogo dell’adempimento, ma si limiti soltanto ad individuare il momento di estinzione dell’obbligazione.
Anche la questione relativa all’ammissibilità del pactum de in solutum dando può essere così diversamente affrontata.
L’ipotesi del pactum de in solutum dando, ossia l’accordo di prestazione in luogo dell’adempimento non accompagnato dalla contestuale esecuzione della diversa prestazione111, nasce per dimostrare l’infondatezza della realità dell’art. 1197 c.c.
L’argomento che è stato proposto a sostegno del pactum de in solutum dando è il seguente. Se la realità impone che la prestazione in luogo dell’adempimento si perfezioni nel momento in cui la diversa prestazione è eseguita, allora se ne deduce che dovrebbe essere considerato come un accordo ancora in fieri, non ancora perfetto, quello diretto a consentire al creditore di liberarsi eseguendo una prestazione diversa da quella convenuta, ma non accompagnato dall’esecuzione della prestazione medesima. Poiché, però, il nostro ordinamento “ammette senz’altro, quale negozio già in sé completo, l’accordo diretto a modificare il rapporto obbligatorio”112 (premessa maggiore), e poiché la prestazione in luogo dell’adempimento costituisce un negozio modificativo dell’oggetto del rapporto (premessa minore), allora si arriva alla conclusione secondo la quale riconoscere alla datio in solutum il carattere della realità porterebbe al risultato inaccettabile di negare alle parti la libera modificabilità dei termini del rapporto113 e, quindi, impedirebbe loro di introdurre la possibilità che il debitore si liberi attraverso l’esecuzione di una diversa prestazione.
Si condivide la conclusione del ragionamento, ma si osserva che, in realtà, la premessa minore, su cui è fondato, non è stata dimostrata, ma anzi rappresenta la tesi che si dovrebbe dimostrare.
111 (Ghozi, 1980) p. 90 nega la qualifica di dazione in pagamento all’ipotesi di pactum de in solutum dando, pur non utilizzando tale terminologia “Ainsi, la seule convention du transfert de la propriété d’un objet, sans la livraison effective, ne satisfait ni le débiteur qui doit en assurer la livraison – accomplir son obligation de faire – ni le créancier qui n’est pas assuré que celle-ci sera exécutée. C’est pourquoi une telle opération ne constitue pas une dation en paiement”.
112 (Xxxxxxxx, 1987) p. 66.
113 (Xxxxxxxx, 1987) pp. 10, 11.
A tal proposito, però, non vale obiettare, come pur è stato fatto114, che la tesi dell’art.1197 c.c. come contratto modificativo, accogliendo l’idea che per la modifica sia necessario l’adempimento della diversa prestazione, avrebbe finito per riconoscere alla prestazione in luogo dell’adempimento proprio quel connotato della <<realità>> che avrebbe voluto negare. Così facendo, infatti, non si fa altro che spostare l’attenzione dal concetto di realità alla natura giuridica della prestazione in luogo dell’adempimento come contratto modificativo. Da parte nostra, invece, si preferisce affrontare quella tesi in altri punti della trattazione, per rimanere qui concentrati sul tema della realità.
Il problema del perfezionamento della prestazione in luogo dell’adempimento non è tanto quello di chiedersi se sia un contratto reale o se invece si applichi il principio consensualistico: questa prospettiva, se portata all’estremo, ha condotto a delle conclusioni paradossali, come quella di considerare che la presunta realità dell’art. 1197 c.c. renda inoperante il principio consensualistico, per cui si dovrebbe negare la possibilità di prevedere un pactum de in solutum dando avente ad oggetto il trasferimento di una cosa specifica115.
La questione da porsi è, invece, quella di capire quando116 si realizzi l’effetto estintivo dell’obbligazione. Come abbiamo visto, l’estinzione dell’obbligazione non è un effetto autonomo, ma dipende direttamente dalla esecuzione della diversa prestazione, reale o consensuale che sia.
L’accordo di prestazione in luogo dell’adempimento è un accordo diretto a prevedere l’estinzione dell’obbligazione attraverso una modalità alternativa a quella (ordinaria) dell’adempimento. Questo accordo, però, ha ad oggetto un effetto estintivo che non è realizzabile né in modo “reale” né in modo
114 (Xxxxxxxx, 1987) p. 103.
115 L’osservazione è di (Xxxxxxxx, 1987) p. 101, che porta questo esempio come un assurdo logico, per sostenere la tesi contraria alla realità. L’argomento è affrontato anche da (Xxxxx, 1980) p. 96, che lo utilizza, in altro contesto, per sostenere l’impossibilità di identificare la dazione in pagamento con la vendita.
