UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI PAVIA DIPARTIMENTO DI GIURISPRUDENZA
UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI PAVIA DIPARTIMENTO DI GIURISPRUDENZA
Dottorato di ricerca in Diritto Privato, Diritto Romano e Cultura Giuridica Europea
XXXIV ciclo
LA NATURA GIURIDICA DELLA RESPONSABILITÀ MEDICA.
IL RAPPORTO OBBLIGATORIO TRA MEDICO E PAZIENTE ED IL CONCETTO DI «OBBLIGAZIONE CONTRATTUALE»
Tutor relatore
Xxxx. Xxxxxxxx Xxxxxx Xxxxx
Prof.ssa Xxxxxxx Xxxxx Xxxxxx
Tesi di dottorato di Xxxxxxx Xxxxxxx Xxxxxxx
Anno Accademico 2020-2021
INDICE SOMMARIO | ||
Introduzione ............................................................................................................................................ | IV | |
CAPITOLO I LA NATURA GIURIDICA DELLA RESPONSABILITÀ MEDICA NELL’EVOLUZIONE DEL PENSIERO GIURIDICO ANTECEDENTE ALLE RIFORME DEL 2012 E DEL 2017 | ||
1. | Il rapporto tra medico e paziente. Il passaggio dal modello «paternalistico» a quello «personalistico» .................................................................................................................... | |
2 | ||
2. | La natura giuridica della responsabilità del medico. Il medico libero professionista e il concorso (proprio) delle due forme di responsabilità civile ................................... | |
6 | ||
3. 3.1. | La natura giuridica della responsabilità della struttura sanitaria ................................ | 16 |
Segue: il «contratto di spedalità» ........................................................................................ | 25 | |
4. | La responsabilità del medico che opera presso una struttura sanitaria ...................... | 31 |
5. | La responsabilità medica come «sottosistema» della responsabilità civile ................. | 46 |
6. | Le ragioni (teoriche) della «contrattualizzazione» della responsabilità del medico .. | 60 |
7. | La natura giuridica della responsabilità del medico per trattamento sanitario non autorizzato ………………..……………………………………………………………..… | |
67 | ||
7.1. | Segue: la responsabilità della struttura sanitaria, cenni .................................................. | 80 |
7.2. | Segue: le conseguenze della qualificazione contrattuale in punto di disciplina ......... | 83 |
CAPITOLO II LE RECENTI RIFORME IN MATERIA DI RESPONSABILITÀ MEDICA | ||
1. | Premessa ............................................................................................................................... | 90 |
2. | La natura giuridica della responsabilità medica e la Riforma Balduzzi ........................ | 94 |
3. 3.1. | La natura giuridica della responsabilità medica e la Riforma Gelli-Bianco .................. | 101 |
Segue: l’impatto della Riforma Gelli-Bianco sulla natura giuridica della responsabilità per trattamento sanitario non autorizzato ............................................... | ||
118 | ||
4. | Questioni di diritto intertemporale: l’applicabilità della legge Gelli-Bianco ai fatti pregressi …………………...………………………………………………………………. | |
122 |
5. La perdurante tendenza della giurisprudenza all’elaborazione di regole ad hoc in materia: la prova del nesso di causalità 129
CAPITOLO III
LE FONTI DELL’OBBLIGAZIONE
DEL MEDICO NEI CONFRONTI DEL PAZIENTE.
IL CONCETTO DI «OBBLIGAZIONE CONTRATTUALE»
1. Le fonti delle obbligazioni del medico nei confronti del paziente 141
2. Il «contratto di cura» tra medico e paziente 149
3. Il contatto sociale e l’obbligazione senza prestazione 155
3.1. Segue: riflessioni critiche 164
4. Le ricostruzioni dottrinali alternative al contatto sociale: la soluzione contrattuale . 178 4.1. Segue: l’obbligazione di fonte legale 188
5. Il concetto di «obbligazione contrattuale» 193
6. Il medico di fiducia del paziente 204
7. L’attività intra moenia del medico pubblico dipendente. L’attività prestata dal
professionista scelto dal paziente nell’ambito di una struttura privata, ipotesi a
confronto................................................................................................................................
218
8. Il medico di medicina generale (o di base) 232
9. Considerazioni conclusive 247
Bibliografia …………………………………………………………………………………. I
Abstract
INTRODUZIONE
Il tema della responsabilità in ambito sanitario ha acquisito rilevanza tra gli operatori del diritto, sollecitando, conseguentemente, sempre più articolati dibattiti e riflessioni dottrinali. Infatti, negli ultimi anni, si è registrato un vertiginoso aumento dei contenziosi1 che ha spinto il Legislatore ad intervenire ben due volte a breve distanza di tempo, adottando dapprima la cd. legge Xxxxxxxx0 ed in seguito la cd. legge Gelli-Bianco3.
La crescente conflittualità tra medico e paziente è stata ricondotta dagli interpreti ad una serie di fattori, tra i quali la maggiore sensibilità mostrata dalla giurisprudenza nell’applicazione dei principi costituzionali volti ad una tutela, in concreto, della salute individuale e collettiva, le innovazioni organizzative che, a partire dagli anni Settanta4, hanno interessato l’erogazione delle prestazioni sanitarie, il progresso scientifico, le cui conquiste sono state amplificate dai media, portando alla diffusione dell’immagine di un sistema chiamato a guarire, piuttosto che a curare5.
1 Si veda ROSSETTI M., in La responsabilità sanitaria, Milano, 2019, p. XVII e XVIII, ove l’autore rileva che, negli ultimi dieci anni, il contenzioso dipendente da malpractice sanitaria, in sede di legittimità, è aumentato del 200%, rispetto ai sessanta anni precedenti.
2 Trattasi della legge 8.11.2012 n. 189, di conversione del d.l. 13.9.2012, n. 158 (c.d. decreto Balduzzi).
3 Trattasi della legge 8.3.2017, n. 24.
4 Si pensi all’istituzione del Servizio Sanitario Nazionale, nel 1978.
5 Si veda, amplius, XXXXXXXX X. (a cura di), Quaderni del Massimario. Responsabilità Sanitaria e Tutela della Salute, Corte Suprema di Cassazione, 2011, ove la crescita del contenzioso è ricondotta ad una serie di fattori, tra i quali: a) una presa di coscienza dei propri diritti da parte degli utenti del servizio «sanità», anche dovuta ad una accresciuta scolarizzazione della popolazione; b) l’attività di sensibilizzazione compiuta dalle associazioni di difesa dei diritti del malato; c) lo sviluppo dei nuovi mezzi di cura e diagnosi, che ha consentito un più approfondito controllo ab externo sull’attività medica; d) l’evoluzione del concetto e delle funzioni della responsabilità civile che, da criterio di riparto delle conseguenze sfavorevoli di un evento dannoso, è andata assumendo la natura di strumento di allocazione delle risorse del sistema; e) il massiccio ricorso da parte dei sanitari e delle strutture ospedaliere all’assicurazione per la responsabilità civile; f) la crescita esponenziale degli importi liquidati a titolo di risarcimento. Sull’argomento, si vedano, altresì, XXXXXXXXX E., Evoluzione della Responsabilità Civile Medica e Medicina “Difensiva”, in Riv. dir. civ., 2020, p. 189 ss.; DIURNI A.,
In questo contesto, entrambi gli interventi normativi richiamati hanno avuto l’obiettivo di proteggere la figura del medico da un’eccessiva dilatazione della responsabilità professionale.
Più precisamente, la legge Xxxxxxxx è la legge di conversione dell’omonimo decreto-legge, introdotto con il dichiarato fine di contenere la spesa sanitaria e limitare la responsabilità degli esercenti le professioni sanitarie, ponendo al contempo rimedio alla medicina difensiva6.
Come noto, la medicina difensiva comprende sia comportamenti diagnostici e terapeutici non necessari (come la prescrizione di visite ed esami aggiuntivi), messi in atto dal medico non tanto per salvaguardare la salute del paziente quanto, piuttosto, per precostituirsi la prova difensiva in un eventuale futuro giudizio di responsabilità, sia l’astensione dall’intervento, nei casi giudicati eccessivamente rischiosi. Essa, dunque, comporta non solo uno spreco di risorse, ma impedisce al paziente l’accesso ai trattamenti più appropriati, laddove vi sia un alto rischio di complicazioni o effetti collaterali.
L’art. 3 della legge in commento, rubricato «responsabilità professionale dell’esercente le professioni sanitarie», ha avuto quale principale obiettivo la limitazione della responsabilità penale del sanitario, in caso di colpa lieve ma, con una formulazione infelice, che si è prestata ad interpretazioni sostanzialmente abroganti, ha inciso altresì sulla responsabilità civile. La
Gli Eventi Dannosi, in Trattato di Biodiritto. Le Responsabilità in Medicina, (a cura di Belvedere A. e Riondato S.), Xxxxxxx, Milano, 2012, p. 317 ss.; COMANDÈ G., La Riforma della Responsabilità Sanitaria al Bivio tra Conferma, Sovversione, Confusione e … No-Blame Giurisprudenziale, in Rivista Italiana di Medicina Legale (e del Diritto in campo sanitario), 2016, p. 3 ss.
6 Si veda Trib. Milano, 14.7.2014: «la “legge Xxxxxxxx”[…] ha espressamente inteso contenere la spesa pubblica e arginare il fenomeno della “medicina difensiva”, sia attraverso una restrizione delle ipotesi di responsabilità medica (spesso alla base delle scelte diagnostiche e terapeutiche “difensive “che hanno un’evidente ricaduta negativa sulle finanze pubbliche) sia attraverso una limitazione dell’entità del danno biologico risarcibile al danneggiato in caso di responsabilità dell’esercente una professione sanitaria».
xxxxx, infatti, disponeva che, anche nel caso in cui il sanitario non fosse penalmente responsabile, dovesse comunque restare «fermo l’obbligo di cui all’art. 2043 del codice civile».
Secondo l’interpretazione più convincente e aderente al tenore letterale, il Legislatore ha inteso richiamare gli interpreti sul corretto inquadramento della responsabilità del medico nell’ambito della responsabilità extracontrattuale, in mancanza di un contratto stipulato con il paziente.
Tuttavia, come detto, la disposizione in esame non è stata in grado di incidere su regole operative consolidate nel diritto vivente -secondo le quali sia la responsabilità civile della struttura sanitaria sia quella del medico andrebbero sempre ricondotte nell’alveo della responsabilità da inadempimento di cui all’art. 1218 c.c.-, dividendo anche la dottrina in merito alla sua portata applicativa7.
Nel solco di questo primo intervento, non andato a segno, la legge Xxxxx-Xxxxxx ha perseguito l’indicato obiettivo di «protezione» del medico
«strutturato» (cioè operante presso una struttura, pubblica o privata)8, introducendo un’articolata disciplina che dovrebbe polarizzare, di fatto, il contenzioso tra struttura sanitaria e paziente (anziché tra quest’ultimo ed il medico), ma anche limitare le possibilità di rivalsa da parte della struttura nei confronti del sanitario e, infine, «aggravare» la posizione processuale del
7 Infatti, giovandosi di una disposizione ambigua, la giurisprudenza maggioritaria ha continuato a sostenere la natura, in ogni caso, contrattuale della responsabilità del medico nei confronti del paziente, sulla base del cd. «contatto sociale», laddove non fosse ravvisabile l’avvenuta stipulazione di un contratto tra le parti. Per un approfondimento della questione, si veda, infra, capitolo II, paragrafo 2.
8 Questa limitazione si giustifica in ragione del fatto che il rapporto tra medico e paziente, quando non è «mediato» dalla struttura, ha senz’altro fonte in un contratto tra le parti; l’eventuale responsabilità avrà dunque natura contrattuale.
paziente, quale conseguenza dell’applicazione del regime (in particolare,
probatorio) proprio della responsabilità extracontrattuale9.
Le conseguenze dell’illecito dovrebbero quindi gravare, in primo luogo, sulla struttura (e la sua compagnia assicuratrice), in quanto soggetto che è meglio in grado di prevenire e controllare il rischio sanitario, ma anche di sopportarne le conseguenze economiche.
Nel complesso, partendo dal presupposto secondo il quale una piena realizzazione del diritto alle cure non può essere garantita in una logica rimediale, la riforma mira ad assicurare, innanzitutto, la «sicurezza delle cure», attraverso la costruzione di un modello di prevenzione e gestione del rischio clinico che, a sua volta, non può prescindere dalla tutela dei professionisti del settore. La legge Gelli-Bianco ha, così, proposto un cambio di prospettiva rispetto al precedente sistema di «elaborazione giurisprudenziale» che tendeva, invece, all’inasprimento del regime della responsabilità medica.
Un tale modello richiede e, allo stesso tempo, dovrebbe agevolare, in un contesto di ridotta conflittualità tra medico e paziente, il ripristino di un’autentica alleanza terapeutica10.
9 Come vedremo nel prosieguo, può ragionevolmente ritenersi che un disincentivo al coinvolgimento del personale sanitario strutturato nelle controversie instaurate dai pazienti per ottenere la riparazione del danno iatrogeno possa discendere non tanto dal più breve termine prescrizionale quanto, piuttosto, dal diverso regime probatorio che dovrebbe conseguire dall’aver «riportato» la responsabilità del medico strutturato dall’area contrattuale a quella extracontrattuale. Dovrebbe, infatti, essere il paziente ad allegare e provare lo specifico errore imputabile al sanitario, così come il dolo o la colpa del suo operato (e non più il medico a dimostrare, a fronte della mera allegazione dell’inadempimento qualificato, la correttezza della propria condotta o, quanto meno, la non imputabilità a sé dell’errore). Sul punto, si veda GRANELLI C., Il Fenomeno della Medicina Difensiva e la Legge di Riforma della Responsabilità Sanitaria, in Rivista Italiana di Medicina Legale (e del Diritto in campo sanitario), 2018, p. 410 ss.
10 Si veda GELLI F., XXXXX M., ZORZIT D. (a cura di), La Nuova Responsabilità Sanitaria e la Sua
Assicurazione. Commento Sistematico alla Legge 8 Marzo 2017, n. 24 (cd. Legge Gelli), Milano, 2017.
Con specifico riferimento al profilo della natura della responsabilità del medico, l’art. 7 della legge Gelli-Bianco, riprendendo quanto già disposto dall’art. 3 della legge Xxxxxxxx, ha stabilito che l’esercente la professione sanitaria che presta la propria attività all’interno di una struttura sanitaria o sociosanitaria (pubblica o privata) debba rispondere del proprio operato, ai sensi dell’art. 2043 c.c., salva l’ipotesi in cui abbia agito «nell’adempimento di un’obbligazione contrattuale, assunta con il paziente».
Proprio quest’ultimo aspetto sarà oggetto di specifico approfondimento. In particolare, si intende verificare quando possa dirsi che medico e paziente abbiano stipulato un «contratto di cura», tenuto conto che il rapporto tra questi due soggetti non è sempre «diretto» ma spesso «mediato» dalla presenza di una struttura sanitaria11 ed altresì, se e quando possa ritenersi che, a dispetto di una formale presa in carico del paziente, attraverso la conclusione di un vero e proprio contratto, il medico abbia comunque assunto un’«obbligazione contrattuale» nei suoi confronti.
Dovranno dunque essere indagate le possibili fonti di siffatta obbligazione, considerato che, nell’ambito del precedente quadro normativo di riferimento, cioè quello codicistico, taluni interpreti12 ritenevano che, anche laddove mancasse un contratto tra medico e paziente, non potesse dirsi del tutto assente un «rapporto obbligatorio» in quanto, a certe condizioni, già il
«contatto sociale» tra le parti sarebbe stato fonte di un affidamento reciproco, qualificato dall’obbligo di buona fede e da correlati obblighi di conservazione della sfera giuridica altrui. Secondo questa impostazione, a prescindere dalla
11 In ragione di questa «interposizione» operata dalla struttura sanitaria, è infatti possibile che le parti della «relazione di cura» non coincidano con quelle dell’«obbligazione di cura». Per un approfondimento di questi concetti, si veda, infra, capitolo I, paragrafo 4.
12 In particolare, Xxxxx Xxxxxxxxxx. In proposito, si veda XXXXXXXXXX C., La Nuova Responsabilità Civile, Xxxxxxx, Milano, 2018.
stipulazione di un contratto con il paziente, il medico sarebbe stato comunque gravato da specifici obblighi di cura e informazione, analoghi a quelli discendenti da un vero e proprio negozio giuridico.
Tali obblighi, interponendosi tra la condotta ed il danno, avrebbero poi sottratto l’eventuale responsabilità al regime del torto aquiliano, consentendo di applicare la disciplina della responsabilità contrattuale, generalmente ritenuta più favorevole per il danneggiato, soprattutto sotto il profilo probatorio e prescrizionale13.
Ciò spiega, peraltro, perché proprio la «contrattualizzazione» della responsabilità medica, attraverso il «contatto sociale», sia stata il principale strumento di cui si è servita la giurisprudenza maggioritaria, sulla scorta dell’insegnamento della Suprema Corte14, per estendere, dalla fine degli anni Novanta ad oggi, la responsabilità civile del medico a vantaggio del paziente, considerato parte «debole» nel rapporto con il professionista. Spiega anche perché il Legislatore, sia nel 2012 che nel 2017, si sia preoccupato, innanzitutto, di incidere su questo aspetto, seppure, ovviamente, nel senso opposto e cioè quello della «decontrattualizzazione15».
La riflessione che in questo studio si propone muove, allora, dalla presa di coscienza che il recente intervento legislativo si è imposto in un contesto culturale e giuridico volto ad offrire la più ampia tutela al paziente danneggiato, in considerazione della complessità del rapporto terapeutico, che
13 Queste riflessioni teoriche dovranno però essere riconsiderate alla luce dei più recenti orientamenti giurisprudenziali in materia di prescrizione dei danni lungolatenti e calate nel contesto del contenzioso sanitario, ove ruolo fondamentale, nella valutazione degli elementi acquisiti e nella soluzione delle specifiche questioni tecniche, è assunto dalla A.T.P. o dalla
C.T.U. In proposito, si veda, infra, capitolo III, paragrafo 9.
14 Insegnamento riconducibile a Cass. 22.1.1999, n. 589.
15 In questi termini, si esprime Xxxxx; si veda CALVO R., La «Decontrattualizzazione» della Responsabilità Sanitaria (L. 8 Marzo 2017, N. 24), in NLCC, p. 453 ss.
vede l’attività del medico incidere su beni primari del paziente, quali la vita,
la salute e la dignità.
Perseguendo questo obiettivo, la giurisprudenza ha elaborato -e continuato ad applicare, nonostante l’entrata in vigore della legge Xxxxxxxx ma anche, quantomeno in una prima fase, della legge Gelli-Bianco, ritenuta dalla Suprema Corte16 non applicabile ai fatti antecedenti alla sua entrata in vigore-
, regole ad hoc in relazione, come detto, alla natura stessa della responsabilità ed al «conseguente17» riparto dell’onere probatorio.
Contestualmente, sul versante del risarcimento del danno alla persona, nella sua componente non patrimoniale, si è assistito, verso la fine del secolo scorso, «all’espansione dei compendi risarcibili e all’affermazione di nuove poste di danno di creazione giurisprudenziale18» ed in particolare, del danno esistenziale e del danno biologico, accanto al danno morale subiettivo, da sempre ricondotto all’art. 185 c.p.19
16 Si veda Cass. 11.11.2019, n. 28994.
17 Come vedremo, in realtà, non sempre la giurisprudenza applica una disciplina coerente con la qualificazione contrattuale o extracontrattuale della responsabilità medica. In particolare, si vedano infra, capitolo I, paragrafo 5 e capitolo II, paragrafo 5.
18 XXXXX X., XXXXX X., ZORZIT D. (a cura di), La Nuova Responsabilità Sanitaria e la Sua Assicurazione. Commento Sistematico alla legge 8 marzo 2017, n. 24 (cd. Xxxxx Xxxxx), Xxxxxxx, Milano, 2017, p. 6.
19 In proposito, si ricorda che, dalla tradizionale concezione del diritto privato come ordinamento costituito a tutela di interessi economici, conseguiva il principio della irrisarcibilità dei danni non patrimoniali, al di fuori dei casi previsi dalla legge (art. 2059 c.c.): tale controllo normativo era volto ad evitare abusi. Si vedano, sul punto, Cass., S.U., 20.10.1924 e BIANCA C. M., La Responsabilità, in Diritto civile V, Xxxxxxx, Milano, 2012.
Tuttavia, tale concezione pan-economica del diritto privato è stata superata a seguito dell’emersione di una diversa visione che, riconoscendo preminenza ai valori della persona, ha adottato un’interpretazione costituzionalmente orientata dell’art. 2059 c.c. (cfr. Cass. 31.5.2003, nn. 8827 e 8828), poi avallata dalla Corte costituzionale (cfr. Corte cost. 11.7.2003, n. 233).
Giova ricordare, infine, l’esaustivo intervento ordinatore in materia, operato dalle Sezioni Unite del 2008 (cfr. Xxxx, S.U., 11.11.2008, nn. 26972, 26973, 26974 e 26975) che hanno sancito, tra l’altro, il principio di non duplicazione delle poste di risarcimento del danno non patrimoniale, nel tentativo di arrestare la progressiva estensione della categoria. In materia, si veda anche Cass. 11.11.2019, n. 28989.
Nel loro insieme, però, le soluzioni adottate hanno comportato un’estensione dei confini della responsabilità civile medica «oltre i limiti compatibili con il funzionamento efficiente del sistema20», che ha favorito la conflittualità e incentivato condotte dannose anche per i pazienti, che da tale estensione avrebbero invece dovuto trarre beneficio.
Il lavoro qui proposto ha dunque l’obiettivo di indagare lo stato dell’arte ed i suoi possibili sviluppi. Ci si domanda, in particolare, quali siano, nell’attuale contesto normativo, i reali confini della responsabilità contrattuale del medico nei confronti del paziente e se la giurisprudenza, costante nell’affermarne una tale natura, sulla base di un contratto o, in mancanza, di un preteso «contatto sociale» instauratosi con il paziente, si adeguerà, infine, al diktat legislativo o se, invece, proseguirà su questa strada, sfruttando quell’area residuale in cui è fatta salva la possibilità di ritenere sussistente tra le parti un’«obbligazione contrattuale».
Ci si domanda, infine se, ove non aggirata, la ricostruzione in chiave extracontrattuale della responsabilità del medico strutturato, imposta dalla legge Gelli-Bianco, potrà avere gli effetti perseguiti dalla riforma e dunque, se quegli «svantaggi processuali» che, quantomeno sul piano teorico, caratterizzano la responsabilità aquiliana (rispetto a quella contrattuale) siano effettivamente in grado di indurre il paziente ad indirizzare le proprie doglianze nei confronti della sola struttura sanitaria.
20 XXXXXXXXX X., Evoluzione della Responsabilità Civile Medica e Medicina “Difensiva”, in Riv. dir. civ., 2020, p. 189 ss.
CAPITOLO I
LA NATURA GIURIDICA DELLA RESPONSABILITÀ MEDICA1 NELL’EVOLUZIONE DEL PENSIERO GIURIDICO ANTECEDENTE ALLE RIFORME DEL 2012 E DEL 2017
SOMMARIO: 1. Il rapporto tra medico e paziente. Il passaggio dal modello «paternalistico» a quello «personalistico». - 2. La natura giuridica della responsabilità del medico. Il medico libero professionista e il concorso (proprio) delle due forme di responsabilità civile. - 3. La natura giuridica della responsabilità della struttura sanitaria. - 3.1. Segue: il «contratto di spedalità». - 4. La responsabilità del medico che opera presso la struttura sanitaria. - 5. La responsabilità medica come «sottosistema» della responsabilità civile.
- 6. Le ragioni (teoriche) della «contrattualizzazione» della responsabilità del medico. - 7. La natura giuridica della responsabilità del medico per trattamento sanitario non autorizzato. - 7.1. Segue: la
1 Si rende doverosa una nota terminologica. Gli interpreti hanno ritenuto più corretto discorrere di «responsabilità medica», concepita come un vero e proprio «sottosistema della responsabilità civile», anziché di «responsabilità del medico». Questo perché, come vedremo nel prosieguo (cfr. infra, capitolo I, paragrafo 5 e capitolo II, paragrafo 5), la giurisprudenza, mossa da esigenze di giustizia sostanziale, ha elaborato nel tempo quello che è stato definito un modello «transtipico» di responsabilità che, al di là della qualificazione formale come contrattuale o extracontrattuale, si è connotato (e, è già il caso di anticipare, si connota ancora oggi) per l’applicazione di regole peculiari. Sul punto, si veda, in particolare, DE MATTEIS R., La Responsabilità Medica. Un Sottosistema della Responsabilità Civile, CEDAM, Padova, 1995, p. 1:
«La responsabilità medica si rivela ad un’analisi del diritto giurisprudenziale, […] come uno di quei settori ove i confini tra responsabilità aquiliana e responsabilità contrattuale sfumano per dare vita, in una sorta di osmosi, ad una configurazione giuridica che partecipa dei caratteri di entrambe, senza rivelare una chiara appartenenza ad una di esse, se non nell’inquadramento formalmente adottato per la singola fattispecie». Si veda, altresì, ID., Le Responsabilità in Ambito Sanitario, CEDAM, Padova, 2017, p. 121 ss.
responsabilità della struttura sanitaria, cenni. - 7.2. Segue: le conseguenze della qualificazione contrattuale in punto di disciplina.
1. Il rapporto tra medico e paziente. Il passaggio dal modello
«paternalistico» a quello «personalistico».
L’indagine sulla natura della responsabilità del medico nei confronti del paziente non può prescindere da alcune, seppur sintetiche, considerazioni preliminari riguardanti l’evoluzione del rapporto tra medico e paziente, in una prospettiva storica, culturale e sociale2.
In particolare, è opportuno richiamare il passaggio dal modello di tipo
«paternalistico» a quello di stampo «personalistico», in cui l’assistito ha cessato di essere mero destinatario dell’attività medica, per diventare unico titolare del diritto di disporre della propria salute.
Precisamente, secondo la citata concezione paternalistica, che trovava giustificazione nella conoscenza della scienza medica da parte del solo professionista, questi era l’unico soggetto competente ad assumere decisioni nell’interesse del malato, il quale si doveva invece affidare al suo giudizio. La volontà del medico si sostituiva, così, a quella del paziente, considerato incapace di manifestare un consenso libero e consapevole, proprio perché privo della conoscenza tecnica necessaria per comprendere e perseguire il proprio interesse.
2 Per una ricostruzione storica dell’evoluzione della responsabilità civile del medico, si veda ZANA M., Responsabilità Medica e Tutela del Paziente, Xxxxxxx, Milano, 1993, ove l’autore afferma che, fino alla fine del secolo XIX, si è assistito ad una «pressoché totale irresponsabilità degli esercenti le arti liberali» (p. 9). Il «primo passo verso l’affermazione in concreto della responsabilità civile del medico» avrebbe infatti ricondotto ad una pronuncia del Tribunale di Roma del 1885 (p. 11).
Sulla base di queste premesse culturali, la giurisprudenza ha ritenuto, per lungo tempo, di non poter interferire nel rapporto tra medico e paziente e sindacare, nel merito, la correttezza della prestazione eseguita dal professionista, salvo il caso di errori manifesti e grossolani. Il giudice sarebbe dunque intervenuto solo ove fosse stata fornita la prova della «trascuranza di canoni fondamentali od elementari della medicina3».
Autorevole dottrina ha osservato che, in un tale contesto, dominato dalla «supremazia di fatto» del medico sul malato (dovuta, appunto, alle conoscenze tecniche e scientifiche), il diritto svolgeva un «ruolo secondario4», ove le trasgressioni più gravi comportavano una responsabilità penale, mentre la responsabilità civile era limitata ai casi di «evidente incapacità», di
«inosservanza di obblighi o norme indiscutibili» o di «errori gravi, evidenti, imperdonabili»5.
D’altro canto, in questa fase, l’esigenza avvertita come preminente dalla giurisprudenza era quella di proteggere l’autonomia professionale, che si riteneva non dovesse essere mortificata dal «timore di ingiuste rappresaglie da parte del cliente, in caso di insuccesso6».
Con l’adozione della Costituzione, però, il descritto modello di rapporto tra medico e paziente viene superato da una visione che valorizza l’autonomia decisionale di quest’ultimo e ne richiede il consenso informato. Tale rapporto non poteva quindi più essere inteso come relazione asimmetrica, bensì tendenzialmente simmetrica -nel senso che due sono i centri di valutazione e decisione, anche se è di tutta evidenza che permanga una
3 Cass. 22.12.1925.
4 Si veda PRINCIGALLI A. M., La Responsabilità del Medico, Xxxxxx, Napoli, 1983, p. 9-11.
5 ID., p. 10 e 11.
6 Corte cost. 28.11.1973, n. 176.
differenza di conoscenze tecniche tra le parti-, fondata sull’alleanza terapeutica7.
Proprio la maggiore sensibilità rispetto alla tutela della persona e dei suoi diritti fondamentali, stimolata dalla rilettura del sistema della responsabilità civile, alla luce dei dettami costituzionali, ha spinto la giurisprudenza ad abbandonare gradualmente soluzioni giudicate eccessivamente indulgenti verso la categoria medica8, per offrire più ampia protezione al paziente.
Ciò ha comportato una estensione dei confini della responsabilità del medico che, come vedremo nei successivi paragrafi, sul piano della natura giuridica, si è tradotto in una qualificazione contrattuale, a prescindere dalla stipulazione di un contratto tra medico e paziente.
Tuttavia, questa soluzione rappresenta il punto di approdo di una lunga evoluzione, segnata da oscillazioni tra il modello aquiliano e quello contrattuale, analizzando il quale pare potersi rilevare che le conclusioni giurisprudenziali per una forma di responsabilità, piuttosto che per l’altra, al di là delle argomentazioni teoriche richiamate, siano il portato della preventiva selezione della disciplina ritenuta più equa. Se di regola la disciplina applicabile discende dall’inquadramento giuridico della fattispecie, in questo ambito, natura giuridica e disciplina finiscono per giustificarsi a
7 Si veda ROSSI S., Consenso Informato (Il), in Digesto delle Discipline Privatistiche, sezione civile, Agg. V, Torino, 2010, p. 177 ss.
8 Si veda Cass. (Pen.) 29.1.2013, n. 16237: «L'orientamento indulgente della giurisprudenza ha finito col coprire anche casi di grave leggerezza ed ha determinato una situazione di privilegio per la categoria, che è parsa ad alcuni giuristi anche in contrasto col principio costituzionale d'uguaglianza. Si è pure ritenuto che tanta comprensione verso comportamenti spesso gravemente censurabili fosse espressione della deteriore visone paternalistica della medicina». In questi termini, anche Cass., S.U. (Pen.), 22.2.2018, n. 8770.
vicenda, in un rapporto in cui non è chiaro quale delle due abbia determinato
l’altra.
In proposito, è stato osservato che le fasi attraverso le quali il sistema di responsabilità in campo medico9 è andato delineandosi sono state scandite dall’adozione di schemi suggeriti dall’esigenza di contemperare, opportunamente, gli interessi delle parti in causa, al fine di garantire una giusta riparazione al paziente danneggiato, in considerazione della particolare importanza dell’interesse leso (la salute), senza sacrificare eccessivamente l’iniziativa del medico e che, in questo senso, si è assistito ad un progressivo spostamento del punto di equilibrio nella direzione di una più ampia tutela risarcitoria del paziente10.
