TESI DI DOTTORATO IN ECONOMIA DELLA PRODUZIONE E DELLO SVILUPPO
TESI DI DOTTORATO IN ECONOMIA DELLA PRODUZIONE E DELLO SVILUPPO
PMI e WELFARE
Il contratto di rete tra imprese in Provincia di Varese:
il caso GIUNCA, da welfare aziendale a welfare territoriale
Candidata: Xxxxxxxx Xxxxxx
matricola 614890
Relatrice: Dottoressa Xxxxxx Xxxxx
INDICE
Introduzione 5
CAPITOLO 1 - IL CONTESTO, LA CRISI E LE POSSIBILI RISPOSTE 10
1.1 – La situazione di sofferenza delle PMI e dei dipendenti illustrata attraverso
la dinamica delle variabili reali 11
1.1.1 – Il prodotto interno lordo 12
1.1.2 – Il mercato del lavoro 13
1.1.3 – La produttività del lavoro 16
1.1.4. – I salari medi 18
1.1.5 – La spesa pubblica destinata ai bisogni familiari 19
1.1.6. – Elementi critici nei modelli familiari emergenti 23
1.2 – Il secondo welfare: un nuovo paradigma 25
1.2.1 – I protagonisti 27
1.2.2 – Gli strumenti e le politiche 28
1.3 – Conclusioni 30
CAPITOLO 2 – IL WELFARE AZIENDALE: DEFINIZIONE, ATTORI E
NOVITÀ LEGISLATIVE 32
2.1 – Un inquadramento del fenomeno 32
2.1.1 – Definizione 33
2.1.2 – Le aree di intervento e i beneficiari 34
2.1.3 – Gli attori chiave 36
2.1.4 – I vantaggi per le imprese, i dipendenti e le famiglie 38
2.1.5 – Le novità legislative e le iniziative premiali 39
2.2 – Rassegna delle sperimentazioni attivate a livello nazionale 43
2.2.1 – Lo stato del welfare aziendale in Italia 44
2.2.2 – Il ruolo delle imprese di grandi dimensioni 47
2.2.3 – Le criticità e le soluzioni per le PMI 51
2.3 – Conclusioni 53
CAPITOLO 3 – IL CONTRATTO DI RETE: CONTENUTI E UTILIZZI 55
3.1 – Inquadramento del fenomeno 55
3.1.1 – La definizione e lo scopo del contratto di rete 56
3.1.2 – Le strutture e i modelli operativi 58
3.1.3 – Le implicazioni per i rapporti di lavoro 60
3.1.4 – Il contratto di rete e le PMI 62
3.2 – Le Reti di Impresa 64
3.2.1 – Gli obiettivi e le motivazioni delle reti 65
3.2.2 – Le tipologie di imprese partecipanti 67
3.2.3 – La diffusione territoriale dei contratti di rete 68
3.3 – Sperimentazioni di reti per il welfare aziendale 70
3.4 – Conclusioni 76
CAPITOLO 4 – La Provincia di Varee in prospettiva: caratteristiche territoriali
e fattori agevolanti le reti 78
4.1 – Le caratteristiche produttive e politiche per le reti per ambito regionale 79
4.2 – Le dinamiche distrettuali a livello di macro-area 82
4.3 – L’attitudine alla sperimentazione della Provincia di Varese 92
4.4 – Conclusioni 99
CAPITOLO 5 – GIUNCA, il primo progetto di rete per il welfare aziendale in
Italia: contenuti del progetto e attori coinvolti 105
5.1 – La metodologia di ricerca sul case-study 106
5.2 – Le peculiarità dei protagonisti attivi nel progetto 107
5.3 – L’avvio, il contenuto e l’efficacia del progetto 119
5.4 – Conclusioni 123
CAPITOLO 6 – Da welfare aziendale a welfare territoriale: l’evoluzione di
GIUNCA 126
6.1 – Lo sviluppo territoriale della rete GIUNCA 126
6.2 – WHP, Workplace Health Promotion 127
6.3 – eLAVOROeFAMIGLIA 131
6.4 – Imprese in movimento 133
6.5 – Giovani di Valore 138
6.6 – Alleanza locale di conciliazione 143
6.7 – Giovani e Mondo del Lavoro in Ricerca 147
6.8 – Conclusioni 148
CONCLUSIONI – PMI e Welfare: il contratto di rete come volano di welfare territoriale 154
Impianto della ricerca svolta, rilevanza del tema e contributo al dibattito 154
Economie esterne e orientamento alla CSR risultano significativi 156
BIBLIOGRAFIA 163
APPENDICE – I soggetti intervistati: Attori sociali, Promotori e organizzatori
di progetti di welfare ed Esperti del settore e del territorio 176
Introduzione
Questa tesi è centrata sull’analisi del ruolo che, in un contesto di crisi economica e di mutamento dei modelli sociali tradizionali, il contratto di rete per il welfare può svolgere per promuovere superiori livelli di produttività nelle imprese e di qualità della vita personale e familiare dei dipendenti e dei membri di una collettività locale. Per argomentare perché siano necessari interventi che incrementino la produttività e i redditi da lavoro dipendente, nel primo capitolo si descrive la situazione di sofferenza in cui versano le PMI e i dipendenti per effetto della crisi risalente al 2007, illustrando la dinamica del PIL, degli occupati, delle ore annue lavorate, della produttività del lavoro per occupato e per ora lavorata e dei salari medi. Si mostrano, inoltre, le difficoltà patite all’interno dei nuclei familiari per effetto della compressione dei livelli di spesa pubblica destinata alla protezione sociale e dell’aumento dell’occupazione femminile e dell’innalzamento dell’età di pensionamento.
Dato conto di un contesto di riferimento in cui i dati empirici e la letteratura mostrano complessivamente l’esistenza di forti divergenze tra bisogni espressi e risorse disponibili e di elevati rischi di povertà diffusa, cui lo Stato non è di fatto più in grado di far fronte, si argomenta poi come sia stato individuato un nuovo paradigma, definito “secondo welfare” poiché complementare e temporalmente successivo al regime obbligatorio, in cui i programmi di protezione e di investimento sociale sono attuati al di fuori del finanziamento pubblico e da attori diversi - imprese, organizzazioni sindacali e datoriali, fondazioni, mutue, enti filantropici e Terzo settore. Questi attori sociali, tradizionalmente usi a svolgere interventi a beneficio dei propri gruppi di riferimento, nel tempo stanno ampliando il proprio ambito di azione, includendo livelli sovraordinati e realizzando programmi multistakeholder e adoperando un mix di strumenti e di politiche. Per dare evidenza di come questo processo possa svolgersi, nel primo capitolo viene anche fornito un
esempio di una delle migliori esperienze realizzate sul tema in Italia fin qui: le Reti territoriali per la conciliazione di Regione Lombardia.
Nel secondo capitolo, poi, partendo dall’evidenza che attori sociali diversi da quelli pubblici possono attivarsi in logica di sussidiarietà e, con successo, migliorare la situazione monetaria e gestionale di bisogni comuni e crescenti, si analizza uno specifico strumento di intervento, il welfare aziendale, appannaggio delle imprese e idoneo ad ottenere vantaggi produttivi, fiscali e organizzativi per il datore di lavoro e a supportare l’azione di protezione sociale statale. In merito se ne presenta una definizione, i contenuti, gli attori e le novità legislative introdotte dalle Leggi di Stabilità 2016, 2017 e 2018. Con il termine welfare aziendale si identificano i benefit e i servizi che un’azienda offre a tutto il proprio personale per migliorarne la vita lavorativa e privata, tramite il sostegno del reddito, dell’istruzione e della salute. Perché questo processo virtuoso sia attivato, è altresì centrale l’intervento delle parti sociali, di soggetti terzi - come le società di consulenza e i provider - e dello Stato, che a mezzo della leva fiscale e contributiva, è in grado di orientare le imprese verso un maggior ricorso al welfare aziendale.
Dalla rassegna delle sperimentazioni attivate a livello nazionale, nel secondo capitolo si illustra anche quale sia lo stato attuale in Italia rispetto alle motivazioni, alla diffusione, alla valutazione e alle previsioni di sviluppo espresse dal lato impresa e dal lato forza lavoro. Si ha modo così, anche riportando una rassegna ed un commento di alcuni casi emblematici per livelli di qualità, grado di copertura e innovazione, di mostrare come gli interventi a vantaggio dei dipendenti siano prioritariamente presenti nelle imprese storiche e di grandi dimensioni. Vista la forte presenza in Italia di PMI e i limiti monetari e organizzativi che caratterizzano strutture produttive di questo tipo, di fatto, il ricorso al welfare aziendale risulta in Italia ostacolato, tuttavia una soluzione perché siano esplicati i punti di forza e le potenzialità dello strumento si trova nell’utilizzo del contratto di rete, che viene illustrato nel terzo capitolo.
Si tratta di una recente introduzione legislativa, risalente al 2009 e modificata e
integrata negli anni successivi, per rilanciare l’economia italiana, intervenendo a
sostegno dei settori in crisi, promuovendo lo sviluppo della produttività e l’internazionalizzazione delle imprese. Nel terzo capitolo sono anche illustrati i requisiti in termini di capitale sociale necessari alla stipulazione di un contratto di rete, le strutture e i modelli operativi cui le aziende possono ricorrere e quali implicazioni si configurino nei rapporti di lavoro. Dando conto delle rilevazioni sulla numerosità, sugli obiettivi, sulle motivazioni, sulle caratteristiche delle retiste e sulla localizzazione geografica, viene anche mostrato in che misura e con quali modalità il fenomeno delle reti di imprese ha preso piede in Italia. Dai dati forniti nel capitolo risulta che, prioritariamente, le imprese ricorrono alle reti per avviare progetti di internazionalizzazione e innovazione, tuttavia sono stati riscontrati in Italia anche contratti stipulati per realizzare piani di welfare, e si svolge uno studio dei casi per comprendere quali siano gli attivatori che abbiano spinto le imprese ad associarsi e permanere all’interno delle reti.
La distribuzione geografica e i livelli di efficacia raggiunti in determinate aree del Paese portano ad ipotizzare che l’ambiente di riferimento sia facilitante verso un maggiore e più proficuo ricorso al contratto di rete e, nel quarto capitolo, si analizza il territorio - la Provincia lombarda di Varese - in cui è stato avviato il primo progetto di rete di impresa per il welfare aziendale - GIUNCA - per isolarne le caratteristiche ed individuare, in ottica causale, una prima serie di fattori di sostegno alla realizzazione di rilevanti livelli di produttività e integrazione dei redditi da lavoro dipendente. Il campo di osservazione viene esteso a livello di Regione, di macro area e di provincia e risulta che in Lombardia, la presenza di contratti di rete rispetto al resto d’Italia è consistente. Si può ipotizzare che la composizione del tessuto produttivo e gli orientamenti sovra-aziendali verso la coesione siano dirimenti. In effetti, nell’area in analisi si riscontra un tessuto imprenditoriale eterogeneo e ciò consente che i diversi settori produttivi presenti abbiano una maggiore possibilità di individuare aree di complementarietà tra core business e collaborino. Inoltre, Regione Lombardia, compresa la potenzialità economica insita nei contratti di rete, ne ha promosso la stipula, con bandi di finanziamento ad hoc, di cui nel quarto capitolo si fornisce una rassegna. In più, a livello di macro-area, nella zona insubrica
si rilevano dinamiche distrettuali e consistenti forme di collaborazioni tra imprese, anch’essi elementi che risultano spingere verso la stipula di contratti di rete. Infine, focalizzando l’analisi a livello provinciale, si notano elevati livelli di pro-attività e attitudine alla sperimentazione, oltre a una diffusa situazione di benessere economico che contiene comportamenti egoistici e accaparrativi.
Illustrate alcune evidenze dal contesto di riferimento, nel quinto capitolo, si analizza il progetto GIUNCA, per ritrarvi quegli elementi che possono aver attivato una sperimentale utilizzazione del contratto di rete per il welfare aziendale. Dallo studio dei partecipanti, degli obiettivi, delle azioni intraprese e dei risultati raggiunti e dalle interviste ottenute dai protagonisti e da esperti nel settore, si riesce a isolare come superiori livelli di innovazione e orientamento alla CSR presenti nel tessuto imprenditoriale di riferimento abbiano portato le imprese retiste di GIUNCA a strutturare diversi elementi esterni, sia avversi che agevolanti, in un esperimento innovativo e efficace. Difatti la crisi economica e gli accresciuti bisogni di reddito e di sostegno nella vita familiare, da un lato, e l’introduzione normativa del contratto di rete, da un altro lato, sono stati colti come opportunità dalle imprese coinvolte nel progetto, che hanno così dato avvio alla prima rete per il welfare in Italia e realizzato livelli di copertura elevati, come chiarito nel quinto capitolo.
Un’analisi degli sviluppi successivi dell’azione di GIUNCA, consente, nel sesto capitolo, di individuare una differenziazione conglomerale verso ambiti più sociali e meno centrati sull’azienda. Nel tempo infatti la rete, originariamente orientata verso i propri dipendenti si è interessata alle situazioni di famiglie con figli minori e a categorie svantaggiate escluse dal mondo del lavoro - donne e giovani -, contribuendo come co-partecipante, assieme ad un insieme via via più numero ed eterogeneo di attori sociali locali, alla realizzazione di progetti finanziati da Pubbliche Amministrazioni o Enti filantropici, avviando ed intensificando relazioni con esperti di ambiti territoriali sovra-locali. Dall’analisi dei progetti avviati e realizzati, è possibile imputare questa virtuosa evoluzione nelle caratteristiche della presidente di GIUNCA che ha saputo strutturare e mantenere relazioni con soggetti
delle PA e del Terzo settore, creando una cabina di regia orientata al welfare territoriale in chiave comunitaria.
L’esperienza di GIUNCA conferma trasformazioni in atto e l’ibridazione positiva dei programmi di integrazione sociale anche in aree relativamente estese come la Provincia di Varese e focalizza l’attenzione su questa area come territorio reattivo e campo di ricerca idoneo ad individuare sperimentazioni che potrebbero, compreso l’impatto realizzato dai programmi di welfare, costituire best practices replicabili. La centralità della ricerca nel campo del welfare aziendale e delle reti di imprese è confermata dallo sviluppo del dibattito e della letteratura sul tema avvenuti negli ultimi anni e dall’impatto sul profilo sociale ed economico per lo sviluppo del sistema Paese.
CAPITOLO 1 - IL CONTESTO, LA CRISI E LE POSSIBILI RISPOSTE
La crisi economica, iniziata nell’estate 2007 per il consistente aumento delle insolvenze dei mutui subprime ed esplosa nei suoi effetti negativi nel settembre 2008, quando il governo americano ha optato per non intervenire nel fallimento di Xxxxxx Brothers, ha avuto, come è noto, pesanti conseguenze in termini di riduzione di produzione e di occupazione, come pure si è registrato un peggioramento dei conti pubblici, per l’azione esercitata dai vari governi nell’evitare il crollo del sistema finanziario e limitare le conseguenze della recessione1.
In Italia gli effetti negativi sono stati anche amplificati da fattori nazionali peculiari, quali la struttura aziendale composta da PMI, la pressione cui il modello di sistema sociale adottato è sottoposto e che si è aggravata nel corso degli anni ed il mutamento nei modelli familiari e della componente anagrafica. La situazione sembra però aver beneficiato dei margini di miglioramento attraverso l’affiancamento, al primo welfare pubblico e obbligatorio, di soluzioni di secondo welfare, una tipologia di progetti di protezione e investimento sociale a finanziamento non pubblico realizzata, in reti territoriali o trans-locali, da attori economici e sociali, che negli anni si è dimostrata d’interesse, per il riscontro generato negli operatori e per i risultati ottenuti2.
Alla luce delle evidenze in questa direzione, si può ipotizzare che interventi in logica collaborativa, quale è il contratto di rete - uno strumento normato dal legislatore italiano nel 2009 e integrato nel 2012 per migliorare la competitività delle PMI - possa essere applicato a progetti di welfare aziendale e possa offrire così ambiti di miglioramento territoriali, anche grazie all’effetto domino generato.
1Per un approfondimento sulle origini, le cause, l’evoluzione e le conseguenze prodotte, si veda
Xxxxxxx e Xxxxxxxx (2008), Xxxxxxx (2014); Xxxxxxxxx et al. (2010); Xxxxxxxx (2015); Xxxxxx (2013);
Fioramanti (2016); Xxxxxxx (2009), Xxxxxxxx et al. (2012), Sapelli (2008).
2 Per un approfondimento di questo aspetto si possono vedere i contributi di Xxxxx e Ferrera (2013), (2015) e (2017).
In questo capitolo, ad argomentazione del fondamento e dell’ambito della ricerca successivamente svolta, si forniranno e analizzeranno i dati sulla situazione delle PMI, dei dipendenti e delle famiglie e si illustreranno gli attori, le risorse e gli obiettivi degli interventi di secondo welfare.
1.1 – La situazione di sofferenza delle PMI e dei dipendenti illustrata attraverso la dinamica delle variabili reali
Per comprendere la situazione attuale in termini di redditività e produttività delle PMI (la cui presenza è prevalente nel contesto produttivo italiano3) e di salario dei dipendenti, può essere utile prendere in esame l’impatto causato in Italia dalla crisi dei mutui subprime del 2008 e dal default della Grecia e dalla crisi dei debiti sovrani del 2009, analizzando le differenze con l’andamento delle principali economie europee e mondiali. Nel prosieguo verranno quindi analizzate, considerando il periodo compreso tra il 2008 e il 2016, alcune variabili reali quali il PIL procapite, le condizioni del mercato del lavoro (tasso di attività e di occupazione e salari medi) e la dinamica della produttività del lavoro.
Per meglio comprendere l’andamento delle variabili selezionate, può essere utile evidenziare prima le difficoltà strutturali dell’economia italiana, sintetizzate nella Tabella 1.1. Nella scala dei principali paesi europei (Germania, Francia e Regno Unito) ed extra-europei (Stati Uniti e Giappone) selezionati, si evince che l’economia italiana si colloca nel limite inferiore per tutte le variabili selezionate, con differenze significative per quasi tutti gli item. Il PIL pro capite è inferiore di 21.000€ rispetto agli Stati Uniti e di circa 12.000€ rispetto alla Germania; le condizioni del mercato del lavoro segnalano le criticità forse più rilevanti, nella misura in cui in Italia meno persone che altrove cercano lavoro e lo trovano (il rapporto tra attivi e popolazione totale e il tasso di occupazione sono inferiori anche di 10 punti rispetto ad altri paesi)
3 Si parlerà di come in Italia siano diffuse e prevalenti le PMI nel capitolo dedicato ad esaminare le caratteristiche territoriali dell’ambito di ricerca (la Provincia di Varese) e ad argomentare come questo sia rappresentativo del tessuto economico e produttivo italiano e sia quindi fondato un tentativo di modellizzare le conclusioni dell’analisi.
e in cui i salari medi sono nettamente inferiori a quelli degli altri paesi; i dati sulla produttività del lavoro sono forse meno preoccupanti, ma la dinamica della produttività del lavoro – lo si vedrà meglio nel prosieguo – è anch’essa drammatica.
1.1.1 – Il prodotto interno lordo
Per meglio comprendere la situazione italiana anche dal confronto con gli altri Paesi rappresentativi selezionati, la dinamica del PIL è presentata nel Grafico 1.1.
L’anno base è il 2008 e il PIL di quell’anno è posto eguale a 100 per tutti i paesi presi in considerazione. Le curve indicano la dinamica di questa variabile nel periodo compreso dal 2008 al 2016: così, se al termine del periodo un paese ha un indice di 115, ciò significa che il tasso di crescita del PIL è cresciuto – negli otto anni presi in esame – complessivamente del 15%.
Come si può notare, nonostante le due crisi economiche che si sono succedute nel giro di due anni (quando il PIL si è fortemente contratto nel 2009 per tutti le nazioni prese in esame), tutti i paesi hanno fatto registrare incrementi del PIL: gli Stati Uniti sono cresciuti del 12,35%, il Regno Unito del 9,58%, la Germania dell’8,24%, la Francia ed il Giappone rispettivamente del 4,97% e del 4,51%.
Solo l’Italia non è stata in grado di recuperare i livelli del PIL del 2008, registrando in definitiva una contrazione del proprio prodotto del 6,03%. Questa contrazione permane anche se si inizia a considerare la dinamica del PIL dal 2009 (il punto più
basso del ciclo economico per tutti i paesi): infatti dal 2009 al 2016 il PIL italiano continua la propria contrazione (-0,58%), mentre quello di tutti gli altri paesi cresce in media del 10% circa.
Grafico 1.1 - La dinamica del PIL
Per spiegare questo trend, che pone l’Italia in forte difformità rispetto ad altri Paesi, si può considerare come il PIL totale cresca per effetto dell’aumento del numero dei lavoratori impiegati nel processo produttivo e/o per l’aumento della produttività del lavoro.
1.1.2 – Il mercato del lavoro
Per dar conto delle dinamiche del mercato del lavoro, nel Grafico 1.2 viene presentata la dinamica degli occupati, da cui, anche in questo caso, emerge una forte difformità tra l’Italia e gli altri paesi.
Dal 2008 ad oggi l’Italia perde infatti occupati (-2,74%): l’unico altro paese a perdere occupati è il Giappone (-0,47%), seppure in misura modesta; in tutti gli altri paesi l’occupazione cresce in misura più o meno consistente (Germania +6,49%, Regno Unito +6,73%, Stati Uniti +4,04%, Francia +1,29%).
Grafico 1.2 - La dinamica degli occupati
Anche esaminando la capacità di impiego delle economie nazionali non attraverso il numero di lavoratori ma attraverso il numero di ore lavorate l’Italia fa registrare dinamiche pesantemente negative (-6,94%). Quando moderatamente negative sono invece le performance del Giappone (-2,83%) e della Francia (-0,94%), mentre invece cresce il numero di ore lavorate nel Regno Unito (+7,97%), negli Stati Uniti (+4,79%) e in Germania (+3,34%).
Grafico 1.3 – La dinamica delle ore annue lavorate
La dinamica del PIL è quindi in parte spiegata dalla dinamica dell’occupazione: il PIL decresce molto nei paesi in cui l’occupazione decresce e cresce poco nei paesi in cui l’occupazione cresce poco o rimane stabile. A parità di occupazione, il PIL può tuttavia crescere se aumenta la produttività del lavoro ed è quindi utile analizzare la dinamica di questa variabile. I motivi di una dinamica del mercato del lavoro tanto insoddisfacente possono essere ricondotti ad alcuni fattori.
La scarsa partecipazione della popolazione totale al mercato del lavoro dipende verosimilmente da fattori di natura demografica (l’età media molto elevata della popolazione italiana4), da fattori di natura culturale (la scarsa partecipazione femminile al mercato del lavoro specie in alcune regioni del Mezzogiorno d’Italia5) e dalla difficoltà a trovare occupazione (che scoraggia molte persone dal presentarsi sul mercato del lavoro).
Per quanto riguarda invece i tassi di occupazione, come noto essi dipendono dalla dinamica del prodotto che – come visto – è sfavorita dalla contrazione dell’occupazione che a sua volta determina un’ulteriore contrazione del PIL: si tratta di un ‘circolo vizioso’ su cui occorrerebbe intervenire in qualche modo. Una parte della dottrina individua il punto critico nell’elevato costo del lavoro per unità di prodotto, derivante da una pressione fiscale eccessiva sul lavoro – nota come cuneo fiscale – e che può essere a sua volta messa in relazione a fattori di natura demografica e sociale: eccessivo peso degli anziani, spesa pensionistica eccessivamente elevata e, più in generale, eccessiva presenza dello Stato nell’xxxxxxxx0. Per altri autori, invece, il problema consta nel basso livello di domanda aggregata derivante da una molteplicità di fattori tra cui la mancata flessibilizzazione del mercato del lavoro e la precarizzazione delle giovani generazioni7.
4 Su questo aspetto si possono vedere i contributi di Stranges (2008), Xxxxxxxx (2010), Xxxxxx (2010) e Xxxx Xxxxx (2013).
5 Su questo aspetto si posso vedere i contributi di Xxxxxxx (2012) e Xxxxxxxxxx (2012).
6 Su questo aspetto si può vedere OCSE (2015).
7 Si possono vedere per questo aspetto i contributi di Xxxxxxx (2007) e Xxxxxxx (2015).
1.1.3 – La produttività del lavoro
Per comprendere la situazione della produttività del lavoro, può essere utile considerare la differenza tra occupati (Grafico 1.4) ed ore lavorate (Grafico 1.5).