116 Secondo (Rodotà) p. 738, l’eventualità per cui la prestazione dell’aliud venga effettuata in un tempo diverso (successivo) a quello in cui si conclude l’accordo tra creditore e debitore non integra ipotesi di dazione in pagamento, ma costituisce o una novazione per mutamento dell’oggetto, o la trasformazione del contenuto dell’obbligazione, che sostituisce, alla obbligazione originaria, un’obbligazione alternativa o facoltativa. L’Autore conclude sostenendo che la figura della dazione in pagamento vada ristretta a quelle sole ipotesi in cui le reciproche attribuzioni patrimoniali tra debitore e creditore realizzano un immediato effetto estintivo, senza operare alcuna trasformazione dell’originario rapporto obbligatorio.
“consensuale”, perché non è ammessa l’esecuzione di un effetto estintivo “puro”, ma questo effetto, in base all’art. 1197 c.c., si realizza automaticamente al ricorre di un altro comportamento, che coincide con l’esecuzione di una diversa prestazione. Solo con riferimento al contenuto della diversa prestazione si potrà parlare di realità o di consensualismo, non invece rispetto all’accordo di prestazione in luogo dell’adempimento.
La necessità di abbandonare la logica del binomio realità/consensualismo emerge anche con riguardo all’ammissibilità del pactum de in solutum dando.
La contestualità o meno tra l’accordo di prestazione in luogo dell’adempimento e l’esecuzione della seconda prestazione non può dar vita a due diversi modelli di prestazione in luogo dell’adempimento: da una parte, la datio in solutum “tipica”, accompagnata dall’adempimento della diversa prestazione e, dall’altra parte, il pactum de in solutum dando, non accompagnato dalla contestuale esecuzione della diversa prestazione. Una simile suddivisione ha valore solo descrittivo, nel senso che, già a priori, si potrebbe concludere che tutte le volte che la seconda prestione consiste in un facere, sarà qualificata automaticamente come pactum de in solutum dando; mentre, se consiste nella consegna di una cosa specifica, come datio in solutum tipica. Al di fuori di questo elemento classificatorio, però, la distinzione non aiuta a far chiarezza sulla prestazione in luogo dell’adempimento, rispetto alla quale è invece importante mettere in luce un altro aspetto.
La prestazione in luogo dell’adempimento consente di estinguere un’obbligazione attraverso il compimento di una diversa prestazione: se quest’ultima non viene realizzata subito, allora anche l’effetto estintivo dell’obbligazione seguirà tali tempistiche.
La mancata contestualità tra l’estinzione dell’obbligazione e la pattuizione dell’accordo di prestazione in luogo dell’adempimento dipende dal fatto che, in alcuni casi, potrebbe esserci uno iato temporale, dovuto ai tempi di esecuzione della diversa prestazione. La contestualità o meno dipende dalla modalità di esecuzione della diversa prestazione, non invece dalla modalità di perfezionamento della prestazione in luogo dell’adempimento, che resta
sempre unica, sia nel caso di datio in solutum tipica, sia nel caso di pactum de in solutum dando.
00.Xx terzo comma dell’art. 1197 c.c. e l’estinzione delle garanzie prestate dai terzi
Concludiamo la disamina della prestazione in luogo dell’adempimento, concentrando l’attenzione sull’ultimo comma dell’art. 1197 c.c., secondo il quale “In ogni caso non rivivono le garanzie prestate dai terzi”. L’interpretazione che proponiamo di questo comma117, muove dalla concezione della prestazione in luogo dell’adempimento come condizione, che non subordina l’efficacia o l’inefficacia dell’intero contratto, ma che influisce unicamente sulla modalità di estinzione dell’obbligazione.
Con riferimento a questo aspetto, si può vedere che il fatto di acconsentire a ricevere un quid, diverso dall’adempimento ma ugualmente valido ad estinguere l’obbligazione, implica anche l’attribuzione al debitore del tempo necessario per eseguire la nuova prestazione. Durante questo periodo, è giocoforza ritenere che il creditore non possa né chiedere l’adempimento coattivo della prima prestazione, né domandarne la risoluzione per l’inadempimento. Il debitore, infatti, non può essere considerato inadempiente rispetto all’obbligazione originaria, per tutto il periodo in cui gli è concesso di eseguire una diversa prestazione e si prepari ad eseguirla. Ne deriva che il creditore non potrebbe avvalersi dei normali rimedi per l’inadempimento dell’obbligazione originaria, finché non è ancora certo se la seconda prestazione verrà eseguita o meno, ossia per tutto il periodo corrispondente alla pendenza della condizione.
