Capitolo Primo
Capitolo Primo
IL DIRITTO SINDACALE: OGGETTO E FONTI
Sommario: 1. Diritto del lavoro e diritto sindacale. – 2. Le fonti del diritto sindacale. – 2.1. Le fonti internazionali. – 2.2. Le fonti dell’Unione. – 2.3. La Costituzione. – 2.4. La legge e gli usi. – 2.5. La contrattazione collettiva. – 2.6. La giurisprudenza.
Fonti: Cost., artt. 1, 2, 3, 4, 35, 36, 37, 38, 39, 40, 41, 43, 46; cod. civ., artt. 2094, 2222; L. 20 mag-
gio 1970, n. 300, c.d. Statuto dei Lavoratori; Protocollo 23 luglio 1993; Protocollo 22 dicem-
bre 1998; Accordo quadro 22 gennaio 2009; Accordi attuativi 15 e 30 aprile 2009; Accordo interconfederale 28 giugno 2011; Trattato di Versailles del 1919; Convenzioni Oil n. 87/1948 e n. 98/1949; Convenzione europea dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali del 1950; Carta sociale europea del 1961; Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea,
c.d. Carta di Nizza del 2000; Accordo sulla politica sociale (Aps), allegato al Trattato di Maastricht del 1992; Trattato di Lisbona 1° dicembre 2009.
Sintesi. Nella prima parte del capitolo sono individuate le partizioni che interessano il diritto del lavoro moderno mentre nella seconda parte sono elencate ed esaminate le principali fonti che concorrono a definire il diritto sindacale. Di ciascuna sono tracciate le linee essenziali a partire dalle fonti che trovano la loro origine nell’ordi- namento europeo e internazionale; a seguire viene preso in esame il sistema delle fonti interne, dove viene evidenziato il ruolo centrale svolto dalla Costituzione, dalla legislazione e, soprattutto, da quella precipua fonte di produzione costituita dalla contrattazione collettiva.
Principi, nozioni, istituti qui esposti sinteticamente verranno ripresi in seguito; per cui si consiglia allo studente di tenerlo presente nel corso della lettura dell’intero ma- nuale.
1. Diritto del lavoro e diritto sindacale.
Il diritto del lavoro ha come oggetto il “lavoro”, non nel senso gene- rale ed omnicomprensivo, di cui all’art. 1 Cost., di impegno assunto e svolto personalmente; ma nel senso particolare di “lavoro subordinato, prestato «mediante retribuzione ... alle dipendenze e sotto la direzione dell’imprenditore» (art. 2094 cod. civ.). Come tale trova il suo contrario nel “lavoro autonomo”, opera o servizio compiuto «verso un corrispet- tivo ... con lavoro prevalentemente proprio e senza vincolo di subordina- zione nei confronti del committente» (art. 2222 cod. civ.), anche se il con- fine tra l’uno e l’altro resta incerto a livello definitorio e spesso violato a livello pratico.
Peraltro non riguarda tutto il lavoro subordinato, ma solo quello sog-
1.
Il diritto del lavoro
2 Capitolo primo
2.
getto al codice civile, alla legislazione del lavoro ed alla contrattazione collettiva. Sicché fino all’inizio del decennio ’90 del secolo scorso è rima- sto limitato al lavoro a favore di imprese o persone private; ma successi- vamente è stato esteso, con la c.d. privatizzazione, a gran parte dell’im- piego alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni, eccezion fatta per alcune categorie di personale rimaste sotto il diritto amministrativo.
Da tempo costituisce un settore del diritto dotato di autonomia scien- tifica, accademica, didattica: ricostruito a sistema, con propri principi, cri- xxxx, modelli, coltivato da un corpo di giuristi specializzato, insegnato in uno o più corsi universitari; ma rimane un settore relativamente giovane perché nato a seguito della rivoluzione industriale compiutasi in Inghil- terra nel settecento e diffusasi gradualmente negli altri Paesi, con la for- mazione del c.d. proletariato. Rinviando al prossimo capitolo per un ra- pido excursus storico, tradizionalmente si distingue al suo interno il di- ritto del rapporto individuale di lavoro, che regola diritti e obblighi reci- proci del datore e del lavoratore, ed il diritto sindacale, che disciplina l’organizzazione e l’attività sindacale.
Se pur ricondotto al diritto del lavoro in senso lato, costituisce un set- tore scientificamente e didatticamente distinto il diritto della previdenza (o della sicurezza) sociale, sia per la sua complessità, sia per la sua evolu- zione da un sistema riservato solo al lavoratore subordinato, secondo un criterio assicurativo, ad uno aperto al cittadino in quanto tale, secondo un principio universalistico.
Tendono ad avere un loro autonomo rilievo il diritto del lavoro internazio- nale ed il diritto del lavoro comunitario, ma, a dire il vero, si contraddistinguono per le loro fonti non nazionali, peraltro ormai incorporate nel diritto del lavoro, essendo tali da condizionarlo e conformarlo. Xxxxxxxxx, invece, sui rispettivi set- tori il diritto comparato del lavoro, il diritto penale del lavoro, il diritto proces- suale del lavoro, il diritto tributario del lavoro, se pur tali da produrre cultori e studi specializzati.
La tripartizione originaria del diritto sindacale era data da organizza- zione sindacale/contrattazione/autotutela collettiva, che scontava quella relativa auto-sufficienza del diritto sindacale resa possibile dalla mancata attuazione degli artt. 39 e 40 Cost.
Secondo la giurisprudenza della Corte costituzionale, l’art. 39, 1° comma sancisce la libertà di organizzazione sindacale per entrambi, da- tori di lavoro e lavoratori, fermo restando più di una differenza: storica, per essere stati i lavoratori a coalizzarsi, partendo da movimenti sponta- nei, mentre i datori lo hanno fatto solo di risposta, procedendo da ac- cordi relativi al controllo dei mercati delle loro merci; pratica, per essere i lavoratori soggetti collettivi solo se considerati come gruppi, mentre i datori lo sono anche individualmente rispetto ai loro dipendenti, per cui ben possono stipulare contratti collettivi; costituzionale, per essere pie-
Il diritto sindacale: oggetto e fonti 3
namente legittima una politica legislativa promozionale riservata ai soli sindacati dei lavoratori.
Non a tutti, però. All’iniziale lunga astensione legislativa è seguita quella normativa promozionale senza regolamentazione, giustificata dal ruolo giocato dalle tre grandi Confederazioni, che, aperta dallo Statuto dei lavoratori del 1970, col diritto riconosciuto al “sindacato maggior- mente rappresentativo” di costituire RSA, sarà continuata dalla legisla- zione sulla c.d. contrattazione delegata, col potere attribuito al sindacato “comparativamente più rappresentativo” di integrare o modificare con- trattualmente la legge. Da qui la rilevanza acquisita dall’interazione fra Stato e Confederazioni, che sfocerà all’inizio del decennio ’80 in quella lunga, tormentata e discontinua stagione all’insegna della concertazione; sì che le potrebbe far meritare una parte ulteriore, la quarta, a cavallo fra il Diritto costituzionale ed il Diritto sindacale.
Come si vedrà, la mancata emanazione della legge sindacale prevista dall’art. 39, 2° comma Cost. ha lasciato campo libero all’auto-regolamen- tazione delle parti sociali basata sul principio del “reciproco riconosci- mento”, che in concreto ha significato creare a favore di Cgil, Cisl, Uil un oligopolio negoziale, culminato nell’accordo interconfederale unitario del luglio 1993, con recepimento di un sistema di contrattazione artico- lata su un livello categoriale e su uno aziendale, mantenuto anche dal- l’accordo interconfederale separato, sottoscritto solo da Cisl ed Uil, del- l’aprile 2009. Tutto questo, però, vale per il diritto sindacale del lavoro privato, non per il diritto sindacale dell’impiego pubblico privatizzato, dove prevale nettamente l’etero-regolamentazione legislativa, con una forte riserva di legge, una rigida individuazione dei soggetti, dei livelli e dei contenuti, una severa disciplina dei controlli interni ed esterni, se pur nel rispetto del doppio livello, di comparto/area dirigenziale e di unità amministrativa.
Recepita una lettura dell’auto-tutela collettiva che distingueva netta-
mente fra sciopero e serrata, la disciplina del diritto di sciopero è rimasta consegnata ad una giurisprudenza costituzionale ed ordinaria che già nel corso del decennio ’70 lo aveva restituito ad una pienezza di esercizio priva di riscontro nell’intero mondo occidentale. Fino al 1990, quando appare una legge limitata all’esercizio del diritto nei servizi pubblici es- senziali, che rilevano come tali a prescindere dallo stato giuridico dei da- tori, sicché qui il diritto sindacale ritorna ad essere unico per il lavoro privato e per l’impiego pubblico.
Il diritto sindacale s’interessa inevitabilmente del quadro istituzionale, poli- tico, sindacale, economico, sociale che fa sfondo al suo processo evolutivo, ma secondo l’orientamento classico condiviso in questo manuale, mantenendolo molto sullo sfondo, perché gli interessa il dato giuridico, a prescindere di mas- sima anche dal suo livello di applicazione effettiva. Deve darsi atto che sta emer-
4 Capitolo primo
gendo qualche altro orientamento, sotto l’influsso proveniente d’oltralpe o d’ol- treoceano, il quale privilegia un approccio dichiaratamente economico per spie- gare non come un certo diritto è nato, ma come viene usato: ma questo non in- terferisce di per sé sul modo in cui tale diritto è letto, interpretato, ricostruito. Difficile da inquadrare e definire è il Diritto delle relazioni industriali, che vor- rebbe caratterizzarsi per un approccio interdisciplinare al fenomeno sindacale; ma corre non di rado il rischio di ricomprendere studi condotti con un unico me- todo, con a comune oggetto il fenomeno sindacale, con particolare riguardo al suo modello organizzativo e al suo sistema contrattuale.
Di recente ha ricevuto l’onore di intitolare corsi, libri di testo, riviste il Diritto del mercato del lavoro, che, però, costituisce solo un settore di studio caratteriz- zato dall’oggetto, quel mercato destinato a costituire il punto di incrocio di pro- blemi e temi diversi, dalle politiche attive e passive alle tipologie contrattuali.