Nel primo caso, come si può notare, l’Italia è ancora l’unico paese in cui la produttività del lavoro per occupato diminuisce (-3,81%): in tutti gli altri paesi – invece – aumenta, in alcuni in modo consistente (Stati Uniti + 7,71%, Giappone
+3,08%, Francia +2,96% e Regno Unito +2,83%) ed altri poco oltre lo zero (Germania +0,99%).
Anche la produttività del lavoro per ore lavorate mostra trend sostanzialmente simili: in questo caso l’Italia registra un incremento di produttività (+0,53%), pur se modesto e molto inferiore a quello degli altri Paesi.
Grafico 1.4 - La produttività del lavoro per occupato
Grafico 1.5 – La produttività del lavoro per ora lavorata
Le analisi in dottrina hanno ampiamente esaminato le reali cause della stagnazione della produttività del lavoro in Italia (comunque presente già prima della crisi economica), individuando fattori quali la prevalenza di imprese di piccole dimensioni che non consentono pratiche manageriali in grado di affrontare le sfide della globalizzazione; la prevalenza di investimenti in settori con bassa crescita della produttività del lavoro e nei quali si affacciano nuovi competitors che sfruttano la loro capacità di contenere il costo del lavoro; il ritardo nell’adozione di tecnologie informatiche; il capitale umano con bassi livelli di istruzione e con limitate competenze; la distorsione nell’allocazione delle risorse umane, spesso selezionate in base alla sesso o alla razza piuttosto che al talento; la distorsione nell’allocazione delle risorse finanziarie, che spesso vengono indirizzate verso imprese solide dal punto di vista patrimoniale, ma poco produttive, mentre le imprese più produttive, ma prive di adeguate garanzie, spesso non accedono a finanziamenti; gli elevati costi per iniziare un’attività produttiva ed elevata tassazione su capitale e lavoro8.
Visto come alla sfavorevole dinamica dell’occupazione, che colpiva già fortemente un paese come l’Italia, si aggiunge anche una dinamica della produttività altrettanto
8 Su questi aspetti si posso vedere i contributi di Xxxxxxxxxx (2016), Xxx Xxxxx (2016), Xxxxxx (2016) e (2013), Xxxxxxxxx (2016) e (2013), Schivardi (2016)Xxxxxxx (2015), Xxxxxxx (2015), Xxxxx (2015).
negativa, si può ben comprendere la contrazione del PIL, se confrontata con quella degli altri paesi analizzati.
1.1.4. – I salari medi
Considerando l’andamento dei salari medi, riportato nel Grafico 1.6, e riferendosi all’analisi statistica precedente, è possibile individuare le caratteristiche nazionali dei modelli di sviluppo dei Paesi presi in considerazione.
Grafico 1.6 - L’andamento dei salari medi
Si vede così che negli Stati Uniti e in Germania la crescita del PIL è sostenuta dalla vigorosa crescita sia dell’occupazione che della produttività del lavoro: in questi paesi la crescita dei salari medi è anch’essa sostenuta.
Esistono poi paesi in cui la crescita dell’occupazione non è elevata ma la crescita della produttività del lavoro sostiene la bassa crescita dei posti di lavoro: si tratta della Francia e del Giappone. Le differenze della dinamica salariale nei due paesi dipendono dalle politiche distributive nazionali: nel caso della Francia si sostiene ad esempio il potere d’acquisto dei lavoratori attraverso una dinamica salariale vivace; la crescita dei salari in Giappone è invece molto più contenuta.
Infine ci sono paesi in cui i salari non crescono, ma anzi si riducono: sono il Regno Unito e l’Italia. Nel Regno Unito il PIL cresce vigorosamente soprattutto per effetto della creazione di nuova occupazione, ma la produttività cresce poco: il sistema sembra riprodursi sostituendo il lavoro al capitale e ciò può essere fatto solo comprimendo le dinamiche salariali. In Italia invece si ha una contrazione sia dell’occupazione che della produttività del lavoro: anche in questi casi i salari non crescono per la bassa produttività del lavoro, ma è la sopravvivenza stessa del sistema economico che è in questione, dato che anche l’occupazione si riduce.
1.1.5 – La spesa pubblica destinata ai bisogni familiari
Oltre alle difficoltà legate all’accesso al mondo del lavoro e ai livelli contenuti dei salari, un ulteriore elemento problematico in capo alla famiglie è dato dalla gestione dei bisogni di cura di soggetti deboli, bambini e anziani. Questo aspetto si inserisce nel sistema di protezione sociale9, l’insieme delle politiche pubbliche, orientate ad un processo di progresso, che lo Stato destina ai propri cittadini (chiamati a doveri di contribuzione finanziaria), a protezione di rischi e bisogni predefiniti, tramite forme di assistenza, assicurazione o sicurezza sociale. Nel secolo scorso, si è assistito ad una biforcazione tra modelli universalistici - basati su principi di solidarietà inclusiva e caratterizzati da una generosa copertura estesa a tutti i cittadini - e occupazionali - basati su schemi assicurativi legati alla partecipazione al mercato del lavoro, come avviene in Italia, dove la protezione rispetto a eventi critici del ciclo di vita è condizionata alla collocazione dell’individuo nel mercato del lavoro piuttosto che alla cittadinanza. Successivamente si è assistito ad una evoluzione dei sistemi di
9 Nel Sistema europeo delle statistiche integrate sulla protezione sociale (Sespros), la protezione sociale è data dall’insieme degli interventi erogati da organismi pubblici e privati, finalizzati a proteggere gli individui e i nuclei familiari da un insieme definito di rischi o a sollevarli da alcuni bisogni. La natura esclude qualsiasi misura che contempli un corrispettivo simultaneo di uguale valore, così come le polizze assicurative. I rischi e i bisogni che rientrano nella protezione sociale sono: malattia/salute, invalidità, vecchiaia, superstiti, famiglia/figli, disoccupazione, abitazione, altra esclusione sociale.
welfare verso regimi più articolati, formalizzati teoricamente in liberale o anglosassone; scandinavo; continentale-corporativo; mediterraneo.
Nel tempo, i nuovi livelli di incertezza e di vita familiare e lavorativa - mutamenti del mercato del lavoro, globalizzazione economica e finanziaria, cambiamenti nella struttura della popolazione e esigenze di contenimento della spesa pubblica - hanno generalmente colpito i sistemi di protezione sociale e danneggiato, così, la situazione dei lavoratori e delle famiglie interessate. La crisi economica è stata un ulteriore elemento di destabilizzazione, cui i diversi sistemi di welfare hanno reagito in modo differente, come risulta dai dati Eurostat. Danimarca, Germania e Paesi Bassi, al contrario, nel 2008 e, soprattutto nel 2009, hanno incrementato la spesa per prestazioni sociali. Regno Unito e Svezia hanno optato per un’azione di contenimento: si rileva, infatti, un decremento del volume della spesa nel 2008 e nel 2009. I paesi del Sud Europa e l’Irlanda hanno fortemente contenuto gli incrementi di spesa dal 2010, registrando invece nel biennio precedente incrementi medi in linea con gli anni pre-crisi. L’Italia, pur avendo fortemente ridotto la dinamica di crescita della spesa sociale, ha comunque mantenuto una tendenza positiva, anche se con incrementi molto modesti negli ultimi anni (compresi tra l’1,0 e l’1,5 per cento). Solo in Francia la crisi economica non risulta avere inciso sulla dinamica della variabile in esame: gli incrementi, contenuti e tendenzialmente decrescenti, sono rimasti immutati.
Per avere un’idea dei livelli di spesa sociale rispetto alle caratteristiche paese, si può legare la spesa per protezione sociale ad una delle variabili reali analizzate nella prima parte del capitolo (il Prodotto interno lordo), con i risultati riportati nella Tabella 1.2. Si vede come, rispetto al valore medio europeo di 27,7 per cento, il rapporto è più elevato in Danimarca, Francia, Finlandia e Grecia (valori compresi tra il 32,1 e il 30,3 per cento) e più basso in Estonia, Lituania, Romania e Lettonia (valore poco superiore al 14 per cento). L’Italia presenta invece valori in linea con la media europea.
Tabella 1.2 – Spesa per protezione sociale in rapporto al Pil
(anno 2013)
Francia 33,7
Danimarca 33,3
Grecia 31,6
Paesi Bassi 31,3
Finlandia 31,2
Belgio 30,2
Svezia 30,0
Austria 29,8
Italia 29,8
Germania 29,0
Regno Unito 28,1
Portogallo 27,6
Spagna 25,7
Slovenia 25,0
Lussemburgo 23,1
Cipro 22,3
Irlanda 22,0
Croazia 21,7
Ungheria 20,9
Repubblica Ceca 20,2
Malta 18,7
Slovacchia 18,4
Polonia 17,7
Bulgaria 17,6
Lituania 15,3
Estonia 14,8
Romania 14,8
Lettonia 14,4
Fonte: Eurostat
Per avere una migliore comprensione della situazione in ottica comparata, il rapporto spesa sociale su Xxx può essere considerato congiuntamente all’importo medio procapite. Dalla Tabella 1.3 si vede come Danimarca, Svezia, Paesi Bassi e Finlandia investono in prestazioni sociali importi più elevati (valori compresi tra i
14.551 e gli 11.322 euro annui), e come in Bulgaria, Romania, Lettonia, Lituania e
Polonia gli importi siano i più ridotti (valori compresi tra meno di 1.000 e 1.800 euro). La media Ue è pari a 7.406 euro e l’Italia presenta valori in linea (7627,24 euro). In Grecia ed Irlanda si riscontra un aspetto anomalo rispetto alla media Ue per i due valori considerati: l’importo pro capite per prestazioni greco è molto basso rispetto alla media Ue (5.247 euro), mentre la percentuale di spesa sociale rispetto al Pil è tra le più elevate (31,6 per cento) e l’importo medio per prestazioni sociali irlandese è elevato (8.084 euro), mentre il peso della spesa sociale rispetto al Pil è più basso (22,0 per cento) di quello calcolato, in media, per i paesi Ue. Le ragioni di queste differenze sono spiegate prendendo in esame il valore del Pil, molto basso in Grecia e molto elevato in Irlanda.
Tabella 1.3 - Spesa media procapite per protezioni sociali nei Paesi Ue
(anno 2013)
Lussemburgo | 19.442,71 |
Danimarca | 14.551,28 |
Svezia | 13.366,98 |
Paesi Bassi | 11.333,50 |
Finlandia | 11.321,71 |
Austria | 11.017,32 |
Francia | 10.288,60 |
Belgio | 10.154,51 |
Germania | 9.606,31 |
Regno Unito | 8.859,72 |
Irlanda | 8.084,11 |
Italia | 7.627,74 |
Spagna | 5.566,90 |
Grecia | 5.247,03 |
Cipro | 4.560,49 |
Slovenia | 4.275,88 |
Portogallo | 4.243,66 |
Malta | 3.284,08 |
Repubblica Ceca | 2.922,66 |
Slovacchia | 2.435,89 |
Croazia | 2.174,33 |
Ungheria | 2.113,56 |
Estonia | 2.106,85 |
Polonia | 1.763,12 |
Lituania | 1.708,34 |
Lettonia | 1.605,32 |
Romania | 1.045,18 |
Bulgaria | 979,19 |
Fonte: Eurostat
1.1.6. – Elementi critici nei modelli familiari emergenti
Oltre alla compressione della spesa pubblica, in Italia anche il mutamento dei modelli sociali è un elemento che introduce aspetti problematici nella gestione familiare e richiede l’implementazione di interventi di conciliazione vita-lavoro10. I servizi di cura di soggetti fragili, bambini e anziani, tradizionalmente svolte da donne o nonni, richiedono oggi soluzioni che tengano conto di due aspetti emergenti nel mercato di lavoro: l’aumentata occupazione femminile11 e l’innalzamento dell’età di pensionamento.
I dati sulla forza lavoro dell’Istat registrano una dinamica di trasformazione del mercato verso un aumento della partecipazione femminile. Nelle serie storiche, disponibili dal 1993 al 2015, si nota l’influenza delle fasi del ciclo economico: la crisi del 1992-1993, la fase di espansione economica tra la metà degli anni Novanta e il 2007, la recessione economica 2008 - 2014 e i cenni di ripresa nell’ultimo anno. Il tasso di occupazione 15-64 anni infatti diminuisce tra il 1993 e il 1995 (dal 53,7 al 52,5 per cento), sale tra il 1996 e il 2008 (dal 52,9 al 58,6 per cento), torna a calare fino a toccare il 55,5 per cento nel 2013. Negli ultimi due anni torna a salire, attestandosi al 56,3 per cento nel 2015 (2,6 punti percentuali in più rispetto al 1993). Nell’intero periodo l’indicatore aumenta per le donne (dal 38,5 al 47,2 per cento). La maggiore occupazione femminile è destinata ad incrementarsi se si considera che le donne registrano nei livelli di istruzione un miglioramento maggiore di quanto fatto
10 Su questo tema si possono vedere i contributi di Xxx Xxxx e Xxxxxx (2009); Xxxxxxxx (2008) e (2001); Xxxxxxxx (2011), (2007) e (2006).
11 Su questo tema si possono vedere i contributi di Xxxxxxxxxx (2001); Cardinali (2006); Xxxxxxxxx et al. (2015); Schimmenti (2005); Xxxxxxxx (2005).
dagli uomini: i dati MIUR mostrano infatti che, nell’anno 2013/14, il tasso di scolarità universitaria (la cui evoluzione è illustrata nella Figura 1.7) era pari al 44,7 per cento per la componente femminile e pari al 32,7 per cento per la componente maschile.
Figura 1.7 – Tassi percentuali di scolarità per università
Fonte: MIUR
Rispetto all’innalzamento dell’età di pensionamento, dai dati raccolti da Istat e Inps, si vede poi come, nel periodo 2003-2014, l’età media dei nuovi pensionati sia salita da 62,8 a 63,5 anni, quella mediana da 60 a 62, il valore della moda da 60 a 66. Dalla crescita che si registra nella permanenza dello stato di pensionamento (due terzi dei pensionati di vecchiaia del 2003 sono ancora presenti tra i pensionati di vecchiaia del 2014)12, dovuta all’incremento della speranza di vita (da 77,2 anni nel 2003 a 81,2 nel 2014), emerge anche come la domanda di servizi di cura di soggetti anziani sia in progressivo aumento e destinata via via a crescere13.
12 Sulle tendenze di medio-lungo periodo del sistema pensionistico e socio-sanitario si possono vedere le analisi della Ragioneria generale dello Stato (2015).
13 Sulle condizioni di vita dei pensionati, si possono vedere le analisi di Istat (2016).
1.2 – Il secondo welfare: un nuovo paradigma
I dati sull’attuale panorama italiano e l’analisi della letteratura14 mostrano come un aspetto cruciale italiano, peggiorato dalla crisi economico-finanziaria e sempre più urgente, sia costituito dalle dinamiche opposte di un ampliamento dei rischi, e quindi dei bisogni, sociali - non autosufficienza, precarietà lavorativa, mancato sviluppo o obsolescenza del capitale umano, esclusione sociale - , che incidono su persone e famiglie sempre più vulnerabili e a rischio di trovarsi in condizioni di povertà severa15, e di una spesa in contrazione, vista la scarsità di risorse. Per mostrare la dinamica positiva dei livelli di indigenza patiti in Italia dalle famiglie, paradigmatica dei fattori di rischio esistenti, nella Tabella 1.4 ne è indicata l’incidenza nel quinquiennio successivo alla crisi economica al 2013.
Tabella 1.4 – Incidenza di povertà assoluta familiare per numero di componenti (anni 2009-2013)
uno | due | tre | quattro | cinque o più | |
2009 4,5 | 3,8 | 4,2 | 5,8 | 9,2 | |
2010 4,3 | 3,6 | 4,1 | 5,7 | 10,7 | |
2011 5,1 | 4,1 | 4,7 | 5,2 | 12,3 | |
2012 5,5 | 5,5 | 6,6 | 8,3 | 17,2 | |
Fonte: Istat | 2013 5,1 | 6 | 8,3 | 11,8 | 22,1 |
Per fornire invece un’idea dell’evoluzione, tendenzialmente volta al contenimento, della spesa sociale, relativamente alle voci qui di interesse e nell’anno successivo alla crisi fino alle ultime rilevazioni disponibili, nella Tabella 1.3 viene indicata la dinamica, in valori assoluti, della spesa pubblica totale e destinata ad Abitazioni e assetto del territorio; Sanità; Istruzione.
14 Su questo tema si possono vedere i contributi di Xx Xxxxxxx (2013); Xxxxxxx (2006); Xxxx, Xxxxxx, Xxxxxxx e Xxxxxx (2014); Xxxxxxxx (2008); Isfol (2004); Romano (2011).
15 Su questo tema si possono vedere i contributi di Fondazione Xxxxxxxx Xxxxxx (2012); Xxxxxxx, Xxxxxxxx e Bergamaschi (2004); Xxxxxxxxx e Xxxx (2011); Xxxxx, Xxxx Xxxxxxx e Bandera (2016).
Tabella 1.4 - Spesa pubblica primaria per funzione e totale
(anni 2009-2015)
2009 | 2010 | 2011 | 2012 | 2013 | 2014 | 2015 | |
Abitazioni e assetto del territorio | € 12.334 | € 12.145 | € 11.127 | € 12.469 | € 11.260 | € 10.247 | € 10.056 |
Sanità | € 117.168 | € 118.779 | € 116.605 | € 115.852 | € 115.140 | € 116.031 | € 117.012 |
Istruzione | € 71.751 | € 69.896 | € 66.538 | € 65.363 | € 65.696 | € 65.534 | € 65.193 |
Totale spesa primaria | € 735.204 | € 731.658 | € 732.146 | € 735.308 | € 738.119 | € 750.828 | € 759.564 |
Fonte: Istat
Questo problema di doppia pressione, noto come welfare all’italiana16, origina dalla spesa pensionistica più elevata d’Europa e dalle limitate risorse destinate alla tutela di famiglie, minori e disoccupati e al contrasto della povertà. La fase cruciale di questo sbilanciamento si è verificata negli anni Cinquanta e Sessanta del XX secolo, quando i fattori culturali e soprattutto le peculiari caratteristiche della competizione politica hanno orientato il welfare state italiano verso lo squilibrio.
L’Italia, come gli altri paesi europei, anche in riferimento alla Strategia di Lisbona promossa dall’Unione Europea, hanno risposto con interventi di “riequilibrio” interno della spesa sociale, cercando di riformare i propri sistemi di protezione sociale: con
modifiche nel sistema pensionistico, con riforme dei mercati e delle politiche del lavoro e con interventi mirati a donne e bambini, non-autosufficienti e individui poveri ed indigenti, senza però modificare di molto la situazione rispetto ad un decennio fa. Xxxxxxx, infatti, nonostante le riforme intervenute, lo sbilanciamento verso il settore previdenziale e la distorsione distributiva verso gli occupati sono un tema sensibile, per il quale è emerso un nuovo e diverso approccio di risposta: il secondo welfare17.
Si tratta di programmi di protezione e investimenti sociali a finanziamento non pubblico. Il nome, oltre ad avere valenza temporale - le forme si innestano infatti sul
16 Specificatamente dedicato a questo aspetto è il contributo di Xxxxxxx, Xxxxxxx e Xxxxxxxx (2012), che indaga origini e futuro degli squilibri del modello sociale italiano.
17 Per un approfondimento si possono vedere il Primo, il Secondo e il Terzo Rapporto sul Secondo Welfare in Italia, curati da Xxxxx e Ferrera (2013), (2015) e (2017).
tronco del primo welfare, edificato dallo Stato durante il Novecento, soprattutto nel periodo tra il 1945 e il 1975-, richiama l’obiettivo funzionale di integrarsi nelle politiche e nelle aree di bisogno del primo welfare, caratterizzato dai regimi di base previsti dalla legge e i regimi complementari obbligatori di protezione sociale che coprono i rischi fondamentali dell’esistenza (salute, vecchiaia, infortuni sul lavoro, disoccupazione, pensionamento e disabilità) per assicurare livelli decorosi di esistenza e adeguati di integrazione nella comunità. Nel secondo welfare si inseriscono invece tutte quelle politiche sociali realizzate al di fuori dell’intervento pubblico, ad opera di attori diversi. I progetti sono attuati non solo dalle tradizionali organizzazioni di rappresentanza e delle imprese, ma anche delle fondazioni, degli enti bilaterali, delle organizzazioni del terzo settore e della mutualità. Una felice riuscita di questi interventi si verifica poi, come si vedrà nel prosieguo della ricerca, quando i progetti vengono compiuti in rete multistakeholder.
1.2.1 – I protagonisti
Le risorse integrative messe in campo in aggiunta a fondi, personale e standard di prestazione statali sono mobilitate da una eterogenea pletora di attori: assicurazioni private e fondi di categoria, il sistema delle imprese, i sindacati, il terzo settore, gli enti locali, le fondazioni bancarie e altri soggetti filantropici. Si tratta di soggetti che tradizionalmente svolgono azioni spontanee destinate a specifici gruppi o categorie e in ambiti per lo più locali, ma la cui intraprendenza - di cui se ne forniranno evidenze nella seconda parte dedicata all’analisi case-study - attesta come l’orizzonte di riferimento possa nel tempo allargarsi fino a raggiungere livelli sovraordinati. La risorsa cruciale qui è l’empowerment18, ovvero la conquista della consapevolezza di sé e il controllo sulle proprie scelte, decisioni e azioni, nell'ambito delle relazioni e della vita politica e sociale, grazie alla quale gli individui diventano capaci di partecipazione attiva in modo realistico e praticabile. La componente individuale è
18 Per un approfondimento sul tema si possono vedere i contributi di Xxxxxxx (2008); Xxxxxxxxxxx, Xxxxx e Xxxxxxxx (2008). Specificatamente dedicati al tema del community empowerment sono i contributi di Xxxxxx (1984); Xxxxxxxx (2001); Mannarini (2004).
importante perché, in una certa misura, a livello di fonti di finanziamento, il secondo welfare potrebbe trarre maggiore sostentamento anche dalla compartecipazione degli utenti stessi. Si noti che, ragionando in termini di SWOT analisi19, l’eterogeneità dei soggetti coinvolti rappresenta un punto di forza e di debolezza. Da un lato, competenze e ambiti formativi e operativi vari possono consentire di avere una visione dei problemi in campo più vasta e di attuare soluzioni sinergiche più strutturate, che sfruttino la sussidiarietà verticale e orizzontale al meglio. Dall’altro lato, la configurazione può risultare incompleta o disordinata, qualora manchi una visione complessiva ed una regia che mantenga orientati gli interventi e vigili contro tendenze opportunistiche e di free rider20.
1.2.2 – Gli strumenti e le politiche
Per fornire un’idea degli strumenti e delle politiche di secondo welfare, di seguito si riporta - selezionato rispetto ai temi e al campo su cui la ricerca è orientata - un esempio delle migliori esperienze realizzate fin qui, che danno conto di quanto sia importante che gli interventi partano da evidenze del contesto attuale e intreccino, in logica mix, soggetti privati e pubblici, per sfruttare con finalità virtuose la presenza
19 L'analisi SWOT (o matrice SWOT) è uno strumento di pianificazione strategica usato tradizionalmente per valutare i punti di forza (Strengths), i punti di debolezza (Weaknesses), le opportunità (Opportunities) e le minacce (Threats) di un progetto imprenditoriale. Introdurlo qui, nell’analisi di progetti a contenuto sociale, è un’ibridazione che trova fondamento nella necessità di tener conto delle logiche di mercato e monetarie quando si tenta di operare in un contesto sempre più turbolento quale è quello attuale nella protezione civile. Per un approfondimento sul tema si possono vedere i contributi di Xxxxxxx (2017) e Grea (2000).
20 In ambito sociologico, il fenomeno del free rider ha luogo quando, all'interno di un gruppo di individui, si ha un membro che evita di dare il proprio contributo al bene comune. Questo problema viene identificato e studiato all'interno della teoria delle scelte collettive (public choice/social choice/collective choice theory) ed ha una ricaduta anche in politica, allorché il free rider scavalca la rappresentanza collettiva degli interessi di categoria per relazionarsi direttamente col decisore politico. Si può studiare il tema del free-rider attraverso l'uso della teoria dei giochi. Ipotizzando, ad esempio, un'economia composta da soli due individui, la soluzione ottimale per entrambi corrisponde all'ottimo paretiano ma non all'equilibrio di Xxxx, giacché ognuno di essi è incentivato a contribuire in misura minore, al fine ad ottenere maggior beneficio. Il problema ha una rilevanza anche nel commercio internazionale e negli ambiti che hanno una ricaduta economica. Per un approfondimento sul tema si possono vedere i contributi di Xxxxxxx e Xxxxxx (2015); Xxxxx e Xxxxxxx (2014);
di attori di diversa derivazione ed ottenere, così, programmi più flessibili e più centrati sulle specificità degli utenti e dei territori coinvolti.
