A cura di
A cura di
Avv. XXXXX XXXXXXXXX XXXXXX
Xxx Xxxxxx Xxxxxxx, 00 – 00000 Xxxxxx Tel. 00.00000000 - Fax 00.00000000
e-mail xxxxxxxxxx.xxxxxx@xxxxxxxxxxxxxx.xx xxx.xxxxxxxxxxxxxx.xx
Il contratto di subfornitura
Con il termine “subfornitura” si intende il rapporto contrattuale in base al quale un imprenditore (committente) conferisce ad un altro imprenditore (subfornitore) l’incarico di predisporre parti del prodotto finale o di svolgere talune fasi del processo produttivo, se questo sia scomponibile. Nata come contratto atipico, cioè attuato nella pratica anche se non disciplinato da precise norme, in Italia ha trovato regolamentazione con la l. 18.6.1998 n. 192 (intitolata “Disciplina della subfornitura nelle attività produttive”) successivamente modificata dalla l. 5.3.2001 n. 57 e dal D. Lgs. 9.10.2002 n. 231. Una legge che presenta aspetti positivi, ma anche qualche punto problematico, che cercheremo qui di seguito di esaminare.
Occorre subito fare una premessa. La legge n. 192 fu approvata dal legislatore italiano, sulla spinta di iniziative europee, in un quadro normativo volto alla tutela dei consumatori e degli utenti e fu redatta con l’intento di “proteggere” il sub‐ fornitore, considerato il contraente più debole, nei confronti di eventuali abusi del committente. A ben vedere, però, questa visione del legislatore è riduttiva e non fotografa tutte le possibili fattispecie concrete. Si legge infatti nella definizione che troviamo all’art. 1, I comma: “Con il contratto di subfornitura un imprenditore si impegna a effettuare per conto di una impresa committente lavorazioni su prodotti semilavorati o su materie prime forniti dalla committente medesima, o si impegna a fornire all'impresa prodotti o servizi destinati ad essere incorporati o comunque ad essere utilizzati nell'ambito dell'attività economica del committente o nella produzione di un bene complesso, in conformità a progetti esecutivi, conoscenze tecniche e tecnologiche, modelli o prototipi forniti dall'impresa committente.” Peraltro, sappiamo che vi sono ipotesi nelle quali il subfornitore non è il contraente “debole” che supinamente si adegua ai progetti forniti dal committente. In particolare, la dottrina ha elaborato due diverse figure: (1) la subfornitura “congiunturale” o “per motivi di capacità”, che si ha quando il committente, pur essendo in grado di eseguire il lavoro da sé, si avvale del subfornitore per sue ragioni organizzative, ad es. per reperire capacità aggiuntive alle proprie in un momento di sovraccarico di lavoro, e (2) la subfornitura “strutturale” o “specializzata”, che si ha quando il committente non è in grado di produrre da sé una subfornitura di beni o servizi, e li affida al subfornitore in considerazione della complessità del procedimento produttivo e della necessità di usufruire di sottofasi o singole funzioni del procedimento che richiedono competenze e/o tecnologie particolari. Ebbene, a sommesso avviso della scrivente, la l. 192 non ha considerato, se non marginalmente, questa seconda tipologia, in cui il subfornitore non necessariamente si limita a dare esecuzione a degli ordini e a rispettare certe specifiche,
ma anzi, al contrario è spesso uno specialista del suo settore produttivo, ha un suo specifico know‐how, peculiari tecnologie e conoscenze (tecnologie e conoscenze che, in ipotesi, il committente può non possedere) e proprio per questo può essere chiamato a partecipare anche alla fase di concezione, progettazione e sviluppo del prodotto. Quindi dobbiamo concludere che questa legge, proprio per il suo iniziale obiettivo della tutela del contraente debole, non copre tutte le possibili ipotesi e che pertanto, nella pratica, si dovrà valutare caso per caso se si sia di fronte ad una subfornitura interamente regolata dalla l. 192, ovvero ad un rapporto più articolato in cui, eventualmente, si potrà tener conto della l. 192 per quanto riguarda la disciplina delle condizioni della fornitura e dei termini di pagamento, mentre i complessivi rapporti di partenariato potranno essere organizzati secondo un più ampio regolamento (lettere di intenti, contratti di ricerca e sviluppo, di joint‐venture, etc.).
