Rivista per la consulenza in agricoltura n. 30/2018
Rivista per la consulenza in agricoltura n. 30/2018
Il contratto di affitto di fondo turistico
di Xxxxxxx Xxxxxxx – avvocato
Il Legislatore ha progressivamente modificato l'approccio alla disciplina dei contratti agrari, limitando incisivamente l'autonomia delle parti contrattuali anche allo scopo di tutelare il diritto alla stabilità della parte ritenuta debole. In questa prospettiva, il presente contributo si propone di esaminare i connotati salienti del contratto di affitto di fondo rustico, modello eletto dal Legislatore, alla luce della funzione economico sociale cui il contratto deve rispondere.
Il contratto di affitto di fondo rustico: l’oggetto del contratto e i soggetti
Sono considerati agrari i contratti che, attraverso il conferimento del fondo o del bestiame, sono diretti a dar vita all’impresa agricola e a disciplinarne l’attività.
A pieno titolo appartiene ai contratti agrari il contratto di affitto di fondo rustico, la cui disciplina ha subito, a seguito dell’entrata in vigore del codice civile, penetranti variazioni. Avremo modo di vedere, infatti, che la linea di azione caratterizzante l’intervento del Legislatore si è orientata nel senso di limitare, sempre più incisivamente, l’autonomia delle parti rispetto alla possibilità di definire liberamente il contenuto contrattuale.
Oggetto del contratto di affitto è il fondo, superficie di terreno comprensiva della propria profondità (nel limite in cui è concretamente utilizzabile per la coltura) nonché dello spazio sovrastante. Il fondo è, infatti, il bene che il concedente pone nella disponibilità dell’affittuario, cui trasferisce il potere di gestione della terra per il periodo temporale predeterminato dalla legge ovvero per accordo tra le parti, purché nel rispetto delle formalità previste per la valida sottoscrizione dell’accordo in deroga, di cui ci occuperemo dettagliatamente in un prossimo contributo.
I soggetti coinvolti in qualità di parti contrattuali nella stipulazione del contratto di affitto di fondo rustico sono 2: il locatore concedente e l’affittuario.
Al primo, sul quale incombono le spese per riparazioni straordinarie necessarie a mantenere in stato produttivo il fondo, spetta il diritto di esigere che l’affittuario destini al fondo i mezzi necessari per la gestione, osservando le regole di buona tecnica in funzione della destinazione economica del fondo. All’affittuario spetta invece il diritto di ottenere dal concedente la consegna del fondo, comprensivo delle pertinenze e degli accessori necessari per rendere possibile la produzione cui è destinato. Del
resto, lo vedremo, il Legislatore assegna primario rilievo e specifici strumenti di tutela per le ragioni che inducono l’affittuario all’esercizio dell’impresa sul fondo altrui.
Alla scadenza del rapporto (salvo il caso in cui il fondo sia stato oggetto di migliorie, addizioni o trasformazioni) l’affittuario deve restituire il fondo con le stesse qualità che aveva al tempo del contratto. La legge tutela infatti l’interesse del concedere a recuperare il fondo nelle condizioni originarie.
Si distinguono, come è ormai noto, l’affittuario coltivatore diretto dal conduttore del fondo non coltivatore diretto. La distinzione è tutt’altro che di stile per la diversa disciplina applicabile a ciascuno dei rapporti contrattuali, disciplina di cui progressivamente tratteremo affrontando i singoli istituti.
È considerato coltivatore diretto chi direttamente e abitualmente si dedica
“alla coltivazione dei fondi e all’allevamento e al governo del bestiame, sempreché la complessiva forza lavorativa del nucleo familiare non sia inferiore a un terzo di quella occorrente per la normale necessità della coltivazione del fondo e per l’allevamento e il governo del bestiame” (articolo 31, comma 1, L. n. 590/1965).
Sul punto preme sin d’ora segnalare una recente pronuncia giurisprudenziale la quale, sia pure in tema di prelazione e riscatto agrari, ha precisato come la qualifica di coltivatore diretto non sia esclusa dalla circostanza che il medesimo soggetto svolga altra attività lavorativa, né richiede una valutazione di prevalenza dell’attività agricola rispetto alle altre oppure la verifica di quale sia la principale fonte di reddito dell’interessato, risultando sufficiente che l’attività di coltivazione sia esercitata in modo abituale e che la complessiva forza lavorativa del nucleo familiare non sia - appunto - inferiore a 1/3 di quella occorrente per la normale necessità della coltivazione del fondo (cfr. Cassazione, ordinanza n. 13792/2018).
