Sommario
IL RAPPORTO DI AGENZIA, UNA PROSPETTIVA GIUSLAVORISTICA
Sommario
1.L’inquadramento normativo 3
1.1) Le fonti legali 3
1.2) Le fonti convenzionali 8
1.2.1) La contrattazione corporativa 8
1.2.2) La contrattazione di tipo comune 13
1.2.3) Esclusione dell’applicazione della contrattazione collettiva di diritto comune 18
1.3) Le fonti sovranazionali 21
2. La qualificazione del rapporto di agenzia 33
Premessa 33
2.1) Distinzioni con altre figure affini 33
2.1.1) Con il mandato 34
2.1.2) Con il contratto di commissione 38
2.1.3) Con il contratto di mediazione 41
2.1.4) Con il procacciatore di affari 43
2.1.5) Con la concessione di vendita ed il franchising 46
2.1.6) Con il promotore finanziario 52
2.1.7) Con l’agente assicurativo 57
2.2) Il rapporto di agenzia fra il lavoro autonomo e subordinato 62
2.2.1) La durata del rapporto di agenzia: rapporto a tempo indeterminato e determinato 74
2.2.2) Obblighi e diritti dell’agente 80
A) l’obbligo di lealtà, buona fede e diligenza 80
B) L’obbligo di conformazione ed informazione 84
C) rinvio agli obblighi del commissionario e lo star del credere 90
2.2.3) I diritti dell’agente : la provvigione 93
A) La provvigione diretta ed il momento della maturazione del diritto 93
B) La provvigione indiretta: gli effetti dell’esclusiva 96
C) la provvigione postuma 98
D) oltre la provvigione : spese e attività accessorie 99
3. La risoluzione del rapporto 102
3.1) La risoluzione ordinaria 102
3.2)La risoluzione straordinaria 108
3.2.1) L’inadempimento e la clausola risolutiva espressa 108
3.2.2) La giusta causa 114
3.2.3) Risoluzione per impossibilità sopravvenuta 120
3.2.4) La risoluzione anticipata del rapporto di agenzia a tempo determinato
......................................................................................................................123
4.L’indennità al termine del rapporto di agenzia 127
4.1) L’indennità di cessazione del rapporto : evoluzione normativa 127
4.2) Gli elementi ed i presupposti dell’indennità di risoluzione del rapporto di agenzia nella disciplina odierna 131
4.3 )Rapporti fra AEC e legge 139
4.4) Il patto di non concorrenza 147
5.L’E.N.A.S.A.R.C.O 150
5.1) Una premessa generale 150
5.2) Il fondo previdenziale 152
5.3) Il fondo per l’indennità della risoluzione del rapporto 153
5.4) Il fondo di assistenza 155
6.Questioni processuali 156
6.1)Sulla competenza del giudice del lavoro 156
6.2)Clausola compromissoria e art. 808 c.p.c 160
6.3)Rinunzie e transazioni 161
Conclusioni 165
Capitolo primo
1.L’inquadramento normativo 1.1) Le fonti legali
In Italia la disciplina del contratto di agenzia inizia a svilupparsi intorno al XIX secolo, in particolare la prima menzione di agenzia si può riscontrare nel Codice del Commercio, in cui viene trattata fra le imprese di commissione. Tuttavia, il codice di commercio italiano del 1882, all’art. 3,
n. 21, comprende solo la menzione di agenzia, senza alcun altro riferimento alla disciplina del modello contrattuale. Tra le attività del commercio, invece, venivano considerate anche “le imprese di commissioni, di agenzie e gli uffici di affari’’. Quindi anche se in via embrionale, l’attività dell’agente veniva indicata fra le principali attività commerciali. In sostanza l’agente era visto come "l’anello di congiunzione tra produzione e commercio”. 1
Successivamente, una positivizzazione della disciplina fu tentata dal C.d. progetto Vivante del 1920, il quale, visto l’evolversi dell’attività delle
1 Così A LUMINOSO e X. XXXXXX “ La mediazione e il contratto di agenzia” in Tratt. Dirr. Comm., dirr. X. XXXXXXXX, Xxxxxxx XX, xxxx 0.XX, Xxxxxx, 0000, pp. 167 e 168; X. XXXXXXX “ Sul concetto di agente di commercio” in Studi urbinati, 1931, pp. 36 e ss. Per una disamina storica più approfondita si veda X. XXXXXX “Del Contratto di Agenzia” in Comm. SCIALOJA – BRANCA, Bologna – Roma, 1970, 2; G. TRIONI “Contratto di Agenzia” in Comm. SCIAJOLA – BRANCA, Xxxxxxx - Xxxx 0000, pag. 2 e ss.; X. XXXXXXXXXXXXXX “ Agenzia “(contratto di)” in Enc. Dir., III, Milano, 1999, pag. 86; Sull’origine e l’inquadramento sistematico del contratto di agenzia si veda G. TRIONI “Il contratto di agenzia”, Padova, 1994, pp 1-11, in cui , con estrema chiarezza, indica il genus del contratto di agenzia antecedente alla formulazione dei progetti Vivante e D’Amelio, richiamando i principali elementi del codice del commercio del 1882 titolo XII, e del codice civile del 1865, di impianto napoleonico, tra cui, come ricordato l’onerosità, e l’abitualità dell’attività di promuovere e “conchiudere” contratti in nome e per conto di case commerciali o società estere. Sull’evoluzione storica del contratto di agenzia anche X. XXXXXXXX, “Storia e teoria del rapporto di agenzia”, in Studi Urbinati, 1963, pp. 1 e ss.
relazioni commerciali in Italia ed in Europa, ha offerto una nuova stesura del Codice del Commercio alla luce del nuovo assetto economico.
Già da tale progetto iniziano ad evidenziarsi i caratteri fondamentali del contratto di agenzia. Nel progetto Vivante l’agente veniva definito come colui che ‘‘è incaricato da una o più ditte italiane o straniere di promuovere i loro affari in una determinata piazza o regione e di trasmettere le proposte per l’accettazione’’. Un’ulteriore innovazione segnata nel medesimo progetto è l’indicazione di una indennità di risoluzione di fine rapporto 2.
Il progetto Vivante fu assorbito dal successivo progetto D’Xxxxxx per la stesura del nuovo Codice del Commercio del 1925, nel quale iniziano ad identificarsi con maggior chiarezza ulteriori elementi propri della figura dell’agente come la zona di competenza, le provvigioni sugli affari andati a buon fine, la clausola dello star del credere e l’indennità di risoluzione del rapporto.
Anche se non hanno avuto grande seguito legislativo3, il progetto Vivante e D’Xxxxxx, sono stati ispiratori dell’accordo economico collettivo del 30
2 Art. 22; Nel progetto vi era anche l’obbligo per il proponente di non avvalersi di altri agenti nella stessa piazza e per l’agente di non trattare con case concorrenti, mentre, nell’art. 29 del medesimo Progetto veniva disciplinata l’indennità di risoluzione del contratto in favore dell’agente. In proposito e più dettagliatamente X. XXXXXXXXXX, “Il contratto di agenzia”, in Tratt. Diritto Civ., dirr. Xxxxxxxx, Xxxxxx, 0000. Il progetto Vivante venne poi trasfuso nel progetto preliminare del codice di commercio del 1925, c.d. Progetto D’Xxxxxx, dove la definizione di agente è più breve, ma per la prima volta appare il concetto di ‘‘zona’’, X. XXXXXXXXXX e X. XXXXXXXXX “ Il contratto di agenzia commerciale”, Padova, 2003, 2 ss. Il contratto di agenzia trovava poi regolamentazione autonoma nella contrattazione collettiva degli anni trenta con l’accordo economico collettivo del 25.5.1935, X. XXXXX, “Il contratto di agenzia”, Milano, 2001, pag. 10.
3 Di fatto tutti gli sforzi profusi nella stesura dei progetti di riforma del Codice del Commercio sono stati resi vani dall’ideazione di quello che sarà poi il nostro codice civile. Infatti, il 4 gennaio 1941 il Guardasigilli Grandi sottopose al Consiglio dei ministri le proposte riguardo all’abolizione del Codice di Commercio e al nuovo ordine sistematico del Codice civile. Caddero così i progetti di una autonoma codificazione in materia commerciale.
giugno 1935, al quale è stata data efficacia erga omnes con il decreto del capo di governo del 5 luglio 1935 n. 1203 4.
Infine, la figura del contratto di agenzia ha trovato una propria autonomia e disciplina normativa nel codice del 1942 che lo ha definitivamente inquadrato al titolo III capo X agli articoli 1741 – 1753.
Tuttavia, nonostante un inquadramento che si può definire strutturale e sistematico all’interno del codice civile, la disciplina del rapporto di agenzia non è stata scevra di problematicità in considerazione dell’efficacia delle disposizioni collettive antecedenti alla redazione del codice le quali, come vedremo, saranno considerate fonti di diritto, delle disposizioni del codice civile e della successiva e più moderna normativa comunitaria.
La tradizione contrattuale instaurata con l’A.E.C. del 1935, il quale ha ben piantato le basi delle principali obbligazioni intercorrenti fra preponente e agente, fatte proprie poi dal nostro ordinamento del 1942, si è dovuta armonizzare con la disciplina comunitaria, che ha offerto con la direttiva n. 86/653/CEE del 18 dicembre 1986 una direzione comune agli stati associati su come regolare il contratto di agenzia5 mutuando le migliori disposizioni dalla legislazione degli stati che avevano sviluppato regole strutturali, primi fra tutti Francia e Germania6.
4 Tali disposizioni sono state fatte proprie anche dal successivo AEC del 30 giugno 1938 convalidato dal Capo del governo con decreto del 17 novembre 1938 n. 1784. Quest’ultimo è stato ulteriormente modificato con due successivi accordi collettivi il primo del 15 giugno 1951, in riferimento agli agenti di imprese commerciali, e l’altro del 14 gennaio 1953 inerente gli agenti di imprese industriali. Da questi la distinzione rimarrà tutt’ora. A. FORMIGGINI “Agenzia (contratto di)”, in Nuov.ssimo Dig. It. Curr. ZARA – EULA, Torino, 1957, pagg. 400 e 401; X. XXXXXXXXXX “Il contratto di Agenzia” in Comm. CICU – MESSINEO curr. X. XXXXXXXXXXX, Xxxxxx, 0000, pag. 5.
5 Secondo X. XXXXXXXX, “Il contratto di agenzia”, Torino, 2000, pp. 34 ss, la fonte comunitaria ha prodotto una normativa contenente la disciplina minima inderogabile che permette di stipulare in ogni stato associato contratti simili e non del tutto diversi.
6 Per una panoramica sulla disciplina del contratto di agenzia in Europa si veda X. XXXXXXXXXX “ il contratto di Agenzia nella normativa nazionale, internazionale e comunitaria” , Torino, 2010, pp. 233 e ss.; per la disciplina tedesca si veda X. XXXXXX “Indennità in caso di cessazione del rapporto di agenzia: il caso tedesco “, in Mass. GL, 2001, n. 8/9, pp. 944 ss. Per una evoluzione
Nonostante lo sforzo legislativo di adeguamento della legislazione Italiana alla direttiva attraverso il d.lgs 303 del 1991, è stata necessaria l’emanazione di un successivo decreto correttivo, il d.lgs n. 65 del 1999.
Le principali modifiche apportate del decreto del 1991 sono intervenute sugli istituti della forma del contratto, della provvigione, dell’esclusiva, dell’indennità di fine rapporto e del patto di non concorrenza dopo la cessazione del contratto 7.
Infine ci sono state ulteriori rilevanti modifiche a seguito della legge del 1999 n. 526 che ha definitivamente imposto al legislatore italiano di esimere l’agente dallo “star del credere”0, xxxxx xx xxxxxxxx, xxxxxxx,
xxxx’xxxxxxxx xx Xxxxxxx e Germania, X. XXXXXX, “Del Contratto di Agenzia art. 1742 – 1753”, in Comm. Cod. Civ SCIALOJA – BRANCA, cur. X. XXXXXXX, Bologna Roma, 2006, intr. pp. 7- 10.
7 In particolare il d.lgs del 303 del 1991 ha riformato gli articoli 1348c.c., in merito alla provvigione ed alle modalità di pagamento con indicazione dei diritti e delle tempistiche di pagamento, l’art. 1750 c.c. in merito alla durata del contratto ed alla possibilità della trasformazione del contratto a temine in contratto a tempo indeterminato e contestualmente ha indicato gli estremi sui quali calcolare l’indennità di preavviso, l’art. 1751 c.c. sull’indennità di cessazione del rapporto, di cui si parlerà più avanti, ed infine introducendo l’art. 1751 bis. c.c. ossia il patto di non con concorrenza. Tale riforma è stata criticata da autorevole dottrina come X. XXXXXXXXXX “La nuova legislazione sul contratto di agenzia: prime considerazioni sul decreto
303 del 10 settembre 1991”, in Contratto e Impresa, 1993, pp. 95 e ss. in cui definisce superficiale il provvedimento normativo di applicazione della direttiva Europea del 1986. Si veda per un rapporto diretto fra le precedenti modifiche e le modifiche apportate alla disciplina del d.lgs 65 del 1999 in X. XXXXXXXXX “Le recenti modifiche alle disposizioni del Codice Civile in materia di contratto di agenzia” in DL, 2000, 1 , pp 13 ss.
8 La legge 526 del 21 dicembre 1999 in tema “Disposizioni per l'adempimento di obblighi derivanti dall'appartenenza dell'Italia alle Comunità europee - legge comunitaria 1999" all’art. 28 dispone che "E' vietato il patto che ponga a carico dell'agente una responsabilità, anche solo parziale, per l'inadempimento del terzo. E' però consentito eccezionalmente alle parti di concordare di volta in volta la concessione di una apposita garanzia da parte dell'agente, purché ciò avvenga con riferimento a singoli affari, di particolare natura ed importo, individualmente determinati; l'obbligo di garanzia assunto dall'agente non sia di ammontare più elevato della provvigione che per quell'affare l'agente medesimo avrebbe diritto a percepire; sia previsto per l'agente un apposito corrispettivo", modificando l’art. 1746 del c.c. Tale normativa è stata dalla dottrina criticata soprattutto da X. XXXXXXXXXX in “ La nuova disciplina dello sta del credere” BORTOLOTTI - MOSCA, appendice, Padova, 2000, il quale afferma che la direttiva del 1986 non prevedeva un intervento sulla normativa dello star del credere, che, secondo l’autore, lo scambio di responsabilità era equamente disciplinato dalla normativa collettiva la quale era riuscita a contemperare “ le legittime esigenze di ambedue le parti”. X. XXXXXXXXXXXX “Star del credere addio”, in Agenti & Rappr. di commercio, 1999, 4, p. 3 e ss; X. XXXXXXXXXX “Star del credere addio”, in LNG, 3, 2000, pp. 213 ss; In precedenza, ossia prima dell’abrogazione del patto, senza voler affrontare compiutamente il tema, in considerazione degli effetti abrogativi della legge 526 del 1999, lo star del credere era considerato quale semplice “prestazione” offerta dall’agente, non potendo ascrivere tale prestazione ad una forma di fidejussione ai sensi dell’art. 1936, considerata
offerta dall’agente sul sicuro adempimento da parte del cliente, e della legge del 29 dicembre 2000 n. 422 che ha previsto l’onerosità del patto di non concorrenza post contrattuale9.
La disciplina convenzionale e legale del contratto di agenzia, ad oggi, è pressoché strutturata in modo autonomo e definitivo, anche se la collocazione degli articoli può essere criticata, considerato il fatto che l’agente può essere equiparato, con le dovute valutazioni del caso, ad un lavoratore parasubordinato anziché ad un vero e proprio imprenditore, e ciò non solo per le analogie che legano questa figura a quella dell’art. 2094 c.c. ma anche al principio del “favor prestatoris” di cui la stessa direttiva comunitaria si fa alfiere.
la disciplina differente dell’istituto all’applicazione dello star del credere, che era limitata alle provvigioni e non invece all’effettivo adempimento di tutto l’obbligazione del cliente, e non preclude il diretto intervento del mandante nell’agire per il corretto adempimento, ovvero il risarcimento, nei confronti del terzo, pur ammettendo la possibilità dell’azione di regresso da parte dell’agente ai sensi del’art. 1950 c.c. Così X. XXXXXX “ Del contratto di agenzia”, in Comm. Cod. Civ., curr. X. XXXXXXXX - X. XXXXXX, art. 1742 – 1753, Bologna – Roma, 1970, pp. 119 -124; G.
TRIONI in “Il contratto di agenzia” op. cit, pp. 127-130, afferma, invece, che non possa trattarsi di fidejussione in quanto l’agente non potrebbe usufruire solo dell’azione di regresso, ipotesi sostenuta dal Xxxxxx, ma che allo stesso spetti, in caso di recupero del dovuto da parte del mandante, il rimborso dell’importo versato a titolo di star del credere.
9 All’art. 23 , la normativa, in riforma dell’art. 1751 bis. c.c. prevede che “"L'accettazione del patto di non concorrenza comporta, in occasione della cessazione del rapporto, la corresponsione all'agente commerciale di una indennità di natura non provvigionale. L'indennità va commisurata alla durata, non superiore a due anni dopo l'estinzione del contratto, alla natura del contratto di agenzia e all'indennità di fine rapporto. La determinazione della indennità in base ai parametri di cui al precedente periodo è affidata alla contrattazione tra le parti tenuto conto degli accordi economici nazionali di categoria. In difetto di accordo l'indennità è determinata dal giudice in via equitativa anche con riferimento:
1) alla media dei corrispettivi riscossi dall'agente in pendenza di contratto ed alla loro incidenza sul volume
d'affari complessivo nello stesso periodo;
2) alle cause di cessazione del contratto di agenzia;
3) all'ampiezza della zona assegnata all'agente;
4) all'esistenza o meno del vincolo di esclusiva per un solo preponente". Inoltre l’articolo prevede che tale patto possa essere unicamente applicato ad agenti che esercitano in forma individuale l’attività, sia essa costituita da società di capitali ovvero società di persone con un unico socio. Si evince quindi che il legislatore prevede e tenga in considerazione l’attività prevalentemente personale dell’agente, offrendogli maggiori tutele, ossia una disciplina legale prestabilita al fine di non soffrire una debolezza contrattuale dovuta ad una forza economica decisamente inferiore a quella del preponente.
In ambito processuale vengono introdotte novità con la legge n. 533 del 1977, che ha ricompreso fra le competenze funzionali del giudice del lavoro anche quella inerente il rapporto di agenzia. La previsione delle questioni di agenzia conoscibili dal giudice del lavoro, ai sensi dell’art. 409 c.p.c., è una delle argomentazioni maggiori per dimostrare come il legislatore abbia tentato di tutelare maggiormente l’agente personalmente considerato, garantendogli una procedura più favorevole 10.
1.2) Le fonti convenzionali
1.2.1) La contrattazione corporativa
10 Tale principio, rinvenibile in un generico trattamento di derogabilità sempre in mejus da parte degli accordi individuali o da quelli collettivi, a favore dell’agente è però limitato dalla veste dell’agente stesso. Infatti, la direttiva comunitaria, così come la disciplina interna, mira a tutelare maggiormente, non tanto l’agente società, quanto piuttosto l’agente inteso quale lavoratore parasubordinato, ossia colui il quale agisce individualmente e personalmente. Anche in precedenza la c.d. legge Vigorelli (L..n. 741 del 14 luglio 1959) prevedeva, al proprio articolo 7 ultimo comma, che “Alle norme che stabiliscono il trattamento di cui sopra si può derogare, sia con accordi o contratti collettivi che con contratti individuali, soltanto a favore dei lavoratori”. Tale previsione, non può non operare anche per l’agente, in riferimento agli accordi collettivi recepiti con decreto. Di questo parere è G. TRIONI “ Il contratto di agenzia”, op. cit. pp. 28 e 29.
In tal senso, ma in riferimento alla competenza funzionale e territoriale del giudice del lavoro, si è espressa anche la giurisprudenza di legittimità, la quale con la pronuncia del 5 giugno 2000 n. 7489 ha avuto modo di affermare che “Come ha già rilevato questa Corte (Cass., 22 aprile 1997,
n. 3464) l'esigenza di fondo cui si è ispirato il legislatore - nell'introdurre il 4º comma dell'art. 413 c.p.c. - è stata quella di radicare la competenza nel luogo in cui l'agente e gli altri prestatori d'opera parasubordinata prestano od hanno prestato la loro attività; esigenza questa che - nella medesima prospettiva di favor per il lavoratore è del tutto omogenea e sostanzialmente analoga a quella sottesa al 2º comma della medesima disposizione. Il domicilio dell'agente e del lavoratore parasubordinato rileva come criterio indiretto per avvicinare il processo al luogo dove (presumibilmente) si è svolto il rapporto di agenzia o di parasubordinazione, in mancanza di una "dipendenza" dell'azienda alla quale l'agente o il lavoratore parasubordinato possano risultare addetti, essendo ciò intrinsecamente incompatibile con la natura autonoma del rapporto. Anche Xxxx., 10 dicembre 1993, n. 12204 ha evidenziato tale ragione della ritenuta inapplicabilità del foro della "dipendenza" ai rapporti di parasubordinazione”. La sostanziale equiparazione sul piano processuale effettuata dal legislatore con la L. 533 del 1973, la quale ha novellato l’art. 409 c.p.c., dimostra ulteriormente l’intenzione di tutelare e di favorire l’agente individualmente considerato, equiparandolo più al lavoratore subordinato che al lavoratore autonomo. Si veda anche X. XXXXXXXX “Il contratto di agenzia” in Tratt. Dirr. Priv., dirr. X. XXXXXXXX, 00, tomo IV, pp. 000 -000, Xxxxxx, 0000. Sul favor prestatoris che permea tutto il diritto del lavoro X.XXXXXXX “ Il <<favor>> verso il prestatore di lavoro subordinato”, 0000, Xxxxxx, pp. 1 e ss.
La contrattazione collettiva degli agenti di commercio ha avuto la sua prima formalizzazione nel 1935, ed in particolare con l’accordo corporativo del 26 maggio 1935.
Gli A.E.C. (Accordi Economici Collettivi) corporativi sono sempre stati considerati quali atti aventi valore di legge ai sensi dell’art. 5 disposizioni preliminari al codice civile, nonché della legge del 3 luglio 1926 n. 563 11.
Il primo accordo del 1935, come accennato in precedenza, pur riprendendo per sommi capi il progetto Vivante, disciplinava nello specifico la figura dell’agente e i rapporti che questo doveva tenere con il preponente 12.
Tuttavia, sarà il successivo accordo collettivo di stampo corporativo del 30 giugno 1938 a presentarsi come la prima disciplina completa ed organica del rapporto di agenzia13 istituendo, tra l’altro, anche l’ente di previdenza ed assistenza degli agenti di commercio, oggi E.N.A.S.A.R.C.O.14
L’accordo del 1938 è composto da 16 articoli, di cui gli ultimi due riguardano la disciplina transitoria.
Già da un punto di vista del contenuto dei singoli articoli, è evidente l’intenzione delle parti sociali (in particolare le confederazioni fasciste degli industriali, dei commercianti e le federazioni fasciste delle “cooperative
11 La legge, una delle c.d. leggi fascistissime, attribuiva alle rappresentanze sindacale ed alle associazioni dei datori di lavoro, a seguito di espresso regio decreto, personalità di soggetti pubblici capaci di dare forza obbligatoria agli accordi collettivi stipulati (art. 5).
12 L’accordo del 1935, approvato con il Regio Decreto del 12 luglio 1935, n. 161, inerente sia gli agenti dell’impresa commerciale che quella industriale (art. 1) è regolato in 18 articoli. Dalla semplice lettura degli stessi si intravedono i principali profili del rapporto. Infatti, è indicato il concetto di zona e di esclusiva (art. 02); l’obbligo da parte dell’agente di osservare le direttive imposte dal preponente (art. 03); viene indicato la retribuzione in provvigione dell’agente ed anche del diritto a percepire la c.d. provvigione indiretta (ossia quella ottenuta da un contratto concluso direttamente dal preponente nella zona di esclusiva dell’agente, art. 04). Nello stesso articolato vengono indicati i casi in cui l’agente può legittimamente risolvere il contratto ottenendo la relativa indennità (artt. 7 e 8), in cui oltre a cause oggettive come il fallimento o della cessazione della società proponente, si accenna alla giusta causa. Altresì, in considerazione della risoluzione del rapporto si quantifica anche il preavviso, ovvero la sua monetizzazione (art. 13).
13 X. XXXXXXXXXX - X. XXXXXXXXX “ Il contratto di agenzia commerciale”, Padova, 2003, pp. 8 e 9
14 Al momento della costituzione chiamato X.X.X.XX.X.X.XX (Ente Nazionale Fascista di assistenza per gli agenti e rappresentanti di commercio), art. 12 dell’accordo del 1938. Più approfonditamente infra.
interessate” e la federazione nazionale fascista degli agenti e dei rappresentanti di commercio) di attribuire un contenuto più sistematico al rapporto di agenzia.
Nel primo articolo, infatti, viene delineata quella che sarà la figura dell’agente fino ai giorni nostri, ossia viene definito agente colui che “è incaricato stabilmente da una o più ditte di promuovere la conclusione dei contratti in una determinata zona” 15, dando così particolare importanza alla stabilità dell’attività di promozione16.
Altre disposizioni dell’accordo, che verranno in seguito accolte anche dal legislatore nel codice del 1942, si ritrovano all’art. 2 che disciplina il diritto di esclusiva17 e all’art. 3 che prevede l’obbligo dell’agente di attenersi alle disposizioni del preponente 18.
Particolare rilevanza hanno gli artt. 4 e 5, i quali regolarizzano la provvigione in maniera decisamente più strutturata del precedente accordo del 1935.
Quale elemento significativo dell’evoluzione della disciplina, assai importante è stata la convenzione in base alla quale è stato individuato il momento genetico del diritto alla provvigione19, anche se, a ben vedere, la
15 L’associazione all’art. 1742 comma 1 del cod. civ. è diretta. E’ evidente che già nel 1938 vengono confermai gli elementi di stabilità dell’attività, della zona determinata e promozioni nella conclusione dei contratti, novità quest’ultima, assente nell’accordo del 1935, in cui l’agente era colui che “concludeva” accordi, attribuendo, quindi, all’agente una sorta di rappresentanza diretta del preponente. Tuttavia questa rappresentanza è piena, e non può essere considerata come l’embrionale anticipazione di cui all’art. 1745 c.c., il quale prevede sì la rappresentanza diretta dell’agente, ma essa è ben distinta da quella piena di cui all’art. 1752 c.c., il quale prevede espressamente la possibilità di attribuire all’agente il potere di sottoscrivere in nome e per conto del preponente i contratti.
16 Elemento che contraddistinguerà l’agente da altre figure ad esso affini, come ad esempio il procacciatore d’affari.
17 L’ordinamento italiano ha recepito la disposizione dell’accordo con l’art. 1743 c.c
18 L’ordinamento italiano ha recepito la disposizione dell’accordo con l’art. 1746 c.c
19 Al primo comma si legge “l’agente o il rappresentante è pagato a provvigione sugli affari andati a buon fine”, considerando “buon fine” non l’esatto adempimento del terzo e bensì il risultato economico utile conseguito dal preponente attraverso l’attività dell’agente. Tale prima tesi, poi superara dalle successive modifiche dell’art. 1748, anche a seguito del recepimento della direttiva CEE del 1986, rinveniva nella contrattazione collettiva l’esaltazione degli aspetti più
maturazione delle parti sociali nel regolare la materia si può rilevare maggiormente nella regolarizzazione del comportamento che preponente e agente devono tenere in caso delle c.d. provvigioni indirette, ovvero di quelle postume20. Inoltre viene indicata, con minuzia, la tempistica di pagamento delle provvigioni21.
Un’articolazione più complessa e strutturata è prevista per l’indennità di preavviso e di risoluzione del rapporto (dall’art. 7 all’art. 11), elemento quest’ultimo che darà agli interpreti non pochi spunti di riflessione, in considerazione della non perfetta armonizzazione delle numerosi fonti regolative.
Con l’art. 12 veniva costituito, come già accennato sopra, l’ente nazionale fascista di assistenza per gli agenti e rappresentati di commercio, quello che poi diventerà l’attuale E.N.A.S.A.R.C.O.22
pratici e commerciali, e meno giuridici nell’intendere il “buon fine” quale esatto adempimento. Sotto tale luce, quindi, si può comprendere come, “buon fine” possa essere inteso qualsiasi utilità derivante dall’attività del preponente a seguito della conclusione del contrato. La dottrina contestuale e successiva esaltavano il diritto dell’agente ad ottenere la provvigione in relazione all’ammontare della somma incassata dal preponente. Su tale aspetto si veda X. XXXXXX “Del contratto di agenzia …” cit, pp. 131 – 132, ivi C. VIVANTE, “ Trattato di diritto commerciale”, Milano, 1929, I, p. 314; X. XXXXXX, “Il contrato di agenzia”, op. cit. p. 140.
20 La regolamentazione delle provvigioni indirette, ossia quelle effettuate direttamente dal preponente senza l’intervento dell’agente ma nella zona di esclusiva dell’agente stesso, e di quelle postume, ossia quelle spettanti all’agente successivamente alla risoluzione del rapporto, è indicata dagli ultimi due commi dell’art. 4.
21 Al’art. 5 si legge “Le provvigioni saranno liquidate almeno alla fine di ogni semestre con la spedizione all’agente o rappresentante del conto provvigioni e pagate entro i 60 giorni dall’approvazione del conto relativo”. E’ da osservare, comunque, che la nuova disciplina, a cui sui rimanda in seguito con specifica trattazione, non solo ha modificato in maniera assai più complessa il regime delle provvigioni ma ha condensato in le disposizioni che sin dal 1935 erano suddivise in due articoli, ossia il momento costitutivo del diritto a richiedere la provvigione e le modalità di pagamento da parte del preponente, in un unico articolo ossia l’art. 1748 c.c.
22 L’accordo del 1938 venne recepito con il Regio Decreto del 6 giugno 1939, n. 1305. Successivamente lo statuto del costituendo ENASARCO venne modificato dal D.p.R. n. 388 del 22 giugno 1949, poi con D.m. del 1aprile 1955 e del 12 agosto 1964. Ulteriori modifiche ci sono avute con il D.p.R. del 24 dicembre 1965 n. 1649 e con il D.P.R. n. 756 del 4 agosto 1971 venne approvato un nuovo Statuto. Con la legge n. 12 del 2 febbraio 1973 (regolamento approvato con Decreto Ministeriale 20 febbraio 1974) venne ridefinita la natura ed i compiti dell'Ente in particolare riguardo al trattamento pensionistico integrativo. Tale legge riveste particolare importanza in quanto rende obbligatori i versamenti contributivi, pur essendo finalizzati gli stessi a una previdenza integrativa. Il 30 giugno 1994, il decreto legislativo n. 509 ha decretato la privatizzazione dell'Enasarco.
La convenzione delle parti sociali non prevedeva unicamente l’istituzione dell’ente previdenziale, a cui l’agente doveva essere obbligatoriamente iscritto, ma anche il carico dei contributi che dovevano sostenere sia il preponente che l’agente, pari al 3% “sulle retribuzioni liquidate all’agente”. Nel medesimo articolo era prevista anche la destinazione di altri contributi ad un fondo che sarebbe intervenuto in caso di risoluzione del rapporto23.