In estrema sintesi, può fin d’ora osservarsi che, inizialmente, prevalendo la concezione paternalistica, la giurisprudenza ha ricondotto la responsabilità del medico nei confronti del paziente (escluso, ovviamente, il caso del medico libero professionista11) nell’ambito aquiliano; successivamente, concepito il rapporto tra i due soggetti su un piano
9 Il riferimento è sia alla responsabilità del singolo medico sia a quella struttura sanitaria presso la quale questi opera.
10 Si veda ZANA M., Responsabilità Medica e Tutela del Paziente, Xxxxxxx, Milano, 1993, p. 29 e 47; si veda anche, ID., p. 14 e 15, ove l’autore osserva che, sebbene nello svolgersi fisiologico del rapporto, l’interesse del paziente e del medico convergano verso l’unico obiettivo rappresentato dalla salute del paziente (anche se questo costituisce l’unico scopo per il paziente, mentre per il medico esso costituisce solo uno degli scopi da realizzare), in limine litis, i loro interessi divergano insanabilmente. In questo momento, infatti, il danno per il paziente si è già realizzato, mentre il danno per il medico, sia sotto il profilo economico che reputazionale, si produrrà solo in caso di esito sfavorevole del giudizio.
11 Precisamente, in un primo momento, vigente il codice del 1865, la responsabilità civile del
medico è stata, anche in tal caso, ricondotta nell’ambito della tutela aquiliana, per essere poi ben presto ricondotta nell’area contrattuale. In proposito, si veda ZANA M., Responsabilità Medica e Tutela del Paziente, Xxxxxxx, Milano, 1993, p. 8, 9 e 16 ss., ove, in considerazione del tipo di contenzioso dell’epoca, l’autore precisa che, inizialmente, l’opzione contrattuale avvantaggiava il medico che agiva giudizialmente per il pagamento degli onorari e dunque, rispondeva ad esigenze di tutela del professionista.
tendenzialmente paritario, nell’intento di avvantaggiare il paziente, ha invece
optato per la natura contrattuale12.
2. La natura giuridica della responsabilità del medico. Il medico libero professionista e il concorso (proprio) delle due forme di responsabilità civile.
Come accennato, il corretto inquadramento giuridico della responsabilità del medico è stato oggetto di una lunga e complessa evoluzione, nel pensiero dottrinale e giurisprudenziale, che è opportuno ripercorrere nelle sue tappe fondamentali, al fine di comprenderne appieno gli esiti.
Nella visione «personalistica», di stampo liberale, il rapporto tra medico e paziente è concepito come una relazione personale e diretta tra le parti, fondata sull’alleanza terapeutica13.
Questa ricostruzione, per certi aspetti fiduciaria, della «relazione di cura14» è stata però incisa da un fenomeno di progressiva
«spersonalizzazione», ricollegabile alle modalità di erogazione, in forma organizzata, della prestazione sanitaria.
Attualmente, infatti, il ruolo di curante è spesso assunto non da un singolo professionista, bensì da una struttura organizzata e complessa che
12 Si vedano ZENCOVICH Z., Una Commedia degli Errori? La Responsabilità Medica fra Illecito e Inadempimento, in Riv. dir. civ., 2008, p. 314 ss.; DE MATTEIS R., La Responsabilità Medica. Un Sottosistema della Responsabilità Civile, CEDAM, 1995, p. 210 ss.; XXXXXXXXX P. E XXXXXXXX V., Attività Sanitaria e Responsabilità Civile, Xxxxxxx, Milano, 1998, p. 13 ss.
13 Si veda ROSSI S., Consenso Informato (Il), in Digesto delle Discipline Privatistiche, sezione civile, Agg. V, Torino, 2010, p. 177 ss. Si veda altresì supra, capitolo I, paragrafo 1.
14 Pare opportuno precisare che, con questo concetto, non si vuole necessariamente alludere all’aspetto relazionale del rapporto obbligatorio: come è stato osservato da autorevole dottrina, infatti, la relazione terapeutica prescinde dall’instaurarsi di un rapporto contrattuale tra medico e paziente (cfr. DE MATTEIS R., Le Responsabilità in Ambito Sanitario, CEDAM, Padova, 2017, p. 306), poiché un simile rapporto potrebbe anche sussistere solo tra quest’ultimo e la struttura sanitaria.
mette a disposizione del paziente un team composto da figure professionali diverse, talora legate da rapporti anche gerarchici. Ciò è dovuto non solo alla necessità di un approccio multidisciplinare alla cura, imposto dal progresso scientifico ma anche, soprattutto per il settore pubblico, alla necessità di pianificare l’erogazione delle prestazioni sanitarie in modo efficiente15.
Il rapporto tra medico e paziente può dunque assumere, a seconda dei casi, due strutture giuridiche differenti16. Il medico può infatti intervenire sulla persona del paziente in adempimento di un’obbligazione assunta, direttamente, nei suoi confronti, mediante la conclusione di un contratto oppure in qualità di soggetto inserito all’interno di una struttura sanitaria (sulla base di accordi di varia natura, non necessariamente riconducibili a rapporti di lavoro dipendente o assimilato), alla quale il paziente si sia rivolto per ottenere la prestazione sanitaria17.
Ai fini della qualificazione del rapporto tra medico e paziente occorre allora, innanzitutto, verificare se il medico sia o meno diretto contraente del paziente stesso, per poi valutare le conseguenze sul regime di responsabilità.
Con riferimento alla prima delle ipotesi individuate, non vi sono dubbi né in dottrina, né in giurisprudenza, che il medico libero professionista, che esercita presso il proprio studio, agisca sulla base di un contratto d’opera
15 Si vedano POMIATO R., La Responsabilità nella Relazione di Cura. Note Critiche e Ricostruttive sulle Fattispecie di Responsabilità Introdotte dalla Riforma “Gelli-Bianco”, in Jus Civile, 2018, p. 763 ss.; PRINCIGALLI A. M., La Responsabilità del Medico, Xxxxxx, Napoli, 1983, p. 11 ss., ove l’autrice sollecita soluzioni innovative, che tengano conto dell’importanza crescente dell’esercizio collettivo della medicina e dunque del fatto che, spesso, il malato non si interfaccia con un solo medico ma con una équipe.
16 Si veda XXXXXXX F., Contratto e Responsabilità Contrattuale nell’Attività Sanitaria, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 1984, p. 711.
17 Trattasi del cd. medico «strutturato» e cioè, precisamente, il professionista che svolge, a qualsiasi titolo, la propria attività all’interno della struttura sanitaria e nell’ambito di un’organizzazione eterogestita.
professionale, stipulato con l’assistito, anche tacitamente18: ne sono evidenza sia la scelta del medico cui rivolgersi operata dal paziente, sia il diretto affidamento del paziente alle cure del medico19. Da ciò consegue la natura contrattuale della responsabilità del professionista, per i danni cagionati all’assistito, nell’adempimento delle obbligazioni assunte nei suoi confronti.
Nonostante l’indiscussa qualificazione giuridica del rapporto, la giurisprudenza dominante ha consentito al paziente danneggiato di ricorrere anche alla tutela aquiliana, attraverso il cd. concorso (o cumulo) «proprio» di responsabilità20.
Infatti, astrattamente, la responsabilità medica potrebbe rientrare sia nell’ambito della responsabilità contrattuale che nell’ambito della responsabilità extracontrattuale, poiché la negligenza del professionista può rilevare, allo stesso tempo, sia come inadempimento all’obbligazione da questi
18 Si vedano, in dottrina, XXXXXXXX G., La Responsabilità del Professionista, Xxxxxxx, 1958, p. 295 ss. e XXXXXXXXXXX A. M., La Responsabilità del Medico, Xxxxxx, Napoli, 1983, p. 17; in giurisprudenza, tra le più risalenti, Cass. 22.2.1958, n. 595.
19 In questa fattispecie, la qualificazione contrattuale della responsabilità medica pare una soluzione imposta ove si consideri la mancanza di una struttura organizzata che funga da
«connettore» tra le richieste del paziente e la prestazione specialistica del professionista. Per approfondimenti sul «contratto di cura» stipulato tra paziente e medico, si veda infra, capitolo III, paragrafo 2.
20 Si veda FRENDA D. M., Il Concorso di Responsabilità Contrattuale e Aquiliana. Soluzioni Empiriche e Coerenza del Sistema, CEDAM, Padova, 2013, ove l’autrice distingue l’istituto del concorso da quello del cumulo, precisando che, nell’istituto del concorso, il rimedio contrattuale e quello aquiliano si pongono (tra loro) in un rapporto di alternatività, cosicché il danneggiato si trova nella condizione di poter decidere quale tutela attivare; diversamente, il cumulo attribuisce al danneggiato la possibilità di sommare i vantaggi dalle due discipline di responsabilità. Ciò si traduce, in particolare, nella possibilità di ricorrere alla forma di tutela ancora esperibile, laddove l’altra risulti preclusa (ad. es., per prescrizione), ma anche nella possibilità di invocare, uno dopo l’altro, entrambi i rimedi, al fine di ottenere il risarcimento di tutti i danni patiti. Trattasi comunque di istituti contigui, che si fondano sul medesimo presupposto, secondo il quale un danno provocato da un unico evento può collocarsi all’interno di entrambi i regimi di responsabilità. Si vedano, altresì, PRINCIGALLI A. M., La Responsabilità del Medico, Xxxxxx, Napoli, 1983, p. 25 ss. (ed in particolare, sul punto, p. 26); DE MATTEIS R., La Responsabilità Medica ad una Svolta? - Il Commento, in Danno e Resp., 2005, p. 23 ss.; XXXXXXXXX
P. E XXXXXXXX V., Attività Sanitaria e Responsabilità Civile, Xxxxxxx, Milano, 1998, p. 153 ss.;
ZANA M., Responsabilità Medica e Tutela del Paziente, Xxxxxxx, Milano, 1993, p. 22 ss.
assunta, sulla base del contratto d’opera intellettuale, sia come fatto produttivo di un danno ingiusto, risarcibile ai sensi dell’art. 2043 c.c., ove si riveli altresì lesiva del diritto (assoluto) alla salute. Questa duplice rilevanza della responsabilità del medico debitore si verifica perché la prestazione, oggetto della sua obbligazione, è eseguita sulla persona del paziente creditore.
L’istituto in esame permette allora al paziente danneggiato di invocare, a sua scelta21, la tutela aquiliana, al fine di ottenere il ristoro del pregiudizio alla salute subito a causa della condotta inappropriata del medico o quella contrattuale, al fine di ottenere il risarcimento del danno derivante dall’inadempimento degli obblighi di cura contrattualmente assunti.
In proposito, autorevole dottrina22 ha rilevato come tale soluzione presupponga che il concorso della responsabilità contrattuale ed extracontrattuale si fondi, a propria volta, su un concorso di norme (tutte egualmente applicabili alla fattispecie), la cui applicazione è rimessa alla scelta del danneggiato. Il concorso delle responsabilità si tradurrebbe, così, in un concorso di azioni23: l’esercizio di un’azione non comporta rinunzia all’altra
21 Ovviamente, il paziente effettuerà tale scelta secondo una logica di convenienza nel caso concreto.
22 Si veda BIANCA C.M., La Responsabilità, in Diritto civile V, Xxxxxxx, Milano, 2012, ristampa 2019, p. 563 ss.
23 Sul punto, si veda FRENDA D. M., Il Concorso di Responsabilità Contrattuale e Aquiliana. Soluzioni Empiriche e Coerenza del Sistema, CEDAM, Padova, 2013, p. 74 ss., ove l’autrice evidenzia come sia ancora dibattuta la configurabilità del principio del concorso di responsabilità quale concorso di sole norme, a fronte di un’unica azione o, invece, quale concorso tra azioni distinte. La soluzione dipende, a sua volta, dalla risposta che si ritiene di dare al diverso problema, sostanziale, relativo all’esistenza di un unico o di più diritti soggettivi al risarcimento del danno (in corrispondenza di ciascun titolo di responsabilità): laddove si ritenga che il diritto sia unico, una sola sarà anche l’azione diretta ad ottenere il risarcimento del danno che, però, potrà essere fondata sull’una o sull’altra disciplina di responsabilità; diversamente, laddove si ritengano sussistenti più diritti, ciascuno potrà essere posto alla base di un’autonoma azione, nel quadro di un concorso tra azioni. Sull’argomento, si veda, altresì, PRINCIGALLI A. M., La Responsabilità del Medico, Xxxxxx, Napoli, 1983, p. 26 e 27.
ma il risarcimento ottenuto per una via, estingue, nei limiti di quanto ricevuto, ogni ulteriore pretesa risarcitoria24.
Il concorso tra le due forme di responsabilità è generalmente ammesso dalla giurisprudenza «allorché un unico comportamento, risalente al medesimo autore e quindi un evento dannoso unico nella sua genesi soggettiva, appaia di per sé lesivo non solo di specifici diritti derivanti al contraente dalle clausole contrattuali, ma anche dei diritti assoluti che alla persona offesa spettano di non subire pregiudizi all’onore, alla propria incolumità personale ed alla proprietà di cui è titolare25».
L’intento sembra essere quello di garantire piena tutela al paziente
danneggiato26.
D’altro canto, la preoccupazione circa l’insufficienza della tutela contrattuale non era priva di fondamento, quantomeno fino all’intervento
24 Il ricorso all’istituto in esame non consente, ovviamente, duplicazioni risarcitorie.
25 Cass. 7.8.1982, n. 4437. Si vedano anche Cass. 23.6.1994, n. 6064 e Cass. 22.1.1999, n. 589. L’applicazione del cumulo richiede la contemporanea sussistenza di un presupposto di carattere soggettivo, consistente nella coincidenza tra debitore e creditore e, rispettivamente, danneggiante e danneggiato ed uno di carattere oggettivo, in base al quale lo stesso fatto del debitore deve costituire sia inadempimento sia lesione del neminem laedere. Vi sono, tuttavia, isolate sentenze che si esprimono in senso contrario alla configurabilità del concorso, proprio in materia di responsabilità medica. Si veda, tra le altre, Cass. 1.10.1994, n. 7989: «com'è noto, la responsabilità extracontrattuale -nonostante l'ampia portata della dizione dell'art. 2043 cod. civ., che fa riferimento a "qualunque fatto doloso o colposo"- ricorre solo allorquando la pretesa risarcitoria venga formulata nei confronti di un soggetto autore di un danno ingiusto, non legato all'attore da alcun rapporto giuridico precedente o, comunque, indipendente da tale eventuale rapporto, sicché essa può configurarsi solo per effetto della violazione di una norma di condotta imposta ad ogni consociato come tale. Ove a fondamento della pretesa dedotta in giudizio venga enunciato l'inadempimento di un'obbligazione volontariamente contratta, ovvero anche derivante dalla legge (art. 1173 cod. civ.), non vi è luogo per l'illecito aquiliano, ma è ipotizzabile unicamente una responsabilità contrattuale o legale derivante da un vincolo obbligatorio posto in essere tra le parti dalla volontà delle stesse ovvero direttamente da una disposizione di legge».
26 In proposito, si veda ZANA M., Responsabilità Medica e Tutela del Paziente, Xxxxxxx, Milano,
1993, p. 22 ss.
chiarificatore delle Sezioni Unite, nel 200827, che ha messo fine ai dubbi avanzati sulla risarcibilità del danno non patrimoniale, in sede contrattuale.
Ciononostante, l’ammissibilità del cumulo di responsabilità è sempre stata avversata da parte della dottrina, che ha sostenuto la prevalenza della tutela contrattuale, facendo leva su diverse argomentazioni.
In particolare, secondo l’impostazione maggiormente persuasiva, il presunto carattere di specialità rivestito dalla tutela contrattuale -che salvaguarda l’interesse dedotto in contratto in modo più specifico e assorbente-, rispetto a quella aquiliana -che protegge la medesima situazione giuridica soggettiva, ma in via generale, giacché il dovere del neminem laedere grava, indistintamente, su tutti i consociati-, porterebbe a concludere per la prevalenza del rimedio contrattuale28. In questa prospettiva, la disciplina più
27 Trattasi di Cass., S.U., 11.11.2008, nn. 26972, 26973, 26974 e 26975. In proposito, giova ricordare che l’esclusione della risarcibilità del danno non patrimoniale da inadempimento contrattuale è stata lungamente sostenuta dalla dottrina e dalla giurisprudenza prevalenti, in ragione dell’assenza, in ambito contrattuale, di una norma analoga all’art. 2059 c.c. Le Sezioni Unite del 2008 hanno concluso, invece, per la risarcibilità del danno non patrimoniale anche nella materia della responsabilità contrattuale, sulla base di una interpretazione costituzionalmente orientata dell’art. 2059 c.c. (cfr. Cass. 31.5.2003, nn. 8827 e 8828. e Corte cost. 11.7.2003, n. 233). Precisamente: «L'interpretazione costituzionalmente orientata dell’art. 2059 c.c., consente ora di affermare che anche nella materia della responsabilità contrattuale è dato il risarcimento dei danni non patrimoniali. Dal principio del necessario riconoscimento, per i diritti inviolabili della persona, della minima tutela costituita dal risarcimento, consegue che la lesione dei diritti inviolabili della persona che abbia determinato un danno non patrimoniale comporta l'obbligo di risarcire tale danno, quale che sia la fonte della responsabilità, contrattuale o extracontrattuale. Se l'inadempimento dell’obbligazione determina, oltre alla violazione degli obblighi di rilevanza economica assunti con il contratto, anche la lesione di un diritto inviolabile della persona del creditore, la tutela risarcitoria del danno non patrimoniale potrà essere versata nell'azione di responsabilità contrattuale, senza ricorrere all'espediente del cumulo di azioni» (cfr. Cass., S.U., 11.11.2008, n. 26972).
28 Si vedano CATTANEO G., La Responsabilità del Professionista, Xxxxxxx, Milano, 1958, p. 312, ove
l’autore ritiene preferibile la tesi contraria all’ammissibilità del concorso, «almeno in quelle ipotesi in cui l’obbligo di non ledere un diritto assoluto altrui è divenuto l’oggetto principale di un’obbligazione contrattuale, come appunto avviene nel contratto di cure mediche», nel quale «la tutela contrattuale mira […] allo stesso identico scopo della tutela aquiliana»; FRENDA D. M., Il Concorso di Responsabilità Contrattuale e Xxxxxxxxx. Soluzioni Empiriche e Coerenza del Sistema, CEDAM, Padova, 2013, p. 303, ove l’autrice conclude per la sussistenza di una relazione di
«sussidiarietà» tra le due forme di responsabilità, termine che, meno ambiguamente di quello di «specialità» «indica che la disciplina di responsabilità extracontrattuale, proprio perché di carattere
generale, seppur astrattamente applicabile, dovrebbe cedere il passo a quella più specifica.
Tale soluzione è parsa, ai suoi sostenitori, quella più rispettosa della coerenza del sistema: gli istituti del concorso e del cumulo non mirerebbero all’equità del sistema ma ad una maggiore tutela del danneggiato, al quale è infatti demandata la scelta sul rimedio da esperire. Essi si prestano così ad eludere le differenze di regime tra le due forme di responsabilità.
Pur non avendo mai disconosciuto l’ammissibilità giuridica del concorso di responsabilità29, parte della giurisprudenza ha comunque manifestato perplessità sul suo «fondamento dogmatico», riferendosi ad esso come ad un «espediente» che, ammessa la risarcibilità del danno non patrimoniale in sede contrattuale, perde la sua utilità30. Ne ha quindi fatto un’applicazione sempre più limitata, anche nel campo della responsabilità medica.
Infatti, l’unico vantaggio della tutela aquiliana pare essere rinvenibile
nella risarcibilità (anche) del danno non prevedibile al tempo del sorgere
più generale, si applica soltanto in assenza delle condizioni che consentono l’azione contrattuale, in considerazione del fatto che quest’ultima è, per così dire, più mirata perché operante soltanto a fronte dell’inadempimento di un preciso obbligo verso soggetti predeterminati». Si vedano, altresì, BIANCA C.M., La Responsabilità, in Diritto civile V, Xxxxxxx, Milano, 2012, ristampa 2019, p. 563 ss.; XXXXXXXXXX C., Le Due Specie della Responsabilità Civile e il Problema del Concorso, in Europa e dir. priv., 2004, p. 69 ss.; PRINCIGALLI A. M., La Responsabilità del Medico, Xxxxxx, Napoli, 1983,
p. 29 ss.
29 Tra le applicazioni più recenti, si veda Cass. 6.7.2017, n. 16654 (in materia di compravendita), la quale afferma che, in caso di inadempimento, alla responsabilità contrattuale del venditore si affianca quella extracontrattuale, anche se esclusivamente laddove il pregiudizio arrecato al
«compratore abbia leso interessi di quest’ultimo che siano sorti al di fuori del contratto ed abbiano la consistenza di diritti assoluti». La massima, sovente riportata dalla giurisprudenza, che ammette il concorso di responsabilità quando un inadempimento risulti lesivo «anche dei diritti assoluti» della persona offesa è infatti rimasta tale, nonostante l’interpretazione evolutiva che ha interessato l’art. 2043 c.c. (ed in particolare il concetto di danno ingiusto), la cui tutela è stata estesa fino a ricomprendere anche i diritti di credito, gli interessi legittimi ed addirittura, le situazioni di fatto.
30 In proposito, si vedano Cass., S.U., 11.11.2008, nn. 26972, 26973, 26974 e 26975, cit.
dell’obbligazione31. Tuttavia, questo aspetto assume importanza marginale, se confrontato con i vantaggi di carattere processuale, quali l’alleviamento dell’onere probatorio a carico del paziente e la lunghezza decennale del termine di prescrizione del suo diritto al risarcimento del danno, offerti dal rimedio contrattuale32.
La ragione di questa inversione di tendenza va, in definitiva, rinvenuta nel diffondersi, anche in giurisprudenza, della convinzione che il rimedio contrattuale sia complessivamente più tutelante per il danneggiato, cui è conseguita la progressiva attrazione, nell’ambito della responsabilità contrattuale, di ipotesi di responsabilità tradizionalmente ricondotte in ambito aquiliano33.
Passando alla seconda e più complessa ipotesi, cioè quella in cui nel rapporto tra medico e paziente si «interpone» un terzo soggetto, la struttura appunto, sotto il profilo giuridico si pone il problema di isolare i vari rapporti (individuando i soggetti obbligati ed i relativi obblighi, nonché i creditori e le relative pretese) e di qualificarli, riconducendo, conseguentemente, le eventuali responsabilità di struttura e medico nei confronti del paziente, al regime contrattuale o extracontrattuale.
31 In particolare, l’art. 1225 c.c., norma non applicabile in sede extracontrattuale, limita il risarcimento in via contrattuale del danno non prevedibile, al tempo in cui è sorta l’obbligazione, alle ipotesi di dolo del debitore.
32 In proposito, si vedano infra, capitolo I, paragrafo 6 e capitolo III, paragrafo 9.
33 In proposito, si veda FRENDA D. M., Il Concorso di Responsabilità Contrattuale e Xxxxxxxxx. Soluzioni Empiriche e Coerenza del Sistema, CEDAM, Padova, 2013, p. 120 ss., ove l’autrice evidenzia come sia stato lo stesso rimedio aquiliano «ad essere caduto progressivamente in disuso» e con esso, di conseguenza, anche la regola del concorso di responsabilità. Si noti, fin d’ora, che tra le ipotesi di responsabilità che sono state attratte dall’ambito della tutela aquiliana a quella contrattuale, vi è anche quella del medico per i danni cagionati al paziente, anche in assenza di contratto tra le parti; il tema sarà approfondito nei successivi paragrafi (ed in particolare, nei paragrafi 4 e 6) nonché nel capitolo III.
In proposito, giova ricordare che l’attività medica prestata presso una struttura, sia pubblica che privata, può essere esercitata nelle forme del lavoro dipendente (e ad esso assimilato) oppure autonomo34. In quest’ultima categoria rientrano, oltre alle prestazioni rese dai medici liberi professionisti presso strutture poliambulatoriali private, anche quelle erogate in regime di convenzione con il Servizio Sanitario Nazionale, come avviene per i medici di medicina generale ed i pediatri di libera scelta35 nonché le attività intra moenia ed extra moenia dei medici pubblici dipendenti che operano presso un ente ospedaliero.
Più precisamente, l’attività libero professionale cd. intra moenia36 consente al paziente, che si rivolga ad una struttura ospedaliera, di ridurre i tempi di attesa ed eventualmente, di scegliere il professionista o l’équipe di fiducia. Essa riguarda il solo personale operante alle dipendenze di strutture pubbliche e presuppone l’opzione, da parte dei singoli sanitari interessati, per la cd. esclusività del rapporto di lavoro, ossia quel regime che, a fronte di talune limitazioni, consente di svolgere la libera professione all’interno dei locali messi a disposizione dalla struttura pubblica (ed in particolare, strutture
34 Si veda XXXXXXX F., Contratto e Responsabilità Contrattuale nell’Attività Sanitaria, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 1984, p. 711.
35 Le A.S.L., infatti, nell’adempimento delle proprie prestazioni -che includono l’assistenza sanitaria convenzionata alle persone presenti sul territorio di competenza- si avvalgono dell’opera di medici convenzionati, noti come medici di medicina generale (o di base) ed i pediatri di libera scelta (cfr. art. 8 d.lgs. 30.12.1992, n. 502). In relazione alla responsabilità di questa tipologia di medici, si veda infra, capitolo III, paragrafo 8.
36 La regolamentazione della libera professione intramuraria è il risultato di una importante stratificazione normativa. Si richiamano, in particolare, il decreto-legge 13.9.2012, n. 158 (cd. Decreto Sanità) convertito, con modificazioni, nella legge 8.12.2012, n. 189 recante le
«disposizioni urgenti per promuovere lo sviluppo del Paese mediante un più alto livello di tutela della salute», che ha novellato la legge 3.8.2007, n. 120 recante le «disposizioni in materia di attività libero-professionale intramuraria e altre norme in materia sanitaria». L’attività libero-professionale viene erogata nel rispetto dell’equilibrio tra attività istituzionali e libero-professionali, secondo quanto previsto dall’art. 15 quinquies del d.lgs. 30.12.1992, n. 502; il controllo sulle modalità di svolgimento dell’attività intra moenia è disciplinato dall’art. 22 bis del d.l. 4.7.2006,
n. 223. In proposito, si veda infra, capitolo III, paragrafo 7.
ambulatoriali interne o esterne all’Azienda sanitaria, pubbliche o private non accreditate, con le quali l’Azienda stipula apposita convenzione) ed addirittura presso lo studio professionale37, al di fuori del normale orario di lavoro e ferma la corresponsione alla struttura medesima di una percentuale del compenso, quale corrispettivo per i servizi forniti. La casistica è dunque abbastanza ampia e comprende sia l’ipotesi in cui la richiesta della prestazione sia indirizzata verso un determinato professionista individuato dal paziente, sia quella in cui la richiesta sia indirizzata genericamente alla struttura, che adempie attraverso i propri dipendenti, retribuiti però in regime libero professionale, sia quella in cui la prestazione sia resa dal sanitario all’interno dell’équipe di cui sia a capo un altro sanitario, a sua volta scelto direttamente dal paziente38.
Il medico pubblico dipendente può però anche optare per il regime non esclusivo e svolgere l’attività libero professionale cd. extra moenia39, cioè al di fuori della struttura pubblica (purché non in strutture accreditate, per non porsi in concorrenza con il servizio pubblico) e del normale orario di lavoro come dipendente.
Qualora il medico presti la propria attività presso una struttura sanitaria, il rapporto tra medico e paziente è «mediato» dalla struttura stessa, la quale adempie ai propri obblighi per mezzo del personale sanitario che, pertanto, viene considerato quale suo ausiliario necessario, ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 1228 c.c.
Vi è però un’ulteriore fattispecie, diametralmente opposta alla precedente, in cui sembrerebbe essere il medico ad «avvalersi» della struttura
37 Quest’ultima ipotesi riguarda la cd. intra moenia «allargata», concepita come una pratica transitoria che, tuttavia, dal 2015, può essere posta a regime.
38 Si veda l’art. 15 quinquies del d.lgs. 30.12.1992, n. 502.
39 Si veda l’art. 15 sexies del d.lgs. 30.12.1992, n. 502.
sanitaria: potrebbe infatti accadere che il paziente si rivolga direttamente al professionista, concordando un determinato trattamento e venga poi da quest’ultimo indirizzato presso la struttura giudicata idonea per l’esecuzione. Tale fattispecie, a stretto rigore, dovrebbe essere ricondotta alla prima delle due strutture giuridiche indicate all’inizio del paragrafo ma, prevedendo comunque il coinvolgimento di una struttura sanitaria, non viene generalmente distinta, in giurisprudenza, rispetto alla seconda40.
Una trattazione esaustiva della responsabilità del medico non può, in questi casi, prescindere da un riferimento, sia pure sintetico, alla responsabilità della struttura sanitaria, lasciando ai paragrafi successivi la trattazione della responsabilità del medico.
3. La natura giuridica della responsabilità della struttura sanitaria41.
Con specifico riferimento alla natura della responsabilità della struttura sanitaria, occorre innanzitutto rilevare che gli obblighi delle strutture, pubbliche e private, verso il fruitore dei servizi sono sostanzialmente equivalenti, a livello normativo42. Infatti, venendo in rilievo il bene salute, tutelato quale diritto fondamentale dalla Costituzione, non sono ammissibili limitazioni di responsabilità o differenze risarcitorie in considerazione della veste, pubblica o privata, della struttura sanitaria43.
40 La giurisprudenza si limita generalmente, in simili fattispecie, a reiterare la massima consolidata secondo la quale il contratto di spedalità stipulato dal paziente con la struttura sanitaria ha ad oggetto una prestazione complessa, senza interrogarsi se un tale contratto possa dirsi effettivamente stipulato o quali siano le obbligazioni effettivamente assunte dalla struttura. In proposito, si vedano infra, capitolo I, paragrafo 3, capitolo II, paragrafo 3 e, in particolare, capitolo III, paragrafo 6.
41 Per uno studio sull’evoluzione storica dell’assistenza sanitaria, si veda DE MATTEIS R., Le
Responsabilità in Ambito Sanitario, CEDAM, Padova, 2017, p. 48 ss.
42 In proposito, si veda Cass., S.U., 11.1.2008, n. 577.
43 Si vedano Cass., S.U., 11.1.2008, n. 577, cit. e Cass. 25.2.2005, n. 4058.
Ciononostante, prima della cd. Riforma Sanitaria, attuata con la legge 23.12.1978, n. 833, che ha introdotto il Servizio Sanitario Nazionale, la responsabilità della struttura sanitaria privata veniva ricondotta, generalmente, alla disciplina della responsabilità contrattuale, in ragione dell’esistenza di un contratto con l’utente44. Diversamente, rispetto alla struttura pubblica, non si registravano orientamenti univoci né in dottrina, né in giurisprudenza, ma oscillanti tra l’affermazione della natura extracontrattuale o contrattuale della responsabilità.
La giurisprudenza maggioritaria45, avallata da parte della dottrina46, ne sosteneva la natura extracontrattuale, dividendosi poi nel considerarla come una forma di responsabilità diretta ex art. 2043 c.c. oppure indiretta47 ex art. 2049 c.c., con le conseguenti e rilevanti differenze in punto di prova
44 Sul punto, si veda CATTANEO G., La Responsabilità del Professionista, Xxxxxxx, Milano, 1958, p.
345 ss., ove l’autore sostiene che, in ragione del contratto tra utente ed ente privato, quest’ultimo risponda in xxx xxxxxxxxxxxx, xx xxx. 0000 x.x., xxx xxxxx illecito del medico di cui si è avvalso per adempiere la propria obbligazione sia nel caso in cui il medico sia dipendente della struttura, sia nel caso in cui, pur non essendo un dipendente, sia ad essa (e non invece al cliente) legato da un rapporto di lavoro autonomo. Egli, tuttavia, esclude la configurabilità di una responsabilità contrattuale della casa di cura per inadempimento della prestazione medica, laddove la prestazione della struttura privata sia limitata esclusivamente alla messa a disposizione di locali, attrezzature e personale ausiliario, costituendo il trattamento medico- chirurgico l’oggetto di un diverso contratto stipulato direttamente tra medico (estraneo all’organizzazione della casa di cura) e paziente.