Si comprende, quindi, che la figura di cui all’art. 1197 c.c. consente al creditore di agire direttamente sulla scadenza dell’obbligazione principale, la quale, anche se diventa esigibile a seguito del decorso dell’originario termine di adempimento, non viene però pretesa dal creditore, dal momento che egli rinuncia temporaneamente ad esercitare i rimedi a sua disposizione per ottenere l’adempimento. In un certo senso, si può attribuire alla
117 Sono state proposte varie interpretazioni del terzo comma dell’art. 1197: per un approfondimento si rinvia a (Xxxxxxxx, 1987) p. 274. Per la dottrina precedente, si veda (Allara, 1927) pp. 46, 47.
prestazione in luogo dell’adempimento una funzione analoga a quella della dilazione118, perché durante tutto il periodo nel quale il debitore ha la possibilità di eseguire una diversa prestazione, il creditore non potrebbe logicamente esigere la prestazione originaria.
A questo punto, prima di proseguire, si vuole prevenire una possibile obiezione: si potrebbe infatti osservare che, se il creditore si obbliga a non chiedere l’adempimento della prestazione originaria finché la diversa prestazione non venga eseguita, allora non si pone in essere una prestazione in luogo dell’adempimento, ma la diversa figura del preliminare di prestazione in luogo dell’adempimento119.
A questa critica si risponde notando che, in tutti i casi in cui l’esecuzione della diversa prestazione non sia contestuale all’accordo di prestazione in luogo dell’adempimento, si viene a creare di fatto uno spazio di tempo tra la pattuizione del 1197 c.c. e l’estinzione dell’obbligazione. Si tratta quindi di capire cosa possa fare il creditore in questo arco di tempo: il problema, invece, non si pone laddove la seconda prestazione sia eseguita immediatamente al momento dell’accordo di prestazione in luogo dell’adempimento.
Si può osservare che la situazione che si presenta si compone di due elementi che sono difficilmente conciliabili. Da un lato, abbiamo
118 L’Idea che l’art. 1197 c.c. possa avere (anche) una funzione di dilazione trova conferma, in un certo senso, in tutte quelle tesi che hanno interpretato la prestazione in luogo dell’adempimento come una rinuncia al credito, oppure come una dichiarazione di liberare il debitore, oppure ancora come remissione: si veda sul punto la ricostruzione storica fornita da (Xxxxxxxx, 1987) p. 75 e, per la dottrina più risalente, da (Allara, 1927) p. 52. In queste tesi è implicita l’idea che il creditore, tramite la prestazione in luogo dell’adempimento, rinunci a richiedere la sua iniziale pretesa. Ci si potrebbe persino spingere oltre il concetto di dilazione, se si pensa al fatto che, dopo che il creditore abbia accettato l’esecuzione della seconda prestazione, e questa sia andata a buon fine, la prima prestazione, pur essendo ineseguita e, addirittura, rimanendo definitivamente insoddisfatta, si estingue e di conseguenza non può essere considerata inadempiuta, impedendo al creditore di azionare i rimedi per l’inadempimento di un’obbligazione che non c’è più.
119 Xxxxx critica alla possibilità di configurare un preliminare di prestazione in luogo dell’adempimento di rinvia a (Xxxxxxxxx, 3/2002) p. 1388 ss., in cui afferma che “C’è tuttavia da chiedersi quale possa essere l’utilità del patto di concludere un contratto che contempli l’autorizzazione a dare ed accettare un bene in sostituzione di un altro ove si osservi che, a ben vedere, si tratta pur sempre del contenuto dell’accordo di sostituzione che, come meglio si dirà, non ha effetto novativo. Probabilmente la finalità di un tale preliminare si individua nel determinare subito il regolamento che dovrà venir posto in essere nel contratto definitivo: ad esempio vietando al creditore di esigere ora la prestazione originaria ma lasciando al debitore la facoltà di prestarla, regole che non si ricavano automaticamente dalla disciplina legale. La pratica sembra tuttavia ignorare il problema, che pare solo teorico.”
un’obbligazione che è esigibile e che potrebbe essere richiesta dal creditore, dall’altro lato, invece, il creditore acconsente a ricevere una diversa prestazione. Le due pretese non si possono cumulare, ma sono previste in via alternativa non solo dal punto di vista giuridico, ma anche logico.
Se il creditore, dopo aver acconsentito a ricevere la diversa prestazione, domandasse l’adempimento dell’obbligazione originaria, porrebbe in essere un comportamento contrario al suo agire precedente. E’ chiaro infatti che il creditore non potrà, al mattino, accordarsi a ricevere la fornitura di un bene che si trova nei magazzini all’estero del debitore, e poi richiedere, alla sera, il pagamento del prezzo in base all’obbligazione originaria. Il fatto che la prestazione originaria sia ancora esistente ed esigibile si scontra con la possibilità di domandare l’esecuzione di una diversa prestazione: più precisamente, la domanda di adempimento dell’obbligazione avrebbe il significato di recesso dall’accordo di prestazione in luogo dell’adempimento; mentre il fatto di sospendere la richiesta di adempimento dell’obbligazione, per tutto il tempo necessario a consentire l’esecuzione della diversa prestazione, si pone come presupposto per poter realizzare la prestazione in luogo dell’adempimento.