La l. 192 dice, invece, molto chiaramente (all’art. 1, II comma) quali sono i rapporti che da essa non sono regolati: “i contratti aventi ad oggetto la fornitura di materie prime, di servizi di pubblica utilità e di beni strumentali non riconducibili ad attrezzature”. Nulla quaestio sulla fornitura di materie prime: non trovando applicazione la l. 192, si applicheranno le ordinarie norme in materia di somministrazione (artt. 1559 e segg. c.c.). Nulla quaestio anche per i servizi di pubblica utilità, quali, ad es., l’erogazione di gas o energia elettrica, in quanto sappiamo che la relativa attività (svolta da soggetti pubblici o da soggetti privati in regime di concessione) è regolata da leggi speciali. Infine, i beni strumentali non riconducibili ad attrezzature sono gli immobili e ogni altro cespite che rappresenti il contesto entro il quale si esercita l’attività produttiva: ove un imprenditore incarichi un altro imprenditore di realizzare tali beni non avremo subfornitura ma appalto (art. 1655 e segg. c.c.).
Quanto all’ambito soggettivo di applicazione, la l. 192 si riferisce, testualmente, a “imprenditori” e “imprese”, quindi, stando alla lettera della legge, sembrerebbero esclusi dal suo ambito di applicazione i contratti con le Pubbliche Amministrazioni che non svolgono, prevalentemente o esclusivamente, attività economica. Allo stato, il punto non è stato ancora oggetto di chiarimenti da parte di pronunzie giurisprudenziali. Se però la segnalata interpretazione testuale fosse confermata, saremmo di fronte ad una seria lacuna legislativa, perché a ben vedere le commesse degli Enti pubblici sono proprio i classici casi nei quali l’imprenditore privato si trova in una situazione di “dipendenza” meritevole di tutela.
Detto questo, senza pretese di esaustività, vediamo di dare brevi indicazioni da tener presente nella negoziazione e formalizzazione del contratto di subfornitura.
Per quanto riguarda la forma del contratto, l’art. 2, I comma della l. 192 impone che esso sia redatto per iscritto a pena di nullità. Per aversi forma scritta, non occorre versare fiumi di inchiostro: la norma generale è quella di cui all’art. 1326 c.c.: “il contratto è concluso nel momento in cui chi ha fatto la proposta ha conoscenza dell’accettazione della controparte”; precisa l’art. 2 della l. 192 che “costituiscono forma scritta le comunicazioni degli atti di consenso alla conclusione o alla modificazione dei contratti effettuate per telefax o altra via telematica”: perciò, si avrà contratto validamente concluso per iscritto anche mediante il semplice scambio per fax o e‐mail di ordine e conferma d’ordine. Se il rapporto che si intende realizzare è di natura complessa, ad es. si vuole stipulare un contratto‐quadro, nell’ambito del quale debbano essere poi eseguite diverse forniture, anche gli ordini e le conferme d’ordine relativi a tali singole forniture dovranno essere effettuati per iscritto.