45 In proposito, si veda, tra le altre, Cass. 6.5.1971, n. 1282, ove si ribadisce che l’attività della
Pubblica Amministrazione, anche nel campo della pura discrezionalità, debba svolgersi non solo nel rispetto della legge, ma anche del principio del neminem laedere. Si vedano anche DE MATTEIS R., La Responsabilità Medica. Un Sottosistema della Responsabilità Civile, CEDAM, Padova, 1995, p. 254 ss. e XXXXXXXXXXX A. M., La Responsabilità del Medico, Jovene, Napoli, 1983,
p. 265 ss.
46 Si veda CATTANEO G., La Responsabilità del Professionista, Xxxxxxx, Milano, 1958, p. 345 ss.;
l’autore propende per la tesi della responsabilità extracontrattuale indiretta.
47 La responsabilità è indiretta (o per fatto altrui) laddove la legge prevede una scissione tra l’autore materiale del fatto dannoso ed il soggetto obbligato al risarcimento del danno, come comunemente ammesso nelle ipotesi di cui agli artt. 2047, 2048 e 2049 c.c.
liberatoria, considerata la natura soggettiva della prima ed oggettiva della seconda48.
L’orientamento prevalente concludeva per il carattere diretto49, cioè per fatto proprio, di tale responsabilità, ricorrendo al principio di immedesimazione organica di cui all’art. 28 Cost., che estende agli enti pubblici la responsabilità civile dei dipendenti. Di contro, a sostegno della tesi della responsabilità indiretta, si argomentavano l’impossibilità di imputare all’ente pubblico, privo della capacità di agire, l’elemento soggettivo dell’illecito (art. 2043 c.c.) ed anche quella di far derivare da un medesimo fatto due responsabilità, del medico e dell’ospedale, entrambe dirette, nonché la difficoltà di applicare il principio di immedesimazione organica ad attività materiali (e non giuridiche)50.
Il presupposto della tesi extracontrattuale risiedeva nella constatazione che tra l’utente e la struttura pubblica si sarebbe instaurato un rapporto di natura pubblicistica, sulla base di un atto amministrativo di ammissione51. In proposito, va tuttavia rilevato che, secondo alcuni interpreti, l’origine «pubblicistica» del rapporto non avrebbe impedito una qualificazione contrattuale della responsabilità della struttura, poiché da tale
48 Peraltro, al preponente non è consentita alcuna prova liberatoria (cfr. Cass., S.U., 16.5.2019,
n. 13246): l’affermazione, contenuta anche in alcune pronunce (in particolare, cfr. Xxxx., S.U., 15.2.1978, n. 703), secondo la quale la prova dell’assenza del rapporto di preposizione consentirebbe di escludere la responsabilità è in realtà fuorviante, giacché la mancanza di tale rapporto esclude direttamente la riconducibilità della fattispecie alla disposizione in esame.
49 La concezione organica del rapporto intercorrente tra ente collettivo e persone fisiche implica, infatti, la diretta riferibilità all’ente di tutti i comportamenti giuridicamente rilevanti, leciti ed illeciti, interni ed esterni, di coloro che agiscono per l’ente stesso. Sul punto, si veda DE MATTEIS R., Le Responsabilità in Ambito Sanitario, CEDAM, 2017, p. 130.
50 Sul punto, si veda CATTANEO G., La Responsabilità del Professionista, Xxxxxxx, Milano, 1958, p. 347 ss.
51 Si veda CATTANEO G., La Responsabilità del Professionista, Xxxxxxx, Milano, 1958, p. 347, ove l’autore osserva che «quando un ospedale è pubblico, ossia amministrato da un soggetto pubblico, il rapporto con la persona ricoverata non deriva mai da contratto, neanche se si tratta di un ricovero a pagamento, ma ha invece origine in un atto amministrativo».
atto pubblicistico sarebbero discesi «diritti ed obblighi simili a quelli contrattuali52».
L’orientamento (giurisprudenziale e dottrinale) favorevole ad attrarre nell’ambito della disciplina contrattuale il rapporto tra paziente e struttura pubblica seguiva, infatti, due strade.
Una prima soluzione individuava nella legge la fonte del rapporto, di natura pubblicistica, tra ente e paziente. Precisamente, dalla legge sarebbe sorta l’obbligazione (legale, addirittura istituzionale) dell’ente ospedaliero, avente ad oggetto la cura delle persone ricoverate, oltre che la loro protezione53.
Secondo questa impostazione, gli obblighi imposti ex lege alle strutture sanitarie nei confronti del creditore della prestazione sanitaria «superano la loro originaria dimensione pubblicistica, per relativizzarsi nell’ambito del rapporto tra paziente e struttura ed assumere i contorni ed i contenuti di una prestazione di un’obbligazione di cura sanitaria includente nel comportamento dovuto tutte le attività essenziali per l’effettiva realizzazione dell’interesse creditorio54». In ciò risiederebbe anche la contraddizione di tale soluzione che, pur partendo dalla teorizzazione di un rapporto di natura esclusivamente pubblicistica, offre una tutela che segue la logica dell’accordo e si rapporta alle utilità perseguite dai
«contraenti».
La seconda soluzione, partendo dalla premessa di una piena compatibilità tra contratto e servizio pubblico55, già riconosciuta in altri settori
52 ID.
53 Si veda Cass. 4.8.1987, n. 6707. Si veda anche GORGONI M., Disfunzioni Tecniche e di Organizzazione Sanitaria e Responsabilità Professionale Medica, in Resp. civile e previdenza, 1999, p. 1007 ss.
00 XX XXXXXXX X., Xx Responsabilità in Ambito Sanitario, CEDAM, 2017, p. 96 e 97.
55 Sul punto, si veda XXXXXXX F., Contratto e Responsabilità contrattuale nell’Attività Sanitaria, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 1984, p. 711, secondo il quale le nozioni di servizio pubblico e
(ad es. quello dei trasporti pubblici), anche in considerazione del fatto che l’erogazione di un servizio pubblico non ha carattere autoritativo, individuava la fonte del rapporto tra struttura sanitaria pubblica ed utente in un contratto vero e proprio56.
In particolare, è stato osservato che, con l’introduzione del Servizio Sanitario Nazionale (da parte della già citata legge del 1978), il rapporto tra paziente e struttura ospedaliera, anche pubblica57, avrebbe assunto connotati eminentemente privatistici, in ragione della rilevanza attribuita al consenso del paziente relativamente ai trattamenti ed agli accertamenti sanitari (art. 33, comma 1), al luogo di cura o ricovero (artt. 19, comma 2 e 25, comma 9) ed alla scelta del medico di fiducia (artt. 19, comma 2 e 25, comma 4)58. Il «momento dispositivo e negoziale» si sarebbe dunque «accentuato» rispetto al passato59, in quanto la volontà dell’utente può incidere sulle modalità di esecuzione della prestazione, attraverso la libera scelta del luogo di cura e ricovero e dell’ausiliario del debitore, nel senso sotteso all’art. 1228 c.c., come soggetto cui è affidata l’esecuzione della prestazione.
contratto sarebbero rese compatibili dalla figura dell’obbligazione a contrarre, che
trasformerebbe il diritto al servizio, in diritto al contratto.
56 Si vedano, tra le altre, Cass. 4.6.1979, n. 3158 e Cass. 21.12.1978, n. 6141.
57 Peraltro, a partire dall’adozione del d.lgs. 30.12.1992, n. 502 (cfr. art. 8, comma 5, abrogato dall’art. 8, comma 3, del d.lgs. 19.6.1999, n. 229, norma che indicava i servizi che dovevano essere assicurati obbligatoriamente dalle AUSL e prevedeva che, a tal fine, l’azienda potesse avvalersi «dei propri presidi, nonché delle aziende e degli istituti ed enti di cui all’art. 4, delle istituzioni sanitarie pubbliche, ivi compresi gli ospedali militari, o private e dei professionisti», il cui contenuto è stato in parte riversato nell’art. 8 bis, commi 1 e 2, ove si stabilisce che «Le regioni assicurano i livelli essenziali e uniformi di assistenza di cui all'articolo 1 avvalendosi dei presidi direttamente gestiti dalle aziende unità sanitarie locali, delle aziende ospedaliere, delle aziende universitarie e degli istituti di ricovero e cura a carattere scientifico, nonché di soggetti accreditati ai sensi dell'articolo 8-quater»), il Legislatore si è mosso verso una parificazione tra le strutture private e quelle pubbliche, lasciando al cittadino la libera scelta del luogo di cura fra tutte le strutture ed i professionisti accreditati dal servizio sanitario nazionale, in quanto in possesso dei requisiti minimi richiesti dalla legge.
58 Si veda, in particolare, Cass. 1.3.1988, n. 2144.
59 In tal senso, si veda XXXXXXX F., Contratto e Responsabilità contrattuale nell’Attività Sanitaria, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 1984, p. 713.
Inoltre, nell’erogazione del servizio, l’ente si troverebbe in posizione di parità e non di preminenza pubblicistica rispetto al cittadino. Il privato, infatti, una volta richiesto il servizio, acquisirebbe un diritto soggettivo, cui corrisponde il dovere della struttura sanitaria pubblica, che agisce quindi iure privatorum, a compiere la prestazione. Di conseguenza, sussistendo tra questi due soggetti un rapporto giuridico, nell’ambito del quale, ad un diritto soggettivo corrisponde un obbligo di prestazione, la responsabilità dell’ente dovrebbe avere natura contrattuale60.
La lettura contrattuale del rapporto tra strutture sanitarie pubbliche ed utenti del S.S.N. è dunque resa possibile interpretando «l’obbligo ad erogare» come «obbligo a contrarre»: il passaggio dal primo al secondo andrebbe colta «in quel processo di valorizzazione del momento dispositivo e
«negoziale» del diritto alla salute che proietta nella logica del contratto l’erogazione del servizio61». In questa prospettiva, l’obbligo a contrarre, a sua volta fondato su una norma, non scritta, che impone l’obbligo di prestare l’assistenza sanitaria, trasformerebbe il diritto al servizio in diritto al contratto avente ad oggetto il servizio.
Giurisprudenza consolidata aderisce ormai a questo secondo filone interpretativo e qualifica come contrattuale la responsabilità della struttura sanitaria, sia pubblica che privata, per i danni subiti dal paziente, ritenendo che l’incontro tra la richiesta di ricovero da parte di quest’ultimo e
60 La responsabilità aquiliana è infatti configurabile solo «quando non preesista tra danneggiante e danneggiato un rapporto giuridico nel cui ambito venga svolta dal primo l'attività causale del danno» (cfr. Cass. 1.3.1988, n. 2144). L’impostazione che riconosce nel contratto la fonte del rapporto tra ente gestore del S.S.N. ed utente si pone sul solco dei più recenti orientamenti, volti ad attrarre i rapporti derivanti dalla gestione dei servizi pubblici al diritto comune.
00 XX XXXXXXX X., Xx Responsabilità in Ambito Sanitario, CEDAM, Padova, 2017, p. 105, ove l’autrice richiama l’impostazione seguita in XXXXXXX F., Contratto e Responsabilità contrattuale nell’Attività Sanitaria, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 1984, p. 710 ss.
l’accettazione da parte dell’ospedale comporti la tacita conclusione di un
contratto, avente ad oggetto la prestazione di cura, latamente intesa62.
Pertanto, del danno cagionato al paziente dal fatto doloso o colposo del medico che opera presso una struttura sanitaria, risponderà quest’ultima, sulla base dell’art. 1228 c.c.
Senza voler approfondire eccessivamente la questione, oggetto di specifica trattazione nel prosieguo63, pare opportuno evidenziare che la nozione di «ausiliario» ex art. 1228 c.c. è molto ampia, in quanto idonea ad indicare, genericamente, tutti i terzi della cui opera il creditore, di propria iniziativa, si avvalga nell’adempimento, compresi i collaboratori esterni ed autonomi, indipendentemente dalla presenza o meno di un vincolo di subordinazione formale e continuativo tra questi ultimi ed il debitore, con l’unico limite della mancanza di un vincolo contrattuale che li leghi al creditore.
Pertanto, siccome la struttura sanitaria deve necessariamente servirsi, nell’adempimento dell’obbligazione assunta nei confronti del paziente, dell’opera di medici ausiliari, risponderà anche dei fatti dolosi o colposi di costoro, a prescindere dalla natura del rapporto tra i medesimi intercorrente, assumendo invece rilevanza determinate la sola circostanza che l’opera degli ausiliari si inserisca nel procedimento esecutivo del rapporto obbligatorio instauratosi tra ente e paziente64. La struttura sanitaria non risponde, quindi, di un illecito altrui, ma esclusivamente in ragione del proprio inadempimento,
62 Tale orientamento si fa risalire a Cass. 21.12.1978, n. 6141. Al riguardo, si vedano altresì, in particolare, Cass., S.U., 11.1.2008, n. 577, cit.; Cass. 26.1.2006, n. 1698; Cass. 19.4.2006, n. 9085;
Cass. 28.5.2004, n. 10297; Cass. 11.3.2002, n. 3492; 14.7.2003, n. 11001; Cass. 21.7.2003, n. 11316.
63 Si veda infra, capitolo II, paragrafo 3 e capitolo III, paragrafi 5-8.
64 Tra le altre, si veda Cass. 11.12.2012, n. 22619. Sul punto, si veda altresì ALPA G., Orientamenti della giurisprudenza sulla nuova disciplina della responsabilità medica, in Contratto e impr., 2019, p. 1-8.
giacché l’opera del medico ausiliario costituisce «mezzo di esecuzione» della
prestazione, oggetto dell’obbligazione dalla stessa assunta65.
Per completezza, deve rilevarsi che la tesi che fonda la responsabilità contrattuale della struttura pubblica (o convenzionata) nella legge non è totalmente sopita. Ancora di recente, la Suprema Corte ha infatti affermato che la legge istitutiva del Servizio Sanitario Nazionale pone a carico di quest’ultimo l’obbligo, ex lege appunto, di erogare, direttamente o attraverso strutture convenzionate, prestazioni di prevenzione, di cura, di riabilitazione e di medicina legale (artt. 14, 19 e 25 della l. n. 833 del 1978)66.
Di conseguenza, l’utente che richiede una prestazione (in esenzione o con ticket) al S.S.N. eserciterebbe un diritto soggettivo pubblico, riconosciutogli direttamente dalla legge e che la legge stessa impone al S.S.N. di soddisfare, in assenza di contratto tra le parti: «il rapporto che si instaura con la struttura sanitaria pubblica o convenzionata rappresenta l’attuazione (che ha titolo direttamente nella legge) di questo obbligo di prestazione e non suppone la stipula,
65 In proposito, si veda Cass. 11.11.2019, n. 28987. Si vedano, altresì, DE MATTEIS R., Le Responsabilità in Ambito Sanitario, CEDAM, Padova, 2017, p. 141 e 142; BIANCA C.M., La Responsabilità, in Diritto civile V, Xxxxxxx, Milano, 2012, ristampa 2019, p. 71, ove si precisa che
«Ciò che importa, ai fini della responsabilità del debitore, è che l’attività dell’ausiliario sia inserita nel procedimento esecutivo del rapporto obbligatorio. Mediante questo inserimento, il debitore fa sua l’attività dell’ausiliario nei confronti del creditore».
66 Si veda Cass. 2.4.2009, n. 8093, ove si afferma quanto segue: «il rapporto fra il cittadino-utente che si rivolga alla struttura sanitaria pubblica per ottenere una prestazione, se del caso ospedaliera o ad una struttura convenzionata in totale esenzione o previo pagamento di ticket non si può qualificare come contratto, trattandosi soltanto dell’adempimento di un dovere di prestazione direttamente discendente dalla leggi, automaticamente attivato dalla richiesta del cittadino-utente»; si vedano anche Cass. 24.12.2014, n. 27391 e Cass. 27.3.2015, n. 6243. Nelle prime due decisioni (del 2009 e del 2014), la soluzione adottata era funzionale a sottrarre la fattispecie alla disciplina del codice del consumo (che infatti presuppone la conclusione di un contratto tra professionista e consumatore). Nell’ultima (del 2015), essa ha consentito di affermare la responsabilità dell’A.S.L. per i danni cagionati all’assistito dalla condotta inappropriata del medico di base, considerato quale ausiliario della A.S.L., obbligata ex lege all’erogazione del servizio di assistenza medico generica. Il tema della responsabilità del medico di base sarà approfondito nel prosieguo (cfr. infra, capitolo III, paragrafo 8).
nemmeno tacita, di un contratto67», del quale mancherebbero i presupposti giustificativi non solo a livello normativo, ma anche a livello fattuale68. Anche il riferimento alla figura dell’obbligo a contrarre, richiamata dalla dottrina, sarebbe inadeguato, poiché la legge direttamente impone «l’oggetto del diritto soggettivo del cittadino-utente» e non «l’obbligo di contrattare una prestazione69».
Occorre comunque evidenziare che la diversità della fonte non incide sulla natura del rapporto che si instaura tra assistito e struttura e, conseguentemente, sul regime di responsabilità: la stessa Suprema Corte si è preoccupata di precisare che le proprie conclusioni non confliggono con «la comune ed ormai acquisita qualificazione come contrattuale della responsabilità della struttura ospedaliera anche pubblica70».
D’altro canto, è stato osservato che, anche nelle ricostruzioni più risalenti e maggiormente attente ai profili pubblicistici, a seguito dell’atto di ammissione e dunque, dell’accertamento delle condizioni di fruibilità del servizio, all’utente è comunque riconosciuto un diritto soggettivo, quindi regolato «secondo i termini delle obbligazioni71». Più precisamente, mentre a fronte dell’esercizio dei poteri di programmazione e organizzazione delle concrete modalità di erogazione del servizio, il privato sarebbe titolare di meri
67 Cass. 2.4.2009, n. 8093.
68 In proposito, si veda ZENCOVICH Z., Una Commedia degli Errori? La Responsabilità Medica fra Illecito e Inadempimento, in Riv. dir. civ., 2008, p. 297 e ss. ed in particolare, p. 314 e 315, ove l’autore si mostra critico rispetto alla configurabilità di un contratto tra paziente e S.S.N., di cui mancherebbero gli elementi essenziali. Infatti, «nel rapporto fra paziente e servizio sanitario nazionale è assente qualsiasi interazione di tipo economico» in quanto la struttura sanitaria pubblica è remunerata dalla fiscalità generale ed il paziente può contribuirvi proporzionalmente ai propri redditi, pagando eventualmente un ticket, che non può essere inteso quale
«corrispettivo». Si veda anche POMIATO R., La Responsabilità nella Relazione di Cura. Note Critiche e Ricostruttive sulle Fattispecie di Responsabilità Introdotte dalla Riforma “Gelli-Bianco”, in Jus Civile, 2018, p. 763 ss.
69 Cass. 2.4.2009, n. 8093, cit.
70 ID.
71 Si veda POMIATO R., La Responsabilità nella Relazione di Cura. Note Critiche e Ricostruttive sulle
Fattispecie di Responsabilità Introdotte dalla Riforma “Gelli-Bianco”, in Jus Civile, 2018, p. 766.
interessi di fatto (o, al più, di interessi legittimi), una volta accertati i presupposti di fruibilità della prestazione, verrebbe a trovarsi in una situazione identica a quella conseguente alla conclusione di un contratto.
Tale ultimo orientamento non sembra, tuttavia, avere avuto seguito nella più recente giurisprudenza di merito72 e non pare neppure essersi imposto in sede di legittimità73. Nel complesso, infatti, richiamando massime consolidate che si riferiscono indistintamente alla struttura pubblica e privata, la giurisprudenza continua ad individuare, nel contratto, generalmente individuato come «contratto di spedalità», il fondamento giuridico del rapporto tra la struttura sanitaria ed il paziente che ad essa si sia rivolto.
3.1. Segue: il «contratto di spedalità».
Una volta affermata la natura, contrattuale, del rapporto tra paziente e struttura sanitaria (pubblica o privata) e della conseguente, eventuale, responsabilità di quest’ultima, si è posto il problema di individuare lo schema contrattuale cui ricondurre il contratto concluso tra questi due soggetti.
Per lungo tempo, l’indicato legame contrattuale è stato interpretato e disciplinato facendo riferimento al paradigma del contratto di prestazione d’opera intellettuale.
72 Si vedano, tra gli altri, Trib. Palermo, 2.5.2019; Trib. Milano, 28.10.2020; Trib. Catania, 22.10.2020; Trib. Roma, 2.10.2020; Trib. Roma, 18.8.2020; Corte d’Appello Xxxxxx, 00.0.0000; Trib. Civitavecchia, 14.10.2020.
73 Vi sono, infatti, sentenze successive che pongono il contratto di spedalità a fondamento del rapporto tra paziente e struttura sanitaria. Si vedano, tra le altre, Cass. 19.10.2015, n. 21090 e Cass. 18.9.2014, n. 19658 che riguardano strutture pubbliche, nonché Cass. 29.1.2018, n. 2060 e Cass. 5.7.2017, n. 16488 che, pur riguardando strutture private, ribadiscono il consolidato principio secondo il quale l’accettazione del paziente, non solo in una struttura privata ma anche pubblica, deputata a fornire assistenza sanitaria ai fini del ricovero o di una visita ambulatoriale, comporta la conclusione del cd. contratto di spedalità (o assistenza sanitaria).
In particolare, alcuni interpreti e parte della giurisprudenza hanno optato per una sua riconduzione alla figura tipica del contratto di prestazione d’opera intellettuale, applicando, di conseguenza, in via diretta, la disciplina di cui agli artt. 2229 e ss. c.c., compresa la regola dettata dall’art. 2236 c.c.74 Altra parte ha invece propeso per un’applicazione solo analogica delle disposizioni che regolano l’esecuzione del contratto d’opera professionale, sulla premessa che l’ente svolga «un’attività di tipo professionale-medico, […] analoga a quella del medico privato75», con le medesime conseguenze in punto di applicabilità dell’art. 2236 c.c. Questo secondo orientamento ha dunque ricondotto il contratto tra paziente e struttura ad un contratto atipico, senza tuttavia discostarsi dal primo, in relazione alle conseguenze disciplinari.
Entrambe le soluzioni determinavano, però, un insoddisfacente
«appiattimento della responsabilità della struttura su quella del medico76»: l’attenzione veniva concentrata sulla sola prestazione medica ed infatti, per poter accertare la responsabilità contrattuale della struttura, si riteneva necessario provare un comportamento doloso o colposo del medico ivi operante77.
74 Si veda, tra le altre, Cass. 21.12.1978, n. 6141, la quale afferma che «è di natura contrattuale, la responsabilità di un ente ospedaliero per i danni causati a un paziente dalle prestazioni mediche dei sanitari dipendenti, poiché l'ente, obbligandosi ad eseguire le prestazioni, ha concluso col paziente un contratto d'opera intellettuale». Si vedano, altresì, Cass. 9.3.1965, n. 375; Cass. 4.6.1979, n. 3158 e Cass. 24.3.1979, n. 1716.
75 Trib. Vicenza, 27.1.1990. Si veda anche, tra le altre, Cass. 1.3.1988, n. 2144: «l’attività svolta dall'ente pubblico gestore del servizio a mezzo dei suoi dipendenti, nell'adempimento del dovere verso il privato richiedente (titolare del corrispondente diritto soggettivo), è di tipo professionale medico; similare all'attività svolta, nell'esecuzione dell'obbligazione (privatistica) di prestazione, dal medico che abbia concluso con il paziente un contratto d'opera professionale».
76 Cass., S.U., 11.1.2008, n. 577, cit.
77 La riconduzione del contratto stipulato tra struttura e paziente all’archetipo del contratto d’opera professionale è stata agevolata dall’applicazione giurisprudenziale della teoria dell’immedesimazione organica, al fine di estendere all’ente ospedaliero la responsabilità del medico dipendente, che avesse cagionato danni alla salute del paziente. In proposito, Xxxx. 22.1.1999, n. 589, cit. riportando un orientamento che ha ritenuto di superare, ha affermato quanto segue: «Quando passa a valutare la natura della responsabilità del medico, il predetto
La dottrina non ha tardato a porre in evidenza come sarebbe stato più corretto inquadrare il contratto in esame come contratto atipico78 avente ad oggetto una prestazione articolata, definita genericamente di «assistenza sanitaria79», comprensiva non solo della prestazione medica80, ma anche di una serie di ulteriori prestazioni riferibili esclusivamente all’ente, alcune in rapporto di accessorietà con il trattamento sanitario vero e proprio, quali la predisposizione e la manutenzione degli impianti e degli strumenti sanitari ed
orientamento osserva che, per l’art. 28 cost., accanto alla responsabilità dell'ente esiste la responsabilità del medico dipendente; che tali responsabilità hanno entrambe radice nell'esecuzione non diligente della prestazione sanitaria del medico, nell'ambito dell'organizzazione sanitaria, che, stante detta comune radice, la responsabilità del medico dipendente è come quella dell'ente pubblico di tipo professionale contrattuale; che pertanto ad essa vanno applicate analogicamente le norme che regolano la responsabilità del medico in tema di prestazione professionale, in esecuzione di un contratto d'opera professionale».
78 Si vedano, in particolare, XXXXXXX F., Contratto e Responsabilità Contrattuale nell’Attività Sanitaria, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 1984, p. 721, ove l’autore qualifica il contratto in esame come contratto atipico riconducibile allo schema della locatio operis, regolato dai principi generali sui contratti e DE MATTEIS R., Le Responsabilità in Ambito Sanitario, CEDAM, Padova, 2017, p. 110 ss., ove l’autrice evidenzia come la riconduzione del contratto di spedalità ai tipi contrattuali disciplinati dal Legislatore sia insoddisfacente: i servizi di cura e assistenza, se prestati in favore di persone, non si presterebbero ad essere inquadrati né nell’ambito dell’appalto, la cui disciplina è modellata più sull’esecuzione di un opera che sulla prestazione di un servizio, né in quello della somministrazione, che ha ad oggetto “cose” e, d’altro canto, la rilevanza dell’aspetto organizzativo, rende inidoneo un inquadramento nel contratto d’opera intellettuale. Al contrario, la soluzione dovrebbe essere ricercata, valorizzando il carattere atipico di tale contratto (che lo allontana dalla categoria del contratto misto e dalla tecnica dell’assorbimento) ed attingendo, nell’ampio schema della locatio operis, dalla regolamentazione di quei contratti diretti ad offrire servizi alla persona. Si veda, altresì, XXXXXXXXX P. E XXXXXXXX V., Attività Sanitaria e Responsabilità Civile, Xxxxxxx, Milano, 1998, p. 505 ss.
79 Tale terminologia viene adottata da De Matteis in DE MATTEIS R., La Responsabilità Medica.
Un Sottosistema della Responsabilità Civile, CEDAM, Padova, 1995, p. 296 e ID., Le Responsabilità in Ambito Sanitario, CEDAM, Padova, 2017 p. 118.
80 Si veda, peraltro, XXXXXXX F., Xxxxxxxxx e Responsabilità Contrattuale nell’Attività Sanitaria, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 1984, p. 720 ss., ove l’autore osserva come oggetto del contratto concluso tra struttura e paziente non sia la prestazione intellettuale del debitore, bensì la prestazione intellettuale altrui, cioè quella del medico, ausiliario del debitore ex art. 1228 c.c.: tale considerazione sarebbe già di per sé sufficiente ad escludere la qualificazione di tale contratto come contratto d’opera professionale, fondato invece sul principio della
«personalità» della prestazione. In tal modo, viene peraltro rifiutata una concezione di struttura sanitaria quale «medico collettivo».
altre, tendenzialmente autonome, latu sensu alberghiere (quali il vitto e
l’alloggio)81.
La struttura, infatti, si impegna ad attuare una serie di attività, volte ad assicurare al paziente un servizio completo ed efficiente: oltre alla prestazione di cura, assume rilevanza l’aspetto organizzativo del servizio stesso82.
Peraltro, il richiamo alla disciplina prevista per il contratto d’opera professionale determinava un ulteriore risvolto problematico, giacché l’art. 2236 c.c. attiene al profilo della perizia (e non a quello della diligenza) e, conseguentemente, non si presta ad essere applicato ad un ente di gestione.
Sollecitata dalle riflessioni dottrinali richiamate e dall’emersione, nella pratica giuridica, di ipotesi di responsabilità dell’ente ospedaliero per danni imputabili a carenze organizzative o al malfunzionamento dei macchinari, non riconducibili ad illeciti del personale sanitario83, la Suprema Corte è giunta a riconoscere esplicitamente l’autonomia del rapporto tra struttura e paziente, rispetto a quello tra paziente e medico84, precisando che esso trova fonte in un contratto atipico, a prestazioni corrispettive, comunemente indicato come
81 In proposito, si veda PRINCIGALLI A. M., La Responsabilità del Medico, Xxxxxx, Napoli, 1983, p. 266.
82 Si veda ID., p. 36.
83 Una esaustiva indagine della casistica giurisprudenziale (che comprende ipotesi di responsabilità per mancanza di sicurezza delle attrezzature, di protezione della salute dei ricoverati o dei terzi, per omessa custodia degli assistiti o per danni anonimi) è riportata in DE MATTEIS R., Le Responsabilità Medica. Un Sottosistema della Responsabilità Civile, CEDAM, Padova, 1995, p. 313 ss.
84 Si vedano, in particolare, Cass., S.U., 11.1.2008, n. 577, cit. e Cass., S.U., 1.7.2002, n. 9556; in particolare, in quest’ultima pronuncia, dopo aver esplicitato il contenuto del contratto «di spedalità», la Suprema Corte ha chiarito che è configurabile «una responsabilità diretta e autonoma della casa di cura, ove il danno subito dal paziente risulti causalmente riconducibile ad una inadempienza delle obbligazioni ad essa facenti carico», a prescindere dalla responsabilità del medico operante al suo interno. Si vedano anche Xxxx., S.U., 1.7.2002, n. 9556, cit.; Cass. 14.7.2004, n. 13066; Cass. 26.1.2006, n. 1698; Cass. 14.6.2007, n. 13953; Cass. 11.12.2012, n. 22619;
Cass. 22.9.2015, n. 18610.
«contratto di spedalità»85. In virtù di tale contratto, che si considera stipulato con l’accettazione del paziente nella struttura sanitaria e che, conseguentemente, vincola esclusivamente questi due soggetti, la struttura si obbliga fornire, come già rilevato in dottrina, una prestazione complessa, comprendente prestazioni di cura, assistenza e sorveglianza (cioè obblighi di cd. protezione86), prestazioni organizzative di mezzi e personale e prestazioni lato sensu alberghiere87.
85 Tra le prime pronunce (se non la prima) ad aver introdotto il «contratto di spedalità» nel panorama giurisprudenziale, va indicata la sentenza del Trib. Verona, 4.10.1990 che, tuttavia, come evidenziato da autorevole dottrina (cfr. DE MATTEIS R., La Responsabilità Medica. Un Sottosistema della Responsabilità Civile, CEDAM, Padova, 1995, p. 296 ss.), non ha tratto da tale qualificazione le dovute conseguenze in punto di disciplina applicabile, ribadendo la necessità di ricorrere a quella del contratto d‘opera professionale.