Quel che occorre invece da subito rilevare è che l’ambito applicativo della disciplina dell’affitto a coltivatore diretto si estende solo al caso in cui l’affittuario sia provvisto in origine e resti provvisto per la durata del contratto dei requisiti richiamati. Se, infatti, il conduttore coltivatore diretto perde la propria qualifica, il contratto di affitto di fondo rustico può essere risolto per impossibilità sopravvenuta, venendo meno i presupposti che giustificano la disciplina di favore per lo stesso prevista.
Al contrario, nel caso in cui il conduttore non coltivatore diretto acquisisca i requisiti per la qualifica di coltivatore diretto, il contratto di affitto non si tramuta sic et simpliciter in contratto di affitto a coltivatore diretto. Si ricorda che la legge equipara ai coltivatori diretti le:
“cooperative costituite dai lavoratori agricoli e i gruppi di coltivatori diretti, riuniti in forme associate, che si propongono e attuano la coltivazione diretta dei fondi anche quando la costituzione in forma
associativa e cooperativa è avvenuta per conferimento da parte dei soci di fondi precedentemente affittati singolarmente”
nonché, ai sensi dell’articolo 7, comma 2, L. 203/1982 introdotto dalla L. 205/2017:
“i laureati o diplomati di qualsiasi scuola di indirizzo agrario o forestale e i laureati in veterinaria per le aziende a prevalente indirizzo zootecnico, in età non superiore ai 55 anni, che si impegnino a esercitare in proprio la coltivazione dei fondi, per almeno 9 anni, gli imprenditori agricoli professionali iscritti nella previdenza agricola”.
Va detto, come il pratico saprà, che la L. 203/1982 ha tentato di ridurre il divario tra contratto di affitto a coltivatore diretto e contratto di affitto a conduttore non coltivatore diretto, sebbene permangano, comunque, tuttora innegabili evidenze degne di nota. In particolare, il magro ma incisivo Capo IV della Legge è dedicato espressamente alle norme sull’affitto a conduttore non coltivatore diretto; l’articolo 23, L. 203/1982 reca precipua elencazione delle norme di legge applicabili al contratto in commento.
La funzione del contratto come ragione economico sociale: i motivi concreti del divieto di subaffitto (articolo 21, L. 203/1982)
La causa del contratto di affitto di fondo rustico, ragione economico sociale del contratto, è la costituzione per l’esercizio dell’impresa agricola.
L’esame della causa del contratto ha funzione tutt’altro che speculativa, permettendo all’interprete di motivare la ragione per la quale il Legislatore, pur consentendo la cessione del contratto di affitto, ha introdotto il divieto di subaffitto. Le norme applicabili al contratto di affitto non ne individuano letteralmente la causa.
La lettura coordinata della legislazione in materia, tuttavia, conferma implicitamente l’esattezza dell’impostazione per cui la causa del contratto è rappresentata dalla costituzione per l’esercizio dell’impresa.
Si guardi da subito all’articolo 25, L. 203/1982: la norma, rinviando al successivo articolo 29, esclude dalla conversione in contratto di affitto il contratto associativo (mezzadria, colonia parziaria, compartecipazione agraria, soccida parziaria, soccida con conferimento di pascolo) in essere alla data di entrata in vigore della legge, rispetto al quale siano mancanti i presupposti per la costituzione dell’impresa da parte del potenziale affittuario.
Per chiarire l’affermazione, la cui lettura può risultare a primo impatto articolata, è necessario ricordare che l’articolo 25, L. 203/1982 ha introdotto il divieto di stipulazione di contratti agrari atipici,
prevedendo la conversione di diritto del contratto agrario di tipo associativo in corso di esecuzione in contratto di affitto, verso semplice richiesta del concessionario.
Eccezione alla regola della conversione, tuttavia, è data proprio dal caso in cui il potenziale affittuario non sia concretamente provvisto dei presupposti per la costituzione dell’impresa, in tal caso - infatti - il contratto di affitto difetterebbe di causa. Questa considerazione spiega il motivo per il quale lo stesso rivoluzionario Legislatore dell’82 ha introdotto il divieto di subaffitto (articolo 21, L. 203/1982).