Chiarita l’impostazione che si intende seguire, si riprende l’analisi della sorte delle garanzie prestate dai terzi per l’adempimento dell’obbligazione originaria.
Se, come si crede, la prestazione in luogo dell’adempimento comporta di fatto una dilazione, ne segue che il fideiussore, da parte sua, non possa risultare penalizzato dalla scelta del creditore di non richiedere l’adempimento al debitore.
In base all’art. 1957 c.c., il fideiussore rimane obbligato anche dopo la scadenza del debito dell’obbligazione principale, purché il creditore abbia proposto le sue istanze contro il debitore e le abbia con diligenza continuate. Il termine semestrale (o bimestrale) previsto da questo articolo potrebbe non venire rispettato, perché il creditore, che ha acconsentito a ricevere una diversa prestazione in luogo di quella originaria, deve lasciare al debitore il tempo per eseguirla e, durante questo periodo, non potrebbe esercitare le azioni per esigere l’adempimento della prima obbligazione. Se il creditore decide di non chiedere l’adempimento alla scadenza del termine, il
xxxxxxxxxxx non deve, però, subire le conseguenze di scelte che dipendono dalla volontà del creditore.
La soluzione che si propone è quindi quella di considerare la fideiussione esistente fino alla scadenza dell’obbligazione originaria, e di rispettare i termini previsti dall’art. 1957 c.c., per cui, se il creditore entro sei mesi non esercita il suo credito, perde il diritto a rivalersi sul fideiussore. Questa impostazione potrebbe dare esito a due situazioni differenti: se, infatti, entro i sei mesi dalla scadenza dell’obbligazione, il creditore vede sfumare la possibilità di ricevere la diversa prestazione e decide di esigere l’adempimento, allora il fideiussore resterà obbligato. Se, invece, trascorsi i sei mesi dalla scadenza dell’obbligazione, il creditore è ancora in attesa di ricevere la seconda prestazione, il fideiussore sarà liberato dal prestare la garanzia.
Questo comporta uno sfasamento tra la durata dell’obbligazione e della sua garanzia: mentre l’obbligazione originaria sopravvive finché il creditore non abbia ottenuto la seconda prestazione con le annesse garanzie per vizi ed evizione; la garanzia prestata dai terzi resta vincolata ai termini originariamente fissati dalle parti, e quindi si estinguerà se il creditore non propone le sue istanze a norma dell’art. 1957 c.c.120
L’interpretazione proposta non introduce una nuova modalità di estinzione delle garanzie dei terzi, dal momento che il terzo comma dell’art. 1197 c.c. nulla dice a tal proposito, ma si limita a far riferimento al fatto che le garanzie non “rivivano”. In mancanza di una precisa indicazione del codice, si preferisce evitare di ricavare da un non−detto un’eccezionale modalità di estinzione della garanzia, come sarebbe, invece, ritenere che le garanzie si
120 Si condivide così solo in parte l’opinione di (Xxxxxxxxxx, 1984), p. 632, che ha affermato che “Il comma 3 dell’articolo citato usa invece il termine <<rivivono>> che postula l’avvenuta estinzione del rapporto considerato ancora prima dell’estinzione dell’obbligazione principale.” Secondo la tesi da noi proposta, invece, si ammette la possibilità che la fideiussione si estingua prima dell’obbligazione, nel solo caso in cui il creditore non chieda l’adempimento dell’obbligazione entro i sei mesi dalla scadenza della stessa. Se invece, entro quel termine, il creditore promuove le azioni contro il debitore, anche la fideiussione permane. Ci si allontana quindi da chi considera la fideiussione estinta solo per il fatto che sia stata pattuita la prestazione in luogo dell’adempimento. D’altra parte, anche l’Autore avverte la difficoltà di una simile posizione, quando afferma che “Conseguentemente la sopravvivenza dell’obbligazione principale non può pregiudicare la situazione del garante il quale resta definitivamente liberato. […] Si può discutere sull’opportunità della previsione in esame che libera il garante senza che il creditore abbia ottenuto effettivamente la realizzazione dei propri interessi, ma non si può non riconoscere che la predetta estinzione, non essendo conseguenza di vicende estintive e/o costitutive […] può trovare giustificazione esclusivamente in una vicenda modificativa del rapporto.”
estinguano subito al momento della pattuizione della prestazione in luogo dell’adempimento.