I due accordi, quello del 1935 e del 1938, sono documenti di estrema importanza, non solo per il loro valore storico, ma soprattutto perché le norme ivi contenute rendono chiaramente idea del substrato giuridico e culturale che ha determinato le principali scelte del legislatore moderno24.
Gli accordi economici collettivi (A.E.C.) che si sono succeduti nel tempo sono le modifiche di quello del 30 giugno 1938, rimasto in sostanza invariato per 18 anni.
Successivamente alla caduta del partito fascista e venuto meno il regime corporativistico, ebbero fortuna i c.d. A.E.C. post corporativi che, pur non avendo ab origine forza di legge vennero resi atti “aventi il corpo del contratto ma l’anima della legge” grazie alla legge n. 741 del 14 luglio 1949 detta legge Xxxxxxxxx, la quale pur non attuando il disposto dell’art. 39
23 L’accordo prevedeva che in caso di risoluzione da parte del preponente i contributi versati avrebbero assorbito l’indennità prevista in caso di scioglimento senza giusta causa; mentre, in caso di risoluzione per colpa dell’agente il contributo versato dalla ditta sarebbe stato rimborsato a quest’ultima.
24 Tali accordi non sono mai stati abrogati, e comunque, come accennato il loro impianto, assorbito dalla disciplina legale ha comportato “ una virtuale ultrattività del complesso assetto normativo preesistente”, così X. XXXXXX, “ il contratto di agenzia” cit., p. 191. Di parere contrario X. XXXXXXXX - X. XXXXXXXXXX, “ il Contratto di Agenzia, artt. 1742 -1753”, in Comm. Cod. civ., dir,.
X. XXXXXXXX, Milano, 2002, p. 454, il quale afferma che gli AEC precedenti alle disposizioni di attuazione della direttiva Europea 653 del 1986, non siano stati esplicitamente abrogati, ma implicitamente abrogati, non solo ai sensi dell’art. 15 disp. prel che disciplina la successione delle leggi nel tempo, ma anche in relazione al divieto di qualsiasi pattuizione a svantaggio dell’agente, xxx rientrando anche gli AEC, qualora questi ultimi, come di fatto è accaduto, prevedono discipline più sfavorevoli rispetto alla legge.
Cost, ha di fatto reso applicabile erga omnes disposizioni convenzionali altrimenti aventi mera validità contrattuale.
Il 20 giugno 1956 venne stipulato un A.E.C. specifico per gli agenti operanti a favore delle aziende industriali, recepito erga omnes con il
D.P.R. del 16 gennaio 1961 n. 145, e il 13 ottobre 1958 venne stipulato l'A.E.C. per agenti operanti a favore di aziende commerciali, anche questo reso valido erga omnes con D.P.R. 26 dicembre 1960 n. 1842.
In seguito, la contrattazione collettiva seguì la ordinaria disciplina di diritto privato.
1.2.2) La contrattazione di tipo comune
Gli accordi collettivi stipulati successivamente al 1960 hanno valore privatistico25, ossia esplicano la loro efficacia solo nei confronti dei soggetti contraenti, a cui si sono associati il preponente e l’agente. Inoltre, l’efficacia delle clausole ivi segnate si producono anche quando le parti, indipendentemente che siano o meno collegate alle associazioni firmatarie, espressamente richiamano nei contratti individuali l’A.E.C. di riferimento26. Una svolta qualitativa importante è stata offerta alla contrattazione collettiva dagli A.E.C. 18 dicembre 1974 (industria) e 18 febbraio 1975 (commercio)27 che, prendendo atto della significativa giurisprudenza
25 Sulla funzione dei contratti collettivi X.XXXXXX, “La funzione giuridica del contratto collettivo del lavoro”, in Atti del congresso nazionale di diritto del lavoro”, III convegno nazionale, Xxxxxxx- Xxxxxx, 0 - 0 xxxxxx 0000, Xxxxxx, 1968, pp. 26 ss; X. XXXX “ La funzione della legge nella disciplina collettiva dei rapporti di lavoro”, Padova, 1980, anche richiamati da G. TRIONI, “ Del contratto di agenzia, art. 1742 – 1753” op cit., intr. pag. 20.
26 E’ prassi riconosciuta che il diretto richiamo nel contratto individuale alla disciplina del contratto collettivo individua la volontà delle parti dell’applicazione delle clausole indicate negli stessi AEC.
27 Gli AEC post corporativi di natura privatistica per il settore Industria sono stati quelli del 2 agosto 1965, 30 giugno 1969, 18 dicembre 1974, 19 dicembre 1979, 16 novembre 1988, 30 ottobre 1992 e 20 marzo 2002; mentre nel settore commercio sono stati sottoscritti di volta in volta nuovi accordi del 19 marzo 1964, 05 ottobre 1968, 27 novembre 1992, 26 febbraio 2002 e 16 febbraio 2009 integrato dal successivo accordo del 10 marzo 2010. Per il settore delle piccole e medie industrie facenti capo alla CONFAPI quelli del 28 febbraio 1975, 25 luglio 1979, 5 novembre
venutasi a formare, hanno arricchito gli accordi con una forma più organica e completa, quella forma che è la struttura di base sulla quale si lavora tutt'oggi e che costituisce il canovaccio degli ultimi.
Le modifiche del codice civile, introdotte per l'unificazione della disciplina del contratto di agenzia nella Comunità Europea a seguito della direttiva del 1986, hanno condotto anche la contrattazione collettiva a cambiare a più riprese al fine di non creare contrasti e cercare di offrire una disciplina il più possibile omogenea. Il primo e più immediato tentativo si è avuto con i cosiddetti "accordi ponte" del 199228, finalizzati a dare una disciplina organica e non contraddittoria all’indennità di fine rapporto, in relazione alla profonda innovazione del novellato art. 1751 del codice civile modificato dal d.lgs 303 del 1991.
Il provvedimento normativo, attuativo della direttiva europea 563 del 1986, come detto in precedenza, ha modificato le disposizioni in tema di indennità di cessazione del rapporto, abrogando, in sostanza, tutto l’apparato normativo e convenzionale precedente.
Al fine di risolvere i contrasti sorti in giurisprudenza in merito alla disciplina da applicare in relazione al calcolo ed alle modalità di erogazione dell’indennità di cessazione del rapporto di agenzia, in conseguenza della diversa impostazione dell’art. 1751 c.c. 29 e della disciplina collettiva, le parti sociali hanno stipulato nel 2009 per il settore commercio30 un nuovo A.E.C.
1992 e del 20 marzo 2002. Per il settore artigianato sono stati sottoscritti accordi il 22 giugno 1972, il 21 marzo 1984. Il 01 dicembre 1989, il 19 novembre 1992 e il 12 giugno 2002. Infine nel settore assicurativo si ci sono stato gli AEC del 3 dicembre 1963, del 12 febbraio 1970, del 25 giugno 1975, del 16 settembre 1981, del 28 luglio 1994 e del 23 dicembre 2003.
28 La risposta immediata della contrattazione collettiva si è avuta con l’accordo di Roma del 30 ottobre 1992.
29 Cfr infra
30 Integrato con un accordo del 20 marzo 2010, mentre per il settore industria si è in attesa di un AEC che superi le limitazioni di quelli del 2002.
La nuova contrattazione, non solo ha tenuto nel dovuto conto le soluzioni trovate dalla giurisprudenza interna, ma ha considerato di notevole importanza anche la sentenza della Corte di Giustizia Europea C-456/04 del 23 marzo 2006, la quale ha ribaltato l’orientamento della giurisprudenza italiana sull’applicazione degli A.E.C. 31
L’argomento è di particolare interesse e sarà oggetto di trattazione nel proseguo, in questa sede è solo il caso di ricordare che la sentenza citata sembra aver posto fine all’indeterminatezza venutasi a creare, tanto da spingere le parti sociali a dichiarare espressamente, nel primo accordo stipulato dopo la decisione della C.G.E., di adeguarsi alla direttiva comunitaria del 1986 ed alla normativa interna32 e ciò al fine di rendere applicabile le clausole inserite nella contrattazione collettiva.
31 La questione verteva, come accennato, su quale disciplina applicare, se quella prevista dalla normativa legale o convenzionale, ed in particolare in quale momento doveva effettuarsi. La Corte di Giustizia ha affermato “l’indennità di cessazione del rapporto che risulta dall’applicazione dell’art. 17, n. 2, della direttiva non può essere sostituita, in applicazione di un accordo collettivo, da un’indennità determinata secondo criteri diversi da quelli fissati da quest’ultima disposizione a meno che non sia provato che l’applicazione di tale accordo garantisce, in ogni caso, all’agente commerciale un’indennità pari o superiore a quella che risulterebbe dall’applicazione della detta disposizione” ed ha chiarito che la natura sfavorevole o meno della deroga alle disposizioni dell’art. 17, consentita dall’art. 19 prima della scadenza del contratto, “deve essere valutata al momento in cui le parti la prevedono. Queste ultime non possono convenire una deroga di cui esse ignorano se essa si rivelerà, alla cessazione del contratto, a favore ovvero a scapito dell’agente commerciale”. Pertanto secondo la Corte, una deroga “può essere ammessa solo se, ex ante, è escluso che essa risulterà, alla cessazione del contratto, a detrimento dell’agente commerciale”. Particolarmente importante è il chiarimento contenuto nel par. 28, dove viene precisato che la deroga sarebbe ammissibile “…per quanto riguarda l’accordo del 1992, nell’ipotesi in cui potesse essere dimostrato che l’applicazione di tale accordo non è mai sfavorevole all’agente commerciale, in quanto esso garantirebbe sistematicamente a quest’ultimo, alla luce di tutti i rapporti giuridici che possono essere instaurati tra le parti di un contratto di agenzia commerciale, un’indennità superiore o almeno pari a quella che risulterebbe dall’applicazione dell’art. 17 della direttiva”. Sul punto ci si tornerà in seguito.
32 Nell’A.E.C. del 2009 del settore Commercio, come indicato, l’art. 12, al fine di evitare questioni di nullità della clausola in contrasto con la legge, fa espresso riferimento alla direttiva europea “Art. 12 – Indennità di fine rapporto Con la presente normativa le parti intendono dare piena ed esaustiva applicazione all'art. 1751 Codice Civile, anche in riferimento alle previsioni dell’art. 17 della Direttiva CEE 86/653, individuando modalità e criteri applicativi. particolarmente per quanto attiene alla determinazione in concreto della misura dell'indennità in caso di cessazione del rapporto. A tal fine si conviene che l'indennità in caso di cessazione del rapporto sarà composta da tre emolumenti:
Oltre a quanto indicato per l’indennità di cessazione del rapporto di agenzia, ulteriori sono state le divergenze fra la contrattazione collettiva e la legge italiana ed in particolare si ricorda la superata clausola dello “star del credere”, la quale prevedeva la responsabilità dell’agente nel caso di inadempimento del cliente. Tale responsabilità è stata definitivamente abrogata con la legge n. 526 del 1999 33.
La dottrina si è interrogata sulla possibilità di affiancare la disciplina degli
A.E.C. a quella propria dei contratti collettivi in senso stretto, ossia quelli per i lavoratori subordinati, in riferimento alla possibilità della sostituzione automatica delle clausole dei contratti individuali con quelle dei contratti collettivi34 (rectius A.E.C.).
- il primo, denominato Indennità di risoluzione del rapporto, viene riconosciuto all'agente o rappresentante anche se non ci sia stato da parte sua alcun incremento della clientela e/o del fatturato, e risponde principalmente al criterio dell'equità;
- il secondo, denominato Indennità suppletiva di clientela, sarà riconosciuto ed erogato all'agente o rappresentante secondo le modalità di cui al successivo capo II. Anche tale emolumento risponde al principio di equità, e non necessita per la sua erogazione della sussistenza della prima condizione indicata nell’art. 1751, I comma, Codice Civile;
- il terzo, denominato "Indennità meritocratica" risponde ai criteri indicati dall'art. 1751 del Codice Civile, relativamente alla sola parte in cui prevede come presupposto per l'erogazione l'aumento del fatturato con la clientela esistente e/o l'acquisizione di nuovi clienti”.
33 Cfr supra alla nota 8.
34 G. TRIONI “ Del contratto di agenzia, 1742 -1753”, op .cit, tesi in precedenza esposta da medesimo autore in “Il contratto di agenzia”, 1994 op. cit.;sul punto anche M. NAPOLI il quale ha recensito “Del contratto di agenzia” di X. Xxxxxx, in RGDL, 2008, 4, p. 462. Si fa giustamente notare, che l’art. 2066 cod. civ. non è stato mai abrogato, ma semplicemente inapplicato in quanto la Corte Cost. chiamata a giudicare sulla legittimità costituzionale dell’art. 43 del d.l.l. n. 369 del 1944, rigettando la domanda del giudice A quo ha affermato che l’articolo non dette mai efficacia di legge ai contratti corporativi, che non potevano assolutamente abrogare o derogare una legge ordinaria, essendo fonti di diritto di rango inferiore a queste ultime, ma semplicemente riconobbe la loro validità, equiparandoli agli accordi o contratti di diritto comune, i quali possono sempre modificarli. (Cort. Cost. n. 1 de 12 febbraio 1963, ripresa anche in Cort. Cost. n. 63 del 11 aprile 1963 “Notoriamente i contratti collettivi, come gli altri atti normativi previsti nell'art. 5 delle disposizioni sulla legge in generale, non ebbero forza di legge nel sistema in cui sorsero, tanto che non potevano derogare neanche alle disposizioni imperative dei regolamenti (art. 7 delle disposizioni sulla legge in generale). Caduto questo sistema, il decreto legislativo luogotenenziale 1944 n. 369 (art. 43) non dette forza di legge alle norme corporative, ma si limitò a mantenere inalterata la loro originaria efficacia: non "legificò" tali norme, ma riconobbe agli atti che le avevano poste la permanenza dell'antico vigore. Non a caso nuovi contratti collettivi possono "modificarle" con effetto per gli iscritti alle associazioni che li stipulino: ciò proprio in virtù dello stesso decreto legislativo luogotenenziale 1944, n. 369, che verosimilmente non lo avrebbe consentito se avesse inteso attribuire forza di legge all'insieme delle norme corporative mantenute in efficienza; rispetto alle quali pertanto non si possono sollevare questioni di legittimità
La questione riguardava il fatto di una possibile equiparazione fra il dispositivo di cui all’art. 2066 cod. civ. e l’art. 2077 cod. civ.
La critica maggiore avverso tale tesi35 viene riscontrata nel fatto che, mentre l’art. 2077 cod. civ. fa salve le disposizioni più favorevoli al lavoratore, l’art. 2066 cod. civ. prevede un’automatica sostituzione di tutte le clausole difformi.
Tuttavia, le parti sociali, perseguendo il fine ultimo della tutela dell’agente, considerato parte debole della contrattazione, hanno disposto una specifica clausola salvifica degli accordi individuali più favorevoli. Di ciò sono un esempio l’art. 18 dell’A.E.C. del 16 febbraio 2009 nel settore commercio, e l’art. 17 dell’A.E.C. del 20 marzo 2002 settore industria.
Tuttavia il concetto di clausola non può limitarsi unicamente al significato letterale, nel senso della singola clausola legata alla disciplina di un istituto, ma deve essere intesa nella sua totalità, ossia dell’intero istituto.
In altre parole, nel caso l’accordo individuale disciplinasse una parte del contratto in maniera difforme dall’insieme di clausole indicate all’interno dell’A.E.C. per il medesimo istituto ( ad esempio le modalità di rinnovo del contratto a termine) esse devono essere considerate nella loro totalità così come indicato all’articolo dell’AEC di settore, non potendo, invece tenere per buone unicamente le clausole più favorevoli rispetto all’articolo dell’A.E.C., e sostituire le altre36. Quindi sarà l’intera disciplina dell’istituto indicato dall’ A.E.C. ad applicarsi, salvo, ovviamente, valutare se di fatto tale disciplina sia effettivamente più favorevole di quella del contratto individuale37.
costituzionale”). Si veda anche A ANGELELLI “Legittimità costituzionale degli accordi economici corporativi e loro modificabilità”, in RDL, 1958, 1, p. 121
35 Di parere contrario XXXXXXXX – TOFFOLETTO “ Il contratto di agenzia”, 2002, cit. pagg. 91 -95.
36 Così come avviene per il CCNL
37 Un altro esempio può essere quello del preavviso, in cui nel contratto individuale venga indicato un periodo più lungo ma un base di calcolo inferiore rispetto a quella prevista dall’A.E.C. In
1.2.3) Esclusione dell’applicazione della contrattazione collettiva di diritto comune
L’applicazione della contrattazione collettiva di diritto privato, a differenze di quella avente forza cogente di disciplina pubblica, come per i contratti corporativi e post corporativi, prevede che se le parti del contratto individuale non appartengono a nessuna delle associazioni firmatarie, esso non vincola le parti contraenti dell’accordo individuale a rispettarlo.
Questo impedimento può essere superato o dal semplice richiamo nel contratto individuale alla disciplina contenuta nell’accordo collettivo attraverso una adesione esplicita a quest’ultimo, oppure, nel caso in cui la casa preponente abbia sempre applicato in precedenza l’A.E.C. di settore senza che ciò sia mai stato contestato.
Alcune difficoltà possono rinvenirsi nel caso in cui il richiamo avvenga tacitamente ovvero implicitamente per fatti concludenti. In tale occasione la giurisprudenza ha sempre ritenuto che vi fosse un’adesione tacita alle previsioni indicate nella contrattazione collettiva nella sua totalità 38.
Parte della dottrina, tuttavia, ritiene che alcuni comportamenti che il preponente ritiene dovuti per legge non possano configurare una volontà di
questo caso sarà sempre necessario, per una eventuale richiesta di sostituzione quale delle due sia effettivamente più vantaggiosa per l’agente.
38 L’applicazione o meno dei disposti indicati dalla contrattazione collettiva non è lasciata unicamente agli aderenti delle associazioni sindacali firmatarie ovvero delle associazioni dei preponenti, o a coloro che richiamo per relationem , nel contratto individuale, la disciplina del contrato collettivo, ma anche a coloro che abbiano in precedenza utilizzato gli stessi AEC e che successivamente non ne abbiano posto in discussione la validità. Molte sono le pronunce giurisprudenziali che hanno espresso tale così Xxxx. 14 gennaio 1999 n. 368 e 369, in Mass. GI. 1999, 38 e 39; Cass. 11 novembre 1988, n. 6114, in Mass. GI, 1988, col 41. L’interpretazione offerta dalla giurisprudenza di legittimità è stata seguita anche da quella di merito come in T. Genova 1 aprile 2004, n. 312, in Agenti e Rappresentanti, 2004, 4, p. 22. L’equiparazione con la teoria dell’adesione implicita del lavoro subordinato in riferimento alla contrattazione collettiva è inevitabile, si veda Cass. S.U. 26 marzo 1997, n. 2665, in Giur. It, 1998, col 916, con nota. X. XXXXXXX, “ Le sezioni unite sui criteri di applicazione del contratto collettivo di diritto comune e retribuzione proporzionata sufficiente”. Anche X. XXXXXXXX, “ Agenti e rappresentanti”, Milano, 2012, p.45.
aderire alla disciplina della contrattazione collettiva, ritenendo la condotta del preponente non supportata da una piena consapevolezza. 39
Tale conflitto è stato superato dall’A.E.C. del commercio del 16 febbraio 2009, in cui, nelle premesse, considera la disciplina contenuta nello stesso
A.E.C. quale “complesso normativo unitario ed inscindibile”, ammettendo, quindi, l’applicazione anche implicita della contrattazione collettiva40. Ovviamente possono esserci casi in cui una sola delle parti sia iscritta ad una delle associazioni firmatarie degli A.E.C., ovvero che le stesse parti siano iscritte ad associazioni firmatarie di accordi differenti, in tal caso si applica la disciplina dell’A.E.C. dell’associazione a cui è iscritto il preponente.
Qualora l’agente contesti l’applicazione dell’A.E.C., perché ritiene che il proponente, ad esempio, svolga attività industriale e non commerciale, egli avrà sempre il diritto di far applicare l’A.E.C. che ritiene più idoneo, onerandosi, in caso di giudizio, della prova41.
Ma mentre non si rilevano difficoltà ad individuare la volontà delle parti in merito all’applicazione tacita degli A.E.C. quando gli agenti sono persone fisiche, problemi sorgono per gli agenti che svolgono la propria attività in forma societaria.
39 In tale ottica XXXXXXXXXX - XXXXXXXXX “ Il contratto di agenzia commerciale”, op. cit., pp. 15 ss., in cui si afferma che il versamento dell’indennità di scioglimento al FIRR non possa determinare se la decisione dei versamenti è stata presa unilateralmente dal preponente il quale la riteneva come norme legale e non convenzionale sul punto richiama App. Torino Filtura Guglierimino S.p.A. contro Gugliermino Filati S.r.l., in Giur. Piem. 2001, p. 412. Tuttavia, tale circostanza non può far venire meno l’intenzione di un’applicazione tacita in quanto, sebbene il versamento venga effettuato unilateralmente da parte del preponente, a quest’ultimo non vi si è opposto l’agente, nel quale si ingenera l’aspettativa che il preponente abbia aderito alla disciplina della contrattazione collettiva.
40 A. VENEZIA, appendice a “Il contratto di Agenzia, la concessione di vendita, il franchising”, Milano, 2011, pag. 2.
41 Secondo SARACINI – TOFFOLETTO “ Il contratto di agenzia” op. cit 2002, p. 94, ai fini dell’applicabilità degli A.E.C. di diritto comune, conta solo la circostanza che il proponente sia iscritto alle associazioni stipulanti.
Prima del 2002 la possibilità dell’applicazione delle norme contrattuali anche per le società veniva ammessa solamente nel caso in cui la stessa società svolgesse esclusivamente attività di agenzia, a tale scopo era sufficiente che l’attività di agenzia fosse indicata nell’oggetto sociale.
Tuttavia poteva capitare che la società non svolgesse esclusivamente attività di agenzia commerciale e che nel proprio oggetto sociale venissero indicate altre attività. L’assenza dell’esclusività dell’attività di agenzia non permetteva, quindi, l’applicazione automatica dell’A.E.C., a meno che nell’accordo individuale non vi fosse un espresso richiamo a quest’ultimo per relationem.
Successivamente il carattere dell’esclusività è stato stemperato dal carattere delle prevalenza e ciò ha permesso alle società di poter indicar nell’oggetto sociale anche attività strumentali e correlate a quella principale di agenzia. Sono, poi, gli stessi A.E.C. ad escludere espressamente quando gli istituti disciplinati non possono applicarsi all’agente in forma societaria.
Esemplificativo è il caso della stipulazione del patto di concorrenza post contrattuale che non può applicarsi alle società di capitali, se non nel caso in cui quest’ultima abbia un unico socio 42 .
Anche in questo caso è evidente l’intento sociale dell’A.E.C. che cerca sempre di tutelare il contraente più debole, ossia l’agente che opera personalmente alla stregua del lavoratore parasubordinato.
Per mera applicazione logica agli agenti in forma societaria non possono applicarsi le clausole relative alla cessazione del rapporto per pensionamento o invalidità dell’agente, requisiti che, ovviamente, si riferiscono esclusivamente alle persone fisiche.
42 Si richiamano sul punto, in tema di patto di non concorrenza post contrattuale: art. 8 ultimo comma A.E.C. Commercio 16 febbraio 2009; art. 14 comma 1, A.E.C. Industria 20 marzo 2002.
Un caso assai discusso di esclusione dalla disciplina collettiva ha riguardato il c.d. agente abusivo o di fatto.
Sin dal periodo corporativo è stato istituito presso le varie camere di commercio un apposito ruolo per gli agenti di commercio. Tale ruolo mirava, non solo a tutelare la categoria, ma anche a offrire ai vari agenti iscritti una sorta di “pubblica fede” finalizzata ad agevolare l’affidamento dei terzi che venivano in contatto con l’agente medesimo.
Lo stesso legislatore con la legge n. 316 del 12 marzo 1968, sostituita dalla
L. 204 del 3 marzo 1985, ha ritenuto non valido il contratto stipulato con l’agente non iscritto al ruolo, con una implicita conseguenza sulla impossibilità del contratto di produrre effetti.
Tuttavia, e lo si vedrà fra poco, a seguito dell’evoluzione giurisprudenziale e dell’intervento della Corte di Giustizia Europea, gli A.E.C. più recenti saranno applicabili anche agli agenti di fatto.
Solo ultimamente, ossia con il d.lgs 26 marzo 2010, n. 59, attuativo della direttiva comunitaria n. 123 del 2006, è stato soppresso il ruolo, rendendo sufficiente per l’esercizio della professione d’agente la mera iscrizione alla camera di commercio43.
1.3) Le fonti sovranazionali
Come richiamato in precedenza, la disciplina del contratto di agenzia è stata “uniformata” dal legislatore europeo con la direttiva n. 653 del 18 dicembre
43 “Art. 74. Per l'attività di agente o rappresentante di commercio e' soppresso il ruolo di cui all'articolo 2 della legge 3 maggio 1985, n. 204.
L'attività di cui al comma 1 e' soggetta a dichiarazione di inizio di attività da presentare alla Camera di commercio, industria, artigianato e agricoltura per il tramite dello sportello unico del comune competente per territorio ai sensi dell'articolo 19, comma 2, primo periodo, della legge 7 agosto 1990, n. 241, corredata delle autocertificazioni e delle certificazioni attestanti il possesso dei requisiti prescritti”.
1986, in considerazione dell’eterogeneità della stessa disciplina in tutta Europa.
La Comunità europea si è trovata nella necessità di dare una guida uniforme in quanto, aperte oramai le frontiere e prospettato il dinamismo del commercio impossibile da rilegare ai confini nazionali degli stati consociati, gli agenti potevano liberamente muoversi in tutto il territorio comunitario al fine di procacciare clienti alle case mandanti.
In particolare la direttiva si prefigurava di garantire una sorta di uniformità della disciplina al fine di evitare situazioni fraudolente che potessero intaccare la normale concorrenza rendendo il ricorso al rapporto di agenzia più oneroso in alcuni stati che in altri. Il provvedimento comunitario ha perseguito la propria finalità attraverso la positivizzazione del principio del favor nei confronti dell’agente e attraverso l’indicazione dei principali elementi che devono essere inseriti nel contratto di agenzia. Lo sforzo di offrire uno schema il più possibile completo di contratto, mirava a facilitare i rapporti intercomunitari per la redazione di contratti di agenzia per i differenti stati membri44
In Italia la direttiva è stata recepita con il d.lgs 303 del 1991, al quale è dovuto succedere il d.lgs n. 65 del 1999 al fine di correggere la legislazione interna, essendo stata l’Italia sanzionata per il mancato rispetto della direttiva 45.
44 La Direttiva recita alla premessa al capo 2 “considerando che le differenze tra le legislazioni nazionali in materia di rappresentanza commerciale influenzano sensibilmente all'interno della Comunità le condizioni di concorrenza e l'esercizio della professione e possono pregiudicare il livello di protezione degli agenti commerciali nelle loro relazioni con il loro preponente, nonché la sicurezza delle operazioni commerciali; che d'altro canto, tali differenze sono di natura tale da ostacolare sensibilmente la stesura ed il funzionamento dei contratti di rappresentanza commerciale tra un preponente ed un agente commerciale, stabiliti in Stati membri diversi”
45 In data 24 settembre 1996, la Commissione europea ha avviato una procedura di infrazione a carico dell’Italia per l’incompleta attuazione della Direttiva n. 86/653, invitando il legislatore ad adottare le misure nel termine di 60 giorni dalla notifica del parere motivato, emesso in data 13 luglio 1998, ai sensi dell’art. 169, comma 2 del Trattato Ce.
Le difficoltà del corretto recepimento della direttiva sono state individuate nel previgente asseto legislativo e contrattuale, non rispondenti appieno alle disposizioni comunitarie.
Un’ulteriore difficoltà è da individuarsi nell’atto posto in essere dalla Comunità europea, ossia la direttiva, cha a differenza del regolamento non è un provvedimento self executing.
Le direttive emanate dalla Comunità europea, infatti, non sono applicabili direttamente allo stato aderente, ma necessitano sempre di una legge interna che ne dia applicazione. Premesso ciò, quindi, è possibile che la normativa europea, la quale deve essere recepita dagli stati membri e che su di essi ha autorità46, si scontri con le disposizioni precedenti già in vigore nello stato destinatario.
In tale circostanza vi sono due modi diversi di applicazione della direttiva: in caso in cui la disciplina interna sia poco chiara e quindi soggetta ad interpretazione per la sua applicazione, i giudici nazionali dovranno interpretare la norma interna in maniera comunitariamente orientata; invece, nel caso in cui la disciplina interna non possa essere piegata secondo i canonici criteri ermeneutici al fine di seguire quanto indicato nel provvedimento comunitario, in considerazione della chiarezza delle disposizioni, si è chiesto se i giudici nazionali possano, una volta rilevato il contrasto, o disapplicare la norma interna applicando automaticamente la direttiva, oppure sollevare una questione incidentale avanti alla Corte di Giustizia Europea aspettando un dispositivo che imponga l’adattamento al paese inadempiente.
Dato che la direttiva n. 653 del 1986 è un disposizione comunitaria non self executing, in quanto non offre una disciplina specificamente dettagliata, ma indica il risultato a cui lo Stato di destinazione del provvedimento deve
46 Art. 05 Trattato di Roma del 1957 di istituzione della Comunità Economica Europea.
arrivare, è necessario rilevare che la direttiva è sempre da considerarsi quale provvedimento diretto a regolare i rapporti tra la Comunità europea e lo stato di destinazione, non avendo alcuna influenza sui rapporti tra soggetti privati.
Quindi il rapporto “obbligazionale” (soggezione/vincolatività) è di tipo verticale 47, ossia fra Stato e Comunità europea e non di tipo orizzontale48, ossia tra soggetti privati a cui sono indirizzate in via indiretta le regole della normativa comunitaria.
Chiaro esempio di questa problematica si è avuta in Italia con la figura dell’agente abusivo, ossia non iscritto all’albo professionale.
Infatti, la direttiva comunitaria si è scontrata con l’applicazione della L. 204 del 3 maggio 1985, ed in particolare con l’art. 9 49 in cui si affermava il divieto di esercizio dell’attività con i soggetti non iscritti nell’apposito albo, decretando la nullità dei loro contratti ai sensi dell’art. 1418 c.c. per
47 La Sentenza del 13 novembre 1990, Marleasing S.p.A. La commercial Internazional de Alimentation, causa n. 106/1989, offre un chiarissimo esempio sulle modalità in tema di “efficacia diretta” delle direttive comunitarie, tale da concludersi con l’esplicazione della teoria degli effetti verticali. Per un approfondito studio della sentenza X. XXXXX “La sentenza Marleasing: l'obbligo per il giudice nazionale di interpretare la normativa nazionale, nell'area coperta dalla direttiva inattuata, alla luce della lettera e degli scopi della direttiva stessa”, in Associazione per gli Studi e le ricerche parlamentari (Quaderno n. 2),Milano, 1992, pagg. 243-268. Per una maggiore trattazione dottrinale si rinvia a X. XXXXXXX “ Norme contenute in direttive comunitarie inattuate e loro applicabilità ai singoli”, in Riv. Dir. Internaz., 1989, 1, pp.253 e ss., dello stesso autore “Inopponibilità ai singoli di direttive non tempestivamente attuate e loro rilevanza nell’interpretazione del diritto nazionale” in Giust. Civ, 1989, 1, pp. 3 ss; “L’estensione della
«teoria dell’effetto diretto» alle raccomandazioni C. e.c. a. : le sue conseguenza in un caso di fallimento”, in GC 1991, 1, pp. 524 ss; si veda X. XXXXXX “L’efficacia diretta delle direttive Cee nella giurisprudenza della Corte di giustizia della Corte costituzionale”, in FI, 1991,1, pp 145 - 146; anche il tema dell’efficacia verticale delle direttive è stato affrontato anche da D. CHAPELLU, “Disciplina contrattuale collettiva delle deroghe in tema do orario di lavoro e limiti all’efficacia delle direttive non trasposte”, in RIDL, 2011, 2, pp. 480 – 494.