Partendo dall’evidenza dei cambiamenti in Italia nelle condizioni esistenziali e professionali delle persone, uno dei temi urgenti è, ad esempio, il tema della conciliazione vita lavoro, che interessa non solo la componente femminile, ma anche la totalità della famiglia, vista la crescente necessità di assistenza per anziani e bimbi in età prescolare a fronte di una carente policy statale, e pure il sistema economico complessivo che necessita per il suo sviluppo di contributi e di competenze sempre più progredite. Un percorso, attuato in Italia, in cui si ha modo si apprezzare come le istanze locali siano state recepite e le alleanze locali costruite, è il caso RTC-Reti territoriali per la conciliazione di Regione Lombardia21. Argomentare qui questa sperimentazione consente di cominciare a focalizzare sull’ambito e sugli strumenti che costituiranno nel prosieguo il campo di ricerca.
Il progetto ha avuto avvio nel 2010, per costituire una rete tra attori pubblici e privati attivi nel promuovere azioni sul tema del work-life balance attraverso la creazione di Accordi territoriali e Piani di azione territoriale. Tra il 2010 e il 2013 sono stati firmati tredici Accordi di programma/RTC/Piani di azione che hanno dato vita a 130 iniziative trasversali, mirate alle famiglie, alle imprese e al territorio, ma anche alla formazione, alla promozione e alla comunicazione. Tra i 450 stakeholder coinvolti formalmente figurano, come promotori, Asl, Comuni, Uffici di Piano, Camere di Commercio e, come aderenti, imprese, sindacati, Associazioni datoriali e del Terzo settore, cooperative, Fondazioni, Rsa, AO, enti del sistema educativo. Il progetto è stato riconfermato per un nuovo biennio, con novità significative sull’incremento del numero delle RTC, passate a 15; sull’articolazione del sistema di governance a tre livelli - regionale, intermedio e locale – con il coordinamento di una Agenzia di conciliazione; sullo stanziamento di risorse (2.671.600 euro).
21 Una approfondita analisi di questo caso si trova nel contributo in Gobbo e xxxxx (2015) e Xxxxxx e Xxxxx (2013).
Nella seconda fase della sperimentazione, forte è stato l’incentivo dato al ricorso alla contrattazione di secondo livello e dall’utilizzo dello strumento del contratto di rete, aspetti d’interesse in questa ricerca. Si trova inserita qui l’alleanza che ha messo al centro delle proprie azioni le PMI e ha attuato il progetto “eLavoroeFamiglia”, promosso nel gennaio 2015 dalla Rete Giunca, la prima rete d’impresa nata in Italia con l’obiettivo di condividere tra le aziende associate i servizi e le agevolazioni a favore dei dipendenti, di cui si dirà di più nel quarto capitolo. Questo progetto ha ricevuto un finanziamento dalla RTC di Varese ed è il perno attorno a cui si è costituita una vera e propria alleanza tra Comuni, aziende, e associazioni non profit che consente a oltre 3000 famiglie della Provincia di accedere a servizi socio-sanitari di qualità a costi agevolati, inferiori fino al 50 per cento rispetto al prezzo di mercato, e rimborsi fino a 1000 euro per la fruizione dei servizi.
Nel caso di Varese, le RTC non sono state soltanto l’attivatore di nuove iniziative, ma hanno costituito anche lo strumento per lo sviluppo e il rafforzamento di pratiche innovative già esistenti, in un’ottica di integrazione e contaminazione con il territorio e gli stakeholder locali.
1.3 – Conclusioni
In questo primo capitolo di inquadramento del campo di analisi, attraverso i dati di contesto commentati, si è argomentato come siano necessari interventi destinati all’incremento della produttività e all’integrazione dei redditi di lavoro dipendente e dei servizi a favore delle unità familiari. Si è inoltre fatto riferimento alla possibilità che siano gli attori sociali diversi da quelli pubblici ad attivarsi, in logica di sussidiarietà, per promuovere un miglioramento della situazione monetaria e gestionale di bisogni comuni al cui soddisfacimento lo Stato può non arrivare in forma autonoma. Si è citato, riportandone i contenuti, la genesi e l’evoluzione, il caso RTC-Reti territoriali per la conciliazione di Regione Lombardia, come esempio virtuoso di progetto di secondo welfare che ha consentito di iniziare ad introdurre il fenomeno e il contesto territoriale della ricerca.
Così, si è dato conto dei motivi per cui può risultare utile analizzare come più PMI, inserite all’interno di un contratto di rete, possono riuscire, in logica collaborativa, ad offrire servizi di welfare aziendale ai propri dipendenti e ai rispettivi familiari, realizzando in questo modo il duplice obiettivo di ottenere vantaggi produttivi e fiscali, fidelizzazione della forza lavoro, da un lato, e, dall’altro lato, in logica di secondo welfare, a supportare l’azione dello Stato nell’azione di protezione sociale. Nei prossimi capitoli, a completamento della parte teorica, si dettaglieranno contenuti, vantaggi e pregresse esperienze del contratto di rete e del welfare aziendale.
CAPITOLO 2 – IL WELFARE AZIENDALE: DEFINIZIONE, ATTORI E NOVITÀ LEGISLATIVE
Dato conto nel precedente capitolo del contesto problematico e di crisi patito da imprese, dipendenti e familiari e delle opportunità di soluzione offerte dai piani di secondo welfare, in questo capitolo, a completamento della parte dedicata all’inquadramento teorico della ricerca dedicata ad analizzare l’utilizzo delle reti di impresa per progetti di promozione sociale, si approfondirà specificatamente il tema del welfare aziendale.
Dello strumento in esame si vedranno l’origine, la normativa di riferimento, gli aspetti strategici, operativi e finanziari d’interesse per le imprese e i vantaggi e le ricadute positive che offre a dipendenti e famiglie coinvolte. Si fornirà una rassegna delle sperimentazioni attivate a livello nazionale, utile a comprendere come il welfare aziendale può essere ecletticamente declinato e quale portata e livelli di copertura ha ora raggiunto in Italia. Si avrà modo così, da un lato, di dar conto del ruolo importante svolto dalle aziende nei piani di secondo welfare22 e, dall’altro lato, di introdurre l’ipotesi che questa virtuosa ricaduta sul tessuto economico possa essere amplificata attraverso l’utilizzo del contratto di rete tra imprese per la realizzazione di piani di integrazione della protezione sociale.
2.1 – Un inquadramento del fenomeno
Per dare una panoramica del fenomeno del welfare aziendale si procederà qui a fornirne una definizione; a farne comprendere la necessità; a illustrare i principali attori coinvolti; a classificare i servizi che vi fanno capo e a illustrare i vantaggi che il ricorso a programmi di integrazione dei livelli di protezione sociale e di incremento della qualità della vita possono produrre in capo ad imprese, dipendenti e familiari.
22 Per una trattazione approfondita del welfare aziendale in ottica di secondo welfare si possono vedere i contributi di Xxxxxxx (2015) e (2016).
2.1.1 – Definizione
Il termine welfare aziendale definisce l’insieme dei benefit e dei servizi offerti da un’azienda ai propri collaboratori per migliorarne la vita lavorativa e privata con interventi di sostegno al reddito, all’istruzione e alla tutela della salute. Si tratta di erogazioni offerte a tutta la popolazione aziendale, o in maniera uniforme a tutti i lavoratori appartenenti alle categorie con reddito relativamente più basso, finalizzate a fornire supporto ai beneficiari negli ambiti di intervento propri della protezione sociale o comunque relativi ai bisogni primari dei cittadini.
Per quanto riguarda l’individuazione delle prestazioni ascrivibili, si registra una certa dissolvenza nei confini tra le tipologie di welfare. Tendenzialmente, i regimi di base previsti dalla legge e i regimi complementari obbligatori di protezione sociale a copertura dei rischi fondamentali dell’esistenza - salute, infortuni sul lavoro, disoccupazione, vecchiaia, pensionamento e disabilità -, volti ad assicurare livelli di sopravvivenza decorosi e di integrazione effettiva, rientrano nel primo welfare, mentre, nel secondo welfare, rientrano le pratiche di protezione integrativa volontaria e i servizi sociali alla persona, alla famiglia e all’intera comunità locale23. Per capire invece quali servizi rientrano nel welfare aziendale, vistane la matrice di interesse sociale, un approccio ragionevole è considerare la portata e la motivazione delle integrazioni, considerato che gli articoli del TUIR dedicati24 riservano benefici fiscali a progetti che coinvolgono la totalità dei dipendenti o intere categorie. I fringe benefits, quegli strumenti volti allo svolgimento di mansioni e assegnati in base alla posizione e alle esigenze lavorative - come auto aziendale, computer e cellulare -, e i pacchetti sanitari singoli offerti alle posizioni chiave a fini di retainment sarebbero
23 Per approfondire questo aspetto si possono vedere i contributi di Xxxxx e Xxxxxxx (2012).
24 Gli articoli 51 e 100 del TUIR prevedono sgravi in caso di offerta datoriale di beni e servizi ai
dipendenti. Per consultare il testo integrale delle disposizioni, si può vedere l’Appendice.
quindi esclusi dal concetto di welfare aziendale, pensato in logica di aiuto a chi ha meno e di necessità primarie25.
Un altro ambito di sovrapposizione, di cui dar conto nella definizione del contenuto del welfare aziendale, sono i servizi di work-life balance e di gestione e di delega delle incombenze della vita quotidiana e degli oneri di cura di bambini, anziani, malati o portatori di handicap26. La flessibilità oraria ed il sostegno economico propri della conciliazione vita lavoro sono anche una delle aree principali degli interventi attuati dalle imprese per i dipendenti, oltre i quali si possono citare permessi retribuiti per motivi familiari, congedi parentali, rimborsi per le spese d’istruzione e scolastiche.
2.1.2 – Le aree di intervento e i beneficiari
I servizi di welfare inclusi in piani aziendali possono essere raggruppati in quattro aree di intervento, riferibili alla previdenza complementare, alla sanità integrativa; alle politiche per la famiglia e ai programmi di formazione27.
La previdenza complementare, o secondo pilastro del sistema pensionistico, è disciplinata dal decreto legislativo n. 252 del 5 dicembre 200528 ed ha lo scopo di integrare la previdenza di base obbligatoria o di primo pilastro, per concorrere ad assicurare un livello futuro di adeguata tutela. Tramite un sistema di forme pensionistiche incaricate di raccogliere il risparmio previdenziale, versato dal lavoratore e dal datore - maturati i requisiti di accesso alle prestazioni stabilite nel regime obbligatorio di appartenenza - si potrà beneficiare di una pensione integrativa. Le forme pensionistiche si distinguono in fondi chiusi, fondi aperti, piani
25 Per una chiarificazione su questo aspetto si può vedere il contributo di Xxxxxxx (2015), che propone una classificazione degli strumenti di welfare aziendale utilizzando come prima dimensione rilevante i bisogni dell’individuo lungo il suo intero ciclo di vita.
26 In questa specifica direzione si inserisce il motherly technology, l’utilizzo di tecnologie avanzate per la cura di persone non autosufficienti. Per un approfondimento su questo aspetto si può vedere il contributo di Xxxxxxx (2013).
27 Per un approfondimento su questo aspetto si può vedere il contributo di Xxxxx (2007).
28 Il testo dell’articolo è riportato nell’appendice, per agevolarne la consultazione.
pensionistici individuali, fondi pensione preesistenti. I destinatari dei fondi pensione sono lavoratori dipendenti, soci di cooperative autonomi e liberi professionisti o lavoratori atipici. Per promuoverne l’utilizzo e realizzare una ulteriore opportunità di tutela, sono inoltre previste agevolazioni fiscali, estese anche i familiari a carico.
L’assistenza sanitaria integrativa concorre invece ad ampliare la copertura offerta dalla sanità pubblica, tramite fondi sanitari integrativi che rimborsano in modo parziale o totale del prestazioni medico-sanitarie. Gli enti coinvolti sono forme di assicurazione, fondi integrativi, casse e società di mutuo soccorso, iscritti all’Anagrafe del Ministero della Salute. La stipulazione può essere originata dal singolo in autonomia o in forma collettiva.
L’ambito del work-life balance si ripartisce ulteriormente in tre sottocategorie, distinguendo se la natura del benefit offerto è denaro, servizi o tempo29, in strumenti di sostegno al reddito familiare che prevedono l’erogazione monetaria, oppure servizi erogati direttamente dall’impresa all’interno della struttura aziendale, oppure orari part-time, flessibilità oraria in ingresso e in uscita, smart-working, permessi e congedi - soluzioni, queste, a costo zero per il datore di lavoro ma onerose dal punto di vista organizzativo -.
Un aspetto, rilevante, vista la dinamica emergente nel mondo del lavoro che, da un lato, disincentiva i datori ad investire nella forza lavoro e, dall’altro lato, richiede livelli di sofisticazione e di aggiornamento sempre maggiori, è poi dato dall’area dei contributi per l’aggiornamento del proprio bagaglio professionale in ottica life-long learning.
L’evidenza empirica30 mostra come la composizione attuale dei singoli interventi in un piano aziendale organico abbia superato l’impostazione paternalistica degli anni Cinquanta, verso un accresciuto dialogo per comprendere le esigenze della forza lavoro e migliorarne così le prestazioni. Esprimere un giudizio di merito sulla legittimità delle erogazioni aziendali non sembra molto sensato, dato che ogni azione positiva per i migliorare la qualità della vita dei collaboratori è sicuramente
29 Per un approfondimento su questo aspetto si veda Seeleib-Kaiser e Xxxxxxxxxxxx (2009).
30 Fonte dei dati: Doxa (2016).
apprezzabile, tuttavia è anche auspicabile che ciascun servizio offerto sia rilevante rispetto ad un bisogno individuale essenziale ed effettivo. In questa direzione, le rappresentanze sindacali possono costruire un ponte comunicativo, per individuare le linee di sviluppo di un piano di welfare aziendale verso gli ambiti più opportuni rispetto alla composizione e alle caratteristiche della specifica forza lavoro destinataria delle erogazioni.
Per quanto riguarda invece i beneficiari, nel rispetto della natura di welfare, le prestazioni aziendali dovrebbero essere erogate alla totalità dei dipendenti, avendo cura di evitare di replicare, e anzi mitigare, le differenze di trattamento già esistenti nel mercato del lavoro. Così i servizi dovrebbero essere forniti in modo eguale a tutti o inversamente proporzionale rispetto al reddito individuale e iniziative come i conti welfare e il wellness, che parametrano la misura delle erogazioni su base remunerativa, costituiscono dei fallimenti dal punto di vista redistributivo. Queste argomentazioni portano ad escludere, in ottica definitoria, dalla categoria welfare aziendale i piani di benefit forniti solo ai dirigenti, secondo una politica di rewarding rispetto ai risultati raggiunti31.
2.1.3 – Gli attori chiave
In linea con l’approccio Corporate Social Responsability32- approccio attuate prioritariamente dalle realtà di grandi dimensioni33 -, le imprese si quindi attivano per
31 Ad un approfondimento su questo aspetto è dedicato il contributo di Xxxxxxx (2015).
32 La Responsabilità sociale d’impresa riguarda l’inclusione delle implicazioni di natura sociale ed etica tra gli elementi presi un considerazione per definire la visione strategica d’impresa. Si tratta di un concetto isolato da Xxxxxxx (1984) e preso in considerazione anche in ambito politico dalla Commissione Europea (comunicazione 681 del 2011), su cui sono stati elaborati modelli di gestione aziendale (standard XX 0000; AA1000; ISO 26000) e che sta evolvendo riferendosi all’intera comunità (Responsabilità sociale del Territorio). Per un approfondimento si possono vedere i contributi di Xxxxxx e Xxxxxxxx (2011), dedicato alla gestione dei beni intangibili; Wood (2010), che rassegna i modelli di CSR elaborati in letteratura; di Xxxxx e Tencati (2009), dedicato all’utilizzo della CSR nelle PMI.
33 In Italia il caso forse più noto e paradigmatico è l’esperienza in Olivetti, analizzata nei contributi di Xxxxxxxxx (2012) e Xxxxxxx (2001). Sono antecedenti in questa direzione anche i villaggi operai, analizzati ad esempio da Ciuffetti (2004).
attuare politiche con finalità sociali ed ambientali, affiancate oggi da protagonisti nuovi: le parti sociali, i territori, le istituzioni locali. La necessità di interventi integrativi di secondo welfare attuati anche da attori diversi da quelli tradizionali origina dalla situazione di crisi del contesto produttivo e di mancanza di risorse monetarie e materiali per dipendenti e familiari, descritta nel precedente capitolo. Così, un’azione di origine aziendale interessa sempre più attori diversi e si arricchisce di competenze e strumenti eterogenei, configurando appunto una declinazione del secondo welfare.
Lo Stato, interagendo con mercato, famiglia e associazioni intermedie34, svolge il ruolo di controllore e decisore ed è quindi protagonista anche nelle politiche di welfare aziendale tramite agevolazioni fiscali e allocazioni di risorse economiche ed organizzative. Si può vedere un esempio dell’attività di diffusione del welfare aziendale attuata dallo Stato nei progetti attuati da Italia Lavoro, l’ente strumentale del Ministero del Lavoro e delle politiche sociali dedicato alla promozione e alla gestione di politiche del lavoro, dell’occupazione e dell’inclusione xxxxxxx00.
Le parti sociali compartecipano, poi, alla diffusione di integrazioni salariali attuate con interventi di welfare e servizi alla famiglia, garantendo, soprattutto in un momento di grave crisi finanziaria, la continuazione delle politiche aziendali di matrice paternalistica proprie della tradizione industriale italiana36 da una logica di dono ad un’ottica di compartecipazione e di responsabilizzazione. Le nuove soluzioni originate dalla crisi si basano, infatti, su una concezione di autofinanziamento e coinvolgono i dipendenti al raggiungimento di livelli di produttività cui sono associati bonus in servizi: così il welfare aziendale si mostra come uno strumento per favorire la ripresa coinvolgendo più persone.
34 Un modello che descrive la compresenza di attori all’interno dell’arena di welfare è il diamante del
welfare elaborato da Xxxxxxx (2012).
35 Per un approfondimento su questo aspetto si può vedere l’analisi di Xxxxxxx (2012).
36 Per un approfondimento su questo tema si possono vedere i contributi di Xxxxxxxx (1999) e Xxxxxxx (1980).
Le società di consulenza e i provider37, soggetti for profit che hanno incluso il welfare aziendale come core business e, vendendo un prodotto sul mercato, svolgono in questo campo un’azione sociale in due direzioni: da un lato, diffondono le pratiche e sensibilizzano i datori di lavoro circa i benefici sociali ed economici legati all’introduzione dei servizi nelle aziende, dall’altro, aggregano l’offerta sul territorio, coinvolgendo produttori e contribuendo all’occupazione locale. Rispetto a questo ultimo aspetto, nella seconda parte della tesi, si analizzeranno e argomenteranno specificatamente le ricadute positive territoriali di un’azione congiunta in rete multistakeholder.
2.1.4 – I vantaggi per le imprese, i dipendenti e le famiglie
Il ricorso a pratiche di welfare aziendale presenta una serie di vantaggi per le imprese, i dipendenti e i familiari. Le imprese ritraggono dal ricorso a questo strumento benefici che attengono all’ottimizzazione dei costi del lavoro per i vantaggi fiscali e contributivi previsti; al miglioramento del clima aziendale per un’organizzazione del lavoro più duttile e flessibile; all’aumento della produttività derivante da un contesto aziendale favorevole alle esigenze, interne ed esterne al luogo del lavoro, dei dipendenti. I lavoratori e i familiari, fruendo dei piani e dei servizi di welfare, ottengono specificatamente un aumento del potere di acquisto di dipendenti e familiari - che i dati Istat38 registrano pari al 15% del salario rispetto al salario medio nazionale - e un generale miglioramento nella qualità della vita.
In generale tutti questi aspetti positivi risultano compresi: le più recenti rilevazioni39 mostrano infatti un ricorso crescente al welfare aziendale. Questo trend positivo
37 Un approfondimento sul ruolo dei provider è contenuto nel contributo di Xxxxxxx (2017), autore che per il Laboratorio Percorsi di Secondo Welfare xxx.xxxxxxxxxxxxxx.xx, individua e analizza i casi nazionali di progetti di welfare aziendale e i cui lavori sono consultabili qui xxxx://xxx.xxxxxxxxxxxxxx.xx/xxxxxx/xxxxxxxxx-xxxxxxx.xxxx.
38 Fonte dati: Istat (2015).
39 Sulla diffusione del welfare aziendale nelle PMI è stato redatto un rapporto, promosso nel 2016 da Generali, Confagricoltura e Confindustria, le cui analisi attestano un coinvolgimento pari al 45% delle imprese del campione analizzato.
origina anche da una serie di trasformazioni in atto nel sistema italiano che si possono ricondurre a due livelli: uno macro, con trasformazioni sociali, economiche ed occupazionali sia nazionali che internazionali, e uno micro, con trasformazioni aziendali.
Dal punto di vista macro, il contesto di espansione demografica, economica ed industriale e di stabilità lavorativa, familiare e finanziaria su cui si è fondato e accresciuto, dal dopoguerra fino agli anni Settanta, il modello di welfare state italiano ha subito dei forti cambiamenti, tanto da richiedere un ri-orientamento verso un modello integrativo pubblico-privato, il welfare community. Alla luce dei nuovi bisogni sociali, di cui si è detto nel primo capitolo, la leva finanziaria di natura privata ricopre un ruolo via via maggiore e in questo trend si inserisce appunto la crescita del welfare aziendale.
Dal punto di vista micro, la crisi economica e le problematiche peculiarità italiane rispetto al costo del lavoro e della produttività, argomentate nel primo capitolo, hanno spinto le aziende a ricorrere, in senso restrittivo alla leva retributiva, per risolvere situazioni in cui la sopravvivenza stessa dell’impresa era a rischio. In questo scenario si è operato un ri-orientamento e il tradizionale contratto fondato sullo scambio lavoro/retribuzione si sta evolvendo verso il binomio lavoro/benessere e il fondamento dello scambio tra impresa e dipendenti arriva a trascendere la sola componente monetaria.
2.1.5 – Le novità legislative e le iniziative premiali
Come si è detto, lo Stato e il governo hanno un ruolo importante nello sviluppo del welfare aziendale, potendo, per mezzo della leva fiscale e contributiva, orientare le imprese verso un maggior ricorso. Il riferimento normativo in questo senso è il Testo unico delle imposte sui redditi, dove, negli articoli 51 e 100, è previsto che le somme e i valori, erogati dal datore di lavoro alla generalità dei dipendenti, non concorrono a
formare il reddito del dipendente e sono deducibili. Nel tempo40, a livello statale, sono state introdotte sperimentazioni per favorire la diffusione delle pratiche di welfare aziendale e i più recenti tentativi di promozione e sostegno dello strumento sono contenuti nelle Leggi di Stabilità del 2016 e del 2017.
L’ampliamento introdotto dalla Legge di Stabilità 2016 riguarda i servizi - includendo nel novero tutti i servizi per l’infanzia -, i destinatari - comprendendo anche anziani e persone con disabilità - e le modalità - l’erogazione è stata consentita anche con voucher -. Sono state poi previste la piena deducibilità delle somme destinate ai piani di welfare stabiliti da accordi tra impresa e sindacati41 e la reintroduzione della tassazione del premio di produttività42. Così, rispetto ad una situazione in cui le spese oggetto di favor fiscale erano limitate a contributi previdenziali e di assistenza sanitaria, mense e trasporti, istruzione e ricreazione - per un importo limitato al 5 per mille delle spese per lavoro dipendente e con un vincolo di volontarietà del datore -, sono stati aggiunti i servizi di scuola materna, anche pre e post scuola, tutti i piani di offerta formativa scolastica, le ludoteche, i centri estivi e invernali e baby-sitting e l’inclusione di familiari non autosufficienti. Grazie ai voucher, poi, l’azienda non è tenuta ad occuparsi dell’erogazione diretta dei servizi e può rivolgersi a fornitori, esternalizzando la funzione. Includendo nelle decisioni le rappresentanze sindacali ed erogando la parte variabile del salario legato alla produttività con servizi di welfare, tramite un coinvolgimento paritetico dei lavoratori, i benefici fiscali sono superiori e raggiungono la piena deducibilità.