86 Sul punto, si veda Cass. 4.8.1987, n. 6707, ove si afferma che l’ente ospedaliero è debitore di un servizio composito: «la protezione è parte essenziale, a volte la massima parte, della cura sanitaria, sicché è implicita nello stesso concetto di “cura”».
87 Si veda Cass. 14.6.2007, n. 13953: «il rapporto che si instaura tra paziente e casa di cura (o ente ospedaliero) ha la sua fonte in un atipico contratto a prestazioni corrispettive con effetti protettivi nei confronti del terzo, da cui, a fronte dell'obbligazione al pagamento del corrispettivo (che ben può essere adempiuta dal paziente, dall'assicuratore, dal servizio sanitario nazionale o da altro ente), insorgono a carico della casa di cura (o dell'ente), accanto a quelli di tipo “lato sensu” alberghieri, obblighi di messa a disposizione del personale medico ausiliario, del personale paramedico e dell'apprestamento di tutte le attrezzature necessarie, anche in vista di eventuali complicazioni od emergenze. Ne consegue che la responsabilità della casa di cura (o dell'ente) nei confronti del paziente ha natura contrattuale e può conseguire, ai sensi dell’art. 1218 cod. civ., all'inadempimento delle obbligazioni direttamente a suo carico, nonché, in virtù dell’art. 1228 cod. civ., all'inadempimento della prestazione medico- professionale svolta direttamente dal sanitario, quale suo ausiliario necessario pur in assenza di un rapporto di lavoro subordinato, comunque sussistendo un collegamento tra la prestazione da costui effettuata e la sua organizzazione aziendale, non rilevando in contrario al riguardo la circostanza che il sanitario risulti essere anche “di fiducia” dello stesso paziente, o comunque dal medesimo scelto». Si vedano anche Cass. 8.1.1999, n. 103; Cass. 13.1.2005, n. 571; Cass. 26.1.2006, n. 1698, Cass. 14.6.2007, n. 13953; Cass. 22.9.2015, n. 18610.
Con riferimento alla massima soprariportata, giova ricordare che il contratto con effetti
protettivi a favore dei terzi (Vertrag mit Schutzwirkung für Dritte) è una figura giuridica elaborata dalla dottrina e dalla giurisprudenza tedesche, successivamente importata nel nostro ordinamento. Sull’argomento, si vedano, tra gli altri, VARANESE G., Il Contratto con Effetti Protettivi per i Terzi, Ed. Scientifiche Italiane, Napoli, 2004; LAMBO L., Obblighi di Protezione, CEDAM, Padova, 2007; BIANCA C. M., Il Contratto, in Diritto civile III, Xxxxxxx, Milano, 2000, ristampa 2015, p. 571 ss.
L’interpretazione del contratto stipulato tra struttura sanitaria e paziente quale contratto con effetti protettivi per i terzi ha consentito alla giurisprudenza, nel settore sanitario, di riconoscere tutela, oltre che al paziente, ai soggetti terzi cui si estendono tali effetti protettivi
Secondo la giurisprudenza, si tratterebbe di un contratto commutativo a titolo oneroso, poiché la prestazione viene erogata a fronte del pagamento di un corrispettivo, posto, a seconda dei casi, a carico del paziente, dell’assicuratore, del Servizio Sanitario Nazionale o di altro ente88.
Con specifico riferimento alla disciplina ad esso applicabile, la giurisprudenza privilegia il richiamo alla disciplina generale delle obbligazioni e del contratto, avendo abbandonato «il richiamo, alquanto artificioso, alla disciplina del contratto d'opera professionale89».
ed in particolare, oltre che alla gestante stessa, anche al nascituro, subordinatamente alla nascita (cfr. Cass. 22.11.1993, n. 11503 e Cass. 9.5.2000, n. 5881) ed al padre, nel caso di omessa diagnosi di malformazioni del feto e conseguente nascita indesiderata (cfr., tra le altre, Cass. 10.5.2002, n. 6735; Cass. 29.7.2004, n. 14488; Cass. 20.10.2005, n. 20320). Per la giurisprudenza, infatti, «l’efficacia del contratto, che si determina in base alla regola generale ex art. 1372 c.c. tra le parti, si estende a favore di terzi soggetti […] in virtù della lettura costituzionale dell’intera normativa in tema di efficacia e di interpretazione del contratto, per cui tale strumento negoziale non può essere considerato al di fuori della visione sociale (e non individuale) del nostro ordinamento, caratterizzato dalla centralità della persona» (cfr. Cass. 11.5.2009, n. 10741). La Suprema Corte ha inoltre precisato che i cd. «contratti di protezione» si caratterizzano per il fatto che «gli interessi da realizzare attengono alla sfera della salute in senso ampio, di guisa che l'inadempimento del debitore è suscettivo di ledere diritti inviolabili della persona cagionando pregiudizi non patrimoniali» (cfr. Xxxx., S.U., 28.11.2008, nn. da 26972 a 26975). Per ulteriori considerazioni sull’argomento, si veda anche infra, capitolo III, paragrafo 4.
88 Si veda, tra le altre, Cass. 14.6.2007, n. 13953, cit. Taluna dottrina ha invece distinto i contratti
stipulati tra pazienti e le strutture private non accreditate, che porrebbero a carico dei primi l’obbligo di corrispondere una controprestazione in denaro e sarebbero dunque onerosi, dai contratti stipulati tra utenti del S.S.N. e le strutture pubbliche o private accreditate che, inserendosi nell’ambito di una relazione trilaterale a rilievo pubblicistico, sarebbero invece inquadrabili come contratti gratuiti. Infatti, l’eventuale previsione di un ticket a carico dell’utente non potrebbe rilevare quale corrispettivo del servizio ma, al più, quale contributo (essendone esclusi gli indigenti). In proposito, si veda DE MATTEIS R., Le Responsabilità in Ambito Sanitario, in VISINTINI G. (a cura di), Trattato della Responsabilità Contrattuale, volume II, I Singoli Contratti, CEDAM, Padova, 2011.
89 Cass., S.U., 11.1.2008, n. 577, cit.
4. La responsabilità del medico che opera presso una struttura sanitaria.
Come anticipato, i maggiori problemi di qualificazione giuridica hanno riguardato la responsabilità del medico che opera presso una struttura sanitaria.
La soluzione contrattuale, che si è ormai consolidata in giurisprudenza, costituisce l’esito di un articolato percorso che ha coinvolto anche la dottrina ed è opportuno richiamare nei suoi snodi fondamentali.
Occorre, infatti, tenere in considerazione che l’interposizione dell’ente nel rapporto tra medico e paziente può determinare una dissociazione tra le parti della relazione di cura e le parti dell’obbligazione di cura.
Ciò si verifica, senz’altro, nelle ipotesi in cui il medico eroghi le proprie prestazioni presso la struttura sulla base di un rapporto di lavoro dipendente (o assimilato), pubblico o privato ma anche, più in generale, ove possa essere considerato suo ausiliario ex art. 1228 c.c. poiché, in questi casi, il rapporto contrattuale diretto intercorre tra paziente ed ente, mentre il medico resta estraneo al contratto90.
Il medico rimane comunque obbligato all’esecuzione della prestazione sanitaria, ma solo ed unicamente nei confronti della struttura, in virtù del rapporto (di lavoro o, comunque, di collaborazione) che lo lega ad essa.
Tali considerazioni spiegano perché, in questi casi, inizialmente gli
interpreti avevano ricondotto la responsabilità del medico nell’area
90 In proposito, si veda quanto già osservato supra, capitolo I, paragrafo 3. Si vedano, inoltre,
infra, capitolo II, paragrafo 3 e capitolo III, paragrafi 6, 7, 8.
aquiliana91: se tra medico ed assistito non c’è un contratto, la responsabilità
non può che essere extracontrattuale.
La responsabilità, extracontrattuale, del medico si accompagnava così a quella, contrattuale, dell’ente. Poiché entrambi questi soggetti sono obbligati alla medesima prestazione risarcitoria nei confronti del paziente danneggiato, la giurisprudenza ha ritenuto configurabile una responsabilità concorrente, in via solidale92, tra medico e struttura sanitaria, anche se a diverso titolo. Il
91 In dottrina, si vedano XXXXXXXX X., La Responsabilità del Professionista, Xxxxxxx, Milano, 1958,
p. 313 ss.; XXXXXXX F., Xxxxxxxxx e Responsabilità Contrattuale nell’Attività Sanitaria, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 1984, p. 722 ss.; PRINCIGALLI A. M., La Responsabilità del Medico, Xxxxxx, Napoli, 1983, p. 13 e 14; XXXXXXXXX Z., Una Commedia degli Errori? La Responsabilità Medica fra Illecito e Inadempimento, in Riv. dir. civ., 2008, p. 314 ss.; GELLI F., XXXXX M., ZORZIT D. (a cura di), La Nuova Responsabilità Sanitaria e la Sua Assicurazione. Commento Sistematico alla Legge 8 Marzo 2017, n. 24 (Cd. Xxxxx Xxxxx), Xxxxxxx, Milano, 2017, p. 264 ss.; DE XXXXX X., La Responsabilità Medica. Individuazione della Disciplina e problemi di qualificazione, Xxxxxxxxxxxx Ed., Torino, 2018; SINISCALCHI A. M., Il Doppio Regime di Responsabilità del Medico: Ritorno al Passato o Nuova Prospettiva di Tutela per il Paziente, in Danno e resp., 2019, p. 461 ss.
In giurisprudenza, si vedano Cass. 24.3.1979, n. 1716; Cass. 26.3.1990, n. 2428; Trib Xxxxxxx, 00.0.0000.
92 La giurisprudenza ravvisa i presupposti della solidarietà risarcitoria anche quando i titoli di responsabilità sono differenti. Sul punto, si veda Cass., S.U., 15.7.2009, n. 16503 che aderisce ad un orientamento consolidato (cfr., ex multis, Cass. 4.3.1993, n. 2605 e Cass. 19.1.1996, n. 418) secondo il quale «per il sorgere della responsabilità solidale dei danneggianti l’art. 2055, comma 1,
c.c. richiede solo che il fatto dannoso sia imputabile a più persone, ancorché le condotte lesive siano tra loro autonome e pure se diversi siano i titoli di responsabilità di ciascuna di tali persone, anche nel caso in cui siano configurabili titoli di responsabilità contrattuale e extracontrattuale, atteso che l’unicità del fatto dannoso considerata dalla norma suddetta deve essere riferita unicamente al danneggiato e non va intesa come identità delle norme giuridiche da essi violate».
In proposito, giova ricordare che, come noto, la solidarietà opera verso l’esterno, a vantaggio del creditore, che ha la possibilità di chiedere l’adempimento dell’intera obbligazione a ciascuno dei condebitori (art. 1292 c.c.); diversamente, nei rapporti interni, l’obbligazione in solido si ripartisce tra i condebitori, consentendo al debitore che ha pagato l’intero debito, il regresso pro quota nei confronti degli altri (art. 1299 c.c.). Tuttavia, la ricostruzione proposta, secondo la quale la responsabilità contrattuale della struttura può derivare anche dal fatto del personale medico (art. 1228 c.c.), si ripercuote sul piano della distribuzione dell’onere risarcitorio e, conseguentemente, su quello del diritto di rivalsa in capo alla struttura che abbia eventualmente risarcito integralmente danno. Di recente, la Suprema Corte (cfr. Cass. 11.11.2019, n. 28987) ha chiarito che «in tema di danni da “malpractice” medica nel regime anteriore alla legge n. 24 del 2017, nell’ipotesi di colpa esclusiva del medico la responsabilità dev’essere paritariamente ripartita tra struttura e sanitario, nei conseguenti rapporti tra gli stessi, eccetto che negli eccezionali casi d'inescusabilmente grave, del tutto imprevedibile e oggettivamente improbabile devianza dal programma condiviso di tutela della salute cui la struttura risulti essersi obbligata». Più
paziente danneggiato poteva pertanto scegliere di agire per ottenere l’integrale risarcimento del danno nei confronti di uno soltanto dei soggetti ritenuti responsabili, evidentemente il più solvibile. In alternativa, poteva decidere di non avvantaggiarsi del carattere solidale dell’obbligazione risarcitoria e convenire in giudizio, separatamente, i responsabili, pretendendo da ciascuno il solo ristoro del pregiudizio effettivamente arrecato, in considerazione dell’apporto causale all’evento lesivo.
Tale ricostruzione rientra nello schema del cumulo, cd. improprio, della responsabilità contrattuale della struttura sanitaria debitrice (nei confronti del paziente) e della responsabilità aquiliana del medico che opera
precisamente, è stato ritenuto che la struttura sanitaria, avvalendosi della collaborazione del personale per adempiere alle proprie obbligazioni, assuma su di sé il rischio d’impresa. Per questo motivo, nel caso in cui abbia provveduto a risarcire l’intero danno al paziente, le è precluso l’esercizio di un diritto di rivalsa integrale nei confronti del medico in quanto,
«diversamente opinando, l'assunzione del rischio d'impresa per la struttura si sostanzierebbe, in definitiva, nel solo rischio d'insolvibilità del medico». Tale soluzione incontra però un limite, laddove sia riscontrabile «un evidente iato tra (grave e straordinaria) "malpractice" e (fisiologica) attività economica dell'impresa, che si risolva in vera e propria interruzione del nesso causale tra condotta del debitore (in parola) e danno lamentato dal paziente». Pertanto, secondo la Corte di cassazione, per escludere la propria corresponsabilità e superare la presunzione di divisione paritaria pro quota dell’obbligazione risarcitoria solidale, che sarebbe desumibile, quale principio generale, dagli artt. 1298 e 2055 c.c., la struttura deve dimostrare non solo che l’inadempimento sia ascrivibile esclusivamente alla condotta del medico (e non a deficienze organizzative alla stessa imputabili) ma, altresì, che quest’ultima sia «del tutto dissonante rispetto al piano dell'ordinaria prestazione dei servizi di spedalità, in un'ottica di ragionevole bilanciamento del peso delle rispettive responsabilità sul piano dei rapporti interni».
Questa soluzione riprende le riflessioni della dottrina (cfr. D’ADDA A., Ausiliari, Responsabilità
Solidale e “Rivalse”, in Rivista di diritto civile, 2018, p. 361 ss.) che ha evidenziato come il regresso del debitore verso l’ausiliario inadempiente, conseguente alla ritenuta natura solidale delle responsabilità gravanti su questi soggetti nei confronti del creditore, trovi delle limitazioni nel sistema del diritto delle obbligazioni (prima ancora che nella disciplina di settore) ed in particolare, proprio nell’art. 2055 c.c., richiamato dalla giurisprudenza. La disposizione individua dei criteri per proporzionare il peso della contribuzione di ciascuno dei debitori solidali al risarcimento e suggerisce meccanismi presuntivi per il caso in cui la consistenza dell’apporto di ciascuno di essi rimanga dubbia.
Infine, si consideri che, nel contesto della legge Gelli-Bianco (l. 8.3.2017, n. 24), la rivalsa è espressamente disciplinata dall’art. 9. Per ulteriori considerazioni sulla tematica, si veda infra, capitolo II, paragrafo 3.
al suo interno, il quale, come detto, si trova nella posizione di terzo estraneo al rapporto obbligatorio93.
Al danneggiato veniva quindi attribuita la facoltà, mediata dalla scelta del soggetto contro cui agire, di azionare la tutela risarcitoria ritenuta più vantaggiosa, secondo le circostanze del caso concreto (analogamente a quanto avviene nel cumulo proprio).
In questo caso, il cumulo delle responsabilità può essere considerato quale conseguenza del carattere solidale della responsabilità del debitore e dell’ausiliario (artt. 1228 e 2043 c.c.).
Al di là del diverso titolo di imputazione, rispettivamente contrattuale ed extracontrattuale, infatti, il substrato giuridico, cioè il danno, su cui le obbligazioni risarcitorie si reggono, è il medesimo per entrambi i soggetti. È dunque ravvisabile quell’eadem causa obligandi su cui si fondano, appunto, le obbligazioni solidali. Precisamente, oltre ad esservi più soggetti obbligati (debitore ed ausiliario) tenuti ad una medesima prestazione (ristoro del
93 Si vedano, in particolare, Cass. 24.3.1979, n. 1716; Cass. 22.1.1999, n. 589, cit.; Trib. Vicenza, 27.1.1990. Si vedano, altresì, X. XXXXXXXX, La Responsabilità Contrattuale del Medico Dipendente: il “Contatto Sociale” Conquista la Cassazione, in Resp. civile e previdenza, 1999, p. 669 e 670 e R. DE MATTEIS, La Responsabilità Medica ad una Svolta? - Il Commento, in Danno e Resp., 2005, p. 23 ss., ove l’autrice evidenzia come, attraverso il cd. cumulo improprio, più soggetti, a diverso titolo, siano chiamati a rispondere solidalmente del medesimo fatto che qui si configura, per la struttura sanitaria ove ha operato il medico, come inadempimento al contratto stipulato con il paziente e, per il medico, come atto illecito; D. M. FRENDA, Il Concorso di Responsabilità Contrattuale e Aquiliana. Soluzioni Empiriche e Coerenza del Sistema, CEDAM, Padova, 2013, p. 25 e 26, ove l’autrice individua il tratto discriminante tra le fattispecie di cumulo proprio e di cumulo improprio, precisando che «mentre, nella prima ipotesi, ad essere leso è un unico interesse facente capo ad un soggetto che assume, per la particolarità del caso, sia la qualifica di creditore sia quella di un qualsiasi danneggiato (e, dunque, si vede violato sia un diritto di credito, sia un diritto assoluto o un interesse di fatto tutelato dall’ordinamento, come il possesso), nella seconda, invece, ad essere lesi sono più interessi meritevoli di tutela (e che, a seconda delle circostanze, sono riferibili ciascuno a un diverso soggetto, ovvero tutti al medesimo)» e p. 184 ss.
danno), vi è un unico fatto generatore delle obbligazioni94, rappresentato dal danno provocato dall’ausiliario, comune ad entrambi i soggetti tenuti al risarcimento, secondo lo schema di cui all’art. 1292 c.c.
Sul finire degli anni Settanta, la tesi della natura extracontrattuale della responsabilità del medico dipendente95 è stata però oggetto di numerose e decise critiche provenienti dalla dottrina96, poi fatte proprie dalla giurisprudenza.
In particolare, è stato osservato come il rapporto tra il medico ed il paziente, anche in questa ipotesi, non si presti ad un inquadramento ai sensi dell’art. 2043 c.c. perché il primo, lungi dall’essere un quisque de populo rispetto al secondo, sarebbe portatore, già prima dell’insorgenza del danno, di obblighi che, in quanto specificamente indirizzati alla salvaguardia della salute di un determinato soggetto, non possono essere ricondotti al generale dovere del neminem laedere. Lo status professionale del medico qualificherebbe la relazione con il malato affidatogli, differenziandolo così da un danneggiante qualsiasi.
È stato altresì rilevato che, se la responsabilità del medico avesse natura aquiliana e fosse dunque intesa quale violazione dell’alterum non laedere, essa sarebbe configurabile solo allorché il paziente si trovasse, a seguito
94 Si veda BIANCA C.M., L’Obbligazione, in Diritto civile IV, Xxxxxxx, Milano, 1993, ristampa 2015,
p. 699 ss., l’autore ritiene che fra il creditore e i debitori in solido intercorra un fascio di rapporti obbligatori collegati.
95 Si fa riferimento al medico dipendente perché è su questa fattispecie che si sono concentrate le critiche dottrinali, in quanto più frequente nella casistica giurisprudenziale. Si tenga comunque presente che le considerazioni riguardanti il medico dipendente sono generalmente estensibili a tutte le ipotesi in cui il medico possa essere considerato ausiliario dell’ente ex art. 1228 c.c., cioè in quelle ipotesi in cui non è possibile rinvenire un legame contrattuale diretto tra medico (ausiliario, appunto) e paziente (creditore).
96 Si vedano DE MATTEIS R., La Responsabilità Medica. Un Sottosistema della Responsabilità Civile,
XXXXX, Padova, 1995, p. 19 ss.; D’ORSI V., La Responsabilità Civile del Professionista, Xxxxxxx, Milano, 1981, p. 179 ss.; XXXXXXXXXX C., L’Obbligazione Senza Prestazione ai Confini tra Contratto e Torto, in Studi in onore di X. Xxxxxxx, I, Milano, 1995, p. 147 ss.
dell’intervento medico, in una condizione deteriore rispetto a quella di partenza. Invece, le ipotesi in cui l’intervento non abbia sortito alcun risultato positivo, non potrebbero comportare alcuna responsabilità, poiché non sarebbe configurabile alcun danno rispetto alla situazione quo ante. Tuttavia, gli interpreti (anche quelli che sostengono la natura extracontrattuale della responsabilità del medico dipendente nei confronti del paziente) non dubitano che entrambe le situazioni indicate siano fonte di responsabilità per il professionista97.
Sulla scorta di queste riflessioni, un diverso e più recente orientamento ha ricondotto anche la responsabilità del medico che opera presso una struttura sanitaria e può definirsi suo ausiliario ex art. 1228 c.c.98, nell’alveo della responsabilità contrattuale99.
Inizialmente, senza prendere posizione sulla fonte del rapporto con il paziente, la Suprema Corte ha ritenuto, per ragioni di equità, di equiparare la responsabilità del medico dipendente a quella del medico libero professionista, precisando che, avendo anch’essa «natura professionale», dovesse essere disciplinata «in via analogica, dalle norme che regolano la responsabilità in tema di prestazione professionale medica in esecuzione di un contratto d’opera professionale100».
97 Si veda Cass. 22.1.1999, n. 589, cit.
98 Si tenga però presente che, in realtà, la giurisprudenza va oltre lo schema di cui all’art. 1228 c.c., addossando sulla struttura, la responsabilità dell’atto medico anche in presenza di un vero e proprio contratto tra medico e paziente, rilevando che sussista comunque un
«collegamento» tra la prestazione medica e l’organizzazione aziendale (cfr. Cass. 28.11.2007,
n. 24742). Tale aspetto sarà oggetto di specifico approfondimento infra, capitolo III, paragrafo 6.
99 Si vedano, tra le altre, Cass. 15.5.1973, n. 1368; Cass. 21.12.1978, n. 6141; Cass. 1.3.1988, n.
2144; Cass. 16.11.1988, n. 6220; Cass. 11.4.1995, n. 4152; Cass. 27.5.1993, n. 5939; Cass. 1.2.1991,
n. 977; Cass. 22.1.1999, n. 589, cit.
100 Cass. 1.3.1988, n. 2144. In senso conforme, si vedano Cass. 27.5.1993, n. 5939, cit.; Cass. 27.7.1998, n. 7336; Cass. 2.12.1998, n. 12233.
Più precisamente, essa ha osservato che, da un lato, l’attività svolta dall’ente pubblico gestore del servizio, a mezzo dei suoi dipendenti, fosse
«similare» a quella svolta dal medico che ha concluso con il paziente un contratto d’opera professionale e, di conseguenza, fosse anch’essa di tipo professionale medico; dall’altro, che la responsabilità del medico dipendente fosse, a sua volta, di tipo professionale, originando, come quella dell’ente, dalla non diligente esecuzione della prestazione sanitaria.
Tuttavia, tale sillogismo è in realtà inidoneo a giustificare la natura contrattuale della responsabilità del medico pubblico dipendente, che non discende né dalla qualifica professionale del soggetto né dalla sua condotta.
La stessa giurisprudenza successiva ha rilevato che la natura della responsabilità dipende, invece, dalla natura del precetto violato e, di conseguenza, l’inquadramento contrattuale della responsabilità consegue ad un comportamento del debitore qualificabile come inadempimento di un suo obbligo nei confronti del creditore, preesistente al danno (e dunque, al sorgere dell’obbligazione risarcitoria).
Va inoltre rilevato che l’applicazione analogica delle norme in materia di prestazione professionale medica in esecuzione di un contratto d’opera professionale ha comportato l’inapplicabilità al medico pubblico dipendente degli artt. 22 e 23 D.P.R. 10.1.1957. In proposito, si vedano, Cass. 27.5.1993, n. 5939; Cass. 11.4.1995, n. 4152; Cass. 27.7.1998, n. 7336; Trib. Xxxxxxx, 00.0.0000 e Trib. Udine, 13.5.1991. In particolare, quest’ultimo (Trib. Udine, 13.5.1991) ha affermato che «Il riconoscimento del carattere contrattuale dell’attività dell’ente che gestisce il servizio sanitario nazionale conduce infatti ad escludere che il medico dipendente possa essere parificato ad un impiegato civile che svolge attività amministrativa». Si consideri, peraltro, che l’entrata in vigore del D.P.R. 20.12.1979, n. 761 (Stato giuridico del personale delle unità sanitarie locali) -il cui art. 28, rinviando al D.P.R. 10.1.1957, n. 3 (Testo Unico delle disposizioni concernenti lo statuto degli impiegati civili dello Stato), aveva esteso ai dipendenti delle unità sanitarie locali la limitazione della responsabilità civile per i danni cagionati nell’esercizio delle proprie funzioni, ai soli casi di dolo o colpa grave-, aveva suscitato perplessità tra gli interpreti poiché sembrava aver introdotto un ulteriore elemento di disparità di trattamento tra medici pubblici dipendenti e medici liberi professionisti, cui poteva applicarsi il solo art. 2236 c.c.
Inoltre, le richiamate argomentazioni della Suprema Corte sottendevano il già denunciato «appiattimento» della responsabilità dell’ente su quella del medico, cioè di responsabilità che sono, invece, autonome l’una dall’altra101.
Cogliendo le criticità di questo orientamento, a partire dalla storica sentenza della Corte di cassazione del 1999102, la natura contrattuale della responsabilità del medico è stata fondata dalla giurisprudenza sulla teorica del contatto sociale, tutte le volte in cui non sia ravvisabile un contratto tra medico e paziente103.
In particolare, la Suprema Corte ha osservato come l’equiparazione della posizione del medico a quella del quisque de populo che, casualmente, arreca un danno a terzi, secondo il modello della responsabilità aquiliana, non possa essere una soluzione rispettosa della «realtà materiale104». Questo perché sia l’ente ospedaliero che il medico dipendente presterebbero un’attività diagnostica e terapeutica nei confronti del paziente nel contesto di un
101 In proposito, si veda supra, capitolo I, paragrafo 3.1.
102 Trattasi di Cass. 22.1.1999, n. 589, cit., in Foro it., 1999, 2, I, 3332, con note di DI CIOMMO F. e XXXXXXX A; in Xxxxx e resp., 1999, 294, con nota di CARBONE V.; in Corr. giur., 1999, 441, con nota di DI MAJO A. e in Resp. civile e previdenza, 1999, 3, 661, con nota di XXXXXXXX M.
Si vedano DE MATTEIS R., Le Responsabilità in Ambito Sanitario, CEDAM, Padova, 2017, p. 2 e ZENCOVICH Z., Una Commedia degli Errori? La Responsabilità Medica fra Illecito e Inadempimento, in Riv. dir. civ., 2008, p. 314 e 315, ove gli autori evidenziano che, sebbene di regola siano i giudici di merito ad aprire la strada a nuovi orientamenti, che solo successivamente e lentamente vengono recepiti in sede di legittimità, in tal caso, è stata la Corte di Cassazione ad imporre la nuova strada, cassando sistematicamente, sulla base dei principi introdotti, le decisioni delle Corti d’Appello. La giurisprudenza maggioritaria ha così aderito ad un orientamento consolidatosi attraverso conformi pronunce di legittimità, anche a Sezioni Unite: si vedano, tra le altre, Cass. 19.2.2013, n. 4030 (si noti, successiva all’introduzione della cd. Xxxxx Xxxxxxxx); Cass., S.U., 11.1.2008, n. 577, cit.; Cass. 13.4.2007, n. 8826; Cass. 19.4.2006, n.
9085; Cass. 26.1.2006, n. 1698; Cass. 29.9.2004, n. 19564; Cass. 21.6.2004, n. 11488; Cass.
14.7.2004, n. 13066; Cass. 28.5.2004, n. 10297; Cass. 19.5.2004, n. 9471; Cass. 21.7.2003, n. 11316.
103 Nel prosieguo (si veda infra, capitolo III, paragrafi 3 e 3.1), tale teorica sarà analizzata in modo più approfondito. In questa sede, ci si limita ad una breve ricostruzione che possa agevolare la comprensione della portata innovativa dell’arresto giurisprudenziale in esame. 104 Cass. 22.1.1999, n. 589, cit.
«preesistente rapporto105», sebbene «sotto un diverso profilo e nei confronti di un diverso soggetto106».
Sotto il primo profilo, quindi, la Corte ha confermato che l’accettazione del paziente all’interno dell’ente ospedaliero comporta la conclusione di un contratto (d’opera intellettuale107) tra le parti.
Sotto il secondo profilo, invece, ha ritenuto opportuno conformarsi alla «più recente ed autorevole dottrina108», secondo la quale la responsabilità del medico avrebbe natura contrattuale, in ragione della pretesa violazione di un’obbligazione senza prestazione avente ad oggetto gli «obblighi di cura impostigli dall’arte che professa109».
La teorizzazione di questo tipo di obbligazioni ha inteso colmare quella zona di confine tra contratto e torto, cui sono ricondotte situazioni caratterizzate dalla presenza di obblighi «specifici» che, seppure non riconducibili a rapporti contrattuali, si differenziano dai doveri «generici» del neminem laedere. Proprio perché non sono ricollegabili a contratti, tali obblighi non hanno ad oggetto la prestazione, ma la «protezione» della sfera di determinati soggetti110.
105 ID.
106 ID.
107 La Suprema Corte fa qui ancora riferimento al contratto d’opera professionale. Come detto, trattasi di un orientamento ormai superato in quanto, attualmente, il contratto tra struttura e paziente viene considerato atipico.
108 Cass. 22.1.1999, n. 589, cit.
109 ID.
110 Pertanto, nel nostro ordinamento, la figura in esame permetterebbe di dare un inquadramento sistematico agli obblighi di protezione derivanti dall’affidamento nella professionalità di un soggetto determinato. Si vedano, in particolare, XXXXXXXXXX C., La Nuova Responsabilità Civile, Xxxxxxx, Milano, 2018, p. 521 e ss.; ID., Ritorno all’Obbligazione Senza Prestazione, in Europa e dir. priv., 2009, p. 679 e ss.; XXXXX L., Obblighi di Protezione, CEDAM, Padova, 2007; ID., Struttura del Rapporto Obbligatorio. Responsabilità Civile e Obblighi di Protezione, in Danno e Resp., 2008, p. 129 e ss.; XXXXX H., XXXXXX R., XXXXX M., PROCIDA MIRABELLI DI LAURO A., L’obbligazione come Rapporto Complesso, Giappichelli Ed., Torino, 2016; PROCIDA MIRABELLI DI LAURO A., L’obbligazione come Rapporto Complesso, in Riv. dir. civ., 2018, p. 910 ss.;
Tuttavia, «tradendo negli esiti le premesse111» dell’impostazione dottrinale accreditata, la Suprema Corte è giunta a sostenere che il medico sia gravato da veri e propri obblighi prestazionali (sia nei confronti dell’ente ospedaliero che del paziente), analoghi a quelli che sarebbero derivati dalla stipulazione di un contratto d’opera professionale con l’assistito.
Più precisamente, il ragionamento svolto dalla Corte si fonda su due presupposti. Il primo è che la distinzione tra le due forme di responsabilità civile vada ricondotta all’esistenza o meno di un vincolo giuridicamente rilevante tra danneggiante e danneggiato, preesistente al danno stesso. Il secondo è che un rapporto obbligatorio tra due soggetti possa sorgere anche in assenza di un contratto.