48 Si veda CGE Xxxxxxxx, Sentenza 26 Febbraio 1986, Causa 152/84, in FI., Rep.1986, voce Comunità europee, n. 204, ha categoricamente escluso l’applicazione orizzontale fra i soggetti privati dello Stato comunitario. Si è riscontrato un isolato caso di applicazione orizzontale di una direttiva europea ossia Pretura Lecco 29 febbraio 1996, in XX, 0000, 4, pag. 671.
49 Di cui il precedente storico era la legge del 12 marzo 1968 n.316. L’unica modificazione apportata dalla novella è stata il mutamento dell’ammenda a sanziona amministrative.
contrarietà a norme imperative 50. Ciò determinava, da un punto di vista pratico, che al momento di pagare le provvigioni all’agente abusivo, il preponente eccepisse la nullità del contratto di agenzia esimendosi dal pagamento, in quanto non dovuto51, con conseguenze decisamente ingiuste nei confronti dell’agente.
Dibattute in dottrina52 e giurisprudenza sono state le azioni perseguibili dall’agente abusivo al fine di ottenere quanto dovuto. Le principali tesi, di stampo squisitamente civilistico sono state diverse, prima fra tutte si è cercato di individuare se l’attività posta in essere dall’agente abusivo potesse avere i requisiti di “sostanza e forma” di un diverso contratto rispetto quello nullo ai sensi dell’art. 1424 cod. civ., rinvenendo nel procacciamento d’affari53 il contratto “alternativo”. Tale tesi è stata in prima istanza accolta dalla giurisprudenza54, la quale, successivamente, ha individuato una debolezza nel fatto che la conversione sarebbe ammessa solamente nel caso nel caso in cui le parti, qualora avessero conosciuto in
50 Cass. S.U. 12 novembre 1983, n. 6730, in Mass. GL., 1984, 2, pp. 383 e ss, con nota di X. XXXXXXXX, “Le sezioni unite e l’agente abusivo”
51 Secondo il brocardo Quod nullum est nullum producit effectum.
52 X. XXXXX “ Agenti di commercio non iscritti al ruolo e diritto alla provvigione”, in Giur. Comm,1979, II, pp. 1054 e ss.; dello stesso autore “ L’agente non iscritt al ruolo e la varietà della Cassazione”, in Mass. GL , 1983, 2, pp. 598 e ss.; P. XX XXXXX , “L’agente non iscritto al ruolo: il diritto delle provvigioni nella giurisprudenza”, in Resp. Civ. , 1987, pp. 604 e ss; X. XXXXXX “Agenti non iscritti al ruolo e compenso per l’attività” in Giur. It., 1988, I, pp. 61 e ss.; X. XXXXXXXX “ Quali speranze per l’agente abusivo?” in DPL, 1989, 4, pp. 1348 ss; ” X. XXXXXXXXX “ Ancora in tema di applicabilità dell’art. 2126 c.c. al piccolo agente abusivo”, in DL, 1983, II, pp. 195 e ss; X. XXXXXXXXX, “Ancora in tema di agente di fatto”, in AC, 1993, I, pp. 569 ss; X. XXXXXXX “Tardiva iscrizione al ruolo dell’agente di commercio e nullità del contratto di agenzia”, in GC, 1993, I, pp. 52 e ss.; X. XXXXXXXXXX, la Terza , “La direttiva comunitaria e la nuova normativa codicistica sul rapporto di agenzia; armonie e contrasti” in RCDL, 1994, 1, pp. 435 ss. X. XXXXXXXX “ Il contratto di agenzia”, Milano, 2008, pp. 14 – 17.
53 X. XXXXX “ Il contratto di agenzia – la concessione di vendita – il franchising”, 1992, Milano, pp. 302 e ss; X. XXXXXXXX “Agenti e Rappresentanti: la mancata iscrizione al ruolo” , in DPL , 1988, 5, pp. 1620 ss.; X. XXXXXXXX, “ Agenti di commercio abusivi e ripetizione dell’indebito” in Il rapporto di agenzia. Profili di diritto interno e comunitario in Atti del Convegno del Centro nazionale studi di diritto del lavoro “Xxxxxxxx Xxxxxxxxxx”, Fermo, 11 giugno 1988, Xxxxxx, 0000, pp. 116 e ss.
54 T. Milano 30 novembre 1978, in Giur. Comm., 1978, II, pp. 1053 e ss.; Pret. Parma, 16 ottobre
1989, in Resp. Civ. Prev., 1990, pp. 197 e ss. Contra Cass. S.U. 12 novembre 1983, n. 6729, in
Giust. Civ., 1984, I, pp. 1546 e ss, confermata da Xxxx. S.U. 3 aprile 1989, n. 1613.
principio la nullità del contratto, avrebbero posto in essere il contratto di cui sarebbe stata ammessa per “sostanza e forma” la stipulazione, ed era ovvio che sicuramente una delle parti (il preponente) ne era a conoscenza. Inoltre, la difficoltà di discernere il rapporto di agenzia dal procacciatore d’affari, figure assai simili ma non identiche, ha determinato la presunzione che le parti, indipendentemente dall’elemento qualificante, potessero porre in essere un mezzo per eludere norme imperative55.
Un’altra tesi riteneva applicabile la disposizione di cui all'art. 2126 c.c., facendo leva soprattutto sul fatto che la predetta norma avrebbe acquistato, a seguito dello sviluppo della sensibilità sociale, una portata più vasta rispetto a quella originaria (limitata al solo lavoro subordinato), in conformità alla tendenza espansiva del diritto del lavoro e all'esigenza di tutela del lavoro "parasubordinato" sullo stesso piano di quello subordinato in senso proprio. A sostegno di questa tesi sono stati valorizzati alcuni indici legislativi e giurisprudenziali ed è stato invocato l'art. 35, comma 1, Cost.
L’applicazione dell’art. 2126 c.c., infatti, salvava gli effetti del contratto nullo limitatamente al periodo della propria esecuzione, ed in pratica permetteva di far godere all’agente abusivo i medesimi diritti dell’agente iscritto all’albo 56.
E’ interessante notare lo sforzo della giurisprudenza che ha tentato di individuare i criteri giustificativi per far prevalere l’applicazione ora di una, ora dell’altra delle teorie formulate.
55 G. TRIONI “ Il contratto di agenzia”, 1994, op. cit. pag. 53 - 54
56 Solitamente la Cassazione è sempre stata rigida sul punto, soprattutto quando l’agente era costituito in forma societaria, si veda Xxxx. 27 febbraio 1998, n. 2157, prediligendo disciplinare ai sensi del’art. 2126 cod. civ. l’agente persona fisica come in Cass. 10 gennaio 1990, n. 14. Apprezzabile per la dissertazione volta a distinguere norme eccezionali da norme speciali, per cui la seconda può essere applicata in xxx xxxxxxxxx, x xxxxx xxxxxxxxxxx xxx xxxxxxxx di agenzia. In particolare il giudice ha ritenuto speciale la norma contenuta nell’art. 2126 applicabile al rapporto di parasubordinazione come quello di agenzia. Pretura Pisa, 8 gennaio 1980, in GI, 1981, I, 2, pp. 456 ss. Poi ripresa anche da Xxxx. 23 maggio 1987 n. 4681.
A risolvere i vari contrasti si sono espresse anche le Sezioni Unite con le famose pronunce n. 6729 e 6730 del 12 novembre 1983, con le quali si è negato l'applicabilità dell'art. 2126 cod. civ. al contratto di agenzia stipulato da chi non fosse iscritto al ruolo.
Le Sezioni Unite hanno respinto l’applicazione dell’art. 2126 cod. civ. sul duplice rilievo dell'illiceità della causa del contratto di agenzia (illiceità che per espressa previsione dell'art. 2126 cod. civ. impedisce che si producano gli effetti indicati dalla norma stessa) e della natura di norma eccezionale propria della disposizione richiamata (come tale non applicabile, analogicamente, a rapporti diversi da quelli di lavoro subordinato).
Tuttavia, la pronuncia delle Sezioni Unite non ha posto fine al contrasto insorto in riferimento alla possibilità da parte dell’agente abusivo di ottenere il proprio compenso 57.
La maggior critica mossa alla pronuncia delle Sezioni Unite è stata la diversa concezione del contratto stipulato con l’agente abusivo, che sarebbe illegale e non illecito con la diversa applicazione dell’art. 1418, in quanto nel primo caso il contratto sarebbe nullo non per un vizio dell’oggetto o della causa (comma 1) ma semplicemente perché contrario a norme imperative (comma 2).
Esclusa l'illiceità della causa o dell'oggetto del contratto stipulato dall'agente abusivo ed accertata la mera illegalità, la S.C. ha superato l'ulteriore ostacolo frapposto dalle S.U. alla piena applicazione dell'art. 2126 cod. civ.
57 Cass 23 maggio 1987 n. 4681, respingendo recisamente quanto affermato dalle precedenti S.U. ha ritenuto applicabile l’art. 2126 affermando "di non poter condividere l'identificazione nel contratto illegale perché contrario a norme imperative (art. 1418, 1° comma C.C.) di una situazione di contratto con causa illecita perché contraria a legge cogente e proibitiva (art. 1343 C.C.), operata nelle suddette decisioni delle S.U., e di dover invece conservare la distinzione, nell'ambito della categoria del contratto illegale, di una sottocategoria rappresentata dal contratto illecito, che è tale (x. Xxxx. S.U. n. 63-1973) quando illecito sia l'oggetto ovvero illecita sia (art. 1343) o si reputi per legge (art. 1344) la causa, ovvero illecito sia il motivo comune e determinante (art. 1345 C.C.)".
Le S.U. avevano rilevato che l’art. 2126 cod. civ. sia una norma eccezionale riferita unicamente al lavoro subordinato, quindi non applicabile per analogia agli altri rapporti di lavoro, fra cui quello parasubordinato o di collaborazione.
Dal canto suo, la Corte di Cassazione a sez. semplici, rigettando tale impostazione, ha affermato che la norma è una norma speciale e può essere divisa in due parti, ritenendo non eccezionale la parte integrante il nucleo “restitutorio”, il quale garantisce al lavoratore l’equivalente della prestazione.
Circoscritta agli effetti restitutori la norma va dunque analogicamente applicata anche ai rapporti di parasubordinazione, a tale scopo la S. C. richiama l’art. 35 Cost. il quale non è rivolto unicamente a lavoratore subordinato ma a tutti lavoratori.
La pronuncia della Sezione Lavoro è un chiaro esempio della difficoltà e soprattutto dell’eterogeneità di tesi che si sono venute a creare sul punto, tanto che solo un anno dopo la Suprema Corte è ritornata sui suoi passi rifiutando l’applicazione dell’art. 2126 cod. civ.58
Per comporre il contrasto ingeneratosi sull'argomento, sono nuovamente intervenute le Sezioni Unite che, con la sentenza n. 1613 del 3 aprile 1989, hanno confermato l’orientamento precedente e quindi l’esclusione dell’applicazione analogica dell’art. 2126 cod. civ. nei confronti dell’agente
58Con la pronuncia n. 2893 del 12 aprile 1988, la S.C., pur riconoscendo che la nullità del contratto stipulato dall'agente abusivo discende da illegalità e non da illiceità, ha negato l'operatività dell'art. 2126 c.c., che "avendo natura di disposizione eccezionale, derogatoria dell'art. 1418 c.c., riguarda soltanto il lavoro subordinato", affermando il carattere eccezionale della norma che, tuttavia, non può essere divisa, ma deve essere considerata unitaria non potendo individuarsi un «nucleo restitutorio», che regolerebbero i soli aspetti economici del rapporto e sarebbe estensibile per analogia a rapporti diversi da quello di lavoro subordinato, ed una parte riguardante gli «effetti diversi» alla quale soltanto potrebbe essere attribuita natura derogatoria dei principi generali sulla nullità dei contratti. Sulla disciplina dell’art. 2126 si rimanda a M. DELL’OLIO, “La prestazione di fatto del lavoro subordinato”, Padova, 1970; X. XXXXXXXXX “Contenuto ed effetti del contratto di lavoro”, Napoli, 1974; X. XXXXXXXX “Art. 2126” in Comm. Cod. Civ, cur. CENDON, Torino 1991, 489 ss, XXXX XXXXXXXX “ I rapporti di fatto con particolare riguardo al rapporto di lavoro”, Padova, 1964.
abusivo, ritenendola norma eccezionale in riferimento al lavoro subordinato e quindi non soggetta ad interpretazione analogica.
Tale argomento è stato anche fatto proprio dalla stessa giurisprudenza di legittimità che ha escluso l’applicazione dell’art. 2231 cod. civ. in riferimento alla disciplina dell’esercizio abusivo della professione intellettuale59.
La pronuncia del 1989, inoltre, esplicitamente ha richiamato quell’orientamento secondo cui l'agente non iscritto nel ruolo non ha diritto alle provvigioni relative all'attività espletata, ma può agire nei confronti del preponente soltanto ai sensi dell'art. 2041 c.c. per arricchimento senza causa60.
Questa, infine, è stata la tesi che verrà seguita dalla giurisprudenza maggioritaria61 fino al 1999, anno in cui la Corte di Giustizia Europea, con la famosa sentenza Xxxxxxx, ha superato ogni difficoltà sulla nullità o meno del contratto stipulato dall’agente abusivo62.
59 Cass. 13 novembre 1991, n. 12093; Cass. 12 dicembre 1990 n. 11814.
60 Inoltre, in riferimento alla possibilità dell’azione ai sensi dell’art. 2041 cod. civ., la c.d. actio de in rem verso, come sottolineano le Sezioni Unite, non necessita di formule sacramentali o riferimenti formali, necessitando solo di alcuni elementi sostanziali: l'arricchimento di un soggetto, la diminuzione patrimoniale di un altro, il nesso di causalità fra i due elementi e la richiesta di risarcimento, tutti facilmente provabili dall’agente.
61 Fra molte Cass. 19 agosto 1992, n. 9675, in FI, 1993, I, pag. 428 ; Cass. del 04 novembre 1994,
n. 9063, in Mass. GC, 1994, 11 di cui si riporta il principio di diritto “ E’ nullo, ai sensi dell’art. 1418 c.c., il contratto di agenzia commerciale stipulato con un soggetto non iscritto nel ruol degli agenti e rappresentanti di commercio, per violazione della noma perativa di cui all’art. 9 legge 204 del 1985, non derogabile da parte dei contraenti, in quanto rivolta alla protezione non solo degli interessi della categoria professionale degli agenti, ma degli interessi generali della collettività. Pertanto l’agente di commercio non iscritto nel ruolo non può agire con l’azione contrattuale per conseguire le provvigioni relative all’attività espletata, né sono applicabili al caso gli artt. 2231 e 2126 c.c. norma quest’ultima riguardante il solo rapporto di lavoro subordinato, non suscettibile di interpretazione analogica per il carattere eccezionale. Devono trovare applicazione, invece i principi in materia di prestazioni non dovute di fare, riconoscendosi all’agente la possibilità nei confronti del preponente ex art. 2041 c.c. con l’azione di arricchimento senza giusta causa, ovvero di invocare la conversione del contratto di agenzia nullo in un contratto atipico di procacciamento di affari o di mediazione, ricorrendone gli estremi e di conseguire il compenso per l’opera svolta in relazione a detti contratti”. La stessa pronuncia si trova anche in Contratti, 1995, con nota X. XXXXXXXXXXXXXX, “L’agente di fatto”, pp.172 e ss.
62 X. XXXXXXXXXX, “ Contratto di agenzia e mancata iscrizione nel ruolo dei rappresentanti e degli agenti di commercio: effetti civilistici- il ruolo della nullità nell’attuale ordinamento”, in Nuov
La signora Xxxxxxx, non iscritta a nessun albo, al termine del proprio rapporto di collaborazione con la Yokohama S.p.A. si è vista rifiutare le indennità di cessazione del rapporto ed ha quindi adito il Tribunale di Bologna affinché decidesse nel merito portando alla sua evidenza il contrasto interno fra la legge ordinaria e la direttiva comunitaria.
Il Tribunale di Bologna ai sensi del’art. 117 63 del trattato Cee ha rimesso la questione pregiudiziale direttamente alla corte di Giustizia Europea affinché quest’ultima potesse indicare le modalità da seguire, non essendo intervenuta, al tempo, un norma interna che abrogasse l’articolo 9 della legge del 1985 e considerando che la direttiva n. 653 del 1986 non prevede, quale condizione per l’applicabilità delle tutele offerte, una preventiva iscrizione dell’agente a nessun albo o ruolo.
Inoltre il Tribunale ha chiesto alla Corte Europea quali norme interne siano da considerarsi incompatibili con la direttiva 64.
La Corte di Giustizia ha rilevato che la direttiva dell’1986 “osta ad una normativa nazionale che subordini la validità di un contratto di agenzia all’iscrizione dell’agente di commercio in un apposito albo”.
Giur. Civ., 1999, I, pp 163 e ss.; X. XXXXXXXXXX, “ L’agente “abusivo” ed il diritto comunitario”, in Resp. Civ., 1998, pp. 1340 ss; X. XXXXXXX, “ La Corte di giustizia fa piazza pulita della giurisprudenza sull’agente abusivo”, in OGL, 1998, III, pp. 58 e ss; X. XXXXXXXXX, “La liberalizzazione comunitaria del contratto di agenzia commerciale”, in AGL, 1998, 3, pp. 855 e ss;
X. XXXXXXXXXX, “Inapplicabilità del principio della nullità dei contratti con agenti non iscritti nell’apposito ruolo per contrasto con la direttiva 86/653/Cee” in Mass. GL, 1998, 6,pp. 756 e ss;
X. XXXXXXXX – X. XXXXX, “Giustizia (comunitaria) per l’’agente abusivo”, in LG, 1998, pp. 841 e ss; X. XXXXXXX, “ Il contratto d’agenzia resta valido se il rappresentante non è iscritto all’albo – La legge italiana deve adeguarsi alla direttiva che impone il solo requisito della forma scritta”, in XX, 0000, 22, pp. 117 e ss.
63 Con ordinanza del 16 aprile 1997 il Tribunale di Bologna ha chiesto alla CGE di risolvere la seguente questione pregiudiziale "Se la direttiva 86/653/Cee sia incompatibile con gli artt. 2 e 9 della legge interna italiana n. 204 del 3 maggio 1985. che condizionano la validità dei contratti di agenzia all'iscrizione degli agenti di commercio in apposito albo."
64 Cass. 19 agosto 0000, x. 0000, , xx XX 1993, l, c. 430 ss , con nota X. XXXXXXXXX “Recondite (dis) armonie: appunti (e dubbi) in chiave comparativa, sulla nuova disciplina del contratto di agenzia”. Anche X. XXXXXXXXXX, la Terza , “La direttiva comunitaria e la nuova normativa codicistica…” cit.
Tuttavia la pronuncia non si è specificamente riferita alla legge del 1985 ed in particolare agli artt. 2 e 9, bensì si è rivolta genericamente a tutto l’impianto normativo interno.
In particolare la Corte di Giustizia non ha dichiarato illegittima la norma che prevede l’iscrizione degli agenti ad un albo, ma piuttosto ha dichiarato incompatibile con la direttiva che i contratti stipulati con gli agenti non iscritti all’albo fossero dichiarati nulli.
Quanto sopra è stato affermato, in quanto la direttiva non prevede una qualificazione stringente di agente di commercio, ma lo qualifica come “la persona che, in qualità di intermediario indipendente. È incaricata in maniera permanente di trattare per un’altra persona, qui di seguito chiamata preponente, l’acquisto e la vendita di merci”65. Seguendo, la direttiva indica specificamente chi non può essere considerato un agente 66 , ossia “una persona che, in qualità di organo, ha il potere di impegnare una società o associazione; un socio che è legalmente abilitato ad impegnare gli altri soci, un amministratore giudiziario, un liquidatore o un curatore di fallimento”, facendo leva su elementi sostanziali della figura dell’agente e non invece su quelli formali o amministrativi come l’iscrizione ad un albo professionale, inoltre la Corte prende in considerazione anche l’art. 13 n.2 in cui la direttiva individua unicamente che gli stati membri possono prescrivere per la validità del contratto di agenzia la forma scritta e non altre imposizioni.
Premesse queste motivazioni, indicate in questa sede sommariamente, la Corte ha affermato che la validità del contratto di agenzia non è inficiata dall’iscrizione o meno ad un albo, affermando quindi che l’art. 9 della L.1985 non era da applicarsi.
65 Art. 1 capoverso 2 Dirr. 86/653/Cee
66 Si veda il capo 3° della direttiva
Ulteriori chiarimenti alla sentenza Xxxxxxx in ordine alla applicabilità dell’art. 9 della legge del 1985, ovvero dell’art. 1418 cod. civ., sono state portate dalla Corte di Cassazione che sin da subito 67, affermando il rapporto verticale della direttiva tra Stato da una parte e gli agenti dall’altra, ha riconosciuto la possibilità di disapplicare la norma interna a favore di quella sovranazionale sottesa la propria “supremazia”.
Le conclusioni della sentenza Xxxxxxx sono state accolte dalla giurisprudenza italiana in maniera pressoché unanime che le ha più volte richiamate 68 affermando la possibilità di disapplicare la normativa interna in favore della direttiva Europea69
67 Cass. 18 maggio 1999 n. 4817, in FI., 1999, I, c. 2542 ove si legge “Sulla base di tale piana considerazione, deve dunque ritenersi che la direttiva viene ad incidere su un rapporto verticale, in quanto l'art. 9 della legge del 1985, che vieta agli agenti di esercitare l'attività e ai preponenti di servirsene (comminando una sanzione amministrativa, a carico di entrambe le parti contrattuali, da uno a quattro milioni in caso di violazione), riguarda con tutta evidenza il rapporto tra lo Stato da un lato e gli agenti e i preponenti dall'altro. Pertanto, rispetto a tale norma la direttiva ha efficacia diretta, con conseguente obbligo per il giudice nazionale di "disapplicare" la disposizione interna incompatibile. Ne discende che, non trovando più applicazione il divieto sancito dall'art. 9 della legge 204/1985, viene meno in radice la ragione che portava, ai sensi dell'art. 1418 c.c., a considerare nulli i contratti stipulati con gli agenti non iscritti al ruolo”; in LNG, 1999, 9, pp. 940 ss ,con nota di X. XXXXXXXX “L'ex agente abusivo approda in cassazione”; critico X. XXXXXXXXXX sulla sentenza Xxxxxxx ed in riferimento alla pronuncia del 1999, in MassGL, 1999, 10, p. 1132 “Validità dei contratti con agenti non iscritti al ruolo”.
68 Cass. 14 settembre 2005, n. 18202, in Agenti & Rapp., 2005, n. 6, pp. 35 e ss; Cass. 30 agosto
2004, n. 17350, in OGL, 2004, pp. 994 e ss; Cass. 19 maggio 2003, n. 7844, in Agenti & Rapp.,
2003, n. 4, pp. 43 e ss.
69 Successivamente seguita dalla normativa italiana che ha definitivamente cancellato il ruolo degli agenti con il D.lgs 59/2010.
Capitolo secondo
2. La qualificazione del rapporto di agenzia Premessa
Uno dei maggiori problemi per lo studio del contratto di agenzia è la qualificazione del rapporto di agenzia.
Il rapporto di agenzia, infatti, è estremamente eclettico e, a seconda del modo in cui viene svolta l’attività e dalla natura dell’agente, esso può essere assimilabile al rapporto di lavoro subordinato, come nel caso del piccolo agente monomandatario, ovvero ne è sensibilmente distante, si pensi all’agente di commercio società di capitali.
Tuttavia, se non è stato possibile trovare una unitaria qualificazione del rapporto, molti indici sono usati per distinguere il rapporto di agenzia da altri rapporti di stampo più commerciale come ad esempio il mandato, la commissione ed il franchising. Fra questi vi sono la stabilità e continuità della prestazione, lo svolgere l’attività in favore di una parte e l’assunzione del rischio economico.
Nelle pagine seguenti verrà analizzata la figura contrattuale al fine di chiarire quali siano gli elementi principali in base ai quali poter definire un rapporto di agenzia quale rapporto di lavoro autonomo, ovvero meno, ovviamente riconoscendo che tali fattispecie necessitano di volta in volta di una verifica nel concreto.
Infine, si analizzeranno i principali obblighi e diritti dell’agente.
2.1) Distinzioni con altre figure affini
2.1.1) Con il mandato
Per parecchio tempo ci si è interrogati sulle principali differenze fra il contratto di agenzia ed una delle figure maggiormente assimilabili ad esso, ossia il mandato.
Autorevole dottrina70 pur ammettendo che nella fase genetica della disciplina del contratto di agenzia si fosse mutuata parte della disciplina ben più rodata del mandato di commercio71, ha fermamente distinto i contratti.
Il legislatore del 1942 ha ben posto le basi da cui trarre i principali elementi di differenza tra il mandato72 ed il contratto di agenzia73. Due sono essenzialmente gli elementi dirimenti su cui soffermarsi per individuare le differenze fra i contratti.
Il primo è l’attività propria a cui mirano le due figure giuridiche.
Il mandato, infatti, prevede che una parte compia uno o più atti giuridici per conto di un’altra, mentre il contratto di agenzia prevede che una parte assuma l’obbligo di promuovere la conclusione di contratti in favore dell’altra.
La differenza sostanziale che vi è fra le due figure giuridiche risiede nell’attività stessa del mandatario e dell’agente, infatti mentre al primo viene chiesta dal mandante di procedere all’attuazione di determinati affari,
70 X. XXXXXX, “Il contratto di agenzia”, op. cit., pag. 13
71 In particolare è lo stesso codice del commercio del 1882 che all’art. 349 prevedeva che il mandante potesse trattare affari commerciali per conto ed in nome del mandante. Tuttavia è anche necessario rilevare come affermato da X. XXXXXXXX, “Mandato, commissione, spedizione”, Milano, 1984, in Tratt. Dirr. Civ e Comm. , curr. CICU – MESSINEO – MENGONI. che il mandato è il tipo guida della disciplina per tutti i contratti di collaborazione.
72 L’art. 1703 cod civ. definisce il mandato come “ il contratto col quale una parte si obbliga a compiere uno o più atti giuridici per conto dell'altra.”
73 L’art. 1742 cod civ. afferma che “Col contratto di agenzia una parte assume stabilmente l'incarico di promuovere, per conto dell'altra, verso retribuzione, la conclusione di contratti in una zona determinata.
Il contratto deve essere provato per iscritto. Ciascuna parte ha diritto di ottenere dall'altra un documento della stessa sottoscritto che riproduca il contenuto del contratto e delle clausole aggiuntive. Tale diritto è irrinunciabile.
siano essi più o meno determinati 74, l’agente si assume unicamente l’obbligo generale di promuovere la conclusione di contratti.
Ulteriore elemento di discrimine fra i due contratti risiede nella durata del rapporto. Infatti, mentre per il mandato, sia esso specifico o generale, l’azione del mandatario si esaurisce nell’atto indicato nel mandato, per l’agente invece si tratta di una “messa a disposizione” stabile 75 di un’attività svolta in via strumentale a quella principale del preponente finalizzata alla stipulazione di contratti.
Quindi, la differenza fra le due figure sta nel fatto che il mandatario viene incaricato dal mandante di svolgere determinati atti, mentre l’agente si obbliga nei confronti del preponente di svolgere stabilmente un’attività materiale e propedeutica alla conclusione di contratti.
In questa sede, inoltre, non si può tralasciare il fatto che il mandato ha forma libera, e quindi, qualora l’affare da concludere in nome e per conto del mandante non sia soggetto a particolari forme76, è possibile concludere
74 In base all'ampiezza dell'oggetto il mandato si qualifica come generale o speciale. Il mandato speciale riguarda un singolo affare determinato mentre quello generale tutti gli affari del mandante così come previsto dall'art. 1708 cod. civ. a tal riguardo è lo stesso articolo che precisa che esso non comprende gli atti che eccedono l'ordinaria amministrazione, se non sono indicati espressamente così X. XXXXXXXXX,”Mandato. Disposizioni generali”, in Comm. cod. civ., curr. di SCIALOJA – BRANCA; Xxxxxxx - Xxxx, 0000, p.526 e F. BILE,” Il mandato, la commissione, la spedizione( commento agli articolo 1705 -1741 del codice civile)”, Roma, 1961, p.77 .
Si può anche prospettare una figura di mandato che, quanto alla comprensività dell'oggetto si ponga su una linea intermedia tra mandato speciale e mandato generale. Si parla a questo proposito di mandato generico, ma anche, curiosamente, di mandato specifico. La terminologia è relativa: ciò che conta è che, con queste espressioni si allude ad un mandato che ha per oggetto il conferimento dell'incarico di compiere una serie di atti determinata (non un atto, non tutti gli atti), per lo più ricadente in una categoria.
Non va confusa con l'ampiezza del mandato generico la comprensività anche nel mandato speciale delle attività accessorie di cui al I° comma dell'art. 1708 cod. civ. La disposizione chiarisce soltanto il fatto che la gestione non può non comprendere anche gli atti strettamente necessari a portare a compimento l'incarico conferito, con l'esclusione di quelli ulteriori, non consequenziali
75 La giurisprudenza ha sempre ritenuto l’importanza della stabilità nel rapporto di agenzia così Xxxx. Del 23 aprile 2009 n. 9686: “Il contratto di agenzia si connota per la continuità e la stabilità dell’agente di promuovere la conclusione di contratti per conto del proponente nell’ambito di una determinata sfera territoriale,”. (cfr. conformi: Cass. 5322/89, Cass. 5569/98, Cass. 1078/99)
76 Si pensa a tutte le forme di contratto per cui l’ordinamento richiede la forma scritta ad substantiam ai sensi dell’art. 1350 cod. civ.
il mandato anche oralmente. Ciò non potrebbe essere possibile per il contratto di agenzia per cui è lo stesso legislatore che prevede la forma scritta ad probationem77.
Come visto, quindi, l’agente non può assolutamente definirsi un mandatario in quanto non ha il potere di sottoscrivere contratti in nome e per conto del preponente e, se lo facesse, questi dovranno essere ratificati dallo stesso preponente in base a quanto disposto dall’art 1399 cod civ.78.
La differenza fra mandato ed agenzia si assottiglia qualora all’agente si conferisca il potere di concludere i contratti procacciati in nome e per conto del preponente ai sensi dell’art. 1752 cod.civ.
La dottrina è divisa sul punto, una parte vede nell’agente rappresentante unicamente un mandatario79, altra, invece, ritiene che non è possibile equiparare le due figure in una sorta di mandatario commerciale80.