2. Le fonti del diritto sindacale.
3.
La teoria dell’ordinamento intersindacale
La mancata emanazione della legge sindacale veniva giustificata in base alla presunta primazia del 1° comma dell’art. 39 Cost., la cui asso- luta ed incondizionata consacrazione della libertà di organizzazione sin- dacale sarebbe risultata del tutto incompatibile con la disciplina etero- noma prefigurata dal 2° comma ss. Il che comportava inevitabilmente una attenzione tutta particolare per l’auto-regolamentazione collettiva, assunta a “fonte” prevalente se non addirittura esclusiva.
Ne rappresenta l’espressione più spinta e sofisticata quella teoria del- l’ordinamento intersindacale elaborata all’inizio del decennio ’60 da un giurista destinato ad esercitare un forte influsso sul processo formativo del diritto del lavoro costituzionale, come studioso e come legislatore. Facendo ricorso alla nozione di ordinamento giuridico elaborata da Xxxxx Xxxxxx, Xxxx Xxxxxx configura un ordinamento intersindacale, basato sul reciproco riconoscimento delle organizzazioni dei datori e dei lavora- tori, con la sua fonte “legislativa” data dai contratti, la sua “giurisdizio- ne” dalle procedure di conciliazione, la sua “effettività” dalle forme di lotta. Esso vive dentro all’ordinamento statale, ma rimane distinto ed au- tonomo, peraltro non senza un canale di comunicazione, costituito dai giudici dello Stato, che nel recepire nelle loro sentenze le norme collet- tive, le trasformerebbero in norme statali.
Quel che si è dovuto ammettere subito è che un ordinamento intersin- dacale così concepito poteva essere distinto ed autonomo solo fino ad un certo punto, perché non originario, bensì derivato e legittimato da quello statale. Ma se ne è valorizzato l’intento metodologico, cioè di trasferire l’attenzione su un fenomeno che si era ristrutturato di per sé solo nel vuoto conseguito al crollo del corporativismo ed al mancato intervento legislativo richiesto dall’art. 39, 2° comma ss. Cost., considerandolo come un sistema auto-sufficiente. Non senza una significativa ricaduta, se pur
Il diritto sindacale: oggetto e fonti 5
assai più nella dottrina che nella giurisprudenza; ma tale teoria, figlia della stagione dell’astensione legislativa, era destinata a divenire supe- rata in quella nuova della legislazione promozionale aperta dallo Statuto dei lavoratori di cui lo stesso Xxxxxx fu definito addirittura il “padre”.
Certo le fonti del diritto del lavoro, di cui fa parte il diritto sindacale, sono quelle del diritto in generale, cioè internazionali, comunitarie, costi- tuzionali, statali e regionali, se pur con le modalità rese necessarie dalla materia disciplinata. È consuetudine considerare come fonte tutt’affatto peculiare del diritto del lavoro quella contrattazione collettiva la cui xxx- xxxx rappresenta la componente più corposa e significativa del diritto sin- dacale; ma se questo dà rilevanza alla sua centralità nella regolazione delle relazioni collettive, ancor prima che delle condizioni di lavoro, può essere mantenuto solo nel senso di “fonte a-tecnica”, essendole precluso di produrre vere e proprie norme giuridiche. Non senza, peraltro, una qualche problematica insorta con riguardo alla contrattazione delegata dalla legge (c.d. delegata) ed alla contrattazione delle amministrazioni pubbliche, per la presunta e, rispettivamente, certa estensione della sua efficacia al di là delle parti stipulanti.
2.1. Le fonti internazionali.
Le fonti internazionali, così come quelle comunitarie, trovano la loro legittimazione costituzionale nell’art. 11 Cost., che «consente, in condi- zione di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; pro- muove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo», peraltro con una distinzione fondamentale rispetto alla loro efficacia nel- l’ordinamento nazionale: mediata dalla ratifica per le convenzioni OIL, immediata per le direttive comunitarie.
L’esigenza di una organizzazione interstatuale in materia di lavoro ha portato nella nuova stagione di cooperazione pacifica apertasi alla fine della prima guerra mondiale alla costituzione, nel Trattato di Versailles del 1919, dell’Organizzazione internazionale del lavoro, con sede a Gine- vra, dotata una competenza assai ampia almeno sulla carta: di indirizzo, regolamentazione, assistenza tecnica, con la precisa finalità di contribuire al miglioramento delle condizioni lavorative e sociali, nonché allo svi- luppo di un ordine economico-sociale mondiale.
Ha una struttura tripartita, composta da rappresentanti degli Stati membri, fra cui tutti i principali (due per ciascuno) e delle loro organiz- zazioni dei datori e dei lavoratori (1 per ciascuna), e dotata di una Con- ferenza internazionale del lavoro, di un Consiglio di Amministrazione e di un Ufficio internazionale del lavoro (Bit), che costituisce il segreta- riato permanente. La competenza regolativa è riservata alla Conferenza
4.
Le fonti del diritto sindacale
5.
Le fonti internazionali
6. L’OIL:
composizione e attività
6 Capitolo primo
7.
La convenzione
8.
La raccomandazione
9.
Crisi dell’auto- regolamentazione e
x.x. xxxxxxxx sociali
10.
Il Consiglio d’Europa
internazionale, che la svolge tramite la convenzione e la raccomanda- zione.
La convenzione è un trattato che, una volta deliberato, ogni paese membro deve sottoporre all’organo competente per la ratifica, che lo in- corporerà nel diritto interno, con conseguente obbligo di farlo applicare e di accettare controlli internazionali, sia generali, sia specifici. Dovendo guadagnarsi la necessaria approvazione da parte di un’organizzazione tanto ampia quanto eterogenea, la convenzione si limita spesso all’enun- ciazione di principi e alla fissazione di criteri, che possono ben essere uni- versalmente accettati per i loro caratteri generali e generici, per di più re- datti in termini compromissori non facilmente interpretabili dalla stessa Corte internazionale di giustizia con sede all’Aja, competente in materia. Fra le convenzioni più importanti e citate vanno ricordate la n. 87/1948 sulla libertà di associazione e protezione del diritto all’azione sindacale e la n. 98/1949 sul diritto di organizzazione e azione sindacale, che, peral- tro, sono largamente migliorate dal nostro Diritto sindacale, sì da non co- stituire testi di riferimento.
La raccomandazione non è una normativa da sottoporre a ratifica, ma solo una direttiva che ciascun paese membro deve tener presente nel- l’elaborazione e gestione delle politiche del lavoro.
La prospettiva classica di autoregolamentazione volontaria dell’OIL è stata messa in crisi da una internazionalizzazione finanziaria ed economica sfociata in una globalizzazione a tutto campo, con una riduzione dell’autonomia dei singoli Stati con riguardo ai loro ordinamenti giuridici ed ai loro interventi politici. Il che si è riflesso particolarmente sui diritti più fortemente caratterizzati in senso nazionale, come quelli aventi ad oggetto le relazioni collettive, comportando un ridimensionamento del ruolo dello Stato ed un indebolimento del peso delle parti sociali. Ma, soprattutto, l’assenza di standard internazionali di diritti collet- tivi ed individuali, che siano sufficienti ed effettivi, favorisce una competizione al ribasso, c.d. dumping sociale. Sicché si sono pensate misure alternative quali le
c.d clausole sociali, destinate a condizionare l’apertura dei mercati interni ai soli beni prodotti col rispetto di determinati livelli di protezione in primis delle li- bertà sindacali; le quali, però, stentano a decollare, per la resistenza dei paesi emergenti che contano per il loro sviluppo sul basso costo lavoro delle loro esportazioni.
Il Consiglio d’Europa è una organizzazione internazionale, costituita nel 1949, con sede a Strasburgo, per promuovere la democrazia, i diritti dell’uomo e l’identità culturale europea, pure tramite accordi e conven- zioni da sottoporre alla ratifica dei suoi 47 Stati membri, quasi tutti ap- partenenti al vecchio continente. Nel 1950 ha dato vita alla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fonda- mentali (CEDU) – cui l’UE ha aderito col Trattato di Lisbona – la quale ha istituito, nel 1959, la Corte Europea dei diritti dell’uomo con sede a
Il diritto sindacale: oggetto e fonti 7
Strasburgo, che giudica sui ricorsi relativi alle violazioni della Conven- zione, inoltrabili solo dopo aver esaurito i rimedi interni. Lo stesso Con- siglio d’Europa nel 1961 ha adottato la Carta sociale europea che men- ziona diversi diritti in materia di lavoro (al lavoro, alla retribuzione e a condizioni lavorative eque, alla contrattazione collettiva), in parte coinci- dente con quelli recepiti dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, c.d. Carta di Nizza.
2.2. Le fonti dell’Unione.
Arenatosi il procedimento di ratifica del “Trattato costituzionale” fir- mato nel 2004, il compromesso raggiunto è stato quello di un “Trattato di riforma” dei precedenti Trattati: il Trattato di Lisbona, firmato nel 2007 ed entrato vigore nel 2009 ha rivisto sia il Trattato istitutivo della Comu- nità economica europea (CEE) del 1957 e successive modifiche, cam- biandogli la denominazione in Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE), sia il Trattato di Maastricht del 1992 e successive varia- zioni, che riformava la CEE, d’allora in poi Comunità europea (CE), e istituiva l’Unione europea del 1992 (TUE). Con il Trattato di Lisbona anche la CE cessa di esistere perché l’UE sostituisce e succede alla stessa, ed il termine “comunitario” è stato sostituito dall’espressione “dell’Unione”, anche se di fatto è tutt’oggi usato.
La UE è un’organizzazione internazionale che, secondo la Corte di Giustizia dell’Unione europea, dà vita ad un unico ordinamento, costituito dal diritto del- l’UE e dal diritto dei singoli paesi membri, con il “primato” del primo sul se- condo (concezione monista). Peraltro la Corte costituzionale italiana, facendo ri- ferimento all’art. 11 Cost. nonché all’art. 117, come novellato nel 2001, ritiene che permanga la presenza distinta di due ordinamenti, comunitario e italiano, se pur condividendo l’esistenza del “primato” (concezione dualista).