In relazione al primo aspetto, essa ha dichiarato di condividere quell’impostazione dottrinale, a sua volta influenzata dalla dottrina tedesca112, secondo la quale un’obbligazione può nascere da una relazione sociale, il cd.
«contatto sociale113», idonea ad ingenerare l’affidamento di una parte nella
XXXXXXX A., La Responsabilità da Contatto Sociale, Xxxxxxx, Milano, 2012; PROCCHI F., Xxxxxx Xxx Xxxxxxx: Gli Obblighi Precontrattuali di (Auto) Informazione e la Presunzione Assoluta di ‘Culpa’ in Capo al ‘Venditor’, in Teoria e Storia del Diritto Privato, 2010; XXXXXXXX A., Contatto Sociale e Affidamento, Attori Protagonisti di una Moderna Commedia degli Equivoci, in Jus Civile, 2017, p. 185 ss.
111 In questi termini, DE MATTEIS R., Le Responsabilità in Ambito Sanitario, CEDAM, Padova, 2017, p. 166.
112 Per un approfondimento dell’argomento, si vedano LAMBO L., Obblighi di Protezione, CEDAM, Padova, 2007 e XXXXXXX A., La Responsabilità da Contatto Sociale, Xxxxxxx, Milano, 2012. In estrema sintesi, prendendo spunto dalle riflessioni di precedenti autori (in particolare, Xxxxxx Xxx Xxxxxxx, Xxxxxxx Xxxxx, Xxxxxxxx Xxxxx, Xxxx Xxxxx), Xxxx Von Xxxxxx ha collocato l’affidamento tra le fonti delle obbligazioni e concepito la figura dell’obbligazione senza obbligo primario di prestazione -cui ha ricondotto le ipotesi di obblighi di protezione derivanti dall’affidamento suscitato dallo status di professionista-, successivamente studiata dalla dottrina italiana (in particolare, da Xxxxx Xxxxxxxxxx). In proposito, si veda XXX XXXXXX X., Xxxxxxxx xxx Xxxxxxxxxxxx, X, Xxxxxxxxxxx Xxxx, Xxxxxxx, 0000.
113 Espressione ideata da Xxxxxx Xxxxx (in proposito, si veda XXXXX H., XXXXXX R., XXXXX M.,
XXXXXXX XXXXXXXXX DI XXXXX X., L’obbligazione come Rapporto Complesso, Giappichelli Ed., Torino, 2016, p. 215). Tuttavia, come evidenziato da autorevole dottrina, attualmente, il diritto tedesco accorda rilevanza giuridica al solo «contatto negoziale» nell’ambito delle trattative (§ 311 BGB), distinguendolo dalle altre tipologie di contatto. Sul punto, si veda infra, capitolo III,
condotta dell’altra ed assumere, proprio in ragione dell’affidamento che il paziente ripone nella qualifica professionale del medico, rilevanza anche giuridica114.
Secondo questa logica, infatti, l’affidamento sarebbe «espressivo di una relazione tra soggetti per l’innanzi estranei, i quali diventano perciò parti di un rapporto che, benché privo di prestazione, può dirsi ugualmente obbligatorio per gli obblighi di conservazione della sfera giuridica altrui, nei quali la buona fede, innescata dall’affidamento, si concretizza115».
Ciò significa che, dall’affidamento riposto dal paziente nella professionalità del medico deriverebbero, in capo a quest’ultimo, obblighi di protezione della sfera giuridica del paziente stesso, anche in assenza di obblighi prestazionali116, gravanti invece, in via esclusiva, sulla struttura sanitaria.
Alla violazione di simili obblighi di protezione (così come a quella degli obblighi di prestazione), conseguirebbe una responsabilità per
paragrafi 3 e 3.1. Si vedano, altresì, XXXXXXXX A., Contatto Sociale e Affidamento, Attori Protagonisti di una Moderna Commedia degli Equivoci, in Jus Civile, 2017, p. 185 ss.; XXXXXXX C.W., Il Contatto Sociale nell’Ordinamento Giuridico Xxxxxxx, in Riv. dir. civ., 2017, p. 1 ss.; XXXXX L., Obblighi di Protezione, CEDAM, Padova, 2007, p. 312.
114 Si veda XXXXXXXXXX C., La Nuova Responsabilità Civile, Xxxxxxx, Milano, 2018, p. 568.
115 XXXXXXXXXX C., Ritorno all’Obbligazione Senza Prestazione, in Europa e dir. priv., 2009, p. 681.
116 Si vedano, in particolare, XXXXXXXXXX C., Ritorno all’Obbligazione Senza Prestazione, in Europa e dir. priv., 2009, p. 679 ss.; ID., L’Obbligazione Senza Prestazione ai Confini tra Contratto e Torto, in Studi in onore di X. Xxxxxxx, I, Milano, 1995, p. 147 ss.; ID, Responsabilità Civile, Xxxxxxx, 2018, p. 501 ss. L’autore ipotizza che gli obblighi di protezione possano sussistere anche separatamente rispetto all’obbligo primario di prestazione, proprio elaborando i concetti di obbligazione senza prestazione e responsabilità da contatto sociale. In proposito, si veda anche XXXXXXX X., Alcune Precisazioni in Tema di Responsabilità Precontrattuale, in Europa e dir. priv., 2014, p. 45 ss., ove l’autore osserva che gli obblighi di protezione possono presentarsi sia «connessi» all’obbligo di prestazione oggetto dell’obbligazione, sia porsi «allo stato puro». In entrambi i casi, alla loro violazione conseguirebbe una responsabilità per inadempimento, in ragione della pretesa lesione dell’affidamento riposto nel comportamento di un determinato soggetto (e dunque, anche in assenza di un rapporto contrattuale o comunque di un obbligo di prestazione).
inadempimento, di natura contrattuale, poiché il soggetto non ha compiuto (la stessa Corte richiama il concetto di «culpa in non faciendo») quanto dovuto, in forza di un precedente vincolo giuridico117. Dovrebbe invece escludersi una responsabilità di natura aquiliana, poiché essa origina dalla lesione di situazioni giuridiche soggettive altrui e non dalla violazione di obblighi.
Tuttavia, facendo derivare dal contatto sociale tra paziente e medico esclusivamente obblighi di protezione, il danneggiato non potrebbe ottenere un ristoro pari a quello che potrebbe essergli accordato a fronte dell’inadempimento di obblighi di prestazione nascenti da contratto.
Solo in quest’ultimo caso, infatti, il risarcimento potrebbe essere commisurato all’intero danno subito, considerato che il creditore avrebbe avuto interesse sia all’osservanza del dovere di prestazione da parte del debitore (cd. interesse positivo), sia alla conservazione della propria sfera giuridica (cd. interesse negativo). Diversamente, nell’ipotesi in cui l’obbligazione abbia ad oggetto esclusivamente obblighi di protezione, il paziente dovrebbe poter conseguire il risarcimento del solo interesse negativo (come se la tutela fosse aquiliana), poiché la protezione si tradurrebbe nel diritto a che le proprie condizioni di salute non peggiorino, senza estendersi al diritto ad un loro miglioramento: l’obbligo di protezione andrebbe distinto dall’obbligo di cura118.
117 Cfr. Cass. 22.1.1999, n. 589, cit. Questa impostazione è coerente con quanto in precedenza stabilito da Xxxx. 1.10.1994, n. 7989, la quale aveva affermato che una pretesa risarcitoria si ricollega ad una responsabilità extracontrattuale solo quando l’autore di un danno ingiusto non è legato al danneggiato da alcun rapporto giuridico precedente, diversamente, l’inadempimento di un’obbligazione volontariamente contratta o legislativamente imposta comporta unicamente una responsabilità contrattuale.
118 Si vedano FRENDA D. M., Il Concorso di Responsabilità Contrattuale e Xxxxxxxxx. Soluzioni Empiriche e Coerenza del Sistema, CEDAM, Padova, 2013 e DE MATTEIS R., Le Responsabilità in Ambito Sanitario, CEDAM, Padova, 2017, p. 152 ss.
Tuttavia, la Corte119, con una motivazione che pare saltare diversi passaggi logici, ha concluso che la «coscienza sociale», prima ancora che l’«ordinamento giuridico», richieda all’operatore di una professione cd. protetta120, in particolare se avente ad oggetto beni costituzionalmente garantiti -come avviene per la professione medica che incide sul «bene salute», tutelato dall’art. 32 Cost.-, non solo un non facere e dunque il rispetto della sfera giuridica di colui che gli si rivolge, confidando nella sua professionalità ma, altresì, quel facere nel quale si manifesta la perizia che deve contrassegnarne l’attività.
Più precisamente, la Corte ha sostenuto che il medico è obbligato ad eseguire la prestazione sanitaria nei confronti del paziente solo nel caso di stipulazione del contratto d’opera professionale, salve le ipotesi in cui debba, per legge, intervenire121. Tuttavia, laddove si sia comunque attivato nei confronti del malato, perché a ciò obbligato nei confronti dell’ente ospedaliero (in virtù del contratto di impiego), la sua prestazione e, conseguentemente, il rapporto con il paziente, non potrebbero avere un contenuto diverso da quello che sarebbe derivato da un eventuale contratto tra i due: «la prestazione (usando il termine in modo generico) sanitaria del medico nei confronti del paziente non può che essere sempre la stessa, vi sia o meno alla base un contratto d'opera professionale tra i due 122».
119 Si veda LAMBO L., Obblighi di Protezione, CEDAM, Padova, 2007, p. 343 ss., ove l’autore rileva come la Corte abbia costruito la responsabilità da contatto sociale a partire da un malinteso significato del concetto di «obbligazione senza prestazione», senza distinguere tra obblighi di prestazione e di protezione, sovrapponendo peraltro il contatto sociale ai rapporti contrattuali di fatto, dai quali originano obbligazioni di contenuto completo.
120 Trattasi di una professione per la quale è richiesta una speciale abilitazione da parte dello Stato (art. 348 c.p.).
121 Si veda Cass. 10.4.1978, n. 4003.
122 Cass. 22.1.1999, n. 589, cit.
L’intervento del medico, che si assume originariamente «spontaneo» nei riguardi del paziente, ma «dovuto» nei riguardi dell’istituto, concretizzerebbe, pertanto, quell’elemento di fatto che, alla luce della comune valutazione economico-sociale, giustificherebbe l’applicazione delle regole proprie e tipiche dello svolgimento di prestazioni professionali, invece di quelle proprie della responsabilità aquiliana123.
Occorre sin d’ora evidenziare, anche se la questione sarà approfondita nel prosieguo124, che una tale impostazione del problema si presta a condivisibili critiche giacché, così intesa, la responsabilità del medico «si concretizza e attualizza non all’atto dell’assunzione formale di un obbligo ma in occasione dell’esecuzione della prestazione sanitaria» e, tuttavia, «si atteggia, quanto al suo contenuto, come una normale obbligazione che richiama comportamenti destinati a produrre un risultato utile per il creditore125».
Di conseguenza, la normale sequenza che vede l’obbligazione precedere la prestazione è invertita, poiché è quest’ultima a precedere la responsabilità e quindi l’obbligazione, nel contesto di una particolare valorizzazione del momento esecutivo126. Al riguardo, è stato allora osservato come non vengano qui in rilievo «obbligazioni senza prestazione», bensì
«prestazioni senza obbligazione127».
In questo quadro, l’unica certezza è che, attraverso il riferimento al contatto sociale, parte della dottrina e della giurisprudenza ha inteso sottoporre alla regolazione che è tipica e propria dei rapporti nati da contratto (in questo caso, di prestazione professionale), «rapporti» ad esso non
123 In proposito, si veda DI MAJO A., L’Obbligazione Senza Prestazione Approda in Cassazione, CorG., 1991, p. 441 ss.
124 Si veda infra, capitolo III (in particolare, paragrafi 3 e 3.1).
125 DI MAJO A., L’Obbligazione Senza Prestazione Approda in Cassazione, CorG., 1991, p. 441 ss.
126 ID.
127 ID.
riconducibili128. In proposito, è stato autorevolmente osservato che «alla valorizzazione della responsabilità medica come responsabilità contrattuale si è pervenuti dilatando l’ambito di operatività di quest’ultima “oltre il contratto”, inteso come atto, in modo tale da acquisire al suo regime anche quelle fattispecie che, in assenza di un contratto d’opera intellettuale stipulato tra medico e paziente, venivano tradizionalmente inquadrate in ambito aquiliano129».
Il raggiungimento di questo risultato è stato possibile perché l’assenza di un previo accordo tra paziente e medico non è stata considerata di impedimento al nascere dell’obbligazione. Lo stesso art. 1173 c.c. ammette, infatti, che l’obbligazione possa sorgere anche da fonti diverse dal contratto ed il contatto intervenuto tra medico e paziente, all’atto delle cure, rientrerebbe dunque tra gli atti o fatti di cui all’art. 1173 c.c.
La giurisprudenza successiva si è uniformata alla soluzione adottata dalla Suprema Corte nel 1999130, discostandosene solo in rari casi131.
Dal punto di vista pratico, questa soluzione ha consentito alla giurisprudenza di affermare la responsabilità contrattuale del medico, in ogni caso, sulla base del contratto o del contatto sociale tra le parti, senza necessità di indagare, di volta in volta, l’effettiva fonte dell’obbligo gravante sul professionista. In particolare, essa non ha avuto la necessità di distinguere le ipotesi in cui il medico aveva operato in veste di dipendente, da quelle in cui
128 ID.
000 XX XXXXXXX X., Xx Responsabilità Medica tra Scientia Iuris e Regole di Formazione Giurisprudenziale, in Danno e Resp., 1999, p. 777 ss.
130 Si vedano, tra le altre, Cass. 21.7.2003, n. 11316; Cass. 29.5.2004, n. 9471; Cass. 28.5.2004, n.
10297; Cass. 26.1.2006, n. 1698; Cass. 13.4.2007, n. 8826; Cass., S.U., 11.1.2008, n. 577, cit.; Xxxx.
19.2.2013, n. 4030; Cass. 17.4.2014, n. 8940. Pertanto, tale orientamento è rimasto prevalente nonostante l’entrata in vigore della legge cd. Xxxxxxxx, nel 2012, che sarà analizzata nel prosieguo (cfr. infra, capitolo II, paragrafo 2).
131 Per la giurisprudenza di merito, si veda, per tutte, Trib. Milano, 17.7.2014 (pronuncia comunque successiva all’entrata in vigore del Decreto Balduzzi, d.l. n. 158/2012, anche se riferita a fatti avvenuti nel 2008).
aveva invece agito come libero professionista, presso una struttura sanitaria pubblica (prestando attività intra moenia) o privata (poliambulatoriale, che mette a disposizione, dietro corrispettivo, i propri spazi) ed anche nel caso del medico di base, a fronte dell’incertezza sulla effettiva sussistenza di un contratto con l’assistito, per evitare problemi qualificatori, ha infine fondato sul contatto sociale, la responsabilità contrattuale132.
Trattasi, evidentemente, di una semplificazione che consente di evitare una meditata ricostruzione giuridica dei rapporti intercorrenti tra i vari soggetti ed arriva alla soluzione ritenuta più vantaggiosa per il paziente, senza prendere in considerazione le specificità delle singole fattispecie133.
5. La responsabilità medica come «sottosistema» della responsabilità civile.
Per comprendere appieno la reale portata innovativa della pronuncia del 1999, occorre tenere in considerazione che essa si è inserita in un contesto di regole di elaborazione giurisprudenziale che, come osservato da autorevole dottrina, si erano imposte, in assenza di una disciplina di settore, oltre la tradizionale partizione tra responsabilità contrattuale ed extracontrattuale.
Precisamente, spinta da esigenze di giustizia sostanziale, la giurisprudenza aveva elaborato un «regime di regole» che consentiva di guardare alla responsabilità medica come ad un sottosistema della responsabilità civile, «dove i confini tra responsabilità contrattuale ed extracontrattuale sfumano per dar vita, in una sorta di osmosi, ad una configurazione
132 Si veda Cass. 27.3.2015, n. 6243.
133 Tali problematiche saranno oggetto di specifico approfondimento nel prosieguo; in particolare, il capitolo III sarà dedicato alla ricostruzione dei rapporti tra medico e paziente, in queste ipotesi ed all’indagine sull’effettiva fonte dell’eventuale obbligazione gravante sul professionista.
giuridica che partecipa dei caratteri di entrambe, senza rivelare una chiara appartenenza ad una di esse, se non nell’inquadramento formalmente adottato per la singola fattispecie134».
A sostegno dell’osservazione appena riportata è sufficiente ripercorrere l’evoluzione generale della responsabilità medica, nelle due principali fasi storiche che ha conosciuto, cercando di mettere in risalto le peculiarità delle soluzioni adottate dalla giurisprudenza nel «regime delle regole135», a dispetto dell’inquadramento formale (contrattuale o extracontrattuale) della responsabilità.
Come accennato nel primo paragrafo, tali regole hanno permesso, in un primo momento, di realizzare l’obiettivo di protezione del professionista e, successivamente, di virare verso una più ampia tutela della salute del paziente136.
In particolare, nel periodo compreso tra la fine degli anni Settanta e quella degli anni Ottanta, secondo l’orientamento prevalente, vigeva un regime di concorso (cd. improprio) di responsabilità, contrattuale, della struttura sanitaria ed extracontrattuale, del medico, ferma la natura contrattuale della responsabilità del medico libero professionista, che poteva comunque concorrere (cd. concorso proprio) con quella extracontrattuale, in capo al medesimo soggetto, per il medesimo fatto lesivo.
In questo periodo, la giurisprudenza ha fatto ricorso alla categoria dell’obbligazione «di mezzi» o «di comportamento» per attenuare la
000 XX XXXXXXX X., Xx Responsabilità Medica. Un Sottosistema della Responsabilità Civile, CEDAM, Padova, 1995, p. 1.
135 In questi termini, DE MATTEIS R., La Responsabilità Medica tra Scientia Iuris e Regole di Formazione Giurisprudenziale, in Danno e Resp., 1999, p. 777 ss.
136 In proposito, si veda DE XXXXX X., La Responsabilità Medica. Individuazione della Disciplina e Problemi di Qualificazione, Giappichelli Ed., Torino, 2018, p. 59 ss.
responsabilità professionale del medico o della struttura sanitaria, cui si ritenevano applicabili le «norme che regolano la responsabilità del prestatore d’opera professionale137».
Secondo l’impostazione tradizionale, le obbligazioni di mezzi richiedono al debitore soltanto la diligente osservanza del comportamento pattuito (art. 1176 c.c.), indipendentemente dalla sua fruttuosità rispetto allo scopo perseguito dal creditore. Esse si distinguono dalle obbligazioni di risultato, nelle quali il soddisfacimento dell’interesse di una parte è assunto come contenuto essenziale ed irriducibile della prestazione e, di conseguenza, l’adempimento coincide con la realizzazione piena dello scopo perseguito dal creditore138.
È dunque evidente come, superati gli strascichi dell’«immunità» un tempo garantita alla classe medica139, l’obbligazione di mezzi costituisse lo strumento più idoneo per circoscrivere l’oggetto dell’obbligazione del sanitario, tenuto a prestare la propria opera ma non a guarire il paziente,
137 Cass., S.U., 9.3.1965, n. 375. Si vedano anche Trib. Vicenza, 27.1.1990 e Cass. 1.3.1988, n. 2144, la quale ha precisato che «l’attività svolta dall'ente pubblico gestore del servizio a mezzo dei suoi dipendenti, nell'adempimento del dovere verso il privato richiedente (titolare del corrispondente diritto soggettivo), è di tipo professionale medico; similare all'attività svolta, nell'esecuzione dell'obbligazione (privatistica) di prestazione, dal medico che abbia concluso con il paziente un contratto d'opera professionale». In relazione all’applicazione giurisprudenziale della categoria delle obbligazioni di mezzi, si vedano, tra le altre, Cass. 16.6.1975, n. 2439 e Cass. 21.12.1978, n. 6141. Si consideri comunque che, a partire dalla fine degli anni Settanta, nel contesto della tradizionale distinzione tra obbligazioni di mezzi ed obbligazioni di risultato, la giurisprudenza ha iniziato a proporre soluzioni maggiormente favorevoli per il paziente, in particolare, in relazione agli interventi routinari (cfr. infra, in questo paragrafo).
138 In proposito, si vedano Cass. 10.12.1979, n. 6416 e Cass., S.U., 11.1.2008, n. 577, cit.;
quest’ultima pronuncia, come vedremo nel prosieguo, supera tale distinzione. Si vedano,
altresì, BIANCA C. M., L’Obbligazione, in Diritto civile IV, Xxxxxxx, Milano, 1993, ristampa 2015,
p. 71 ss. e XXXXXXX X., Obbligazioni di Risultato e Obbligazioni di Mezzi (Studio Critico), in Rivista dir. comm., 1954, p. 185 ss., 280 ss. e 366 ss.
139 Si veda TRAVAGLINO G., La Responsabilità Contrattuale tra Tradizione e Innovazione, in Resp. civile e previdenza, 2016, p. 75 ss. (ed in particolare, p. 93 ss.).
considerato che la guarigione dipende da fattori estranei alla sua sfera di dominio140.
Criticata da parte della dottrina -che ha negato la validità dogmatica della storica bipartizione, rilevando l’unità del concetto di obbligazione, la quale tende necessariamente ad un risultato utile per il creditore141-, la giurisprudenza ha fatto applicazione della categoria delle obbligazioni di mezzi in ambito sanitario, al fine di «disapplicare» la regola generale di cui all’art. 1218 c.c. (cui rimanevano invece sottoposte le obbligazioni di risultato142). Infatti, per ottenere ristoro, il paziente doveva provare l’inadempimento dell’obbligazione -come detto, consistente nella violazione del canone della diligenza ex art. 1176 c.c.143- e dunque, la colpa del professionista debitore, oltre al danno ed al nesso di causalità tra quest’ultimo e la condotta negligente, secondo una logica non dissimile da quella aquiliana144. Incombeva invece sul sanitario la prova dell’impossibilità non imputabile dell’esecuzione della prestazione.
140 Si veda PRINCIGALLI A. M., La Responsabilità del Medico, Xxxxxx, Napoli, 1983, p. 36 ss. (ed in particolare, p. 43).
141 Si veda, in particolare, MENGONI L., Obbligazioni di Risultato e Obbligazioni di Mezzi (Studio Critico), in Rivista dir. comm., 1954, p. 188: «non è concepibile un rapporto obbligatorio da cui sia escluso il momento del risultato dovuto»; «Le cure del medico sono un mezzo per la guarigione del malato, ma sono un risultato se lo scopo preso in considerazione è quello di essere curato».
142 Sotto il profilo probatorio, pertanto, in caso di obbligazioni di risultato, l’inadempimento è presunto in ragione del mancato raggiungimento del risultato ed il debitore può liberarsi solo provando che la prestazione è divenuta impossibile per causa a lui non imputabile, ovvero per caso fortuito o forza maggiore.
143 Si veda DE MATTEIS R., La Responsabilità Medica. Un Sottosistema della Responsabilità Civile, CEDAM, Padova, 1995, p. 376, ove l’autrice precisa che, nelle obbligazioni di mezzi, c’è inadempimento quando c’è colpa. In tal senso, l’art. 1176 c.c. assumerebbe un duplice significato giuridico, quale norma sull’inadempimento, nelle obbligazioni di mezzi, giacché la diligenza sarebbe qui criterio per valutare l’esattezza dell’adempimento e, quale norma sulla responsabilità, nelle obbligazioni di risultato, ove avrebbe invece la funzione di circoscrivere la portata della prova liberatoria ex art. 1218 c.c. Sul punto, si veda anche MENGONI L., Obbligazioni di Risultato e Obbligazioni di Mezzi (Studio Critico), in Rivista dir. comm., 1954, p. 161.
144 Si veda Cass. 21.12.1978, n. 6141: «incombe al cliente, il quale assume di avere subito un danno,
l’onere di provare la difettosa o inadeguata prestazione professionale, l’esistenza del danno ed il rapporto
Il ricorso alla categoria in esame ha così permesso alla giurisprudenza di rigettare le domande risarcitorie proposte da pazienti che non erano in grado di provare la colpa medica, anche laddove fosse rimasto ignoto il meccanismo causale che aveva impedito la guarigione.
La distinzione tra obbligazioni di mezzi ed obbligazioni di risultato, però, non ha influenzato solo i criteri di imputabilità della responsabilità, ma anche la prova del nesso eziologico tra inadempimento e danno patito dal paziente145.
Attenta dottrina146 ha infatti rilevato come la giurisprudenza tendesse ad addossare al paziente, che assumeva di aver subito un danno, la prova del rapporto di causalità tra l’inadeguata prestazione professionale ed il danno, onerandolo in tal modo della prova della causalità materiale (tra la difettosa prestazione professionale e la lesione della salute) che, invece, non dovrebbe avere spazio in ambito contrattuale, ove generalmente rileva la sola causalità giuridica147.
di causalità tra la difettosa o inadeguata prestazione professionale ed il danno, mentre incombe al professionista l'onere di provare l'impossibilità, a lui non imputabile, della perfetta esecuzione della prestazione». Si vedano, altresì, XXXXX A., La Responsabilità del Medico e l’Argomento Statistico, in I Contratti, 2020, p. 341 ss. e NICOLUSSI A., Sezioni Sempre Più Unite Contro la Distinzione fra Obbligazioni di Risultato e Obbligazioni di Mezzi. La Responsabilità del Medico, in Danno e resp., 2008, p. 871 ss.
145 Si veda DE MATTEIS R., La Responsabilità Medica. Un Sottosistema della Responsabilità Civile,
CEDAM, Padova, 1995, p. 392 e 393.
146 Esplicita, in tal senso, è Cass. 16.11.1988, n. 6220 che si riferisce al «rapporto di causalità materiale tra operato del chirurgo e lesione personale». In proposito, si veda DE MATTEIS R., La Responsabilità Medica. Un Sottosistema della Responsabilità Civile, CEDAM, Padova, 1995, p. 393, ove l’autrice commenta come, tramite la sovrapposizione concettuale della distinzione tra obbligazioni di mezzi e di risultato, la giurisprudenza abbia ritenuto di poter assimilare, anche sotto il profilo probatorio, l’inadempimento contrattuale all’illecito aquiliano.
147 Tale soluzione è stata peraltro ripresa dalla più recente giurisprudenza, con l’intento di
favorire il medico, sul piano processuale (cfr. infra, capitolo II, paragrafo 5). In relazione alla ripartizione dell’onere della prova del nesso di causalità, nel caso di responsabilità per trattamenti sanitari arbitrari, si veda infra, capitolo I, paragrafo 7.2.
Anche quando era in gioco la valutazione dell’interesse creditorio alla esatta realizzazione della prestazione medica (quindi, la chiave di lettura della fattispecie non era quella del danno ingiusto di cui all’art. 2043 c.c.), tuttavia, presupposto indefettibile, la cui accertata sussistenza avrebbe consentito le successive indagini sul nesso di causalità e sul danno, era la lesione della salute. In questo modo, la lesione dell’interesse creditorio veniva a coincidere con la lesione del diritto alla salute148.
Tale ultima problematica si riconnette alle modalità di percezione del danno, contrattualmente rilevante, rispetto ai diversi interessi creditori in gioco e cioè l’interesse all’esatta esecuzione della prestazione (interesse strumentale) e quello alla guarigione (interesse primario)149.
Nelle obbligazioni di mezzi, infatti, l’interesse corrispondente alla prestazione è solo strumentale all’interesse finale o primario del creditore e, di conseguenza, l’evento dannoso non è costituito dalla lesione dell’interesse intermedio, alla cui soddisfazione è preposta l’obbligazione, bensì dalla lesione dell’interesse presupposto a quello contrattualmente regolato.
148 Si veda DE MATTEIS R., La Responsabilità Medica. Un Sottosistema della Responsabilità Civile,
CEDAM, Padova, 1995, p. 397.
149 In relazione alla distinzione tra interesse primario ed interesse strumentale, si veda MENGONI L., Obbligazioni di risultato e Obbligazioni di Mezzi (Studio Critico), in Rivista dir. comm., 1954, I, p. 188 e 189, ove l’autore evidenzia come, nelle obbligazioni di mezzi, l’oggetto del diritto di credito non coincida con l’effettivo soddisfacimento dell’interesse primario del creditore (la guarigione), ma con un’attività del debitore capace di promuovere l’attuazione dell’interesse primario (la buona cura, consistente in un comportamento idoneo ad attivare un processo di guarigione): «la guarigione dipende troppo poco dalla volontà del medico e dalla collaborazione del malato, perché possa essere dedotta in obbligazione». La distinzione tra interesse primario ed interesse strumentale è stata ripresa dalla giurisprudenza più recente (cfr. Cass. 11.11.2019, n. 28992), la quale ha evidenziato che, nelle obbligazioni di «facere professionale», dove l’interesse corrispondente alla prestazione è strumentale alla realizzazione dell'interesse primario del creditore, collocato al di fuori del perimetro del rapporto obbligatorio, la causalità materiale torna ad esigere un accertamento autonomo. In proposito, si veda infra, capitolo II, paragrafo 5.
Pertanto, poiché in questo tipo di obbligazioni, il debitore non è tenuto al soddisfacimento dell’interesse primario del creditore (giacché il suo soddisfacimento dipende da fattori ulteriori rispetto all’adempimento del debitore), la sua mancata realizzazione diviene danno risarcibile solo ove eziologicamente connessa all’inadempimento150.
Tornando alle regole «transtipiche» di elaborazione giurisprudenziale, occorre richiamare, altresì, la ritenuta applicabilità (analogica) in ambito extracontrattuale, della limitazione di responsabilità di cui all’art. 2236 c.c., norma dettata in materia di contratto d’opera intellettuale, attraverso una valorizzazione della sua ratio, volta a non paralizzare l’iniziativa del professionista nei casi di particolare difficoltà, a prescindere dalla qualificazione dell’illecito151.
Proprio tale norma, tuttavia, è divenuta una sorta di «cartina di tornasole152» di quel cambiamento di rotta cui si è fatto cenno, culturale, prima ancora che giuridico153 che, verso la fine degli anni Settanta, sulla base di una rilettura dell’art. 32 Cost., interpretato quale fondamento normativo di un diritto assoluto e fondamentale della persona, ha spinto la giurisprudenza nella direzione di una maggiore protezione del paziente.
Si fa in particolare riferimento a quell’orientamento che, pur
ribadendo formalmente la distinzione tra obbligazioni di mezzi ed
150 Si veda DI MAJO A., Xxxxx e Risultato nelle Prestazioni Mediche: Una Storia Infinita, in Cor. giur., 2005, p. 39, nota 2: «Va anche osservato come la considerazione del (mancato) risultato, se non entra in ballo sotto il profilo della colpa del professionista (il quale risponde solo del mancato e/o insufficiente impiego dei «mezzi»), entra invece in ballo con riguardo al danno-evento e al nesso causale tra questo e l’attività del medico».
151 Si vedano, tra le altre, Cass., S.U., 6.5.1971, n. 1282; Cass. 18.11.1997, n. 11440; Cass. 22.1.1999, n. 589, cit.
152 Cass. 19.5.2004, n. 9471. Si veda altresì TRAVAGLINO G., La Responsabilità Contrattuale tra Tradizione e Innovazione, in Resp. civile e previdenza, 2016, p. 94.
153 In proposito, si veda quanto già osservato in relazione al passaggio dal modello paternalistico a quello personalistico (cfr. supra capitolo I, paragrafo 1).
obbligazioni di risultato, ha cominciato a distinguere, sulla base dell’art. 2236 c.c.154, l’intervento terapeutico routinario che, se eseguito correttamente, presenta un basso rischio di insuccesso, dagli interventi complessi, caratterizzati da un rischio di insuccesso apprezzabile, introducendo una presunzione che alterava la ripartizione «para-aquiliana» dell’onere probatorio tra medico (o struttura sanitaria155) e paziente156, al tempo vigente.