Ove infatti, previo consenso del concedente, l’affittuario concludesse il contratto di subaffitto del fondo con il terzo, si concretizzerebbe la presenza contestuale di 2 contratti aventi a oggetto lo stesso fondo per l’esercizio dell’unica impresa del subaffittuario. Considerato che la ragione economico sociale del contratto di affitto di fondo rustico è la costituzione per l’esercizio dell’impresa, il contratto originario tra proprietario e subaffittante diverrebbe immeritevole di tutela, venendone meno la causa.
Al contrario, nell’ipotesi di cessione del contratto di affitto che invece resta consentita, il contratto avente per oggetto la gestione dell’impresa resta unico ed è il contratto concluso con l’originario conduttore. Non cambia quindi, in questo secondo caso, la causa del contratto ceduto; si verifica, infatti, solo una modificazione soggettiva del contratto (al contraente cedente si sostituisce il terzo originariamente estraneo al rapporto contrattuale): questo è, in ultimo, il motivo per il quale la cessione del contratto di affitto di fondo rustico è consentita.
La disamina della funzione economico sociale del contratto è inoltre occasione per affrontare e chiarire, in questa sede, il sorprendentemente discusso ambito di applicazione dell’articolo 27, L. 203/1982, disposizione in forza della quale le norme regolatrici dell’affitto dei fondi rustici si applicano anche ai contratti agrari, stipulati dopo l’entrata in vigore della legge, aventi per oggetto la concessione di fondi rustici o tra le cui prestazioni vi sia il conferimento di fondi rustici. Occorre premettere che la lettura consapevole della norma, alla luce della conoscenza della funzione economico sociale del contratto agrario, non avrebbe dovuto indurre l’interprete a dubbi di sorta, risultando oltremodo chiara per rivelare se il contratto concluso successivamente rispetto alla data di entrata in vigore della legge debba essere ricondotto alla disciplina del contratto di affitto di fondo rustico.
Le pronunce giurisprudenziali che si sono succedute nel tempo in materia sono l’esito del fatto che l’interprete, incentrando la propria attenzione sul dato per cui l’articolo 27, L. 203/1982 menziona il contratto avente per oggetto la concessione di fondo rustico, ha omesso di considerare che la norma chiarisce espressamente che deve trattarsi di contratto agrario.
Più chiaramente, l’articolo 27, L. 203/1982 è testualmente applicabile quando il contratto agrario abbia a oggetto la concessione del fondo rustico. La norma, sia pur chiara, ha originato ambivalenti pronunce
quanto, ad esempio, al caso del contratto di comodato di fondo rustico. Ci si è chiesti, in particolare, se il contratto di comodato di fondo rustico debba essere ricondotto al contratto di affitto agrario.
Il lettore attento già conosce la soluzione al quesito. Si domanderà - infatti - come possa discutersi della possibilità di ricondurre il contratto di comodato all’ambito applicativo dell’articolo 27, L. 203/1982 per non essere in sé il contratto di comodato contratto agrario. Ebbene, la scioltezza con la quale il lettore è capace di risolvere il quesito è naturale conseguenza del fatto che, ora, egli conosce la causa del contratto agrario.