Se il fideiussore non deve essere penalizzato dalla scelta del creditore, non deve nemmeno risultarne avvantaggiato: è questo il motivo per cui ci si discosta dall’interpretazione che considera la pattuizione della prestazione in luogo dell’adempimento sufficiente ad estinguere le garanzie dei terzi. Non si vede infatti il motivo di eliminare le garanzie al momento della stipulazione di un patto, quello di cui all’art. 1197 c.c., che attribuisce al debitore una chance in più per liberarsi dal proprio vincolo, e che quindi costituisce un vantaggio anche per i terzi garanti: questi ultimi hanno interesse a che il debitore estingua il proprio debito, in modo da evitare che il creditore eserciti la garanzia per l’adempimento.
Per i terzi garanti, l’aspetto negativo della prestazione in luogo dell’adempimento non risiede nel fatto di modificare le modalità di adempimento dell’obbligazione, ma è legato invece alla dilazione che potrebbe esserci, proprio a seguito della concessione al debitore di un’ulteriore possibilità per estinguere il debito, ed è rispetto a questo elemento temporale che i garanti devono essere tutelati. Un riferimento a questo problema della diversa durata dell’obbligazione principale e della garanzia è presente anche nella Relazione al Codice, quando si afferma121 che “la dazione estingue le garanzie prestate da terzi (art. 1197, terzo comma), la posizione dei quali risulterebbe aggravata se la loro responsabilità dovesse durare quanto quella del debitore.”
Risulta così spiegato il motivo per cui si ritiene che la garanzia seguirà le sue normali regole di estinzione e, quindi, verrà meno quando scadranno i termini per esigere l’adempimento, secondo quanto disposto dall’art. 1957 c.c.
Questa impostazione si allontana anche da chi ha interpretato l’estinzione delle garanzie con riguardo esclusivo al secondo comma dell’art. 1197 c.c., ossia come se la scelta del creditore di chiedere al debitore l’adempimento dell’obbligazione originaria o la garanzia per i vizi e l’evizione, estingua “in
121 Si rimanda al n. 565 della Relazione. Come indica (Marchio) p. 6, il principio dell’estinzione delle garanzie prestate dai terzi era già tracciato nel codice civile previgente, con riferimento alla sola fideiussione (art. 1929 c.c. abrogato).
ogni caso” le garanzie prestate dai terzi122. Se così fosse, non si capisce il motivo per cui il creditore, che xxxxxx l’adempimento entro i termini di cui all’art. 1957 c.c. o, addirittura, prima ancora che il termine di adempimento originario dell’obbligazione sia spirato, abbia però già perso il diritto alla garanzia dei terzi. Né, d’altra parte, spiega perché le garanzie dei terzi si dovrebbero estinguere, a priori, ossia senza nessun riferimento temporale ai termini di scadenza dell’obbligazione, ma semplicemente a seguito della scelta del creditore di chiedere l’adempimento.
Individuato, come crediamo, il momento in cui si estinguono le garanzie dei terzi, resta ora da analizzare la loro mancata reviviscenza. Quest’ultima dipende dal fatto che, dopo il decorso di sei mesi dalla scadenza dell’obbligazione, il creditore conserva intatto il diritto ad esigere l’adempimento, ma ha perso ormai le garanzie prestate dei terzi: queste, una volta estinte, non possono più rivivere, anche se l’obbligazione a cui erano legate è ancora esigibile dal creditore.
Si potrebbe obiettare che, in base alla nostra impostazione, se il creditore chiede l’adempimento entro il termine di sei mesi dalla scadenza dell’obbligazione, allora, in una simile ipotesi, le garanzie rivivano, contrariamente a quanto disposto dal terzo comma dell’art. 1197 c.c. Si risponde, osservando che per poter “rivivere” le garanzie avrebbero prima dovuto estinguersi, e tale estinzione non si è mai verificata, se, appunto, entro i sei mesi dalla scadenza dei termini di adempimento dell’obbligazione, il creditore abbia proposto le sue istanze contro il debitore.
Un ultimo rilievo da chiarire riguarda il rapporto con il meccanismo condizionale, rispetto al quale si può osservare che la condizione non influisce sul modo di essere delle garanzie prestate dai terzi. Queste ultime non subiscono modifiche a seguito del patto di prestazione in luogo dell’adempimento, ma restano legate alla sorte dell’obbligazione principale, così come è stata originariamente pattuita. In tal modo, le garanzie sono indipendenti dall’evolversi della condizione, perché queste si estinguono quando diventa esigibile l’obbligazione se il creditore non esercita i suoi
122 (Xxxxxxx, 1949) p. 371 ss.
diritti verso il debitore, a prescindere dal fatto che la condizione si sia avverata o meno.
00.Xx prestazione in luogo dell’adempimento come modo di estinzione dell’obbligazione
La tesi fin qui sostenuta interpreta la prestazione in luogo dell’adempimento come una condizione, al cui verificarsi è subordinata l’estinzione di una obbligazione. La condizione, lo abbiamo già visto, non influisce sull’efficacia del contratto, ma introduce una nuova modalità di estinzione dell’obbligazione, senza però sottrarre all’adempimento la sua efficacia estintiva.