Il percorso di sostegno del welfare aziendale intrapreso con la manovra finanziaria del 2016 è stato continuato nella Legge di stabilità del 2017, che ha ampliato i servizi interessati dalla norma e le soglie di deducibilità. Oggi sono esenti da imposizione, e senza limitazione, i contributi previdenziali e assicurativi versati a fondi e casse (per i quali era precedentemente previsto un limite di 5.164,57 euro e 3.615,20 euro) e i
40 Per una rassegna degli interventi realizzati storicamente dai vari Governi, si possono vedere i contributi di Santoni (2017) e Ambra (2016).
41 Per un approfondimento su bilateralità e welfare aziendale, si può vedere il contributo di Xxxxxxxx (2015).
42 Questo strumento, introdotto nel 2017, era stato sospeso nel 2015.
premi per coprire rischi di non autosufficienza e di gravi patologie43. Inoltre, è possibile beneficiare di un’imposta sostitutiva dell’Irpef e delle addizionali del 10% anche in presenza di redditi da lavoro dipendente pari a 80.000 euro (rispetto al precedente limite di 50.000 euro) e i premi sono erogabili fino ad un importo di
3.000 euro (contro il valore pregresso di 2.000 euro) e, se sono coinvolti pariteticamente i lavoratori, di 4.000 euro (prima il valore era pari a 2.500 euro). Infine, le agevolazioni fiscali sono applicate anche qualora i piani di welfare siano previsti in accordi nazionali, territoriali e interconfederali e così, dall’evoluzione normativa attuata fin qui, è possibile comprendere come anche per il legislatore il welfare aziendale risulti essere uno strumento decisivo la cui responsabilità non è solo paternalistica, ma cui più soggetti sono chiamati a contribuire verso un’effettiva e generalizzata copertura.
A sostegno di questa nuova ottica in cui gli interventi di welfare aziendale si muovono verso una dimensione allargata, si può citare anche l’evidenza della realizzazione di iniziative premiali nazionali, di cui si illustrano nel prosieguo le principali sperimentazioni attuate ad oggi (Welfare Index PMI e Best Workplace Italia 2017).
Welfare Index PMI, promosso da Generali Italia con la partecipazione di Confindustria, Confagricoltura, Confartigianato Imprese e Confprofessioni44, è un indice specificatamente volto a valutare il livello di welfare aziendale nelle PMI. Il risultante viene espresso in valore assoluto con un numero compreso tra zero e cento, tenendo conto di tre fattori: l’ampiezza e il contenuto delle iniziative di welfare aziendale attuate; il modo in cui l’azienda coinvolge i lavoratori e gestisce le scelte di welfare; l’originalità delle iniziative e quanto sono distintive nel panorama italiano. Le aree indagate riguardano la previdenza e la sanità integrativa; i servizi di assistenza; le polizze assicurative; la conciliazione vita lavoro e la tutela delle pari opportunità; il sostegno economico ai dipendenti e alle famiglie; la formazione per i
43 Per un approfondimento di questo aspetto è possibile consultare il contributo di Xxxxxxxxxx (2017).
44 Per un approfondimento su questo progetto, si può visionare il sito dedicato disponibile al link xxxx://xxx.xxxxxxxxxxxxxxx.xx/
dipendenti; il sostegno all’istruzione di figli e familiari; la cultura, la ricreazione e il tempo libero; il sostegno ai soggetti deboli e l’integrazione sociale; la sicurezza e la prevenzione degli incidenti e il welfare allargato al territorio e alla comunità. I criteri di valutazione investigano quali e quante iniziative l’azienda attua per ogni area; quanta parte della popolazione aziendale ne beneficia; la proattività dell’impresa nelle decisioni di welfare; l’ampiezza e la qualità delle prestazioni; la maturità delle iniziative; il coinvolgimento nelle decisioni; l’impegno economico dell’azienda; l’impatto percepito sul business dell’impresa; la conoscenza e l’utilizzo da parte dei lavoratori; l’utilizzo di strumenti flessibili di welfare e le valutazioni qualitative. I punteggi assegnati sono pesati con dei coefficienti pari al 70% per l’ampiezza e il contenuto, al 20% per la gestione del welfare aziendale e per il 10% per la caratteristica distintiva. Nel 2017 è stato presentato il primo rapporto della ricerca che ha coinvolto 3.422 aziende italiane intervistate attraverso un accesso gratuito all’area dedicata sul sito del progetto che dava loro modo di misurare le proprie performance di welfare aziendale e confrontarle con le esperienze più avanzate e medie nel relativo settore di afferenza, grazie ad una mappa di posizionamento e ad una tabella descrittiva.
Best Workplace è invece un’iniziativa, avviata da oltre 15 anni da Great Place to Work, che premia le migliori aziende per le quali lavorare in Italia. Le aziende che partecipano all’indagine sull’analisi di clima vengono classificate in base al numero dei dipendenti in Large Companies, con oltre 500 collaboratori; Medium Companies, con una forza lavoro compresa tra 50 e 500 e Small Companies, che impiegano da 20 a 49 persone. In parte sono i dipendenti stessi a concorrere ad assegnare il titolo alla propria impresa, infatti il questionario alla base della selezione è diviso in due parti: Trust Index, con un peso pari a 2/3 del punteggio finale, e Culture Audit, dedicato all’analisi delle pratiche di gestione delle risorse umane descritte dalla componente datoriale. I dati raccolti e le analisi realizzate45, dall’attivazione dell’iniziativa ad
45 Il data base dei 100 Best Workplace può essere interrogato per query ed è consultabile dal link xxxx://xxx.xxxxxxxxxxxxxxxx.xx/xxxxxxxx-xxxxxxx/x-xxxx-xxxxxxxxx-xxxxxxx/x-000-xxxx-xxxxxxxxxx-xx- europe-2003-2007
oggi, mostrano come un ambiente di lavoro eccellente sia caratterizzato da tre relazioni fondamentali: una relazione di fiducia reciproca con il management aziendale; il rapporto di orgoglio per il proprio lavoro e per l’organizzazione di cui si fa parte; la qualità dei rapporti con i colleghi. Questi tre aspetti si sviluppano in cinque dimensioni: “credibilità, rispetto ed equità”, che misurano la fiducia dei dipendenti nei loro manager, e “orgoglio e coesione”, che mirano a valutare il rapporto dei dipendenti con il loro lavoro e la loro azienda, le loro sensazioni riguardo ad essi, e il divertimento nel luogo di lavoro con gli altri colleghi.
Complessivamente, gli indicatori e le iniziative che sono stati prodotti fin qui consentono anche di misurare gli avanzamenti verso un fattivo ruolo delle imprese nell’integrazione degli interventi di protezione sociali, che sono richiesti dall’attuale contesto economico e familiare. Si noti che l’aspetto che accomuna questi casi, e che ne costituisce il motivo d’interesse di ricerca e di successo, è l’utilizzo della leva competitiva per promuovere uno scopo sociale nobile e incalzante, in ottica di spinta gentile, nudge46, verso livelli superiori di civiltà, ottenuta grazie all’analisi dei comportamenti e delle priorità decisionali presenti naturalmente nelle attività di stampo imprenditoriali.
2.2 – Rassegna delle sperimentazioni attivate a livello nazionale
Definito e inquadrato il fenomeno, si dà conto ora della presenza e dell’evoluzione del welfare aziendale in Italia, ragionando sulle esperienze attivate nelle imprese di grandi dimensioni e nelle PMI
.
46 Per un approfondimento su questo strumento e sulle evidenze del suo utilizzo, si può vedere il contributo di Xxxxxx e Xxxxxxxx (2009).
2.2.1 – Lo stato del welfare aziendale in Italia
Per apprezzare come le azioni fattive implementate in varie direzioni - legislative, progettuali, gestionali - dai vari protagonisti sopra illustrati, si riporta qui la situazione che si configura prendendo in considerazione gli item dell’analisi che hanno ottenuto percentuali di risposta maggiori nell’ambito dei dati Doxa 2016. Questa ricerca, dedicata a rilevare lo stato del welfare aziendale, ne ha indagate tre macro aree - il welfare familiare, le prestazioni di utilità sociale e le contribuzioni a previdenza complementare e sanitaria -, realizzando una rilevazione sia dal lato imprese che dal lato dipendenti, coinvolgendo 302 aziende e 800 lavoratori.
Dalla analisi operata in merito da Xx Xxxxx (2016) risulta che ‘si conferma la crescente richiesta di un modello di organizzazione del lavoro flessibile e possibilmente da remoto o da casa [..] e la tendenza di crescita di un modello di welfare aziendale per la famiglia’ (p. 61). I dati evidenziano ‘come per i dipendenti genitori sia molto più importante investire nella crescita professionale e umana dei propri figli attraverso esperienze di studio fuori dalla propria città o in corsi di formazione di tipo culturale e in lingue straniere piuttosto che nei rimborsi spese per le attività scolastiche.’ (p. 94). In effetti ‘è in forte ascesa la domanda di welfare per la famiglia. I cambiamenti in atto nel paniere del welfare aziendale più in generale segnano il progressivo passaggio da un modello di welfare aziendale di base a uno più strutturato e complesso.’ (p. 52). ‘La macro-area dei Servizi ai figli dei dipendenti è uno degli ambiti del paniere welfare in forte espansione’ (p. 62). Nel complesso ‘cresce un modello di organizzazione del lavoro flessibile e allo stesso tempo molto attento al benessere psico-fisico dei dipendenti anche in azienda’ (p.56). ‘Appare evidente come i temi dello smart working e della conciliazione dei tempi vita-lavoro siano percepiti tra i principali driver della crescita del welfare aziendale insieme alle iniziative dirette di sostegno al potere di acquisto dei dipendenti e al welfare familiare tramite le facilitazioni di accesso ai servizi ai familiari in generale.’ (p. 65).
Per quanto riguarda il lato imprese, i dati Doxa mostrano complessivamente che le imprese ricorrono ai programmi di welfare prioritariamente per migliorare la soddisfazione personale di chi lavora in azienda (51% dei casi) e che i servizi più diffusi in assoluto sono i Buoni spesa e le Agevolazioni commerciali (87%), mentre nelle aziende internazionali risultano molto più diffusi i servizi legati alla Cultura, svago e tempo libero e al Welfare contrattuale (70%).
Le imprese mostrano di conoscere le normative dedicate al welfare aziendale (per il 63% dei casi) e le agevolazioni per accordi con i sindacati (per il 40% dei casi vi è ricorso alla contrattazione di secondo livello).
Per quanto riguarda i fattori ostativi alla realizzazione dei piani di welfare, gli aspetti economici rappresentano in assoluto la voce principale: la crisi di mercato, le difficoltà di bilancio e la riduzione dei costi sono indicate dal 43% delle aziende. Le difficoltà cambiano a seconda della dimensione aziendale: le barriere relazionali sono principalmente avvertire nelle medie (54%) e grandi imprese (53%); per la piccola impresa, invece, l’aspetto economico è di gran lunga la difficoltà più avvertita (64%).
Nonostante, globalmente le rilevazioni dei sentimenti verso il welfare attestano atteggiamenti positivi (89%, dove prevalgono il senso di utilità, di servizio, di modernità e di innovazione), si registrano delle differenze tra la reale diffusione dei servizi offerti e quelli considerati più interessanti. Queste discrepanze riguardano principalmente i servizi per i figli dei dipendenti (diffusi nel 28% delle aziende ma ritenuti i più interessanti nel 66% dei casi) e i servizi alla persona e ai familiari (diffusi nel 19% delle aziende ma ritenuti i più interessanti dal 59% degli intervistati).
Rispetto ai contenuti, i dati Doxa consentono di formulare anche alcune ipotesi circa i percorsi futuri intrapresi dal lato imprese, che con una percentuale pari al 46% interessano la flessibilità di orario e di organizzazione del lavoro, e rispetto alle valutazioni sul futuro e i trend del welfare, prevale una previsione di crescita, per il 74% dei casi.
Sul fronte dipendenti i dati Doxa mostrano che per i lavoratori sono di maggior interesse le Agevolazioni commerciali e i Buoni spesa (90%). La mappatura delle priorità mostra al primo e secondo posto la Copertura sanitaria integrativa ai familiari e il Sostegno al reddito nel caso di perdita del lavoro. Interrogati sulle motivazioni e sugli ostacoli delle imprese, i dipendenti ritengono che l’azienda, tramite un piano di welfare, si ponga l’obiettivo di incrementare la produttività (35% delle risposte) e che fatichi a realizzare un intervento pieno e compiuto a causa di barriere relazionali (64% dei casi). I dipendenti complessivamente mostrano un atteggiamento positivo rispetto all’introduzione di servizi people care nel 62% dei casi (i valori percentuali maggiori si riscontrano nelle fasce di età 50-65 anni e 18-29 anni) e valutano altrettanto positivamente (nel 54% dei casi) i programmi già implementati. Secondo il 55% dei lavoratori intervistati, il welfare nella propria azienda di riferimento si svilupperà sempre più nel futuro.
Avere delle rilevazioni sulla diffusione, l’interesse, le motivazioni, le difficoltà e le valutazioni di sviluppo datoriali e sulle priorità e i sentimenti dei dipendenti è molto utile per ottenere un quadro completo e generale della percezione del fenomeno. Così è possibile comparare le rilevazioni e, confrontando i dati, riscontrare sia gli elementi comuni sia le differenze esistenti tra azienda e lavoratori. Interessanti, per concorrere ad un uso efficace dello strumento in analisi, sono prioritariamente le differenze, riguardo l’oggetto di interesse, l’importanza e le priorità avvertite, gli obiettivi e le difficoltà percepite.
Le discrepanze più evidenze riguardano i servizi di mobilità, ritenuti d’interesse per il 70% dei lavoratori ma solo per il 50% delle aziende. L’analisi delle priorità mostra altamente desiderabili, per i lavoratori, la flessibilità di orario e di organizzazione e, per le aziende, le agevolazioni commerciali. Rispetto agli obiettivi e alle finalità di un piano di welfare, la ricerca evidenzia differenze di percezione tra aziende e lavoratori: incrementare la produttività, per i lavoratori, e, per le aziende, migliorare la soddisfazione personale. Anche rispetto alle difficoltà di implementazione, le posizioni di aziende e lavoratori non sempre coincidono: i lavoratori pongono al
primo posto le barriere relazionali (64%), mentre le aziende gli aspetti economici (58%).
Volgere l’attenzione ai bisogni e alle aspettative del lato forza lavoro è cruciale per risolvere le barriere relazionali lamentate dai dipendenti e introdurre in azienda canali comunicativi che rendano i piani di welfare realmente utilizzati e non solo uno strumento pubblicitario per migliorare la reputazione nel mercato di riferimento di un’impresa.
2.2.2 – Il ruolo delle imprese di grandi dimensioni
Come si è detto, le imprese storiche e di grandi dimensioni presentano una tradizione consolidata e strutturata negli interventi a vantaggio della platea di dipendenti. Riferirsi a queste esperienze offre la possibilità di identificare quali fattori sono stati facilitatori di progetti riusciti e continuati nel tempo e consente di isolare delle best practices replicabili in contesti di più recente attivazione, privi di un insieme di esperienze sufficienti a programmare l’avvio di piani di welfare aziendale. In questo senso sono stati selezionati cinque casi - ATM, Luxottica, Nestlè, SEA e Tetrapack47
-, che, come si vedrà, sono differenti per settore economico di appartenenza e organizzazione aziendale adottata ma presentano delle caratteristiche comuni che si sono dimostrate punte di forze nel campo del welfare.
Il caso ATM – Aziende Trasporti Milanesi è uno degli esempi più risalenti. In questa azienda, fondata nel 1931, fin dall’origine i dipendenti beneficiavano di una Cassa Speciale di Previdenza e una Cassa di Soccorso e Malattia, di colonie estive, di accordi, avviati su iniziativa sindacale, costitutivi di servizi socio-sanitari e ricreativi. Negli anni, la gamma dei bisogni coperta è accresciuta comprendendo consulenza legale e psicologica e sostegno abitativo, campagne di prevenzione medica e piani di
47 Ad individuare, documentare ed analizzare progetti ed esperienze di integrazione della protezione sociale a finanziamento non pubblico è dedicata l’attività del Laboratorio Percorsi di Secondo Welfare del Centro Einaudi di Documentazione e Ricerca di Torino. Le notizie sul contenuto e l’evoluzione dei casi riportati in questo capitolo sono tratte dal lavoro svolto dal gruppo di ricerca. Per un approfondimento, è possibile consultare la testata on line xxx.xxxxxxxxxxxxxx.xx e il Rapporto sul Secondo Welfare, pubblicato ogni due anni, di cui sono attualmente disponibili il Primo (2013) e il Secondo (2015).
flessibilità per i genitori. Nel 2005, è stata costituita una specifica funzione dedicata ai servizi sociali all’interno dell’ufficio Risorse Umane, composta da un team multidisciplinare. La strategia di empowerment seguita dal management riguarda ora il singolo dipendente, cui sono forniti gli aiuti necessario a risolvere il propri problemi economici e/o familiari in termini di investimento aziendale sull’individuo come risorsa umana. Questo caso è degno di nota perché è possibile studiare la dinamica degli interventi di welfare nel lungo periodo e mostra una visione datoriale attenta, che propone interventi legati ai singoli e contingenti bisogni in logica chirurgica.
Il caso SEA Aeroporti Milano, fondato nel 1948, presenta invece programmi per dipendenti avviati negli Anni Settanta da accordi tra azienda e sindacati e ristrutturati in modo organico dal 2008, anche in base alle risposte date dai dipendenti stessi ad un questionario valutativo dei servizi offerti, con l’istituzione di NoiSea, un’associazione per la gestione unica del welfare. Qui vanno citati due aspetti positivi. Da un lato, le capacità di reazione del management che ha saputo ‘far di necessità virtù’ di fronte ad un momento di crisi aziendale (il dehubbing di Alitalia) e ha messo in moto un virtuoso movimento riflessivo e ri-organizzativo, per sostenere l’incertezza economica in cui si erano venuti a trovare i dipendenti. Dall’altro lato, costituisce una buona pratica il ricorso ad un soggetto indipendente (NoiSea) che tutela contro il rischio di possibili ‘interruzioni di servizio’ delle soluzioni di welfare aziendale dovute ad un eventuale cambio di management.
Nel gruppo Luxottica, invece, dal 2009, il pacchetto welfare destinato ai dipendenti è specificatamente strutturato per integrare i salari più bassi di operai e impiegati e comprende carrello della spesa, polizza di assicurazione sanitaria, rimborso per libri di testo e borse di studio. Il carrello della spesa, a favore di tutti gli operai e impiegati con contratto a tempo determinato, indeterminato, di somministrazione e stage degli stabilimenti produttivi, ha un valore di 110 euro e viene distribuito tramite accordi con cooperative locali. La polizza sanitaria, studiata da Unisalute, include, oltre alle visite odontoiatriche, un«pacchetto maternità» richiesto dal management in considerazione del fatto che il 65 per cento del personale è composto da donne. Il
rimborso totale dei libri di testo, per i dipendenti e per i figli che studiano, copre i costi dei testi dalle scuole inferiori fino all’università; ne usufruiscono anche gli assunti a tempo determinato.Questa in iziativa si completa con lo stanziamento di borse di studio per gli studenti meritevoli. Le risorse complessivamente stanziate in Luxottica sono collegate all’aumento della qualità della produzione, che risulta in costante crescita dal 2009, anno in cui Azienda e sindacati hanno elaborato congiuntamente uno studio sui redditi e sul potere d’acquisto dei dipendenti e dei loro nuclei familiari, individuando bisogni e possibili ambiti d’intervento.
Questo caso presenta una specificità che ne fa una buona pratica adatta ad essere replicata. Si tratta della visione a monte e a largo raggio del management, che ha massicciamente incluso la componente sindacale nel progetto e ha attuato, per quanto di sua stretta competenza gestionale, interventi specificatamente volti a migliorare la qualità della produzione, base effettiva su cui vengono quantificati gli interventi di welfare: riduzione degli scarti e maggiore attenzione all’efficienza dei processi.
Il caso Nestlè, invece, è un buon contesto di analisi per il valore assoluto e la distribuzione internazionale della forza lavoro. Vi sono quasi 300.000 collaboratori, rappresentativi di oltre 100 diverse nazionalità, localizzati per un terzo in Europa; per un terzo nelle Americhe e per il rimanente terzo in Asia, Oceania e Africa. Capire come, in queste condizioni, si dipani la cultura aziendale può essere molto utile per individuare best practices. Il principio impiegato da Nestlè è il Creating Shared Value con pratiche di gender balance, employee branding e social compliance - miglioramento delle condizioni di lavoro delle dipendenti, immagine del brand e attrattività per i lavoratori- concretamente attuate con piani di welfare aziendale. Gli interventi sono il risultato di esperimenti pilota interni, cui partecipano attivamente anche i sindacati. Gli accordi sindacali48 hanno contenuti family friendly, tra cui congedi di paternità e tele-lavoro, part-time e orario flessibile. Conferma la portata positiva dei piani di welfare interni attuati in Nestlè il fatto che, nel 2011, l’azienda abbia vinto il Premio Famiglia Lavoro della Regione Lombardia con il Progetto 90
48 Per approfondire i contenuti dell’accordo di Nestlè, si può vedere il contributo di Xxxxxxx (2013).
giorni, volto alla realizzazione di campi giovanili curati da educatori specializzati, durante i periodi di vacanza e chiusura delle scuole, e rivolti ai figli dei dipendenti ma anche aperti agli abitanti delle zone limitrofe. Il punto di forza di questo caso sembra complessivamente essere la capacità di ascolto e l’apertura del management, che ha saputo istituire sinergie virtuose tra l’impresa e il territorio.
Anche Tetra Pak Packing Solutions presenta spunti interessanti. Si tratta di una filiale che ha sede e Modena e per il gruppo Tetra Pak, fondato nel 1951, si occupa della funzione R&S, impiegando 800 dipendenti cui offre un’ampia varietà di benefits e servizi. Di questo caso è interessante notare come l’origine aziendale nordica - la capofila è stata fondata in Svezia - abbia introdotto una cultura familiare che tuttora orienta a livello corporate verso una forte attenzione alle persone. Nelle singole sedi, questa base tradizionale omogenea può essere adattata alle specificità del territorio e della forza lavoro, che vengono rilevate con questionari e momenti dedicati alla comunicazione interna. Le indagini di clima generale, annuali, sono integrate con rilevazioni specifiche sulla soddisfazione di singoli servizi ed è incentivata la partecipazione spontanea ad integrare il piano di welfare con idee e proposte risolutive a problematiche riscontrate da ogni dipendente.
Il Gruppo UBI Banca è invece un’unione federale di banche territoriali controllata da una società capogruppo ed è interessante perché consente di vedere l’influenza di questo tipo di modello sulle politiche di welfare aziendale. Le controllate dispongono in merito di un certo grado di autonomia gestionale, potendo così gestire il personale e offrire benefits nel rispetto delle specificità territoriali. Il sistema di welfare risultante è ampio e presenta un aspetto caratteristico dedicato ai giovani, in vista della stabilizzazione del rapporto di lavoro. Sono infatti dedicati accordi sindacali che definiscono dei bacini occupazionali in cui la banca seleziona poi il personale da assumere in modo stabile.
Come illustrato risulta centrale per la riuscita di un intervento di welfare aziendale utilizzato e stabile nel tempo, l’esistenza di figure datoriali e manageriali attente e aperte ad esercitare doti di ascolto e di comprensione della situazione della propria forza lavoro non solo nell’ambiente strettamente aziendale ma anche familiare e
sociale. Questo conferma quanto si è detto sopra riguardo le barriere relazionali, su cui comunque i dati Doxa attestano che ci sia ancora molto da fare, anche se i movimenti legislativi, includendo i sindacati e comitati paritetici nelle contrattazioni, stiano producendo dei cambiamenti culturali nella visione filantropica unidirezionale del welfare aziendale.
2.2.3 – Le criticità e le soluzioni per le PMI
I casi riportati sopra rappresentano degli esempi di welfare aziendale di alta qualità ma che nei fatti hanno una scarsissima diffusione, dal momento che il Italia solo lo 0,1% delle imprese è di grandi dimensioni49. Le imprese micro, piccole e medie - per scarsità di risorse finanziarie e organizzative e di massa critica sufficiente a negoziare soluzioni vantaggiose con i fornitori - rischiano, invece, di non essere in grado di ricorrere a soluzioni agevolanti per i dipendenti.
