CIRCOLARE N. 8 /E
CIRCOLARE N. 8 /E
Direzione Centrale Normativa
Roma 07/04/2017 | |
OGGETTO: | Chiarimenti interpretativi relativi a quesiti posti in occasione di eventi in videoconferenza organizzati dalla stampa specializzata |
INDICE
1.1 Applicazione dell’aliquota del 10 per cento 3
1.2 Mancata comunicazione della proroga del contratto di locazione 5
2.1 Versamento delle ritenute 7
2.2 Calcolo della soglia di 500 euro 8
2.3 Versamento secondo le modalità precedenti alla legge di bilancio 2017 8
3 DETRAZIONI PER L’EDILIZIA, RISPARMIO ENERGETICO, ARREDI 9
3.1 Bonifico utilizzato per il pagamento degli interventi di ristrutturazione edilizia e di risparmio energetico 9
4.1 Determinazione del corrispettivo ammesso alla maggiorazione del 150 per cento (iper ammortamento) 11
4.2 Questioni legate al periodo di vigenza del beneficio 12
4.3 Questioni legate al periodo di vigenza del beneficio 13
4.4 Applicabilità agli esercenti arti e professioni 13
4.5 Applicazione del super ammortamento ai beni immateriali 14
5.1 Assegnazione agevolata di beni merce 16
5.2 Assegnazione agevolata di beni al valore di libro 16
8.2 Primo periodo di applicazione e rimanenze finali 22
8.3 Questioni di diritto transitorio 22
8.4 Spese per prestazioni di lavoro, oneri di utilità sociale, ammortamenti e canoni di leasing 23
8.5 Registrazione delle fatture 24
11.1 Nuove scadenze per imposte “dichiarative” e acconti cedolare secca 29
12.1 Mancata tenuta del registro dei corrispettivi e opzioni ex d.lgs. n. 127/2015 31
12.2 Operazioni non documentate da fattura 32
12.3 Altri casi di esonero dalla trasmissione dei dati delle fatture 33
12.4 Operazioni certificate tramite scontrino. Significato di “tipologia di operazione” 34
13.1 Abrogazione art. 26, comma 5, secondo periodo, del d.P.R. n. 633/1972 e obblighi del curatore fallimentare 35
13.2 Modifiche all’art. 26 del decreto Iva e procedure concorsuali aperte dall’1 gennaio 2017. Emissione di nota di variazione in caso di concordato preventivo 36
15 DICHIARAZIONI INTEGRATIVE E INFEDELTA’ DICHIARATIVE 38
15.1 Dichiarazione infedele e credito d’imposta. Imposte e sanzioni applicabili 39
15.2 Dichiarazione infedele e credito d’imposta. Determinazione della sanzione 40
15.3 Dichiarazione infedele e credito d’imposta. Determinazione della sanzione 40
15.4 Correzione degli errori contabili e nuovo termine per la presentazione della dichiarazione integrativa a favore 41
16 ROTTAMAZIONE DELLE CARTELLE 42
16.2 Contenzioso favorevole al contribuente 43
19.1 Nuove disposizioni sui limiti quantitativi. Non retroattività 49
19.2 Non applicabilità ai versamenti 50
20.1 Riapertura dei termini 50
21 DICHIARAZIONE PRECOMPILATA 53
21.1 Obblighi di comunicazione a carico degli amministratori di condominio. Spese per interventi edilizi, risparmio energetico e arredi 53
21.2 Obblighi di comunicazione a carico degli amministratori di condominio. Quote di spesa imputate ai singoli condòmini 56
21.3 Correzione del visto infedele 57
21.4 Trasmissione telematica delle certificazioni uniche 60
21.5 Sostituti d’imposta che prestano assistenza ai dipendenti 61
1 CEDOLARE SECCA
1.1 Applicazione dell’aliquota del 10 per cento Domanda
La cedolare secca con l’aliquota al 10% (15% a regime dal 2018), prevista per gli affitti a canone concordato, è applicabile anche ai contratti di locazione abitativa di tipo transitorio?
Il caso riguarda, in particolare, i contratti stipulati nei Comuni in cui le parti non sono libere di determinare il canone ma devono attenersi agli accordi definiti su base locale (e in particolare i contratti stipulati nelle aree metropolitane di Roma, Milano, Venezia, Genova, Bologna, Firenze, Napoli, Torino, Bari, Palermo, Catania, nei Comuni confinanti con questi ultimi e in tutti gli altri Comuni capoluogo di provincia).