Costituita, insieme alla Comunità europea dell’energia atomica (CEEA o Euratom), dai Trattati di Roma del 1957, come Comunità economica eu- ropea (CEE) essa conoscerà una lunga evoluzione (Atto unico europeo del 1986; Trattato di Maastricht e Accordo sulla politica sociale del 1992; Trattato di Amsterdam del 1997; Trattato di Nizza del 2001; Trattato di Lisbona del 2007) che avrà una prima ricaduta sulla sua stessa fisionomia istituzionale, cambiandola da organizzazione intergovernativa in organiz- zazione internazionale, pur senza farla assurgere a qualcosa di simile allo Stato federale, come tentato col fallito Trattato costituzionale del 2004. La sua finalità principale rimane il “mercato interno” europeo, fina- lizzato ad uno “sviluppo sostenibile”, peraltro basato, oltre che su “una crescita economica equilibrata e sulla stabilità dei prezzi”, anche su
11.
La “costituzione” della UE
12.
La natura
13.
Finalità e composizione
8 Capitolo primo
“un’economia sociale altamente competitiva” (art. 3.2 TUE): formula compromissoria, che, peraltro, ben testimonia come la vista lunga evolu- zione abbia avuto una seconda ricaduta, trasformando una CEE concen- trata sulla libera concorrenza ad una UE, compresa della necessità di co- niugare crescita economica e crescita sociale.
Ne fanno attualmente parte ventisette paesi europei, di cui solo 17 condividono l’euro come moneta unica.
14.
Fonti primarie e fonti derivate
15.
Gli organi
16.
La Corte di Giustizia
Le fonti comunitarie si dividono in primarie e derivate: le prime (dette anche diritto primario) comprendono attualmente i Trattati TFUE e TUE, immediata- mente e direttamente efficaci rispetto ai diritti dei paesi terzi, nonché sovra-ordi- nati rispetto alle altre fonti della UE; mentre le seconde (dette anche diritto de- rivato) sono costituite dagli atti normativi fondati sui trattati ed emanati dalle istituzioni, cioè in primis i regolamenti e le direttive. Sono, inoltre, fonti di diritto la giurisprudenza della Corte di Giustizia e i principi generali di diritto, fra cui ri- veste un ruolo fondamentale il principio di uguaglianza, sotto forma di un divieto di discriminazione fondato sulla nazionalità.
Sono qualificati come istituzioni dell’UE il Parlamento, composto dai “rappresentanti dei cittadini dell’Unione”; il Consiglio europeo ed il Consiglio, costituito il primo dai capi di Stato e di Governo ed il secondo di regola dai ministri competenti per i singoli argomenti trattati; la Com- missione, formata da persone designate dai singoli paesi, ma destinate ad esercitare le loro funzioni “in piena indipendenza nell’interesse generale della Comunità”, la Corte di Giustizia dell’Unione, la Corte dei Conti, la Banca centrale europea; nonché i neo introdotti Presidente del Consiglio europeo e l’Alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e per la politica della sicurezza. Pure qui la lunga evoluzione scandita dalla se- quenza dei Trattati ha avuto la sua ricaduta, con la progressiva riduzione dell’area riservata alla decisione all’unanimità nell’ambito del Consiglio; ma soprattutto con la nascita e la crescente rilevanza acquisita dal Parla- mento Europeo.
Vi sono altri organismi di rilievo menzionati nei Trattati, come il Comitato economico sociale (CES) ed il Comitato delle Regioni, organi consultivi del Par- lamento, della Commissione, del Consiglio. Il CES è composto dai rappresen- tanti di diverse categorie della vita economica e sociale ed esprime pareri su sua iniziativa o su richiesta delle tre Istituzioni, che sono obbligate a farlo, senza pe- raltro rimanervi vincolate, prima che vengano prese determinate decisioni di po- litica economica e sociale.
Costituita da un giudice per ciascuno Stato membro, cioè 27, anche se esercita la sua giurisdizione con sezioni più ristrette, la Corte di Giustizia con sede in Lussemburgo ha come sua funzione quella di garantire l’ap- plicazione uniforme del diritto dell’UE in tutti i paesi membri: le spetta
Il diritto sindacale: oggetto e fonti 9
decidere su vari tipi di ricorsi, fra cui quello per rinvio pregiudiziale da parte dei giudici nazionali circa la validità e l’interpretazione delle norme dell’UE; e quello per inadempimento degli Stati al diritto dell’UE.
La giurisprudenza della Corte è stata di eccezionale importanza nella stessa costruzione del diritto dell’UE, con una significativa ricaduta indiretta su quella stessa materia sindacale esclusa dalla competenza della UE, come risulta dalle sentenze Laval (C-341/05) e Viking Line (C-408/05) che limitano la possibilità di ricorrere allo sciopero a pro della libertà di stabilimento e della libera presta- zione dei servizi.
Le competenze della UE, esclusive o concorrenti con quelle degli Stati, sono rette dal principio di attribuzione, cioè sono quelle conferitele dagli Stati membri coi Trattati istitutivi in funzione della finalità da per- seguire, non senza, però, una loro possibile dilatazione implicita in base alla c.d. clausola di flessibilità (art. 352 TFUE); se concorrenti devono es- sere esercitate secondo i principi di sussidiarietà verticale e di proporzio- nalità, cioè solo se l’Unione è più idonea a disciplinare quella data mate- ria e solo nella misura strettamente necessaria (art. 5, 1° comma, TUE). A conferma del carattere strettamente nazionale del diritto sindacale, come dotato di rilievo costituzionale, formale o sostanziale, nell’ambito di ciascun Paese membro, mentre sono ricomprese nelle competenze normative della UE molte materie attinenti al rapporto individuale di la- voro, se pur con eccezioni significative, come quella costituita dalla retri- buzione; continuano a rimanervi escluse le più importanti con riguardo al fenomeno collettivo, quali l’associazione sindacale e lo sciopero e la ser- rata, nonostante che i diritti di organizzazione e di azione collettiva siano stati sanciti dalla Carta di Nizza, ora vincolante. E allo stesso modo con- tinuano in prevalenza ad essere assoggettate alla regola del voto all’una- nimità in seno al Consiglio – con evidenti possibili effetti paralizzanti – le materie della sicurezza e protezione sociale dei lavoratori, della loro pro- tezione in caso di risoluzione del contratto di lavoro, della rappresen- tanza e difesa collettiva degli interessi dei lavoratori e dei datori di xx-
xxxx x xxxxx xxxxxxxxxx xx xxxxxxx xxx xxxxxxxxx xxx xxxxx xxxxx.
Fra le fonti primarie, oltre ai Trattati, c’è la Carta di Nizza che elenca tutta una serie di diritti relativi alla dignità, libertà, uguaglianza, solida- rietà, cittadinanza, giustizia: la libertà di impresa risulta ricompresa fra i diritti di libertà (art. 16); l’informazione e la consultazione (art. 27) non- ché la negoziazione e l’azione collettiva (art. 28) fra i diritti di solidarietà. Alla Carta il Trattato di Lisbona ha riconosciuto “lo stesso valore giuri- dico dei trattati” (art. 6 TUE 2007), con un atto dal grande valore simbo- lico, ma dal significato problematico: anzitutto, secondo il suo art. 52, § 5 occorre distinguere fra principi da attuarsi con atti dell’UE e degli Stati membri, come sono quelli previsti dai suoi artt. 16, 27, 28 e norme imme- diatamente applicabili; poi, prendere atto del fatto che la UE non ha
17.
Le competenze
18.
Le competenze normative in materia di diritto sindacale
19.
Le fonti primarie: i Trattati e la Carta di Nizza
10 Capitolo primo
20.
Le fonti derivate: i
regolamenti
21.
... e le direttive
22.
La contrattazione collettiva nazionale come strumento di recezione delle
direttive
competenza in materia di associazione, di sciopero e di serrata. Come si vedrà, la Corte di giustizia, con due sentenze del 2007, riconoscerà il di- ritto di azione sindacale di cui all’art. 28 della Carta come un diritto fon- damentale della UE, bypassando il problema della competenza; ma, in forza di un bilanciamento “sbilanciato” fra tale diritto e la libertà di sta- bilimento e la libera prestazione di servizio di cui agli artt. 49 e 56 TFUE, entrambe riconducibili nell’ambito della libertà di impresa prevista dal- l’art. 16 della stessa Carta (v. cap. XII).
I regolamenti possono essere adottati dal Consiglio; dal Consiglio e dal Parlamento congiuntamente; dalla Commissione (su delega del Con- siglio), dalla Banca centrale europea. Essi sono atti generali obbligatori nei confronti degli stati membri e dei privati, con effetti giuridici che pre- valgono su tutti gli ordinamenti giuridici nazionali in termini simultanei, automatici ed uniformi.
Le direttive sono presentate dalla Commissione al Consiglio e al Par- lamento europeo che, nel quadro della procedura di codecisione, dive- nuta ordinaria, le adottano; ed una volta entrate in vigore, impegnano gli Stati membri a recepirle, entro un termine da sei mesi a due anni, sca- duto il quale possono essere citati dalla Commissione di fronte alla Corte di Giustizia, per inadempimento degli obblighi comunitari. Normalmente esse pongono solo un vincolo di risultato, lasciando agli Stati ampi mar- gini di manovra circa gli atti con cui realizzarlo, purché certi e traspa- renti, nonché obbligatori per i rispettivi diritti interni; ma a volte sono as- sai precise, sì da meritarsi la denominazione di direttive dettagliate. Se non recepite o recepite in ritardo o in modo incompleto le direttive spie- gano un’efficacia c.d. verticale, fra Stati e privati, che, sempreché conten- gano disposizioni chiare, precise, incondizionate, possono farle valere in giudizio per ottenere il risarcimento dei danni subiti. Sono, invece, prive, della c.d. efficacia orizzontale, fra privati, tranne nel caso in cui si tratti di direttive dettagliate, dette self-executing, che pur non attuate possono ac- quisire rilevanza nell’ordinamento grazie all’obbligo di interpretazione conforme posto in capo ai giudici nazionali.