Nel primo caso, infatti, si presumeva che la mancata riuscita dell’intervento fosse dovuta all’errore medico157, secondo la regola di comune esperienza in base alla quale «se l’intervento operatorio è di facile esecuzione, il risultato positivo, in vista del quale il cliente si è affidato al chirurgo, è di regola conseguente all’intervento operatorio ed alle successive prestazioni post-operatorie; salvo il sopravvenire di eventi imprevisti ed imprevedibili o l’esistenza di particolari condizioni fisiche del cliente non accertabili158» (id quod plerumque accidit). Di conseguenza, il paziente avrebbe dovuto dimostrare esclusivamente il carattere non difficile dell’operazione chirurgica ed il risultato peggiorativo delle condizioni di salute, spettando al medico (o alla struttura) provare di aver agito adeguatamente e diligentemente e che l’esito peggiorativo fosse
154 In particolare, interpretando a contrariis l’art. 2236 c.c., la giurisprudenza aveva concluso che, di fronte ad un caso di facile esecuzione (perché comune ed ordinario), fosse configurabile una responsabilità del medico per colpa lieve, laddove questi non avesse osservato, per inadeguatezza o incompletezza della preparazione professionale, le regole tecniche ormai acquisite alla scienza e alla pratica, per comune consenso e consolidata sperimentazione (cfr. Cass. 29.3.1976, n. 1132 e Cass. 21.12.1978, n. 6141, cit.).
155 Infatti, come detto, in questo periodo la giurisprudenza estendeva alla struttura i principi elaborati per la responsabilità del professionista, sul presupposto che anche l’ente stipulasse con il paziente un contratto d’opera intellettuale.
156 La prima applicazione di tale regola risale a Cass. 15.12.1972, n. 3616, ma il caso che ne ha consentito la divulgazione è stato quello deciso da Cass. 21.12.1978, n. 6141, cit. Tra le altre pronunce conformi, si veda altresì Cass. 16.2.2001, n. 2335. Si precisa che la diversa distribuzione dell’onere probatorio, in funzione della complessità o meno dell’intervento chirurgico, è stata superata applicando, al settore in esame, i principi dettati da Cass., S.U., 30.10.2001, n. 13533, di cui si dirà a breve (cfr. infra, capitolo I, paragrafo 6).
157 Si vedano, tra le altre, Cass. 8.1.1999, n. 103 e Cass. 30.5.1996, n. 5005.
158 Cass. 21.12.1978, n. 6141, cit.
dovuto ad un evento imprevedibile (o alle particolari condizioni fisiche del paziente)159. Attraverso la presunzione di colpa, quindi, il rischio della causa ignota veniva spostato sul sanitario (o sulla struttura). La giurisprudenza richiamava qui il principio di vicinanza della prova160, in virtù del quale il debitore onerato avrebbe avuto maggiore possibilità di offrire la prova, liberatoria, in considerazione delle sue competenze e conoscenze.
Diversamente, nel secondo caso, si presumeva che l’esito infausto fosse dipeso dalla complessità dell’operazione, gravando così sul paziente l’onere di dimostrare che esso fosse, invece, conseguenza di un errore del sanitario161.
Questo orientamento è stato criticato dalla dottrina che ha denunciato come, nel caso di interventi di facile esecuzione, la presunzione di colpa comportasse, in definitiva, la trasformazione dell’obbligazione di mezzi in obbligazione di risultato162, con il conseguente abbandono della tradizionale
159 ID.
160 Si veda Cass. 21.7.2003, n. 11316, ove viene individuata «una linea evolutiva in ordine alla distribuzione dell’onere della prova che, fermi i principi, va sempre più accentuando la considerazione della “vicinanza alla prova” (nel senso, di effettiva possibilità per l’una o per l’altra parte di offrirla), consentendo un più frequente ricorso alle presunzioni tutte le volte che la prova non possa essere data per un comportamento ascrivibile alla stessa parte contro la quale il fatto da provare avrebbe potuto essere invocato». Si veda, inoltre, Cass. 28.5.2004, n. 10297, la quale afferma che, nel caso dell’obbligazione posta in capo al medico, «l’inadempimento coincide con il difetto di diligenza nell’esecuzione della prestazione, cosicché non vi è dubbio che la prova sia “vicina” a chi ha eseguito la prestazione; tanto più che trattandosi di obbligazione professionale il difetto di diligenza consiste nell'inosservanza delle regole tecniche che governano il tipo di attività al quale il debitore è tenuto». 161 Si veda Cass. 4.2.1998, n. 1127: «Nel giudizio avente ad oggetto l'accertamento della responsabilità del medico chirurgo per l'infelice esito di un intervento chirurgico, l'onere della prova si riparte tra attore e convenuto a seconda della natura dell'intervento effettuato, e precisamente: a) nel caso di intervento di difficile esecuzione, il medico ha l'onere di provare soltanto la natura complessa dell'operazione, mentre il paziente ha l'onere di provare quali siano state le modalità di esecuzione ritenute inidonee; b) nel caso di intervento di facile o routinaria esecuzione, invece, il paziente ha il solo onere di provare la natura routinaria dell'intervento, mentre sarà il medico, se vuole andare esente da responsabilità, a dover dimostrare che l'esito negativo non è ascrivibile alla propria negligenza od imperizia».
162 Si veda XXXXXXX F., Contratto e Responsabilità Contrattuale nell’Attività Sanitaria, in Riv. trim.
dir. e proc. civ., 1984, p. 710 ss. (in particolare, p. 716).
deroga, riservata esclusivamente alle prime, al severo dispositivo dell’art. 1218 c.c.163
Per questa via, la giurisprudenza ha quindi introdotto una «regola nuova», a vantaggio del paziente, in relazione alla ripartizione dell’onere probatorio tra questi ed il medico (o la struttura sanitaria)164.
Peraltro, accanto alle prestazioni sanitarie di facile esecuzione, oggetto di obbligazioni «di mezzi» nella forma, ma «di risultato» nella sostanza, la giurisprudenza ha individuato, pur sempre in via di eccezione, ulteriori ipotesi in cui il risultato terapeutico assumerebbe rilevanza. Trattasi, in particolare, delle prestazioni odontoiatriche e di chirurgia estetica165.
In questi particolari settori, considerati altamente specialistici e retti da regole tecniche precise, la cui inosservanza è ritenuta strettamente correlata con la riuscita dell’intervento, la distinzione tra interventi di facile e difficile esecuzione, ha avuto un ulteriore sviluppo, portando all’affermazione, in giurisprudenza, della regola secondo la quale la responsabilità del medico discende non dal conseguimento di un risultato peggiorativo, bensì dal mancato raggiungimento del risultato atteso, tecnicamente prevedibile sulla
163 Si vedano DE MATTEIS R., La Responsabilità Medica. Un Sottosistema della Responsabilità Civile, CEDAM, Padova, 1995, p. 379 e XXXXX A., La Responsabilità del Medico e l’Argomento Statistico, in I Contratti, 2020, p. 341 ss.
164 Si veda ZANA M., Responsabilità Medica e Tutela del Paziente, Xxxxxxx, Milano, 1993, p. 35 ss., ove l’autore rileva come questa regola avesse l’obiettivo di introdurre un trattamento più favorevole per il paziente danneggiato e costituisse un tentativo di mitigare il rigore dell’unico schema che, fin dalle origini del sistema, aveva esercitato un ruolo determinante a tutela delle ragioni del professionista.
165 Si vedano PRINCIGALLI A. M., La Responsabilità del Medico, Jovene, Napoli, 1983, p. 36 ss. e DE MATTEIS R., La Responsabilità Medica. Un Sottosistema della Responsabilità Civile, CEDAM, Padova, 1995, p. 176 ss. e 222 e ss.
base delle cognizioni scientifiche acquisite, che il professionista deve dunque essere in grado di assicurare166.
Tale regola, che ha avuto le sue prime applicazioni nel settore delle cure protesiche e degli interventi di implantologia, è stata poi estesa a quello della chirurgia estetica167.
In relazione alle prestazioni odontoiatriche, la giurisprudenza ha ravvisato la sussistenza di un’obbligazione di risultato laddove il professionista si fosse impegnato a realizzare un risultato materiale (ad esempio, una protesi), inteso quale opus che deve essere idoneo all’utilizzo168, dei cui vizi e difformità, dovrà dunque rispondere.
Nell’ambito della chirurgia estetica, ha invece affermato che, in caso di intervento di natura estetica «voluttuaria» (cioè non necessario dal punto di vista della cura medica), non connotato da caratteristiche di incertezza metodologica (intervento routinario), il conseguimento di un risultato positivo, da intendersi quale migliorativo dello stato esistente, costituisce indice della correttezza dell’operato del medico169.
166 In proposito, si veda DE MATTEIS R., La Responsabilità Medica. Un Sottosistema della Responsabilità Civile, CEDAM, Padova, 1995, p. 223.
167 In proposito, si veda infra, capitolo I, paragrafo 7.
168 Si veda Pret. Xxxxxx, 00.0.0000 che -applicando nel settore delle cure odontoiatriche, quell’orientamento della Suprema Corte (affermatosi in materia di progettazioni di costruzioni edilizie) in base al quale, nonostante un indirizzo generale recettivo della tradizionale concezione che ritiene di mezzi l’obbligazione del professionista, è tuttavia ravvisabile «un’obbligazione di risultato ogniqualvolta il professionista si impegni a realizzare un opus, un risultato materiale»-, ha concluso fosse irragionevole ritenere che il cliente debba pagare una protesi inidonea. Si veda, altresì, Corte App. Cagliari 10.4.1989, ove viene affermato che: «se l’opera professionale è stata condotta nel mancato rispetto di una regola tecnica […] che non ha consentito di realizzare il risultato avuto di mira dal cliente, questi può domandare la proporzionale riduzione del corrispettivo dovuto, sulla base della normativa in tema di contratto d’opera manuale».
169 Si veda, tra le altre, Cass. 25.11.1994, n. 10014, ove la Corte, ribadito che, in generale, il
sanitario assume un’obbligazione di mezzi, ha poi affermato che «nell'ambito della chirurgia estetica, in cui il chirurgo estetico può assumere una semplice obbligazione di mezzi, ovvero anche una obbligazione di risultato, osservandosi tuttavia che quest'ultimo -come esattamente rilevato dalla Corte
Quanto esposto dimostra l’assunto iniziale: nella vigenza del principio del cumulo di responsabilità contrattuale e delittuale, la giurisprudenza ha elaborato regole peculiari e transtipiche che -è stato rilevato- garantivano uniformità di giudizio «nella contestualità del medesimo fatto, ma nella diversità dell’inquadramento formale», sia che si giudicasse la responsabilità contrattuale della struttura sanitaria sia quella extracontrattuale del medico che opera al suo interno170. In particolare, «l’operazione concettuale che il diritto giurisprudenziale compie, sotto l’etichetta del cumulo di responsabilità, si definisce in quella di offrire tutela in ambito contrattuale ad interessi diversi, da quello puramente creditorio all’esatto adempimento, adottando per essi un regime probatorio
di merito- non costituisce, comunque, un dato assoluto, dovendosi viceversa valutare con riferimento alla situazione pregressa ed alle obiettive possibilità consentite dal progresso raggiunto dalle tecniche operatorie». Il mancato raggiungimento del risultato atteso non si identifica quindi, automaticamente, con l’inadempimento, ma costituisce elemento di valutazione della condotta del sanitario. Sul punto, si veda anche Corte App. Roma 10.1.2012, n. 89. In dottrina, si veda XXXXXXXX X., Prestazione Sanitaria e Responsabilità Civile, Quaderni de «Il Foro napoletano», 2019, p. 45 e 46.
170 Si veda DE MATTEIS R., Le Responsabilità in Ambito Sanitario, CEDAM, Padova, 2017, p. 121
ss.; sembra opportuno richiamare le parole dell’autrice: «Una tale situazione [il cumulo improprio della responsabilità contrattuale della struttura ed extracontrattuale del medico ivi operante, chiamati a rispondere solidalmente del «medesimo fatto», nello stesso giudizio] ha favorito la formazione di regole di responsabilità che, definendosi al di sopra di ogni partizione, hanno dato vita ad un regime speciale; regole che certamente tradivano nelle loro origini e nel processo formativo l’appartenenza all’uno o all’atro regime della responsabilità civile (v. nelle applicazioni giurisprudenziali, l’estensione dell’art. 2236 c.c. alla responsabilità aquiliana, ovvero il richiamo a regole della causalità materiale per decretare l’inadempimento del medico) ma che, in ragione della loro fungibile intercambiabilità, garantivano un’uniformità di giudizio sia che si giudicasse, nella contestualità del medesimo fatto ma nella diversità dell’inquadramento formale, la responsabilità contrattuale della struttura sanitaria ovvero quella extracontrattuale del medico» (p. 126). Si veda altresì ID., La Responsabilità Medica. Un Sottosistema della Responsabilità Civile, CEDAM, Padova, 1995, p. 8.: «Una tale metamorfosi dell’inadempimento contrattuale in illecito aquiliano, lentamente maturatasi nell’ambito della responsabilità medica, non si è riflessa nello schema formale prescelto per il suo inquadramento, che ha continuato ad essere quello della responsabilità contrattuale; alla conformazione della responsabilità medica sul modello dell’illecito aquiliano, allorquando sia necessario verificarne i presupposti di sussistenza, si contrappone infatti la tendenziale propensione, manifestata in giurisprudenza, ad un suo inquadramento nell’ambito della responsabilità contrattuale in quanto responsabilità da opera professionale».
extracontrattuale, come richiede la natura dell’interesse leso (sicurezza ed integrità
della salute) e del danno che ne consegue171».
A partire dalla fine degli anni Settanta, la giurisprudenza ha invece elaborato regole che consentivano di trasformare l’obbligazione del medico (libero professionista) o della struttura sanitaria (fin quando essa è stata considerata di «tipo professionale medico, […] analoga a quella del medico privato172») da obbligazione di mezzi ad obbligazione di risultato, abbandonando così, in una serie di ipotesi, l’indicata logica «para-aquiliana».
La tendenza a privilegiare l’inquadramento in ambito contrattuale della responsabilità del medico che presta il suo servizio all’interno di una struttura sanitaria è emersa solo a partire dagli anni Ottanta.
In un primo momento, sebbene i giudici non avessero ancora formalmente affermato la natura contrattuale di tale responsabilità, tuttavia, sotto il profilo disciplinare delle regole applicabili, avevano ottenuto il medesimo risultato, ricorrendo all’applicazione analogica delle norme che regolano la responsabilità in tema di prestazione professionale medica in esecuzione di un contratto d’opera professionale.
Precisamente, come visto nei precedenti paragrafi, la giurisprudenza ha giustificato l’identità di regime (della responsabilità della struttura e del medico ivi operante) sulla base del fatto che entrambe le responsabilità avrebbero avuto comune radice nell’esecuzione non diligente della prestazione sanitaria173.
000 XX XXXXXXX X., Xx Responsabilità Medica tra Scientia Iuris e Regole di Formazione Giurisprudenziale, in Danno e Resp., 1999, p. 782, nota 5.
172 Trib. Vicenza 27.1.1990, cit.
173 In proposito, si veda quanto osservato supra, capitolo I, paragrafo 3.1.
Con la sentenza del 1999174, la giurisprudenza ha compiuto un passo ulteriore, sancendo formalmente, quale regime uniforme per la responsabilità medica, quello contrattuale.
In questa prospettiva, la scelta di qualificare come contrattuale la responsabilità del medico, a prescindere dalla stipulazione di un contratto con il paziente, ha risposto all’esigenza di assicurare la protezione della salute di quest’ultimo, anche nell’ambito della tutela dell’interesse creditorio alla corretta esecuzione della prestazione; esigenza che, in precedenza, veniva garantita attraverso il cumulo di azioni, contrattuale, nei confronti della struttura ed extracontrattuale, nei confronti del medico175.
In particolare, è stato osservato che si sarebbe così compiuto il percorso inverso a quello precedentemente tracciato, poiché «l’estensione della responsabilità contrattuale dalla struttura al medico dipendente» è stata realizzata
«capovolgendo gli effetti di quella vis attrattiva che precedentemente era stata
assegnata all’illecito aquiliano del medico176».
Secondo alcuni autori177, la sentenza del 1999 avrebbe determinato il superamento del sottosistema della responsabilità medica, poiché l’ascrizione in ambito contrattuale della responsabilità del medico, in ogni caso, a prescindere cioè dalla stipulazione di un contratto con il paziente, avrebbe comportato l’abbandono degli «standard decisionali a contenuto flessibile178» che
174 Cfr. Cass. 22.1.1999, n. 589, cit.
175 Si veda DE MATTEIS R., La Responsabilità Medica tra Scientia Iuris e Regole di Formazione Giurisprudenziale, in Danno e Resp., 1999, p. 777 ss. In relazione al cumulo delle responsabilità, si veda supra, capitolo I, paragrafo 3.
000 XX XXXXXXX X., Xx Responsabilità in Ambito Sanitario, CEDAM, Padova, 2017, p. 138, nota 52.
177 Si vedano XXXXXXX A., La Responsabilità da Contatto Sociale, Xxxxxxx, Milano, 2012, p. 54 e XXXX U., Il Tramonto di un Sottosistema della R.C.: la Responsabilità Medica, in Danno e resp., 2005,
p. 130 ss.
178 PRINCIGALLI A. M., La Responsabilità del Medico e la Responsabilità della Struttura Ospedaliera. I Criteri di imputazione ed il Nesso di Causalità, estratto, reperibile on line, della relazione tenuta
si è cercato di delineare, nei loro aspetti più rilevanti, in questo paragrafo e, di conseguenza, posto fine alle anomalie di un sistema ibrido, atteso che il modello basato sull’obbligazione derivante da contatto sociale ha legittimato il ricorso al regime della responsabilità contrattuale.
Altri179, invece, hanno continuato a parlare di un sottosistema di regole peculiari, in cui si è inserita la stessa scelta di ricorrere alla teorica del contatto sociale per giustificare la natura contrattuale della responsabilità del medico, che avrebbe trovato «un primo segnale di arresto» solo con l’emanazione della cd. legge Xxxxxxxx, la quale tuttavia non ha sopito, ma anzi, alimentato nuovi dibattiti in relazione all’inquadramento giuridico della responsabilità del sanitario, come a breve180.
6. Le ragioni (teoriche) della «contrattualizzazione» della responsabilità del medico181.
La riconduzione in ambito contrattuale della responsabilità del medico, in ogni caso e quindi anche laddove questi non abbia stipulato alcun
nel mese di novembre 2008, a Trani, nell’ambito di un ciclo di seminari in materia di responsabilità professionale medica.
179 Si veda TRAVAGLINO G., La Responsabilità Contrattuale tra Tradizione e Innovazione, in Resp. civile e previdenza, 2016, p. 95 ss., ove l’autore sintetizza le tappe essenziali della creazione di tale sottosistema.
180 La cd. legge Xxxxxxxx (l. 8.11.2012, n. 189) sarà oggetto di specifica trattazione infra, capitolo II, paragrafo 2. Si anticipa sin d’ora come, nonostante l’adozione della successiva legge Gelli- Bianco, la giurisprudenza manifesti una perdurante propensione all’adozione di regole peculiari in questa materia (cfr. infra, capitolo II, paragrafo 5), che potrebbero portare -non lo si esclude- alla riproposizione di un «sottosistema» della responsabilità civile, applicabile solo agli operatori sanitari.
181 Si rende doverosa una nota di metodo: in questa sede, ci si limita ad una breve ricostruzione delle ragioni teoriche che dovrebbero giustificare la predilezione del regime contrattuale, al fine di agevolare il paziente. Nel prosieguo (si veda infra capitolo III, paragrafo 9), sarà però approfondita l’effettiva incidenza della natura (contrattuale o extracontrattuale) della responsabilità medica sulla realtà processuale di giudizi aventi ad oggetto danni anche lungo latenti ed i cui esiti sono fortemente influenzati dagli accertamenti tecnici (C.T.U. e A.T.P.).
contratto con il paziente (cd. «contrattualizzazione» della responsabilità medica), si inserisce in un più ampio contesto in cui numerose altre ipotesi di responsabilità, tradizionalmente ricomprese in ambito aquiliano, sono state ricondotte alla sfera di operatività della responsabilità contrattuale, proprio riconoscendo rilevanza giuridica al «contatto» tra soggetti182.
È dunque lo stesso rimedio aquiliano ad essere «caduto progressivamente in disuso183», a fronte del diffondersi della convinzione che, in questi casi, gli interessi del danneggiato possano trovare non solo sufficiente, ma anche migliore tutela attraverso il rimedio contrattuale184.
Questa convinzione trova conforto, innanzitutto, nei vantaggi di carattere processuale offerti da quest’ultima forma di tutela. Con specifico riferimento alla materia in esame, si richiamano l’alleviamento dell’onere probatorio a carico del paziente e la lunghezza decennale del termine di prescrizione del suo diritto al risarcimento del danno.
Confrontando le due forme di responsabilità, sotto il primo profilo, mentre ai sensi dell’art. 2043 c.c., il paziente danneggiato dovrebbe provare tutti gli elementi dell’illecito ed in particolare la colpa, ai sensi dell’art. 1218 c.c., invece, non solo non deve provare la colpa185 del debitore (e cioè il
182 In proposito, si xxxx XXXXXXXXXX C., Responsabilità Civile, Xxxxxxx, Milano, 2018, p. 521 ss.
183 In questi termini, FRENDA D. M., Il Concorso di Responsabilità Contrattuale e Aquiliana. Soluzioni Empiriche e Coerenza del Sistema, CEDAM, Padova, 2013, p. 201. Come detto, infatti, anche nel settore della responsabilità medica, la giurisprudenza ha progressivamente abbandonato il ricorso alla regola del concorso proprio di responsabilità.
184 Emblematico è l’indicato progressivo abbandono, da parte della giurisprudenza, del concorso proprio di responsabilità, in un settore, quello della responsabilità medica, ove aveva invece tradizionalmente trovato ampia applicazione.
185 Così, quantomeno da quando la giurisprudenza, recependo le critiche dottrinali (si veda, per tutti, MENGONI L., Obbligazioni di Risultato e Obbligazioni di Mezzi (Studio Critico), in Rivista dir. comm., 1954, p. 147 ss.), ha superato la distinzione tra obbligazioni di mezzi ed obbligazioni di risultato (cfr. Xxxx., S.U., 11.1.2008, n. 577, cit.). Infatti, in precedenza, riconducendo la prestazione medica tra le obbligazioni di mezzi, la giurisprudenza aveva addossato sul paziente l’onere di dimostrare la colpa del professionista, secondo una logica non dissimile da quella aquiliana. Sul punto, si veda Cass. 9.11.2017, n. 26517: «l’accertamento
medico), ma è quest’ultimo a dover dimostrare, per andare esente da responsabilità, di avere esattamente adempiuto, cioè prestato le opportune cure al paziente o, comunque, che l’inadempimento è dipeso da impossibilità della prestazione derivante da una causa a lui estranea186.
Peraltro, giurisprudenza consolidata187 interpreta la norma in modo ancor più favorevole per il creditore. Applicando il principio di vicinanza della prova188 (ritenuto coerente con la regola dettata dall’art. 2697 c.c.), essa ha infatti ricondotto ad unità le regole probatorie applicabili alle vicende contrattuali (art. 1453 c.c.), concludendo che il creditore debba provare l’esistenza della fonte negoziale o legale del credito e, se previsto, il termine di scadenza, cioè i fatti costitutivi della pretesa, ma non anche il fatto negativo dell’inadempimento. Al contrario, sarà il debitore a dover eccepire e
della diligenza della condotta del medico forma oggetto dell’accertamento della colpa, ed in tema di responsabilità medica non è onere dell'attore provare la colpa del medico, ma è onere di quest'ultimo provare di avere tenuto una condotta diligente (come questa Corte viene ripetendo da molti anni: per tutti, in tal senso, Sez. 3, Sentenza n. 589 del 22/01/1999)».
Si vedano, altresì, XXXXX A., La Responsabilità del Medico e l’Argomento Statistico, in I Contratti, 2020, p. 341 ss. e NICOLUSSI A., Sezioni Sempre Più Unite Contro la Distinzione fra Obbligazioni di Risultato e Obbligazioni di Mezzi. La Responsabilità del Medico, in Danno e resp., 2008, p. 871 ss.
186 Più precisamente, secondo l’orientamento maggioritario in giurisprudenza prima dell’intervento di Xxxx., S.U., 30.10.2001, n. 13533, nel caso in cui l’attore avesse chiesto la risoluzione del contratto per inadempimento dell’obbligazione, avrebbe dovuto provare non solo il titolo del proprio diritto ma anche l’inadempimento stesso, spettando al convenuto (debitore inadempiente) la prova di essere immune da colpa, solo quando l’attore avesse provato il fatto costitutivo dell’inadempimento.
187 Tale orientamento è riconducibile a Cass., S.U., 30.10.2001, n. 13533, cit.
188 In virtù di tale principio, che muove dalla considerazione che il creditore incontrerebbe difficoltà, spesso insuperabili, se dovesse dimostrare di non aver ricevuto la prestazione, l’onere della prova viene ripartito tenuto conto delle effettive possibilità, per le parti del rapporto contrattuale, di dimostrare fatti e circostanze che ricadono nelle rispettive sfere di azione: la prova dell’adempimento, fatto estintivo del diritto azionato dal creditore, spetta allora al debitore convenuto, trattandosi di fatto riferibile alla sua sfera di azione. Si ritiene, infatti, più semplice per il debitore «qualificato» provare il fatto positivo dell’adempimento, piuttosto che per il creditore provare il fatto negativo dell’inadempimento (cfr. Cass., S.U., 30.10.2001, n. 13533, cit.).
dimostrare il proprio adempimento, inteso quale fatto estintivo del diritto altrui.
Declinando tali principi, la Suprema Corte189 ha stabilito che il paziente deve provare la fonte da cui deriva il proprio diritto alla prestazione sanitaria e cioè il contratto o il contatto sociale e il danno che ne è derivato (l’insorgenza o l’aggravamento di una patologia), limitandosi ad allegare un inadempimento cd. qualificato, vale a dire astrattamente efficiente alla produzione dello specifico danno. Al medico spetta invece dimostrare che tale inadempimento non vi è proprio stato oppure che, seppur sussistente, non è stato causa del danno. Pertanto, poiché il medico è l’unico detentore delle conoscenze di settore, nonché gestore della cartella clinica, viene onerato di ricostruire la dinamica dei fatti e, di conseguenza, rimane a suo carico il rischio della causa ignota190.
Secondo questa logica, il medico deve dimostrare sia la diligente esecuzione della prestazione professionale sia l’evento imprevisto ed imprevedibile che abbia determinato l’aggravamento delle condizioni del paziente (cioè, persino, l’interruzione del nesso causale tra condotta e danno). Un simile orientamento appare, tuttavia, eccessivamente sbilanciato a favore del paziente poiché, applicando il principio della vicinanza della prova, si
189 Il riferimento è a Cass., S.U., 11.1.2008, n. 577, cit., la quale ha generalizzando la disciplina degli interventi di routine.
190 In questi termini, XXXXXXX P., Responsabilità Sanitaria e Risk Management, Milano, 2020, p.
17. In proposito, va osservato che la giurisprudenza stessa, più di recente, ha rimeditato questa posizione (si veda, in particolare, Cass. 11.11.2019, n. 28991).
Si consideri, peraltro, che il richiamo al principio della vicinanza della prova, nella materia in esame, non tiene conto del fatto che il paziente può servirsi, così come il medico, di esperti del settore in qualità di consulenti di parte, colmando così le proprie lacune «scientifiche». Inoltre, non può escludersi che la prova sia, talvolta, addirittura più agevole per il paziente, «che manifesta i sintomi, conosce il proprio stile di vita; ha posto in essere le eventuali condotte autolesive; sa, o dovrebbe sapere, tutta la propria storia clinica; è al corrente di episodi di familiarità» (cfr. ZENCOVICH Z., Una Commedia degli Errori? La Responsabilità Medica fra Illecito e Inadempimento, in Riv. dir. civ., 2008, p. 316).
finisce per esigere dal medico anche la dimostrazione, positiva e specifica, dei fattori imprevedibili ed inevitabili che hanno determinato l’impossibilità della prestazione, così da poter escludere che detta impossibilità gli sia imputabile. Peraltro, va oltre la lettera e la ratio dell’art. 1218 c.c., norma che richiede soltanto che il debitore dimostri la non imputabilità a sé dell’impossibilità della prestazione, senza la necessità di individuare la causa specifica di tale impossibilità.
Si consideri, tuttavia, che la successiva giurisprudenza di legittimità si è solo in parte uniformata a questo orientamento191, al quale se ne è contrapposto uno più rigoroso che ha continuato a richiedere al paziente la prova del nesso di causalità tra la condotta dei sanitari e l’evento192.
Sempre sul piano processuale, come detto, il rimedio contrattuale è più favorevole al paziente anche per la prescrizione, decennale, del diritto al
191 Si vedano, tra le altre, Cass. 9.10.2012, n. 17143; Cass. 1.2.2011, n. 2334; Cass. 30.12.2011, n.
30267; Cass. 26.1.2010, n. 1538 (conformi a Cass., S.U., 11.1.2008, n. 577, cit.).
192 Si vedano, tra le altre, Cass. 27.11.2012, n. 20996 e Cass. 9.6.2011, n. 12686. Sul solco di questo più rigoroso orientamento, si inseriscono le più recenti sentenze della Suprema Corte in materia, Cass. 11.11. 2019, n. 28991 e n. 28992, che saranno analizzate nel prosieguo (si veda infra, capitolo II, paragrafo 5), ove è stato osservato che il regime probatorio delle obbligazioni consistenti in un «facere professionale» è regolato da principi differenti da quelli che presidiano l’onere della prova nelle azioni di responsabilità contrattuale per inadempimento di obbligazioni di dare o di generico facere. In particolare, si consideri che Cass. 11.11.2019, n. 28992 è tornata a parlare, riferendosi alle obbligazioni assunte dal medico, di «obbligazioni di diligenza professionale» e cioè obbligazioni di mezzi (in proposito, si veda MENGONI L., Obbligazioni di Risultato e Obbligazioni di Mezzi (Studio Critico), in Rivista dir. comm., 1954, p. 192, ove l’autore critica la terminologia «obbligazioni di mezzi» o «obbligazioni di diligenza», preferendo parlare di «obbligazioni di (semplice) comportamento»). Sul punto, si veda anche XXXXX A., La Responsabilità del Medico e l’Argomento Statistico, in I Contratti, 2020, p. 344: «Il già citato intervento legislativo [l. 24/2017] e la posizione più di recente assunta dalla giurisprudenza sul nesso di causalità, segnano invece una battuta d’arresto e anzi un ritorno, per qualcuno condivisibile, alle “obbligazioni di mezzi” e cioè ad un regime meno severo (questa volta in punto di prova del nesso di causalità) per il medico. […] La logica aquiliana torna così ad aggravare nuovamente il carico probatorio del creditore, questa volta, però, non in punto di prova dell’adempimento/inadempimento, ma piuttosto con riferimento alla prova del nesso di causalità materiale tra condotta ed evento dannoso». Quanto alla ripartizione dell’onere probatorio tra medico e paziente, si veda inoltre quanto già osservato supra capitolo I, paragrafo 5.
xxxxxxxxxxxx, se confrontata con il più breve termine quinquennale che opera in ambito aquiliano.