Tuttavia, enunciata la regola della forma scritta, la legge subito dopo stabilisce un’eccezione. Eccezione che, a ben vedere, è posta nell’ottica, di cui si è detto, di tutelare il contraente “più debole”. L’art. 2, II comma stabilisce che “nel caso di proposta inviata dal committente secondo le modalità indicate nel comma 1, non seguita da accettazione scritta del subfornitore che tuttavia inizia le lavorazioni o le forniture, senza che abbia richiesto la modificazione di alcuno dei suoi elementi, il contratto si considera concluso per iscritto agli effetti della presente legge e ad esso si applicano le condizioni indicate nella proposta, ferma restando l'applicazione dell'articolo 1341 del codice civile”. Supponiamo che il committente trasmetta un ordine scritto al subfornitore, il quale, pur non dandogli conferma scritta, inizi a dare esecuzione a quell’ordine, in modo conforme a quanto in esso previsto: in base alla norma citata, anche in mancanza dell’espressa accettazione scritta, il contratto sarà considerato concluso validamente e il subfornitore sarà quindi tutelato dalle norme a suo favore stabilite dalla legge. La norma precisa che resta ferma l'applicazione dell'articolo 1341 c.c., vale a dire che il subfornitore, in mancanza di specifica approvazione scritta, non sarà vincolato da eventuali “clausole vessatorie” eventualmente inserite dal committente nel proprio ordine. L’unico dubbio che ci rimane in un simile caso è quello di stabilire quando e dove si deve ritenere concluso il contratto. Soccorre l’art. 1327 c.c., che dispone che “il contratto è concluso nel tempo e nel luogo in cui ha avuto inizio l'esecuzione”.
Ma quid iuris se il contratto dovesse risultare radicalmente nullo per totale mancanza di forma scritta? Anche in questo caso la l. 192 contiene una previsione favorevole al subfornitore, che, in base all’ultimo inciso del I comma dell’art. 2, “ha comunque diritto al pagamento delle prestazioni già effettuate e al risarcimento delle spese sostenute in buona fede ai fini dell'esecuzione del contratto”.
Xxxxxxx detto poc’anzi che l’esigenza della forma scritta non comporta necessariamente lo spargimento di fiumi di inchiostro. Tuttavia, anche utilizzando una forma scarna e sintetica, si dovrà tenere presente ciò che la legge 192 dispone a proposito del contenuto del contratto.
Il V comma dell’art. 2 dispone che “nel contratto di subfornitura devono essere specificati:
a) i requisiti specifici del bene o del servizio richiesti dal committente, mediante precise indicazioni che consentano l'individuazione delle caratteristiche costruttive e funzionali, o anche attraverso il richiamo a norme tecniche che, quando non siano di uso comune per il subfornitore o non siano oggetto di norme di legge o regolamentari, debbono essere allegate in copia;
b) il prezzo pattuito;
c) i termini e le modalità di consegna, di collaudo e di pagamento”.
Per quanto riguarda il prezzo, poi, il IV comma precisa che esso “deve essere determinato o determinabile in modo chiaro e preciso, tale da non ingenerare incertezze nell'interpretazione dell'entità delle reciproche prestazioni e nell'esecuzione del contratto”.
Se dunque non si dispone dell’aiuto di un consulente che rediga la bozza del contratto, potrà essere utile stendere, prima di ogni altra cosa, una sorta di “check‐list” che tenga conto di tutto ciò. Ad esempio, quanto ai requisiti specifici del bene o del servizio ci dovremo chiedere: che cos’è, precisamente, il prodotto o il servizio oggetto del contratto? Quali caratteristiche costruttive/specifiche deve rispettare? Qual è la misura/quantità pattuita? Il prodotto dovrà essere confezionato/imballato in un certo modo? Dovrà essere corrispondente ad un campione/modello/prototipo? E’ superfluo osservare che la precisione descrittiva corrisponde all’interesse di entrambe le parti che il prodotto corrisponda alle specifiche desiderate. Ecco perché la legge prescrive che, se le caratteristiche del prodotto sono ricavabili da norme tecniche che non siano di uso comune per il subfornitore o non siano previste da leggi o regolamenti, si deve allegare al contratto una copia di tali norme tecniche. Non va dimenticato, poi, che