Le direttive sono state la strumentazione elettiva di quella politica regolativa tesa all’armonizzazione delle discipline nazionali vigenti nelle varie materie rien- tranti fra le competenze della comunità che è venuta col tempo a mostrare la corda, sia per doversi attestare su standard tanto meno incisivi, quanto più desti- nati a valere per paesi diversi per sistemi politici, diritti del lavoro, indicatori eco- nomici; sia per limitarsi a porre vincoli e limiti, a prescindere dai loro effetti sui livelli di occupazione e sui tassi di crescita.
La recezione delle direttive potrebbe avvenire, oltre che per legge, anche per tramite della contrattazione collettiva dello Stato membro, purché questa sia in grado di assicurare una efficacia erga omnes. Cosa impossibile per l’Italia, per la ben nota perdurante mancata attuazione dell’art. 39, 2° comma e ss. Cost., nono- stante la aspettativa sindacale espressa nel Patto di Natale del 1998 che sottopo-
Il diritto sindacale: oggetto e fonti 11
neva a concertazione “anche la trasposizione delle direttive comunitarie” e la tendenza di una certa dottrina a considerare tale contrattazione estranea all’am- bito coperto dall’articolo costituzionale.
Sicché la prassi è stata quella di dare attuazione alla direttiva con un “av- viso comune”, concordato fra le parti sociali, che, poi, a sua volta, è stato as- sunto con un atto legislativo (v. l’avviso comune del 2 marzo 2005 con cui le parti sociali hanno proposto al Governo e al legislatore italiano il recepimen- to della direttiva 8 ottobre 2001, n. 86 che completa lo Statuto della Socie- tà europea per quanto riguarda il coinvolgimento dei lavoratori, avvenuto con D. Lgs. n. 188 del 2005; l’avv. comune del 27 novembre 2006 per il re- cepimento della direttiva 2002/14 che istituisce un quadro generale relativo all’informazione e alla consultazione dei lavoratori, poi attuata con D. Lgs. 6 febbraio 2007, n. 25; l’avv. comune del 12 aprile 2011 per il recepimento del- la direttiva n. 38 del 2009 riguardante l’istituzione di un Comitato azienda- le europeo o di una procedura per l’informazione e la consultazione dei la- voratori nelle imprese e nei gruppi di imprese di dimensioni comunitarie, at- tuata con D. Lgs. 22 giugno 2012, n. 113).
Si è discusso se per la recezione delle direttive avessero valore un principio generale implicito o, comunque, clausole esplicite contenutevi di non regresso, cioè di divieto di peggiorare in sede di attuazione la disciplina nazionale. Ma, esclusa l’esistenza del principio, anche l’efficacia delle clausole è stata conside- rata dalla Corte di Giustizia più politica che giuridica, rimessa ad un’ampia di- screzionalità del legislatore del paese membro.
La conquista della dimensione sociale è stata lenta e faticosa, nonché appesantita da una qual certa ambiguità circa la sua rilevanza, non in sé ma in funzione di una concorrenza genuina e di una mobilità effettiva delle persone. Fondamentale è stato l’Accordo sulla politica sociale (Aps) che, se pur relegato ad allegato al Trattato di Maastricht, per il ri- fiuto della Gran Bretagna di sottoscriverlo, ha ampliato la competenza in materia sociale e ha dato inizio a una particolare procedura definita esplicitamente “dialogo sociale”.
Oggi l’espressione “dialogo sociale europeo” (in senso ampio) indica una ampia gamma di relazioni intercorrenti sia trilaterali fra le istituzioni UE e le parti sociali, sia bilaterali fra le stesse: la consultazione, la con- certazione, nonché la valorizzazione dell’autonomia negoziale e la parte- cipazione delle parti sociali al processo legislativo della UE (dialogo so- ciale in senso stretto).
La Commissione ha il compito di “promuovere la consultazione delle parti sociali a livello di Unione e adotta ogni misura utile per facilitare il dialogo provvedendo ad un sostegno equilibrato delle parti”: tale com- pito diventa un obbligo qualora essa intenda presentare proposte legisla- tive in tema di politiche sociali.
23.
Il principio e le clausole di non regresso
24.
La dimensione sociale europea
25.
Il dialogo sociale
12 Capitolo primo
26.
Il contratto collettivo europeo
27.
Il metodo aperto di coordinamento delle politiche occupazionali e
sociali
28.
Crisi della contrattazione collettiva europea e ripresa del dialogo sociale tramite la contrattazione
collettiva transnazionale
La consultazione può sfociare nella conclusione di un contratto colletti- vo europeo di due tipi, battezzati con nomi diversi, ma che qui vengono ri- feriti come “accordo quadro” e “accordo libero”. Il primo è lo strumento di un coinvolgimento sindacale nel processo legislativo europeo: una volta rag- giunto l’accordo su una materia rientrante fra le competenze dell’UE, die- tro proposta congiunta delle parti e su proposta della Commissione, il Con- siglio lo assume, con un procedimento diverso a seconda dell’oggetto, come atto normativo della UE (v. gli accordi quadro sui congedi parentali, sul la- voro part-time e sul contratto a termine, confluiti in altrettante direttive, poi recepite nel nostro ordinamento). Il secondo è avulso dal processo norma- tivo dell’UE, sicché può riguardare anche una materia estranea alle compe- tenze della UE, restando un mero accordo a carattere politico-orientativo (c.d. gentleman’s agreement), rimesso per la sua attuazione a “le procedure e le prassi proprie degli Stati membri”.
Il Trattato di Amsterdam del 1997, coll’ampliare ulteriormente la
competenza in materia sociale, pone la premessa per una espansione della politica legislativa regolativa; precostituisce al tempo stesso la base per quella politica cooperativa, realizzata fra istituzioni e stati membri, sulla base di orientamenti, formulati dal Consiglio. Decolla così la Stra- tegia europea per l’occupazione, che, poi nel 2000, diventerà la Strategia di Lisbona, con “un nuovo obbiettivo strategico per il nuovo decennio: diventare l’economia basata sulla conoscenza più competitiva e dinamica del mondo in grado di realizzare una crescita economica sostenibile con nuovi e migliori posti di lavoro e una maggiore coesione sociale”, utiliz- zando come strumento il metodo aperto di coordinamento (Mac).
La contrattazione collettiva europea sconta già di per sé una duplice diffi- coltà: di diritto, per l’inesistenza di un vero e proprio diritto sindacale europeo, perché manca qualsiasi armonizzazione delle stesse nozioni di base (libertà sin- dacale, autonomia collettiva, autotutela sindacale); di fatto, perché nel vuoto le- gislativo, sono stati individuati tre attori principali, la Confederazione europea dei sindacati (Ces), l’Unione delle industrie della Comunità europea (Unice) e il Centro europeo delle imprese pubbliche (Ceep), che hanno sì giocato un ruolo fondamentale nel dialogo sociale, ma restano a tutt’oggi privi di poteri di rappre- sentanza a pieno titolo loro conferiti dalle organizzazioni sindacali nazionali.
Peraltro la causa determinante dell’entrata in crisi della contrattazione collet- tiva europea è stata la vista forte diminuzione dell’iniziativa regolativa della Commissione; tant’è che essa appare più evidente per l’“accordo quadro”, desti- nato ad essere incorporato in un atto normativo, di cui l’ultimo esempio risale a quello sul contratto a termine del 1999; che per l’“accordo libero”, del quale c’è più di un caso, come quello sul telelavoro del 2002 e sullo stress lavoro correlato del 2004. Di contro c’è in atto una espansione della contrattazione collettiva tran- snazionale, sia di settore, condotta dai Comitati di settore, organismi bipartiti co- stituiti nell’ambito della UE; sia di singola impresa, in particolare quella destina- taria della direttiva 94/45/CE sui Comitati aziendali.
Il diritto sindacale: oggetto e fonti 13
Peraltro anche la scommessa fatta con la politica cooperativa si è rive- lata perdente, come ben testimonia la resa della Strategia di Lisbona a consuntivo di quel decennio aperto con una previsione/promessa rive- latasi, più che utopica, iper-reale. Sotto l’incalzare di una crisi mondia- le, che penalizza l’Europa in particolare, è emersa in tutta la sua dram- maticità la conseguenza di un’espansione incontrollata della UE, così da creare un’ampia area ad elevata densità abitativa caratterizzata da si- tuazione finanziaria ed economica altamente differenziata. Per di più senza alcuna compensazione data, a livello istituzionale, da una unità del bilancio, del fisco, del controllo del sistema bancario e dalla garan- zia della moneta unica da parte di una Banca di ultima istanza; e offerta, a livello territoriale, da una mobilità dei lavoratori, dei servizi, dei capi- tali.
L’Unione europea è in mezzo ad un guado investito da una impetuosa corrente: o vince la corrente facendo un salto in avanti verso una più stretta ed integrata forma di organizzazione; o la corrente vincerà lei, causandole la dissoluzione.
2.3. La Costituzione.
Come ben noto la nostra è una Costituzione “lunga”, che fa precede- re un Preambolo sui principi ed una Parte prima, sui diritti e doveri dei cittadini, alla Parte seconda sull’ordinamento della Repubblica: caratte- ristica, questa, prodotta da una generale evoluzione della tipica Carta fondamentale liberale dell’800, dovuta alla consapevolezza acquisita cir- ca la necessità di garantire più e meglio quell’autentica base della demo- crazia costituita dalla libertà civile in ogni sua espressione, dalla parteci- pazione politica e di promuovere una maggiore giustizia sociale. Rispon- de a quest’ultima esigenza una serie di Principi contenuti in articoli del Preambolo, che ben può farla definire una Costituzione “sociale”: l’art. 1, che un po’ enfaticamente dichiara essere la Repubblica “fondata sul lavoro”; l’art. 3, che consacra dopo il principio di uguaglianza formale (1° comma) quello sostanziale (2° comma), destinato a giocare un ruolo fondamentale nella giurisprudenza della Corte costituzionale in materia sindacale; l’art. 4, 1° comma, per cui «la Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro, e promuove le condizioni che rendano effet- tivo questo diritto».
Con un’ulteriore caratteristica propria di una costituzione moderna, la nostra Costituzione è “rigida”, cioè sovra-ordinata, lei e le leggi appro- vate con l’apposita procedura rinforzata, alle leggi ordinarie. Cosa, que- sta, che comporta l’esistenza di una Corte costituzionale, chiamata a de- cidere della legittimità delle leggi ordinarie, nonché a risolvere i conflitti di attribuzione fra i poteri della Repubblica.