Sulla valutazione della convenienza della tutela contrattuale per il paziente non incide l’art. 2236 c.c., norma che limita il dovere risarcitorio del prestatore d’opera al caso in cui questi abbia agito con dolo o colpa grave, allorché la prestazione eseguita abbia comportato la soluzione di problemi tecnici di speciale difficoltà. Giurisprudenza costante ritiene infatti la disposizione applicabile anche in ambito aquiliano e, di conseguenza, sotto questo profilo non vi sono differenze tra le due forme di responsabilità193.
Peraltro, va rilevato che la giurisprudenza adotta, nella materia in esame, una interpretazione particolarmente restrittiva della norma, ritenuta applicabile soltanto a fronte di un difetto di perizia, con esclusione dell’imprudenza e della negligenza194 ed ammettendo una particolare complessità, atta a determinare l’innalzamento della soglia di rilevanza della colpa, nei soli casi «che trascendono la preparazione media195» in quanto non ancora studiati o sperimentati a sufficienza oppure nei quali ancora manchi un dibattito con riferimento ai metodi terapeutici da seguire. Condizioni, queste, senz’altro non sussistenti in caso di interventi routinari196. Infatti, sono rare le
193 La ratio della norma è quella di non paralizzare l’iniziativa del professionista. In questa prospettiva, la sua applicazione dovrebbe prescindere dalla natura dell’illecito. Al riguardo, si vedano Cass., S.U., 6.5.1971, n. 1282; Cass. 18.11.1997, n. 11440; Cass. 22.1.1999, n. 589, cit.
194 Si veda, in particolare, Cass. 18.11.1997, n. 11440, cit. che, nel richiamare un costante orientamento giurisprudenziale, afferma quanto segue: «la disposizione dell’art. 2236 c.c. che, nei casi di prestazioni che implichino la soluzione di problemi tecnici particolarmente difficili, limita la responsabilità del professionista ai soli casi di dolo o colpa grave, non trova applicazione per i danni ricollegabili a negligenza o imprudenza, dei quali il professionista, conseguentemente, risponde anche solo per colpa lieve». Si veda, altresì, GRANELLI C., La Medicina Difensiva in Italia, in Resp. civile e Previdenza, 2016, p. 22 ss.
195 Cass. 22.1.1999, n. 589, cit. Si veda anche Cass. 11.4.1995, n. 4152.
196 Sul punto, si vedano Cass. 22.1.1999, n. 589, cit. e Cass.12.8.1995, n. 8845.
decisioni, sia di legittimità che di merito, nelle quali è stata ritenuta sussistente la colpa del medico e, tuttavia, essa è stata considerata «non grave197».
Come accennato, inoltre, entrambe le forme di responsabilità garantiscono il risarcimento del danno non patrimoniale, giacché la giurisprudenza ammette il risarcimento di questa tipologia di danno anche in sede contrattuale198. Viene così meno la principale ragione per ritenere più conveniente, per il paziente danneggiato nella sfera psico-fisica, il rimedio aquiliano.
Sempre sul piano del danno risarcibile, la tutela contrattuale garantisce il ristoro di quei danni conseguenti al mancato miglioramento della salute del paziente (sicché il risarcimento comprende l’interesse cd. positivo), invece, quella aquiliana dovrebbe limitarsi al ristoro dei danni conseguenti al suo peggioramento (dunque al solo interesse cd. negativo)199.
Pertanto, l’unico vantaggio del rimedio aquiliano pare essere ormai la risarcibilità del danno non prevedibile al momento in cui è sorta l’obbligazione, non garantendo ulteriori risultati non conseguibili anche ex contractu. Di conseguenza, la tutela contrattuale si presenta, per il paziente, complessivamente più vantaggiosa di quella extracontrattuale200.
Ecco allora che la giurisprudenza, nell’intento di offrire a quest’ultimo
più ampia protezione, mostrando una maggiore sensibilità rispetto alla tutela
197 In questi termini, XXXXXXXX X. (a cura di), Quaderni del Massimario. Responsabilità Sanitaria e Tutela della Salute, Corte Suprema di Cassazione, 2011.
198 Si vedano Cass., S.U., 11.11.2008, nn. 26972, 26973, 26974 e 26975.
199 Si veda Cass. 22.1.1999, n. 589, cit.
200 In proposito, si veda XXXXXXXX X., La Responsabilità del Professionista, Xxxxxxx, Milano, 1958,
p. 310 e 311, ove l’autore rileva come, nel campo della responsabilità professionale medica, la responsabilità per inadempimento sia la più vantaggiosa per il danneggiato per quanto riguarda la prescrizione, l’onere della prova e la responsabilità per fatto altrui. In relazione all’art. 1225 c.c., precisa che, in questa materia, la prevedibilità del danno non ha influenza pratica sull’entità del risarcimento.
della persona e dei suoi diritti fondamentali, stimolata da una rilettura del sistema della responsabilità civile alla luce dei dettami costituzionali, ha finito col garantirgli, in ogni caso, tale tipo di tutela. In questo contesto, il paziente non ha più interesse al cumulo tra le due forme di responsabilità, né a quello cd. proprio, con riferimento ad uno stesso soggetto (il medico), né a quello cd. improprio (intendendo, con detto termine, la possibilità di costruire una responsabilità solidale tra ospedale e medico, il primo a titolo contrattuale e il secondo a titolo aquiliano)201.
Restano le perplessità già manifestate in relazione alle argomentazioni teoriche poste a fondamento di scelte animate più che altro da ragioni di giustizia sostanziale202 e che hanno portato all’elaborazione di un sistema di regole, eccessivamente sbilanciato a favore del paziente.
7. La natura giuridica della responsabilità del medico per trattamento sanitario non autorizzato203.
Una trattazione esaustiva dell’argomento oggetto di studio non può prescindere da un, seppur sintetico, approfondimento relativo alla specifica ipotesi di responsabilità conseguente ad un trattamento sanitario arbitrario204,
201 In proposito, si veda supra, capitolo I, paragrafi 2 e 4.
202 Si veda ALPA G., VISINTINI G., DE MATTEIS R., Dibattito a Più Voci Intorno alla Colpa Medica, con Specifico Riferimento alla Responsabilità del Medico Psichiatra, in Contratto e impresa, 2015, p. 529 ove viene rilevato che la costruzione della responsabilità contrattuale del medico, sulla base del contatto sociale, «non ha una giustificazione teorica, ma solo di politica del diritto».
203 Si rende doverosa una nota di metodo. Il presente capitolo è dedicato all’evoluzione del pensiero giuridico, dottrinale e giurisprudenziale, antecedente agli interventi legislativi, del 2012 e del 2017, in materia sanitaria. Si è pertanto ritento opportuno non considerare, in questa sede, l’entrata in vigore della legge 22.12.2017, n. 219, recante «norme in materia di consenso informato e di disposizioni anticipate di trattamento», di cui si darà conto nel prosieguo (cfr. infra, capitolo II, paragrafo 3.1). Essa, peraltro, si limita a riaffermare un principio già cristallizzato nella legge, a livello costituzionale (artt. 2, 13 e 32 Cost.), come a breve.
204 In proposito, si veda XXXXXXXX X., La Responsabilità del Professionista, Xxxxxxx, Milano, 1958,
p. 290: «il trattamento medico-chirurgico compiuto quando non vi sia il consenso, né lo stato di necessità, né una legge che lo renda obbligatorio, viene detto trattamento arbitrario».
cioè eseguito in assenza del consenso informato del paziente, in ragione delle sue peculiarità rispetto alle altre fattispecie di malpractice medica.
Non vi è dubbio, ormai, che il medico possa essere chiamato a rispondere delle conseguenze civilistiche derivanti da un trattamento che, proprio a causa dell’omessa informazione e della correlata mancata acquisizione del consenso (informato) del paziente, si riveli essere arbitrario.
L’atto medico, di per sé lecito in termini generali, in quanto volto a tutelare la salute del paziente, richiede comunque il consenso di quest’ultimo, dovendo essere effettuato sulla sua persona. Pertanto, il consenso informato del paziente costituisce legittimazione e fondamento del trattamento sanitario, senza il quale esso è illecito205, anche se posto in essere nell’interesse del
205 L’illiceità è qui limitata al profilo civilistico. In proposito, la giurisprudenza (cfr. Cass. 23.5.2001, n. 7027) ha precisato che, sebbene in linea generale, l’attività medica trovi fondamento e giustificazione nell’ordinamento giuridico (e non nel consenso dell’avente diritto, come si riteneva nel passato), dall’autolegittimazione dell’attività medica non può tuttavia trarsi la convinzione che il medico possa, fuori di taluni casi eccezionali, intervenire senza il consenso o, addirittura, malgrado il dissenso del paziente.
La giurisprudenza penale ha invece chiarito la non configurabilità del reato di lesioni nell’intervento chirurgico in sé, seppure realizzato in assenza di un valido consenso del paziente, osservando che l’attività medico chirurgica avente finalità terapeutica (diversa è la problematica posta dall’attività medica sperimentale e da quella estetica) deve essere considerata lecita, in base alla tesi della cd. autolegittimazione dell’attività medico-chirurgica, perché riconducibile ad una scriminante costituzionale, in quanto attività necessaria all’attuazione del diritto alla salute, costituente un diritto fondamentale di rilievo costituzionale. Una lesione penalmente rilevante è dunque ravvisabile solo in caso di esito infausto dell’intervento. Deve inoltre ritenersi superato, anche in ambito penale, l’orientamento che fondava la liceità dell’attività medico-chirurgica sulla scriminante del consenso dell’avente diritto ex art. 50 c.p. Per ulteriori approfondimenti, si veda Cass., S.U. (Pen.), 18.12.2008, n. 2437: «Non integra il reato di lesione personale, né quello di violenza privata la condotta del medico che sottoponga il paziente ad un trattamento chirurgico diverso da quello in relazione al quale era stato prestato il consenso informato, nel caso in cui l'intervento, eseguito nel rispetto dei protocolli e delle leges artis, si sia concluso con esito fausto, essendo da esso derivato un apprezzabile miglioramento delle condizioni di salute del paziente, in riferimento anche alle eventuali alternative ipotizzabili e senza che vi fossero indicazioni contrarie da parte dello stesso».
paziente, salva l’ipotesi in cui il trattamento debba considerarsi obbligato, per
legge o stato di necessità206.
Tali conclusioni costituiscono il risultato di un processo dottrinale e giurisprudenziale che, nell’ambito di una concezione dei rapporti tra medico e paziente improntata al principio dell’alleanza terapeutica, a partire dagli anni Sessanta207, ha condotto alla valorizzazione del consenso del paziente come espressione di libera autodeterminazione208 in relazione alle scelte che incidono sulla salute -intesa come condizione soggettiva di benessere psico- fisico209-, promossa ed incentivata dall’informazione stessa.
206 Il riferimento va, innanzitutto, ai trattamenti sanitari obbligatori ed alle ipotesi in cui sia necessario intervenire d’urgenza. Sul punto, si vedano Cass. 16.10.2007, n. 21748 e Cass. 11.12.2013, n. 27751.
207 In proposito, si veda ZANA M., Responsabilità Medica e Tutela del Paziente, Xxxxxxx, Milano, 1993, p. 39 ss., ove l’autore rileva che, a partire dagli anni Sessanta, la Cassazione (cfr. Cass. 6.12.1968, n. 3906) ha posto le basi giuridiche della partecipazione del paziente alle decisioni del medico.
Si veda anche Cons. Stato 2.9.2014, n. 4460: «Dall’antico paternalismo medico, che vedeva informazione e consenso del paziente rimessi integralmente all’apprezzamento del medico, unico sostanzialmente a sapere e decidere cosa fosse “bene”, in termini curativi, per il paziente, anche la nostra giurisprudenza, dopo un lungo e travagliato percorso, è pervenuta così all’affermazione del moderno principio dell’alleanza terapeutica, snodo decisivo sul piano culturale prima ancor che giuridico, poiché riporta il singolo paziente, la sua volontà, il suo consenso informato e, quindi, il singolo paziente quale soggetto e non oggetto di cura al centro del percorso sanitario, nel quale medico e paziente concorrono nella scelta della strategia terapeutica più rispondente alla visione della vita e della salute propria della persona che si sottopone alla cura».
208 Il consenso al trattamento medico è stato inizialmente concepito quale atto di disposizione del corpo posto ad esclusiva salvaguardia dell’integrità fisica (ex art. 5 c.c.). Attualmente, viene invece inteso come atto di esercizio di un diritto di libertà personale (ex artt. 2, 13 e 32 Cost.): il paziente che acconsente alle cure non rende lecita la lesione di un diritto disponibile, ma fa uso della libertà di decidere liberamente da sé quanto riguarda la propria persona. Le implicazioni delle due differenti impostazioni possono cogliersi sul piano della responsabilità conseguente ad un trattamento eseguito senza consenso del paziente: nel primo caso, la responsabilità sussisterà solo in presenza di una lesione della sua salute; diversamente, nel secondo caso, essa conseguirà alla sola lesione del diritto all’autodeterminazione, a prescindere dall’esito xxxxxx o infausto dell’intervento. In proposito, si veda DE MATTEIS R., Le Responsabilità in Ambito Sanitario, CEDAM, Padova, 2017, p. 276 ss. Le problematiche attinenti al danno risarcibile saranno approfondite nel prosieguo (cfr. infra, capitolo I, paragrafo 7.2).
209 Nel 1946, l’OMS ha definito la salute come «uno stato di completo benessere fisico, mentale e sociale», concetto che assume così una connotazione soggettiva, rinviando alle percezioni del singolo e non può essere ridotto alla semplice «assenza di malattie e di infermità».
In questo contesto culturale, la giurisprudenza ha infatti riletto il dovere di informazione (circa le finalità, il contenuto, i rischi dell’intervento e le possibili alternative terapeutiche) gravante sul medico, nei termini di dovere di raccolta del consenso informato del paziente, genericamente individuando, in caso di violazione, una «responsabilità professionale210».
D’altro canto, anche la dottrina non sembrava essere in grado di offrire indicazioni univoche circa l’inquadramento, precontrattuale o contrattuale di tale responsabilità211.
In particolare, secondo l’orientamento tradizionale, divenuto minoritario, la necessità di una corretta, completa e adeguata informazione, funzionale all’acquisizione del consenso informato del paziente, troverebbe fondamento nel dovere di buona fede, cui le parti sono tenute nello svolgimento delle trattative e nella formazione del contratto, ai sensi dell’art. 1337 c.c.212 Precisamente, parte degli interpreti è giunta a questa soluzione
210 Cass. 12.6.1982, n. 3604.
211 Si vedano DE MATTEIS R., Le Responsabilità in Ambito Sanitario, CEDAM, Padova, 2017, p. 281 ss. e CALLIPARI N., Il Consenso Informato nel Contratto di Assistenza Sanitaria, Xxxxxxx, Milano, 2012, p. 127 ss.
212 Si veda CATTANEO G., La Responsabilità del Professionista, Xxxxxxx, Milano, 1958, p. 274 e 275, il quale fa discendere il dovere di informazione dal dovere di buona fede e lo colloca nella fase precedente la stipulazione del contratto, precisando che informazioni e chiarimenti siano qui necessari per rendere possibile il valido consenso, inteso quale «requisito di possibilità giuridica della prestazione». Si vedano, altresì, PRINCIGALLI A. M., La Responsabilità del Medico, Jovene, Napoli, 1983, p. 187 ss., ove l’autrice valorizza il consenso come espressione del diritto di autodeterminazione del paziente, precisando che esso debba essere preceduto dall’informazione e SCOGNAMIGLIO C., Responsabilità Precontrattuale e Danno Non Patrimoniale, in Resp. civile e previdenza, 2009, p. 0000 xx. (xx xxxxxxxxxxx, x. 0000 xx.).
Xx xxxxxxxxxxxxxx, xx vedano, tra le altre, Cass. 25.11.1994, n. 10094, secondo la quale, «il consenso, oltre che legittimare l’intervento sanitario costituisce, sotto altro profilo, uno degli elementi del contratto tra il paziente ed il professionista (art. 1325 c.c.), avente ad oggetto la prestazione professionale, sicché l’obbligo di informazione deriva anche dal comportamento secondo buona fede cui si è tenuti nello svolgimento delle trattative e nella formazione del contratto (art. 1337 c.c.)» e Cass. 15.1.1997, n. 364, la quale ha osservato che «L’obbligo di informazione da parte del sanitario assume rilievo nella fase precontrattuale, in cui si forma il consenso del paziente al trattamento od all'intervento e trova fondamento nel dovere di comportarsi secondo buona fede nello svolgimento delle trattative e nella formazione del contratto (art. 1337 c.c.)».
partendo dal presupposto che il contratto d’opera professionale tra medico e paziente possa perfezionarsi solo successivamente alla manifestazione del consenso al trattamento suggerito dal curante.
In proposito, occorre peraltro rilevare che la riconduzione di tale responsabilità in ambito precontrattuale porta con sé l’ulteriore problematica relativa alla natura giuridica di questa forma di responsabilità, che sarà oggetto di specifico approfondimento nel prosieguo della trattazione213.
Tuttavia, può fin d’ora evidenziarsi che, sebbene l’orientamento maggioritario in giurisprudenza ne sostenga la natura extracontrattuale, in ragione della mancata stipulazione del contratto, da tempo, parte della dottrina214, seguita dalla giurisprudenza minoritaria, ne afferma la natura contrattuale. Precisamente, questa seconda impostazione ha ricondotto la responsabilità precontrattuale alla dimensione relazionale di rapporto,
213 La problematica attinente alla natura della responsabilità precontrattuale sarà approfondita nel prosieguo (si veda infra, capitolo III, paragrafo 3).
In proposito, si vedano MENGONI L., Sulla Natura della Responsabilità Precontrattuale, in Riv. dir. comm., 1956, p. 360 ss.; XXXXXXXXXX C., Vaga Culpa in Contrahendo: Invalidità, Responsabilità e la Ricerca della Chance Perduta, in Europa e dir. priv., 2010, p. 1 ss.; ID., Responsabilità Civile, Xxxxxxx, 2018, p. 501 ss.; NIVARRA L., Alcune Precisazioni in Tema di Responsabilità Precontrattuale, in Eur. e dir. priv., 2014, p. 45 ss.; PIRAINO F., La Responsabilità Precontrattuale e la Struttura del Rapporto Prenegoziale, in Persona e mercato, 2017, p. 104 ss.; ID., Intorno alla Responsabilità Precontrattuale, al Dolo Incidente e a una Recente Sentenza Giusta ma Erroneamente Motivata, in Europa e dir. priv., 2013, p. 1118 ss.; SCOGNAMIGLIO C., Tutela dell'affidamento, violazione dell'obbligo di buona fede e natura della responsabilità precontrattuale (Commento a Cass. civ. 20 dicembre 2011, n. 27648 e Cass. civ. 21 novembre 2011, n. 24438), in Resp. civile e previdenza, 2012, p. 1944 ss.; ID., La Cassazione Supera Se Stessa e Rivede la Responsabilità Precontrattuale, in Europa e dir. priv., 2012, p. 1233 ss.; ID., Responsabilità Precontrattuale e «Contatto Sociale Qualificato», in Resp. Civile e Previdenza, 2016, p. 1950 ss.; XXXXXXXXX M., La Responsabilità Precontrattuale della P.A. tra Buona Fede, Efficienza e Tutela dell’Affidamento in Xxxxxxxxxxx.xx, Rivista di diritto pubblico italiano, comparato ed europeo, 2016; XXXXXXX M. E XXXXX F., La Contrattualizzazione della Responsabilità Precontrattuale, in De Iustitia, 2017, p. 50 ss.; XXXXXXXX I., La Cassazione Sulla Natura Della Responsabilità Precontrattuale: «Aliquid Novi»?, in Dir. civ. cont., 2016; ALBANESE A., La Lunga Marcia della Responsabilità Precontrattuale: dalla Culpa in Contrahendo alla Violazione di Obblighi di Protezione, in Europa e dir. priv., 2017, p. 1128 ss.
214 Si veda MENGONI L., Sulla Natura della Responsabilità Precontrattuale, in Riv. dir. comm., 1956,
p. 360 ss.
costruito tra le parti intorno alla regola della buona fede, da cui discendono obblighi di protezione e di informazione. Più di recente, è stato affermato che essa costituirebbe un’ipotesi di responsabilità contrattuale da «contatto sociale», inteso quale fatto idoneo a produrre obbligazioni, ai sensi dell’art. 1173 c.c.215
Tornando alla natura della responsabilità conseguente alla violazione del dovere di informazione, l’orientamento attualmente prevalente216 ne sostiene, invece, la natura contrattuale, ponendo il difetto di informazione sul piano dell’inadempimento degli obblighi discendenti da un contratto già concluso direttamente con il medico o con la struttura sanitaria o, comunque, dal contatto sociale precedentemente intervenuto con il medico217. Il dovere di informazione dell’esercente la professione sanitaria è dunque qui concepito come rientrante nell’oggetto della prestazione, dovuta sulla base del contratto o del contatto sociale: la fase delle trattative è superata e si è già instaurato il rapporto obbligatorio, cosicché tutto ciò che segue rientra nella fase esecutiva di tale rapporto.
Già negli anni Settanta, la Suprema Corte218 aveva rilevato come il
«dovere professionale» del medico di informare il paziente sulla natura e sugli
eventuali pericoli dell’intervento operatorio si inserisca nella fase esecutiva di
215 Quest’ultima impostazione, che muove dalle riflessioni di Xxxxxxxxxx, ha trovato conferma in una sentenza della Suprema Corte (cfr. Cass. 12.7.2016, n. 14188) che, pur non riguardando un caso di responsabilità medica, potrebbe incidere indirettamente su di essa. Va però rilevato che i contrasti in materia non sono sopiti, poiché vi sono pronunce successive che ripropongono la tesi aquiliana.
216 Si vedano Cass. 26.3.1981, n. 1773; Cass. 8.8.1985, n. 4394; Cass. 23.5.2001, n. 7027.
217 In proposito, si veda CALLIPARI N., Il Consenso Informato nel Contratto di Assistenza Sanitaria, Xxxxxxx, Milano, 2012, p. 127: «la responsabilità del medico e della struttura sanitaria nei confronti del paziente trova la propria fonte nell’inadempimento di obbligazioni contrattuali, fondate a loro volta sul contratto di assistenza sanitaria, sul contatto sociale oppure sul contratto d’opera professionale (a seconda che il medico operi nell’ambito della struttura ospedaliera ovvero come un libero professionista)».
218 Si veda Cass. 29.3.1976, n. 1132.
quella «complessa prestazione professionale che il medico si è obbligato ad eseguire per effetto del […] contratto d’opera intellettuale», già perfezionatosi con l’accettazione del professionista ad esercitare la propria attività, su richiesta del paziente. Una volta ricondotto il «dovere informativo» nell’ambito della prestazione oggetto del contratto tra medico e paziente, dalla sua violazione consegue necessariamente una responsabilità contrattuale.
Autorevole dottrina, riferendosi all’intervento della Suprema Corte in commento, ha evidenziato come il contraente sia tenuto ad informare la controparte anche in relazione alla pericolosità della prestazione e come, una volta concluso il contratto, tale dovere rientri «nel suo contenuto» e dia quindi luogo a responsabilità contrattuale219.
L’acquisizione, in ambito contrattuale, della responsabilità conseguente alla violazione del dovere di informare il paziente si è consolidata, in giurisprudenza, a partire da una pronuncia della Suprema Corte, considerata ormai come leading case220 in materia.
In particolare, sulla scorta delle riflessioni dottrinali da ultimo richiamate, la Corte di cassazione ha evidenziato appunto come, sebbene il dovere di informazione attenga «elettivamente» alla fase precedente la stipulazione del contratto, ove, pur essendo mancata l’informazione, il contratto sia stato stipulato, quel dovere venga a permearne il contenuto, con l’ulteriore conseguenza che, dalla sua violazione, discende una vera e propria responsabilità contrattuale221.
219 Si veda BIANCA C.M., Il Contratto, in Diritto civile III, Xxxxxxx, Milano, 2000, ristampa 2015, p. 164.
220 Trattasi di Cass. 8.8.1985, n. 4394.
221 Più precisamente, Cass. 8.8.1985, n. 4394, cit. rileva quanto segue: «Come è noto, il dovere di informazione attiene elettivamente alla fase precedente la stipulazione del contratto, quale espressione del principio di buona fede che domina siffatta fase e, in questa prospettiva, investe non solo le cause di invalidità o di inefficacia potenzialmente -ma apprezzabilmente dalla parte onerata- suscettibili di emersione o di insorgenza; ma benanche le ragioni che rendano inutile o addirittura pericolosa la
Attenta dottrina ha tuttavia rilevato che queste conclusioni non fossero, all’epoca, estensibili al di là del settore della chirurgia estetica, nel cui ambito sono state espresse222. Più precisamente, il caso sottoposto all’esame della Corte riguardava un intervento di ricostruzione del seno, effettuato dal chirurgo senza errori, sotto il profilo tecnico, ma non preceduto da una corretta informazione sui rischi (esiti cicatriziali) che avrebbero potuto comprometterne il buon esito.
In questo settore, l’informazione entra a far parte del contenuto contrattuale nel senso che lo specifica e determina, divenendo indice di riferimento per la valutazione dell’inesatto adempimento223. In tal modo, l’obbligo di informazione, seppure inteso quale obbligo meramente
«integrativo strumentale, perché funzionalmente rivolto all’esatto adempimento della
prestazione medica224», ha comunque potuto acquisire autonoma rilevanza ai
prestazione che, dalla parte onerata, la controparte si attenda. Riguardo, peraltro, a questa seconda ipotesi -la più vicina, evidentemente, alla specie in esame- c’è da soggiungere che, ove pur essendo mancata l’informazione, il contratto sia stato stipulato in effetti, quel dovere viene a permearne il contenuto; e la violazione -secondo autorevole dottrina confortata dalla giurisprudenza- dà luogo a vera e propria responsabilità contrattuale e a conseguente risarcimento del danno, commisurato all’interesse cd. positivo dell’altro contraente».
222 In proposito, si vedano DE MATTEIS R., La Responsabilità Medica. Un Sottosistema della Responsabilità Civile, CEDAM, Padova, 1995, p. 60 ss. e ID., Le Responsabilità in Ambito Sanitario, CEDAM, Padova, 2017, p. 284 ss.
223 Nel caso analizzato da Cass. 8.8.1985, n. 4394, cit., il richiamo alla violazione dell’obbligo di informazione ha consentito, in ultima analisi, un controllo sull’inesattezza della prestazione del chirurgo in termini di risultato, senza scardinare, anche se solo in apparenza, la tradizionale configurazione dell’obbligazione del medico quale obbligazione di mezzi.
Più in generale, secondo la giurisprudenza, nel settore della chirurgia estetica, il chirurgo è tenuto a rendere edotto il cliente della reale possibilità di conseguire il miglioramento estetico
«sperato» e, di conseguenza, risponderà dell’eventuale mancato raggiungimento del risultato da quest’ultimo «atteso» sulla base dell’informazione ricevuta, salvo sia in grado di dimostrare di averlo correttamente informato. Pertanto, quel risultato che, in quanto aleatorio, non dovrebbe rientrare in obligatione, attraverso l’informazione, finisce col conformarne il contenuto, trasformando un’obbligazione di mezzi in obbligazione di risultato. In proposito, si veda anche supra capitolo I, paragrafo 5.
000 XX XXXXXXX X., Consenso Informato e Responsabilità del Medico, in Danno e Responsabilità,
1996, p. 215 ss., nota 3. Così inteso, l’obbligo di informazione gravante sul sanitario rappresenterebbe una tipica obbligazione accessoria di protezione, rispetto a quella, principale, di cura.
fini dell’affermazione della responsabilità del medico, che aveva
correttamente eseguito l’intervento.
La pronuncia nasconde, però, un errore di fondo e cioè quello di aver sovrapposto i due differenti piani di rilevanza assunti dall’informazione all’interno della relazione contrattuale, riconducendo il consenso al trattamento medico, posto a garanzia del diritto di autodeterminazione del paziente, al consenso come elemento essenziale dell’accordo225. Diversamente, l’informazione che entra a far parte del contenuto del contratto e conforma l’obbligazione assunta dal medico, acquisendo rilevanza ai fini della valutazione del suo esatto adempimento, va tenuta distinta dall’informazione che indirizza il consenso del paziente verso una consapevole scelta, la cui omissione o inesattezza si traduce nella lesione di un diritto costituzionalmente garantito (artt. 2, 13 e 32 Cost.)226.
225 Xxxxxxxx, Xxxx. 8.8.1985, n. 4394, cit. pare aver intuito questa duplice rilevanza
dell’informazione laddove rileva che il contenuto dell’obbligo di informazione gravante sul
«terapeuta in generale», limitato «ai possibili rischi ed effetti delle terapie suggerite o degli interventi chirurgici proposti», differisce da quello gravante sul chirurgo estetico «in ordine alla conseguibilità di un miglioramento effettivo dell'aspetto fisico, che si ripercuota favorevolmente sulla vita professionale e sulla vita di relazione», senza tuttavia avvedersi del diverso risvolto funzionale dell’informazione nei due diversi casi. In proposito, si veda PRINCIGALLI A. M., in Foro it., 1986, c. 121 ss., ove, annotando la pronuncia in esame, mostra perplessità in relazione ad una diversificazione del contenuto informativo gravante sul medico in ragione del tipo di attività svolta.
In dottrina, si vedano inoltre DE MATTEIS R., La Responsabilità Medica. Un Sottosistema della Responsabilità Civile, CEDAM, Padova, 1995, p. 60 ss. e ID., Le Responsabilità in Ambito Sanitario, CEDAM, Padova, 2017, p. 284 ss., per l’autrice, il consenso al trattamento medico non può essere assimilato all’accettazione contrattuale; ZANA M., Responsabilità Medica e Tutela del Paziente, Xxxxxxx, Milano, 1993, p. 40, ove l’autore denuncia gli effetti distorsivi che la regola del consenso subisce quando viene «filtrata» attraverso la logica del contratto di cura; GORGONI M., La Stagione del Consenso e della Informazione: Strumenti di Realizzazione del Diritto alla Salute e di Quello alla Autodeterminazione, in Resp. civile e previdenza, 1999, p. 488 ss. (ed in particolare p. 496 e 497), ove l’autrice richiama la distinzione tra «consenso alla cura» e
«consenso al trattamento medico» introdotta, in dottrina, al fine di attribuire natura, rispettivamente, negoziale e non negoziale al consenso, avendo, in questa seconda ipotesi, funzione di tutelare la dignità della persona.
226 Si vedano DE MATTEIS R., La Responsabilità Medica. Un Sottosistema della Responsabilità Civile, CEDAM, Padova, 1995, p. 60 ss. e ID., Le Responsabilità in Ambito Sanitario, CEDAM, Padova, 2017, p. 284 ss.
Nel primo caso, l’obbligo di informazione si configura, come detto, quale «obbligo integrativo strumentale, volto ad assicurare l’esatto adempimento della prestazione principale nella specificazione del contenuto di questa»; nel secondo, acquisisce «contenuto autonomo […], in quanto diretto a preservare la persona dalla specifica possibilità di danno (lesione del diritto alla salute nella compressione della libertà di autodeterminazione, ex artt. 13-3, 2° comma, Cost.) derivante dalla particolare relazione instauratasi tra medico e paziente227».
Il superamento dell’equivoco ingenerato da un’assimilazione tra
«consenso al contratto» e «consenso al trattamento medico» è passato attraverso un’adeguata valorizzazione del fondamento costituzionale del dovere di informazione, che si è così potuto imporre quale «regola generale di condotta per il medico, sussistente anche al di fuori della relazione contrattuale tra medico e paziente228».