Visti i dati Istat che mostrano come le imprese italiane con meno di 10 addetti siano il 95% delle unità produttive complessivamente presenti e impieghino il 47% degli addetti - quando la media europea è invece pari al 29% -, perché il welfare aziendale si sviluppi è quindi dirimente il coinvolgimento delle PMI. Una possibile soluzione al problema può configurarsi a livello territoriale, con la creazione di reti all’interno delle quali si realizzi una condivisione progettuale e gestionale tra attori per introdurre localmente misure di welfare interaziendale. Una opzione verso la realizzazione di un modello collaborativo sovra strutturato di questo tipo è costituita dal contratto di rete, uno strumento introdotto dal legislatore recentemente ma da un numero di anni sufficiente da poterne apprezzare gli sviluppi positivi. Ad analizzare il contenuto della normativa, lo sviluppo avvenuto in Italia e i casi attivati fin qui sarà dedicato il prossimo capitolo. Come si argomenterà poi nei successivi capitoli questo tipo di rete si è dimostrato anche in grado di coinvolgere enti pubblici locali e associazioni del Terzo Settore, ampliando il numero dei protagonisti attivi e la portata del modello di welfare aziendale.
49 Fonte dati: Istat (2015).
Qui si aggiunge che, a soccorso delle difficoltà tecniche e operative delle strutturazione di un piano people care in capo a PMI, si inserisce, tra gli attori del welfare aziendale di cui si è detto sopra, la figura dei provider50. Si tratta di società di servizi che, come consulenti, occupandosi anche delle analisi di fattibilità, compongono dei pacchetti di servizi personalizzati per contenuto e per costo, offerti poi ai dipendenti attraverso un portale dedicato e un conto all’uopo creato dall’azienda. Un’analisi qualitativa sul fenomeno51 mostra le capacità di riconversione di queste figure meta-aziendali che hanno compreso il ri-orientamento del mercato del welfare a seguito della Legge di Stabilità del 2016 e sono state in grado di riconvertire il proprio know-how, incrementando il proprio parco clienti. Dal punto di vista quantitativo, poi, si registra un incremento nel numero di soggetti operanti - tanto che nel 2017 è stata fondata l’Associazione italiana welfare aziendale, che raggruppa i principali provider -, a conferma dell’avvio di un nuovo mercato e di possibili opportunità lavorative afferenti ai campi fiscali, gius-lavoristici e HR52.
Complessivamente i provider contribuiscono, con un lavoro di networking e di consulenza, alla diffusione del welfare aziendale e all’istituzione di reti tra imprese e fornitori. Una pratica di questo tipo presenta due vantaggi: da un lato le aziende promotrici di piani di welfare possono esternalizzare una funzione non core, riducendo i costi interni di personale e migliorando, rivolgendosi a professionisti il livello della performance; dall’altro lato, in questo modo ai dipendenti inclusi nelle pratiche di welfare vengono assicurati superiori livelli di qualità dei prodotti e dei servizi utilizzati, grazie alla responsabilità di mantenimento della reputazione del brand posta in capo al provider.
50 Su questo tema è possibile consultare i contributi documentati dal Laboratorio Percorsi di secondo welfare sul sito xxx.xxxxxxxxxxxxxx.xx, che, nell’analizzare gli effetti delle modifiche apportate dalla Legge di Stabilità 2016, ha realizzato una ricerca centrata sui provider.
51 Santoni (2017).
52 Sulle ricadute nel mercato del lavoro nazionale realizzate dall’azione di un provider, si può vedere il contributo di Xxxxxxx (2013), che analizza l’emersione del lavoro nero e la crescita dell’occupazione francese.
Si apre poi un ulteriore scenario: nel momento in cui la selezione dei fornitori tenesse anche conto della prossimità dei fornitori al contesto di erogazione dei prodotti e servizi di welfare, si potrebbe ottenere l’ulteriore vantaggio dello sviluppo territoriale e del rilancio della produzione e dell’evoluzione locale. Xxxxx evidenze in questa direzione si dirà meglio nella seconda parte della tesi, dove si analizzerà la ricaduta sulla comunità del ricorso a questa soluzione operativa. Qui si cita, in chiusura, il caso Xxxxxxxx, che ha svolto la funzione di provider nell’area che costituisce il campo della ricerca empirica alla base di questa tesi, dove ha instillato la valorizzazione delle eccellenze territoriali, coinvolgendo in rete fornitori di servizi di welfare a Km0 e prevedendo momenti istituzionalizzati di discussione e scambio di best practices, costituendo così un laboratorio dove nascono e si sviluppano idee innovative rispondenti a bisogni concreti. Questo caso è anche interessante perché rappresenta un’azienda pioniera che, avviata nel 2002, nei primi anni di attività ha patito grosse difficoltà e dà la misura dello stato del mercato e dalla scarsa diffusione della conoscenza e dell’utilizzo degli strumenti di welfare, prima della Legge di Stabilità del 2016.
2.3 – Conclusioni
In questo capitolo si è chiarito il concetto di welfare aziendale, attraverso la descrizione del fenomeno; l’identificazione dei soggetti coinvolti e dei servizi offerti; l’illustrazione dello stato dell’arte attuale ed una analisi delle esperienze significative attuate in Italia, realizzate da imprese di grandi dimensioni, PMI e del ruolo dei provider.
Si può concludere l’esistenza di punti di forza e potenzialità dello strumento in un contesto, quale quello italiano, caratterizzato, come si è visto nel precedente capitolo, da una situazione di crisi a livello di produttività e di copertura salariale e sociale. Si è visto, nei casi emblematici delle realtà di maggiori dimensioni rappresentative dei settori produttivi caratteristici del tessuto aziendale italiano, quanto conti la presenza di una struttura avviata e di cospicue risorse economiche e umane. Riferendosi
all’esperienza dei provider, si sono iniziati a vedere gli aspetti positivi dell’applicazione della logica di rete: circolarità delle competenze, lobbying verso i policy-makers, forza contrattuale, rappresentanza esterna e massa critica che riduce i costi.
Un limite alla diffusione in Italia di programmi people care risulta, in definitiva, la forte presenza di PMI, che scontano i limiti monetari e organizzativi della propria struttura. Soccorre, in questo aspetto problematico, la possibile soluzione per le PMI di partecipare a progetti di struttura reticolare e ricorrere al contratto di rete, uno strumento recentemente normato che consente l’unione delle forze di singole realtà per accedere a progetti di portata superiore alle capacità dei singoli contraenti/partecipanti. Sui contenuti e sull’evoluzione giuridica del contratto di rete, come pure dell’utilizzo per progetti di promozione sociale -di cui vi sono già delle evidenze-, si dirà meglio nel prossimo capitolo.
CAPITOLO 3 – IL CONTRATTO DI RETE: CONTENUTI E UTILIZZI
Con l’obiettivo di dar conto di come programmi in rete di welfare aziendale possono concorrere al raggiungimento di superiori livelli nella qualità della vita e supplire così alla attuale situazione economica e sociale italiana - descritta nel primo capitolo
-, tramite l’integrazione dei livelli di reddito personali e familiari e della produttività delle imprese, con ricadute anche territoriali, in questo capitolo si fornirà un approfondimento sul contratto di rete.
Come si vedrà, si tratta di uno strumento di recente formazione, volto al rilancio del mercato italiano, cui progressivamente nel tempo le aziende e soprattutto le PMI stanno ricorrendo per realizzare programmi congiunti di innovazione, ricerca e sviluppo e internazionalizzazione. Qui, tenendo conto dell’ipotesi di ricerca, ci si concentrerà sull’utilizzo del contratto di rete per attuare interventi di welfare aziendale - sui cui contenuti e vantaggi si è detto nel precedente capitolo - presentando le case histories delle sperimentazioni realizzate in Italia.
3.1 – Inquadramento del fenomeno
Per inquadrare dal punto di vista qualitativo il contratto di rete, se ne forniranno qui elementi definitori, dando conto della ratio, del contenuto e dell’evoluzione della norma che ha introdotto questo strumento. Si vedranno, anche, i diversi modi in cui una rete può essere classificata - rispetto alle caratteristiche, alle relazioni e alle struttura - e le proposte di modellizzazione, elaborate in letteratura rispetto agli utilizzi operativi. Tenendo conto poi dell’ipotesi che il contratto di rete possa essere utilizzato dalle PMI per piani di welfare aziendale, ci si concentrerà poi su due aspetti rilevanti in questo senso: il grado di tutela gius-lavoristica dei diritti dei dipendenti coinvolti in una rete e le soluzioni per supplire alla contenuta capacità
organizzativa e comunicativa delle PMI di sostenere programmi congiunti di portata sovra-aziendale.
3.1.1 – La definizione e lo scopo del contratto di rete
Il contratto di rete in esame è stato introdotto dall’articolo 3 del Decreto Legislativo
n. 5 del 10 febbraio 2009, titolato ‘Misure urgenti a sostegno dei settori industriali in crisi’, convertito nella legge n.33 del 9 aprile 2009. Da allora ad oggi, la disciplina è stata modificata e integrata dalla legge n.99 del 23 luglio 2009 recante ‘Disposizioni per lo sviluppo e l’internazionalizzazione delle imprese’; dalla legge n.122 del 30 luglio 2010 per la conversione in legge delle ‘Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica’; dalla legge n.134 del 7 agosto 2012 per la conversione in legge delle ‘Misure urgenti per la crescita del Paese’; dalla legge n.221 del 17 dicembre 2012 per la conversione delle ‘Ulteriori misure urgenti per la crescita del Paese.’ Già dall’evoluzione legislativa, si vede come il legislatore abbia inteso il contratto di rete come uno strumento di rilancio dell’economia italiana, idoneo a rivitalizzare il sistema produttivo imprenditoriale in una situazione di crisi internazionale e di globalizzazione dei mercati.
Il contratto di rete, così, da un lato, pone l’Italia in linea con la spinta dell’Unione Europea a politiche industriali e agricole in logica di network, per riunire risorse e competenze e raggiungere masse critiche idonee a R&S innovazione e accesso a nuovi mercati53. Dall’altro lato, va ad aggiungersi ai modelli reticolari già presenti nella pratica commerciale - si pensi ai consorzi e ai distretti54 -, nel tentativo di coniugare i due interessi quasi contrapposti all’esigenza di collaborazione per programmi condivisi e al mantenimento dell’autonomia imprenditoriale dei singoli. Un aspetto caratteristico del tessuto imprenditoriale italiano è, difatti, la resistenza a
53 Su questo aspetto si può vedere Review of Small Business Act (SBA) for Europe, COM/2011/0078 del 23 febbraio 2011.
54 Sul tema si possono vedere i contributi di Xxxxxxx (2010); Cresta (2008); Xxxxxxx (20007); Xxxxxx e Xxxxxx (2007); Xxxxxxxxxx et al. (2004); Xxxxxxxx (2003); Xxxxxxxxxx (1998).
condividere il controllo dell’impresa e questo ostacola le soluzioni di concentrazione delle imprese strutturate che consentirebbero, invece, di ampliare la dimensione e la competitività sul mercato. Con il contratto di rete il legislatore ha invece offerto uno strumento flessibile, idoneo ad evoluzioni verso strutturazioni superiori.
Dalla disciplina55 risulta che il contratto di rete è un particolare contratto con cui più imprenditori perseguono lo scopo di accrescere, individualmente e collettivamente, la propria capacità innovativa e la propria competitività sul mercato. Per non frustrare gli intenti collaborativi, una volta costituita la rete, è possibile includere anche soggetti non imprenditori, purché siano esclusivamente gli imprenditori a svolgere le attività esterne per cui, a tutela dei terzi e per legge, è prevista la pubblicità nel registro delle imprese. Il contratto di rete è, infatti, soggetto a iscrizione nella sezione del registro delle imprese presso cui è iscritto ciascun partecipante e l’efficacia decorre dall’ultima delle iscrizioni.
I soggetti coinvolti si obbligano, così, a collaborare in forme e in ambiti predeterminati attinenti all’esercizio delle proprie imprese ovvero scambiarsi informazioni o prestazioni di natura industriale, commerciale, tecnica o tecnologica ovvero ancora esercitare in comune una o più attività rientranti nell’oggetto della propria impresa. E’ possibile l’istituzione di un fondo patrimoniale comune e la nomina un organo comune incaricato di gestire, in nome e per conto dei partecipanti, l’esecuzione del contratto o di singole parti o fasi dello stesso. In un programma devono essere indicati i diritti e gli obblighi di ciascun partecipante; le modalità di realizzazione dello scopo comune; la misura, i criteri di valutazione dei conferimenti iniziali e degli eventuali contributi successivi e le regole di gestione del fondo, ove previsto; la durata del rapporto; le cause e le condizioni di esercizio del recesso anticipato; le modalità di adesione di altri imprenditori.
55 Per un inquadramento giuridico del contratto di rete, è possibile consultare i contributi di Genovese (2013); Cafaggi, Iamiceli e Xxxxx (2012); Tripputti (2011); Iamiceli (2009); Cafaggi e Iamiceli (2007). Il testo integrale della norma citata è riportato nell’appendice.
Rispetto a causa e oggetto del contratto56, la prima coincide con l’interesse di tutti i contraenti a collaborare e la seconda con il programma negoziale; mentre per quanto attiene agli impieghi e alle finalità possibili, la normativa resta vaga e indeterminata57 e dunque le imprese hanno massima libertà in merito.
3.1.2 – Le strutture e i modelli operativi
Operativamente, all’interno di una rete, i membri si relazionano tra loro per realizzare attività comuni di acquisto, di ricerca o di scambio di beni o conoscenze. Le forme e livelli di cooperazione raggiunti sono diversi - vengono influenzati dalle dimensioni, dalla struttura, dallo scopo e dai progetti condotti -, ma comune è il bisogno di alta flessibilità e dunque di bassa regolazione, che si declina secondo la durata della rete, la fiducia reciproca, gli interessi, l’apertura verso nuovi membri. Rispetto alla struttura dei gruppi cooperanti e all’intensità del coinvolgimento delle singole imprese58, risulta che le imprese non si aspettano di ottenere il proprio vantaggio principale sfruttando i beni della rete, ma di trarre profitto dai progetti cui partecipano. Il focus è dunque sulla collaborazione, che è circoscritta allo scopo della rete - descrittivo degli obiettivi della rete e foriero di un orientamento ai suoi membri
- e che assume configurazioni semplici o complesse declinabili a diversi livelli59.
Per la governance della rete esistono diversi strumenti distinti in soft - come buone pratiche, raccomandazioni, codici di condotta, richieste - o hard - come contratti o rapporti obbligatori di cortesia -, cui si ricorre a seconda della forma di scambio; del bene scambiato; del numero dei membri coinvolti60. Dall’esame dei contratti di rete analizzati in letteratura e dalle ricerche empiriche, sono stati individuati tre modelli:
56 Per un approfondimento sull’inquadramento del contratto di rete, si possono vedere i contributi di
Delle Monache e Xxxxxxxx (2014); Xxxxx (2015); Napoli (2015).
57 Per un approfondimento su questo aspetto, si può vedere il contributo di Xxxxxxx (2010).
58 Su questo aspetto si può vedere il contributo di Xxxxxxxx et al. (2012), basato su un sondaggio delle società aggregate in rete.
59 Per un approfondimento sulle strutture interne delle reti e sulle modalità di regolazione dei singoli progetti, si può vedere il contributo di Xxxxx et al. (2015).
60 Per un approfondimento su questo punto, si può vedere il contributo di Xxxxx e Xxxx (2015).
le reti a connessione orizzontale, per il mercato; le reti verticali, per la produzione; le
reti generative, per l’innovazione61.
Il modello a connessione orizzontale, o per il mercato, è il più semplice e diffuso e si realizza quando più imprese cooperano per presentarsi sul mercato con un catalogo o una gamma di prodotti o un brand comuni, raggiungendo così un peso economico più consistente. In questa configurazione, nota in letteratura come cooperazione competitiva62, a livello di processo, le imprese sono posizionate in modo contiguo rispetto al segmento produttivo e non vi sono gerarchiche o relazioni di fornitura diretta. Le transazioni riguardano lo scambio di informazioni, competenze, strategia, ma le merci sono prodotte in modo indipendente, al più vengono acquistate in comune materie prime, per ottenere contratti di fornitura più favorevoli. Questo approccio fa delle risorse inserite nella rete dei beni di club63, ovvero beni disponibili per tutti i membri di una certa comunità, di cui si è volontariamente64 membri in vista di un beneficio atteso. Dal punto di vista evolutivo, visto che questa tipologia di rete non comporta compresenze continuative, può essere intesa come una sperimentazione, per creare collaborazioni che possono poi strutturarsi in forme relazionali più complesse. Bisogna però tener conto del fatto che, poiché le transazioni sono limitate a specifici ambiti, non cruciali dal punto di vista strategico, in questo tipo di configurazioni non si presta molta cura a creare strumenti per limitare i fenomeni opportunistici di free-rider e ciò espone al rischio di fallimento delle rete65.
Il secondo modello isolato descrive particolarmente bene la struttura del sistema industriale italiano ed è costituito dalle reti verticali, per la produzione, basate su catene di fornitura e sub-fornitura stabili e dunque più eterogenee - poiché costituite
61 Su questo punto si può vedere il contributo di Xxxxxxxx e Xxxxxxx (2016).
62 Su questo aspetto, si può vedere il contributo di Xxxxx e Hage (1993).
63 Per un approfondimento sui club goods - una tipologia di beni, che, collocandosi tra i beni privati e pubblici, completa la teoria economica classica -, si può vedere il contributo di Xxxxxxxx (1965).
64 Su questo aspetto si può vedere il contributo di Xxxxxxx e Xxxxxxxxxx (1997), in cui viene sottolineato come, alla base di una adesione ad un club, vi sia una decisione impostata su una analisi e un calcolo costi/benefici.
65 Per un’analisi di questo aspetto, si può vedere il contributo di Xxxxxxx e Xxxxxxxx (2011).
da imprese attive in fasi diverse di uno stesso processo produttivo - e coordinate - dal momento che vi è una singola capofila che interagirà con il mercato di sbocco ed è personalmente motivata al successo delle interazioni e al rispetto di standard, tempi e modi di produzione -. All’interno della rete verticale, vengono infatti scambiati prodotti e semilavorati, come nella rete orizzontale, ma si realizza una certa gerarchia e l’interdipendenza è tanto spiccata da riferirsi ad essa come rete a connessione simbiotica. Quando la rete assume questa configurazione, ogni singola impresa sopravvive se l’intero sistema funziona: ciò porta a maggiori formalizzazioni e alla stesura di contratti dedicati ad esplicitare relazioni già esistenti; a ridurre i costi di transazione propri delle relazioni non stabilizzate; a proteggere dai rischi di fallimento di cui si è invece detto sopra66.
Il terzo tipo di rete individuato, la rete generativa, per l’innovazione, è esplicitamente realizzata per creare un prodotto o processo o investimento congiunto, coinvolgendo soggetti eterogenei, imprese dalle diverse attività, centri di ricerca, dipartimenti universitari. Qui il dialogo è continuo e intenso, come nelle reti verticali, ma è diversa la finalità, che è di progresso scientifico e non volta al controllo della produzione. I livelli di fiducia e di informazione sono molto alti e questi, unitamente alla strutturazione organizzativa che impone e assicura continuità al di là della mobilità dei singoli membri coinvolti, preservano la rete dal rischio di fallimento. In Italia questo modello non è molto diffuso, ma sono presenti delle prime evoluzioni da rete orizzontale a rete innovativa che potrebbero consolidarsi e divenire frequenti, grazie anche al ricorso alle tecnologie sempre più frequente e massiccio.
3.1.3 – Le implicazioni per i rapporti di lavoro
Visto che il focus di questa tesi è indagare l’utilizzo del contratto di rete per
programmi di welfare volti a migliorare la qualità della vita di dipendenti e familiari,
66 In merito, Sabel (1994) ha rilevato che le forme di monitoraggio delle filiere formalizzate contrattualmente non mirano a ridurre l’opportunismo, ma a reperire informazioni necessarie a radicare l’azione congiunta: questo porta a un maggior potenziamento della fiducia.
ha un senso esplorare le implicazioni del contratto di rete sul rapporto di lavoro, per accertarsi che queste non siano negative e che uno strumento, pensato per produrre benefici per un verso, non comporti nocumento in un altro verso.
La novità giuslavoristica67 recentemente introdotta in merito, prevede che, in caso di distacco di personale tra imprese che hanno sottoscritto un contratto di rete, l’interesse della parte distaccante sorge automaticamente ed è ammessa la codatorialità dei dipendenti ingaggiati secondo le regole del contratto di rete68.
Nel caso in esame, quindi, è stata consentita la simultanea riconducibilità dei un rapporto di lavoro in capo a due diversi datori di lavoro, cogliendo ed avallando la spinta del sistema economico verso il superamento del modello fordista di impresa verticalmente integrata e verso un modello in cui i cicli e i processi produttivi vengono esternalizzati e le imprese mantengono al proprio interno le funzioni strettamente core business in ottica di iperspecializzazione. Considerare meritevole e favorire l’interesse del lato impresa di condividere costi e risultati dei collaboratori - ratio della norma - ha avuto però delle ricadute sulla protezione accordata al lavoratore xxxxxxx00 nei tre istituti distacco, codatorialità e assunzione congiunta.
In merito, il legislatore prevede che, nel distacco, sia prevalente il potere direttivo dell’imprenditore e, nell’ipotesi di distacco infra-rete, la titolarità e l’imputazione del rapporto di lavoro resti in capo all’impresa retista che ha assunto il lavoratore alle proprie dipendenze. In caso di assunzione congiunta da parte di imprese legate al contratto di rete, invece, tutti i datori di lavoro rispondono in solido delle obbligazioni contrattuali, previdenziali e di legge che scaturiscono dal rapporto di lavoro. La codatorialità, infine, - che attiene l’esercizio da parte di più imprenditori del potere direttivo sul dipendente retista - è ammessa a tre precise condizioni: il contratto di rete deve essere valido; la rete deve essere operativa; l’organizzazione deve avvenire secondo le regole stabilite dal contratto di rete stesso.
67 Per un approfondimento su questo aspetto, si possono vedere i contributi di Maio (2016); Treu (2015); Xxxxxxxxx (2013); Speziale (2010).
68 La norma cui ci si riferisce qui è l’articolo 7, comma 2, lettera a), del decreto legislativo n.76 del 28 giugno 2013, il cui testo integrale è riportato nell’appendice.
69 Per un approfondimento su questo aspetto, si possono vedere i contributi di Xxxxxxx (2015); Xxxxx (2015); Xx Xxxxxx (2015); Sitzia (2015); Xxxxx Xxxxxx e Xxxxx (2014); Xxxxxx (2014).
In una rete, gli accordi di condivisione dei lavoratori sarebbero facilmente impugnabili per la naturale presenza degli elementi indiziari - presenza di un’unica struttura organizzativa e produttiva; forme comuni di coordinamento amministrative; integrazione fra le attività economiche; condivisione di un medesimo interesse produttivo -70. Per evitare questa situazione, disincentivante del contratto di rete stesso, il legislatore tutela allora le imprese retiste da contestazioni - in merito alla effettiva riconducibilità del rapporto di lavoro in capo a soggetti diversi dall’originario titolare del contratto - ed evita che le responsabilità - conseguenti al rapporto di lavoro - siano condivise ed estese ai datori sostanziali.
La tutela, accordata dal legislatore alle imprese come strumento di flessibilità, però, non intacca i diritti assicurati dalla legge o dai contratti collettivi ai dipendenti. Da un lato, infatti, il lavoratore retista potrà presentare una vertenza rispetto alla responsabilità solidale o alla sommatoria dei dipendenti, dimostrando anomalie o ineffettività o uso improprio del contratto di rete. Dall’altro lato, l’interprete sarà chiamato a valorizzare gli elementi di tutela del contraente debole presenti nella norma71.
Sapere che le esigenze di protezione dei dipendenti retisti sono assicurate rassicura sull’ipotesi di utilizzare contratto di rete per realizzare programmi di welfare: procedendo in questa direzione, infatti la qualità di vita dei dipendenti migliora globalmente e non si configua un trade off tra servizi aggiuntivi e tutele legali.
3.1.4 – Il contratto di rete e le PMI
L’evidenza empirica rileva l’importante deficit competitivo che le PMI italiane
mostrano nell’affrontare il mercato globale72. Questa difficoltà, aggravata dalla crisi
70 Sulla giurisprudenza su questo aspetto, si possono vedere i contributi di Xxxxxxxxx (2012) e Xxxxxx (2012).
71 Su questo aspetto si può vedere il contributo di Xxxx (2012).
72 I dati del Rapporto Unioncamere (2015) mostrano che la quota di mercato nell’export mondiale (identificato come il principale parametro di riferimento per misurare la competitività di un Paese) in Italia è progressivamente diminuita dal 2007 e fino al 2013.
congiunturale del 2008, è imputabile alla struttura peculiare del sistema produttivo, costituito da aziende di limitata dimensione - fenomeno noto come nanismo imprenditoriale - con posizionamento marginale nei settori science based.