Questa digressione non rappresenta - ovviamente - puro esercizio speculativo: permette infatti di sapere se, in concreto, il contratto avente a oggetto la concessione del fondo rustico sia o meno soggetto all’applicazione della stringente disciplina normativa prevista in materia. Si rammenta in proposito la pronuncia resa dal Tribunale di Ascoli Xxxxxx del 24 ottobre 2016, in linea con la precedente pronuncia della Cassazione, sentenza n. 2861/2016, la quale ben individua i tratti essenziali inerenti l’ambito applicativo della disposizione menzionata. Chiamata a decidere se il contratto di comodato di fondo rustico sia o meno soggetto all’applicazione delle norme che disciplinano il contatto di affitto di fondo rustico, il Tribunale ha risolto il quesito in senso negativo valorizzando, appunto, il dato della eterogeneità intercorrente tra la causa del contratto di comodato e la causa del contratto di affitto di fondo rustico. Il comodato è contratto col quale una parte consegna all’altra una cosa mobile o immobile, affinché se ne serva per un tempo o per un uso determinato con l’obbligo di restituirla alla scadenza pattuita ovvero, in caso di assenza di pattuizione, a semplice richiesta del comodante. In tema di rapporti agrari, invece, la disposizione prevista dall’articolo 27, L. 203/1982 (secondo il quale, lo si rammenta, le norme regolatrici dell’affitto di fondo rustico si applicano anche a tutti i contratti agrari), non trova applicazione con riguardo alla concessione in comodato di un fondo rustico stante l’impossibilità di qualificare il contratto di comodato come contratto agrario: la differenza tra il contratto agrario e il contratto di comodato risiede, afferma la pronuncia, nella diversa causa dei 2 contratti che deve essere ricercata, la prima, nella volontà di costruire un’impresa agraria sul fondo altrui e la seconda nella semplice consegna di un bene, indipendentemente dal fatto che il comodatario non si limiti all’attività di custodia, ma svolga anche attività di gestione.
Più propriamente può dirsi che l’articolo 27, L. 203/1982, secondo cui le norme regolatrici dell’affitto dei fondi rustici si applicano anche a tutti i contratti agrari stipulati dopo l’entrata in vigore della legge, aventi per oggetto la concessione di fondi rustici o tra le cui prestazioni vi sia il conferimento di fondi rustici, si applica ai soli contratti atipici omogenei, sotto il profilo causale, rispetto al contratto di affitto, in quanto caratterizzati dallo scambio tra concessione in godimento del fondo rustico e altre utilità,
contratti che siano orientati alla costituzione per lo svolgimento dell’impresa agricola (cfr. Cassazione, sentenza n. 9978/2014). Si rimanda a un prossimo intervento l’impatto che la disposizione commentata produce, in punto di giuridica legittimità e disciplina applicabile, sul contratto di soccida semplice.
La forma del contratto: l’opponibilità del contratto concluso in forma orale
La L. 203/1982 ha fissato in 15 anni la durata ordinaria del contratto di affitto di fondo rustico, prevedendo che i contratti di affitto di fondo rustico ancorché verbali o non trascritti, abbiano validità tra le parti e siano opponibili a terzi. L’articolo 41, L. 203/1982 ha infatti stabilito la validità e l’efficacia anche nei confronti dei terzi dei contratti ultranovennali di affitto di fondi rustici a coltivatore diretto, pur se stipulati in forma verbale e non trascritti, modificando la precedente disciplina (costituita dall’articolo 1350, comma 1, n. 8, cod. civ. e dall’articolo 2643, comma 1, n. 8 cod. civ.) secondo la quale tutti i contratti di locazione immobiliare di durata ultranovennale (dunque anche i contratti agrari) debbono farsi per iscritto per atto pubblico o scrittura privata sotto pena di nullità e sono soggetti a trascrizione.
Attenzione però, perché l’articolo 41, L. 203/1982 non è richiamato dall’articolo 23, L. 203/1982 norma quest’ultima dettata per elencare le norme sull’affitto a coltivatore diretto applicabili anche al contratto di affitto a conduttore non coltivatore diretto. Ne consegue che solo il contratto di affitto a coltivatore diretto non richiede forma scritta per essere valido tra le parti né trascrizione per essere opponibile a terzi. Il contratto di affitto a conduttore non coltivatore diretto richiede, invece, la forma scritta per poter essere provato ed è opponibile a terzi solo se trascritto.
Ulteriore attenzione dev’essere poi prestata al fatto che, come in gergo si dice, il Legislatore non ha avuto il coraggio della coerenza. Nel prevedere che il contratto di affitto a coltivatore diretto non richiede la forma scritta per essere valido tra le parti né la trascrizione per essere opponibile a terzi, il Legislatore infatti non ha modificato l’articolo 2923, cod. civ. né l’articolo 560, c.p.c., disposizioni che disciplinano, lette congiuntamente, l’ipotesi del pignoramento del bene oggetto del rapporto agrario.
Per questo motivo, in caso di pignoramento del bene oggetto del rapporto agrario, il contratto di affitto agrario di durata ultranovennale è opponibile all’aggiudicatario solo se recante data certa anteriore al pignoramento, e, se non trascritto, solo nei limiti del novennio dall’inizio della locazione, giusto quanto recentemente precisato dalla giurisprudenza di legittimità (cfr. Cassazione, sentenza n. 12907/2015).