la facoltà per il committente di sollevare contestazioni circa eventuali vizi, difetti o mancanza di qualità del prodotto, da un lato, e il margine di tolleranza concesso al subfornitore, dall’altro, dipenderanno dall’indicazione più o meno specifica delle caratteristiche desiderate. Quanto alla determinatezza o determinabilità del prezzo, bisognerà chiedersi: quant’è il prezzo che il committente deve pagare? In quale valuta (Euro, USD, Yen, …)? Il prezzo comprende o meno i costi di trasporto, assicurazione merci e dogana? Con quale mezzo (bonifico o altro) dovranno essere fatti i pagamenti? Presso quale banca? Quando e come dovrà essere emessa fattura? Quanto ai termini e modalità di consegna, collaudo e pagamento, ci chiederemo: dove dev’essere consegnata la merce? Nel luogo definito? Presso il vettore o spedizioniere/ presso gli stabilimenti del subfornitore /presso la sede del committente? Si fa riferimento a qualche particolare Incoterm della CCI di Parigi,, oppure agli USA Commercial Terms (che sono clausole uniformi per regolare i termini di consegna e di passaggio del rischio)? Come e dove avverrà la rimessa della merce e/o dei documenti? La consegna dovrà avvenire alla data fissata / entro un periodo di tempo determinato? E’ previsto che il committente esamini, o faccia esaminare, i prodotti entro un certo termine per poter tempestivamente denunziare i vizi? Ai fini della denunzia, il committente dovrà precisare la natura del vizio in modo specifico e non generico? Dovrà usare certe modalità (ad es. una raccomandata o altro mezzo che assicuri la data certa)?
Per quanto riguarda i pagamenti, merita di essere segnalato un aspetto forse poco conosciuto della l.192 che tutela fortemente il subfornitore contro il rischio che, una volta eseguito il lavoro da parte sua, il committente paghi in ritardo. L’art. 3 stabilisce che i termini di pagamento devono farsi decorrere “dal momento della consegna del bene o dal momento della comunicazione dell'avvenuta esecuzione della prestazione” e che il contratto deve precisare gli eventuali sconti concessi in caso di pagamento anticipato rispetto alla consegna. Il pagamento dev’essere effettuato entro 60 giorni dal momento della predetta consegna o comunicazione. E veniamo alle sanzioni. La l. 192, che su questo punto specifico è stata modificata dal D. Lgs. 9.10.2002 n. 231 in materia di “lotta al ritardo dei pagamenti nelle transazioni commerciali”, ha stabilito che, in caso di ritardo, senza bisogno di costituzione in mora, il committente è tenuto al pagamento di interessi moratori, così calcolati: (i) una componente variabile, che è il “tasso d'interesse del principale strumento di rifinanziamento della BCE applicato alla sua più recente operazione di rifinanziamento principale” comunicato per ogni semestre dal Ministero dell’Economia e pubblicato in Gazzetta Ufficiale, più (ii) una componente fissa, cioè la maggiorazione di 7 punti percentuali.
Per il semestre oggi in corso (1° luglio – 31 dicembre 2006) il tasso di cui al punto (i) che precede è pari al 2,83%, perciò l’interesse di mora oggi dovuto è del 9,83% (cioè 2,83% +7%). E non è tutto. Quanto si è detto sin qui vale in mancanza di
una specifica pattuizione, ma la legge consente alle parti di stabilire che siano dovuti interessi moratori in misura superiore a quella indicata, nonchè il risarcimento del danno ulteriore. E’ chiaro che nella previsione di un tasso di interessi superiore si dovrà fare attenzione a non pattuire un tasso usurario (la cui soglia è stabilita per legge) ma, quand’anche le parti non dicessero nulla circa i termini di pagamento e gli interessi di mora, il subfornitore sarebbe comunque ampiamente tutelato dalle previsioni ordinarie della legge: il committente è obbligato a pagare il prezzo nei 60 giorni dalla consegna del prodotto; il pagamento oltre il 60mo giorno comporta per lui l’ulteriore obbligo (che scatta automaticamente, senza bisogno che il sub‐ fornitore ne faccia espressa richiesta, ad es. inviando una raccomandata) di pagare anche gli interessi di mora, ad un tasso oggi pari al 9,83%. In più la legge inasprisce le sanzioni ove il ritardo ecceda di 30 giorni il