77 Tale forma deve essere considerata quale forma scritta ad probationem rinforzato, visto non solo l’originaria disposizione dell’art. 1742 comma 2 in cui le parti avevano il diritto di chiedere all’altra copia del contratto firmato, ma anche con la nuova disposizione in cui, a seguito del d.lgs 65/1999, si tutela maggiormente l’agente attraverso la possibilità di chiedere documenti che attestino il contenuto del contratto di agenzia medesimo, e quindi, anche eventuali patti successivi e modificativi.
E’ da notare che l’adeguamento posto in essere dal legislatore cercando di accordarsi alla direttiva del 1986 ha suscitato non pochi problemi interpretativi dell’articolo novellato, individuando che le disposizioni siano indirizzate alla tutela dell’agente che, sebbene abbia contratto oralmente possa far fissare su carta i propri diritti, essendo gli obblighi presunti per legge (X. XXXXXX, “Il contratto di agenzia”, op. cit. pp. 73 -78; v. X. XXXXXXXXXX, “Contratto di agenzia”,op cit, VIII, 2, pag 65 nt 1). Ad avallo di tale tesi sovviene anche,da ultimo l’AEC Commercio del 2009, che, facendo ormai proprio quanto stipulato dalla parti sociali nei precedenti, ha previsto all’art. 3 che all’atto del conferimento dell’incarico, all’agente debbono essere precisati per iscritto, oltre al nome delle parti, la zona assegnata, i prodotti da trattare e la misura delle provvigioni. In tal modo le parti sociali hanno previsto non la mera possibilità di ottenere un documento scritto, ma l’obbligo di segnare per iscritto i principali diritti dell’agente.
78 In caso di mancata ratifica, l’agente sarebbe da considerarsi quale falsus procurator, oppure agente rappresentante apparente (cfr. X. XXXXXX, “Il contratto di agenzia”op. cit. pp. 235 e ss), in tal caso il preponente potrebbe agire nei confronti di quest’ultimo per azioni risarcitorie (cfr. XXXXXXXX – XXXXXXXX - XXXXXXX, “ Il contratto di agenzia, la mediazione”, in Giur. Sistematica Civ e Comm. Dirr. X. XXXXXXX, Torino, 1993, p 196; XXXXXX - XXXXXXX, “L’agente e la rappresentanza”, Milano, 2004, pag 124 e ss.
79 X. XXXXXXXXXX , “Del contratto di agenzia”, cit. pp. 100, 563 e ss; X. XXXXXXXX “Il contratto di agenzia”, cit., p. 358; X. XXXXXXXXX, “Del mandato. Disposizioni generali”, in Commentario al c.c. XXXXXXX - XXXXXX, sub art. 1703 -1709 Xxxxxxx - Xxxx, 0000 p. 139 s; X. XXXXXXXX, “Il contratto di agenzia”, cit., 428 ss.; X. XXXXXX, op. cit., pag. 53.
L’argomentazione principale della dottrina contraria a rinvenire nell’agente un mero mandatario, risiede nel fatto che con la rappresentanza non vengono mutati i rapporti interni del contratto di agenzia per cui l’agente deve sviluppare l’attività commerciale del preponente attraverso la promozione della stipulazione dei contratti.
All’agente, infatti, vien concessa la possibilità di vincolare il preponente attraverso la sottoscrizione dei contratti, ma ciò deve essere sempre previamente autorizzato, anche se non formalmente, dal preponente.
Ciò determina una notevole distinzione fra l’animus del mandatario e quello dell’agente con rappresentanza, in quanto si rileva in modo eclatante, nel secondo caso, la strumentalità della rappresentanza, considerata una semplice obbligazione accessoria rispetto a quella principale della promozione dei contratti. Infatti la rappresentanza non obbliga l’agente a stipulare il contratto, cosa che invece il mandatario è tenuto a fare pena l’inadempienza, bensì gli concede la facoltà, come detto xxxxxxx, di impegnare il preponente81. Altresì l’agente rappresentante non potrà mai stipulare contratti diversi da quelli affidatigli dal preponente, con un ulteriore evidente limitazione alla teoria del rappresentate quale mandatario commerciale82.
La rappresentanza, tuttavia, può anche essere estesa non solo alla stipulazione dei contratti, ma anche alla loro modificabilità o risoluzione.
80 X. XXXXXX op cit. p. 231, LUMINOSO- ZUDDAS, “La mediazione - Il contratto di agenzia”, op. cit., BALDI - VENEZIA, op. cit. , p. 236.
81 Ovviamente il preponente potrà, in ogni caso, vincolare la conclusione del contratto con la clausola “salvo approvazione della casa”. Tale clausola fissa in un secondo momento la stabilizzazione della proposta soggetta ad un periodo di irrevocabilità dal momento della stipulazione del contratto fino al momento di approvazione del preponente ( C.M. XXXXXX, x. “Condizioni generali di contratto”, in Enc. giur. Treccani, pag. 6). In giurisprudenza prevale l'opinione in base alla quale si tratti di una semplice proposta contrattuale da parte del cliente (per lo più in veste di acquirente), dovendo reputarsi concluso il contratto nel momento in cui il proponente ha notizia della accettazione dell'altra parte (Xxxx. Civ. Sez. III, 145/77 ; Cass. Civ. Sez. III, 2273/76).
82 X. XXXXXX, op cit. p. 231 in cui l’autore afferma che la possibilità di contrarre è un obbligo non una facoltà, G ZUDDAS, op cit., pp. 274 - 275
Tuttavia se pare decisamente incoerente la possibilità di affidare all’agente rappresentante il potere di modificare, e quindi anche ampliare, l’oggetto, ed in generale tutti i termini della proposta, così da travalicare il proprio incarico83, si ritiene, invece, possibile configurare la possibilità di attribuire all’agente rappresentante il potere di estinguere i contratti con relativa incidenza sulla propria provvigione ai sensi dell’art. 1748 cod. civ.
2.1.2) Con il contratto di commissione
Il commissionario è nato come una sottospecie di figura di mandato ed in particolare del mandato commerciale senza rappresentanza.84
Ad oggi la distinzione fra le due figure è quanto mai netta , in primo luogo è lo stesso articolo 1731 cod. civ. che, descrivendo il contratto di commissione quale “mandato che ha per oggetto l’acquisto o la vendita di beni per conto del committente ed in nome del commissionario”, qualifica il commissionario quale mandatario senza rappresentanza che agisce per conto del mandante ed in proprio nome.
Ciò comporta che il commissionario, benché agisca per conto del committente, sottoscrive il contratto col proprio nome ponendosi quale contraente nei cui confronti si produrranno gli effetti del contratto.
Solo successivamente, il commissionario dovrà stipulare un nuovo contratto col committente, il quale si vedrà trasferire il bene oggetto della commissione.
83 Si pensa al fatto che così facendo l’agente possa fissare parametri differenti ed altri rispetto all’incarico affidato.
84 Per i rapporti fra commissione e mandato senza rappresentanza cfr. X. XXXXXXXX, “Il contratto di commissione e mandato senza rappresentanza”, in Giust. Civ. 1996, p 171 e ss; in giurisprudenza Cass. 5 maggio 2004, n. 8512, in rep. Foro it. 2004, pagg. 802- 803. Sulla sussidiarietà delle norme del mandato applicabili alla commissione si veda anche XXXXXXXX - BALDASSARRI “Commissione. Spedizione” artt. 1731 – 1741, pag. 14, in Comm. del Codice Civile curr. SCIALOJA - BRANCA., e Xxxx. 29 maggio 1988 n. 773.
A differenza del commissionario, invece, l’agente non è un mandatario e, nel caso fosse dotato di rappresentanza ai sensi dell’art. 1752 cod. civ., esso agirà in nome e per conto del preponente 85, facendo ricadere sin da subito gli effetti del contratto in capo a quest’ultimo, cosa che, non succede nella commissione in cui il rapporto contrattuale si svolge in due fasi.
Altra evidente peculiarità che contraddistingue il contratto di commissione dal rapporto di agenzia è il carattere occasionale e specifico del primo rispetto alla stabilità del secondo.
Infatti, mentre, il commissionario è addetto alla vendita o all’acquisto di uno o più beni determinati per conto del committente, il ché si perfeziona e si conclude nel momento in cui il commissionario esegue le due fasi del rapporto, l’attività dell’agente non riguarda un singolo affare, né tantomeno la vendita o l’acquisto di uno o molteplici beni, bensì, l’adoperarsi al fine di sviluppare una rete di vendite, ed in particolare nel promuovere la sottoscrizione di contratti a favore del preponente per un periodo di tempo più o meno determinato, se non addirittura indeterminato. Ciò comporta, quindi, lo svolgimento di una attività materiale generale tendente alla promozione di contratti, svolta in maniera stabile e continuativa per un arco di tempo predeterminato. Elementi questi del tutto assenti nel contratto di commissione che invece mira alla stipulazione di un determinato contratto, vendita o acquisto di beni, per conto di terzi, attività che si esaurisce col trasferimento del bene al committente.
Elementi di commistione fra le due figure richiamate sono quelle indicate nel’art. 1746, comma secondo cod. civ. in cui viene espressamente richiamata la figura del commissionario86.
85 Non potendo l’agente contrarre in nome proprio.
86 Al comma secondo dell’articolo citato si legge infatti “ Egli deve altresì osservare gli obblighi che incombono al commissionario (1713), ad eccezione di quelli di cui all’art. 1736, in quanto non siano esclusi dalla natura del contratto di agenzia.” Tale riferimento è inserito espressamente
Rimandiamo ad una trattazione più approfondita87 l’espresso riferimento agli obblighi del commissionario, ed in particolare all’obbligo di buona fede e diligenza88, di cui, a suo volta il legislatore rimanda ai medesimi doveri che il mandatario ha con il mandante.
Mentre per quanto riguarda il rinvio allo “star del credere”89, applicabile in precedenza ad entrambi gli istituti, è necessario rilevare come la disciplina sia stata ben differente, in quanto “lo star del credere” è stato per l’agente sin da subito regolato dalla contrattazione collettiva90 sia avente natura erga omnes che da quella successiva, avente natura privatistica. La specificità della disciplina prevista dagli A.E.C. ha comportato, sin da subito, l’inapplicabilità della norma generale prevista dal codice, e ciò per il principio “ lex specialis derogat lex generalis”91.
negli obblighi dell’agente. Il riferimento, vista la genesi dell’istituto era naturale in quanto, come visto, il commissionario è stata la forma da cui poi si è sviluppato il contratto di agenzia moderno, diversificandosi nel tempo dalla figura genitrice.
87 Cfr Infra
88 Il primo comma dell’art. 1746 recita “Nell'esecuzione dell'incarico l'agente deve tutelare gli interessi del preponente e agire con lealtà e buona fede. In particolare, deve adempiere l'incarico affidatogli in conformità delle istruzioni ricevute e fornire al preponente le informazioni riguardanti le condizioni del mercato nella zona assegnatagli, e ogni altra informazione utile per valutare la convenienza dei singoli affari. E' nullo ogni patto contrario. più dettagliatamente infra.
89 Art. 1736 cod. civ., è stato un istituto comune sia all’agente che al commissionario, superato come visto, dalla legge 526 del 1999 che lo ha abrogato per l’agente.
90 Sin dai primi AEC degli ultimi anni trenta.
91 Di tal parere è stata anche la giurisprudenza di legittimità la quale, richiamando una pronuncia del 1999 emessa poco prima dell’entrata in vigore della novella n. 526, ha affermato che “ Al contratto di agenzia non può applicarsi, in via analogica, l’art. 1736 c.c., in tema di contratto di commissione, poiché la responsabilità dell’agente per lo “star del credere” è disciplinata in modo specifico dall’accordo economico collettivo 20 giugno 1956, reso obbligatorio erga omnes dal dpr 16 gennaio 1961 n. 145 (che limita la responsabilità dell’agente senza ulteriore compenso al venti per cento della perdita subita dal preponente), ovvero della più favorevole disciplina posta nei successivi accordi collettivi del settore (qualora le parti vi abbiano aderito), i quali adottano il più ristretto limite del quindici per cento” (Cass. Sez. Lav. 19 novembre 1999 n. 12879 in FI, Arc. Civ. 2000,167). E riprendendo un’ulteriore pronuncia precedente gli ermellini si sono espressi affermando che “Xxx nel contratto di agenzia sia pattuita la garanzia dello “star del credere” senza la previsione a tale titolo del supplemento di provvigione, l’agente ha comunque diritto per l’assunzione di tale garanzia ad un corrispettivo che il giudice può determinare secondo equità ai sensi dell’art. 1376 cc, ove le parti abbino richiamato tale disciplina facendo espresso rinvio alla norma dell’art. 1746, 2° comma c.c., relativa all’applicabilità all’agente degli obblighi posti a carico del commissionario” (Cass. Sez. Lav. 14 giugno 1991, n. 6741 in Giur. It, 1992, I, 1, 880) .
Infine, è necessario ricordare che il contratto di commissione sia stato nella pratica via via sempre meno utilizzato, essendo stato superato dal contratto di agenzia che meglio poteva svolgere l’attività commerciale a cui il commissionario era destinato.
2.1.3) Con il contratto di mediazione
Ulteriore figura che si avvicina al contratto di agenzia è il contratto di mediazione.
Il contratto di mediazione è disciplinato dall’art. 1754 cod. civ. che descrive il mediatore come colui che “ mette in relazione due o più parti per la conclusione di un affare, senza essere legato ad alcuna di esse da rapporti di collaborazione, di dipendenza o rappresentanza”.
La figura del mediatore, inteso come colui che si interessa a far incontrare domanda ed offerta senza ricevere un incarico ad hoc, ha le proprie origini sin dai tempi remoti in cui il mediatore veniva comunemente chiamato sensale.92
Tuttavia sin dalla sua primordiale formazione, poi, positivizzata nel codice civile, il rapporto di mediazione, o più correttamente il mediatore, è sempre stato caratterizzato dalla sua imparzialità rispetto alle future parti contraenti, dall’occasionalità della prestazione e dal diritto del compenso93.
92 Rinviando a scritti di storia del diritto la figura antica del sensale, è interessante notare, invece, come esso fosse indicato nel codice del commercio del 1865 quale figura del mediatore privato, chiamato appunto sensali . Agli artt. 32 -34 del codice si legge “ 32. La legge riconosce per gli atti di commercio agenti intermedi, che sono gli agenti di cambio ed i sensali. Essi hanno la qualità di pubblici mediatori, quando sono ammessi ad esercitare il loro uffizio nel modo dei pubblici mediatori E le condizioni per l’ammissione a questo uffizio sono retti da leggi e regolamenti speciali.33. Xxxxx può essere agente di cambio o esercitarne l’uffizio senza la qualità di pubblico mediatore. 34. Nelle altre specie l’uffizio di sensale può essere esercitato anche sa colui che non è pubblico mediatore”. E’ interessante notare come nella relazione al codice del 1865 il Guardasigilli faccia riferimento alla precedente legge dell’8 agosto 1854 sempre in riferimento alla disciplina dei mediatori e sensali, rilevandone la sovrapposizione delle figure.
93 La giurisprudenza di legittimità ha sempre sottolineato questo aspetto come ad esempio in Cass. Sez. III, 26 maggio 2000 n. 6959; Cass. Sez. III, 06 aprile 2000, 4327. Da ultimo anche Cass. civ. Sez. III, Sent., 14 luglio 2009, n. 16382 che richiamando le pronunce precedenti afferma che :“
Benché col tempo la disciplina della mediazione sia stata sviluppata e resa più sofisticata, i criteri sopra indicati rimangono, ad oggi, i principali grimaldelli riconosciuti oramai sia dalla dottrina che dalla giurisprudenza 94 sulla base dei quali distinguere un mediatore da un agente di commercio.
Evidenti, infatti, sono le differenze. Il mediatore, come detto, è imparziale e la sua attività non è continuativa, mentre l’agente svolge un’attività continuativa per uno dei futuri contraenti, ed in particolare per il preponente.
Particolarità, invece, si evidenziano nel diritto alla provvigione del mediatore rispetto a quella prevista per l’agente.
In entrambi si premia la conclusione del contratto, tuttavia la fonte che dà origine al diritto di chiedere la remunerazione è differente. Infatti nella mediazione ciò che fa sorgere il diritto ai sensi dell’art. 1755 cod. civ. è il fatto giuridico dell’aver fatto incontrare i due contraenti e che l’affare “si sia concluso per suo intervento”, mentre nel rapporto di agenzia ciò che determina il diritto alla provvigione è il negozio giuridico, ossia l’accordo intervenuto fra agente e preponente.
Sulla posizione di "neutralità" ed "imparzialità" nei confronti delle parti che concludono l'affare, tra le altre, Cass. n. 12106/2003, Cass. n. 13184/2007, la quale sottolinea la posizione di "terzietà" del mediatore rispetto ai contraenti posti in contratto in ciò differenziandolo dall'agente di commercio, nonché Cass. n. 6959/2000, che sottolinea come carattere essenziale della figura giuridica del mediatore, ai sensi dell'art. 1754 c.c., è appunto la sua imparzialità, intesa come assenza di ogni vincolo di mandato, di prestazione d'opera, di preposizione institoria e di qualsiasi altro rapporto che renda riferibile al dominus l'attività dell'intermediario”
94 X. XXXXXX, op. cit., pag. 44 e ss. Ciò che contraddistingue maggiormente la mediazione dall’agenzia, oltre all’imparzialità, è la stabilità dell’incarico, in quanto è previsto un possibile mediatore parziali. Chiarissima la giurisprudenza che da tempo, al fine di distinguere le due figure, ricerca i citati requisiti. “ La differenza fra la mediazione e l’agenzia, anche quando gli incarichi sono conferiti dalla stessa parte, consiste nel fatto che l’incarico di mediazione riguarda un singolo affare, mentre l’incarico di agenzia riguarda un numero indeterminato di prestazioni della stessa specie da svolgere in una determinata zona, derivando dalla stabilità dell’incarico nell’ambito di tale zona l’esclusiva a vantaggio dell’agente (cui spetta altresì il trattamento di fine rapporto) e l’obbligo del preponente di corrispondere le provvigioni anche per gli affari da lui conclusi direttamente, mentre il compenso al mediatore – come per il procacciatore d’affari ( il cui rapporto è caratterizzato dalla mancanza di esclusiva e di vincolo di stabilità) – spetta solo quando l’affare è concluso per effetto del suo intervento” ( Xxxx. 16 febbraio 1993, n. 1916, GCo, 1994, II, 787, nel merito A. Torino, 16 gennaio 2004; T. Bologna, sez. II, 17 aprile 2007, n. 837; X. Xxxxx,00 dicembre 1986)
Di fatto è lo stesso legislatore che, indicando i diritti dell’agente95, ha affermato che l’agente ha diritto alla provvigione quando l’operazione è stata conclusa per effetto del suo intervento, ovvero nel caso in cui il contratto sia stipulato tra terzo e preponente anche senza l’intervento dell’agente a patto che il terzo sia nella medesima zona di esclusiva dell’agente.
Ciò determina che l’agente può richiedere la provvigione96 semplicemente alla stipulazione del contratto da parte del preponente, anche se non ha partecipato a favorirne la stipulazione stessa.
Ben diverso invece, è il momento in cui il mediatore matura il diritto alla provvigione, in quanto il negozio giuridico è quasi ininfluente, essendo l’obbligazione nascente dal fatto materiale di aver fatto incontrare le parti e che queste abbiano stipulato un contratto.
Tali elementi sono, quindi, i principali elementi sulla base dei quali distinguere il rapporto di mediazione dal rapporto di agenzia.
2.1.4) Con il procacciatore di affari
Ulteriore figura caratterizzata dall’occasionalità del rapporto è il “procacciatore d’affari”, tale figura è altresì atipica, ossia non legata ad una disciplina legale specifica 97.
Tuttavia, sebbene manchi una definizione normativa del procacciatore d’affari, ciò è stato sopperito da una intensa attività giurisprudenziale che ha definito il procacciatore di affari come colui che “raccoglie le ordinazioni dei clienti, trasmettendole alla ditta da cui ha ricevuto
95 Art. 1748 cod.civ.
96 C.d. provvigioni indiretto cfr infra
97 X. XXXXXX ,op cit. pag. 48 e ss; X. XXXXX op cit. pag. 51, X. XXXXXX op. cit. p. 42
l’incarico di procacciare tali commissioni, ma senza vincolo di stabilità ed in via del tutto occasionale”98.
Dalla descrizione giurisprudenziale, quindi, si possono rinvenire i principali elementi in base ai quali poter identificare il procacciatore d’affari. Esso, infatti, svolge la propria attività di procacciatore senza la stabilità tipica del rapporto di agenzia99 e l’imparzialità del mediatore 100.
In concreto, però, la figura del procacciatore d’affari è forse, nella sua interezza, quella che più si avvicina all’agente, infatti ciò che lo contraddistingue da quest’ultimo è la stabilizzazione del rapporto, tanto è che alcuni autori hanno definito l’agente “ procacciatore stabile” 101 .
Ed è proprio la stabilità che, intesa nella sua accezione giuridica, distingue essenzialmente le due figure 102 in quanto la stessa è dimostrazione e volontà negoziale di voler affidare all’agente l’incarico di “procacciatore di affari” per un determinato periodo di tempo. Mentre la continuità deve essere considerata quale mero fatto materiale, che solo indirettamente potrà avere un’efficacia giuridica.
98 Cass. 8 febbraio 1999, n. 1078, ed anche Cass. civ. Sez. II, 03 febbraio 2005, n. 2163.
99 Cfr infra
100 Cfr supra
101 X. XXXXXXX in “Recensione a Formaggini” in riv. Trim proc. Civ. , 1953, 1112. Altresì X. TRIONI in op. cit. pag. 49 afferma che in realtà la figura del procacciatore d’affari è esattamente quella dell’agente in quanto l’obbligazione è esattamente la medesima, l’unica differenza è appunto la stabilità dell’incarico, anche se l’autore citato specifica che non bisogna equivocare fra stabilità e continuità dell’incarico tanto è che il potenziale incarico di procacciare una potenzialità indeterminata di affare renderebbe quasi nulla la differenza fra le due figure.
102 Si veda X. XXXXXXXXXX “ Il contratto di Agenzia”, cit., pag. 37 :“ Per il momento conviene rilevare che la stabilità dell’agente, se da un lato si identifica con la non occasionalità ovvero con la continuità del suo incarico, dall’altro coincide con la sua professionalità” anche la giurisprudenza di legittimità conviene nell’individuare gli elementi caratterizzanti il rapporto di agenzia ai sensi dell’art. 1742 c.c. al confronto con il diverso e atipico procacciamento di affari : “Il contratto di agenzia si connota per la continuità e la stabilità dell’agente di promuovere la conclusione di contratti per conto del proponente nell’ambito di una determinata sfera territoriale, mentre il rapporto di procacciamento di affari si concreta nell’attività più limitata di chi senza vincolo di stabilità ed in via del tutto occasionale ed episodica, raccoglie le ordinazioni dei clienti, trasmettendole al committente da cui ha ricevuto l’incarico di procurare tali commissioni”. Cass. 23 aprile 2009, n. 9686 (cfr. conformi: Cass. 5322/89, Cass. 5569/98, Cass. 1078/99).
Parte della dottrina si è lamentata di come questi concetti siano stati intesi, a volte, quali sinonimi103, quando in realtà ben profonda ne risulta la distinzione, rendendo la stabilità elemento caratterizzante il rapporto di agenzia104.
Di particolare interesse semantico e quindi interpretativo, è la distinzione che si necessità nel distinguere il concetto di continuità dell’incarico con quello di stabilità, in quanto solo il secondo qualifica il rapporto di agenzia. Tanto più se si considera che il termine “stabilità”, inteso come sopra indicato, possa avvicinarsi al termine “professionalità”105 , nel senso che, come il professionista, l’agente svolge in maniera abituale e “consapevole” un’attività specifica ben delineata nella sua “continuità”. Tuttavia, vista l’estrema somiglianza fra la figura dell’agente con quella del procacciatore di affari, considerato quest’ultimo quale contratto atipico106, è stato evidente dal lato meramente pratico che tale figura potesse essere utilizzata al fine di evitare l’applicazione delle norme inderogabili ovvero convenzionali107 previste a vantaggio dell’agente, con notevoli vantaggi economici e gestionali da parte del preponente.
103 TRIONI, op. cit., pag. 50 , XXXXX, op. cit. pag. 51
104 Si veda Cass. 8 agosto 1998, n. 7799, più recentemente anche Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 06 aprile 2009, n. 8214
105 BIGIAVI, op. cit. pag. 49-54
106 Cass. civ., 12 dicembre 2011, n. 26608 e Cass. civ., Sent., 19 agosto 2011, n. 17398 in cui a stessa Suprema Corte, cha ha affermato che :” Va, infatti, ricordato che secondo consolidati, xxxxxxxx e condivisi indirizzi di questa Corte:
a) il rapporto di procacciamento di affari - che può essere tanto un rapporto di lavoro autonomo, quanto un rapporto di lavoro subordinato - è un rapporto atipico che ha qualche analogia, ma non identità con quello di mandato (Xxxx. 6 luglio 1950, n. 1766, Cass. 8 aprile 1965, n 609)”
107 Ovviamente una volta accertata l’attività di procacciatore d’affare ciò che consta all’effettiva ricerca della causa del contratto ed infine alla effettiva volontà delle parti risulta essere proprio il concetto di stabilità, che si vedrà più avanti caratterizzerà anche la qualificazione o meno dell’agente monomandatario persona fisica quale lavoratore subordinato. L’orientamento in giurisprudenza è pacifico si veda Cass. 8 febbraio 1999,1078, in Mass. Giur. Lav., 1999 Cass. civ., 26 gennaio 2004, n. 1365
2.1.5) Con la concessione di vendita ed il franchising
Il contratto di concessione di vendita ed il franchising sono tipici esempi di contratti di distribuzione e vendita, e vista la loro somiglianza verranno trattati assieme.
Per meglio comprendere tale somiglianza occorre in primo luogo descrivere le due figure.
La dottrina definisce la concessione di vendita come un contratto di distribuzione con il quale il concessionario agendo in veste di acquirente- rivenditore, assume l’incarico di curare la commercializzazione di un determinato prodotto, oggetto di concessione, da parte del concedente in cambio di una posizione privilegiata nella rivendita.108
Tale descrizione è accompagnata anche dalla giurisprudenza che in maniera uniforme ha affermato che “ La concessione di vendita è un contratto di distribuzione che viene stipulato da due imprenditori autonomi, attraverso il quale vengono regolate, per la durata del rapporto, tutte le vendite che verranno effettuate in costanza di detto accordo. Il produttore può, in tal modo, contemperare l’esigenza di non assumere i costi ed i rischi di gestione, normalmente connessi alla distribuzione dei prodotti, con l’esigenza di pari rilevanze di non disinteressarsi della loro commercializzazione. Obblighi ricorrenti del concessionario sarebbero quelli relativi allo svolgimento di attività volte al reperimento della
108 In dottrina si veda X. XXXXXXXX, “ Il contratto di concessione di vendita”, pagg. 715 e ss, in “I contratti di intermediazione” curr. X. XXXXXXX - M. X. XX XXXXXXXXXXXX, Xxxxxx, 0000; BALDI – VENEZIA, op. cit., pag. 109 e ss.; X. XXXXXXXX, “La concessione di vendita”, Milano, 1983. Tale privilegio, tuttavia non può avvicinarsi all’esclusiva di cui all’art. 1743 cod. civ. ritenuto elemento naturale del contratto di agenzia, in quanto il contratto di concessione potrà unicamente beneficiare di obbligazioni scaturenti dalla volontà negoziale in base alla quale, quindi, in caso violazioni di un eventuale violazione di un’esclusiva contrattuale sorgerà unicamente il diritto al risarcimento ai sensi dell’art. 1218 e ss cod.civ. Di fatto l’agente con le c.d. provvigioni indirette non subisce la violazione di un diritto bensì fa sorgere il diritto ad ottenere le provvigioni come se avesse svolto la propria attività.
clientela e alla promozione e pubblicizzazione dei prodotti di concerto con il concedente, alla organizzazione di vendita, alla visita e assistenza ai clienti, alla informazione al concedente, ai criteri di vendita commerciale da seguire.”109
Dalla definizione offerta dalla giurisprudenza, quindi, emergono per il contratto di concessione, come per le altre figure di contratti commerciali, gli elementi tipici che possono identificarsi in: i) una attenuata stabilità di incarico derivante, come per il contratto di agenzia, dalla volontà delle parti negoziali; ii) l’agire del concessionario in nome e per conto proprio110; iii) promozione dell’attività di vendita del concedente.
Ovviamente il vincolo che lega il concedente al concessionario ricalca quello di tutti i contratti di carattere commerciale in cui una parte si impegna per lo sviluppo degli affare dell’altra parte.
Quindi gli elementi “accessori del rapporto” sono da una parte la concessione di privilegi di vendita, come ad esempio l’esclusiva111, dall’atro vi è l’obbligo di acquisto di una determinata quantità di prodotti, oltre all’obbligo di promozione dell’attività di vendita del concedente.
Entrambe le parti, infine, sono legate da un rapporto fiduciario e quindi soggette al principio generale di buona fede e correttezza nell’esecuzione del contratto di cui agli artt. 1175 e 1375 cod. civ.112
Elemento dirimente che distingue il contratto di concessione dal contratto di agenzia è tuttavia il fatto che il concessionario diventa parte della vendita, e quindi contraente egli stesso del “bene” oggetto di vendita.
109 Cass. 3 ottobre 2007, n. 20775 anche A. Roma 23 luglio 2005.
110 Carattere dirimente che distingue nettamente la figura dell’agente da quella del concessionario di vendita, in quanto l’agente non stipula mai contratti di acquisto se non nel caso di agente con rappresentanza, ma comunque sottoscrive il contratto in nome e per conto del preponente.
111 Che si ricorda essere una semplice obbligazione ex contractu, da non confondere con quell’elemento naturale previsto ex lege proprio dell’agente.
112 Anche in questo caso un elemento distinto da quello specificamente individuato dall’art. 1746 cod. civ previsto per l’agente, cfr infra.
Tale requisito, come immediatamente comprensibile, è il discrimine fra le due figure, in quanto l’agente, in considerazione del proprio ruolo, non potrà mai essere parte diretta nella vendita.
In altre parole sebbene entrambi, concessionario ed agente, decidono di accollarsi il compito di sviluppo dell’attività commerciale del venditore, sia esso concedente o preponente, solamente il concessionario si assume il rischio di una possibile mancata vendita, in quanto con l’acquisto del bene si onera del possibile rischio di una mancata vendita con la conseguente perdita economica, cosa che non potrà mai succedere all’agente, il quale, al massimo, non potrà godere delle provvigioni.
E’ opportuno, quindi, rilevare che varie sono state le teorie che hanno cercato di qualificare il contratto di concessione 113, successivamente risolte dalla giurisprudenza di legittimità e dalla dottrina sul finire degli anni ‘90.