Quella che abbiamo chiamato “la soglia di identità del rapporto obbligatorio”123 resta immutata e non viene snaturata dall’inserimento nell’originario contratto della condizione: questo risultato è possibile perché la prestazione in luogo dell’adempimento non modifica l’oggetto della prestazione originaria. Quest’ultima si conserva nella sua configurazione iniziale fino alla fine, come dimostra il fatto che il creditore può sempre chiedere al debitore di eseguire la prima prestazione. La prestazione in luogo dell’adempimento si limita ad introdurre nel contratto una nuova modalità di estinzione dell’obbligazione124, ed è solo su questo aspetto di esecuzione del rapporto che essa influisce.
Il fatto di modificare solamente la modalità di esecuzione dell’obbligazione e non invece il suo oggetto, consente di qualificare ugualmente come vendita, quella nella quale è stato successivamente previsto, ad esempio, di estinguere la prestazione di pagare il prezzo attraverso la consegna di un bene. La vendita iniziale è ancora riconoscibile come tale e non si deve riqualificare come permuta se, come si crede, a cambiare è solamente la modalità di estinzione dell’obbligazione di pagare il prezzo125.
123 Si rinvia a (Xxxxxxxx, 1987) pp. 186 ss.
124 La prospettiva che fa leva sull’aspetto di estinzione dell’obbligazione è comune alla tesi che considera la prestazione in luogo dell’adempimento come un contratto solutorio. Si veda, ad esempio, (Marchio) p. 2 “La dazione in pagamento si presenta, quindi, come un accordo che interviene non sul titolo dell’obbligo, ma sul modo di attuazione dello stesso”.
125 L’esempio è presente anche nelle fonti romane, per un commento si rinvia ad (Xxxxxx, 1927) p. 51 ss.
La modifica della modalità di estinzione dell’obbligazione non muta la causa contrattuale né l’oggetto, né il titolo dell’obbligazione.
Si pensi, ad esempio, alla compensazione come modo di estinzione dell’obbligazione: se l’obbligazione di pagare il prezzo di una vendita viene estinta attraverso la compensazione del credito e del controcredito tra debitore e creditore, la vendita resta tale, anche se il creditore non ha, di fatto, ricevuto il prezzo originariamente pattuito.
Allo stesso modo, se il creditore decidesse di rinunciare a ricevere il prezzo, la vendita iniziale non si tramuta in una donazione indiretta: non si potrebbe, invero, recuperare il passato e rileggere attraverso il filtro della liberalità un comportamento che in origine ne era privo; a maggior ragione se consideriamo che lo spirito di liberalità potrebbe non sopraggiungere nemmeno successivamente, perché magari il creditore potrebbe considerare vantaggioso per i propri affari rinunciare a ricevere il prezzo, se ha di fronte un cliente affezionato che è sua controparte in numerose altre operazioni commerciali.
Uscendo dalla relazione tra le due controparti, si potrebbe avere il caso di un terzo che spontaneamente paghi il debito del compratore: anche in tale ipotesi, la vendita originaria resta tale e non muta, per il solo fatto che il venditore non riceva il pagamento dal debitore.
Quelle che abbiamo proposto sono tutte ipotesi nelle quali l’originaria obbligazione non viene estinta con l’adempimento, intendendosi come tale l’esecuzione da parte del debitore del comportamento dovuto, ma attraverso modalità alternative, tutte però ugualmente satisfattive per il creditore. In tutti questi casi salta il collegamento tra l’obbligazione e il suo adempimento (o, se vogliamo, addirittura con la sua esecuzione), ma il fatto che l’obbligazione venga estinta con modalità differenti da quelle all’inizio preventivate non trasforma la causa contrattuale e nemmeno l’oggetto o il titolo dell’obbligazione.
A questa impostazione, però, si potrebbe obiettare che il prezzo è elemento essenziale della vendita, per cui, senza il prezzo, viene meno anche la vendita.
Si risponde osservando che, in tutti gli esempi sopra proposti, non si potrebbe affermare che viene meno il prezzo come elemento della vendita:
di fatto, è vero, il prezzo non viene prestato dal debitore, ma giuridicamente il prezzo resta come elemento del regolamento che è stato originariamente fissato dalle parti e, si badi, tale regolamento non muta per il fatto che l’obbligazione sia estinta con una modalità diversa dall’adempimento126.
La compensazione, così come la remissione o il pagamento del debito da parte di un terzo, non vanno a modificare la regola, originariamente posta dalle parti, di scambiarsi una cosa contro il prezzo. Tale regola resta immutata anche se l’obbligazione di pagare il prezzo viene estinta in altro modo, perché la modalità di estinzione dell’obbligazione influisce esclusivamente sull’esecuzione del rapporto, senza incidere sulla sua regola. E’ questo il motivo che consente di riconoscere ancora come vendita, quella nella quale si faccia ricorso alla compensazione, o ad altra modalità, per estinguere l’obbligazione di pagare il prezzo127.