Estendendo la considerazione all’esame dell’impatto prodotto dalla regola prevista dall’articolo 41, L. 203/1982 secondo la quale - appunto - i contratti agrari ultranovennali, anche se verbali o non trascritti, sono validi e hanno effetto pure riguardo ai terzi, preme constatare che la deroga interessa in realtà unicamente gli articoli considerati (articolo 1350, comma 1, n. 8, cod. civ. e articolo 2643, comma 1, n. 8, cod. civ.) senza innovare in sé la disciplina in materia di trascrizione.
Ne consegue che deve essere ritenuto prevalente sul contratto agrario di durata ultranovennale concluso, il diritto incompatibile fatto valere tramite la proposizione di una domanda giudiziale trascritta prima della conclusione del contratto di affitto (cfr. Cassazione, sentenza n. 6839/2015).
La durata del contratto: previsione legale e previsione convenzionale
La legislazione speciale agraria tutela il diritto alla stabilità nel rapporto che intercorre tra il conduttore affittuario e il fondo. La durata minima legale del contratto di affitto di fondo rustico è infatti fissata in 15 anni. Il contratto si considera tacitamente rinnovato per il periodo di ulteriori 15 anni ove manchi la disdetta delle parti da comunicare a mezzo lettera raccomandata con avviso di ricevimento almeno 1 anno prima rispetto alla data di scadenza del contratto, nel rispetto di quanto dispone l’articolo 4, L. 203/1982. È pressoché unanime l’interpretazione giurisprudenziale nel ritenere che la rinnovazione tacita del contratto di affitto agrario non sia desumibile dal solo fatto della permanenza dell’affittuario sul fondo oltre la scadenza del termine, occorrendo invece anche che manchi la manifestazione di volontà contraria da parte del concedente. Qualora il concedente abbia manifestato con la disdetta la volontà di porre fine al rapporto contrattuale, la rinnovazione non può essere desunta semplicemente dalla perdurante permanenza sul fondo da parte dell’affittuario o dalla circostanza che il concedente abbia continuato a percepire il canone senza proporre tempestivamente l’azione di rilascio, occorrendo, invece, che il concedente abbia tenuto un comportamento positivo idoneo a evidenziare una nuova volontà, successiva e contraria rispetto a quella esternata di cessare il rapporto.
V’è da dire che la previsione legislativa dettata per definire il termine di durata legale non è l’unica previsione orientata a preservare in termini di stabilità la presenza dell’affittuario sul fondo. Disposizioni a ciò deputate sono, infatti, anche le disposizioni di disciplina del complesso procedimento per la pronuncia giudiziaria di risoluzione del contratto di affitto di fondo rustico, nonché la previsione per cui, in caso di sentenza di sfratto, resta temporalmente non spendibile l’efficacia esecutiva del titolo, sino al termine dell’annata agraria durante la quale è stata emessa la sentenza esecutiva.
L’articolo 11, comma 11, D.Lgs. 150/2011, prevede infatti che il rilascio del fondo a seguito del giudizio può avvenire solo al termine dell’annata agraria durante la quale è stata emessa la sentenza esecutiva.
Il rilascio del fondo dev’essere disposto, pertanto, alla scadenza del termine della annata agraria in cui è stato pronunciato il provvedimento esecutivo, senza distinzione in relazione al motivo per il quale viene disposto il rilascio (scadenza contrattuale; inadempimento).
L’effetto principale da riconoscersi alla norma è quello di evitare l’applicabilità dell’articolo 821, cod. civ.: concedendo all’escomiato la possibilità di separare i frutti, si impedisce al proprietario della cosa che li produce, che ai sensi dell’articolo 821, comma 1, cod. civ. è proprietario anche dei frutti, di ritenerli, anche nel caso in cui la pronuncia idonea a fondare l’esecuzione sia stata emessa prima della loro maturazione dunque del loro distacco.
Un prossimo intervento sarà incentrato sull’esame degli aspetti di tutela del diritto alla stabilità. Ci si occuperà, in particolare, delle ipotesi di derogabilità del termine legale nonché dei casi di risoluzione (anche incolpevole) del contratto.