In una situazione di questo tipo, come si è detto, il contratto di rete, come già nell’intento del legislatore, può promuovere l’aggregazione delle imprese per sostenerne la competitività, supplendo alla mancanza di competenze manageriali; alla difficoltà di accesso alle risorse finanziarie; alla rigidità del mercato del lavoro; alla resistenza a percorsi di fusione. Questa tesi di sviluppo - ritenuta più rispettosa della storia industriale italiana; più realistica dell’intento di tentare di colmare il gap dimensionale e tecnologico; più responsabile delle forme di internazionalizzazione passiva e di spostamento verso l’estero dei centri decisionali - individua tre caratteristiche - proiezione globale della rete; gestione proattiva dei processi di moltiplicazione della conoscenza; leadership autorevole della rete - fondamentali per il successo dell’iniziativa aggregativa verso la realizzazione di una rete evoluta73. Aggregando si in un contratto di rete e costruendo relazioni di fiducia e di condivisione moltiplicativa delle conoscenze con partner anche al di fuori del singolo ambito territoriale o distretto locale, le singole PMI possono estendersi e inglobare materie prime, semilavorati, sistemi di produzione, impianti, soluzioni informatiche; servizi di consulenza necessari alle nuove sfide competitive ma singolarmente difficili da raggiungere74.
Perché si realizzi questo sviluppo virtuoso, all’interno delle singole reti di PMI, risulta opportuna la presenza di un certo grado di capitale sociale di reciprocità, attivato dal ruolo proattivo delle politiche regionali e degli attori rappresentativi degli interessi imprenditoriali75. E’ anche importante la presenza di un figura preposta alla guida dell’aggregazione, alla conservazione di un equilibrio interno e alle pressioni determinate dalla complessità che l’evoluzione comporta. Il legislatore, come si è
73 Per approfondire questo concetto, si può vedere il contributo di Xxxxxxxx e Fortuna (2016).
74 Su questi aspetti, si possono consultare i contributi di Xxxxxxxx et al. (2013); Rullani (2010); Penco (2010); Xxxxxxxxx e Xxxxxxx (2009); Xxxxxxxxx (2003).
75 Al tema del capitale sociale, come elemento di attivazione e di evoluzione del contratto di rete, è specificatamente dedicato il contributo di Xxxxxxxx e Xxxxxxx (2016).
detto, ha previsto la nomina di un organo comune - monocratico o collegiale - incaricato di gestire in nome e per conto dei partecipanti alla rete l’esecuzione del contratto o di singole parti o fasi dello stesso. Il manager di rete76 pure può concorrere a promuovere il confronto tra i diversi imprenditori coinvolti e la funzione di interconnessione può essere svolta anche da un’impresa particolarmente qualificata sul piano strategico e manageriale, che sia stata in grado di svilupparsi in senso quantitativo-dimensionale e qualitativo-intangibile e che diventi così interfaccia delle aziende retiste77.
3.2 – Le Reti di Impresa
Inquadrate le motivazioni e gli utilizzi per cui i contratto di rete è stato introdotto, per avere una visione più completa del fenomeno può essere interessante comprendere anche in che misura e con quali modalità abbia poi preso piede78.
I dati Infocamere mostrano che i primi contratti sono stati stipulati nel 2010 e nel 2012 si è avviata una forte diffusione, tuttora in fase espansiva. Nel grafico 3.1, sono riportati il numero cumulato dei contratti per il periodo 2010-2015, da cui si desume il trend positivo e i margini di crescita.
76 Specificatamente centrato sulla figura del manager di rete è il contributo di Xxxxxxxxxx et al. (2016), in cui sono analizzate le competenze comunicative e le capacità di coaching necessarie a svolgere questo ruolo e la possibilità che queste siano oggetto di certificazione professionale, tutti aspetti che danno la misura di quanto sia impegnativo e cruciale un lavoro specificatamente svolto per la sopravvivenza della rete.
77 In letteratura aziende leader del tipo in esame sono state ampiamente analizzate, si può vedere l’hub di Xxxxxxx (1988); la central firm di Lorenzoni e Baden-Xxxxxx (1995); la focal firm di Xxxxxxxx e Lorenzoni (1999); l’anchor firm di Agrawal e Xxxxxxx (2003).
78 Per approfondimenti sugli studi quantitativi, è possibile consultare i contributi di Xxxxxxxx e Xxxxxxx (2016); Intesa San Paolo - Medio credito (2015); Asso e Xxxxxxxx (2014); Cafaggi e Iamiceli (2013).
Grafico 3.1 - Numero cumulato dei contratti negli anni 2010 - 2015
Fonte: Infocamere (2016)
A completamento dell’analisi quantitativa, di seguito si fornisce un approfondimento sulle evidenze empiriche relative agli scopi e alla distribuzione settoriale e geografica.
3.2.1 – Gli obiettivi e le motivazioni delle reti
Un modo per comprendere su quali logiche si fondino le decisioni di aggregazione è prendere in considerazione l’analisi del testo relativo agli obiettivi dichiarati nei contratti79.
Gli scopi enunciati sono spesso tanto generici o multipli da consentire solo di parlare di logica commerciale e logica innovativa, spesso neppure mutualmente esclusive ma piuttosto reciprocamente sostenute e comunque mutevoli nel tempo.
Quando la logica è di tipo commerciale, l’obiettivo delle imprese è accedere a mercati nuovi o internazionali oppure partecipare a bandi pubblici, dunque è in linea con l’intento del legislatore di rendere competitive quelle realtà imprenditoriali le cui dimensioni contenute sono un vincolo strutturale. Quando la logica è invece innovativa, le imprese in rete o aggregano risorse per sostenere i costi di
79 Su questo aspetto, si può vedere il contributo di Cafaggi (2013).
investimento e accedere a servizi qualificati, realizzando anche qui l’intento del
legislatore, di cui si è detto nel paragrado precedente.
Nella Tabella 3.1 sono mostrate le ricorrenze degli obiettivi dichiarati dalle imprese
in rete, per dare un’idea della distribuzione degli scopi.
Tabella 3.1 – Termini più ricorrenti tra gli obiettivi dichiarati nei contratti di rete
OBIETTIVI | RICORRENZA | |
Internazionalizzazione | 470 | |
Innovazione | 267 | |
Sviluppo | 250 | |
Commercializzazione | 239 | |
Progettazione | 192 | |
Ricerca | 123 | |
Produzione | 112 | |
Fonte: Infocamere (2016) |
Un aspetto da porre in evidenza qui, utile per l’analisi che si realizzerà nel prosieguo, è che nella rete si può vedere uno strumento di promozione del territorio, dal momento che, da un lato, spesso il numero di imprese coinvolte è alto (secondo i dati Infocamere il 55% delle imprese aggrega oltre quattro soggetti) e, dall’altro lato, i contatti aprono canali di scambio e di comunicazione verso la realizzazione di comunità di apprendimento80, superando così la tradizionale chiusura propria dei piccoli imprenditori italiani.
80 Su questo punto si possono vedere i contributi di Xxxxxxxxxxx (2000); Xxxxxx et al. (2003); Castilla
et al. (2000).
3.2.2 – Le tipologie di imprese partecipanti
Per realizzare una sorta di identikit delle imprese partecipanti si forniranno qui dati relativi alle dimensioni delle retiste, alla loro forma giuridica, ai settori di appartenenza e alla propensione all’internazionalizzazione.
I dati mostrano che aderiscono alle reti prioritariamente le piccole e microimprese: per il 54% dei casi il fatturato è inferiore a due milioni di euro81 e il 58,4% impiega meno di dieci xxxxxxx00. Relativamente alla forma giuridica, prevalgono tra le retiste le società a responsabilità limitata, come mostrato nella Tabella 3.2. Le imprese che entrano in rete sono anche più orientate ai mercati esteri, infatti il 52,7% esporta e tra le imprese che stipulano contratti con finalità di internazionalizzazione, il 41,1% aveva prima dell’aggregazione, l’Italia come unico mercato di sbocco83. Per queste evidenze, si può concludere che risulta centrato l’obiettivo del legislatore, anche per quanto riguarda il profilo delle imprese partecipanti.
Tabella 3.2 – Distribuzione delle imprese retiste per natura giuridica
Srl | 52,5% |
Ditte individuali | 15,5% |
Società di persone | 13,4% |
Società coopertive | 9,3% |
Società di capitali per azioni | 7,3% |
Consorzi | 2,4% |
Fonte : Infocamere (2016) |
I settori economici coinvolti interessano prioritariamente l’industria, come mostrato
dalla Tabella 3.3 che dettaglia la distribuzione secondo la codificazione Ateco.
81 Fonte: Intesa San Paolo - Mediocredito (2014).
82 Fonte: Unioncamere (2015).
83 Fonte: Retimpresa (2016).
Tabella 3.3 – Distribuzione delle retiste per ramo di attività
Industria | 28,6% |
Costruzioni | 11,5% |
Commercio | 16,1% |
Servizi avanzati | 18,6% |
Agricoltura | 9,6% |
Servizi operativi | 8,5% |
Sanità ed assistenza | 5,6% |
Fonte: Infocamere (2016) |
L’analisi mostra anche che prevalgono le aggregazioni miste rispetto a quelle esclusive, che sono meno del 40%, e che vi sono delle combinazioni settoriali più ricorrenti (Industria-Servizi avanzati; Agricoltura-Commercio; Sanità e assistenza- Servivi avanzati) secondo una logica di aggregazione di filiera (produzione- distribuzione) o di integrazione di diversi segmenti del ciclo produttivo o di aggregazioni volte ad una maggior qualificazione di prodotti e processi. Queste precisazioni forniscono anche un ulteriore chiarimento rispetto agli scopi associativi di cui si è detto sopra.
3.2.3 – La diffusione territoriale dei contratti di rete
Per quanto riguarda il posizionamento geografico, secondo i dati Infocamere i contratti di rete risultano maggiormente concentrati nel Nord Italia, nelle aree più dinamiche e economicamente sviluppate, come mostra la Tabella 3.4.
Tabella 3.4 – Regioni con il maggior numero di imprese retiste
Lombardia | 2.114 | Friuli | 391 |
Emilia | 1.266 | Sardegna | 356 |
Toscana | 1.026 | Calabria | 295 |
Lazio | 922 | Umbria | 239 |
Veneto | 857 | Liguria | 206 |
Abruzzo | 636 | Sicilia | 201 |
Puglia | 503 | Basilicata | 141 |
Campagna | 466 | Trentino | 116 |
Piemonte | 436 | Molise | 35 |
Marche | 397 | Valle d’Aosta | 14 |
Fonte: Infocamere (2016)
Oltre alla consistenza numerica, per valutare la penetrazione nel tessuto produttivo, si può considerare l’incidenza delle retiste sul totale delle imprese iscritte nei registri delle Camere di Commercio, illustrata nel grafico 3.2.
Grafico 3.2 – Imprese partecipanti a contratti di rete ogni mille imprese attive nelle Regioni
Fonte: Infocamere (2016)
Questi risultati vanno valutati tenendo però conto che non tutte le imprese formalmente presenti nei registri della Camere di Commercio sono poi attive e che alcune reti, il cui costo di avvio è pressoché nullo, possono essere state realizzate a scopi opportunistici, per accedere a forme d sgravi fiscali o incentivi pubblici84.
3.3 – Sperimentazioni di reti per il welfare aziendale
Visto l’inquadramento qualitativo e quantitativo dello strumento in esame, nella prossima parte della tesi si analizzerà il contenuto, il contesto e le conseguenze della prima sperimentazione di contratto di rete per il welfare aziendale, strumento di ampliamento della copertura sociale di cui si è detto nel secondo capitolo. Qui, si inizia a riportare una rassegna dei casi realizzati fin ora in Italia, per fornire un quadro d’insieme dei progetti operativi attuati. Si tratta, come si vedrà, di iniziative che danno modo di apprezzare anche il peso che gli interventi di secondo welfare
84 Sul contesto asimmetrico che si realizza in casi di bassi costi e alti premi, si possono vedere i contributi di Xxxxxxx e Xxxxxxx (2008); Xxxxxxxx (2004); Xxxxxxx (2001); Cerosimo (2000).
vanno via via assumendo nel territorio nazionale e la loro distribuzione geografica. Il valore di una mappatura di questo tipo consente anche una riflessione sulla necessità di includere aree e regioni che si mantengono ai margini di un processo di sviluppo volto ad una maggiore e migliore integrazione della spesa di protezione sociale, che quindi dovrebbe essere generalmente diffuso.
Considerando le esperienza ad oggi xxxxxxx00, le aree in cui in Italia si sono sviluppate esperienze nel senso preso in analisi risultano, infatti, essere ascrivibili alla Regione Xxxxxx Xxxxxxx e al territorio corrispondente alle Regioni Trentino Alto Adige, Veneto e Lombardia.
L’Emilia Romagna86 è l’area con una maggiore numerosità di reti per i welfare, includendo i progetti Welfa-RE, Giano di Correggio, Imprese per il welfare di Parma, Associazione delle Imprese modenesi per la RSI, Cooperativa Vivere e Welfare mutualistico di Confcooperative Bologna-.
Welfa-RE è un progetto di sostegno dei dipendenti di più aziende esemplare per due aspetti. Da un lato, è molto corposo, dal momento che ne sono interessati 52.000 dipendenti e 1.200 imprese, dall’altro lato è stato attivato autonomamente dalla stessa associazione datoriale, Unindustria Reggio Xxxxxx. L’avvio si è avuto nel gennaio 2014, con convenzioni moneysaving di sostegno al reddito e misure family friendly di cura dei figli e degli anziani, che sono erogate in modo personalizzato, in base alle caratteristiche dimensionali e finanziarie dei singoli retisti. Unindustria supplisce alle limitate capacità progettuali, organizzative e gestionali delle imprese associate e realizza interventi superiori alle possibilità dei singoli soggetti. Questo caso consente di avere un’idea della azione svolta dai provider, di cui si è detto nel secondo capitolo. Qui, in ottica di valorizzazione delle specializzazioni, per ogni area di intervento è stato selezionato un operatore dedicato. A tutela della gestione del reddito, è stata coinvolta un’azienda (Welfare Company), che ha anche creato come prodotto dedicato alla rete Welfa-RE una carta sconti (My Card) utilizzabile presso
85 Su questo aspetto si possono vedere i contributi di Santoni (2017); Iasi (2015); Xxxxx (2014); Bandera (2014); Mallone (2013) e (2012); Maglia (2013).
86 All’analisi delle esperienze di reti per il welfare aziendale avviate in questa area è dedicato il
contributo di Xxxxxxxxx e Santoni (2017).
una rete di esercizi commerciali di beni necessari nei Comuni della Provincia di Reggio Emilia. A facilitazione della gestione dei figli, è stata inclusa nell’iniziativa una cooperativa sociale (Coopselios) inserita in un Consorzio (Quarantacinque) cui fanno riferimento realtà attive in campo sanitario, assistenziale, educativo e dell’inserimento lavorativo. A supporto della cura di anziani non autosufficienti, è stata inserita nella rete una società (Italiassistenza) che offre un servizio di assistenza domiciliare gestito con un call center. L’analisi di Welfa-RE consente di iniziare a vedere come siano importanti preesistenti rapporti e relazioni per avviare una rete - il capitale sociale di cui si è detto sopra - e come una rete da strumento per il welfare aziendale possa divenire anche strumento per il welfare territoriale, tramite la promozione del ricorso a fornitori a km0 e del rilancio della produttività e dell’occupazione locale. Temi quali il welfare di comunità, la sussidiarietà circolare e il welfare di comunità saranno approfonditi nei prossimi capitoli.
Ugualmente avviato da Unindustria Reggio Xxxxxx, è il progetto Giano, che interessa l’area di Correggio. Si tratta di una rete avviata, nel marzo 2016, da otto imprese di differenti dimensioni (il range delle risorse umane è compreso tra 15 e 600), per offrire soluzioni di welfare ad un totale di 1.500 collaboratori. Qui, il collante risulta essere una logica distrettuale (aspetto che si approfondirà nei prossimi capitoli). Correggio è infatti una area industriale ricca e dinamica nei settori plastica, gomma, auto e biomedico e territorialmente ristretta, aspetto questo che promuove azioni di sistema, sostenute dalla vicinanza geografica, che costituiscono occasioni di sviluppo di competenze locali e nuove opportunità occupazionali. Le convenzioni in servizi di welfare di fatto avviate si avvantaggiano dell’esperienza consolidata nel progetto Welfa-RE e interessano prioritariamente la conciliazione vita lavoro, con percorsi di accompagnamento per la cura dei figli e il sostegno di disabili e anziani. Più che il dettaglio del contenuto, di questo progetto è interessante dar conto della gestione interna e operativa, che è affidata ad un comitato di pilotaggio coordinato da referenti di Confindustria e composto dai titolari o dai responsabili del personale delle imprese coinvolte. Da questo elemento caratterizzante, si può iniziare a comprendere come
sia centrale la consapevolezza e la comprensione delle specificità territoriali per la riuscita di una rete.
L’Associazione delle imprese modenesi per la RSI è stata avviata nel 2014 ed originata da un esperimento quinquennale (realizzato tra il 2009 e il 2013) di incentivazione della Corporate Social Responsability attuato dal Club Imprese modenesi per la RSI, un network di 35 imprese che con seminari pubblici itineranti e formazione interne volti nel 2015 al tema dello spreco, nel 2016 alla tematica dello sviluppo umano nelle imprese e, infine, nel 2017 al tema del welfare aziendale e la partnership tra imprese e territorio. Da notare, perché utile per lo sviluppo del ragionamento condotto nei prossimi capitoli, che in questo caso non vi è una rete formalizzata, ma sono realizzati, di fatto, scambi di conoscenze e di buone prassi e percorsi di co-progettazione che sono confluiti nella realizzazione di un portale per servizi artigianali e alimentari, a prezzi agevolati e a disposizione di tutti i dipendenti delle aziende coinvolte.
La rete Imprese per il welfare di Parma87 è invece un progetto di recentissima costituzione e i dettagli ad oggi disponibili riguardano gli accordi, presi tra le parti, per individuare le misure di welfare da realizzare e la ripartizione delle spese da attuare. Gli attivatori della rete sono stati qui le rappresentanze datoriali Unione Parmense degli Industriali e Unione confederale degli industriali che hanno coinvolto imprese diverse per dimensioni e settore, alla luce delle agevolazioni introdotte dalla Legge di Stabilità 2016, di cui si dirà nel prossimo capitolo. E’ caratteristica di questo progetto, a fianco di benefici di welfare familiare, la previsione, nell’accordo siglato tra e parti, di iniziative per introdurre nel territorio innovative forme di gestione delle risorse umane e delle relazioni industriali. Questo aspetto mostra come interventi di welfare aziendale abbiano il potenziale di evolvere in piani di sviluppo locale, una caratteristica che si affronterà compiutamente nei prossimi capitoli.
I casi riportati consentono di iniziare ad identificare degli attivatori, che avviano e facilitano le reti per il welfare aziendale. La presenza di un territorio coeso e centrato
87 Per l’analisi di questo caso aziendale si può vedere il contributo di Xxxxxxxxx e Santoni (2017).
sullo sviluppo comune dei membri e di figure aggreganti, anche sovra aziendali, che orientano gli sforzi individuali verso una crescita comune sembrano dirimenti e verranno analizzati come ipotesi nella parte della tesi dedicata alla ricerca empirica. Sempre riferendosi alle esperienze realizzate in Xxxxxx Xxxxxxx, si nota che il settore cooperativo risulta specificatamente attivato verso i temi del welfare aziendale, a conferma di quanto sostenuto nella letteratura prevalente88. Nelle sperimentazioni di Cooperativa Vivere, una realtà fondata per la diffusione della mutualità attraverso la promozione di interventi locali rispondenti alle reali esigenze territoriali emiliane, e di Confcooperative Bologna, un progetto per erogare prestazioni di welfare aziendali ai 15.500 soci e lavoratori di 200 cooperative della provincia di Bologna, infatti risulta che fattori attivatori e facilitanti il successo delle iniziative sono stati la presenza di una forte cultura mutualistica ed associativa e la volontà di realizzare una soluzione agli effetti negativi della crisi economica (di cui si è detto nel primo capitolo) nell’impossibilità di incrementi retributivi, posta la centralità del lavoratore e dei legami familiari per realizzare un sistema produttivo stabile.
Ricavate delle prime ipotesi circa gli ingredienti necessari per dare l’avvio ad un contratto di rete per il welfare e far sì che la rete risulti operativa e si accresca nel tempo, si ottengono alcuni elementi anche dall’analisi delle iniziative avviate nell’area nazionale occupata dalle Regioni Trentino Alto Adige, Veneto e Lombardia.
In Trentino sono state avviate due iniziative: #welfaretrentino e #Welfare Alto Adige/Sudtirol. La prima è una esperienza di rete d’impresa, attivata ad inizio 2017 da una associazione datoriale (Confindustria Trento), per promuovere misure di welfare aziendale e conciliazione vita lavoro. In questo caso le imprese coinvolte sono sette (Arcese Trasporti, Dalmec, Edizioni Centro Studi Xxxxxxxx, Gpi Group,
88 A questo aspetto è dedicato il contributo di Xxxxxxxx (2016), dove le ragioni isolate sono tre e riguardano, primo, i caratteristici clima e cultura attenti alle esigenze dei soci e dipendenti; secondo, la natura autonoma e informale che caratterizza questa attenzione e, terzo e ultimo, il fatto che le cooperative possono contemporaneamente erogare e beneficiare di prestazioni di welfare aziendale.
Lizard, Vetri Speciali, Zobele Group) e i dipendenti 3.000. Il progetto funziona con una piattaforma online gestita da un provider (Xxxxxx Towers Xxxxxx), che permette ai lavoratori di accedere con il budget di spesa assegnato loro dall'azienda per selezionare i benefit che preferiscono e acquistarli. L’attivazione di convenzioni con fornitori locali produce effetti positivi sul territorio e stimola positivamente l’offerta e la domanda di welfare nel territorio. La Rete #Welfare Alto Adige/Südtirol include invece dieci aziende (Aquaeforst; Birra Forst; Ecorott; Intercable; Loacker; Rochling Automotive Italia; Rochling Automotive Filters; Rochling Automotive srl; Thun; Tpa) e 2.700 dipendenti. Anche in questo caso il contratto di rete è stato avviato, nella primavera 2017, da un’associazione di categoria (Assoimprenditori Alto Adige) e si ricorre ad un provider (Xxxxxx Towers Xxxxxx) e ad una piattaforma online. Questo caso permette di mostrare l’effetto domino sul territorio che un primo avvio di interventi di welfare aziendale (#welfaretrentino) può attivare a livello locale distribuito, di cui si dirà meglio nei prossimi capitoli.
Per quanto riguarda la Regione Veneto, invece, è lì presente un caso esemplificativo della possibilità di attivare reti per il welfare di natura multistakeholder, tra imprese, enti pubblici e terzo settore. Questa risulta essere una ulteriore caratteristica facilitante la tenuta dei piani sovra-aziendali, come si argomenterà nel prosieguo della tesi. WelfareNet89 è nata su iniziativa dell’Ente Bilaterale Veneto FVG, con l'obiettivo di essere il punto di riferimento per tutte quelle esperienze di welfare innovativo che sono nate o stanno nascendo nelle province di Padova e Rovigo. Le macro-aree di interventi sono quattro e riguardano servizi gratuiti offerti da enti bilaterali o enti pubblici; servizi convenzionati erogati dai soggetti della rete; azioni di riorganizzazione aziendale o modifica orari di lavoro; servizi costruiti ad hoc dall’impresa sulle esigenze dei lavoratori. Qui è forte l’ottica innovativa e sperimentale, per valorizzare esperienze territoriali già avviate e crearne di nuove, e l’attenzione a creare, per favorire lo scambio di informazioni e knowhow ed allargare gli ambiti di relazione eterogenei, dei nodi di rete (l’Ente Bilaterale della Provincia di
89 Per un approfondimento su questo caso si può vedere il contributo di Xxxxxxx (2014).
Padova e l’Ente Bilaterale di Rovigo, la Fondazione Adapt, Innova Srl Confesercenti di Padova e di Rovigo, Confcommercio di Padova e Rovigo, Confcooperative, le federazioni regionali e provinciali di Padova e Rovigo di Filcams-Cgil, Fisascat-Cisl e Uiltucs-Uil, AgForm, AGSG, la Fondazione Xxxxxxxx Xxxxxxxx, la Camera di Commercio di Padova, Job Select, il Forum del Terzo Settore, l’ULSS 15, ETRA, l’Associazione Genitorialità e alcuni Comuni del territorio). In questo caso è anche interessante vedere il processo che ha consentito di creare una rete: prima sono state avviate indagini per mappare i bisogni dei dipendenti (per categorie, mansioni, età, genere, struttura familiare e sociale) e del territorio e i servizi già attivi; poi è stata creata una piattaforma per aiutare le aziende a definire, strutturare e guidare i progetti di welfare aziendale, tramite confronti e focus group. Inoltre è peculiare l’idea di avviare start up dedicate al welfare, ovvero nuove imprese o nuovi rami di imprese, per fornire servizi non presenti nel territorio.