Allo stesso modo, se la prestazione viene estinta attraverso l’esecuzione di una prestazione diversa da quella dovuta, non muta la qualificazione originaria del contratto: la prestazione in luogo dell’adempimento è da considerare come un modo di estinzione dell’obbligazione e, come tale, non influenza l’originaria configurazione del regolamento contrattuale.
Sulla base di questi risultati è possibile affrontare nuovamente il rapporto con la novazione.
La tesi che considera la prestazione in luogo dell’adempimento come un contratto modificativo si trova nella difficile posizione di ritagliare uno spazio per consentire che la modifica dell’oggetto non venga attratta nell’area della novazione. Per questo motivo, però, finisce per approdare ad una soluzione di compromesso, per cui, se la modifica è troppo significativa, viene irrimediabilmente assorbita dalla novazione; mentre, se non lo è, può essere configurata come fattispecie autonoma, appunto come modificativo dell’oggetto. Al di là della difficoltà di stabilire una
126 Si richiama (Xxxxxx, 1996) p. 125 “Nel merito, deve escludersi che, nelle fattispecie cui lo strumento si applica, l’esecuzione o l’inesecuzione della prestazione ex contractu possano considerarsi come tratti individuanti il tipo […]. Che lo schema tipico della vendita possa considerarsi realizzato nel momento in cui alla previsione del trasferimento faccia riscontro la previsione del vincolo obbligatorio, è rilievo talmente ovvio da non richiedere il conforto di specifici riferimenti, e dal quale risulta confermata l’estraneità allo schema stesso della fase attuativa del programma obbligatorio.” (corsivo nel testo).
127 Si potrebbe inoltre osservare che la vendita resta qualificata come vendita anche se la prestazione di pagare il prezzo non viene per nulla eseguita, perché ad esempio il compratore si rifiuti di pagare, o se si chieda la risoluzione del contratto.
definizione precisa che consenta di porre una linea di demarcazione tra la novazione e il contratto modificativo dell’oggetto, l’aspetto maggiormente problematico è forse un altro.
L’art. 1231 c.c. individua infatti nella modificazione accessoria un preciso limite alla possibilità di realizzare una novazione. Tutto ciò che costituisce modificazione accessoria non può essere novazione, per cui, per evitare di ricadere nella novazione, le parti devono rimanere nell’ambito delle modifiche accessorie.
Anche supponendo di avere una definizione univoca di tale tipo di modifica, le parti, che volessero ricorrere alla figura di cui all’art. 1197 c.c., sarebbero costrette a prevedere come prestazione in luogo dell’adempimento solamente una prestazione che rappresenti una modifica accessoria. Così facendo, però, si trasferisce sull’art. 1197 c.c. il limite dell’accessorietà della modifica, che invero non è contemplato nella disciplina della prestazione in luogo dell’adempimento, ma è previsto invece solo per la novazione all’art. 1231 c.c.
L’impostazione della prestazione in luogo dell’adempimento come contratto modificativo finisce per limitare fortemente l’autonomia delle parti, imponendo loro dei vincoli che la disciplina dell’art. 1197 c.c. non prescrive.
Non si vede in realtà il motivo di restringere, entro confini che non sono stabiliti dalla disciplina della figura, la libertà delle parti di prevedere che in luogo dell’adempimento sia eseguita una qualsiasi altra prestazione: l’unico criterio vincolante, a tal fine, non è infatti quello dell’accessorietà della modifica, ma l’interesse del creditore. E’ quest’ultimo, infatti, che deve acconsentire a ricevere la diversa prestazione, ritenendola ugualmente valida ad estinguere l’obbligazione originaria. Non è quindi questione di accessorietà o meno della modifica, ma di soddisfazione del creditore a fronte di una prestazione diversa dall’adempimento. La prestazione potrà essere notevole oppure irrilevante, ma in ogni caso non si incorrerà nel rischio di compire una novazione al posto di una prestazione in luogo dell’adempimento, per il fatto che quest’ultima non realizza una modifica dell’oggetto del contratto, ma importa una nuova modalità di estinzione
dell’obbligazione e, come tale, non influisce sul contenuto del regolamento contrattuale.
Arrivati a questo punto, ci resta un’ultima questione da risolvere e riguarda il modo in cui la prestazione in luogo dell’adempimento incida sull’obbligazione. Abbiamo visto che l’art. 1197 c.c. prevede una disciplina analoga a quella che si avrebbe nel caso in cui la seconda prestazione fosse dedotta in condizione.