In particolare una prima tesi considerava il contratto di concessione quale contratto innominato misto114, il quale mutuava la propria disciplina dalla vendita e dal mandato 115, da rendere, quindi, il contratto di concessione un contratto normativo ossia un contratto su cui disciplinare eventuali e successivi contratti 116; una seconda tesi, invece, ha ritenuto avvicinare il
113 Il contratto di distribuzione commerciale che più si avvicina al contratto di concessione, come poi risulterà evidente anche dall’analisi, seppur descritta per sommi capi, del medesimo contratto è quello della somministrazione di cui all’art. 1559 cod. civ il quale prevede che” la somministrazione è un contratto con il quale una parte si obbliga, verso corrispettivo di un prezzo, a eseguire , a favore dell’atra, prestazioni periodiche e continuative di cose”. Di fatto nel caso del concessionario la prestazione rimane quella dell’acquisto di merce, obbligazione assai più rilevante rispetto a quella di cooperazione commerciale che avvicinerebbe il concessionario all’agente. Tuttavia tale cooperazione se nel contratto di agenzia risulta essere l’obbligazione portante nel contratto di concessione si dimostra essere strumentale.
114 Ossia contratto misto atipico, non disciplinato da norme specifiche di legge ma lasciato alla regolamentazione libera delle parti ai sensi di cui all’art. 1322 cod. civ.
115 X. XXXXXX, “ La concessione di vendita” , Pag. 518, in “I contratti di distribuzione” curr. X. XXXXXXX, Milano, 2006.
116 Per il concetto di contratto normativo si veda fra tutti X. XXXXXXXXX, “Il contratto plurilaterale”, Milano, in Studi in tema di contratti, 1952, p.146. In giurisprudenza Cass. 20 maggio 1994, n. 4976 e Cass. 22 ottobre 2002, n. 14891. Sulla concessione di vendita come contratto innominato a struttura di contratto normativo, cfr. anche Xxxx. 22 febbraio 1999, n. 1469, in Giur. it. 1999, 1653, con nt. di X. XXXXXXXX.
contratto di concessione al contratto estimatorio 117 ponendo in soverchiante supremazia il passaggio di proprietà del bene, e ritenendo quasi superficiale l’attività di collaborazione e cooperazione.
Altri, invece, hanno affiancato il contratto di concessione di vendita alla somministrazione, da cui trarre spunto per la disciplina generale dell’istituto, salvo poi attenuarlo con disposizioni convenzionali tali da “annacquare” la disciplina codicistica 118.
La querelle è stata risolta, come sopra accennato, dalla giurisprudenza di legittimità che si è andata a consolidarsi nel tempo, la quale ha confermato l’orientamento secondo il quale il contratto di concessione di vendita è un contratto “quadro”, comunque diverso dalla somministrazione e dalla vendita.
Il contratto di concessione di vendita, infatti, non è un semplice contratto di vendita, né uno scambio di prestazioni continuative, in considerazione dell’assetto strutturale e delle finalità proprie a cui è tenuto il concessionario, che non si limitano unicamente all’acquisto ed alla rivendita del bene, ma è un contratto normativo in cui il concessionario si impegna all’acquisto o al trasferimento di una determinata quantità di beni a scadenze periodiche in cambio di agevolazioni alla rivendita come possono
117 Di cui all’art. art. 1556 cod. civ , così Xxxx. 29 ottobre 0000, x. 00000, xx XXXX, 0000, XX, 000; Pret. Cosenza 15 febbraio 1999, in RGL, 2000, II, 336 con nt. X. X’XXXXXXXXX, “ Contratto di agenzia e concessione di vendita in esclusiva, l’autore afferma che “ il contratto di concessione di vendita (in esclusiva) con il quale il concessionario si impegna, in nome e per conto proprio, a acquistare prodotti dal concedente per rivenderli a terzi, non riconducibile alla diversa fattispecie del contratto di agenzia in cui l’agente si obbliga a promuovere la conclusione di affari per conto ( o anche in nome) del preponente. Piuttosto, i contratto de qua, sotto questo profilo, ricalca il contenuto del contratto estimatorio, la cui essenza è rinvenibile, a norma dell’art. 1556 c.c. nella consegna di una o più cose mobili da una parte all’atra con obbligo di quest’ultima di pagarne il prezzo salvo la restituzione delle cose stesse nel termine stabilito.”
118 CICU – MESSINEO – RUBINO, “La compravendita”, in Tratt. dirr. civile e comm., tomo III, Torino, 1962, pp. 601 e ss.
essere l’esclusiva, il poter acquistare con sconti o qualsiasi altra clausola che possa agevolare la rivendita del bene.119
Una breve riflessione, infine, necessità la disciplina del franchising120.
Il franchising è un contratto di distribuzione commerciale che prende spunto dalla disciplina della concessione di vendita e che ha trovato prima in Europa e poi in Italia una propria regolamentazione speciale sia attraverso il regolamento CEE del 30 novembre 1988, n. 4087 121 ed in Italia con la legge del 06 maggio 2004 recante “Norme per la disciplina della filiazione commerciale” 122.
Il contratto di franchising è il contratto col quale un’impresa affiliante, detta appunto franchisor, concede ad un’altra impresa, franchisee, di norma
119 X.XXXXXXXXX, “I contratti di distribuzione”, Napoli, 1979, 297, X. XXXXXXXX , v. “concessione di vendita” , in Dig. Disc. Priv. , Vol. III, Torino, 1998, p. 223. D’altronde la riflessione naturale a tale scambio è dovuta proprio al fatto che il concessionario, assumendosi il rischio dell’acquisto, accetta il medesimo in quanto possa essere agevolato nella stessa rivendita, ad esempio riuscendo ad abbassare il prezzo con sconti effettuati dal concedente, ovvero riducendo la concorrenza con clausole di esclusiva. Difficilmente il legislatore avrebbe potuto vincolare con stringenti lacci normativi e precettivi le necessità che di volta in volta, di prodotto in prodotto, sarebbero potute sorgere.
120 Per un maggior approfondimento si rimanda a BALDI, “Il contratto di agenzia”, op. cit., CASSANO, “I contratti distribuzione”, op. cit.; X. XXXXXX, “Somministrazione, Concessione di vendita, Franchising”, Sezione II - Tomo III/II, pag. 406 e ss, in Tratt. Dirr. Comm, dirr. X. XXXXXXXXX. Xxxxxx, 0000.
121 Tale provvedimento comunitario offre la una più precisa definizione di franchising all’art. 1, comma 3 lett. B in cui il contratto di franchising viene definito come un “ accordo col quale un’impresa, l’affiliante , concede ad un’altra, l’affiliato, dietro corrispettivo finanziario diretto o indiretto, il diritto di sfruttare un franchising allo scopo di commercializzare determinati tipi di beni e/o servizi.
Esso comprende almeno gli obblighi connessi all’uso di una denominazione o di un’insegna commerciale comune e di una presentazione uniforme della sede e/o dei mezzi di trasporto oggetto del contratto, alla comunicazione da parte dell’affiliante all’affiliato di un know-how, alla prestazione permanente, da parte dell’affiliante all’affiliato , di un’assistenza in campo commerciale o tecnico per la durata dell’accordo.”
122 In cui all’art. 1 comma 1, ricalcando la definizione offerta dal regolamento comunitario viene affermato che “il Franchising, ovvero affiliazione commerciale, è il contratto, comunque denominato, fra due soggetti giuridici, economicamente e giuridicamente indipendenti, in base al quale una parte concede la disponibilità all’altra, verso corrispettivo, di un insieme di diritti di proprietà industriale o intellettuale relativi a marchi, denominazione commerciali, insegne, modelli di utilità, disegni, diritti di autore, know how, brevetti, assistenza o consulenza tecnica e commercial, inserendo l’affiliato in un sistema costituito da una pluralità di affiliati distribuiti sul territorio, allo scopo di commercializzare determinati beni o servizi.”
di proporzioni decisamente più modeste della prima, di commercializzare determinati tipi di beni o prodotti di riferimento del franchisor.
In sostanza, pur essendo l’affiliante e l’affiliato due soggetti giuridici a se stanti, da un punto di vista commerciale tale distinzione è molto sottile, in quanto l’affiliato non solo rivende in esclusiva i prodotti dell’affiliante, ma ne utilizza anche il know how, brevetti e marchi.
Il franchisor quindi riesce ad espandere conservando il proprio marchio la propria rete di vendite, mentre il franchisee gode sin da subito di un marchio già affermato e della gestione commerciale già protocollata, riducendo drasticamente il rischio delle scelte imprenditoriali. Mentre il franchisee in cambio di ciò, si impegna, come il concessionario di vendita, ad acquistare dal franchisor una determinata quantità di beni oggetto di rivendita, ovvero di offrire al franchisor una percentuale sui beni venduti ( le c.d. royalties).
Ciò che contraddistingue, però, il franchising dalla concessione di vendita è la preponderanza della visibilità del franchisor rispetto alla visibilità del franchisee, tale da vincolare anche il prezzo del bene rivenduto, determinato univocamente dal franchisor.
In Italia prima dell’entrata in vigore della legge del 2004, il franchising godeva già di una propria autonomia, anche se la dottrina e la giurisprudenza non potevano che indicarlo quale contratto atipico ne rilevavano la notevole importanza e quindi la necessità di assicurare una sorta di tutela indiretta, non garantita da nessuna legge 123 .
123 D'altronde essendo il franchising una species del contratto di concessione di vendita è naturale che la giurisprudenza abbia mutuato i medesimi concetti sviluppando le questioni di diritti intrinseche della fattispecie. In particolare si veda Trib Milano 28 febbraio 2002 “Il contratto di "franchising" ormai affermatosi nella prassi negoziale, risulta meritevole di tutela giacchè le reciproche prestazioni di servizi permettono all'affiliante di aumentare le proprie capacità di penetrazione sul mercato e, in pari modo, permettono all'affiliato di giovarsi della posizione di affidabilità e di prestigio acquisita dall'affiliante e di inserirsi quindi nel mercato sfruttando la conoscenza da parte dei consumatori del nome dell'impresa primaria e mantenendo una facciata
Premesso ciò e richiamando quanto già detto per il contratto di concessione di vendita, le linee di demarcazione fra il franchising ed il rapporto di agenzia sono decisamente evidenti, in quanto non solo il franchisee si assume il rischio di impresa, seppur limitato dalla figura del franchisor che non solo ne limita i rischi con il proprio marchio, ma anche con la propria consulenza ed in generale col proprio “protocollo”, ma paradossalmente il franchisor, in caso di stipula di royalties, ottiene ricavi dalle vendite del franchisee, ribaltando di fatto il concetto di provvigione dell’agente.
Macroscopiche differenze con il contratto di agenzia, quindi, si individuano nel processo di vendita dove il franchisee, come il concessionario, diventa contraente diretto rendendo la somma ottenuta dalla vendita del bene quale vero e proprio ricavo di impresa e non invece, come nel rapporto di agenzia, una provvigione del venduto da parte del proponente.
2.1.6) Con il promotore finanziario
Infine occorre evidenziare la diversità che intercorre fra il promotore finanziario e il rapporto di agenzia. Questa breve disamina sul promotore finanziario è dovuta al particolare ruolo che tale figura ha assunto negli ultimi anni soprattutto dopo la legge del 4 gennaio 1991, n. 1124 e relative modificazioni, che ha offerto alla figura del promotore un primo riconoscimento giuridico. Tuttavia la natura dell’attività lavorativa svolta
di imprenditorialità. Di regola, gli obblighi del "franchisor" sono individuati nell'impegno di aggiornare ed esplicare il c.d. "know how" al "franchisee" per permettergli di mettere a disposizione degli utenti i servizi realizzati secondo le istruzioni trasmesse dal "franchisor". In tale contesto contrattuale, ove ciascuna parte agisce con i propri rischi imprenditoriali, il funzionamento del servizio offerto all'affiliato rappresenta una condizione essenziale per il raggiungimento dello scopo contrattuale, affinchè l'affiliato sia messo in grado di offrire ai propri utenti il medesimo servizio predisposto ed organizzato dall'affiliante.” ( in Giur. Milanese, 2002, pag. 273)
124 In particolare l’art. 5 della legge citata disciplina la figura del promotore finanziario, in cui si legge al comma 3 che la figura del promotore può essere rivestita da un dipendente dell’istituto di credito, ovvero agente o mandatario.
dal promotore finanziario non è cosa semplice. Si ha infatti motivo di ritenere che il d. lgs 58 del 1998125, che ha di fatto abrogato la legge del 1991, sia poco chiaro e incompleto non aiutando a sciogliere i tanti nodi problematici strettamente connessi allo studio di tale tipologia di lavoratori. In dottrina126 non sono mancate sicuramente perplessità sulla possibile equiparazione del promotore all’agente di commercio.
Tuttavia a chi scrive pare doveroso rilevare come in effetti le due figure debbano essere tenute distinte, infatti un conto è quanto disciplinato dall’art. 1742 ed un altro e l’attività di promotore.
La legge n. 1 del 1991127 per prima ha istituito la figura dei promotori finanziari. Tale normativa, con il D.lgs. n. 415/1996, veniva in buona parte modificata. In data 24 febbraio 1992 entrava in vigore il testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria che, all’articolo 31, n. 2 definisce il promotore finanziario come la persona fisica che, in qualità di agente collegato, o dipendente ai sensi della Direttiva 2004/39/CE, esercita professionalmente “l’attività di promozione e di collocamento presso il pubblico di strumenti finanziari e di servizi di investimento in luogo diverso dalla sede, legale o secondaria, del soggetto abilitato per il quale opera”.
L’attività di promotore finanziario è svolta esclusivamente nell’interesse di un solo soggetto, che è l’istituto di credito.
Il promotore finanziario è esclusivamente una persona fisica che ha il compito ed il potere di operare fuori dai normali istituti di credito al fine di offrire ai risparmiatori strumenti finanziari o servizi di investimento. Il promotore finanziario, regolarmente iscritto all’albo di competenza tenuto
125 Nonostante i ripetuti interventi di aggiornamento, da ultimo il d.l. 179 del 18 ottobre 2012. Il promotore è specificamente disciplinato all’art. 31 dello stesso decreto
126 X. XXXXXXXXXX, Il contratto di agenzia, in Tratt. CICU – MESSINEO- MENGONI, curr. X. XXXXXXXXXX, Milano, 2008, pagg. 51 e ss.
127 L. 2/01/1991 n. 1 (in Gazz. Uff., 4 gennaio, n. 3) - Disciplina dell’attività di intermediazione mobiliare e disposizioni sull’organizzazione dei mercati mobiliari (in parte modificata ed abrogata dal D.lgs. n. 415/1996).
presso la CONSOB dopo aver superato un esame abilitante, è soggetto all’osservanza di norme di stampo istituzionale a garanzia dei risparmiatori, oltre a essere il responsabile indiretto dei prodotti finanziari offerti 128.
Ulteriore vincolo imposto 129 a chi volesse svolgere l’attività di promotore finanziario è il fatto di vincolarsi in maniera esclusiva per un solo mandante, il che fa sussistere l’obbligo del cd. monomandato.
Altro rilevante elemento che non permette una sovrapposizione delle discipline del contratto di agenzia e quello del promotore, o meglio una inopinata equiparazione, è la modalità di retribuzione dei promotori, non tanto dal fatto che la stessa è elargita dalla società, ma per il fatto che essa consta di una quota-parte fissa, una legata al portafoglio clienti ed un’altra prevista in misura percentuale e proporzionale all’attività di nuova raccolta effettuata dal promotore.
Sicuramente, anche se in generale è possibile che una tale forma di retribuzione possa essere predisposta anche per l’agente, è sicuramente un’eccezione al diritto principale delle provvigioni 130.
L’attività svolta dal promotore, è da considerare quale mera attività, non legata a nessuna figura specifica di lavoratore. In altre parole l’attività di promotore finanziario può essere esercitata secondo tre differenti modalità negoziali e precisamente con contratto di agenzia, con contratto di mandato o con rapporto di lavoro subordinato.
Dato per immodificabile il fatto che l’attività di promotore debba essere esercitata da una persona fisica, occorrerà di volta in volta effettuare un’analisi puntuale dell’attività espletata, qualora una delle parti ne contesti
128 X. XXXXXXX, Il lavoro degli agenti e dei rappresentanti tra autonomia e subordinazione , Bari, 2010, pag. 42; X. XXXXXXXX, Il promotore Finanziario, III^ Edizione,Milano , 2006.
129 Così come previsto dalla direttiva 2004/39/Ce.
130 Cfr infra cap. 2 pag. 82 e ss
l’inquadramento negoziale. In tal caso sarà necessario provare ai sensi dell’art. 2697 c.c. gli elementi rilevatori.
Di fatto, secondo il principio della rilevanza della verità materiale 131 tipica del diritto del lavoro, è necessario identificare le modalità di come venga esercitata l’attività di promotore, indipendentemente dal nomen iuris.
Inutile ribadire che se l’attività dovesse risultare svolta sotto le costanti direttive del datore di lavoro, che esercita altresì poteri di controllo e disciplinari, potrà parlarsi di subordinazione. Qualora, al contrario, il lavoratore risultasse esente da vincoli di orario e non fosse sottoposto ai poteri del datore di lavoro sopra citati la sua attività potrebbe essere riconducibile a quelle previste al n. 3 dell’art. 409 c.p.c.. Nel caso in cui, poi, siffatta attività fosse espletata in totale autonomia con propria organizzazione e senza vincoli allora occorrerà qualificarla come lavoro autonomo ex art. 2222 cod. civ.
Spesso accade che la giurisprudenza di legittimità, chiamata a dirimere controversie inerenti l’attività di intermediazione finanziaria, si avvalga delle norme codicistiche in materia di contratti di agenzia anche sulla base del legame che tale figura ha con quella dell’agente di commercio anche se si deve far rilevare che, ad oggi, non esiste un accordo economico collettivo dei promotori finanziari né questi ultimi sono firmatari dell’accordo degli agenti di commercio 132.
Altresì, come accennato in precedenza, a differenza dell’agente, il promotore finanziario è responsabile 133 solidalmente con l’intermediario per il quale opera.
131 X. XXXXXXXXX, Il diritto processuale del lavoro, in Trattato di diritto del lavoro, dirr. X. XXXXXXXX – X. XXXXXXX, Padova, 2011, pagg. 125 e ss.
132 In tal caso, tuttavia, potrebbero intervenire gli AEC con efficacia erga omnes in caso di disposizioni peggiorative.
133 Art. 31 T.U.I.F. (Testo Unico Intermediazione Finanziaria) D.lgs. 24 febbraio 1998 n. 58: “il soggetto abilitato che conferisce l’incarico è responsabile in solido dei danni arrecati a terzi dal
Siffatto vincolo di solidarietà sussiste sempre e non può considerarsi escluso neppure nell’ipotesi in cui il promotore ponga in essere comportamenti dolosi ed esorbitanti la propria attività 134 . In sede civile quella che investe il soggetto intermediario è una sorta di responsabilità oggettiva 135 che, a seconda dei casi, può altresì essere qualificata come responsabilità rinforzata essendo l’intermediario chiamato a rispondere anche qualora il promotore abbia agito come agente senza rappresentanza136.
Altre problematiche allo svolgimento dell’attività di promotore finanziario come agente risiedono, nel caso di cessazione del rapporto, della disciplina del patto di non concorrenza non potendosi applicare pedissequamente le norme del codice per gli agenti di commercio 137.
Alla cessazione del rapporto di lavoro al promotore agente spetta, comunque, la liquidazione del F.I.R.R. e altre indennità. Regola generale vuole che l’obbligo di iscrizione all’ENASARCO produca il diritto di ottenere il F.I.R.R.138 che la banca è tenuta a versare presso tale Ente. Il
F.I.R.R. viene versato dalla ditta proponente ogni anno presso
promotore finanziario, anche se tali danni siano conseguenti a responsabilità accertate in sede penale”.
134 Così si è espressa la Cassazione, sez. penale, in merito alla responsabilità dell’intermediario e promotore ai danni dell’investitore, 7 maggio 2009 n. 34526
135 Si rimanda a quanto affermato dall’art. 31 del dlgs 58/1998 in cui viene esplicitamente indicata la responsabilità rinforzata dell’intermediario a favore del promotore.
136 La Cassazione ha avuto modo di affermare che : “La banca è responsabile in solido ogni volta che il danno risulta causato dal promotore finanziario nell’ambito delle attività legate alle incombenze di cui il professionista è investito. Il cliente, però, non è esente da colpe se all’atto della richiesta di disinvestimento viola le regole accettando di versare le somme di sua pertinenza sul conto personale del promotore” (Cass. civ. Sez. III, 11 giugno 2009 n. 13529). A confermare tale indirizzo talune decisioni anche della sezione lavoro della Cassazione fra cui Xxxx. civ. Sez. lav. 24 luglio 2009 n. 17393.
137 Di fatto il rapporto che lega cliente e promotore è decisamente più stretto rispetto a quello che lega l’agente commerciale al futuro cliente del preponente. In sostanza il legame di fiducia che si instaura fra cliente e promotore è decisamente un quid pluris rispetto alla mera attività di cui all’art. 1742 cod. civ., per cui è decisamente plausibile che non vi siano rigide responsabilità di sviamento della clientela nel caso il rapporto fra intermediario e promotore si interrompesse. Sul patto di non concorrenza per l’agente di commercio si veda amplius cap 4, pagg. 134 e ss
138 Si veda infra cap. 5 pagg 141
l’ENASARCO che provvede ad accantonarne le relative somme liquidate all’agente, al termine del rapporto di lavoro.
Tuttavia l’agente promotore finanziario non può essere sovrapposto alla figura dell’agente commerciale. Diverse, infatti, sono le “sfumature” che esistono fra le due figure. In primo luogo sono le conseguenze della violazione del patto di non concorrenza . Secondariamente è la materia trattata dal promotore che è vincolato non solo al superamento di un concorso abilitante, ed al superiore controllo della conseguente legittimità da parte della CONSOB, ma anche nella materia oggetto dell’attività di promotore, esso infatti è esclusivamente legato alla promozione di prodotti finanziari e non di altro. Altresì vi è anche la non trascurabile circostanza secondo cui l’agente non è chiamato alla necessaria presenza fisica all’interno dei locali dell’azienda preponente, diversamente dal promotore finanziario tenuto all’assidua frequenza dell’ufficio sito nella filiale cui è assegnato.
2.1.7) Con l’agente assicurativo
La figura dell’agente di assicurazioni così come individuato dall’art. 1753139 cod. civ., sebbene sia sistematicamente inserito nella disciplina codicistica dell’agente di commercio si discosta da esso per notevoli differenze.
Gli agenti di assicurazione sono state fra le prime categorie di lavoratori a dotarsi di un assetto convenzionale collettivo e ciò prima del sistema corporativo 140.
139 “Le disposizioni di questo capo sono applicabili anche agli agenti di assicurazione, in quanto non siano derogate [dalle norme corporative o] dagli usi e in quanto siano compatibili con la natura dell'attività assicurativa”
140 Vista l’importanza del contratto assicurativo che ha le sue fondamenta sin dal periodo romano, il primo concordato fra agenti e case mandanti fu nel 25 giugno 1920 con il c.d. “concordato Brambilla”.
A differenza del comune agente di commercio l’agente di assicurazione è caratterizzato dal fatto di essere vincolato a trattare strumenti assicurativi, come polizze e contratti di assicurazione. Per tale elemento, quindi, l’agente di assicurazioni è soggetto a vincolanti controlli amministrativi 141 e a una maggior disciplina sia convenzionale, dovuta alla specifica indicazione degli AEC assicurazioni, sia legale, in considerazione del fatto che i contratti procacciati dall’agente sono specificamente disciplinati dal nostro legislatore dagli articoli 1882 e seguenti del codice civile.
La legge istitutiva, che ha dato rilevanza giuridica all’agente assicurativo, prevedendo una sua autonomia ed analogia con l’agente commerciale, fra cui l’iscrizione ad un albo, è la legge del 7 febbraio 1979 n. 48.
La legge citata prevede, oltre all’istituzione dell’albo, anche le modalità per accedervi le quali si riducono a due requisiti 142: il primo è il possesso dell’onorabilità e dei diritti civili, il secondo è il superamento di un esame abilitante143.
Gli agenti di assicurazione, a differenze di quanto accade ai normali agenti di commercio, sono soggetti non solo a stringenti e pubblicistiche norme di controllo, ma anche a procedimenti disciplinari comminati dall’organizzazione di appartenenza e disciplinati dalla legge del 1979 144.
141 Nell’82 è stata creata l’ISVAP al fine di controllare l’esercizio delle società di assicurazioni
142 Art. 4 della legge citata.
143 Il superamento di un esame determina che l’agente è in possesso dei requisiti tecnici inerenti i prodotti assicurativi oggetto del rapporto. E’ interessante notare come anche per un’altra figura il legislatore non solo ha previsto un organo per il controllo ma addirittura un esame abilitante ed un albo. Ci si riferisce al promotore finanziario, che, sebbene non sia soggetti a norme convenzionali, è da considerare (nella sua qualità di agente) come uno specialista tecnico di settore, così come lo è anche l’agente di assicurazioni. Tale affiancamento è tanto più verosimile se si considera la compatibilità per un agente di assicurazione di svolgere contestualmente sia l’attività di promotore finanziario sia quello di agente assicurativo, a condizione di rispettare alcuni presupposti quali il presentarsi alla clientela come agente assicurativo e non come promotore e di non mettere in concorrenza gli strumenti assicurativi eventualmente offerti dall’intermediario finanziario con quelli offerti dalla società di assicurazione, così come chiarito dalla comunicazione della Consob del 22 ottobre 1999 n. DI/99077423.
144 La procedura di costituzione del collegio giudicante, il procedimento sanzionatorio e l’eventuale impugnazione sono disciplinati dagli artt. 13 – 19
Vista la rilevanza pubblicistica della figura, l’esercizio abusivo dell’attività comporta anche una sanzione amministrativa prevista dall’art. 21 della medesima legge. Come visto in precedenza 145, l’annullamento del contratto tra preponente ed agente porta senza dubbio a delle sperequazioni e delle evidenti ingiustizie nei confronti dell’agente.
Tuttavia, lo stesso, come detto al primo capitolo, può ricorrere a diversi strumenti al fine di vedersi riconosciuta il proprio corrispettivo come ad esempio l’art. 2041 cod. civ.
Prima di proseguire nell’analisi della figura dell’agente di assicurazione è necessario effettuare una divisione, ossia individuare il tipo di agente in base alla modalità con cui il medesimo agente esegua e la propria attività.
Partendo dal presupposto che l’attività di agenzia può essere svolta sia in forma individuale che collettiva, ossia dalla singola persona fisica o da società, l’agente di assicurazione può eseguire il proprio lavoro “in economia” o “a gestione libera”146.
L’agente in economia è solitamente il preposto ad una filiale o sede secondaria della compagnia di assicurazione. Questo tipo di agente, che in realtà è un dipendente della compagnia assicurativa assume, per le sue funzioni, la veste e la qualifica di “institore”.
In quanto institore, l’agente in economia può compiere tutti gli atti inerenti l’esercizio dell’impresa assicurativa, salve le limitazioni contenute nella procura affidatagli. Egli può, inoltre, stare in giudizio in nome e per conto dell’impresa d’assicurazione per le obbligazioni dipendenti da atti compiuti nell’esercizio della sede dell’impresa cui egli è preposto.
L’agente in economia che non sia preposto ad un’impresa o ad una filiale o sede secondaria, o che comunque non sia fornito di poteri rappresentativi,
145 Cfr supra cap. 1 pagg. 23 e ss.
146 X. XXXXXX, “Il contratto di agenzia”, op. cit., pag. 264, X . XXXXX , “Il contratti di agenzia”, op. cit. pag. 324; XXXXXx, “del contratto di agenzia”, op. cit, pag. 248.
non riveste la qualifica di institore, ma è solo un dipendente della compagnia, che può essere munito di poteri determinati mediante procura.
L’agente a gestione libera, invece, è un vero e proprio agente. Quando l’impresa di assicurazione stima che sia più vantaggioso affidare in una certa zona ad organizzazioni esterne l’attività promozionale ed amministrativa del portafoglio clienti nomina agenti a gestione libera.
In questo caso, sussistono pertanto i presupposti per un contratto di agenzia in quanto il contraente è autonomo ed assume in proprio l’onere del rischio d’impresa.
Di conseguenza, può essere instaurato fra l’agente di assicurazione e l’impresa preponente il contratto di agenzia purché, ovviamente, siano rispettate le disposizioni in materia di iscrizione all’albo degli agenti assicurativi.
L’agente a gestione libera conduce un’attività autonoma, caratterizzata dall’indipendenza dell’intermediario e dal rischio di impresa.
Ulteriori figure di agenti di assicurazioni sono il sub agente147 ed il coagente.
Per quanto riguarda il primo ne parla la stessa legge del 1979 la quale descrive il sub agente all’art. 5 affermando che il sub agente “colui che, con l’onere di gestione a proprio rischio e spesa, dedica abitualmente e prevalentemente la sua attività professionale all’incarico affidatogli da un agente e che non esercita altra attività imprenditoriale o lavorativa, subordinata o autonoma”. Al subagente si applicano quindi le medesime norme, legale e contrattuali, che vengono applicate all’agente principale.
La seconda figura, quella del coagente, si ha nel caso in cui il rapporto viene stipulato con più agenti; in questo caso i titolari del contratto di agenzia sono più di uno. Essendo prevista tale possibilità, l’incarico è stato
147 Per quanto concerne il sub agente amplius infra. pag.68
disciplinato dalla stesa contrattazione collettiva la quale al comma 4 dell’art. 2 dell’accordo nazionale agenti del 1994 prevede che : “l’incarico si considera sempre conferito congiuntamente e solidalmente, anche se ai coagenti è data la facoltà di agire separatamente”. Ciò sta a significare che non è necessaria una congiunta volontà dei coagenti nell’esecuzione dell’attività, ma che la decisione di uno vincola “congiuntamente” l’altro coagente rendendoli solidalmente responsabili 148.
Vi sono, infine, altre figure particolari di agente di assicurazione come quella dell’agente generale, agente locale, agente di zona e di città caratterizzati unicamente dall’ampiezza di zona e non da particolari vincoli normativi.
La struttura normativa del rapporto dell’agente di assicurazione è decisamente peculiare in quanto il rapporto che solitamente vi è fra norme legali e convenzionali viene ribaltato. Infatti è l’articolo 1753 cod civ. che ammette tale mutamento della gerarchia delle fonti, rendendo di fatto la normativa codicistica sussidiaria e residuale rispetto alla disciplina collettiva149.
Come è stato notato150 tale impostazione priva di forza la tesi della reductio ad unum della figura dell’agente, avendo di fatto l’agente di commercio e l’agente alcuna comune norma vincolante, in quanto, come detto pocanzi, la gerarchia delle fonti del diritto è invertita e quindi ciò che è vincolante per uno non lo è per l’altro151. A ciò, infine, si aggiunga la diversità dei soggetti
148 Il rapporto di coagenzia richiama mutatis mutandis il lavoro ripartito del d.lgs 276/2003 artt. 41
- 45
149 TRIONI, “Il contratto di agenzia”, op. cit., pag. 265; XXXXX, op. ult. cit., pag. 315; XXXXXXXXXXX, “Contratto di agenzia”, cit., pag. 535; MISCIONe, “Il contratto di agenzia”, cit., XII, tomo 4, pag. 376; XXXXXx, op ult. cit., pag. 240
150 TRIONI pag. 266, contro XXXXXXX – TOFFOLETTO, op cit., pagg. 37 e ss.
151 Neanche l’art. 1745 c.c. che disciplina la rappresentanza dell’agente può applicarsi alla figura dell’agente di assicurazione, in quanto si applica la più specifica disciplina dell’art. 1903 c.c.
firmatari degli accordi collettivi che possono rendere estremamente diversa l’applicazione della normativa in materia.