Rispetto, infine, alla Regione Lombardia, si possono citare alcuni abbrivi di reti per il welfare, anche risalenti rispetto alle esperienze citate prima. In Provincia di Pavia è stata promossa, nell’aprile 2011, la Rete Bionetwork, da alcune PMI locali del settore agricolo, e, nel 2013, Garibaldi Concilla, da un gruppo di esercenti del settore commercio, mentre, a Mantova, nel 2015, è stata avviata la Rete XxXxxxx tra tre enti pubblici e otto aziende di grandi dimensioni. Questi casi sono però residuali rispetto alla Rete Giunca avviata a Varese, che risulta una eccellenza per l’evoluzione in ottica differenziata realizzata nel tempo e tuttora in atto e che, per le sue caratteristiche paradigmatiche sarà approfondito nella parte dedicata alla ricerca empirica, nel tentativo di confermare quelle variabili di successo di cui si è rinvenuta una prima traccia dalla analisi delle reti per il welfare avviate in Italia.
3.4 – Conclusioni
In questo capitolo, conclusivo della prima parte teorica, si è analizzato il contratto di rete, un recente strumento di promozione della produttività aziendale e del rilancio economico e sociale italiano, introdotto dal legislatore nel 2009. Si è dato conto del
contenuto della disciplina legislativa; dell’utilizzo realizzato, fin qui, in termini quantitativi e qualitativi; della opportunità delle PMI di ricorrervi per realizzare progetti altrimenti resi impossibili dai vincoli dimensionali. Visti nel secondo capitolo i vantaggi di percorsi di integrazione della spesa sociali, si è poi esplorato come una rete possa concretizzare, con successo, piani di welfare aziendale e se ne sono presentate le sperimentazioni realizzate in Italia. Questo studio è utile per identificare buone pratiche su cui gli attori sociali possono riflettere e realizzare percorsi imitativi in altri contesti meno innovativi, l’esposizione dei casi ha infatti dimostrato come, a livello regionale, la presenza di progetti in rete di welfare aziendale rispecchi la distribuzione dei contratti di rete, che, come documentato con i dati Infocamere (2016) sono maggiormente concentrati nel Nord Italia.
Dalla ricostruzione delle esperienze aggregative più virtuose a livello nazionale, è stato possibile iniziare ad isolare alcune ipotesi su quali siano gli ingredienti attivatori di processi virtuosi di contratti di rete per il welfare aziendale. Le peculiarità del tessuto produttivo, la presenza di dinamiche culturali e sociali di favore e l’esistenza di amministrazioni locali sensibili e proattive alle tematiche di welfare sembrano infatti contrastare, soprattutto nelle PMI, la difficoltà a superare logiche aziendali individualistiche e improntate sulla visione della forza lavoro come uno strumento produttivo. L’intervento di associazioni datoriali e il ricorso a provider sembra invece fornire sistematicità e appropriatezza ai pacchetti di intervento, facendo sì che siano strutturati secondo gli effettivi bisogni dei dipendenti e trascendano i limiti organizzativi e finanziari di imprese di piccole dimensioni. Come si è detto, tra i casi italiani, l’esperienza più significativa per innovazione ed evoluzione è la Rete GIUNCA, avviata in Provincia di Varese, una area che presenta specificità economico-produttive e socio-culturali a livello distrettuale e regionale. Nel prossimo capitolo, si procederà ad analizzare questo contesto di riferimento per identificarvi l’effettiva presenza di elementi idonei a sostenere l’avvio e la strutturazione di reti per il welfare prima aziendale e poi territoriale, nel tentativo di generalizzare l’esperienza oggetto di studio in un modello e valutarne della eventuale replicabilità in altri contesti.
CAPITOLO 4 – La Provincia di Varee in prospettiva: caratteristiche territoriali e fattori agevolanti le reti
Nei precedenti capitoli si è visto come, in un contesto di crisi economica, di aumento dei bisogni di protezione sociale e di compressione della spesa sociale, i progetti multistakeholder, con avvio bottom up, possono costituire una soluzione per realizzare interventi che migliorino la qualità della vita dei cittadini e, se volti al welfare aziendale, pongano le aziende in una migliore situazione dal punto di vista produttivo, grazie ad un accresciuto livello del clima tra i dipendenti. Considerando la distribuzione geografica sia dei programmi di people care e sia dell’utilizzo dei contratti di rete - illustrata nel secondo e terzo capitolo - si può ipotizzare che l’ambiente in cui queste iniziative vengono incubate costituisca un attivatore e può essere interessante un’analisi per isolarne le caratteristiche, eventualmente utili da promuovere in altri contesti per replicare le best practices avviate.
In questa tesi, il focus è posto sull’utilizzo del contratto di rete per programmi di welfare aziendale e la parte empirica è dedicata all’analisi di Giunca - Gruppo Imprese Unite Nel Collaborare Attivamente, il primo progetto nazionale per realizzare programmi di welfare aziendale all’interno di un contratto di rete. Questa congregazione, come si vedrà nel prosieguo, ha progressivamente esteso la propria mission e si è diversificata in modo conglomerale lungo due direttrici. Da un lato, ha avviato e consolidato relazioni con attori di diversa estrazione - Pubbliche amministrazioni e Associazioni del Terzo Settore - e, dall’altro lato, ha allargato la propria vision all’esterno delle strutture propriamente aziendali, rivolgendosi alla forza lavoro - potenziale o inattiva - locale, in ottica di welfare non solo aziendale, ma territoriale. In ottica di analisi SWOT, si studieranno nei prossimi capitoli le caratteristiche interne - i punti di forza - del progetto e dei protagonisti, e qui ci si concentrerà invece sull’ambiente di riferimento e le opportunità che il territorio offre e che hanno spinto verso un esito positivo ed evolutivo della sperimentazione. In questa direzione, innanzitutto si vedrà di comprendere quali livelli abbia raggiunto la
presenza di contratti di reti, estendendo il campo di osservazione a livello regionale, d’area e provinciale, e si introdurranno delle ipotesi circa l’esistenza di attivatori possibili, che saranno poi verificate a livello empirico, per verificare quanto siano plausibili.
4.1 – Le caratteristiche produttive e politiche per le reti per ambito regionale
Al livello regionale, In Lombardia, si registra un consistente sviluppo dei contratti di rete rispetto al resto d’Italia, sia in termini di volume che in termini di imprese coinvolte. Secondo i dati Unioncamere, infatti, alla fine del 2015, i contratti di rete in Lombardia erano pari a 628, ovvero più di un quarto dei 2.273 quelli presenti a livello nazionale; le imprese retiste erano pari a 2.091 sulle 11.177 italiane e la propensione all’aggregazione, pari 2,6 imprese partecipanti ogni 1.000 attive, era superiore alla media nazionale, pari a 2,2.
Per quanto si argomenterà poi, facendo anche riferimento alle aree provinciali e distrettuali lombarde, è utile riportare, nella Tabella 4.1, la percentuale di imprese retiste ogni mille attive in quelle province lombarde, più significative a livello produttivo in Lombardia, che si collocano anche nei primi dieci posti della graduatoria nazionale relativa alla presenza di reti.
Tabella 4.1 – Presenza dei contratti di rete a livello provinciale
PERCENTUALE DI RETISTE OGNI MILLE IMPRESE ATTIVE
Lecco | 4,3% |
Brescia | 3,3% |
Bergamo | 3,0% |
Milano | 2,5% |
Fonte: Unioncamere
Visto il numero di contratti in essere, si può ipotizzare che questo risultato possa dipendere da elementi informali pre-esistenti e formali indotti. Perché si sviluppi una rete è infatti, anzitutto, necessario che si trovino in contatto un numero sufficiente di imprese, e dunque che il tessuto produttivo sia di un certo tipo, inoltre, occorre che un livello sovraordinato a quello aziendale incentivi la comprensione dei vantaggi di relazioni collaborative tra imprese e realizzi iniziative premiali vantaggiose, che aiutino a superare la tradizionale miopia imprenditoriale verso la condivisione di progetti, conoscenze e know how.
Per quanto riguarda il primo aspetto, i dati Unioncamere90 riportano come caratterizzante la Regione Lombardia una spinta diversificazione settoriale, produttiva e lavorativa. Le imprese ivi registrate al termine del 2015 sono 813.913 e vi si osserva un trend positivo crescente rispetto alla stabilità e alle perdite degli anni precedenti e ai valori nazionali. Questa situazione spiega la ricchezza - misurata in termini di PIL - che nei dati relativi alle variazioni del prodotto interno lordo registrati dall’Istat rispetto alla contabilità regionale e provinciale nel 2015 è attestata dal fatto che tra le Regioni del Nord, Lombardia ed Xxxxxx Xxxxxxx presentano un incremento dello 0,9%, superiore alla media nazionale. Un altro indicatore - la tendenza del mercato del lavoro -, nei dati Istat, mostra le performance superiori registrate in Lombardia rispetto al dato nazionale, in termini di qualità del lavoro. Il reddito da lavoro per occupato dipendente ammonta infatti nel 2015 a 39,1mila euro nel Nord-ovest, 37,1mila nel Nord-est e 35,3mila nel Centro. Nel Mezzogiorno si registra, con 30,6mila euro un livello inferiore del 18,2% rispetto ai 37,4mila delle regioni del Centro-nord. La regione con il valore più è alto la Lombardia (40,3mila euro).
Rispetto ai temi di auto imprenditorialità introdotti nel precedente capitolo, poi ha un senso osservare qui anche il numero di start up, che negli ultimi sei anni hanno raggiunto in Lombardia un numero pari a 12.000 e rappresentano un quarto del totale
90 Unioncamere (2015).
nazionale91. Il tessuto produttivo presenta, dunque, per eterogeneità dei settori produttivi presenti, elevate possibilità che le aziende individuino aree di complementarietà tra i propri core business e avviino processi di realizzazione di progetti collaborativi informali. Questo è l’elemento che policy maker possono utilizzare quale leva su cui inserire politiche orientate a far stipulare contratti di rete che diffondino questo strumento, che, come si è detto, ha effetti positivi sull’incremento della produttività delle aziende stesse.
Dall’avvio della crisi economica e dall’introduzione del contratto di rete, Regione Lombardia pare aver compreso questo aspetto e si è, in effetti, fattivamente attivata per incentivare l’aggregazione delle imprese e realizzare concretamente l’auspicio previsto dal legislatore in termini di maggiore produttività e internazionalizzazione, di cui si è detto nel terzo capitolo.
Una rassegna92 delle iniziative attuate fin qui vede un avvio con la Linea di intervento 1.1.2.1 a sostegno della crescita della capacità competitiva delle imprese lombarde prevista tra le misure realizzate nell’ambito dell’Asse 1 dei Programmi operativi regionali - Fondo europeo di sviluppo regionale (Por-Fesr) 2007-13, Obiettivo competitività. Questo bando, con un finanziamento di sei milioni di euro, ha promosso e sostenuto la stipula di contratti di rete per creare aggregazioni stabili tra micro, piccole e medie imprese, volte a realizzare progetti per l’innovazione di prodotti, servizi, processi e organizzazione.
Nel 2008, poi, il Programma DRIADE, Distretti regionali per l’innovazione, l’attrattività e il dinamismo dell’economia locale, con un cofinanziamento di 14 milioni e 700 mila euro di Regione Lombardia e il Ministero dello Sviluppo economico, è stato finalizzato a supportare le imprese - già aggregate - verso percorsi di sviluppo industriale con investimenti diretti all’estero. Il piano prevedeva due azioni DAFNE, Distretti, aggregazioni e filiere nuove e/o emergenti e ARTEMIDE, Artigianato e microimprese per diffondere le eccellenze. La prima è stata finalizzata
91 Per un approfondimento su questo punto si può vedere l’analisi di Andreis (2016), condotta sui dati
registrati da Assolombarda e Politecnico di Milano.
92 Per un approfondimento su questo punto si può vedere il contributo di Xxxxxxxx e Xxxxxxxx (2016).
a far emergere filiere o cluster non ancora formalizzati supportandone l’aggregazione, mentre la seconda è stata rivolta a far strutturare i reti di artigiani e microimprese secondo modalità di gestione congiunta di servizi comuni.
Infine con il Bando ERGON, Eccellenze regionali a supporto della governance e dell’organizzazione dei network di imprese - cui è stato possibile candidarsi entro il febbraio 2012 - cofinanziato da Regione Lombardia, dal Ministero dello Sviluppo economico e dal Sistema delle Camere di commercio lombarde, lungo due assi: azioni a sostegno della aggregazione di imprese, da un lato, e, dall’altro lato, incentivazione delle associazioni di rappresentanza e delle istituzioni locali a creare un legame tra il livello regionale e le PMI locali .
Si noti che, nella progressione così avviata da Regione Lombardia, si vede, per un verso, un interesse progressivo e un concreto intervento a livello ministeriale verso la realizzazione di reti e, per un altro verso, una avviata inclusione dei corpi intermedi per i progetti di sostegno delle aggregazioni di imprese. Quest’ultimo elemento, possibile variabile positivamente correlata con la realizzazioni di reti, verrà preso in considerazione nei prossimi capitoli.
Qui, rispetto ai dati raccolti, si può intanto confermare una relazione positiva tra il numero di contratti di rete attivati a livello regionale con la diversificazione e le numerose iniziative per promuovere iniziative aggregative tra aziende. Questo induce a ritenere che i due aspetti isolati siano due attivatori territoriali che predispongono le condizioni per consentire la realizzazione e la crescita di esperienze multistakeholder.
4.2 – Le dinamiche distrettuali a livello di macro-area
Come si è visto, il progetto Giunca si colloca in una Regione che per elementi preesistenti e intenzionalmente introdotti riesce a presentare un elevato numero di contratti di rete. Ora, focalizzando maggiormente il campo di osservazione, si può
isolare in Lombardia la presenza di un’area, detta insubrica93, in cui si notano delle dinamiche distrettuali94 e dunque delle forme informali di collaborazione tra imprese. Per quanto si dirà nel prosieguo, è utile prendere in considerazione le caratteristiche e la struttura di quest’area. Rispetto alle performance economiche generali, in termini relativi, un’analisi95 delle principali dinamiche, centrata su due indicatori esplicativi - l’indice di occupazione e il tasso di industrializzazione - mostra come trainanti - ovvero caratterizzate da valori superiori alla media - le province di Milano, Bergamo, Brescia e molto performanti le province dell’area insubrica. I noti valori economici superiori alla media complessivamente registrati in gran parte delle province nord occidentali sono confermati dagli ultimi dati disponibili - illustrati nella Tabella 4.2 - relativi agli indici di occupazione realizzati complessivamente in Italia, nelle regioni del Nord Ovest e nell’Insubria all’ultimo censimento.
Tabella 4.2 - Numero di occupati in Italia, Nord Ovest e province insubriche
Numero di occupati nelle imprese | |
Italia | 11.304.118 |
Nord Ovest | 4.001.753 |
Varese | 188.666 |
Como | 109.653 |
Lecco | 66.439 |
Fonte: Istat
93 La Regio Insubrica è una euroregione per la cooperazione transfrontaliera italo-svizzera, istituita nel 1995 da Canton Ticino, Como, Varese e Verbano Cusio Ossola (cui poi nel 2007 si sono aggiunte Lecco e Novara). La struttura economica e le trasformazioni avvenutevi sono state analizzate da Stehani e Losa (2011).
94 La letteratura sui distretti industriali ha preso l’avvio dal contributo di Xxxxxxxxx (1979, altri contributi a riguardo sono Xxxxxxxxx (2009); Xxxxxxx e Xxxxxxxx (2008); Brusco (2008); Cresta (2008); Fortis (2008); Xxxxxxxxx (2008) e (2007); Xxxxx (2008); Xxxxxx e Xxxxxx (2007); Xxxx e Xxxxxxxxx (2006); Golfarelli (2005); Xxxxxxx (2003); Provasi (2002); Xxxxxxxx (2002); Signorini (2000); Xxxxxxx e Xx Xxxxx (2000).
95 Benzi et al. (2011) hanno realizzato un confronto delle performance insubriche con le prestazioni delle province nord occidentali e nazionali, riuscendo ad isolare le modificazioni strutturali dell’economia locale.
Per quanto riguarda invece i livelli di specializzazione settoriale, il quoziente di localizzazione96 mostra come radicate nell’economia insubrica l’industria tessile, dell’abbigliamento, del mobile e delle materie plastiche, in modo tanto delineato da consentire di individuare dei sistemi produttivi locali riferibili ad aree geografiche ben definite e presentate qui di seguito. Si tratta di distretti industriali, ovvero agglomerazione di imprese, in generale di piccola e media dimensione, ubicate in un ambito territoriale circoscritto e storicamente determinato, specializzate in una o più fasi di un processo produttivo e integrate mediante una rete complessa di interrelazioni di carattere economico e sociale.
L’Istat, nell’ultima pubblicazione sul tema97, analizzando la specializzazione produttiva dei sistemi locali del lavoro italiani, identifica 141 distretti industriali e registra che rappresentano un quarto del sistema produttivo con il 24.4% unità locali produttive rispetto al totale e il 24.5% degli addetti sul totale. Da una analisi dei dati disponibili per i Censimenti risulta che aumenta l’estensione geografica e la dimensione demografica ed economica, come dimostra il confronto tra i dati del 2001 e de 2011 riportati nella Tabella 4.3. Come localizzazione geografica, 45 distretti industriali sono presenti a Nord-Est, 38 al Centro, 37 a Nord-Ovest , 17 al Sud e 4 nelle Isole. I settori maggiormente rappresentati sono quello meccanico (27%), tessile-abbigliamento (22.7%), beni domestici (17%) e pelli (12.1%).
Tabella 4.3 – Dimensione demografica ed economica dei distretti in Italia
2001 | 2011 | |
Numero medio di comuni inclusi | 13 | 15 |
Numero abitanti | 67.828 | 94.513 |
Numero unità locali | 8.173 | 6.103 |
Numero di addetti | 26.531 | 34.663 |
Fonte: Istat |
96 Il quoziente di localizzazione è dato dal rapporto tra la quota di occupazione che un settore possiede
in un’area e la quota di occupazione che lo stesso settore possiede in un’unità territoriale più ampia.
97 Istat (2015).
Una struttura di tipo distrettuale realizza in modo informale un buon collante tra singole realtà e agevola l’orientamento verso un’azione collettiva non solo di tipo produttivo ma anche sociale. Di seguito si illustrano, le singole aree distrettuali insubriche (Brianza, Busto Arsizio, Como, Lecco e Varese), per tentare di isolare quelle caratteristiche locali che possono essere attivatrici di un percorso di questo tipo.
Il distretto del mobile della Brianza98 include le province di Como con 16 comuni, di Milano e di Milano Brianza con 20 comuni e ha avuto avvio e consolidamento da alcuni avvenimenti storici del XIX secolo - la costruzione di Villa Reale a Monza, l’insediamento a Como delle famiglie milanesi e la ricostruzione del dopoguerra - che hanno concorso allo sviluppo di abilità manuali e manodopera tra i contadini locali in cerca di occasioni di integrazione del reddito. Oltre alla accresciuta domanda e alla vicinanza di un grande mercato potenziale, un ulteriore impulso al progresso e alla diffusione sul territorio di know how tecnico è stato poi dato dalla Scuola d’Arte e dagli Istituti tecnici specializzatisi nella formazione di competenze nel campo artigianale. Nel tempo, la concentrazione di imprese nel distretto e la produzione si fatta così più complessa e articolata, arrivando a includere nuove lavorazioni collaterali e attività commerciali e si sono costituiti dei gruppi di imprese in grado di proporre un’offerta più completa. Questo distretto ha dimostrato una grande capacità di tenuta, resistendo a ben tre situazioni difficili - l’insufficienza del mercato regionale negli anni Settanta; la penetrazione nel mercato degli industriali veneti negli anni Novanta e le chiusure prodotte dalla crisi economico finanziaria del 2007 - grazie ai forti rapporti con i fornitori e tra PMI e grandi imprese che hanno permesso di spostare il vantaggio competitivo su fattori non price e puntare su mercati di alta gamma. A favorire il consolidamento del sistema distrettuale hanno concorso anche gli attori intermedi - centri di servizi e di formazione, associazioni imprenditoriali, sistemi fieristici, promozionali e espositivo-museali -, i progetti delle
98 Analisi dello sviluppo di questa area sistema sono presenti nei contributi di Scarpinato (2011), Bramanti (2007), Butera et al. (2006), Chiarvieso e Xxxxxxxx (2002).
politiche regionali - volti a promuovere una ‘cultura del legno’ tra le famiglie brianzole e una ‘cultura dell’innovazione’ tra le PMI -, i tentativi di coinvolgimento di soggetti extra-territoriali - come la Camera di Commercio di Milano - e le sperimentazioni di utilizzare il know how nella lavorazione del legno nei settori della nautica - progettando linee di arredi per imbarcazioni -. Il percorso distrettuale complessivamente realizzato mostra bene come una messa a sistema in rete degli interventi di massimizzane gli esiti e produrre miglioramenti nel sistema locale.
Il distretto di Busto Arsizio - Gallarate99, collocato nell’area inclusa tra le province di Varese, Milano e Novara e il territorio svizzero, presenta una forte specializzazione nel settore dell’abbigliamento, grazie ad uno storico e consolidato insediamento di imprese tessili, risalente ai primi anni dell’Ottocento e tuttora sopravvissuto. In questa area, nonostante la crisi economica e le progressive contrazioni occupazionali e imprenditoriali a livello nazionale, di cui si è detto nel primo capitolo, i dati dell’Archivio ASIA e di Intesa San Paolo, mostrano elevati livelli nel numero di unità locali operanti e nel valore aggiunto100, a testimonianza delle superiori caratteristiche strutturali e impostazioni strategiche complessivamente qui realizzate. Dal punto di vista imprenditoriale l’articolazione è alta, con la coesistenza di realtà differenti, e l’offerta è diversificata, grazie al continuo sviluppo di competenze che si è nel tempo realizzato lungo la filiera e ha prodotto una risposta autonoma a tutte le singole esigenze funzionali. Caratteristico di questo distretto e interessante da far notare qui, è la fitta rete di interazioni che si è prodotta tra le imprese a monte e a valle e gli attori istituzionali locali. A sostegno della promozione e del sostegno allo sviluppo locale, oltre a rapporti di subfornitura e interazioni con la clientela, si registrano infatti coinvolgimenti tra imprese e associazioni di categoria, pubbliche amministrazioni, centri di formazione e di ricerca, per realizzare una maggiore
99 Per un approfondimento di questo caso, si possono vedere il contributo di Xxxxxxx (2011) e le analisi e le relazioni, compiute nei vari anni, dalla Camera di Commercio di Varese xxxx://xxx.xx.xxxxxx.xx, dalla Provincia di Varese xxxx://xxx.xxxxxxxx.xxxxxxxxx.xx.xx; da Unioncamere xxxx://xxx.xxxxxxxxxxx.xx; dall’Unione Industriali di Varese xxxx://xxx.xxxxx.xx.
100 Su questo aspetto si può vedere il rapporto annuale del servizio studi e ricerche in xxxx://xxxxx.xxxxxxxxxxxxxx.xxx.
penetrazione nei mercati, per diffondere innovazioni e per predisporre servizi comuni. La localizzazione dei soggetti coinvolti in rete è variabile, in alcuni casi le relazioni si avviano e si esauriscono all’interno del sistema, in altri sono coinvolte province e regioni limitrofe e vi sono pure collaborazioni internazionali. Un aspetto proprio del distretto che si registra qui è la cura nel consolidare i rapporti per produrre superiori livelli di fiducia reciproca e visioni etiche comuni, foriere di prodotti di migliori qualità e di costi di realizzazione compressi. Nell’area comasca risulta prevalente l’attività tessile, come si può rilevare dal dettaglio dell’attività manufatturiera dei dati relativi alle sedi e alle risorse umane dell’ultimo Censimento Industria e Servivi Istat (2011), riportato nella Tabella 4.5.