termine convenuto: l’art. 3 della l. 192 stabilisce che in tal caso “ il committente incorre, inoltre – e cioè in aggiunta agli interessi di mora di cui si è detto! ‐ in una penale pari al 5 per cento dell'importo in relazione al quale non ha rispettato i termini”. Ma la tutela contro i committenti cattivi pagatori non si ferma qui, perché la legge fornisce anche uno strumento di carattere processuale. Infatti, il mancato pagamento del prezzo entro i termini pattuiti dà diritto al subfornitore di ottenere dal Giudice l’emissione di un decreto ingiuntivo provvisoriamente esecutivo. Ciò significa che, ottenuto il decreto ingiuntivo e notificatolo al committente, se questi non paga, si potrà iniziare immediatamente l’esecuzione sui suoi beni, senza dover attendere 40 giorni dalla notifica come per i decreti ingiuntivi ordinari. Questa disposizione appare particolarmente favorevole al subfornitore se si considera che egli potrebbe comodamente procedere al pignoramento di beni o merci del committente che già siano nella sua materiale disponibilità. Aggiungiamo che il citato D. Lgs. 231/2002 ha ampliato la tutela dei soggetti italiani che instaurano rapporti economici con controparti straniere, rendendo possibile (a differenza che in passato) notificare il decreto ingiuntivo anche a un debitore residente all’estero.
Infine, la l. 192 rafforza la tutela del subfornitore, precisando che qualora, nel corso dell'esecuzione del rapporto, su richiesta del committente, siano apportate “significative modifiche e varianti che comportino comunque incrementi dei costi, il sub‐ fornitore avrà diritto ad un adeguamento del prezzo anche se non esplicitamente previsto dal contratto”.
Una delle disposizioni più controverse di questa legge è quella di cui all’art. 4, che vieta la … subfornitura della subfornitura. Sappiamo che in materia di appalto, l’art. 1656 c.c. dispone, radicalmente, che “L'appaltatore non può dare in subappalto l'esecuzione dell'opera o del servizio, se non è stato autorizzato dal committente”. Invece l’art. 4 della l. 192 vieta che la fornitura di beni e servizi oggetto del contratto venga, a sua volta, affidata ulteriormente in subfornitura “senza l'autorizzazione del committente per una quota superiore al 50 per cento del valore della fornitura, salvo che le parti nel contratto non abbiano indicato una misura maggiore”. Una prima osservazione: non c’è nessun intuitus personae, il sub‐ fornitore viene visto, come si diceva all'inizio, non come uno specialista dotato di sue peculiari capacità, ma come mero esecutore delle indicazioni del committente, tanto è vero che fino alla quota del 50% (o alla quota maggiore stabilita nel contratto) può commissionare ad imprese terze la realizzazione della subfornitura senza l’autorizzazione del committente, e cioè addirittura a sua insaputa. Seconda, e più seria, osservazione: è dubbio come debba essere calcolato quel tetto del “50% del valore della fornitura”. Qual è questo valore? La norma parla, testualmente, di “valore” e non di “prezzo”, mettendo in seria difficoltà il subfornitore che intenda commettere a terzi una parte della lavorazione. Infatti, per evitare di incorrere nel divieto di legge (che sancisce la nullità degli accordi con cui il subfornitore affidi ad altra impresa l'esecuzione delle proprie prestazioni in violazione della legge stessa) già al momento della stipulazione del contratto dovrebbe essere
possibile raffrontare il valore delle prestazioni che potranno essere affidate a terzi con il valore complessivo della subfornitura, per stabilire se si rientra o meno nel limite del 50%. Ma è evidente che si tratta di una probativo diabolica, se si considera che il valore economico delle prestazioni è dato non solo dal prezzo pattuito, ma anche da altri elementi – quali il costo delle materie prime, dell’energia e di ogni altro bene necessario alla produzione, compresa la manodopera – il cui valore potrebbe essere soggetto a oscillazioni e perciò non determinabile a priori. Anche su questo punto, come per altre disposizioni di questa legge, siamo in attesa di un intervento dello stesso legislatore o della giurisprudenza che chiarisca i dubbi interpretativi.