A causa di tale derogabilità non è possibile effettuare un’analisi corretta sulle vere intenzioni del legislatore, ma forse lo stesso, in considerazione delle innegabili difficoltà tecniche del contratto di assicurazione e della necessaria professionalità specifica che deve possedere l’agente, abbia voluto demandare in toto alle parti private lo svolgimento del rapporto, a danno, anche, della tutela offerta dell’impianto codicistico152.
2.2) Il rapporto di agenzia fra il lavoro autonomo e subordinato
Prima di analizzare gli obblighi ed i diritti dell’agente, che a seconda della loro intensità, possono avvicinare il rapporto di agenzia al rapporto di lavoro subordinato, occorre svolgere una riflessione sulla natura giuridica dell’agente.
L’agente non può essere considerato tout court imprenditore, in considerazione del fatto che i legislatore ha inserito la disciplina dell’agente di cui agli artt. 1742 e ss cod. civ. nel IV libro del codice civile dedicato ai singoli contratti, e non invece nel V, dedicato, appunto, al lavoro ed all’impresa.
Tuttavia, vista la genesi del rapporto di agenzia, essa risulta imprescindibilmente legata ad una struttura tipicamente imprenditoriale 153, caratterizzata da una forte rilevanza dell’aspetto commerciale.
Tralasciando il preponente che si presume imprenditore154, occorre, a questo punto, considerare la figura dell’agente non tanto considerato quale
152 Si nota che l’applicazione della direttiva comunitaria 653 del 1986 rende facoltativa la propria applicazione all’agente di assicurazione, a differenza dell’agente di commercio comune per la quale vi è un obbligo.
153 TRIONI, op. cit. pag. 79.
154 Il discorso varrebbe anche per il sub agente, in quanto, l’agente – preponente, utilizzando una propria organizzazione strutturata e non più la sola attività personale (cfr infra).
soggetto collettivo, e quindi società, sia essa di capitali o di persone, ma soggetto singolo.
In tale circostanza il legislatore italiano ponendosi in una posizione opposta a quella tedesca155, ha ritenuto più conciliabile alla figura dell’agente quella del lavoratore autonomo anziché quella dell’agente imprenditore 156.
Ma, in considerazione dell’ecletticità della figura, come sopra detto, il limen che distingue l’agente imprenditore157 da quella dell’agente lavoratore autonomo è assai sottile, in quanto non è sempre detto che l’agente lavori con la veste di società, o in maniera del tutto “solitaria”. E’ possibile che esso si giovi anche dell’ausilio di collaboratori o di associati che pur formando un soggetto plurisoggettivo non rivesta quella forte carica imprenditoriale prevista dall’art. 2082 cod. civ., e quindi con una struttura complessa e gerarchicamente organizzata, in quanto l’attività principale è svolta prevalentemente dall’agente.
Quindi se la distinzione fra impresa ed agente è ben delineata, quella fra piccolo imprenditore e agente lavoratore autonomo è meno chiara.
Esistono diverse tesi sulla qualificazione soggettiva dell’agente, la più datata prevede che la figura dell’agente lavoratore autonomo così come previsto dall’art. 2222 cod. civ. sia assorbita dalla figura del piccolo imprenditore 158.
Ciò in quanto si ritiene che la figura del lavoratore autonomo sia una figura sussidiaria al piccolo imprenditore, il quale necessita dell’esistenza di un’organizzazione di beni e servizi in maniera professionale al fine dell’esercizio dell’attività economica.
155 Sulla distinzione tra i due sistemi cfr PARDOLESI, “I contratti di distribuzione”,cit., pag. 129 e ss.
156 GHEZZI, “del contratto di agenzia”, op. cit. pag. 11 e ss
157 Più correttamente del piccolo imprenditore ex art. 2087 cod. civ.
158 X. XXXXXXX, “La piccola impresa”, Milano, 1947, pag. 132, GHEZZI, op. ult. Cit., pag. 16, SARACINI TOFFOLETTO “ Il contratto di Agenzia”, op. cit. pag. 96 e ss.
Il legislatore, infatti, ha definito il lavoratore autonomo con l’art. 2222 cod. civ.159, affermando quindi che quest’ultimo è una “persona” che presta la propria attività senza vincolo di subordinazione in cambio di un corrispettivo, distinguendolo dal lavoratore subordinato e ponendolo in antitesi ad esso.
La “persona” che presta la propria attività non è soggetta a qualificazioni particolari, come invece richiesto per il piccolo imprenditore. Quest’ultimo, infatti, presta la propria attività con professionalità, ossia con stabilità ed abitualità 160.
Altra parte della dottrina161, invece, ritiene che non si possa limitare la visione dell’agente alla bipartizione imprenditore/piccolo imprenditore, ma che la figura dell’agente lavoratore autonomo sia da considerarsi a se stante e quindi avere una tripartizione (agente lavoratore autonomo, piccolo imprenditore e imprenditore).
I detrattori della tesi dicotomica ed in sostanza fautori di quella tripartitica giustificano la loro tesi essenzialmente con la presunta prevalenza, se non totalità, dell’attività dell’agente singolo, che non si giova, a differenza dell’imprenditore, sia esso anche piccolo imprenditore, di un’organizzazione di più soggetti.
In altre parole ciò che rileva al fine di configurare l’agente quale lavoratore autonomo è in sostanza la sua attività che viene svolta essenzialmente dal medesimo.
159 Disciplina per mezzo della quale il legislatore ha voluto rilevare le differenze con l’art. 2094 cod. civ. e quindi le differenze fra il lavoro subordinato e quello autonomo
160 Tale tipo di professionalità non inquadrabile in quella prevista dall’art. 2229 cod. civ., si condivide, infatti quanto detto da XXXXXX, in, “contratto di agenzia” op cit., pag. 90, non potendo qualificare l’agente, benché professionista in senso lato, in quelle professioni c.d. liberali a cui l’art. 2229 cod. civ è dedicato (contra TOFFOLETTO, op. cit., pagg. 37-38)
161 X. XXXXXXXX, “Storia e teoria del rapporto di agenzia” op. cit. pag. 191, BALDI op. cit. pag.
56 ss.
Il secondo elemento per cui si ritiene l’agente lavoratore autonomo, figura altra e diversa dall’agente piccolo imprenditore, è che l’agente lavoratore autonomo per lo svolgimento della propria attività non necessità di un investimento di capitali che, anche se minimo, è presente nel piccolo imprenditore162.
Tuttavia tale seconda tesi è stata fortemente criticata163 .
Nonostante la distinzione fra le due figure non sia perfettamente delineabile, è da notare che tale qualificazione ha quale conseguenza pratica unicamente la possibilità o meno di applicare una normativa più favorevole, come, ad esempio, per il piccolo imprenditore, l’esenzione dalla possibilità di fallimento164, ovvero della tenuta delle scritture contabili 165. Tuttavia, in questa sede tali risvolti non hanno particolare rilevanza, in quanto ciò che si ha intenzione di analizzare è la possibilità o meno di individuare figure di agente che possono avvicinarsi più o meno alla figura del lavoro autonomo/piccolo imprenditore, ovvero al lavoro subordinato.
Infatti, come detto, se non sussistono particolari difficoltà a ritenere l’agente quale soggetto autonomo rispetto al preponente quando lo stesso agente sia una società ovvero un qualsiasi altro soggetto dotato di una
162 TRIONI , op. cit.,pag. 81
163 X. XXXXXXX ,“Diritto commerciale, l’imprenditore”, Bologna, 1982, pag. 30.
164 Prima della riforma del diritto fallimentare del 2007 n.169, l’art. 1 del RD 267 del 1942 c.d. “Legge Fallimentare”, prevedeva espressamente la dizione di piccolo imprenditore per poi individuarne quelle caratteristiche che non rendono l’imprenditore piccolo , ossia “hanno effettuato investimenti nell'azienda per un capitale di valore superiore a euro trecentomila; hanno realizzato, in qualunque modo risulti, ricavi lordi calcolati sulla media degli ultimi tre anni o dall'inizio dell'attività se di durata inferiore, per un ammontare complessivo annuo superiore a euro duecentomila.” Successivamente, con la riforma sopra citata, la qualificazione di piccolo imprenditore è stata eliminata per lasciare unicamente i limiti quantitativi per cui si ammette la possibilità di fallimento dell’imprenditore.
165 L’Art. 2214 cod. civ dispone: “ L'imprenditore che esercita un'attività commerciale deve tenere il libro giornale e il libro degli inventari.
Deve altresì tenere le altre scritture contabili che siano richieste dalla natura e dalle dimensioni dell'impresa e conservare ordinatamente per ciascun affare gli originali delle lettere, dei telegrammi e delle fatture ricevute, nonché le copie delle lettere, dei telegrammi e delle fatture spedite.
Le disposizioni di questo paragrafo non si applicano ai piccoli imprenditori”.
organizzazione strutturata che faccia utilizzo anche di collaboratori, problemi sorgono, invece, quando l’agente sia un “piccolo agente”.
In tale circostanza l’autonomia delle parti è sensibilmente compromessa visto il notevole peso economico esercitato dal preponente al momento non solo della stipulazione del contratto, ma anche nel suo svolgimento 166 ed in particolare dei poteri controllo e direzione esercitato da quest’ultimo 167.
Di particolare interesse in questa sede è il richiamo alle teorie sviluppatesi intorno alla funzione del contratto del lavoro subordinato, e ciò al fine di identificare correttamente in cosa si sostanziasse la subordinazione stessa.
A tal proposito è necessario richiamare le principali teorie sulla funzione del rapporto di lavoro ossia la teoria “istituzionalista”, di stampo corporativistico (poi ripresa più recentemente con la costituzione della c.d. corrente dei “neo istituzionalisti”) e la teoria “contrattualista”, più moderna e di stampo civilistico168 .
166 E’ innegabile che tale diseguaglianza accomuni il piccolo agente al lavoratore dipendente. Tale rilevante aspetto è stato notato anche dal legislatore che ha voluto inserire con la l. 533 del 1973 fra le cause di competenza del giudice del lavoro anche le questioni riguardanti “gli altri rapporti di collaborazione che si concretino in una prestazione d’opera continuativa e coordinata, prevalentemente personale, anche se non con carattere subordinato”. Ulteriori garanzia viene offerta dal legislatore anche per quanto riguarda la disciplina di cui all’art. 2113 cod. civ, in materia di rinunce e transazioni in merito al rapporto di lavoro subordinato, l’argomento verrà trattato più vanti al capitolo 6 del presente scritto.
167 Cfr infra paragrafo 2.2 “Obblighi e diritti dell’agente”
168 La dottrina sul punto ha sempre discusso senza mai sopirsi, anche con la formazione di una nuova corrente detta dei neo-istituzionalisti, tutti i maggiori studiosi del diritto del lavoro si sono pronunciati sulla questione perorando una o l’altra tesi, in tal caso non si possono non citare L BARASSI “ Il contratto di lavoro nel diritto positivo italiano”, Milano, 1915; X. XXXXXXX “ La responsabilità contrattuale del prestatore di lavoro”, Milano, 1957; X. XXXXXXXX “ Contratto di lavoro e organizzazione”, Padova 1965 X. XXXXXX, “Mansioni e qualifica nel rapporto di lavoro”, Napoli. 1963; X. XXXXXXX “ Contratto e rapporto di lavoro nella recente dottrina italiana”, in RSoc., 1965, 676 e ss; si ricordano M. NAPOLI “Contratto e rapporti di lavoro” in le ragioni del diritto , Scritti in onore di Xxxxx Xxxxxxx, Milano, 1995; SCOGNAMIGLIO, “Lezioni di diritto del lavoro” Bari, 1963, e dello stesso autore “La natura non contrattuale del lavoro subordinato”, RIDL, 2007, 379 e ss; X. XXXXXXXXX “La prestazione di lavoro nel contratto di società”, Milano 1967, F, XXXXXXXXX, “Contenuto ed effetti del contratto di lavoro”, Napoli 1971; M, MARAZZA “Saggio sull’organizzazione del lavoro” Xxxxxx, 0000. Le opere sono decisamente notevoli sia per contenuto che per numerosità quindi per una organico sviluppo delle due teorie sviluppate dai vari autori, oltre a quelli pocanzi citati, si rimanda a X. XXXXXX “ il percorso tortuoso del diritto del lavoro tra emancipazione dal diritto civile e ritorno al diritto civile” in Relazione al convegno dell’Associazione dei Civilisti Italiani su Il diritto civile e “gli altri” Università “la
La questione tra le più dibattute dalla dottrina giuslavoristica è quella concernente l’origine contrattuale oppure no del rapporto di lavoro di lavoro, e quindi dove si possa individuare la subordinazione.
A tal proposito si possono distinguere due diversi orientamenti di pensiero in quanto, da un lato vengono sostenute tesi che possono essere definite istituzionaliste, perché pur nella varietà delle ricostruzioni e delle argomentazioni addotte negano che la disciplina del rapporto di lavoro debba essere posta in chiave contrattuale; dall’altro si propugnano tesi cosiddette contrattualistiche perché muovono dall’opposto rilievo che il rapporto di lavoro derivi necessariamente dal contratto, benché di quest’ultimo il codice civile non dia alcuna definizioni, limitandosi alla disciplina del rapporto.
Nell’ambito del primo orientamento, discorrendo in termini generalissimi e molto sintetici, si può distinguere la teoria istituzionalistica che configurando l’azienda quale comunità necessaria di cui , sia pure con ruoli diversi, fanno parte il datore di lavoro che il lavoratore, legati dal’identico sentimento di appartenenza, esclude che il rapporto di lavoro abbia natura contrattuale in quanto in esso sia fortemente limitata l’autonomia negoziale del prestatore, autonomia di cui il contratto è invece la massima espressione dalle teorie che fanno riferimento all’art. 2126 c.c. e quindi della rilevanza della prestazione di fatto.
Nell’ambito del secondo orientamento, invece, si fa risalire la subordinazione alla modalità di svolgimento del rapporto di lavoro comunque definito nel contratto individuale.
Il molto sintetico richiamo alle due diverse teorie serve al fine di individuare se nel rapporto di agenzia possa o meno individuarsi la
Sapienza” di Roma - 2 dicembre 2011, infine occorre ricordare X. XXXXXXXX “ Considerazioni sulla nozione e sulla funzione del contratto di lavoro subordinato”, in Studi in onore di Xxxxxxx Xxxx, II, Napoli 2011.
subordinazione in base o all’inserimento dell’agente nell’organizzazione dell’attività imprenditoriale del committente, ovvero nella nell’indicazione della clausole del contratto di agenzia dalle quale possa trasparire un indiretto vincolo di ubbidienza.
Dalla trattazione che seguirà, si può evincere come nel rapporto di agenzia fra piccolo agente monomandatario e committente si possano individuare entrambe le tesi che in un modo o in un altro comunque giungono allo stesso risultato ovvero individuare un elemento più o meno preponderante che possa identificare la subordinazione. Nel caso del piccolo agente, infatti, è innegabile che esso subisca ( pati ) sia l’organizzazione del datore di lavoro di cui fa direttamente parte sia in vincoli contrattuali che spesso, nella realtà, vincolano l’agente ai principali doveri del prestatore di lavoro subordinato.
Tuttavia in tale rapporto rimane sempre una generale autonomia che solamente quando venga notevolmente ridotta, appunto per vincoli contrattuali, ovvero disposizioni organizzative del committente, avvicina tale rapporto al lavoro di lavoro subordinato.
Sotto tale aspetto quindi il piccolo agente è stato assimilato al lavoratore parasubordinato169, in considerazione della notevole disparità della forza contrattuale e dell’ingerenza del preponente nell’attività dell’agente Tuttavia la parasubordinazione170, o simil-subordinazione171, si attaglia perfettamente alla figura del piccolo agente accentuando ulteriormente le
169 Sulla nascita del termina parasubordinazione si veda Cass. 24 settembre 1960 n. 2485 in Dir. Lav., 1961, II, pp. 295 e ss, con nt di X. XXXX “ Agente con rappresentanza e diritto a provvigione per gli affari promossi, ma conclusi dal preponente”, in cui l’autore afferma “ La conclusione a cui è giunta la Suprema Corte mi sembra difficilmente contestabile non solo per argomenti testuali, ma anche per considerazioni equitative non trascurabili, in riferimento al particolare favor protettivo che ispira la regolamentazione, legislativa e sindacale dello speciale rapporto di collaborazione esterna all’impresa, quale rapporto di “parasubordinazione”, secondo un recentissima qualificazione. Il rapporto di agenzia è, infatti, caratterizzato dalla assunzione stabile dell’incarico di promuovere la conclusione di contratti per conto del preponente”
difficoltà sistematiche di una precisa classificazione giuridica del rapporto di agenzia tale da gettarla ad libitum in una “zona d’ombra” 172, sempre in bilico fra la subordinazione, l’autonomia ed altre forme di collaborazione173.
Ulteriori problemi di sistema sono sorti successivamente all’entrata in vigore del d.lgs 276/2003 che inseriva la collaborazione a progetto174.
La necessità di una riforma che sostituisse l’ambigua forma di una parasubordinazione fortemente soggetta a spazi di abuso tendenti a nascondere vere e proprie forme di subordinazione, è stata percepita sia dalla giurisprudenza 175 che dalla dottrina 176 tanto da cercare di vagliare
170 In merito alla parasubordinazione solo per citare alcune fra le principali opere X.XXXXXXX XXXXXXXXXX, “Il lavoro parasubordinato”, Milano, 1979; X .XXXXXXXXXX, “Prestazione d’opera e parasubordinazione”, in RIDL, 1984, I, 2, pp. 506 e ss; X. XXXXXXXX, “Lavoro autonomo e parasubordinazione”, in Tratt. di dirr. privato, Torino, XV, Impresa e lavoro, I, II, 1986, p. 1417;
M.V. BALESTRERO, “L’ambigua nozione di lavoro parasubordinato”, in LD, 1987, p. 41; X. XXXXXXX, “Dal lavoro subordinato al lavoro autonomo”, in DLRI, 1998, pagg. 455 e ss.; X. XXXXXXXX, “Autonomia, subordinazione e coordinamento nei recenti modelli di collaborazione lavorativa”, in L&D, 1998, I, pag. 203; X. XXXXXXXXX “ Diritto del lavoro”, in Tratt. Dir. Priv. cur. X. XXXXXX – X. XXXXX, Xxxxxx, 0000, pagg.90 e ss;
171 In Germania vi è una figura analoga le “arbeitnehmerähnliche”, che corrispondono a figure di lavoro autonomo parzialmente tutelato.
172 Fra i molti a definirla tale si veda X. XXXXXXXX, “ I contratti commerciali”, cit, pag. 172 che definisce l’atipicità del contatto di agenzia una zona grigia.
173 X. XXXXXXXX “ La qualificazione dell’agente di commercio ”, in LNG, 7, pag.605 e ss., l’autore rileva che maggiori difficoltà si hanno nella corretta separazione fra l’agenzia e le altre forme di collaborazione commerciale, ovvero di contratti inerenti la distribuzione.
174 Art. 61 dlgs 276/2003 : “ Ferma restando la disciplina per gli agenti e i rappresentanti di commercio, i rapporti di collaborazione coordinata e continuativa, prevalentemente personale e senza vincolo di subordinazione, di cui all'articolo 409, n. 3, del codice di procedura civile devono essere riconducibili a uno o più progetti specifici o programmi di lavoro o fasi di esso determinati dal committente e gestiti autonomamente dal collaboratore in funzione del risultato, nel rispetto del coordinamento con la organizzazione del committente e indipendentemente dal tempo impiegato per l'esecuzione della attività lavorativa”.
175 Sull’elaborazione di una subordinazione attenuata al fine di offrire maggiori garanzie alle collaborazioni si veda Xxxx. 6 luglio 0000, x. 0000 xx XXXX, 0000, XX, 000; Cass. 27 novembre 0000, x. 00000, in Xxxx.XX, 2003, pag. 127;
176 Diverse sono state le soluzioni proposte dalla dottrina divisa tra garantismo ed autonomia. Fra i maggiori esponenti del garantismo P.G. ALLEVA “Ridefinizione della fattispecie di contratto di lavoro. Prima proposta di legge “, curr. X. XXXXXX, “La disciplina del mercato del lavoro, proposte per un testo unico”, Roma, 1996; Nella medesima opera, M. D’XXXXXX “Ridefinizione della fattispecie di contratto di lavoro. Seconda proposta di legge”. Fra i più rigidi forse il DDL
X. XXXXXXXXX, richiamato in Quad.Dir. Lav., 1998, 21, 285, che ha affiancato molte tutele del lavoro subordinato alle collaborazioni, introducendovi anche norme dello Statuto dei Lavoratori. Tale proposta, è stata criticata da X. XXXX “ Note a proposito dell’iniziativa legislativa in materia
altre forme di contratto al fine di garantire comunque un minimo di tutela per tutti quei lavoratori che, benché autonomi, fossero economicamente dipendente dal committente.
Il decreto legislativo 276 del 2003 con l’art. 61 ha posto una formale e non sostanziale fine alla disciplina dell’abuso delle collaborazioni coordinate e continuative, in quanto ha arricchito tale figura con l’apposizione di un progetto.
Tale elemento, in sostanza, ha avvicinato maggiormente queste forme di parasubordinazione, o autonomia condizionata, alla figura del lavoro autonomo ponendo alla collaborazione un risultato177, ovverossia il progetto o una fase di esso.
Nonostante ciò, proprio per l’ecletticità nello svolgimento del rapporto, il contratto di agenzia è stato specificamente escluso dall’applicazione della normativa178.
di lavori atipici” in X. XXXXXXXXX - X.XXXX – X. XXXXXXX , “ I cosiddetti “lavori atipici”. Aspetti sociologici, giuridici ed esigenze dell’impresa”, Roma, 2000, 44. Tra i fautori dell’istituzione di un tertium genus tra il lavoro subordinato e autonomo rendendo la figura del collaboratore quale figura sussidiaria DE XXXX XXXXXX, X. XXXXXXX, X. XXXXXXXX in DLRI, 1998, 21,331.
177 X. XXXXXXX, “Obbligazioni di risultato ed obbligazioni di mezzi”, in Riv.dir.comm., 1954, I, p. 189.
178 E’ da rilevare che anche l’ultima riforma del luglio 2012 n. 92, ha introdotto, un nuovo sistema di presunzioni assolute al fine di ridurre ulteriormente l’abuso alle collaborazioni di lavoro che in qualunque forma possano essere fraudolentemente sottratte alla disciplina del lavoro subordinato. A tal proposito è stato introdotto il nuovo art. 69 bis il quale afferma che non vi può essere parasubordinazione o autonomia nel caso in cui: “a) la collaborazione abbia una durata complessivamente superiore a otto mesi nell'arco dell'anno solare;
b) il corrispettivo derivante da tale collaborazione, anche se fatturato a più soggetti riconducibili al medesimo centro d'imputazione di interessi, costituisca più dell'80 per cento dei corrispettivi complessivamente percepiti dal collaboratore nell'arco dello stesso anno solare;
c) il collaboratore disponga di una postazione fissa di lavoro presso una delle sedi del committente”. Escludendo, quindi, chi esercita un’attività professionale per cui è necessario iscriversi ad un albo, ovvero chi svolge attività di aspetti tecnici e professionali elevati (comma 2). E’ interessante notare come il legislatore abbia posto una presunzione di subordinazione nel fatto che vi sia un unico committente, paragonabile al’agente lavoratore autonomo monomandatario. Non sono mancate in dottrina chiose sull’introduzione di tale nuovo articolo fra cui X. XXXXX “Prime chiose sulla nuova disciplina delle collaborazioni a progetto”, pag. 20 e ss. in WP CSDLE “Xxxxxxx X’Xxxxxx”.it 151-2012.
A questo punto, dopo aver effettuato una panoramica sulle varie figure di agente che più o meno si possono avvicinare alla subordinazione, occorre svolgere una breve riflessione sulla figura dell’agente che forse più si avvicina al lavoratore subordinato rispetto ad altre, id est il piccolo agente monomandatario179 .
Tale figura, infatti, racchiude in sé gli aspetti più deboli delle tesi che valutano l’agente quale lavoratore autonomo ovvero piccolo imprenditore, in quanto i poteri di controllo ovvero di vera e propria organizzazione, o libertà economica, sono strettamente vincolati alla volontà del preponente, tale da essere, grazie all’esclusiva a lui “assegnata” dall’agente, equiparato ad un vero e proprio datore di lavoro 180.
Tuttavia, sarà sempre necessario, in sede di accertamento giudiziale valutare non solo il dato formale, ma effettivamente l’intensità ed in
179 A tal punto occorre rilevare come tale clausola dipenda dal c.d. diritto di esclusiva da parte dell’agente ai sensi dell’art. 1743 cod.civ. “Il preponente non può valersi contemporaneamente di più agenti nella stessa zona e per lo stesso ramo di attività, nè l’agente può assumere l’incarico di trattare nella stessa zona e per lo stesso ramo gli affari di pi imprese in concorrenza tra loro“. Volendo fare una rapida disamina dell’istituto, e ciò per scrupolo di completezza, si può affermare che esso sia un elemento naturale ma non essenziale del rapporto di agenzia, per cui si ammette pacificamente la derogabilità (cfr. XXXXXX, “del contratto di agenzia”, cit., pag. 60 e ss; XXXXXXXX – XXXXXXX - XXXXXXX, “Contratto di agenzia. Mediazione”, in giurisprudenza sistematica di diritto civile e commerciale, fondata da X. XXXXXXX, I, pag. 357 e ss, TRIONI, op. cit., pp. 113 e ss; BALDI, “Il contratto di agenzia”, Milano, 1987, p.58 e Cass. Civ. Sez. Lavoro, 2634/1994), ed altresì che esso vale sia per il preponente che per l’agente. L’esclusiva è riferita sia alla zona che all’ambito di attività dell’agente (più correttamente “il ramo d’affari” trattato dall’agente). La “zona” viene intesa in senso ampio ovvero sia riferito allo spazio effettivamente assegnato all’agente, sia alla tipologia dei clienti ed in generale a qualsiasi elemento che possa determinare quantitativamente l’attività dell’agente, mentre per “ramo di attività” si intende l’ambito merceologico in cui è stata definita l’attività dell’agente.
180 Sulla rilevanza della monocommittenza, quale elemento presuntivo della subordinazione, se ne è dato un accenno in precedenza quando si è discusso della nuova disciplina per le collaborazioni coordinate e continuative di cui all’art. 69 bis D.lgs 276/2003. In dottrina si veda X. XXXXXXXX “ Il contratto di agenzia, la mediazione” , 1995, pag. 193. Per una decisa affermazione della vicinanza del rapporto di agenzia al rapporto di lavoro subordinato X. XXXXXX, op. cit. pag. 8 “ La disciplina del contratto di agenzia trova il suo modello, come tra poco ricorderemo, in quella del contratto di lavoro, e del contratto di lavoro impiegatizio in particolare: il parallelismo strutturale, del tutto evidente – per lo meno nelle sue grandi linee – per quanto attiene alle fasi estintive, traspare anche in parte almeno della normativa che, riguardo lo svolgimento del rapporto. Attiene in particolare agli obblighi dell’agente (art. 1746 )”
generale la penetrazione delle direttive e del controllo del preponente sull’attività dell’agente monomandatario.
Infine è necessario considerare anche la figura che solitamente viene definita come “l’agente dell’agente”, ovvero il subagente.
Il subagente è colui che presta la propria opera professionale in favore di un altro agente, considerato agente / preponente 181.
La figura del sub agente è ammissibile in quanto oramai è opinione comune che l’agente possa avvalersi di uno o più ausiliari, purché, nel rapporto intercorrente tra le parti si realizzi l’attività di promozione della conclusione di contratti verso retribuzione 182.
Come il contratto principale anche quello di sub agenzia rientra nello schema previsto dall’art. 1742 c.c. Il compito del subagente è sempre quello di favorire la raccolta delle proposte contrattuali che poi sarà onere dell’agente trasmettere al suo preponente 183.
Al contratto di subagenzia è applicabile la disciplina codicistica, in quanto trattasi di un sub contratto ovvero contratto derivato184. Problematiche sorgono, nel caso in cui il subagente operi nella stessa zona di esclusiva dell’agente. In tale circostanza l’inapplicabilità della disciplina dell’ “esclusiva” sarebbe a detrimento delle provvigioni dell’agente che si
181 Cass. 14 aprile 2000, n. 4877, MGC, 2000, II, 814
182 SARACINI – TOFFOLETTO, op. cit., pag. 106. Ma ancor di più legittimata anche per una espressa previsione convenzionale, anche se di specie, come quella per gli agenti assicurativi dove la figura del subagente è espressamente indicata sin nel Contratto Collettivo del 19 dicembre 1941 dove all’art. 1 si legge “è sub agente di assicurazione colui il quale viene incaricato direttamente e per iscritto dall’agente di assicurazione, con incarico analogo a quello ricevuto dall’agente, di provvedere, a proprio rischio e spese, con compenso in tutto o in parte in provvigioni, alla gestione di una sub agenzia e allo sviluppo degli affari e che svolge direttamente i suoi rapporti con l’agente”. La figura dell’agente di assicurazione trova, nel nostro ordinamento, una disciplina speciale all’ art. 1753 del cod. civ. in cui la viene richiamata la disciplina ordinaria del contratto di agenzia, affermando che essa è applicabile anche all’agente assicuratore se la materia non è incompatibile con la disciplina prevista da contratti collettivi, prassi o usi. Sul contratto di agenzia nelle assicurazioni si veda fra i molti TRIONI, op. cit. pag. 260 e ss; BASEGNHI “ Il contratto di agenzia”, op. cit., pagg. 356 e ss.
183 BALDASSARRI, Il contratto di agenzia, op. cit., cit, pag. 96
184 X. XXXXXX, “Il subcontratto” Napoli 1977, pag. 140; XXXXXX, op cit., pag. 95. X. XXXXXXXX, “Il contratto”, Milano, 1979, 212
ritroverebbe ad essere una figura meramente formale fra preponente e subagente, con evidenti ricadute anche per le c.d. provvigioni indirette. Diverse problematiche sorgono anche in merito all’applicabilità dell’art. 1745 c.c., concernente i poteri di rappresentanza dell’agente 185 e alle norme contenute negli accordi economici collettivi del commercio, che non sempre sono le medesime che legano l’agente principale al preponente principale.
Infatti per l’AEC da applicare è sempre necessario individuare quale attività sia svolta dal preponente, che in questo caso è l’agente. Tale osservazione comporta il fatto che l’AEC da applicare ai subagenti sarà sempre quello del settore commercio 186, in quanto l’attività di agenzia inerisce sempre l’attività commerciale e mai, invece, quella industriale.
L’interdipendenza che si incardina tra contratto di agenzia principale e quello di subagenzia fa si che gli effetti conseguenti alle possibili vicende che possono travolgere il contratto principale, si estendano inevitabilmente anche a quello di subagenzia e le cause di invalidità, inefficacia o risoluzione che vanno a colpire il contratto principale necessariamente investono anche quelle di subagenzia 187
Si stabilisce in tal modo la coesistenza di due contratti che sono uno accessorio all’altro, seppure il contratto di subagenzia, pur restando derivato, può anche avere una durata ed uno svolgimento diverso 188.