29.
Una UE alla ricerca di sé stessa
30.
Una Costituzione “lunga” e “sociale”
31.
Una Costituzione “rigida”
14 Capitolo primo
32.
Il modello di “pluralismo istituzionalizzato”
della Costituzione “formale”
33.
L’art. 39, 2° comma
ss.
34.
L’art. 40 Cost.
35.
Il modello di “pluralismo conflittuale” della Costituzione “materiale”
Bisogna arrivare al Titolo III della Parte Prima, sui rapporti economici, per ritrovare il diritto sindacale prefigurato nella nostra Carta fondamenta- le. Aperto da quell’art. 35, che impegna la Repubblica alla tutela del lavo- ro «in tutte le sue forme e applicazioni», continua con gli artt. 36, 37, 38, in materia di diritti dei singoli lavoratori subordinati, per approdare agli artt. 39 e 40. Il modello che ne può essere dedotto è stato battezzato di “plurali- smo istituzionalizzato”, perché se l’art. 39, 1° comma, garantisce la libertà di organizzazione sindacale e l’art. 40 riconosce il diritto di sciopero, questo deve avvenire nell’ambito di un sistema di regole quali previste dall’art. 39, 2° comma ss. e dallo stesso art. 40.
L’art. 39, 2° comma ss. cerca di conciliare il riconoscimento del plura- lismo sindacale proprio del nuovo regime democratico col mantenimento del contratto di categoria efficace erga omnes caratteristico del sistema corporativo; e lo fa con una soluzione originale, ma complicata. Ogni or- ganizzazione sindacale dei datori e dei lavoratori con uno statuto “a base democratica” deve o può, a seconda dell’interpretazione che lo raffigura come obbligo o come onere, chiedere la registrazione, con conseguente acquisizione della personalità giuridica; una volta registrata ha titolo per partecipare in proporzione dei propri iscritti alla rappresentanza unitaria di parte lavoratrice e di parte datoriale per la stipulazione di contratti ef- ficaci “per tutti gli appartenenti alle categorie” cui si riferisce.
L’art. 40 rappresenta la soluzione di continuità più radicale rispetto al- la situazione precedente: consacra come diritto quello sciopero che era re- presso come reato dal codice penale del 1930. Usa al riguardo una formula anodina, quella per cui «il diritto di sciopero si esercita nell’ambito delle leg- gi che lo regolano», con un sostanziale rinvio aperto al futuro legislatore.
Come noto, questo sistema non ha mai visto la luce per l’art. 39, 2° comma ss., peraltro rimasto scritto nella Costituzione, con la conse- guenza, mantenuta ferma dalla Corte costituzionale, di impedire qual- siasi soluzione alternativa a quella ivi prevista per conferire alla contrat- tazione collettiva efficacia erga omnes; e l’ha vista solo parzialmente e tardivamente per l’art. 40 Cost., con l’emanazione nel 1990 della legge sull’esercizio del diritto di sciopero nei servizi pubblici essenziali. Sicché in luogo di questo modello inscritto nella Costituzione formale se ne af- fermerà un altro nella Costituzione materiale, con la benedizione della stessa Corte, cui è stato dato il nome di “pluralismo conflittuale”, cioè di un confronto libero delle organizzazioni sindacali dei lavoratori e dei da- tori, lasciato alle categorie del diritto privato: l’associazione non ricono- sciuta, il contratto collettivo di diritto comune, lo sciopero come diritto potestativo. Peraltro, sottovalutando un dato, che, cioè, non solo di fatto, ma anche di diritto, con l’indirizzo promozionale inaugurato dallo Sta- tuto dei lavoratori, c’è stato un restringimento guidato di tale pluralismo in forza e ragione del favor espresso in primis per le organizzazioni sin- dacali dei lavoratori “maggiormente rappresentative”.
Il diritto sindacale: oggetto e fonti 15
Tornando alla Carta come redatta a suo tempo dall’Assemblea costituen- te, il modello previsto si collocava nell’ambito di un riconoscimento della ini- ziativa economica privata, significativamente effettuato subito dopo con l’art. 41, peraltro accompagnato dall’esplicito divieto a «svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà e alla dignità umana», nonché dal rinvio alla legge per delineare «i programmi e i controlli opportuni perché l’attività economica pubblica e privata possa es- sere indirizzata e coordinata a fini sociali». Nonostante si sia cercato di leg- xxxx questo testo in funzione del principio di uguaglianza sostanziale di cui all’art. 3, 2° comma Cost., vedendovi lo strumento per realizzare un sistema socialista, certo è che per l’indirizzo dominante, consacrato dalla Corte co- stituzionale e dall’intera storia repubblicana, quello che è stato recepito nel “compromesso” raggiunto fra le varie anime dell’Assemblea costituente (li- berale, cattolica, socialista, comunista) è stato un sistema capitalista “tem- perato”: nessuna funzionalizzazione dell’iniziativa privata, ma la sua sotto- posizione alle limitazioni nonché alle eventuali direttive programmatorie det- tate dalla legge.
Un eco del pensiero socialista lo si ritrova, oltre che nell’art. 3, 2° com- ma, anche negli artt. 43 e 46. Il primo legittima non solo la “nazionalizzazio- ne” (a favore di enti pubblici) effettivamente realizzata; ma anche la “socia- lizzazione” (a favore di comunità di lavoratori o di utenti) di imprese che for- niscono servizi pubblici essenziali, gestiscono fonti di energia, operano in si- tuazioni di monopolio rimasta sulla carta. Mentre il secondo contempla «il diritto dei lavoratori a collaborare alla gestione delle aziende», secondo una formula ispirata da un’esperienza post-bellica rivoluzionaria, ma, nella sua versione anodina, tale da sottintendere una convergenza fra interessi dei da- tori e dei lavoratori, rimasta ostica all’esperienza sindacale italiana.
Il regime istituzionale delineato dalla Parte seconda, all’insegna di un primato del Parlamento condiviso dai principali partiti, Democrazia cri- stiana, Partito socialista italiano e Partito comunista italiano, perché tale da rassicurarli tutti alla vigilia di quella consultazione elettorale politica dell’aprile 1948 destinata a definire i reciproci rapporti di forza; un cen- tralismo statale solo ammorbidito da un regionalismo debole; un pru- dente temperamento della democrazia rappresentativa con l’introdu- zione della misura tipica della democrazia diretta, il referendum abroga- tivo delle leggi ordinarie su iniziativa di cinque Consigli regionali o di cinquecentomila elettori.
2.4. La legge e gli usi.
Se fino all’attuazione dell’ordinamento regionale previsto dal vec- chio Tit. V della Parte seconda della Costituzione, avvenuto nel decen- nio ’70 si avevano solo leggi nazionali, dopo se ne avranno anche regio-
36.
Il sistema economico di riferimento: un sistema capitalista “temperato”
37.
Un eco del pensiero socialista
38.
Un regime istituzionale caratterizzato da un primato del Parlamento e da un regionalismo debole
39.
La legislazione statale e regionale
16 Capitolo primo
40.
Legge, legge delega,
decreto legge
41.
Lo Statuto dei
lavoratori
nali, nelle materie riservate alla competenza concorrente regionale dal- l’art. 117 Cost. allora vigente. Ma, con la riscrittura del Tit. V effettuata dalla L. cost. n. 3/2001, la ripartizione della competenza fra Stato e re- gioni è stata radicalmente modificata, col prevederne nel novellato art. 117 una esclusiva a favore dello Stato, una concorrente Stato-regione ed una residuale generale tutta regionale. Se pur non si è mancato di dibat- tere a lungo circa chi avesse titolo a legiferare in materia di lavoro, la soluzione fatta propria dalla stessa Corte costituzionale indica lo Stato, in forza del 2° comma, lett. l) dell’attuale art. 117, laddove riporta alla competenza esclusiva statale l’“ordinamento civile e penale”; d’altronde non si era mai fatta questione che il diritto sindacale fosse riservato alla competenza statale, data la sua disciplina e rilevanza costituzionale (v. cap. III).
Di massima per le grandi riforme che investono direttamente od indiretta- mente la materia sindacale l’alternativa fra legge e legge delega sembra conse- gnata ad una valutazione che privilegia rispetto alla complessità e delicatezza della materia, la peculiare congiuntura politica e parlamentare: così sono leggi lo Statuto dei lavoratori (L. n. 300/1970), il “pacchetto Treu” (L. n. 196/97), la “ri- forma Fornero” (L. n. 92/2012); mentre sono leggi delega, con conseguente de- cretazione delegata, quelle relative alla c.d. privatizzazione dell’impiego pubbli- co (LL. nn. 421/1992 e 59/1997 e D. Lgs. n. 29/1993, più volte modificato) e la “riforma Biagi” (L. n. 30/2003 e D. Lgs. n. 276/2003). In presenza di una conti- nua fibrillazione della maggioranza parlamentare che si è alternata in questa c.d. seconda Repubblica, pur in presenza di una crisi finanziaria ed economica ormai cronica, s’è fatta regola quella destinata a restare eccezione a’ sensi di una Co- stituzione come la nostra, strettamente e rigidamente parlamentare, cioè il ricor- so alla decretazione d’urgenza, nonché alla fiducia anche nella delicata materia del lavoro; se pure il decreto legge più famoso e rilevante nella storia del diritto sindacale resti il D.L. n. 70/1984 varato dal Governo allora presieduto da Betti- no Craxi, sul contenimento del costo del lavoro, sopravvissuto sia ad una consul- tazione referendaria, sia ad una sentenza della Corte costituzionale (Corte Cost. n. 34/1985).