E veniamo alla minuziosa regolamentazione dei rapporti tra committente e subfornitore. L’art. 5 della l. 192, che disciplina la responsabilità del subfornitore, prevede innanzi tutto (I comma) che egli abbia “la responsabilità del funzionamento e della qualità della parte o dell'assemblaggio da lui prodotti o del servizio fornito secondo le prescrizioni contrattuali e a regola d'arte”. Tuttavia (II comma) il subfornitore non può essere ritenuto responsabile qualora abbia “tempestivamente” segnalato al committente la presenza di difetti nei materiali o attrezzi da lui fornitigli per l'esecuzione della fornitura. E’ consigliabile, quindi, per il subfornitore che abbia ricevuto dal suo cliente prodotti e/o altri beni necessari per realizzare la subfornitura, segnalare al più presto, preferibilmente per iscritto, eventuali difetti riscontrati in ciò che il committente gli ha consegnato. Le due norme citate sono estremamente sintetiche: si ritiene perciò che esse possano essere integrate da altre disposizioni, contrattuali o legislative. Pertanto, da un lato le parti (pur nel rispetto dei due commi citati, dal momento che il patto contrario sarebbe nullo) potrebbero liberamente stabilire degli ulteriori obblighi a carico del subfornitore; dall’altro, potrebbe essere applicata la disciplina sulla responsabilità per danno da prodotto difettoso ove il concreto rapporto di subfornitura rientri nelle ipotesi regolate da tale normativa. E’ interessante notare, infine, che l’ultimo comma dell’art. 5 dispone che “Eventuali contestazioni in merito all'esecuzione della subfornitura debbono essere sollevate dal committente entro i termini stabiliti nel contratto che non potranno tuttavia derogare ai più generali termini di legge”. Come abbiamo già detto laddove abbiamo suggerito una sorta di “check‐list” per la stesura del contratto, è bene che sia previsto un termine entro il quale il committente possa sollevare contestazioni. Ciò per due ordini di motivi: (i) il subfornitore non può rimanere esposto per un tempo indeterminato all’eventualità che il committente gli contesti il prodotto: il committente, se intende contestare l’esecuzione della fornitura, deve farlo entro il termine pattuito, a pena di decadenza; (ii) come vedremo più avanti, la l. 192 a questo termine ha legato la possibilità per le parti di esperire un tentativo di conciliazione. E’ nell’interesse del subfornitore che il termine per contestare il prodotto sia breve, ma la legge vuole che non sia eccessivamente breve. L’ultimo comma dell’art. 5 deve infatti essere letto in coordinamento con la norma generale di cui all’art. 2965 c.c.:, che dispone “E’ nullo il patto con cui si stabiliscono termini di decadenza che rendono eccessivamente difficile a una delle parti l'esercizio del diritto”.