Risposta
L’art. 3, comma 2, del D.lgs. 14 marzo 2011, n. 23 prevede la cedolare secca con aliquota ridotta esclusivamente per i contratti di locazione che, oltre a essere riferiti a unità immobiliari ubicate nei comuni con carenze di disponibilità abitative individuati dall'articolo 1, comma 1, lettere a) e b), del decreto legge 30 dicembre 1988, n. 551 (Bari, Bologna, Catania, Firenze, Genova, Milano, Napoli, Palermo, Roma, Torino e Venezia, nonché i comuni confinanti con gli stessi e gli altri comuni capoluogo di provincia) e negli altri comuni ad alta tensione abitativa individuati dal CIPE, siano stipulati a canone concordato sulla base di appositi accordi tra le organizzazioni della proprietà edilizia e degli inquilini, di cui all'articolo 2, comma 3, della legge n. 431 del 1998 e all'articolo 8 della medesima legge.
Il citato art. 2, comma 3, della legge n. 431 del 1998 ammette che le parti possano stabilire la durata del contratto “anche in relazione a quanto previsto dall'articolo 5, comma 1”, ossia in ossequio ad esigenze abitative di tipo transitorio diverse da quelle degli studenti universitari, previste dal successivo comma 2 del medesimo art. 5.
Tenuto conto del tenore letterale di tale disposizione, si ritiene che l’aliquota ridotta si applichi anche ai contratti transitori di cui all’art. 5, comma 1, della legge n.
431/1998 (ossia ai contratti di durata da un minimo di un mese ad un massimo di 18 mesi), a condizione che, come nel caso prospettato, si tratti di un contratto di locazione a canone concordato relativo ad abitazioni ubicate nei comuni con carenze di disponibilità abitative o in quelli ad alta tensione abitativa.
1.2 Mancata comunicazione della proroga del contratto di locazione Domanda
Il decreto fiscale ha previsto che la mancata comunicazione della proroga del contratto di locazione per il quale è stata esercitata l’opzione per la cedolare secca non implica la decadenza dall’opzione. In applicazione del principio del favor rei, si può ritenere che la mancata comunicazione della proroga del contratto avvenuta prima del 3 dicembre 2016 non determini alcuna revoca dell’opzione per la cedolare?
Risposta
L’articolo 7-quater del decreto fiscale ha introdotto modifiche al regime della ‘cedolare secca’ di cui all’articolo 3 del D.lgs. 14 marzo 2011, n. 23, che, come noto, consente ai possessori di immobili abitativi locati ad uso abitativo (persone fisiche titolari del diritto di proprietà o di altro diritto reale di godimento di unità immobiliari abitative locate, che non agiscono nell’esercizio di un’attività di impresa, o di arti e professioni), di optare per un regime di tassazione sostitutiva, in luogo dell’imposta sul reddito delle persone fisiche e delle imposte di registro e bollo dovute sul contratto di locazione.
In linea generale, come chiarito con la circolare 1° giugno 2011, n. 26, l’opzione per l'applicazione della cedolare secca deve essere effettuata in sede di registrazione del contratto di locazione o in sede di proroga del contratto (ovvero nelle annualità successive), ed esplica effetti per l’intera durata del contratto di locazione o della
proroga, salvo revoca. Pertanto, nel caso in cui il contribuente intenda mantenere il regime della cedolare secca anche per il periodo di durata della proroga del contratto, deve rinnovare l’opzione in sede di proroga entro il termine di versamento dell’imposta di registro, ovvero entro 30 giorni dal verificarsi dell’evento (cfr. Circolare n. 26 del 1° giugno 2011).
Per effetto della disposizione introdotta con il comma 24 dell’articolo 7-quater del decreto fiscale, viene stabilito che l’omessa ovvero tardiva opzione per il regime della cedolare secca in sede di proroga del contratto, (effettuata oltre il termine di 30 giorni previsto dall’articolo 17, comma 1 del Testo Unico dell’imposta di registro, approvato con DPR 26 aprile 1986, n. 131 (TUR)), non comporta la revoca dell’opzione già esercitata in sede di registrazione del contratto ovvero nelle annualità successive, qualora il contribuente mantenga un comportamento coerente con la volontà di optare per il regime della cedolare secca, effettuando i relativi versamenti e dichiarando i redditi da cedolare secca nel relativo quadro della dichiarazione dei redditi
La nuova disposizione di carattere procedurale trova applicazione anche in relazione alle comunicazioni di proroga del contratto che andavano presentate prima del 3 dicembre 2016, data di entrata in vigore del citato DL n. 193 del 2016, sempreché si tratti di contratti di locazione per i quali in sede di registrazione del contratto ovvero nelle annualità successive sia stata già espressa l’opzione per la cedolare secca e il contribuente abbia mantenuto, come detto, un comportamento concludente con l’applicazione del regime sostitutivo in esame.