L’aspettativa della legge sindacale attuativa dell’art. 39, 2° comma ss. Cost. resterà relativamente alta fino alla fine del decennio ’50, quando fu emanata la L. n. 741/1959, che autorizzava il Governo a recepire in de- creti delegati i contratti collettivi già stipulati, così rendendoli efficaci erga omnes. Se anche la sua proroga verrà dichiarata incostituzionale da una Corte che l’aveva precedentemente salvata, la definitiva condanna della legge sindacale di attuazione sarà data dall’emanazione della L. n. 300/1970, lo Statuto dei lavoratori, che, col suo Tit. III, varerà una poli- tica promozionale selettiva, consistente nel garantire la cittadinanza nei luoghi di lavoro (costituzione delle rappresentanze sindacali aziendali e attribuzione dei diritti sindacali) in primis alle organizzazioni sindacali “maggiormente rappresentative”.
Il diritto sindacale: oggetto e fonti 17
Tale politica promozionale si espanderà successivamente alla stessa negoziazione, con la già ricordata legislazione sulla c.d. contrattazione delegata, destinata a costituire una costante del diritto del lavoro della fine del secolo scorso e della prima decade di questo. Di questa contrat- tazione costituisce l’esemplificazione più importante e significativa la L.
n. 146/1990, come modificata dalla L. n. 83/2000, che inquadra in una cor- nice legislativa la stipula dei contratti e degli accordi, destinati ad indivi- duare e disciplinare le prestazioni indispensabili da assicurare nel corso di scioperi effettuati nei servizi pubblici essenziali (v. cap. XIII).
Nel corso del decennio ’90 prende corpo la c.d. privatizzazione dell’im- piego pubblico, con il varo di quel D. Lgs. n. 29/1993, che, dopo un lungo e tormentato percorso, approderà nel c.d. testo unico sul pubblico impiego, il
D. Lgs. n. 165/2001, destinato a sua volta ad essere modificato fino ai nostri giorni. Emerge, così, un diritto sindacale dell’impiego pubblico privatizza- to che, per quanto ricalcato alla lontana da quello del lavoro privato, ne ri- mane assai differente, perché iper-regolato, con più di un passaggio pubbli- cistico. Sicché il processo appare double-face, visto che sembra in un primo tempo come di delegificazione, con abrogazione di tutta la disciplina pub- blicistica; ed in un secondo come di ri-legificazione, con la predisposizione di una apposita disciplina di base privatistica (v. cap. XI).
Gli usi aziendali, considerati del tutto distinti dai c.d. usi normativi, in quanto spontanei, sono oggi inquadrati dall’indirizzo dominante fra le cd. fonti sociali collettive, fra cui rientrerebbero anche i contratti collettivi aziendali e i regolamenti d’azienda (v. cap. X).
2.5. La contrattazione collettiva.
Resta a tutt’oggi aperta la discussione sul se la contrattazione collettiva possa essere qualificata “fonte” di diritto: mentre la tesi favorevole gode di largo credito fra gli studiosi di diritto pubblico, quella contraria prevale net- tamente fra gli studiosi ed i giudici del lavoro. Ora una fonte di diritto è ca- ratterizzata da una procedura formale, di per sé idonea a creare vere e pro- prie norme giuridiche, non solo astratte e generali, ma dotate di efficacia ul- tra partes, com’erano i contratti collettivi corporativi e come avrebbero po- tuto essere i contratti collettivi ex art. 39, 4° comma Cost. Ma tale non è la contrattazione collettiva c.d. diritto comune, priva di qualsiasi procedura for- malizzata, di per sé capace di produrre regole astratte e generali, ma forni- te solo di un’efficacia inter partes, che non cambia natura per l’esistenza di strumenti giuridici o di fattori sociali idonei ad estenderne la portata.
Il che non deve far ignorare le forme atipiche di contrattazione collettiva che ricollegano ad una procedura o alla sola selezione delle organizzazioni sindacali trattanti un’efficacia generale: esse meritano di essere qui anticipate, per venire
42.
La regolamentazione dello sciopero nei servizi pubblici essenziali: la L. n. 146/1990
43.
La c.d. privatizzazione dell’impiego pubblico: il D. Lgs. n. 165/2001
44.
Gli usi aziendali
45.
La contrattazione collettiva come fonte
18 Capitolo primo
riprese in seguito nella analisi sistematica dell’efficacia della contrattazione c.d. di diritto comune (v. cap. X).
Per la prima ipotesi, della presenza di una procedura, vanno ricordati i con- tratti di comparto e di area dirigenziale (D. Lgs. n. 165/2001) e i contratti per la disciplina delle prestazioni indispensabili (L. n. 146/1990), cui, peraltro, la Corte costituzionale ha riconosciuto sì un’efficacia generale, ma solo in via mediata, per non contraddire la sua giurisprudenza circa la illegittimità di qualsiasi procedura diversa da quella prevista dall’art. 39, 4° comma Cost. per attribuire efficacia erga omnes ai contratti collettivi nazionali di categoria.
Per la seconda ipotesi, della sola selezione delle organizzazioni sinda- cali trattanti, quelle “maggiormente” o “comparativamente più” rappresentative, va richiamata la c.d. contrattazione delegata. Non si tratta di una categoria uni- taria, per cui va disaggregata secondo le varie fattispecie che vi sono ri- condotte, sicché anche la questione relativa alla sua efficacia erga omnes va affrontata distintamente, ma con una presunzione di massima contraria, alme- no per quei contratti di categoria cui tale efficacia potrebbe essere consegui- ta solo con la procedura di cui all’art. 39, 2° comma ss. Ma deve darsi atto che Corte Cost. n. 344/1996 ha aperto una finestra, sia pur solo con un obiter dictum, circa l’esistenza di un modello costituito da «leggi che delegano alla con- trattazione collettiva funzioni di produzione normativa con efficacia generale, configurandole come fonte di diritto ‘extra ordinem’ destinate a soddisfare esi- genze ordinamentali che avrebbero dovuto essere adempiute dalla contratta- zione collettiva prevista dall’inattuato art. 39, 4° comma Cost. L’uso di questo modello è giustificato quando si tratta di materie del rapporto di lavoro che esi- gono uniformità di disciplina in funzione di interessi generali connessi al mercato del lavoro».
46.
La parte “obbligatoria” dei contratti collettivi.
Come visto nel perdurante vuoto attuativo dell’art. 39, 2° comma ss., si è andato consolidando un indirizzo già manifestatosi a ridosso del varo del testo costituzionale, di far ricorso al contratto collettivo c.d. di diritto comune: escluso di poterlo omologare al contratto corporativo regolato dal codice civile in apertura del libro V, veniva ricondotto sotto il regime “comune” dei contratti e delle obbligazioni di cui al libro IV.
Un tale regime non permetteva di soddisfare lo scopo storico del contratto collettivo di creare un trattamento comune esteso a tutti i la- voratori capaci di farsi concorrenza al ribasso nello stesso ambito pro- duttivo o territoriale; ma lasciava spazio libero ad un regolamento auto- nomo del sistema contrattuale tramite appositi accordi interconfederali e le c.d. prime parti dei contratti collettivi di categoria, battezzate come “obbligatorie” perché destinate a regolare le relazioni collettive fra le stesse organizzazioni stipulanti, come tali distinte da quelle “normative” contenenti le condizioni e i termini dei rapporti di lavoro. È da ricor- dare che la contrattazione articolata, costruita su una serie di rinvii dal contratto nazionale a quelli decentrati per la regolamentazione di deter- minate materie, venne introdotta nel 1962 dal Protocollo Intersind/ Asap, per poi divenire recepita come formula generale destinata a so-
Il diritto sindacale: oggetto e fonti 19
pravvivere alla stessa stagione della “conflittualità permanente”, aper- ta dall’autunno caldo del ’69; tanto che la ritroviamo, al servizio di una politica dei redditi anti-inflattiva, in quell’autentica carta fondamen- tale delle relazioni collettive costituita dal Protocollo del luglio del ’93 fra Governo e Confindustria, Cgil, Cisl, Uil rectius dall’accordo inter- confederale in esso incorporato. Ma pur inquadrata in una prospetti- va macro-economica resa diversa proprio dalla politica dei redditi, che, peraltro aveva sì ridotto l’inflazione ma a costo di una forte costrizio- ne salariale, la contrattazione articolata resta sia nell’accordo intercon- federale quadro separato del gennaio 2009, seguito dai due accordi at- tuativi dell’aprile, sia nell’accordo interconfederale unitario del giugno 2011.
Gli accordi interconfederali conclusi fra le parti sociali, con a far da guida quello fra la Confidustria e Cgil, Cisl e Uil, hanno conosciuto una particolare fortuna, quando sono stati incorporati in Protocolli triango- lari nel contesto di una concertazione attuata come uno scambio “politi- co” fra il Governo e le stesse parti sociali, a partire dall’inizio del decen- nio ’80 e per tutto il decennio ’90: esemplare resta a tutt’oggi il Proto- collo del luglio 1993. Alla crisi della concertazione ha corrisposto la con- clusione di accordi interconfederali con la partecipazione delle sole parti sociali, come testimonia l’accordo interconfederale unitario del giugno 2011 (v. cap. II, §§ 5 e 6).
La contrattazione collettiva è subordinata alla legge, con la salvaguar- dia di quella competenza c.d. orizzontale, che secondo la Corte costitu- zionale le resterebbe pur sempre garantita ai sensi dell’art. 39, 1° comma: non godrebbe di una riserva assoluta ed incondizionata neppure in mate- ria retributiva, ma non potrebbe essere espropriata in via definitiva della relativa competenza (v. cap. X).
Di massima, laddove la legge interviene in materia sindacale fissa solo la disciplina minimale che può essere migliorata dalla contrattazione col- lettiva, come per esempio per la regolamentazione dei diritti sindacali di cui al Tit. III St. lav.; ma la legislazione assai spesso è servente rispetto alla autonomia collettiva, sostanzialmente secondo modalità diverse: la recezione in atti legislativi di precedenti accordi sindacali (c.d. legisla- zione “contrattata”); la delega a successivi contratti collettivi di compiti suppletivi, integrativi e modificativi rispetto a quanto da lei stessa dispo- sto (c.d. contrattazione delegata).
Pur potendosi parlare sempre di recezione, bisogna tenere distinte due ipotesi. Nella prima, c’è una sostanziale ricezione di precedenti ac- cordi interconfederali, come la L. n. 604/1966 sui licenziamenti indivi- duali, la legislazione sul costo del lavoro del 1977 (LL. nn. 91 e 475), e le leggi che hanno incorporato gli accordi attuativi di direttive comunitarie come il D. Lgs. n. 66/2003 sull’orario di lavoro. Nella seconda c’è una trattativa preliminare, che col tempo si è ampliata in una concertazione
47.