Come si era detto all’inizio di questo scritto, il legislatore si è preoccupato della possibilità che si determinino situazioni di dipendenza del subfornitore verso il committente. Tuttavia, mentre per i contratti stipulati dai consumatori la legge ha stilato un elenco di clausole contrattuali considerate “abusive”, nel caso della subfornitura il legislatore non ha specificato che cosa si debba intendere per “abuso di dipendenza economica”: si dovrà perciò aver riguardo, caso per caso, alla concreta situazione. Si pensi al caso del subfornitore esposto al ricatto della controparte per aver investito parecchio denaro in tecnologie dedicate, al solo scopo di far fronte alla particolare lavorazione a lui richiesta, tecnologie che perderebbero, in
tutto o in gran parte, il loro valore se il rapporto si interrompesse bruscamente. Oppure si pensi al caso in cui l’impresa committente, approfittando della sua posizione dominante e della impossibilità per il subfornitore di reperire alternative soddisfacenti, gli abbia imposto clausole contrattuali caratterizzate da uno squilibrio di diritti ed obblighi a favore di essa committente. Per questo tipo di situazioni l’art. 9 della l. 192 prevede una tutela forte. La l. 5.3.2001 n. 57, che ha modificato la l. 192 su questo specifico punto, ha stabilito (a) che il patto attraverso il quale si realizzi l’abuso di dipendenza economica non è più semplicemente vietato, come diceva il testo originario della l. 192, ma è nullo (cioè è come se non fosse mai stato scritto, e non impone quindi alcun obbligo giuridicamente vincolante); (b) che il contraente che ha subito l’abuso può agire davanti all’Autorità Giudiziaria ordinaria non solo per il risarcimento del danno (che era possibile anche in passato) ma anche per l’inibitoria, cioè per ottenere un ordine del Giudice di cessazione del comportamento abusivo e (c) che l’Autorità garante della concorrenza e del mercato (Antitrust) può procedere alle indagini, istruttorie, diffide e sanzioni previste dalla legge nei confronti dell’impresa che abbia commesso l’abuso. In virtù di questa modifica legislativa, i casi di abuso di dipendenza economica possono ora essere segnalati all’Autorità Antitrust anche dalle organizzazioni rappresentative delle imprese.
Per concludere, veniamo ad un altro punto, apparentemente innovativo, ma di assai controversa interpretazione, della l. 192, cioè la norma che ha previsto un particolare meccanismo di risoluzione delle controversie tra subfornitore e committente. Xxxxxxx già detto che nel contratto dev’essere previsto un termine entro il quale il committente possa sollevare contestazioni. Ebbene, la legge ha previsto all’art. 10 un particolare meccanismo di conciliazione da attuarsi dopo la scadenza di questo termine. La norma, così come è scritta, prevede una fase obbligatoria e una fase facoltativa. La fase obbligatoria è costituita da un tentativo di conciliazione che, entro 30 giorni dalla scadenza del suddetto termine, deve essere esperito presso la Camera di Commercio nel cui territorio ha sede il subfornitore. Qualora non si pervenga ad una conciliazione entro 30 giorni, si passa alla fase facoltativa: “su richiesta di entrambi i contraenti” la controversia è rimessa alla Commissione arbitrale istituita presso la Camera di Commercio e si instaura pertanto un vero e proprio arbitrato di cui agli articoli 806 e seguenti c.p.c., che si dovrebbe concludere entro il termine massimo di 60 giorni dal primo tentativo di conciliazione. Tuttavia l’art. 10 pone molti dubbi. Non si capisce bene quali siano i rapporti tra questo art. 10 e l’art. 3, esaminato in precedenza, che prevede la possibilità per il subfornitore di ottenere dal Giudice il decreto ingiuntivo provvisoriamente esecutivo. Se il subfornitore ha un committente che non paga, e vuole chiedere nei suoi confronti l’emissione del decreto ingiuntivo, deve o non deve previamente esperire il tentativo di conciliazione? E poi: una volta che che il subfornitore abbia ottenuto il decreto ingiuntivo e lo abbia notificato al committente, se questi vuole proporre opposizione al decreto ingiuntivo, deve prima proporre il tentativo di conciliazione? La l. 192 non lo specifica! Al momento non si conoscono sentenze di Cassazione che abbiano risolto questi dubbi, possiamo soltanto basarci su