Ci si domanda quindi se, per potersi dire operante, la prestazione in luogo dell’adempimento richieda l’inserimento nel contratto di una condizione dal contenuto corrispondente.
La risposta che diamo a questa domanda è negativa, nel senso che, configurando la seconda prestazione come un evento condizionale, non si intende apporre al contratto una condizione che influisca, come abbiamo visto, sulla modalità di esecuzione dello stesso.
La prestazione in luogo dell’adempimento, secondo l’impostazione qui proposta, costituisce un modo di estinzione dell’obbligazione che opera sostanzialmente attraverso il meccanismo condizionale, appunto configurando come evento, e non come obbligazione, la seconda prestazione, ma che non implica l’apposizione di una condizione all’obbligazione originaria.
In quanto modalità di estinzione dell’obbligazione, per essere operante, non deve essere inserita nel contratto, ma le parti non dovranno far altro che accordarsi sull’applicazione dell’art. 1197 c.c., sapendo che tale modo di estinzione dell’obbligazione comporta dei meccanismi di funzionamento analoghi al congegno condizionale.
Anche sotto questo profilo, si riconferma la distanza dal contratto modificativo, dal momento che la prestazione in luogo dell’adempimento non va a mutare l’originaria configurazione del contratto, né cambiandone l’oggetto, né apponendovi una condizione.
00.Xx prestazione in luogo dell’adempimento e l’obbligazione con facoltà alternativa
Le conclusioni raggiunte si rivelano utili per affrontare il rapporto tra la prestazione in luogo dell’adempimento e l’obbligazione con facoltà alternativa128.
Chi ammette la possibilità di modificare l’oggetto del contratto senza dar luogo a novazione, si trova a dover instaurare un rapporto di identità tra la prestazione in luogo dell’adempimento e l’obbligazione con facoltà alternativa. E’ facile, invece, individuare la distanza tra le due figure, che non si prestano ad essere ricondotte ad una fattispecie comune.
L’argomento che si propone non dipende dal diverso momento temporale129 in cui è realizzata la prestazione in luogo dell’adempimento, per cui, se è stabilita fin dall’origine, assumerebbe la forma di obbligazione con facoltà alternativa, mentre, se pattuita successivamente, quella di prestazione in luogo dell’adempimento.
La prospettiva che si intende adottare muove dall’osservazione per cui “non sempre infatti si ha dazione in pagamento per ciò che il debitore dia una cosa in confronto di un’altra; vuolsi piuttosto stabilire la seguente regola, che cioè si ha dazione in pagamento, se la cosa data differisce da quella che si doveva prestare, non se differisce da altra, che solo si poteva prestare.” 130
128 Secondo l’impostazione qui adottata, l’obbligazione con facoltà alternativa non costituisce un esempio di contratto modificativo dell’oggetto, ma una fattispecie nella quale l’oggetto dell’obbligazione viene individuato solo attraverso la scelta del debitore di adempiere l’una o l’altra prestazione, in base a quanto previsto dal regolamento contrattuale. Quest’ultimo, infatti, non subisce modifiche a seguito dell’esecuzione di una delle due obbligazioni, per il fatto che è proprio il regolamento a consentire che il debitore possa eseguire una obbligazione diversa da quella pattuita.
129 Si fa propria l’osservazione di (Candian), che, a tal proposito afferma, a p. 266 “E’ chiaro che in tal modo si eleva a criterio demarcativo un elemento estraneo alla struttura di entrambe le figure, così riducendo, del tutto illegittimamente, l’area dell’autonomia privata”. Per la distinzione tra le due figure si rinvia anche a (Xxxxxx), p. 737; (Xxxxxxx), p. 8; (Xxxxxxxxx, 3/2002) p. 1412.
Per l’opposta prospettiva si veda (Xxxxxx, 1961), p. 36 “L’obbligazione con facoltà alternativa è assai vicina alla datio in solutum. Se ne distingue solo perché in quest’ultima l’accordo per la sostituzione della seconda prestazione alla prima avviene dopo la conclusione dell’originario contratto, o comunque dopo la nascita dell’obbligazione […] mentre invece nell’obbligazione con facoltà alternativa la sostituzione è prevista già nell’originario titolo dell’obbligazione”.
130 Si veda (Polacco, 1888) p. 26, che prosegue affermando “Epperò resta escluso che si parli di dazione in pagamento nelle obbligazioni alternative per ciò solo, che il debitore dà l’uno piuttosto che l’altro degli oggetti ch’erano in obligatione. E per uguale ragione non diremo che effettui una dazione in pagamento il debitore di un genere che dà una piuttosto che altra delle cose comprese nel genere stesso, potendo anche simile obbligazione raffigurarsi come alternativa fra tutti gli individui di quel genere, esclusi soltanto quelli della peggiore qualità”.