Negli anni Novanta, è stata la Corte costituzionale a suggerire il cambiamento di prospettiva, riconoscendo espressamente la rilevanza costituzionale del diritto all’autodeterminazione terapeutica229.
000 XX XXXXXXX X., Xx Responsabilità in Ambito Sanitario, CEDAM, Padova, 2017, p. 287.
228 ID., p. 290. Tuttavia, anche la dottrina più risalente era giunta ad analoghe conclusioni. In particolare, si veda XXXXXXXX X., La Responsabilità del Professionista, Xxxxxxx, Milano, 1958, p. 275, ove l’autore rileva come il dovere di informare il cliente sussista «anche se manca un’obbligazione contrattuale».
229 Si veda Corte cost. 22.6.1990, n. 307. In particolare, chiamata a decidere sulla legittimità costituzionale di alcune disposizioni (artt. 1, 2 e 3) della legge 4.6.1996, n. 151, regolanti la vaccinazione antipoliomielitica, nella parte in cui non prevedevano un’equa indennità a carico dello stato ed in favore di chi, nel sottoporsi alla vaccinazione obbligatoria, avesse subito un danno, la Corte ha individuato nell’art. 32 Cost. una serie di limiti all’ammissibilità della
«compressione di quella autodeterminazione dell'uomo che inerisce al diritto di ciascuno alla salute in quanto diritto fondamentale». Inoltre, pur non affrontando direttamente il problema del consenso informato, essa ha ritenuto ammissibile il ricorso al rimedio risarcitorio di cui all’art. 2043 c.c., laddove il trattamento sanitario -in quel caso obbligatorio, ma analoghe considerazioni sono estensibili ai trattamenti volontari, ove il consenso informato costituisce atto autorizzativo dell’attività medica- non sia accompagnato «dalle cautele o condotte secondo le modalità che lo stato delle conoscenze scientifiche e l'arte prescrivono in relazione alla sua natura», fra le quali va ricompresa la «comunicazione […] di adeguate notizie circa i rischi di lesione».
Pare opportuno precisare che il pieno riconoscimento del triplice fondamento costituzionale
del consenso informato, negli artt. 2, 13, e 32 Cost., costituisce l’esito di un lungo percorso
Recependo tali indicazioni, la Suprema Corte, nel confermare la natura contrattuale dell’obbligo del medico di informare il paziente, ha precisato che, trattandosi di obbligo derivante da «una norma di rilevanza costituzionale volta a tutelare un diritto primario della persona, non può non avere, per ciò stesso, nella complessiva struttura negoziale, natura e dignità autonome (con autonoma rilevanza, sul piano delle conseguenze giuridiche, nel caso d'inadempimento)230». Esso non può avere, pertanto, natura meramente accessoria o strumentale alla prestazione di cura in senso stretto.
Si è così compiuto e consolidato quel processo dottrinale e giurisprudenziale che ha trasformato l’obbligo d’informazione (circa le finalità, il contenuto, i rischi e le possibili alternative dell’intervento) - equivalente a quello di raccogliere un consenso informato- da obbligo accessorio e preliminare, privo di autonoma valenza contrattuale231, ad obbligazione autonoma232, rilevante ai sensi dell’art. 1218 c.c., in quanto
giurisprudenziale che, iniziato negli anni Novanta, è stato portato a compimento da Corte cost. 23.12.2008, n. 438.
In dottrina, si vedano anche ZANA M., Responsabilità Medica e Tutela del Paziente, Xxxxxxx, Milano, 1993, p. 39 ss. e GORGONI M., La Stagione del Consenso e della Informazione: Strumenti di Realizzazione del Diritto alla Salute e di Quello alla Autodeterminazione, in Resp. civile e previdenza, 1999, p. 488 ss.
230 Cass. 23.5.2001, n. 7027. Si veda anche Cass. 5.7.2017, n. 16503: «l’acquisizione da parte del medico del consenso informato costituisce prestazione altra e diversa da quella dell’intervento medico richiestogli, assumendo autonoma rilevanza ai fini dell'eventuale responsabilità risarcitoria in caso di mancata prestazione da parte del paziente (cfr. Cass., 16/05/2013, n. 11950); e si tratta, in definitiva, di due diritti distinti (Cass. 06/06/2014, n. 12830): il consenso informato attenendo al diritto fondamentale della persona all'espressione della consapevole adesione al trattamento sanitario proposto dal medico (Corte cost., n. 438 del 2008) e quindi alla libera e consapevole autodeterminazione del paziente, atteso che nessuno può essere obbligato ad un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge (anche quest'ultima non potendo peraltro in ogni caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana: art. 32 Cost., comma 2); il trattamento medico terapeutico ha viceversa riguardo alla tutela del (diverso) diritto fondamentale alla salute (art. 32 Cost., comma 1)».
231 Si veda DE MATTEIS R., Le Responsabilità in Ambito Sanitario, CEDAM, Padova, 2017, p. 290 e
ss. e ID., Consenso Informato e Responsabilità del Medico, in Danno e Responsabilità, 1996, p. 215 ss.
232 Si vedano PARADISO M., La Responsabilità Medica tra Conferme Giurisprudenziali e Nuove Aperture, in Danno e resp., 2009, p. 703 ss. e ID., La Responsabilità Medica: dal Torto al Contratto, in Riv. dir. civ., 2001, p. 325 ss.
scaturente da un rapporto di tipo obbligatorio, già instauratosi tra medico e paziente233.
Infatti, se la premessa è l’inquadramento del rapporto tra medico e paziente nell’ambito del contratto d’opera professionale o, alternativamente, del contatto sociale, tale impostazione appare preferibile -rispetto alla tesi della natura precontrattuale, di cui si è detto-, anche in considerazione della modalità di svolgimento di tale rapporto, articolato nella fase diagnostica, basata sul rilevamento dei dati sintomatologici e nella successiva fase terapeutica o di intervento chirurgico, determinata dalla prima. Il medico rileva anzitutto i sintomi del paziente e, solo successivamente, sulla base dei risultati di tale indagine, è in grado di individuare l’opzione trattamentale più opportuna e comunicarla al paziente234.
In questa prospettiva, il dovere di informazione rientra nell’ambito della complessa prestazione demandata al medico, assumendo, a seconda dei casi, una diversa rilevanza: essa non solo si accompagna (necessariamente) alla prestazione di cura, ma può anche costituire il solo oggetto della prestazione medica, come avviene in caso di consulto o di analisi cliniche, di norma eseguite da specialisti diversi dal medico che ha in cura il paziente e che, in certi limiti, possono essere richieste dallo stesso interessato senza il tramite di un medico curante. Inoltre, in caso di interventi chirurgici particolarmente complessi ed articolati in varie fasi, implicanti a loro volta, scelte operative
233 In proposito, si veda Cass. 19.10.2006, n. 22390, la quale precisa che la corretta informazione sul trattamento sanitario non appartiene ad un momento prodromico, esterno al contratto, ma è «condotta interna al cd. contatto medico sanitario ed è elemento strutturale interno al rapporto giuridico che determina il consenso al trattamento sanitario».
234 In proposito, si veda Cass. 23.5.2001, n. 7027, la quale rileva che la soluzione contrattuale sembra meglio adeguarsi, rispetto a quella precontrattuale, «al normale accadimento delle vicende umane [tra medico e paziente] e alle norme che tali vicende sono chiamate e regolare».
caratterizzate da rischi diversi, l’obbligo di informazione deve ritenersi esteso anche a queste singole fasi ed ai rispettivi rischi235.
Per completezza, sebbene la riconduzione alla responsabilità contrattuale sembri costituire l’approdo della giurisprudenza (di legittimità e di merito) assolutamente maggioritaria, si rileva altresì l’esistenza di una tesi intermedia236 che distingue, ai fini dell’individuazione della natura dell’illecito, l’ipotesi in cui il difetto di informazione sia parziale ma non del tutto assente, dall’ipotesi in cui, diversamente, la fase informativa sia stata completamente omessa. Nel primo caso, l’attività informativa stessa, seppure incompleta, sarebbe evidenza di un rapporto tra le parti, fondato sul «contatto sociale», con conseguente responsabilità contrattuale; viceversa, laddove questa attività sia stata del tutto trascurata, la responsabilità avrebbe natura aquiliana.
Anche in tal caso, l’adesione alle diverse tesi non è indifferente sotto il profilo disciplinare e, soprattutto, sotto il profilo probatorio. Prima di approfondire la tematica, si ritiene però opportuno svolgere qualche breve considerazione in merito al ruolo svolto dalla struttura sanitaria nella raccolta del consenso informato, al fine di verificare se una responsabilità di quest’ultima possa accompagnarsi a quella del medico che, ad uno sguardo superficiale, potrebbe sembrare l’unico soggetto gravato da obblighi informativi nei confronti del paziente.
235 Si veda PARADISO M., La Responsabilità Medica: dal Torto al Contratto, in Riv. dir. civ., 2001, p. 325 ss. In relazione agli interventi articolati in più fasi, si veda Cass. 15.1.1997, n. 364.
236 Si veda Trib. Rossano, 22.1.2007, in Giur. merito 2008, p. 104 ss., con nota di TOPPETTI F., La Responsabilità del Sanitario per Violazione dell’Obbligo Informativo Oltrepassa «il Confine tra Contratto e Torto».
7.1. Segue: la responsabilità della struttura sanitaria, cenni.
Tradizionalmente, nel trattare i temi dell’informazione e del consenso, l’attenzione veniva posta sull’operato del singolo sanitario, piuttosto che sull’attività della struttura. Occorre, tuttavia, dare conto della rilevanza che l’attività informativa assume nel quadro dell’attività di assistenza sanitaria, a quest’ultima demandata, sulla base del contratto di spedalità237.
È infatti opportuno distinguere l’ipotesi in cui il paziente si rivolga ad un determinato medico, esercente la libera professione presso uno studio privato, dall’ipotesi in cui si rivolga alla struttura sanitaria e dunque, ad una controparte «complessa», ove più soggetti concorrono all’erogazione del servizio.
Nel primo caso, la natura contrattuale del rapporto che si instaura tra le parti comporta per il sanitario non solo l’obbligo di svolgere l’attività professionale necessaria od utile in relazione al caso concreto238, ma anche quello di adempiere, personalmente, al dovere d’informazione nei confronti del paziente ed ottenere il suo consenso al trattamento.
Nel secondo, anche aderendo alla teorica del contatto sociale tra paziente e medico che concretamente esegue la prestazione, va comunque considerato che solo la struttura sanitaria è parte del contratto (di spedalità) in senso tecnico, concluso con l’assistito. Di conseguenza, in qualità di diretta contraente, è tenuta ad adempiere a tutte le obbligazioni che derivano da tale contratto, compreso l’obbligo di informazione e raccolta del consenso informato ed è dunque responsabile, in caso di inadempimento.
237 In proposito, si veda supra capitolo I, paragrafo 3.1.
238 Si veda Cass. 21.12.1978, n. 6141.
Appaiono pertanto condivisibili le conclusioni di quella dottrina che, superando l’impostazione classica, secondo la quale questo obbligo graverebbe esclusivamente sul medico, ravvisa una responsabilità autonoma delle strutture sanitarie per l’inadempimento dell’obbligo di garantire ai pazienti, tramite un’organizzazione adeguata, la possibilità di fruire dell’attività informativa necessaria da parte del personale medico239.
Peraltro, questa dottrina ritiene che dovrebbe essere la struttura sanitaria stessa a farsi carico dell’obbligo d’informazione relativo alle eventuali carenze dotazionali o di organico, per mezzo di operatori adeguatamente preparati, così da sgravare il medico dall’obbligo di informare l’assistito circa le questioni gestionali ed organizzative, consentendogli di concentrarsi sulle problematiche di tipo diagnostico e terapeutico, rispetto alle quali si rendono necessarie la professionalità e la competenza mediche240.
In senso critico, può però osservarsi che spesso è solo il medico ad avere le competenze necessarie per decidere come sfruttare le risorse messe a disposizione dalla struttura, in vista dell’intervento ritenuto adeguato alle esigenze del singolo paziente, eventualmente modulandolo in base ai mezzi disponibili e, dunque, potrebbe essere il solo a trovarsi nelle condizioni idonee
239 In questi termini, si esprime DE MATTEIS R., Le Responsabilità in Ambito Sanitario, CEDAM, Padova, 2017, p. 270 ss. (ed in particolare, p. 272), precisando che tali conclusioni non devono, ovviamente, portare ad una sottovalutazione del ruolo informativo del medico. In proposito, si veda anche CALLIPARI N., Il Consenso Informato nel Contratto di Assistenza Sanitaria, Xxxxxxx, Milano, 2012, p. 99 ss., ove l’autore evidenzia che l’informazione non deve essere considerata come un obbligo morale del medico, ma come un problema di organizzazione della struttura, da garantire con mezzi e personale.
240 L’obbligo di informazione ha ad oggetto anche il livello di efficienza della struttura
ospedaliera, in rapporto alle dotazioni e alle attrezzature, nonché al loro regolare funzionamento. Si vedano, in proposito, Cass. 16.5.2000, n. 6318 e Cass. 21.7.2003, n. 11316, ove la Corte afferma che il medico ha l’obbligo di informare il paziente dell’eventuale, anche solo contingente, inadeguatezza della struttura presso la quale quest’ultimo è ricoverato.
per poter informare il paziente circa eventuali inadeguatezze e suggerire una diversa struttura.
A livello giurisprudenziale, possono cogliersi segnali nel senso della configurazione di una responsabilità della struttura, autonoma rispetto a quella del singolo medico.
In particolare, la giurisprudenza amministrativa ha rilevato che il consenso informato, «oltre ad essere un diritto assoluto e inviolabile e, come tale, efficace erga omnes e, in particolare, nei riguardi del medico, è anche un diritto soggettivo pubblico o diritto sociale che, nella dinamica del suo svolgersi e del suo concreto attuarsi, ha per oggetto una prestazione medica che ha quali necessari e primari interlocutori le strutture sanitarie e, in primo luogo, il Servizio Sanitario Nazionale241», sottolineando come solo «una diretta responsabilizzazione dell’organizzazione sanitaria» consenta di non vedere sacrificato, nell’eventuale conflitto tra medico e paziente, il diritto fondamentale di quest’ultimo242.
Da quanto esposto discende, peraltro, l’indubbia natura contrattuale di tale responsabilità243, che consegue all’inadempimento del contratto di spedalità.
La giurisprudenza civile tende ad applicare i principi già esaminati con riferimento alle ipotesi di «generica malpractice», affermando, anche in questo caso, una responsabilità solidale di medico e struttura244, in particolare,
«estendendo» la responsabilità del primo alla seconda245, ex art. 1228 c.c., senza
241 Cons. Stato 2.9.2014, n. 4660 in NGCC, 2015, p. 20 ss. con nota di ZATTI P.
242 ID.
243 In dottrina, si veda DE MATTEIS R., Le Responsabilità in Ambito Sanitario, CEDAM, Padova, 2017, p. 270 ss. In giurisprudenza, si veda, tra le altre, Cass. 17.1.2019, n. 1043.
244 In proposito, si veda supra capitolo I, paragrafo 4.
245 Si vedano Cass. 22.1.2019, n. 1567: «In tema di patologie conseguenti ad infezioni contratte a causa di assunzione di emotrasfusioni o di emoderivati con sangue infetto, incorre in responsabilità contrattuale, imputabile anche alla struttura sanitaria, il medico che, in mancanza di una situazione di reale emergenza e senza informare adeguatamente il paziente del rischio obiettivo che tale pratica
distinguere l’ipotesi, diametralmente opposta, in cui il medico si sia avvalso delle attrezzature dell’ente (privato), quale libero professionista246.
Questa soluzione, mossa da evidenti esigenze di tutela del paziente, sottende una eccessiva semplificazione dei rapporti intercorrenti tra struttura e medico, sempre identificato quale suo ausiliario e si presta a ragionevoli critiche, quantomeno laddove essi siano meramente occasionali247. Tale problematica sarà comunque approfondita nel prosieguo della trattazione248.
7.2. Segue: le conseguenze della qualificazione contrattuale in punto di disciplina.
L’aver ricondotto sia la responsabilità del medico (secondo la tesi dominante) che quella della struttura sanitaria per trattamento sanitario non autorizzato in ambito contrattuale comporta l’applicazione di un regime più favorevole per il paziente, soprattutto sotto il profilo probatorio e
terapeutica presentava, abbia eseguito una trasfusione di sangue a causa della quale il paziente abbia contratto un’infezione» (relativa ad una trasfusione eseguita nel 1990). In termini analoghi, si è espressa Cass. 20.4.2010, n. 9315. Sul punto, si veda inoltre RICCCIO A., La Violazione dell’Autodeterminazione È, Dunque, Autonomamente Risarcibile, in Contr. e impr., 2010, p. 313 ss. 246 In proposito, si veda Cass. 17.1.2019, n. 1043, la quale afferma che, anche per l’acquisizione del consenso informato, «opera il principio secondo cui la struttura sanitaria “risponde a titolo contrattuale dei danni patiti dal paziente, per fatto proprio, ex art. 1218 cod. civ., ove tali danni siano dipesi dall’inadeguatezza della struttura, ovvero per fatto altrui, ex art. 1228 cod. civ., ove siano dipesi dalla colpa dei sanitari di cui l’ospedale si avvale” (Xxxx. Sez. 3, sent. 3 febbraio 2012, n. 1620, Rv. 621457-01), e ciò “anche quando l’operatore non sia un suo dipendente” (Cass. Sez. 3, sent. 20 giugno 2012, n. 10616, Rv. 624915-01)».
247 Si veda App. Xxxxxx, 00.0.0000, secondo la quale, «in caso di lesione della salute del paziente, la
responsabilità contrattuale della clinica, solidale con quella del predetto sanitario, ex art. 1228 c.c., non viene mai meno, quali che siano i rapporti esistenti tra la clinica e il medico, anche se quest’ultimo ha utilizzato le strutture della clinica per quella sola ed unica volta». In senso difforme, si è però espresso Trib. Pisa, 22.1.2014, il quale ha escluso la responsabilità della casa di cura convenuta, rilevando che «il suo collegamento sia con il professionista e sia con l’intervento fu meramente occasionale, avendo tale istituto messo a disposizione unicamente la sede logistica per l’esecuzione dell’intervento e non essendo ad essa addebitabile alcuna condotta causalmente ricollegabile al danno». Si veda altresì, DE XXXX X., XXXXXXXX M., XXXXXXXXXX A., La Responsabilità Civile in Ambito Sanitario, in Le Nuove Leggi Civili Commentate, 2017, p. 740 ss.
248 Si veda infra, capitolo III, paragrafo 6.
prescrizionale. In proposito, si richiama quanto già esposto nei precedenti paragrafi249.
Tuttavia, si rende necessario svolgere alcune precisazioni poiché, in questo settore, sono state adottate soluzioni parzialmente diverse in relazione alla ripartizione dell’onere probatorio tra medico e paziente. A tal fine, è utile introdurre, seppur sinteticamente, il tema del risarcimento del danno da violazione dell’obbligo di informazione.
Precisamente, dalla configurazione dell’obbligo di informare il paziente quale obbligo distinto ed autonomo da quello di cura, discende l’autonoma valenza risarcitoria, in via contrattuale, della sua violazione, indipendentemente dalla corretta esecuzione del successivo trattamento. Tale autonomia, peraltro, non si è sempre accompagnata ad una univoca individuazione, non tanto del bene giuridico leso -da sempre identificato nel diritto all’autodeterminazione del paziente-, quanto delle singole conseguenze in concreto risarcibili.
Nel panorama dottrinale e giurisprudenziale, si sono alternate soluzioni contrastanti, che hanno ritenuto risarcibile la lesione del diritto all’autodeterminazione in sé oppure solo laddove essa si fosse accompagnata ad un peggioramento della salute del paziente, come conseguenza dell’intervento eseguito250.
249 Si veda, in particolare, supra, capitolo I, paragrafo 6. In estrema sintesi, qualificare la responsabilità come contrattuale comporta l’applicazione dei principi espressi dalle Sezioni Unite nel 2001 (cfr. Cass., S.U., 30.10.2001, n. 13533): il paziente-creditore potrà limitarsi ad allegare l’inadempimento; spetterà invece al medico fornire la prova liberatoria e cioè di aver diligentemente e compiutamente informato il paziente. Diversamente, qualificare la responsabilità come extracontrattuale (sub specie precontrattuale) sarebbe più svantaggioso per il paziente danneggiato, il quale dovrebbe dimostrare tutti gli elementi dell’illecito ed in particolare, la violazione del dovere di informazione. Si consideri, peraltro, che quanto verrà osservato infra, capitolo III, paragrafo 9, si presta ad essere esteso a questa fattispecie esclusivamente in presenza di danno alla salute.
250 Sul punto, si veda GENNARI G., Il Consenso Informato come Espressione di Libertà, in Resp. civ.
e prev., 2007, p. 2130 ss. ed in particolare, p. 2136.
Al riguardo, la giurisprudenza più recente ha innanzitutto osservato che i danni derivanti dalla violazione del dovere di informare il paziente non sono riducibili alla sola lesione della libertà di autodeterminarsi, «predicabile se, a causa del deficit informativo, il paziente abbia subito un pregiudizio, patrimoniale oppure non patrimoniale (ed, in tale ultimo caso, di apprezzabile gravità), diverso dalla lesione del diritto alla salute», ma ricomprendono, altresì, eventuali danni alla salute, «quando sia ragionevole ritenere che il paziente, su cui grava il relativo onere probatorio, se correttamente informato, avrebbe evitato di sottoporsi all’intervento e di subirne le conseguenze invalidanti251».
Sulla scorta di queste premesse, la giurisprudenza ha quindi distinto una serie di ipotesi, accomunate da una originaria carenza informativa del paziente in ordine ad un trattamento terapeutico, addebitabile al medico curante.
Nel caso in cui al trattamento sia conseguito un danno alla salute, imputabile ad una condotta colposa del medico, ha poi ulteriormente differenziato il caso in cui il paziente, correttamente informato, avrebbe comunque deciso di sottoporsi all’intervento da quello opposto, in cui non si sarebbe sottoposto ad esso, concludendo per la risarcibilità, nella prima ipotesi, del solo danno alla salute e, nella seconda, anche del danno da lesione del diritto ad autodeterminarsi252.
Diversamente, nel caso in cui il danno alla salute conseguente all’intervento non sia imputabile al medico (che ha tenuto una condotta non colposa), se risulta che il paziente, correttamente informato, non vi si sarebbe sottoposto, il risarcimento deve essere liquidato con riferimento sia alla violazione del diritto alla autodeterminazione terapeutica sia alla lesione della salute, comunque riconducibile, sul piano causale, alla condotta del medico,
251 Cass. 13.4.2018, n. 9179. Trattasi, pertanto, di condotta astrattamente plurioffensiva.
252 Si veda Cass. 13.4.2018, n. 9179.
poiché, in presenza di adeguata informazione, l’intervento sarebbe stato rifiutato. Sotto quest’ultimo profilo, il danno deve però essere valutato facendo riferimento alla «situazione differenziale» tra quella conseguente all’intervento e quella, comunque patologica, antecedente ad esso253.
Infine, in caso di omessa o insufficiente informazione in relazione ad un intervento che non ha cagionato danno alla salute del paziente, perché correttamente eseguito, la lesione del diritto all’autodeterminazione potrà essere oggetto di risarcimento solo laddove il paziente abbia subito conseguenze inaspettate, a causa delle omesse informazioni254. In proposito, si è parlato di «danno da effetto di sorpresa255», dovuto al fatto che il paziente si è trovato impreparato ad affrontare ed accettare le condizioni conseguenti all’intervento. Più di recente, però, la Suprema Corte ha precisato che, in tale ultimo caso, non spetti alcun risarcimento al paziente che si sarebbe comunque sottoposto all’intervento256.
Questa breve introduzione delle questioni attinenti al risarcimento del danno da violazione dell’obbligo di informazione consente di svolgere qualche riflessione in relazione alla prova dell’elemento causale. A differenza degli altri casi di inadempimento da parte del medico, in questo settore, salvo
253 ID.
254 ID.
255 In questi termini, STELLA G., La Lesione del Diritto alla Procreazione Cosciente e Responsabile (Commento a Cass. civ. 11 aprile 2017, n. 9251 e Cass. civ. 10 gennaio 2017, n. 243), in Nuovi Orientamenti della Cassazione Civile, 2018, p. 586 ss.
256 Si veda Cass. 11.11.2019, n. 28985. Si veda, altresì, Cass. 4.11.2020, n. 24471, la quale chiarisce che, di per sé, «la sofferenza per non avere potuto liberamente decidere, non individua alcun danno- conseguenza, nella sua consistenza fenomenica negativa nella sfera economico-sociale del soggetto, venendo a coincidere con la stessa violazione del diritto». È dunque avvertito, in giurisprudenza, il rischio che il danno lamentato dal paziente si riduca ad un danno in re ipsa, in ragione della confusione tra la lesione del diritto e le conseguenze pregiudizievoli che, in concreto, da essa derivano.
rare eccezioni257, è sempre stato affermato che il paziente, oltre ad allegare l’omessa informazione del sanitario (cioè l’inadempimento), dovesse provare l’esistenza del nesso di causalità tra quest’ultima ed i danni patiti258, eventualmente anche mediante presunzioni, fondate, secondo un rapporto di proporzionalità inversa, sulla gravità delle condizioni di salute e sul grado di necessarietà dell’operazione259.
In particolare, la prova richiesta al paziente ha ad oggetto il rifiuto al trattamento che sarebbe stato opposto, a fronte di una corretta informazione, giacché, in caso contrario (ovvero se il paziente, correttamente informato, avesse comunque acconsentito all’intervento), non potrebbe dirsi sussistente il nesso di causalità materiale tra il comportamento omissivo del medico e la
257 Si rinvengono, seppur rare, eccezioni. Si veda, ad esempio, XXXXXXXXX E., Il «Sottosistema» della Responsabilità da Nascita Indesiderata e le Asimmetrie con il Regime della Responsabilità Medica in Generale, in NGCC, 2011, p. 468 ss., ove l’autore osserva che i principi affermati dalla sentenza ivi commentata (cfr. Cass. 10.11.2010, n. 22837), secondo i quali l’attore sarebbe tenuto alla mera allegazione della sussistenza del nesso di causalità, sembrano discostarsi dalle coordinate fissate in ordine alla distribuzione dell’onere probatorio del nesso di causa, nel quadro più vasto della responsabilità medica in generale e in quello, più circoscritto, della responsabilità conseguente alla violazione della regola del consenso informato, che addossano, invece, al creditore l’onere di provare il nesso eziologico tra inadempimento e danno.
258 Si veda Cass. 9.2.2010, n. 2847, con nota di XXXXXX X., Consenso Informato e Onere della Prova, in Danno e resp., 2010, p. 685 ss. In particolare, la Corte precisa come la prova del nesso causale tra inadempimento e danno competa alla parte che allega l’inadempimento altrui e pretenda il risarcimento; peraltro, siccome il fatto positivo da provare è, in tal caso, il rifiuto al trattamento che sarebbe stato opposto dal paziente al medico, questa opzione è ritenuta coerente anche con il principio di vicinanza della prova. Si veda anche RICCIO A., La Violazione dell’Autodeterminazione È, Dunque, Autonomamente Risarcibile, in Xxxxx. x xxxx., 0000, x. 000 xx.
000 Xx veda Cass. 11.11.2019, n. 28985: «Il paziente che alleghi l’altrui inadempimento sarà dunque onerato della prova del nesso causale tra inadempimento e danno, […] il fatto positivo da provare è il rifiuto che sarebbe stato opposto dal paziente al medico. […] Tale prova potrà essere fornita con ogni mezzo, ivi compresi il notorio, le massime di esperienza, le presunzioni, queste ultime fondate, in un rapporto di proporzionalità diretta, sulla gravità delle condizioni di salute del paziente e sul grado di necessarietà dell’operazione». Si vedano altresì, tra le altre, Cass. 13.4.2018, n. 9179 e Cass. 9.2.2010, n. 2847. Per fare un esempio tratto dalla casistica, in materia di responsabilità medica per nascita indesiderata, è stato affermato il principio di diritto secondo il quale la madre è onerata dalla prova controfattuale della volontà abortiva, ma può assolverlo mediante presunzioni semplici (cfr. Cass., S.U., 22.12.2015, n. 25767).
lesione della salute del paziente che, scegliendo di sottoporsi all’intervento, l’avrebbe subita in ogni caso260.
Tale regola, elaborata in un periodo in cui la prova della causalità era generalmente posta a carico del paziente, è resistita al revirement delle Sezioni Unite del 2008261, di cui si è già detto262, secondo il quale, nel giudizio avente ad oggetto il risarcimento del danno causato da un errore del medico o della struttura sanitaria, il paziente ha il solo onere di allegare (e non provare) l’esistenza di un valido nesso causale tra l’errore del medico e l’aggravamento delle proprie condizioni di salute.
La ragione della disparità tra i due regimi probatori ritenuti applicabili alla responsabilità medica in generale ed a quella conseguente alla violazione della regola del consenso informato, nonostante la ritenuta natura contrattuale di entrambe, può forse rinvenirsi nella particolare natura dell’interesse leso, in quest’ultima ipotesi e nel suo rapporto di (apparente) eterogeneità con quello
260 Sul punto, si veda RICCIO A., La Violazione dell’Autodeterminazione È, Dunque, Autonomamente Risarcibile, in Contratto e impr., 2010, p. 313 ss. In giurisprudenza, si veda Cass. 11.11.2019, n. 28985. Si veda, altresì, Cass. 4.11.2020, n. 24471, la quale sostiene che, se è dedotta la sola violazione del diritto all’autodeterminazione (e non anche la lesione del diritto alla salute), una tale prova non è necessaria, giacché l’omessa o insufficiente informazione preventiva
«evidenzia ex se una relazione causale diretta [sotto il profilo materiale] con la compromissione
dell’interesse all’autonoma valutazione dei rischi e dei benefici del trattamento sanitario».
261 In proposito, si ricorda il principio elaborato da Xxxx., S.U., 11.1.2008 n. 577, cit.: «nel giudizio avente ad oggetto il risarcimento del danno causato da un errore del medico o della struttura sanitaria, al quale sono applicabili le regole sulla responsabilità contrattuale ivi comprese quelle sul riparto dell’onere della prova, l’attore ha il solo onere -ex art. 1218 c.c.- di allegare e provare l’esistenza del contratto, e di allegare l’esistenza di un valido nesso causale tra l’errore del medico e l’aggravamento delle proprie condizioni di salute, mentre spetterà al convenuto dimostrare o che l’inadempimento non vi è stato, ovvero che esso pur essendo sussistente non è stato la causa efficiente dei danni lamentati dall'attore». Si veda XXXXXX X., Consenso Informato e Onere della Prova, in Danno e resp., 2010, p. 685 ss., ove l’autore, commentando Cass. 9.2.2010, n. 2847, rileva come la pronuncia si ponga
«in aperta rotta di collisione» con Xxxx., S.U., 11.1.2008, n. 577 cit., riportando in capo al paziente l’onere della prova del nesso causale tra inadempimento e danno, in considerazione sia del principio della vicinanza al fatto da provare, sia della non corrispondenza all’id quod plerumque accidit del discostamento della volontà del paziente dalla valutazione di opportunità del medico. Si veda, altresì, Cass. 30.3.2011, n. 7237.
262 In proposito, si veda supra, capitolo I, paragrafo 6.