Tabella 4.5 – Sedi e risorse umane nell’attività manifatturiera a Como
N. unità | N. addetti | |||
Totale attività manifatturiere | 6469 | 58815 | ||
alimentare | 362 | 2760 | ||
bevande | 11 | 354 | ||
tessile | 755 | 13208 | ||
abbigliamento | 458 | 2637 | ||
pelle | 29 | 286 | ||
legno | 570 | 3136 | ||
carta | 56 | 1158 | ||
stampa | 245 | 1580 | ||
coke | 2 | 21 | ||
prodotti chimici | 80 | 1967 | ||
farmaceutica | 7 | 280 | ||
gomma e materie plastiche | 177 | 2690 | ||
minerali | 177 | 1442 | ||
metallurgia | 80 | 1201 | ||
metallo | 1001 | 7794 | ||
elettronica e ottica | 93 | 1459 | ||
apparecchiature elettriche | 112 | 1615 | ||
macchinari ed apparecchiature | 391 | 4283 | ||
autoveicoli | 14 | 176 | ||
mezzi di trasporto | 46 | 608 | ||
mobili | 1041 | 7630 | ||
altre industrie manifatturiere | 328 | 1013 | ||
riparazione macchine | 434 | 1517 |
Fonte: Database Istat
Il distretto comasco101 comprende - secondo la delibera regionale del 16 marzo 2001102 - 27 comuni ed è specializzato nella lavorazione della seta e delle multi fibre artificiali e sintetiche, secondo una lunga tradizione industriale di orientamento tessile103 consentita dalle condizioni naturali del luogo di insediamento. Rispetto agli argomenti trattati in questa tesi, è utile presentare le modalità lavorative e integrative che sono state nel tempo realizzate e presentano tuttora una produzione largamente decentrata e una struttura operativa molto articolata e frammentata. La divisione del lavoro molto sottile e il numero dei ruoli particolarmente alto nella filiera trovano però un momento di riunione nella forte cooperazione tra PMI specializzate in una o due lavorazioni e nella figura del converter, un operatore che coordina le operazioni verso il collegamento della catena di produzione locale con il mercato delle materie prime e dei prodotti finali. Questo approccio di lavoro consente una serie di esiti positivi economici e territoriali: si supplisce, senza introdurre rapporti gerarchici, alle tipiche carenze delle PMI riscontrate nelle fasi di creatività e design e nelle funzioni commerciali e strategiche; si mettono le PMI nelle condizioni di esprimere una elevata competitività; si rende flessibile il sistema locale e se ne aumenta l’efficienza e la capacità di innovazione.
Nella provincia di Lecco, è rappresentata in modo elevato l’industria meccanica104 come testimonia il numero di imprese e di occupati dell’ultimo Censimento Industria e Servivi Istat (2011) relativo alle sedi e alle risorse umane, che mostra come fortemente rappresentato della fabbricazione dei prodotti in metallo. Nella Tabella
4.6 si riporta la scomposizione delle registrazioni per il settore Ateco delle attività
101 Per un approfondimento su questo distretto industriale si possono vedere i contributi di Luraschi (2011); Prioschi (2010); Xxxxxxx (2003); Dal Sacco e Xxxxxxx (2002) e Sacco (2000).
102 I criteri utilizzati per questa identificazione sono di tipo quantitativo - sono stati considerati il tasso di industrializzazione e di specializzazione - e di congruità spaziale.
103 Sulla storia e sulla struttura si possono vedere i contributi di Bull e Corner (1993) e Xxxxxxx (1957).
104 A presentare i risultati delle ricerche sul campo svolte sul sistema produttivo locale meccanico posizionato nell’area insubrica, sono dedicati i contributi di Xxxxx et al. (2011) e Xxxxxxx e Luraschi (2011).
manufatturiere, che sono maggiormente rappresentative con 4.190 unità attive e
45.493 addetti su totali rispettivamente di 28.130 e 108.022.
Tabella 4.6 – Sedi e risorse umane nell’attività manifatturiera a Lecco
N. unità | N. addetti | |||||
Totale attività manifatturiere | 4190 | 45493 | ||||
alimentare | 246 | 2357 | ||||
bevande | 12 | 219 | ||||
tessile | 220 | 3112 | ||||
abbigliamento | 131 | 639 | ||||
pelle e simili | 14 | 48 | ||||
legno | 226 | 909 | ||||
carta | 63 | 1163 | ||||
stampa | 102 | 684 | ||||
coke | 1 | 22 | ||||
prodotti chimici | 46 | 788 | ||||
prodotti farmaceutici | 2 | 168 | ||||
gomma e materie plastiche | 154 | 2125 | ||||
minerali non metalliferi | 106 | 910 | ||||
metallurgia | 104 | 3158 | ||||
metallo | 1397 | 14087 | ||||
elettronica e ottica | 91 | 1726 | ||||
apparecchiature elettriche | 132 | 2025 | ||||
macchinari | 418 | 6578 | ||||
autoveicoli | 17 | 828 | ||||
altri mezzi di trasporto | 48 | 911 | ||||
mobili | 106 | 896 | ||||
altre industrie manifatturiere | 192 | 827 | ||||
riparazione macchine | 362 | 1313 |
Fonte: Istat
Storicamente l’origine dell’insediamento del settore nella zona è stata avviata dalla domanda della industria tessile e dai vantaggi competitivi presenti in termini di basso costo del lavoro e di esperienza accumulata nei settori dell’industria del ferro. Tuttora, nonostante le successive riorganizzazioni interne del distretto dovute al declino del settore tessile, il ruolo svolto dal comparto è soprattutto funzionale, visto che la produzione ampia di oggetti e componenti viene utilizzata soprattutto dai comparti, di cui si è detto sopra, presenti nel territorio insubrico. Interessante qui è
sapere che la cooperazione tra imprese nel distretto è forte e, dal punto di vista operativo, inizialmente, ad imprese di medie dimensioni - cui era affidata la funzione di coordinamento e di gestione di processi di internazionalizzazione e di innovazione
- si affiancavano PMI - subfornitrici - unite da relazioni non gerarchiche. Con il tempo, è stata la presenza di PMI a prevalere e tra queste si regista una bassa propensione a realizzare azioni collettive di sistema, ma una alta partecipazione alle iniziative promosse dalle istituzioni intermedie per promuovere innovazione (la Fiera BI-MU/SFORTEC; il Forum Think Tank della Piattaforma Tecnologica ManuFature; il Premio Maestro della Meccanica), internazionalizzazione (il Progetto competitività; Guide mercati, Progettitalia e il Gruppo Marketing Strategico e l’Accordo UCIMU-Easyfrontier) e formazione (le iniziative Probest formazione; il progetto TIME; il progetto Mech-Net; l’esperienza ÈCOLE; l’accordo UCIMU- Liuc).
Complessivamente, il capitale sociale e relazionale in questo distretto risulta alto e la cultura condivisa tra dipendenti e imprenditori esistenti offre uno spazio per sviluppare azioni collettive e multistakeholder.
Accanto ai distretti industriali presenti all’interno dell’area insubrica e descritti sopra, si colloca, nella Provincia di Varese, una alta specializzazione - come dimostrano i dati riportati nella Tabella 4.7 relativi al numero di addetti e alle unità locali, - nella trasformazione di materiali plastici e nella costruzione di macchinari per la loro lavorazione105. Le imprese, molto eterogenee tra loro, geograficamente sono insediate lungo la Valle Olona, con produzioni orientate alla lavorazione intermedia e all’export, a diversi stadi della filiera e replicano quindi le caratteristiche dell’industria plastica nazionale e internazionale che si compone da tecniche produttive fortemente differenziate e imprese complementari molto innovative.
105 Per un approfondimento sugli aspetti strutturali e sulle dinamiche del cluster varesino delle materie plastiche, si possono vedere i contributi di Latella (2011); Xxxxxxx et al. (2010); Xxxxxx (2004) e Xxxxxxxx (1998).
Tabella 4.7 – Sedi e risorse umane nell’attività manifatturiera a Varese
N. unità | N. addetti | |||
Totale attività manifatturiere | 9069 | 95287 | ||
alimentare | 475 | 3763 | ||
bevande | 11 | 266 | ||
tessile | 944 | 9571 | ||
abbigliamento | 712 | 5152 | ||
pelle | 161 | 796 | ||
legno | 405 | 1548 | ||
carta | 127 | 1793 | ||
stampa | 314 | 1960 | ||
coke | 2 | 8 | ||
prodotti chimici | 171 | 3732 | ||
prodotti farmaceutici | 22 | 2863 | ||
gomma e materie plastiche | 540 | 10109 | ||
minerali non metalliferi | 205 | 1656 | ||
metallurgia | 135 | 2003 | ||
prodotti in metallo | 1687 | 13066 | ||
elettronica e ottica | 213 | 2115 | ||
apparecchiature elettriche | 342 | 7538 | ||
macchinari ed apparecchiature | 973 | 12661 | ||
autoveicoli | 55 | 1385 | ||
altri mezzi di trasporto | 68 | 6886 | ||
mobili | 156 | 756 | ||
altre industrie manifatturiere | 554 | 3022 | ||
riparazione macchine | 797 | 2638 |
Fonte: Istat
Storicamente, la produzione di materie plastiche in Provincia di Varese è stata originata nel 1849 con l’apertura della ditta Mazzucchelli - che ha avviato un processo di accumulazione di know how, nel tempo poi completato con la fondazione di centri di formazione e istituti professionali e l’avvio di spin off avviati dai tecnici e dagli operai via via ivi specializzatisi - e sostenuta dalla domanda locale dell’industria degli elettrodomestici della vicina Ignis.
Il risultato è un polo che affianca aziende leader e PMI, tra le quali non si riscontrano forti interdipendenze o particolari legami con il territorio, tanto che per il sistema locale varesino, piuttosto che parlare di distretto industriale, sembra più corretto
riferirsi al concetto di cluster106, ovvero una concentrazione di imprese attive nello stesso settore e di soggetti privati e pubblici che svolgono attività complementari senza strutturarsi e senza legami forti. Visti i rischi di autoreferenzialità e di chiusura a nuove conoscenze che una struttura di questo tipo incorpora, sono opportune esperienze che rafforzano le interdipendenze e un’iniziativa collaborativa quale è quella attuata dalle retiste di Giunca sembra ben collocarsi nella Provincia di Varese vista la capacità che ha dimostrato di coinvolgere istituzioni locali e attivare un meccanismo di integrazione di risorse.
Complessivamente, dall’analisi dei distretti si può concludere che strutture in rete migliorino il sistema sociale nel suo complesso e che comuni e cruciali alla capacità di tenuta delle esperienze riportate sono, da un lato, le figure intermedie che riescono a coordinare e far interagire realtà differenti e, dall’altro lato, una cultura all’interazione e una generalizzata cura nel creare e consolidare rapporti fiduciari a livello di area locale.
4.3 – L’attitudine alla sperimentazione della Provincia di Varese
Per ricavare ulteriori indizi sugli elementi che a livello territoriale possono avviare e favorire la strutturazioni di contratti di rete, qui si analizza l’ambito provinciale107 in cui la rete Giunca si è realizzata e dove ha trovato opportunità per diversificare il proprio raggio di azione. Alla luce delle evidenze riscontate fin qui si indagherà la diversificazione economica e la propensione a interrelazioni aziendali. Dal momento che si vogliono indagare le caratteristiche consolidate del territorio, che si sono venute storicamente a creare, si analizzeranno i dati relativi al 2007, ovvero prima che una situazione esogena e destabilizzante, quale è stata la crisi economica, abbia
106 Sulla definizione di questa categoria analitica si possono vedere i contributi di Xxxxxxx e Xxxxx (2009) e Xxxxxx (1990).
107 Sulla struttura economica varesina, si può vedere il contributo di Xxxxxxxx e Xxxx (2011) e,
specificatamente sull’impatto della crisi economica sull’area, il contributo di Xxxxxxxx (2012).
potuto esercitare effetti negativi sui livelli di prestazione complessivi. Si vedrà che questa area, per la presenza elevata di PMI, è rappresentativa del contesto nazionale, di cui si è detto nel primo capitolo, e questo aspetto ne fa un campo di analisi idoneo
- in ottica di modellizzazione - nel tentativo di isolare le variabili che possono concorrere a rendere possibili interventi in rete aziendale e multistakeholder per realizzare progetti di promozione sociale.
Innanzitutto si nota che la provincia di Varese108, la cui storia industriale è iniziata tra fine ‘700 e inizio ‘800, mostra un tessuto produttivo in cui sono presenti settori sia altamente tecnologici -farmaceutico e aerospaziale -, sia tradizionali - abbigliamento e lavorazione del cuoio -, sia fortemente specializzati - meccanica e materie plastiche
-, il cui peso relativo assunto nel sistema produttivo locale è riportato nella Tabella 4.8, che mostra la dinamica delle quote di occupazione degli addetti nel periodo pre- crisi.
Tabella 4.8 – Dinamica degli occupati nel periodo pre-crisi
(Valori registrati in Provincia di Varese)
1991 | 2001 | 2007 | |
Industria | 62,40 | 52,48 | 47,60 |
Servizi | 37,60 | 47,52 | 52,40 |
Fonte: Database Istat
Come si vede dai dati Istat, la quota di addetti nell’industria si è ridotta in misura pari al 24,58%, mentre l’occupazione nel terziario è aumentata del 40,80%. Ciò è avvenuto per il progressivo sviluppo del settore dei servizi alle imprese, le quali
108 Per approfondire la storia dello sviluppo industriale ed economico in Provincia di Varese, si possono consultare i contributi di Xxxxxxxxx (2004); Xxxxx et al.(2002) e (2000); Xxxxxxx et al. (2001); Xxxxxxxxx e Xxxxxx (1999); Xxxxxxxxx e Xxxxxxxxx (1998); Xxxxxxxxx e Xxxxxxx (1996) e (1995).
hanno esternalizzato molte funzioni e si sono concentrate su produzioni core business, in una ottica di rete109.
Un dettaglio dei settori industriali più rilevanti a livello occupazionale, conferma poi la rilevanza dell’industria meccanica, tessile, plastica e farmaceutica di cui si è detto sopra. Si anticipa che questi sono gli ambiti di attività delle imprese coinvolte in Giunca, che saranno illustrate nel prossimo capitolo.
Tabella 4.9 – Quota di addetti nei settori locali maggiormente presenti nel periodo pre-crisi
(Valori registrati in Provincia di Varese)
1991 | 2001 | 2007 | |
Industria meccanica | 23,72 | 21,00 | 18,81 |
Industria tessile e abbigliamento | 15,46 | 9,65 | 6,73 |
Industria plastica | 3,92 | 4,46 | 3,81 |
Industria chimica | 2,75 | 2,45 | 2,28 |
Fonte: Database Istat
Per quanto riguarda l’aspetto dimensionale, invece, le unità economiche presenti nel sistema produttivo locale varesino impiegano un numero medio di addetti contenuto, la cui dinamica nel periodo pre-crisi è illustrata nella Tabella 4.10.
109 Sull’evoluzione delle modalità organizzative della produzione varesina si può vedere la lettura di
Marelli (2004), che parla di multi distretto produttivo.
Tabella 4.10 – Numero medio di addetti nei settori maggiormente presenti nel periodo pre-crisi
(Valori registrati in Provincia di Varese)
1991 | 2001 | 2007 | |
Industria meccanica | 12,70 | 11,06 | 10,78 |
Industria tessile e abbigliamento | 10,05 | 9,39 | 9,43 |
Industria plastica | 12,85 | 16,02 | 16,69 |
Industria chimica | 39,98 | 32,54 | 31,79 |
Fonte: Database Istat
Visti gli aspetti operativi e dimensionali del territorio, è interessante averne anche una idea della reattività, che si può misurare in termini di numero di imprese attive e nuove per cento residenti. Per consentire di apprezzare come i valori si sono modulati nel tempo, si forniscono qui in termini annuali, nei cinque precedenti a quello della crisi economica.
Tabella 4.11 – Imprese attive per cento residenti nel periodo pre-crisi
(Valori registrati in Provincia di Varese)
2002 | 2003 | 2004 | 2005 | 2006 | 2007 |
Varese 7,29 | 7,30 | 7,27 | 7,34 | 7,37 | 7,39 |
Fonte: InfoCamere Come indicato nella Tabella 4.11, il numero delle imprese attive per cento residenti è crescente ed è un indizio della vivacità della Provincia di Varese, confermata anche dal contributo apportato stabilmente da nuove imprese, come illustrato, per il medesimo periodo di tempo preso in considerazione, nella Tabella 4.12.
Tabella 4.12 – Imprese nuove per cento residenti nel periodo pre-crisi
(Valori registrati in Provincia di Varese)
2002 | 2003 | 2004 | 2005 | 2006 | 2007 |
Varese 0,64 | 0,61 | 0,65 | 0,65 | 0,65 | 0,64 |
Fonte: InfoCamere
I dati riportati mostrano quindi una buona propensione alla pro-azione in Provincia di Varese, che si potrebbe intendere anche come strumentale alla decisione di attivare e aderire la prima sperimentazione italiana di rete per il sociale, quale è Giunca.
Oltre a dar conto della struttura economica varesina per comprendere in quale contesto produttivo si è avviata la rete Giunca, è interessante capire i livelli demografici provinciali, dal momento che gli interventi di welfare previsti descritti nei prossimi capitoli hanno come precisi destinatari soggetti fragili, anziani e bambini. Rispetto a questa variabile, in questo contesto di analisi, non sembra utile conoscere la dinamica e la situazione pre-crisi, quanto piuttosto la situazione attuale. Nella Tabella 4.13, si riporta la percentuale di popolazione tra 0 e 14 anni e con più di 65 anni, l’età media della popolazione e due ulteriori valori utili nella direzione di osservazione presa, vale a dire l’indice di vecchiaia110 e l’indice di dipendenza111.
Tabella 4.13 – Indicatori demografici registrati in Provincia di Varese
2013 | 2014 | 2015 | 2016 | 2017 | |
Popolazione 0-14 anni | 14% | 14% | 14% | 13.9% | 13.8% |
Popolazione 65+ anni | 21.6% | 22% | 22.4% | 22.7% | 23.1% |
Età media della | 44.3 | 44.5 | 44.8 | 45. | 45.3 |
popolazione | |||||
Indice di dipendenza | 33.6% | 34.3% | 35.3% | 35.9% | 36.6% |
Indice di vecchiaia | 153.9% | 156.9% | 160.8% | 163.9% | 167.7% |
Fonte: Istat |
Per fornire un termine di paragone, si riportano nella Tabella 4.14 i medesimi valori registrati, però, a livello nazionale.
110 L’indice di vecchiaia misura il rapporto tra la popolazione anziana (oltre i 65 anni di età) e la popolazione giovane (di età inferiore ai 14 anni).
111 L’indice di dipendenza rapporta la popolazione anziana alla popolazione in età lavorativa (tra i 14 e
i 65 anni di età).
Tabella 4.14 – Indicatori demografici registrati in Italia
2013 | 2014 | 2015 | 2016 | 2017 | |
Popolazione 0-14 anni | 14% | 13.9% | 13.8% | 13.7% | 13.5% |
Popolazione 65+ anni | 21.2% | 21.4% | 21.7% | 22% | 22.3% |
Età media della | 44 | 44.2 | 44.4 | 44.7 | 44.9 |
popolazione | |||||
Indice di dipendenza | 32.7% | 33.1% | 33.7% | 34.3% | 34.8% |
Indice di vecchiaia | 151.4% | 154.1% | 157.7% | 161.4% | 165.3% |
Fonte: Istat |
Come si nota, gli indicatori individuati per dare un’idea del numero di destinatari coinvolti in interventi people care attivati da progetti di welfare aziendale a favore dei familiari dei propri dipendenti mostrano che nella Provincia di Varese si registrano valori dell’ordine di grandezza presente a livello nazionale. Questa evidenza sostiene l’ipotesi di prendere in considerazione la replicabilità in altri contesti del caso di studio intorno cui ruota questa tesi.
Compresa la struttura produttiva e le dinamiche demografiche presenti nell’area di riferimento, può essere utile indagare il livello di benessere in Provincia di Varese, supponendo che ove questo sia elevato, si registrino una superiore propensione alla sperimentazione, anche di pionieristiche pratiche associative per il welfare. Come indicatore del livello di benessere, si può ricorrere all’indice di occupazione112 e al tasso di industrializzazione113 e di terziarizzazione114 e, per consentire un migliore inquadramento dei dati, qui si fornisce anche la situazione delle regioni del Nord Ovest - zona con caratteristiche socio-economiche più vicine alla realtà varesotta - e della nazione. Da una analisi delle dinamiche nel periodo precedente alla crisi economica, risultano le storiche elevate possibilità di impiego nella provincia in esame. Come si vede nella Tabella 4.15, infatti, gli addetti per cento residenti,
112 L’indice di occupazione si ricava dividendo il numero di addetti di un territorio per la popolazione ivi residente e moltiplicando il risultato per 100, ha il valore di utilizzare variabili effettivamente misurate piuttosto che stimate, come accade invece per il tasso di occupazione.
113 Il tasso di industrializzazione si ottiene dividendo il numero di addetti di un macrosettore oggetto di analisi per la popolazione residente e moltiplicando il risultato per cento.
114 Il tasso di terziarizzazione si ricava dividendo il numero degli addetti nel settore per la popolazione residente e moltiplicando il risultato per cento.
nell’anno di avvio della crisi economica misuravano valori in linea con la media riportata nel Nord-Ovest, ma molto superiori ai livelli medi nazionali.
Tabella 4.15 – Dinamica degli indici di occupazione nel periodo pre-crisi
(Valori registrati in Provincia di Varese, Nord-Ovest e Italia)
1991 | 2001 | 2007 | |
Varese | 34,91 | 34,89 | 35,18 |
Nord-Ovest | 33,24 | 35,16 | 37,26 |
Italia | 25,67 | 27,57 | 29,48 |
Fonte: Istat
La dinamica dei tassi di industrializzazione e di terziarizzazione nel periodo pre-crisi mostrano, poi, un intenso orientamento al settore manifatturiero. Nell’anno di avvio della crisi economico-finanziaria, come si vede nella Tabella 4.16, gli addetti nell’industria erano più rispetto all’area Nord-Ovest e al resto dell’Italia.
Tabella 4.16 – Dinamica degli indici di industrializzazione nel periodo pre-crisi
(Valori registrati in Provincia di Varese, Nord-Ovest e Italia)
1991 | 2001 | 2007 | |
Varese | 21,76 | 18,28 | 16,56 |
Nord-Ovest | 17,06 | 15,56 | 14,86 |
Italia | 11,91 | 11,56 | 11,24 |
Fonte: Istat
La dinamica del tasso di terziarizzazione, invece, come illustrato dalla Tabella 4.17, prima delle ripercussioni occupazionali originate dallo scoppio della crisi dei mutui subprime, risulta in linea con il valore nazionale, ma molto inferiore al valore delle regioni nord-occidentali.
Tabella 4.17 – Dinamica degli indici di terzializzazione nel periodo pre-crisi
(Valori registrati in Provincia di Varese, Nord-Ovest e Italia)
1991 | 2001 | 2007 | |
Varese | 13,16 | 16,61 | 18,62 |
Nord-Ovest | 16,18 | 19,60 | 22,40 |
Italia | 13,76 | 16,01 | 18,24 |
Fonte: Istat
Complessivamente, si può concludere che anche le condizioni generali di benessere siano alte e che questa condizione di favore lasci spazio ad una compressione dei comportamenti egoistici a livello di sistema locale e ad una espansione delle propensioni collaborative tra soggetti di uno stesso ecosistema.
4.4 – Conclusioni
In questo capitolo, si è preso in considerazione il contesto di riferimento in cui si è sviluppato il primo caso nazionale di rete di imprese per piani di welfare aziendale - in origine - e welfare locale - in evoluzione -. L’ipotesi alla base dell’analisi è che, visti gli eterogenei risultati realizzati da sperimentazioni reticolari - simili nei contenuti e negli attori coinvolti, come argomento nel terzo capitolo -, si possa presumere che il discriminante stia in pregresse peculiarità territoriali, che fungono da attivatori alla costituzione e al successo di collaborazioni per lo sviluppo sociale e locale. Si è dato così conto dell’esistenza di aree produttive distrettuali che, formando un’identità sociale locale, veicola verso azioni collettive territoriali e di come interventi di organi intermedi possano agevolare l’aggregazione di imprese, prima, e corpi intermedi, poi, verso progetti di riqualificazione delle risorse umane ed urbane.
Come si è mostrato, l’area in cui Giunca si è attivata presenta superiori livelli di
diversificazione produttiva e di pregresse esperienze di azioni congiunte - pur