Gli accordi interconfederali e i Protocolli
48.
La legge e la contrattazione collettiva
49.
La c.d. legislazione “contrattata”
20 Capitolo primo
50.
La c.d. contrattazione “delegata”
51.
Xx x.x. xxxxxxxxxxxxxxxx xxxxxxxxxxx xxx xxxxxxx xxx xxxxxx
00.
Legge e contrattazione collettiva nella regolamentazione dell’esercizio del diritto di sciopero
finalizzata alla stesura di un Protocollo, propedeutico ad interventi del Governo ed a provvedimenti legislativi a tutto campo.
Se si considera in tutta la sua evoluzione la politica promozionale nei confronti delle organizzazioni sindacali dei lavoratori, essa può essere di- stinta in una prima tappa, data dal Titolo III dello Statuto dei lavoratori, con cui si garantisce a quelle “maggiormente rappresentative” la piena cittadinanza nei luoghi di lavoro; ed in una seconda rappresentata dalla
c.d. contrattazione “delegata”, con la quale si riconosce a quelle “compa- rativamente più rappresentative” la legittimazione a varare una disci- plina collettiva atta a “modulare” quella legislativa.
Col che si è inteso rispondere ad una crescente esigenza di flessibilità “in entrata”, cioè rispetto alla tipologia e disciplina delle assunzioni, con una deregolazione non secca, quale data dall’abrogazione sic et simplici- ter della legge, ma graduata e controllata, quale costituita dalla facoltà concessa alle parti sociali di intervenire sulla normativa di legge, dalla forma soft dell’integrazione a quella hard della “deroga”. Testimonianza iniziale ne è stata la contrattazione collettiva autorizzata ad introdurre ipotesi ulteriori rispetto a quelle tassativamente indicate per la conclu- sione di un contratto a termine dalla L. n. 230/1962, con la sua prima si- gnificativa espressione verso la fine del decennio ’80. Ma tale contratta- zione è maturata nel corso del decennio ’90, col c.d. Pacchetto Treu (L.
n. 196/97), per essere poi pienamente valorizzata dalla riforma Biagi del 2003 e ripresa dalla stessa riforma Fornero del 2012. Nell’intermezzo c’è stata quell’autentica forzatura costituita dal D. Lgs. n. 167/2011 sull’ap- prendistato, perché qui la legge si limita alla sola fissazione di principi vincolanti per la contrattazione collettiva, elevata ad unica ed esclusiva fonte di disciplina dell’istituto.
S’è parlato al riguardo di una disciplina del mercato del lavoro affidata alle stesse parti sociali per la sua adattabilità, tempestività, effettività, la c.d. “regola- mentazione consensuale del mercato del lavoro”. Non si tratta di una categoria unitaria, per cui va disaggregata secondo le varie figure che vi sono ricondotte. Sicché anche la problematica relativa alla sua efficacia erga omnes va affrontata distintamente, se pur con una presunzione di massima, che, cioè, sia ben difficile ammetterla laddove non esplicitamente prevista dalla legge stessa, ferma re- stando la contro-indicazione data dalla presenza di un’apposita disciplina costitu- zionale non attuata.
La L. n. 146/1990 sull’esercizio del diritto di sciopero nei servizi pub- blici essenziali, prevede una disciplina composita con la legge ad indivi- duare i servizi, a fissare alcuni limiti, a definire i moduli tipici con cui possono essere assicurate le prestazioni indispensabili; ed i contratti col- lettivi e gli accordi di comparto e di area dirigenziale a regolamentare sif- fatte prestazioni, efficaci rispetto a tutti i potenziali destinatari solo se va- lidati dall’apposita Commissione di Garanzia.
Il diritto sindacale: oggetto e fonti 21
Stando alla Corte costituzionale, sarebbe proprio la legge a conferire ai contratti collettivi del settore pubblico privatizzato efficacia generaliz- zata, per via di quell’art. 40, 4° comma del D. Lgs. n. 165/2001 che im- pone a tutte le pubbliche amministrazioni di osservarli, sicché tale effica- cia risulterebbe ex lege e non ex contractu, come tale non contrastante con l’art. 39, 2° comma ss. Cost.
Ma se continua massiccia la legislazione a favore della c.d. contratta- zione delegata, resta tutta la difficoltà politico-sindacale di intervenire di- rettamente sulla contrattazione collettiva. Sarà la rottura sindacale sul rinnovo del Protocollo del luglio 1993, sfociata nell’accordo interconfe- derale quadro separato Confindustria/Cisl-Uil del gennaio 2009, ad of- frire l’occasione per quell’art. 8 D.L. n. 138/2011, convertito con L. n. 148/2011, che, appena varato, è stato disconosciuto pubblicamente dalle parti sociali (v. cap. II, § 7).
L’art. 4, 62° e 63° comma, L. n. 92/2012, conferisce al Governo la de- lega per l’emanazione di decreti che autorizzino la contrattazione collet- tiva ad introdurre varie forme di “partecipazione”. Questo secondo un crescendo che procede ben oltre l’informazione e consultazione dei lavo- ratori di cui alla Direttiva Ue n. 14/2002, recepita col D. Lgs. n. 25/2007, fino a riecheggiare la codeterminazione tedesca, con la presenza di rap- presentanti dei lavoratori nei Consigli di sorveglianza delle Società orga- nizzate secondo la formula dualistica (Consigli di sorveglianza e Consigli di Gestione), nonché la partecipazione azionaria degli stessi lavoratori. Il succo di questo testo estremamente complicato e contorto è che i contratti collettivi territoriali o aziendali sottoscritti da organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative o dalle loro rappresen- tanze in azienda possono contenere “specifiche intese” che deroghino non solo alle clausole dei contratti collettivi nazionali, ma anche alle di- sposizioni di leggi riguardanti materie ricomprese in una elencazione estremamente ampia ed articolata, con efficacia estesa a tutti i dipen- denti, sempreché sottoscritte dalle predette rappresentanze aziendali “sulla base di un criterio maggioritario”. Questo, peraltro, presuppone un dato per niente scontato, che, cioè, l’art. 39, 2° comma ss. Cost. ri- guardi solo ed unicamente quel contratto di categoria cui fa esclusivo ri- ferimento, peraltro essendo l’unico al tempo praticato; sicché sia possi- bile, senza previamente attuarlo, conferire ad un contratto aziendale ef- ficacia erga omnes. Non solo, perché l’elencazione delle materie la cui di- sciplina legislativa può essere derogata risulta così omnipervasiva, da far seriamente dubitare della sua compatibilità con la tesi suggerita dalla Corte costituzionale dell’esistenza di una dote inderogabile di diritti cor-
relata inscindibilmente con la subordinazione.
53.
Legge e contrattazione collettiva nel pubblico impiego privatizzato
54.
La contrattazione collettiva aziendale in deroga: l’art. 8 D.L. n. 138/2011
55.
La contrattazione collettiva e la “partecipazione” dei lavoratori: l’art. 4, 62° e 63° comma, L. n. 92/2012
22 Capitolo primo
2.6. La giurisprudenza
56.
La giurisprudenza costituzionale
57.
La giurisprudenza ordinaria. La giustizia del lavoro
58.
La funzione nomofilattica della Corte di Cassazione
Tradizionalmente con la parola giurisprudenza si indica l’attività decisio- nale svolta dalla Corte costituzionale, dalla magistratura amministrativa e dalla magistratura penale e civile, così come espressa nelle sua varie figure tipiche: sentenze, ordinanze, decreti. Fondamentale nella formazione di un diritto sindacale difforme dal modello prefigurato dalla carta è stata la at- tività svolta dalla Corte costituzionale, con riguardo all’art. 39 Cost. Di que- sto ha valorizzato appieno la libertà di organizzazione sindacale inscritta nel 1° comma, senza, peraltro, ritenerla né esclusiva della politica promoziona- le selettiva di cui al Tit. III St., né di massima preclusiva della legislazione sul costo del lavoro. E ha mantenuto fermo il 2° comma ss., senza, però, con- siderarlo impeditivo dell’effetto generalizzato riconosciuto ai regolamenti contrattuali circa le prestazioni indispensabili ex L. n. 146/1990 sull’eserci- zio del diritto di sciopero nei servizi pubblici essenziali, nonché ai contratti collettivi del pubblico impiego privatizzato ex D. Lgs. n. 165/2001. Se pur lo ha fatto, tramite l’utilizzo di un duplice escamotage: considerando tale effet- to riconducibile, per la prima ipotesi, alla stessa legge; e, per la seconda, a contratti estranei “alla categoria del contratto collettivo prefigurato dall’art. 39 della Costituzione”.
Non meno importante è stato l’apporto della Corte a proposito del ri- conoscimento del diritto di sciopero di cui all’art. 40, dato con l’esercizio del suo sindacato sugli artt. 502 ss. e 330 del codice penale del 1930, for- malmente sopravvissuti al crollo del fascismo. Ne è riuscito ampliato pro- gressivamente lo scopo legittimante perseguibile, non più solo contrat- tuale, ma anche politico-economico; e ne è risultato ammesso lo stesso sciopero nei servizi pubblici essenziali, se pur coi limiti dovuti per salva- guardare diritti costituzionalmente protetti, secondo un approccio poi ri- preso e sviluppato dalla L. n. 146/1990.
Altrettanto fondamentale è risultata l’azione della magistratura ordina- ria: non di quella penale, di cui si ricorda la parte marginale inizialmente gio- cata con riguardo al reato di abbandono collettivo del lavoro; ma di quella civile, che, a seguito della riforma del 1973, conta su una sezione e su un pro- cesso dedicati alle controversie di lavoro. Le si deve la ricostruzione della fi- gura di contratto collettivo c.d. di diritto comune, della relazione fra livelli contrattuali, della nozione di “confederazioni maggiormente rappresenta- tive” e dei diritti sindacali di cui al Tit. III St. lav.; nonché la individuazio- ne dei modi legittimi di esercizio del diritto di sciopero, secondo una gradua- le liberalizzazione destinata a trovare un suo strumento elettivo nella giu- risprudenza in tema di comportamenti anti-sindacali ex art. 28 St. lav.