alcune pronunzie di Giudici di merito (ad es. viene segnalata un’ordinanza del Tribunale di Udine del 27.4.2001) e su alcuni pareri di studiosi, che hanno affermato che in questi casi si può prescindere dal tentativo di conciliazione, a causa della diversa natura dei due istituti. Il decreto ingiuntivo, infatti, è uno strumento che offre al creditore una tutela in via d’urgenza e viene emesso dal Giudice “inaudita altera parte”, sulla sola base della cognizione delle prove scritte presentate a corredo del ricorso, mentre invece il tentativo di conciliazione, per sua natura, deve avvenire nel contraddittorio delle parti. Se si dovesse, prima di ogni altra cosa, esperire il tentativo di conciliazione, il decreto ingiuntivo (che, non dimentichiamolo, nel caso dell’art. 3 della l. 192 è provvisoriamente esecutivo) perderebbe la sua efficacia di rimedio cautelare. Se questa linea interpretativa avrà seguito, in pratica, il tentativo di conciliazione previsto dalla l. 192 non sarà applicato in via generale, ma rimarrà confinato ai
casi in cui la controversia tra le parti riguardi questioni diverse dal pagamento del corrispettivo della subfornitura (per le quali, invece, il subfornitore potrà chiedere il decreto ingiuntivo senza prima esperire la procedura conciliativa). Per quanto riguarda, poi, la fase di arbitrato, essa è una fase facoltativa, poiché la legge dice che essa è promossa “su richiesta di entrambi i contraenti”. Quindi la procedura arbitrale potrà essere iniziata o in forza di una clausola compromissoria (cioè di un’apposita clausola, contenuta nel contratto di subfornitura, in cui si dica che tutte le controversie nascenti dal contratto sono devolute all’arbitrato avanti la Commissione arbitrale istituita presso la Camera di Commercio) oppure mediante un accordo successivo alla stipulazione del contratto o all’insorgere della controversia. In concreto, avremo perciò ipotesi diverse a seconda dei casi. Può darsi che le parti, intenzionate a risolvere rapidamente il loro momentaneo contenzioso per poter poi proseguire nei loro rapporti, decidano di rimettere la questione all’arbitrato presso la Camera di Commercio, sia inserendo sin dall’origine una clausola compromissoria nel contratto, sia chiedendo congiuntamente di ricorrere all’arbitrato a lite iniziata. Ma se le parti sono “ai ferri corti”, sarà ben difficile ipotizzare che esse ricorrano volentieri all’arbitrato. In tali casi, la presenza o meno nel contratto di una clausola compromissoria potrà far comodo, strategicamente, all’una o all’altra parte. Dal punto di vista del subfornitore, sarà meglio avere un contratto privo di clausola compromissoria: se il committente non paga, il subfornitore otterrà dal Giudice ordinario il decreto ingiuntivo provvisoriamente esecutivo e potrà aggredire subito, con l’azione esecutiva, i beni del committente, il quale, se ritiene che vi siano motivi per i quali il pagamento non è dovuto, dovrà promuovere un’apposita causa di opposizione a decreto ingiuntivo e far valere le sue ragioni in quella sede. Per contro, la presenza della clausola compromissoria potrebbe essere utile per il committente, il quale, volendo resistere a oltranza alle richieste del subfornitore, avrebbe il diritto di iniziare la causa di opposizione al decreto ingiuntivo facendo rilevare al Giudice che nel contratto è contentuta la clausola compromissoria, chiedendo per tale motivo la sospensione della provvisoria esecuzione e chiedendo inoltre che il Giudice dichiari la propria incompetenza e rimetta le parti davanti alla Commissione arbitrale presso la Camera di Commercio, competente a conoscere della controversia in base alla clausola compromissoria. Il che, per il subfornitore, comporterebbe ostacoli di natura processuale, allungamento dei tempi e in definitiva maggiore difficoltà di recuperare il proprio credito.
In conclusione, sebbene siamo ben consapevoli che con queste note non si esauriscono certo i numerosi problemi che la legge sulla‐subfornitura pone all’interprete, nelle mille sfaccettature della realtà quotidiana, ci auguriamo tuttavia di aver rappresentato, almeno per sommi capi, che cos’è il fenomeno della subfornitura e le luci e ombre della vigente normativa in materia.
(Xxxxx Xxxxxxxxx Xxxxxx, avvocato in Milano)
Articolo pubblicato in data 5 ottobre 2006