185 La dottrina è divisa sulla possibilità di applicare l’art. 1745 c.c. al sub agente in senso sfavorevole: BALDI, “Il contratto di agenzia”, cit. pag. 55, XXXXXXXXXXX , “Il contratto…”, op. cit. pag. 97, TRIONI, op cit, pag. 100; in sensi favorevole XXXXXXXX - TOFFOLETTO, “Il contratto…”, op. cit. pag. 109.
186 BALDI, ibidem, pag. 351, BALDASSARRI, ibidem, pag. 318, TRIONI ivi, contra TOFFOLETTO, op. ult. cit.; pag. 110 in cui afferma che l’AEC da applicare è sempre quello di riferimento al preponente principale.
187 SARACINI - TOFFOLETTO, “Il contratto di agenzia”, in comm. X. XXXXXXXXXX, Milano 2002, pag. 190, in particolar modo gli obblighi ed i diritti dell’agente e del sub agente e dell’indennità di risoluzione del rapporto di sub agenzia (cfr Infra)
188 Ovviamente le ripercussioni in caso di risoluzione anticipata di un contratto a termine di sub agenzia non inerente la colpa del subagente ai sensi dell’art. 2119 cod. civ. non può considerarsi
Nessun tipo di questioni, infine sorgono per la previdenza, le cui norme di riferimento sono sempre applicabili anche ai subagenti.
2.2.1) La durata del rapporto di agenzia: rapporto a tempo indeterminato e determinato.
Il rapporto di agenzia, come ogni altro tipo di rapporto a prestazioni reiterate nel tempo può essere sia a tempo indeterminato che a tempo determinato.
Come per il rapporto di lavoro subordinato, la presunzione è che il rapporto di agenzia sia previsto a tempo indeterminato.
Le obbligazioni assunte sine die, tuttavia, necessitano sempre di una facoltà concessa alle parti di interrompere il rapporto in qualsiasi momento o in xxx xxxxxxxxx xxxxxx xx xxx xxxxxxxxxxxxx000.
Vista la particolarità del rapporto di agenzia, di cui la stabilità dell’impiego è elemento caratterizzante della figura, non si può non rilevare come nei confronti dell’agente di commercio a tempo indeterminato si possa equiparare la disciplina prevista per il rapporto di lavoro subordinato.
Non si vuole con questo affermare che le garanzie offerte al secondo siano identiche a quelle offerte dal primo, ma, si vuole evidenziare come in effetti il legislatore abbia offerto all’agente a tempo indeterminato la medesima predilezione che ha previsto per il lavoratore subordinato 190.
Tale favor per il rapporto a tempo indeterminato è stato fatto proprio in maniera esplicita anche dal legislatore il quale all’art. 01 del d.lgs
legittima, e quindi il sub agente potrà chiedere il risarcimento all’agente, il quale eventualmente godrà dell’azione di regresso nei confronti del preponente.
189 Cfr Infra.
190 E’ evidente che tale atteggiamento è giustificato solo per il piccolo agente monomandatario, il quale è soggetto più degli altri tipi di agenti alla sperequazione di forza contrattuale al momento della sottoscrizione del contratto, ed in generale, al suo svolgimento.
368/2001 prevede che “il contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato costituisce la forma comune di rapporto di lavoro” 191.
Inoltre, in merito all’apposizione del termine, se è pur vero che nel caso di lavoro subordinato la forma scritta dell’apposizione del termine costituisce elemento costitutivo dell’obbligazione192, elemento quest’ultimo assente nel rapporto di agenzia, è da rilevare che l’art. 2 AEC Commercio prevede la forma scritta per il rinnovo, ma tale applicazione può a buon ragione essere rivolta anche al momento iniziale del rapporto, in considerazione anche della forma richiesta dall’art. 1742 cod. civ..
In tal caso, quindi, la forma scritta del termine acquista una valenza superiore a quella del semplice diritto delle parti a ricevere copia scritta dei documenti del contratto di agenzia193, in quanto se nel primo caso è possibile stipulare il contratto oralmente e poi eventualmente ottenere i documenti sottoscritti della parti per questioni evidenti di tutela, nel secondo caso, trattandosi di una clausola accessoria al contratto che ne limita la durata dovrà essere sin da subito accettata e provata in forma scritta.
L’importanza di avere per iscritto e sin dal momento dell’instaurazione del rapporto di agenzia l’apposizione del termine è conseguenza di una necessaria armonizzazione del rapporto di agenzia col principio del favor prestatoris e ciò in quanto si limiterebbero gli abusi di una costrizione successiva alla stipulazione del rapporto tale per cui le parti, ed in
191 Il lavoro a tempo determinato è sempre stato considerato quale eccezione al lavoro a tempo indeterminato così come previsto dalla L.230/1962 e dal d.lgs 368/2001. Tuttavia, l’art. 01) del decreto legislativo ultimo citato, è stato introdotto unicamente con la legge 247 del 24 dicembre 2007 e modificato dalla riforma del 2012 n. 92, che comunque, pur apportando significative modifiche alla disciplina previgente ha mantenuto ferma l’eccezione del ricorso al contratto a termine.
192 Comma 2 art. 1 dlgs 368/2001 “2. L'apposizione del termine e' priva di effetto se non risulta, direttamente o indirettamente, da atto scritto nel quale sono specificate le ragioni di cui al comma l”.
193 Comma 2 art. 1742 cod. civ. “Ciascuna parte ha il diritto di ottenere dall’altra una copia del contratto dalla stessa sottoscritto.”
particolare il preponente, potrebbe, nel corso del rapporto ed al fine di evitare il pagamento di indennità relative al recesso illegittimo del rapporto di agenzia a tempo indeterminato, inserirla successivamente a discapito dell’agente.
Dato per presupposto la libertà di apposizione del termine nel contratto di agenzia senza che esso sia giustificato da causali o ragioni giustificative come invece prevede il d.lgs 368/2001 194 per il rapporto di lavoro subordinato, è da notare, inoltre, che quest’ultima disciplina si stia avvicinando, viste anche le ultime novità normative, ad una libertà non propria195.
Tale liberalità ha in sostanza avvicinato le due regolamentazioni per quanto concerne l’allentamento di vincoli formali e sostanziali, senza tuttavia confonderle.
La prosecuzione del rapporto oltre il termine indicato determina, in base al comma 1 dell’art. 1750 cod. civ., la trasformazione del rapporto da tempo determinato a tempo indeterminato.
Tale indiscusso precetto normativo, ricorda, la precedente sanzione prevista per i contratti a termine nel rapporto di lavoro subordinato196 in cui,
194 Comma 1 art. 1 D.lgs 368/2001 “ E' consentita l'apposizione di un termine alla durata del contratto di lavoro subordinato a fronte di ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo.”.
195 Di fatto la disciplina del contratto a termine nel rapporto di lavoro subordinato è transitata dalla rigida normativa in merito del 1962 n. 230, fino al decreto attuativo della direttiva Europea 70 del 1999, ossia il dlgs 368/2001, che ne ha allargato l’applicazione. Successive aperture sono avvenute poi con l’art. 21 L. 133 del 06 agosto 2008, che ha ammesso la possibilità di applicare il contratto a termine anche per l’ordinaria attività aziendale, ed infine con la legge. 92/2012 con cui è stata data la possibilità di assunzione senza causale nel caso di stipulazione del primo contratto di lavoro a termine di durata non superiore a 12 mesi. Il contratto a termine, quindi, è stato in qualche modo liberalizzato nel lavoro subordinato tale da avvicinarsi alla libertà prevista per il rapporto di agenzia. Tale “liberalizzazione” tuttavia è stata successivamente arginata (cfr circolare 18 luglio 2012 in cui il Ministero del Welfare ha offerto le prime indicazioni operative inerenti la
L. 92/2012) in considerazione anche della ratio sottesa alla riforma tendente allo sviluppo dell’occupazione.
196 Fra le molte pronunce degli ermellini che sanzionavano la prosecuzione del rapporto di lavoro a termine con la trasformazioni con un rapporto di lavoro a tempo indeterminato si veda Xxxx. Lav.,
11 novembre 1983, n. 6701 “Nell'ipotesi della prosecuzione dell'attività lavorativa dopo la
come per l’agenzia, il legislatore mirava a garantire stabilità al rapporto. Tale sanzione, tuttavia, è stata successivamente attenuata dall’entrata in vigore del d.lgs 368/2001 e delle successive modifiche che hanno introdotto i c.d. termini di tolleranza197.
Ulteriori indizi per cui si ritiene che il legislatore abbia preferito il rapporto a tempo indeterminato rispetto a quello determinato, risultavano dall’ormai abrogata norma inerente l’indennità di cessazione del rapporto, di cui al previgente art. 1751 cod cov., dovuta unicamente in caso di scioglimento del rapporto di agenzia a tempo indeterminato 198. Tuttavia tale distinzione è stata superata dalla riformulazione dell’art. 1751 cod. civ. da parte del d.lgs. 303 del 1991 e d.lgs 65 del 1999, che hanno reso indifferente per tale indennità la sussistenza di un rapporto a tempo determinato o indeterminato.
Ad oggi, quindi, ciò che non può essere corrisposto all’agente a tempo determinato è unicamente l’indennità di mancato preavviso prevista dal secondo comma dell’art. 1750 cod. civ.199
scadenza del termine inizialmente fissato, che è considerata dalla prima parte del 2° comma dell'art. 2 l. 18 aprile 1962, n. 230 (disciplina del contratto di lavoro a tempo determinato), la trasformazione del contratto a termine in contratto a tempo indeterminato, fin dalla data della prima assunzione del lavoratore, si verifica indipendentemente dalla dimostrazione di un intento elusivo” in Mass. Giur. It., 1983 Tale affinità con la trasformazione anche del rapporto di agenzia è stata rilevata da TRIONI, op cit. pag, 188, nonché da X. XXXXXX, op. cit. pag. 461 e anche XXXXXXXXXX – LA TERZA, op. cit. ,II, parte pag. 741, in cui si giunge ad un’assimilazione tra la disciplina della conversione del contratto di agenzia e l’art. 2 l.230/1962, contra XXXXXXXXXX, op. cit., pagg. 382 - 383 in nota.
197 Art. 5 d.lgs 368/2001.
198 Il previgente art. 1751 recitava “ All’atto dello scioglimento del contratto a tempo indeterminato, il preponente è tenuto a corrispondere all’agente un’indennità proporzionale all’ammontare delle provvigioni liquidategli nel corso del contratto e nella misura stabilita dagli accordi economici collettivi, dai contratti collettivi, dagli usi o,in mancanza dal giudice secondo equità.
Da tale indennità deve detrarsi quanto l’agente ha diritto di ottenere per effetto di atti di previdenza volontariamente compiuti dal preponente. L’indennità è dovuta anche se il rapporto di agenzia è sciolto per invalidità permanente o totale dell’agente. Nel caso di morte dell’agente l’indennità spetta agli eredi.”
199 In merito all’istituto del preavviso, elemento comune sia del rapporto di agenzia che del rapporto di lavoro subordinato, visto che entrambi rapporti costituiscono obbligazioni di durata per cui si necessita, secondo il principio di buona fede e correttezza, che chiunque apporti delle
Problematiche sono sorte sulla possibilità di applicazione della c.d. clausola di rinnovazione tacita, in cui le parti si impegnano a rinnovare tacitamente di anno in anno il contratto di agenzia in mancanza di una preventiva disdetta.
Vista la libertà conferita alla parti in merito alla stipulazione del contratto di agenzia, e vista l’assenza di qualsiasi norma che ne imponga il divieto o la nullità, tale tipo di clausola è da intendersi valida.
Tuttavia, questioni sorgono in riferimento alla distinzione tra contratti di agenzia a tempo determinato in cui sia presente o meno tale clausola.
modifiche nella sfera soggettiva di chi subisce la risoluzione del rapporto possa essere previamente avvertito al fine anche di seguire la condotta più vantaggiosa (Xxxx. 14 novembre 2006 n. 24274, Pres. Sciarelli est. Xxxxxx, in XXXX, 2007, con nt. di X. XXXXXXXX, "Frode alla legge e principio di parità in materia di recesso: una sentenza innovativa della Corte di Cassazione", 403). E’ interessante notare come anche per il rapporto di agenzia siano sorte questioni in merito alla natura del preavviso, come anche nel rapporto di lavoro subordinato.
Infatti, si è discusso, e si discute tutt’ora, se il preavviso ex art. 2118 cod. civ.,abbia efficacia “reale” ovvero “obbligatoria”. Brevemente nel primo caso “ciascuno dei contraenti può recedere dal contratto di lavoro a tempo indeterminato dando il preavviso nel termine stabilito dal contratto collettivo, dagli usi o secondo equità. Il diritto a lavorare durante il periodo di preavviso può venir meno solo con il consenso della controparte che, ad esempio, accetti la indennità sostitutiva del preavviso” (Cass. Sez. lav. 23 luglio 2004 n. 13883, in dottrina X. XXXXXXXXX, “Il licenziamento illegittimo”, Napoli, 1983, X. XXXXXX, “Orientamenti di giurisprudenza sul preavviso”, in RIDL, 1983, p. 222, M. NAPOLI, “La stabilità reale del rapporto di lavoro”, Milano, 1980; X. XXXX, “Diritto del lavoro”, Padova, 1991. p. 534); nel secondo “in cui una delle parti eserciti la facoltà di recedere con effetto immediato, altrettanto immediatamente il rapporto si risolve, con l'unico obbligo della parte recedente di corrispondere l'indennità sostitutiva” (Xxxx.Xxx. Lav. 19 gennaio 2004 n. 741, si veda in dottrina G.F. XXXXXXX, “Il recesso unilaterale e i rapporti di lavoro, Il recesso ordinario”, Milano 1962; X. XXXXXX, “La mora del creditore nel rapporto di lavoro”, Milano 1965, 154 e ss.). In altre parole, in caso il preavviso avesse efficacia reale, significa che gli effetti risolutivi del rapporto si sospendono fino al termine del preavviso, ritenendo il periodo lavorato alla stregua della prosecuzione naturale del rapporto di lavoro; nel secondo caso, invece il preavviso viene inteso quale obbligazione alternativa al pagamento dell’indennità. Senza entrare nel merito della questione è da notare che ultimamente la giurisprudenza (Xxxx.Xxx. lav. n. 22443 del 4 novembre 2010 e n. 13959 del 16 giugno 2009) segue quest’ultimo indirizzo, ritenuto minoritario, a seguito anche delle sentenza n. 11094 del 15 maggio 2007 e n. 11740 del 21 maggio 2007 che a distanza di una settimana l’una dall’altra hanno affermato principi esattamente opposti. Tale questione è stata affrontata anche per quanto riguarda la risoluzione del rapporto di agenzia, tuttavia, benché alcuni autori (X. XXXXXXXX, “La nuova disciplina dell’agente”, in Foro pad, 1992, II, p. 60) propendessero per l’efficacia reale del preavviso anche per l’agente, vista la riconosciuta libertà della parti di apporre ulteriori clausole all’interno del contratto individuale e quindi apporre anche una maggiore indennità sostitutiva del preavviso, la giurisprudenza ha invece (così come per il rapporto di lavoro subordinato), accolto la tesi dell’efficacia obbligatoria del preavviso (Cass. 14 novembre 2006, n. 24274).
Infatti, nel caso in cui l’agente continui nella sua attività, con tacita accondiscendenza del preponente, le soluzioni, a seconda, sono decisamente differenti. Infatti nel caso in cui la clausola non fosse presente, si applicherebbe la normativa codicistica e quindi il rapporto si trasformerebbe a tempo indeterminato, nel caso di presenza della clausola il rapporto si rinnoverebbe per un’ulteriore anno, o quale altro periodo voluto dalle parti, alle medesime condizioni del primo contratto200.
Nel primo caso, quindi, la parte che intende interrompere il rapporto dovrà comunicare la propria intenzione nel rispetto dei termini di preavviso di cui all’art. 1750 cod. civ., mentre nel secondo caso la parte dovrà dare disdetta entro i termini previsti dalle parti 201.
In sostanza con la disdetta, a differenza di quanto accade col recesso, non si risolve il rapporto di agenzia ma ne si conferma il termine finale impedendo quindi il rinnovo.
Vista la libertà dell’apposizione la possibilità di un abuso della clausola al fine di eludere la disciplina del preavviso, e l’eventuale sua indennità, è quantomeno plausibile qualora la stessa clausola venga attivata ripetutamente anche per diverse volte, quasi come un rapporto senza soluzione di continuità.
In tal caso, è possibile, ai sensi dell’art. 1419 cod. civ., comma 2, chiedere l’annullamento della clausola in quanto in frode alla legge, e applicare l’art. 1750 comma 2 cod. civ. Si propende, infine, di seguire il carattere “oggettivo” della frode, limitato alla condotta, senza vagliare l’effettiva
200 TRIONI, “Il contratto di agenzia”, 1994, cit., pag. 165; XXXXX, op. cit. pag., 235. Diversamente
X. XXXXXXXX, “la nuova disciplina degli agenti”, cit. pag. 61, X. XXXXXXX, “Attuazione della direttiva 86/653 CEE relativa al coordinamento degli stati membri concernenti gli agenti commerciali indipendenti”, in le nuove leggi civ. e comm, 1992, p. 533.
201 Entrambi gli atti sono atti unilaterali recettizzi conseguenti all’esercizio di un diritto potestativo, sul punto è solo il caso di richiamare X. XXXXXXXXX, “Disdetta”, in Enc. Dir., XII, pp.91-92, X. XXXXXXXXXXXX, “Contratti in generale”, in Trattato GROSSO-XXXXXXX-XXXXXXXXXX, 1977, p. 222.
volontà delle parti202 che si presume sussistente quantomeno dalla parte del preponente e ciò anche in conseguenza del principio del favor praestatoris a cui soggiace anche contratto di agenzia.
2.2.2) Obblighi e diritti dell’agente.
Una volta analizzate le questioni inerenti la durata del rapporto di agenzia, rilevandone dove possibile, le analogie con il rapporto di lavoro subordinato, occorre analizzare gli obblighi ed i diritti dell’agente, i quali forse più di tutti possono avvicinarsi a quelli previsti per il lavoro subordinato.
Di fatto gli articoli 1746 e 1748 del codice civile, racchiudono in sé i principali obblighi dell’agente, ossia la diligenza, la conformità dell’agente alle istruzioni ricevute, la lealtà e la buona fede nell’esecuzione del contratto, mentre il principale diritto dell’agente è quello di ricevere il proprio compenso o la retribuzione. Quest’ultimo è anche l’obbligo principale del preponente in base all’art. 1749 cod. civ.. E’ innegabile che tali obblighi e diritti sono paralleli a quelli previsti per il rapporto di lavoro subordinato.
Nel paragrafo seguente, quindi, si cercheranno di rilevare, per quanto possibile, le varie somiglianze degli istituti e le sostanziali differenze che rendono di fatto inconciliabile la sovrapposizione della disciplina del rapporto di lavoro subordinato al rapporto di agenzia
A) l’obbligo di lealtà, buona fede e diligenza
202 Così TOFFOLETTO, op. cit., pag. 386, SCOGNAMIGLIO, op. cit., p. 176. Per la teoria “soggettiva”
X. XXXXXXX, x. “Frode alla legge”, in Nuoviss. Dig. it, VII, pag. 647 e ss. e XXXXXXX – XXXXXXXXXX, “dottrine generali ..”, cit. pag. 191.
L’agente in esecuzione del suo mandato deve agire secondo lealtà e buona fede.
Le indicazioni che offre il legislatore per la qualificazione del rapporto di agenzia, si sostanziano, in primo luogo nel rispetto di due clausole generali.
Nella prima parte del primo comma dell’art. 1746 cod. civ. si può leggere “ Nell’esecuzione dell’incarico l’agente deve tutelare gli interessi del preponente e agire con lealtà e buona fede.”
Quindi il legislatore ha cura di evidenziare come in ogni caso l’agente debba rispettare un comportamento corretto nei confronti del preponente.
Tale indicazione offre lo spunto per rilevare come tale precetto sia estremamente elastico, ed adattabile alle evoluzioni sociali203. Infatti, non limitando a strette fattispecie la definizione di comportamenti di lealtà e buona fede, e legando questi ultimi agli interessi del preponente, il legislatore ha voluto qualificare con un quid pluris l’ordinaria clausola generale rendendola specificamente riferibile all’interesse del preponente.
La buona fede citata dall’art. 1746 cod. civ., quindi, richiama in sostanza, la buona fede prevista per l’esecuzione di ogni tipo di contratto così come previsto dall’art. 1375 cod. civ.204, e quindi anche per il rapporto di lavoro subordinato.
Con l’indicazione di buona fede, vi è intrinseco anche il principio di correttezza nell’esecuzione del rapporto di cui all’art. 1175 cod. civ.205
203 Cass. 30 luglio 2004, n. 14605; Cass. 9 luglio 2004, n. 12685, Cass. 4 marzo 2003, n. 3185; in dottrina X. XXXXXXXXXXXX, “Dei contratti in generale”, in Comm. Cod. Civ. SCIAJOLA – BRANCA, curr. X.XXXXXXX, 2006., sub art. 1321 – 1352, pag. 205.
204 TRIONI, op. cit., pag. 126.
205 TRIONI, op. cit. pag. 129.
Discusso in dottrina è stato anche il riferimento della buona fede se essa debba essere riferita all’art. 1375 cod. civ. ovvero all’art. 1176 cod. civ.206
La differenza sostanziale fra le due tesi è che la prima considera la buona fede quale clausola generale per ogni contratto, mentre la seconda attribuisce doppia validità al diligente adempimento delle obbligazioni, che non solo deve essere eseguito, appunto, diligentemente, ma che tale diligenza sia quella propria del buon padre di famiglia.
Tale ultima tesi non pare essere condivisibile, in quanto l’articolo di riferimento riguarda la diligenza nell’esecuzione del contratto e solo in via accessoria prevede la correttezza nell’adempimento.
Le due clausole, ossia la “correttezza” e la “diligenza”, devono essere considerate separatamente.
Correttamente, infatti, la “diligenza” non può essere affiancata ovvero usata in sostituzione della buona fede, in quanto se la quest’ultima richiama un generale valore sociale nell’affidamento di una prestazione non fraudolente207, la “diligenza”, invece, qualifica la prestazione stessa connotandola della minima attenzione che il prestatore deva offrire.
In altre parole, mentre la buona fede si riferisce ad uno stato d’animo208, la diligenza invece si riferisce all’esecuzione attenta della
206 Di tal parere XXXXXXXXXX, op.cit., pagg. 243 e ss.
207 Ars boni et aequi, ossia la c.d. giustizia sostanziale, non si tratta di un mero formalismo ma con il principio di buona fede ci si riferisce a quell’affidamento che le parti fanno sulle rispettive intenzioni che devono essere legate alla causa della stipulazione del contratto. (in dottrina X. XXXXXXX “ La responsabilità contrattuale del prestatore di lavoro”,Milano, 1957, pag. 60; più recente X. XXXXXX – M.G. MATTAROLO “ Diligenza ed obbedienza del prestatore di lavoro”, in comm, cod. Civ. Milano, 2007, X. XXXXXXXX “Direzione e gerarchia nell'impresa (e nel lavoro pubblico privatizzato”, in comm. Cod. civ., Milano 2012)
208 E’ da notare che tale tipo di aspetto riguarda la buona fede oggettiva generale dovere di correttezza e di reciproca lealtà di condotta nei reciproci soggetti ( X. XXXXXXX, “Degli effetti del contratto”, in comm. XXXXXXXX -XXXXXX, sub art. 1372 – 0000, Xxxxxxx - Xxxx, 1993, pag. 94 e ss.)
prestazione, tanto da far discendere da essa anche valutazioni di carattere tecnico, qualora la prestazione sia un’attività professionale 209.
In sostanza il dovere di diligenza ( art. 1176 cod. civ.), si riferisce alla modalità di come si svolge la prestazione, da cui potrebbero anche discendere degli inadempimenti per la sola omissione di un singolo fatto210, mentre il dovere di buona fede riguarda l’aspetto soggettivo della prestazione, e quindi l’assenza di ogni sorta di riserva mentale ovvero intenzioni fraudolente.
Tale diligenza nell’esecuzione dell’attività è riscontrabile anche nel lavoro subordinato nel primo comma dell’art. 2104 cod. civ. in cui il legislatore richiama tacitamente lo stesso art. 1176 cod. civ. Ovviamente all’agente non si richiede che la propria diligenza sia conforme a quella richiesta dalla “produzione nazionale”, ma è evidente che comunque deve essere conforme a quella della natura della “prestazione dovuta” e“dall’interesse dell’impresa” da intendersi quella del preponente211.
Il concetto di lealtà è legato strettamente al principio di buona fede in quanto evoca il concetto stesso di legalità 212 nello svolgimento del rapporto.
I doveri dell’agente, quindi, si aprono con un incipit che richiama le principali clausole generali di correttezza, buona fede e diligenza presenti in ogni tipo di contratto, fra cui quello di lavoro subordinato.
Tali clausole, tuttavia, in considerazione anche degli obblighi specifici indicati nello stesso art. 1746 cod. civ. e dagli AEC, risultano in
209 OSTI, “deviazioni dottrinali in tema di responsabilità per inadempimento delle obbligazioni”, in riv. Trim,dir, proc. Civ., 1954, pag. 604 e ss.
210 BIGIAVI, op. cit. pag. 124 e ss.; Cass.25 settembre 1995, n. 10130, in MGL 1996, pag. 431, nt NICOLI, “Obbligo della diligenza dell’agente e inadempimento”.
211 Come in effetti si legge nello stesso articolo 1746 cod. civ.
212 TRIONI, op. cit., pag. 127
definitiva delle clausole residuali e sussidiarie rispetto alla disciplina specifica.
B) L’obbligo di conformazione ed informazione.
Ulteriori obblighi che gravano sull’agente sono gli obblighi di conformazione ed informazione.
L’obbligo che più accomuna il lavoratore subordinato all’agente di commercio è proprio questo, per cui è immediata una comparazione con l’art. 2104 cod. civ.
Tuttavia la comunanza è solo di percezione immediata e non reale, infatti, sensibile è la differenza fra l’obbligo di osservanza alle direttive del datore di lavoro segnate al secondo comma dell’art. 2104 cod. civ.213, rispetto all’obbligo di conformazione alle direttive del preponente. Infatti, a differenza della prima parte dell’art. 1746 cod. civ.214 che parimenti al primo comma dell’art. 2104 215 prevede un dovere di diligenza universale e generale, valido per ogni forma di contratto e quindi valido sia per il rapporto di agenzia che per il rapporto di lavoro subordinato, il successivo ed imprescindibile obbligo che sorge è quello di conformazione e ubbidienza alle disposizione del preponente o del datore di lavoro.
Senza voler analizzare, ovvero approfondire il potere gerarchico e direttivo del datore di lavoro 216 ovvero l’obbligo di ubbidienza del
213 “Deve inoltre osservare le disposizioni per l’esecuzione e per la disciplina del lavoro impartite dall’imprenditore e dai collaboratori di questo dai quali gerarchicamente dipende”
214 “deve adempiere l'incarico affidatogli in conformità delle istruzioni ricevute”
215 “Il prestatore di lavoro deve usare la diligenza richiesta dalla natura della prestazione dovuta, dall’interesse dell’impresa e da quello superiore della produzione nazionale”.
216 Si veda X. XXXXXXXX, “Direzione e gerarchia nell’impresa (e nel lavoro pubblico privatizzato) art. 2084”, in Comm. Cod. civ., SHLESINGER – BUSNELLI, Milano, 2012; in giurisprudenza Cass. 10 marzo 2011, n. 5712; 13 dicembre 2010 n. 25150.
lavoratore subordinato217, in questa sede si vuole rilevare come i due obblighi, all’apparenza simili, siano in effetti assai differenti218.
Infatti l’obbligo dell’agente, in tal senso, è simile più a quello previsto dal collaboratore parasubordinato, che quello del lavoratore subordinato.
Per comprendere meglio la differenza occorre, come sovente accade nella dottrina giuslavoristica219, far presente che l’obbligo di una parte è sempre correlata al potere dell’altra parte, e quindi, nel caso di studio, si dovrà considerare l’estensione e l’incisività del potere direttivo del preponente rispetto a quella del datore di lavoro.
Nel rapporto di agenzia, infatti, tale potere è decisamente meno intenso rispetto a quello previsto per il datore di lavoro in quanto il preponente potrà dare solamente delle istruzioni all’agente e non dei veri e propri ordini, come invece accade nel rapporto di lavoro subordinato.
Tali “istruzioni”, tuttavia, possono essere sia intese latu sensu, ossia delle istruzioni generali e date all’inizio o durante il rapporto al fine di offrire delle linee generali per ottimizzare l’attività dell’agente, e quindi non limitate a mere comunicazioni recettizie220, ovvero possono essere intese stricto sensu, ossia per coordinare l’attività dell’agente. Tuttavia questo potere di coordinamento può essere assimilato a quello del committente per le collaborazioni coordinate e continuative 221, in quanto le eventuali istruzioni non devono essere tali da limitare l’autonomia dell’agente.
217 Nel medesimo commentario di cui alla nota precedente, X. XXXXXX – M.G. XXXXXXXXX, “Diligenza ed obbedienza del prestatore di lavoro art. 2104”, Milano, 2007.
218 M. NAPOLI, op. cit., pag. 464.
219 PERA, “Diritto del lavoro..”,op. cit., pag. 29
220 XXXXXX, op. cit. pagg. 108-109
221Una sentenza del Tribunale di Milano definisce correttamente cosa si debba intendere per potere di coordinamento “il coordinamento di tale gestione autonoma con l'organizzazione del committente, fermo restando che le indicazioni e disposizioni del committente devono essere isolate nel tempo, circoscritte nella durata e limitate nel contenuto.” (Trib. Milano 17 novembre
Le istruzioni date dal preponente all’agente, al fine di preservare l’autonomia di quest’ultimo, devono essere riferibili al contenuto tecnico funzionale e al buon svolgimento dell’attività dell’agente e non possano determinare o ricondurre l’istruzione ad una sorta di struttura gerarchica 222 e ciò ai sensi degli artt. 2104 e 2086 cod. civ.
Visto il sottile limite che distingue il potere direttivo più ingerente di cui all’art. 2104 cod civ. rispetto a quello più attenuato proprio del rapporto di agenzia, di cui all’art. 1746 cod. civ., la giurisprudenza ha offerto una serie di casi in cui saggiare il grado dell’intensità di tale potere. Questi, a titolo esemplificativo, sono: l’indicazione di un itinerario delle visite ai clienti, la redazioni di report periodici in merito all’attività svolta, indicazioni su come istruire altri collaboratori arrivando anche ad indicazione dell’osservanza di un orario 223.
Quindi essendo il rapporto di agenzia non sussumibile all’art. 2094 cod. civ., è tuttavia necessario valutare caso per caso se non ci sia un abuso di tale figura atta a coprire un vero e proprio rapporto di lavoro subordinato.
Come già accennato tale problema non sussiste quando l’agente sia una società, ma invece può accadere quando l’agente sia un piccolo agente monomandatario, allora è necessario un’attenzione maggiore al fine vagliare l’intensità del potere direttivo.