Secondo la funzione attribuita ad un processo articolato su un triplice gra- do, la giurisprudenza si è formata e consolidata gradualmente, con una dia- lettica fra il primo grado (ieri il Pretore, oggi il Tribunale), il secondo (ieri il Tribunale/Corte d’Appello, oggi la Corte d’Appello) di “merito” ed il ter-
Il diritto sindacale: oggetto e fonti 23
zo di “legittimità” (la Corte di Cassazione). Com’è noto, ogni giudicato va- le solo ed esclusivamente per il caso specifico considerato, ma contribuisce a formare l’indirizzo consolidato che viene a costituire il c.d. diritto viven- te, cioè quello effettivamente applicato e sanzionato, tanto da non poterse- ne prescindere nell’offrire un quadro del diritto in vigore. Se pur frutto del- l’intero percorso giudiziario, tale diritto vivente è quello fatto proprio dal- la Corte di Cassazione, specie se a Sezioni unite, la quale si è vista di recen- te rafforzare la sua funzione nomofilattica, con la previsione di un ricorso per violazione e falsa applicazione non più solo «di norme di diritto», ma anche
«dei contratti e accordi collettivi nazionali di lavoro» (art. 360, 1° comma, n. 3 cod. proc. civ.), nonché con l’introduzione del ricorso per saltum, cioè evi- tando il secondo grado contro una sentenza di primo grado sull’accertamen- to pregiudiziale sull’efficacia, validità ed interpretazione dei contratti collet- tivi (art. 420-bis cod. proc. civ.).
D’altronde l’ultimo quindicennio è caratterizzato da una sequenza ininter- rotta di “riforme del mercato”, alla ricerca di quella flessibilità ritenuta necessa- ria per far fronte ad una cronica crisi occupazionale, peraltro letta e trattata in maniera discontinua a seconda del Governo in carica, per cui ne è stata valoriz- zata almeno sulla carta l’azione di istituzioni triangolari in senso lato amministra- tive; ma soprattutto è stata vista e rivista la tipologia e la disciplina dei contratti di lavoro, come tale occasione di una giurisprudenza centrata sui diritti indivi- duali. Il protagonismo dei giudici del lavoro ha raggiunto il suo culmine nel corso del primo decennio ’70, con l’utilizzo a tutto campo dell’art. 28 St. lav., da parte dei c.d. Pretori d’assalto, che per età e formazione erano particolarmente in- fluenzati dal clima conflittuale del tempo; con, a fare da pendant il riconosci- mento dello sciopero di imposizione politico-economica da parte della Corte Co- stituzionale e dello sciopero articolato da parte della Corte di cassazione, a mezzo e, rispettivamente, verso la fine di quel decennio. Col cambio di clima conseguente al processo di ristrutturazione attivato in Italia dall’effetto con- giunto della crisi petrolifera del 1973 e della protesta operaia, che comporta una ridistribuzione di potere a favore della parte datoriale vis-à-vis di quella lavora- trice nonché una centralizzazione delle relazioni collettive, tale protagonismo si attenua: consolidatasi sia la definizione del diritto di sciopero, sia l’interpreta- zione del Tit. III St. lav., l’attenzione tenderà a concentrarsi ed a mantenersi su quella problematica dell’efficacia della contrattazione collettiva in sé e nella re- lazione fra livelli, rinverdita, prima, dalla fine della stagione aurea di quella esclusivamente acquisitiva e, poi, dall’aprirsi della stagione di quella “separata” oggi fiorente come non mai, a stare alla vicenda Fiat.
Il ruolo riservato al giudice amministrativo (Tribunali amministrativi e Consiglio di Stato) risulta ridimensionato rispetto a quello del lavoro, toccando ormai a quest’ultimo decidere sia sul comportamento antisin- dacale tenuto dalle pubbliche amministrazioni, sia sulle controversie in- sorte fra Aran ed organizzazioni sindacali nella procedura relativa ai contratti collettivi di comparto e di area dirigenziale.
59.
Una giurisprudenza che cambia
60.
La giurisprudenza amministrativa
24 Capitolo primo
Scheda bibliografica essenziale
Sulle fonti internazionali si veda X. Xxxxxx, Le fonti internazionali, in AA.VV., Le fonti. Il diritto sindacale, a cura di X. Xxxx, in Diritto del la- voro, Commentario diretto da X. Xxxxxxx, Utet, Torino, 2007, 23 ss.; X. Xxxxxx, Le fonti internazionali, in AA.VV., Le fonti del diritto del la- voro, a cura di X. Xxxxxxxx, in Trattato di diritto del lavoro, diretto da X. Xxxxxxxx, X. Xxxxxxx, Xxxxx, Padova, 2010, 184 ss.; X. Xxxxxx, Il diritto internazionale del lavoro ed il ruolo della Organizzazione internazionale del Lavoro, in AA.VV., Diritto del lavoro dell’Unione europea, a cura di
X. Xxxxxxx, X. Xxxxxxxxxxxx, in Diritto del lavoro, Commentario diretto da X. Xxxxxxx, Utet, Torino, 2010, 35 ss.
In generale sul diritto internazionale del lavoro cfr. X. Xxxxxxxxx Pa- gnetti, Diritto internazionale del lavoro: norme universali, regionali e del- l’Unione europea, Xxxxxxx, Milano, 2011; J-M. Servais, International la- bour law, Kluwer law International, 2011.
Sull’Organizzazione internazionale del lavoro cfr. AA.VV., L’orga- nizzazione internazionale del lavoro: diritti fondamentali dei lavoratori e politiche sociali, a cura di X. Xxxxxxxx, X. Xxxxxxx, Xxxxxx, Xxxxxx, 0000; X. Xxxxxx, X. Xxxxxxx, The International Labour Organisation (ILO): coming in from the cold, Xxxxxxxxx, Xxxxxx, Xxx Xxxx, 0000.
Sulle fonti dell’Unione europea si veda X. Xxxxxxxxxxxx, Le fonti co- munitarie, in AA.VV., Le fonti. Il diritto sindacale, a cura di X. Xxxx, in Diritto del lavoro, Commentario diretto da X. Xxxxxxx, Utet, Torino, 2007, 36 ss.; M. Roccella, Diritto comunitario e diritto del lavoro: dalle origini al Trattato di Lisbona, in AA.VV., Le fonti del diritto del lavoro, a cura di X. Xxxxxxxx, in Trattato di diritto del lavoro, diretto da X. Xxx- xxxxx, X. Xxxxxxx, Xxxxx, Padova, 2010, 272 ss.; X. Xxxxxxx, Le fonti, in AA.VV., Diritto del lavoro dell’Unione europea, a cura di X. Xxxxxxx, X. Xxxxxxxxxxxx, in Diritto del lavoro, Commentario diretto da X. Xxxxxxx, Utet, Torino, 2010, 71 ss.; Id., Le istituzioni e gli organi comunitari, in AA.VV., Diritto del lavoro dell’Unione europea, cit., 53 ss.; X. Xxxxxxx, Diritto del lavoro e diritto sociale europeo. Un’analisi delle fonti, in AA.VV., Manuale di diritto sociale europeo, a cura di X. Xxxxxxx, Giap- pichelli, Torino, 2010, 1 ss.
Sui rapporti tra fonti interne e fonti europee cfr. X. Xxxxxxxx, Le problematiche specifiche della materia, in AA.VV., Le fonti del diritto del lavoro, cit., 291 ss.; X. Xxxxxxx, I rapporti tra norme comunitarie e norme italiane, in AA.VV., Diritto del lavoro dell’Unione europea, cit., 111 ss. Per una trattazione complessiva del diritto europeo del lavoro cfr. X. Xxxxxxxxx, Diritto comunitario del lavoro, Giappichelli, Torino, 2012;
X. Xxxxxxxx, X. Xxxx, Diritto del lavoro dell’Unione europea, Cedam, Padova, 2012.
In generale sull’ordinamento europeo si vedano i manuali di G. Te-
Il diritto sindacale: oggetto e fonti 25
sauro, Diritto dell’Unione europea, Cedam, Padova, 2010; X. Xxxxx, Di- ritto dell’Unione europea, Xxxxxxx, Milano, 2010; X. Xxxxxxx, R. Ma- stroianni, Diritto dell’Unione europea. Parte istituzionale, Giappichelli, Torino, 2011. Sulle fonti interne si veda X. Xxxx’Xxxx, Il diritto del la- voro italiano e le sue fonti, GDLRI, 2002, 515 ss.; X. Xxxxxxxx, Le fonti del diritto del lavoro quindici anni dopo, Xxxxxxxxxxxx, Torino, 2003; X. Xxxxxx, X. Xxxxxxxx, X. Xxxx, Le fonti interne, in AA.VV., Le fonti. Il diritto sindacale, a cura di X. Xxxx, in Diritto del lavoro, Commentario di- retto da X. Xxxxxxx, Utet, Torino, 2007, 3 ss.; X. Xxxxxxx, Ritornando sulle fonti del diritto del lavoro, ADL, 2008, 1093 ss.; X. Xxxxxxxxx, Il sistema generale delle fonti giuslavoristiche, in AA.VV., Le fonti del diritto del la- voro, a cura di X. Xxxxxxxx, in Trattato di diritto del lavoro, diretto da X. Xxxxxxxx, X. Xxxxxxx, Xxxxx, Padova, 2010, 395 ss.; Id., La Costituzione come fonte regolatrice del lavoro, in AA.VV., Le fonti del diritto del xx- xxxx, xxx., 000 xx.; X. Xxxxxxx, Xxxxx e legislazione lavoristica, in AA.VV., Le fonti del diritto del lavoro, cit., 451 ss.
Sul contratto collettivo nel sistema delle fonti: X. Xxxxxxxx, Il con- tratto collettivo di diritto comune nel sistema delle fonti del diritto del la- voro, ADL, 2004, 1 ss.; X. Xxxx, Contratto collettivo come fonte e contrat- tazione collettiva come sistema di produzione di regole, in AA.VV., Le fonti del diritto del lavoro, cit., 487 ss.