In tale frangente, è possibile che il preponente possa vincolare con stringenti lacci l’attività dell’agente tale da restringerne sensibilmente l’autonomia, a tal fine il legislatore ha sanzionato di nullità ogni patto
2007, Est. Xxxxxxxx, in D&L 2008, nt. S. HUGE, "Requisiti di genuinità del lavoro a progetto", 194)
222 GHEZZI, op. cit., pag. 104 e ss. Risultando innegabile che il preponente esercita di fatto un potere di coordinamento, e quindi di una direzione dell’attività dell’agente, questa tuttavia non può limitare l’autonomia dell’agente stesso. Nei confronti del preponente si configura, quindi, un potere direttivo attenuato (si veda SUPPIEJ, “il rapporto di lavoro”, Padova, 1982, pag. 49.). In giurisprudenza Cass. 15 maggio 2002. N. 7087; Cass. 27 agosto 2001, n. 11264.
223 Si veda Cass. 27 agosto 2001, n. 11264, Cass. 03 aprile 1990, n. 2680, Cass. 15 maggio 2002,
n. 7087.
contrario, di xxxxxx l’agente, che ritenesse troppo stringenti i vincoli contrattuali potrebbe non rispettarli senza incorrere in alcun tipo di inadempimento.
In caso contrario qualora venissero rispettati tali vincoli, allora si avrà per provata la mutazione del rapporto da parasubordinato a subordinato 224.
In ogni caso, qualora il piccolo agente monomandatario ritenesse sussistente un vincolo di subordinazione225, anche semplicemente in considerazione delle concrete modalità di svolgimento del rapporto di agenzia, sarà comunque necessario valutare tutti gli elementi essenziali e sussidiari226 della subordinazione primo fra tutti l’eterodirezione 227 e
224 In tal caso la figura più vicina a quella dell’agente sono il piazzista ed il commesso viaggiatore, entrambe categorie di lavoro subordinato. Il primo è un ausiliario dell’imprenditore, a cui lo stesso si riferisce per le vendite. Il piazzista è assunto direttamente dall’imprenditore, e quindi non si assume nessun rischio di impresa. La propria retribuzione può essere sia fissa che fissa e a provvigione ed è soggetto alle direttive dell’imprenditore. Il commesso viaggiatore ricopre, similmente al piazzista, le mansioni di venditore dei prodotti dell’imprenditore. Anche lui, come il piazzista, non ha autonomia e non assume alcun rischio economico. Ciò che lo contraddistingue dal primo è essenzialmente il territorio (molto più vasto di quello del piazzista) e nella possibilità di non essere vincolato a essere presente all’intero dell’azienda, svolgendo la propria attività al di fuori di essa.
Gli elementi caratterizzanti le due figure sono i) l’obbligo di visitare quotidianamente le zone stabilite dall’imprenditore; ii) nessuna scelta della clientela; iii) itinerario di visite imposto dall’imprenditore; iv) mancanza di alcun rischio e di autonomia.
Le due figure sono disciplinate oltre che dagli artt. 2094 e ss cod. civ., anche da Contratti collettivi aventi efficacia erga omnes e di diritto comune (il primo risale al 10 giugno 1952, confermato con il dpr del 2 ottobre 1960 n. 1402, al quale sono succeduti CCNL di diritto comune).
225 “In tema di distinzione tra il rapporto di lavoro subordinato e il rapporto di lavoro autonomo, le concrete modalità di svolgimento del rapporto prevalgono sulla diversa volontà manifestata nella scrittura privata eventualmente sottoscritta dalle parti, ben potendo le qualificazioni riportate nell’atto risultare non esatte, per mero errore delle parti o per volontà delle stesse, che intendano usufruire di una normativa specifica o eluderla; con l’aggiunta che la valutazione degli elementi probatori, ivi compresa l’interpretazione degli atti scritti, è attività istituzionalmente riservata al giudice di merito, insindacabile in cassazione se non sotto il profilo della congruità della motivazione del relativo apprezzamento”. Così Xxxx. 8 giugno 2012 n. 9347, Pres. Xxxxx Xxxxxxxx Est. Stile, in OGL 2012, 271.
226 “Nel caso in cui la prestazione dedotta in contratto sia estremamente elementare, ripetitiva e predeterminata nelle sue modalità di esecuzione, al fine della distinzione tra rapporto di lavoro autonomo e subordinato il criterio di rappresentato dall’assoggettamento del prestatore all’esercizio del potere direttivo, organizzativo e disciplinare non si manifesta come particolarmente significativo; ne segue che, per la qualificazione del rapporto di lavoro, occorre fare ricorso a criteri distintivi sussidiari, quali la continuità e la durata del rapporto, le modalità di erogazione del compenso, la regolamentazione dell’orario di lavoro, la presenza di una pur
l’assunzione del rischio. Inoltre, ben sapendo che le linee di confine non sono ben tratteggiate, la giurisprudenza, al fine di valutare correttamente la volontà delle parti, ha dato notevole importanza anche al nomen juris dato dalle parti, valutazione ermeneutica usata dai giudici in fattispecie “ambigue” come ad esempio, oltre al rapporto di agenzia, quello di associazione in partecipazione 228.
Il secondo principale obbligo dell’agente è quello di “fornire al preponente le informazioni riguardanti le condizioni di mercato a lui assegnate, ed ogni altra informazione utile per valutare la convenienza dei singoli affari”229.
Occorre quindi valutare: in quale tipo di informazioni si concreta l’obbligo, il grado di impegno richiesto e le conseguenze di un eventuale inadempimento.
Per quanto riguarda il primo aspetto è necessario rilevare come l’agente debba in primo luogo fornire le informazioni generiche sulle condizioni del mercato, atte ad individuare i mezzi idonei che consentano una sempre maggiore introduzione dei prodotti nel mercato230. Esse possono riguardare qualsiasi elemento che possa influenzare lo sviluppo
minima organizzazione imprenditoriale (anche con riferimento al soggetto tenuto alla fornitura degli strumenti occorrenti) e la sussistenza di un effettivo potere di autorganizzazione in capo al prestatore”. (Cass. 30 marzo 2010 n. 7681, Pres. Xxxxxxx Est. Xxxxxx, in D&L 2010, nt I. MAZZURANA, “Ancora qualche riflessione in tema di qualificazione del rapporto di lavoro”, 476)
227 “Ai fini della qualificazione di un rapporto di lavoro come autonomo o subordinato, assume rilievo prioritario e decisivo l'indagine sulla sussistenza del requisito della subordinazione, inteso come vincolo di carattere personale che assoggetta il prestatore d'opera al potere direttivo del datore di lavoro” (Così Xxxx. S.U., 30 giugno 1999, n. 379, conforme Xxxx. 26 luglio 2011 n. 16254, Pres. Lamorgese Est. Morcavallo, in LNG. 2011, 1054); nel merito si veda Trib. Milano 2 aprile 2012, Est. Xxxx. Xxxxxxx, in LNG, 2012, 830
228 Specificamente per il contratto di agenzia si veda: Xxxx. 18 aprile 2001, n. 5665, Cass. 27 agosto 2002, n. 12581; Cass. 1 marzo 2002; Cass. 27 agosto 0000, x. 00000; per il contratto di associazione in partecipazione si veda : Cassazione, 25 maggio 1976, n. 1885, in Mass. GL, 1977,
p. 129; Cassazione, 14 giugno 1979, n. 3353, in Mass. XX, 1980, p. 636; Cassazione, 16 aprile 1999, n. 3822, in Guida Lav., 1999, n. 26, p. 23; Cassazione, 27 novembre 2002, n. 16805, in Foro It., 2003, I, c. 1148.Cassazione, 17 giugno 2009, n. 14054, in Guida Lav., 2009, n. 38, p. 30.; Cassazione, 18 aprile 2007, n. 9264 ; Cassazione, 7 ottobre 2004, n. 20002;
229 X. XXXXXXXX, “Il contratto di agenzia”. 2008, cit. pagg. 131 – 134.
230 X. XXXXXX, v. “Agenzia (contratto)”, in Enc.dirr. , I, Milano 1958, pag.879
della rete commerciale del preponente, e quindi, ad esempio le società concorrenti, la solvibilità dei clienti ed i gusti degli stessi, la presenza si merce simile nel territorio etc.. etc... Si ritiene che l’agente adempia il suo obbligo limitandosi ad informare il preponente su tutto ciò che presenta attinenza con la situazione di mercato esistente nella sua zona, mentre nessun obbligo sussiste in riferimento all’organizzazione delle vendite, ciò, infatti, è attività propria del preponente231 .
Ciò che è certo è che, in alcun modo l’adempimento di tale obbligo, così come si è visto avvenire anche per l’obbligo di conformazione, può arrivare ad eliminare l’autonomia della quale l’agente gode nell’esercizio della sua attività 232 .
Quanto invece alle informazioni relative alla convenienza dei singoli affari, bisogna intendere che un affare si dice “conveniente” ogniqualvolta il cliente paghi integralmente il prezzo.
Si tratta di una valutazione preventiva effettuata dall’agente che abbia riportato i c.d. rumores in merito al buono stato dell’impresa cliente, o della sua puntualità nei pagamenti.
Tali notizie svolgono un ruolo estremamente importante, in quanto consentono alla ditta proponente di decidere la condotta da tenere con un determinato cliente.
La scelta della concreta convenienza di un affare spetta sempre al preponente, indipendentemente che l’agente sia o meno rappresentante.
L’obbligo di informazione genera inevitabilmente il dubbio relativo all’effettivo contenuto di esso, e in particolare ci si domanda se l’agente possa limitarsi a trasferire al preponente le informazioni in suo possesso lasciando a quest’ultimo, eventualmente, il compito di verificare
231 SARACINI, “Il contratto di agenzia”, op.cit., pag. 243;
232 Cass. 3 ottobre 1979, 5061
l’autenticità, oppure se sia sempre compito dell’agente accertare la corrispondenza al vero delle notizie raccolte 233 .
Si ritiene che una risposta all’interrogativo sollevato debba essere data solo ove calibrata al caso specifico. Infatti, l’obbligo di informazione costituisce un’applicazione pratica del generale obbligo di agire secondo diligenza a norma dell’art. 1176 c.c., quindi, poiché la diligenza che si richiede all’agente nell’espletamento del suo incarico è di tipo specifico, essa potrà comportare un obbligo di indagine e di verifica relativamente al contenuto delle informazioni234.
La giurisprudenza, infatti, esclude che l’agente debba risponder con riguardo alla serietà delle notizia in relazione al modo in cui furono assunte, proprio perché l’agente non ha l’obbligo di assumerle né, meno ancora, di assumerle seriamente 235.
L’agente che omette di fornire notizie utili al preponente incorrerà in responsabilità per inadempimento, la quale potrà comportare, come conseguenza, la risoluzione del contratto, in presenza dei caratteri di gravità e di importanza richiesti dall’art. 1455 c.c. ed art. 2119 cod. civ. oltre ovviamente al risarcimento dei danni alla casa preponente 236.
In tale ultima fattispecie, quindi, sarà necessario valutare ogni elemento ad esso riferibile come l’elemento psicologico e l’entità del danno subito dal preponente 237.
C) rinvio agli obblighi del commissionario e lo star del credere.
233 GHEZZI, “Del contratto di agenzia”, op. cit., pag. 254 contra XXXXXXXX - TOFFOLETTO , “Il contratto di agenzia” cit., 254.
234 Ad esempi, quando l’agente risulti essere dotato di una grande esperienza professionale, sia munito di una notevole organizzazione, promuova affari di cospicua consistenza economica.
235 Cass. 12 luglio 1954, 2841.
236 SARACINI - TOFFOLETTO pag. 250.
237 TRIONI, op. cit., pag. 140, e Cass. 19 agosto 1996, n. 7644.
Gli ultimi due obblighi specifici dell’agente sono il richiamo agli obblighi del commissionario ed allo star del credere.
Per quanto riguarda il primo, è stato rilevato238, che esso si tratti più che altro di un “residuato storico”. Comprensibile e condivisibile tale tesi se si tiene a mente che l’articolo così segnato è stata una scelta legislativa dettata dalla precedente disciplina precodicistica 239 del contratto di agenzia, che collocava quest’ultimo come declinazione del mandato.
Non potendo negare, anche per quanto detto in precedenza, che l’agenzia è cosa ben diversa dal mandato, e quindi anche delle sue sottospecie come il commissionario, è pur vero che allo stesso si riferiscono delle clausole generali applicabili, in quanto tali, a tutti i contratti. In particolare la dottrina richiama l’applicazione dell’obbligo di diligenza di cui all’art. 1710 cod. civ.240 anche per il contratto di agenzia.
Tale articolo fa riferimento al ben più generico ed evocativo richiamo al “buon padre di famiglia”, riferimento oramai non giustificato 241, e tuttavia superato, a parere di chi scrive, dal più specifico richiamo del comma 1) dell’art. 1746 cod. civ. , che, pur richiamando la diligenza, essa deve riferirsi, come quella prevista dall’art. 2104 cod. civ. , alla diligenza tecnica propria dell’attività svolta.
Per quanto concerne, poi, il c.d. “star del credere” 242 occorre osservare come ad oggi la legge 526 del 1999 243, che ha modificato l’art. 1746 cod.
238 BALDI, op cit., pag. 222.
239 BALDI fa riferimento all’art. 349 del codice del commercio del 1865.
240 BALDi, op. cit., pag. 223, TRIONI,op. cit., pag. 142; XXXXXX, op. cit., pag. 114.
241 Fra i principali detrattori DE XXXXXXX, in Dig. Disc. Priv. , v. “Buon Padre di famiglia”, pag. 128.
242 X. XXXXXXXX, v. “Commissione (contratto di)”, in Enciclopedia giuridica Treccani, Roma, 1988, vol. VII, 4.
243 Questa legge, come anche il d.lgs 65 del 1999, è un provvedimento per l’attuazione della direttiva Cee 53 del 1986. E’ stato affermato anche che la limitazione alla responsabilità dell’agente di cui al comma 2 dell’art. 1746 cod. civ. sia stata in realtà una libertà del legislatore Italiano in quanto la direttiva stessa nulla prevedeva (in tal senso A. VENEZIA, “Lo star del credere e contratto di agenzia”, in I contratti, 2000, p. 275 e ss)
civ., ha notevolmente ridotto la portata generale dello star del credere così come ammesso in precedenza, limitandolo a specifici xxxxxx000.
In sostanza con la nuova formulazione, è assai difficile introdurre alcuna responsabilità dell’agente per l’inadempimento del terzo, anche se tale impedimento potrebbe essere superato da strutturate clausole penali, sottoscritte da entrambe le parti.
La precedente disciplina dello “star del credere” era in origine una clausola peculiare del rapporto di commissione, costituendo una forma di garanzia data dal commissionario al committente245 ed inserita, in via convenzionale, nella disciplina dell’agenzia246.
Lo star del credere, quindi, era considerata quale clausola protettiva del preponente, il quale poteva rifarsi, per una determinata quota in proporzione all’affare non andato a buon fine, nei confronti dell’agente. La responsabilità era prevista dai primi contratti aventi efficacia erga omnes per un generico “inadempimento totale o parziale” del compratore, successivamente, con l’evolversi della disciplina ed in particolare con l’applicazione degli accordi economici collettivi di diritto comune, il
244 L’articolo 28 della legge citata prevede, oltre all’esplicita esclusione dell’applicazione dell’art. 1736 cod. civ., anche l’aggiunta del terzo comma dell’art. 1746, che prevede "E’ vietato il patto che ponga a carico dell’agente una responsabilità, anche solo parziale, per l’adempimento del terzo. E’ però consentito eccezionalmente alle parti di concordare di volta in volta la concessione di un'apposita garanzia … purché ciò avvenga con riferimento a singoli affari, di particolare natura ed importo; (omissis) sia previsto per l'agente un apposito corrispettivo".
245 L’art. 1736 cod. civ. prevede che “Il commissionario che, in virtù di patto o di uso, è tenuto allo "star del credere" risponde nei confronti del committente per l' esecuzione dell'affare. In tal caso ha diritto, oltre che alla provvigione, a un compenso o a una maggiore provvigione, la quale, in mancanza di patto, si determina secondo gli usi del luogo in cui è compiuto l'affare. In mancanza di usi, provvede il giudice secondo equità.” E’ stato evidente anche in giurisprudenza che tale precetto normativo aveva la precipua funzione di attribuire una responsabilità al Commissionario al fine di sanzionare la mancanza di diligenza. (Cass. 28 novembre 1981, n. 6352, Foro it., Rep. 1981, voce Commissione, n. 3).
246 All’art. 6 dell’accordo corporativo del 30 giugno 1938, in cui si prevedeva, oltre alla necessaria forma scritta del patto, la percentuale di responsabilità in relazione all’inadempimento del cliente alla quale l’agente poteva essere soggetto.
riferimento all’inadempienza è stato circoscritto alla mera “insolvenza totale o parziale” 247.
E’ da rilevare, oltre al fatto che tale patto era oneroso, che i limiti quantitativi a cui era stato relegato lo “star del credere” dalla prima codificazione, non permettevano un’automatica comparazione con la responsabilità del commissionario prevista dall’art. 1736 cod. civ.
A seguito della novella del 1999 la disciplina e la portata del patto dello “star del credere” è stata, come detto in precedenza, notevolmente ridimensionata.
Infatti non sussiste più l’obbligo della forma scritta ed è prevista per la sua applicazione, una notevole restrizione della sua portata limitandola a “specifici affari”, e non quindi alla generalità dei clienti trattati dall’agente. Un ulteriore limite è stato individuato nella qualificazione “di particolare natura ed importo”, e quindi considerando unicamente affari di particolare valore e rischio248.
2.2.3) I diritti dell’agente : la provvigione
A) La provvigione diretta ed il momento della maturazione del diritto.
Gli aspetti principali degli artt. 1748 e 1749 cod. civ. sono in buona sostanza opposti e simmetrici249, ossia dove il principale diritto dell’agente è quello di ottenere la provvigione, ossia la retribuzione per la propria attività, così il principale dovere del preponente è quello di pagare la retribuzione offrendo all’agente la massima disponibilità per il calcolo della medesima.
247 BALDI, “Il contratto di agenzia “, op. cit., pag. 164; così Cass. 10 marzo 1994, n. 2356, in Resp. civ., 1994, 645, nt. X. XXXXXXX; contra TRIONI, “Il contratto di agenzia”, 1994, cit, 127.
248 TRIONI, op. cit. pagg. 148 – 149.
249 M. NAPOLI, op. cit. pag. 465, l’autore riferendosi in particolare agli obblighi intercorrenti tra le parti ha avuto modo di constatare come “La norma pone innanzi tutto anche sul proponente gli obblighi di lealtà e buona fede, con perfetta simmetria tra le parti”
A tal proposito il legislatore si è preoccupato anche di offrire ulteriori diritti “investigativi” all’agente fra cui anche quello di “esigere che gli siano fornite tutte le informazioni necessarie per verificare l’importo delle provvigioni liquidate ed in particolare un estratto dei libri contabili” .
Quando si parla di provvigione, che si ricorda anche essere forma di retribuzione variabile ammessa anche nel rapporto di lavoro subordinato 250, si intende principalmente la provvigione c.d. diretta, ossia quella nascente dall’affare concluso per effetto dell’agente stesso.
La disciplina sul conteggio delle provvigioni è assai specificata nella contrattazione collettiva dei due principali rami dell’attività dell’agente ossia quello del commercio e dell’industria251.
La disciplina in merito alle modalità di pagamento della provvigione, che per sua natura è imprescindibile ad un rischio, elemento quest’ultimo legato a doppio filo al concetto di lavoratore autonomo, sono diverse e si distinguono, in quattro principali sistemi: i) successivamente all’esecuzione del contratto; ii) con un minimo fisso per acconto sulle provvigioni; iii) una cifra fissa più le provvigioni; iv) un minimo fisso garantito.
Per quanto riguarda i primi due tipi, nulla questio, in quanto il rischio è a carico dell’agente, che nel caso ricevesse anticipi e poi, successivamente, l’affare non andasse a buon fine, sarebbe tenuto alle restituzione della differenza ingiustificatamente percepita.
Difficoltà possono incorrere negli ultimi due casi, in quanto il rischio dell’agente è notevolmente ridotto.
Tuttavia, partendo dal presupposto della legittimità di tale tipo di pagamento, è evidente che se il rischio dovesse essere unicamente a carico del proponente, oppure nel caso in cui quello a carico dell’agente sia
250 Art. 2099 cod. civ. ultimo comma “ il prestatore di lavoro può anche essere retribuito in tutto o in parte con partecipazioni agli utili o ai prodotti, con provvigione o con prestazioni in natura”. 251 Artt. 5 e 7 AEC Commercio 2009; artt. 6 e 7 AEC Industria 2002.
decisamente sproporzionato 252, è evidente che tale elemento possa essere uno di quei indizi sussidiari da cui la giurisprudenza fa discendere l’instaurazione di un rapporto di lavoro subordinato 253.
Il diritto alla provvigione, comunque, è soggetto a due diversi momenti il primo è la sua maturazione ed il secondo e la sua esigibilità.
In sostanza, l’art. 1748 c.c. così come riformato dalla L.65 del 1999, prevede espressamente che il diritto di esigere la provvigione matura quando l’affare si sia concluso con per l’effetto dell’attività dell’agente 254, da cui anche il richiamo agli obblighi dell’agente di cui all’art. 1746 co.civ., e che le parti abbiamo adempiuto alle rispettive obbligazioni.
In altre parole la conclusione del contratto da parte del preponente col cliente, deve considerarsi momento in cui matura il diritto alla provvigione, mentre il diritto ad esigerla, e quindi quantificarla, sorge unicamente nel caso in cui il contratto sia stato eseguito correttamente, ovvero nel caso in cui il preponente non lo esegua senza alcune giustificazione 255.
252 Ad esempio se il minimo garantito è notevolmente superiore al valore delle provvigioni ottenute dall’agente, ovvero se il minimo fisso sia anch’esso notevolmente superiore alle provvigioni ottenute.
253 Sebbene debba essere accompagnato ad altri indizi, quello della retribuzione fissa è sicuramente uno dei maggiori elementi che contraddistingue il lavoro autonomo da quello subordinato (Cass. 17 dicembre 2010 n. 25581, in LNG, 2011, 1, 212; T. Roma 6 marzo 2009, Est. Xxxxx, in OGL,
72; Cass. 30 gennaio 2007, n. 1893, in D&L 2007, 2, 443). Ovviamente tali riflessioni ineriscono unicamente l’agente inteso come singola persona e non come società.
254 In precedenza l’art. 1748, modificato dalla L. 303 del 1991, prevedeva che il diritto dell’agente maturava per “gli affari che hanno avuto regolare esecuzione”, ciò, come ricordato è stato modificato dalla legge 65 del 1999, inserendo “ per intervento dell’agente”. Tale precisazione, in conformità alla direttiva CEE dell’ 86, è servita unicamente per determinare un distinzione fra l’agente in esclusiva e quello senza esclusiva, in quanto in mancanza di ciò si sarebbero concesse a tutti gli agenti le c.d. provvigioni indirette (cfr infra).
255 Tale tesi è stata condivisa anche dalla Giurisprudenza di legittimità con la pronuncia n. 5467 del 2 maggio 2000 “In tal modo la legge, sulla falsariga del modello tedesco, ha distinto tra il momento di acquisizione della provvigione e il momento di esigibilità della provvigione già acquisita. Il momento di acquisizione è il momento in cui l'operazione promossa dall'agente è stata conclusa tra le parti; il momento di esigibilità è il momento in cui il preponente ha eseguito, o avrebbe dovuto eseguire, la prestazione. Nella nuova disciplina giuridica, dunque, il fatto costitutivo della provvigione è la conclusione del contratto. Questa genera non una semplice aspettativa, come nella disciplina precedente, ma un diritto di credito vero e proprio, anche se non esigibile: un diritto che può essere ceduto e permette l'insinuazione nel passivo del fallimento del preponente. Condizione di esigibilità è invece l'esecuzione del contratto da parte del preponente:
Correttamente i due momenti sono separati, in quanto, in pieno rispetto della direttiva CEE, viene maggiormente tutelata la posizione dell’agente che, in tal modo, potrà richiedere anticipi sull’attività svolta, con il dovere, ovviamente, di restituire la somma ricevuta in caso di mancata esecuzione del contrato per colpe non imputabili al preponente. Con la sottoscrizione del contratto tra preponente e terzo, quindi, l’agente acquista la certezza del diritto alla provvigione, e solo successivamente, ossia con l’esecuzione del contratto potrà determinarsi anche il quantum e quindi renderlo un credito determinato ed esigibile.
B) La provvigione indiretta: gli effetti dell’esclusiva
L’art. 1748 al secondo comma prevede la possibilità che l’agente possa maturare il diritto alla provvigione anche senza un suo personale intervento nella conclusione dell’affare.
La possibilità di ottenere tale tipo di provvigioni (c.d. indirette) è pressoché riferibile all’ “esclusiva”256.
Tale diritto è sancito, a favore dell'agente come del preponente, dal codice civile all'art. 1743 cod. civ. e comporta per il preponente, il divieto di valersi contemporaneamente di più agenti nella stessa zona e per lo stesso ramo di attività, e per l'agente il divieto di trattare nella stessa zona e per lo stesso ramo gli affari di più imprese in concorrenza tra loro.
la provvigione è esigibile nel momento e nella misura in cui il preponente ha eseguito o avrebbe dovuto eseguire la prestazione.” (in CorrGI, 2000, pag. 1029). Contra BORTOLOTTI - BONDANINI
, op. cit. pag. 158 -160, in cui si afferma che la maturazione del diritto si ha unicamente con la corretta esecuzione del contratto.
256 Sul nesso che lega l’esclusiva alla provvigione indiretta GHEZZI, op. cit., pag. 148 “Sì è già posto in rilevo come l’istituto delle c.d. commissioni indirette trovi la sua ragione d’essere nella tutela dell’esclusiva, conferita all’agente nei confronti tanto del preponente quanto degli altri agenti, operanti normalmente nelle zone diverse”. Anche TRIONI, op. cit., pag. 159, XXXXX, op. cit., pag. 184.
Il diritto di esclusiva costituisce un elemento naturale del contratto di agenzia: l'art.1743 cod.civ. prevede infatti che il preponente non possa avvalersi per la stessa zona257 contemporaneamente di più agenti e che, inversamente, l'agente non può assumere l'incarico per altre imprese concorrenti di trattare nel medesimo ambito territoriale e per lo stesso ramo d'affari258.
La previsione della legge è nel senso della bilateralità dell'esclusiva, e quindi essa è apponibile sia all’agente che al preponente259 .
La violazione dell’impegno, che non può essere opposto a terzi, ha quale conseguenza la possibilità di poter chiedere un risarcimento.
Pertanto, mentre in un normale contratto di collaborazione economica la clausola di esclusiva costituisce un patto accessorio del tutto eventuale 260, nel contratto di agenzia essa assurge, in virtù dell'art. 1743 c.c., ad elemento
c.d. “naturale” del rapporto che può essere, come tale, pretermesso solo con il consenso di entrambe le parti 261.
Il nuovo testo dell'art. 1748 cod. civ. lascia praticamente inalterata la parte relativa al diritto dell'agente alla provvigione sugli affari conclusi direttamente dal preponente “...appartenenti alla zona o alla categoria o gruppo di clienti riservati all'agente...” ma non fa più riferimento “agli affari conclusi direttamente dal preponente nella zona riservata all'agente”, introducendo, quale criterio determinante, l'appartenenza del cliente alla zona (o categoria di clienti) riservata all'agente.
257 Sul concetto di zona cfr supra nota 80
258 Cass. Civ. Sez. Lavoro n. 2634 del 19 marzo 1994.
259 Quindi il primo si assume l’impegno di non trattare nella stessa zona per altri imprese, mentre il secondo si impegna a non affidare l’attività di promozione nella zona di competenza dell’agente ad altri agenti.
260 Cfr supra nota 50.
261 In Giurisprudenza si veda Cass. 19 marzo 1994, n. 2634; Cass. 11 giugno 1990, n. 5652; Cass.
4 dicembre 1989 n. 5322; Cass. 11 novembre 1986 n. 6608;Cass. 14 gennaio 1985 n. 58; Cass. 5 agosto 1985, n. 4387. Caratteristica quest’ultima fatta propria anche dalla dottrina.
Occorre peraltro precisare che, in presenza del regime di esclusiva, il preponente può concludere affari riguardanti la zona dell'agente solo occasionalmente e comunque fermo restando il diritto di quest'ultimo alla provvigione. La conclusione di affari, regolare e continuativa, da parte del preponente, integrerebbe, infatti, una vera e propria violazione dell'impegno contrattuale, idonea a fondare in favore dell'agente una tutela di carattere risarcitorio 262.
Inoltre, in attuazione quasi letterale di quanto previsto dal comma 2 dell'art. 1748 cod. civ., così come modificato dalla l. 65 del 1999, riconosce altresì il diritto dell'agente alla provvigione anche nell'ipotesi in cui, al di fuori del regime di esclusiva, il preponente concluda “direttamente” affari con terzi acquisiti precedentemente dall'agente stesso come clienti per operazioni del medesimo tipo.
Tale disposizione si riferisce all'agente che operi al di fuori di un regime di esclusiva e che venga remunerato solo sugli affari riconducibili ad un suo intervento; qualora l'agente sia “esclusivo”, infatti, egli avrà comunque diritto alle provvigioni su tutti gli affari con clienti della zona (o della categoria o gruppo di clienti) riservatagli, il che ricomprende anche i successivi affari con clienti da lui introdotti.
C) la provvigione postuma
Il comma 3 del riformato art. 1748 cod. civ., subordina il diritto alla provvigione per gli affari conclusi successivamente alla data di scioglimento del contratto di agenzia alla sussistenza di una pluralità di condizioni che tendono ad ancorare l'accertamento del diritto a circostanze determinate.
262 BALDI, op. cit., pag. 73.
Prima della riforma del 1999 era previsto il diritto dell'agente alla provvigione sugli affari “anche dopo lo scioglimento del contratto se la conclusione è effetto soprattutto dell'attività da lui svolta”.
Tale norma era stata introdotta dal D.Lgs. 303/1991 sulla base di quanto disposto dagli artt. 8 e 9 della direttiva 86/653/Cee, che prevedeva determinate e specifiche condizioni affinché l’agente maturasse il diritto alla provvigione anche dopo la risoluzione del rapporto e queste erano: che l'affare fosse dovuto soprattutto all'attività promozionale dell'agente263, ovvero che l'ordinazione del terzo fosse stata ricevuta dal preponente o dall'agente prima dell'estinzione del contratto di agenzia.
Da notare che, a differenza delle altre legislazioni europee, il decreto di attuazione 303/1991 aveva omesso l'espressione “termine ragionevole”, dando ampio spazio alle parti o al potere discrezionale del giudice per la sua determinazione.
Naturalmente le parti potranno, all'atto della cessazione del contratto, accordarsi espressamente sulla sorte degli affari in corso, individuandoli uno per uno e chiarendo per ciascuno i compiti che l'agente debba ancora svolgere nonché l'attribuzione delle relative, evitando a priori eventuali controversie
D) oltre la provvigione : spese e attività accessorie.
Alla principale attività dell’agente possono aggiungersi anche ulteriori attività accessorie, anch’esse soggette a pattuizione e relativa retribuzione. Prima fra tutte vi può essere l’attività di riscossione da parte dell’agente per i crediti che il preponente ha nei confronti del cliente.
Tale tipo di attività è stata disciplinata sia dal nostro ordinamento all’art. 1744 cod. civ., che afferma che tale tipo di facoltà è sempre sottoposta