Si pensi, ad esempio, ad un contratto di locazione 4 +4 stipulato nel 2012, prorogato tacitamente al termine del primo quadriennio senza procedere alla relativa comunicazione, tramite modello RLI, all’Agenzia delle entrate; il regime della cedolare secca per tale contratto di locazione resta confermato a condizione che il contribuente abbia mantenuto un comportamento concludente e, dunque, non abbia corrisposto l’imposta di registro in relazione alle annualità di proroga, abbia
proceduto ai versamenti della cedolare, compilando in maniera coerente gli appositi quadri del Modello unico o del Modello 730, relativi alla cedolare secca.
Resta fermo che per il mantenimento del regime sostitutivo della cedolare secca, per le annualità di proroga del contratto di locazione, il locatore deve rinunciare per il periodo corrispondente alla durata dell’opzione all’aggiornamento del canone.
La norma in argomento ha, altresì, previsto l’applicazione di una sanzione in misura fissa, per la tardiva comunicazione della proroga del contratto, nella misura di euro 100, ridotta ad euro 50, se la comunicazione è presentata con un ritardo non superiore a 30 giorni. Tale previsione trova applicazione anche per le fattispecie oggetto del presente quesito, nei casi di comunicazioni omesse alla data del 3 dicembre 2016.
2 RITENUTE IN CONDOMINIO
2.1 Versamento delle ritenute
Domanda
La legge di bilancio 2017 ha previsto che il condominio, quale sostituto d’imposta, versa la ritenuta all’atto del pagamento quando l'ammontare delle ritenute operate raggiunge i 500 euro, altrimenti effettua il versamento entro il 30 giugno e il 20 dicembre di ogni anno. Tale nuovo metodo opera già per il versamento delle ritenute in scadenza a gennaio 2017 e operate in dicembre 2016?
Risposta
La nuova norma (art. 1, comma 36) della legge di Bilancio 2017, che interviene sulla disciplina dei versamenti delle ritenute Irpef effettuate dal condominio in qualità di sostituto d’imposta nei confronti dell’appaltatore, ha effetto a decorrere dal 1° gennaio 2017.
Considerato che le ritenute del mese di dicembre 2016 vanno versate entro il 16 del mese successivo (16 gennaio 2017), si ritiene che la norma riguardi anche le ritenute relative al mese di dicembre 2016 e che, pertanto l’obbligo del relativo versamento a gennaio sussiste solo se le stesse superano l’importo di 500 euro.
2.2 Calcolo della soglia di 500 euro Domanda
La soglia di 500 euro, al di sotto della quale le ritenute da parte del condominio non vanno versate all’atto del pagamento, è da intendersi in ragione della scadenza mensile o cumulando le ritenute mese dopo mese? Ad esempio, con una ritenuta di 400 euro a febbraio e 400 a marzo, a marzo vanno versati 800 euro, oppure si verserà entro il 30 giugno?
Risposta
Ai fini della soglia dei 500 euro, le ritenute devono essere sommate mese dopo mese. Pertanto, se a febbraio sono state effettuate ritenute per 400 euro e a marzo ritenute per 400 euro, entro il 16 del mese successivo (16 aprile) devono essere versate ritenute per 800 euro.
2.3 Versamento secondo le modalità precedenti alla legge di bilancio 2017 Domanda
Se si volesse proseguire ad effettuare la ritenuta con la vecchia modalità, cioè senza attendere il raggiungimento della soglia dei 500 euro, si incorrerebbe in sanzioni o la banca potrebbe rifiutare il pagamento?
Risposta
Il condominio può continuare ad effettuare il versamento delle ritenute secondo la modalità preesistenti, e cioè entro il giorno 16 del mese successivo a quello in cui sono state operate o avrebbero dovuto essere operate, anche se di importo inferiore a 500 euro. In tal caso il condominio non incorre in sanzione perché tale modus operandi non arreca alcun pregiudizio all’erario e la banca non può rifiutare il pagamento delle ritenute.
3 DETRAZIONI PER L’EDILIZIA, RISPARMIO ENERGETICO, ARREDI
3.1 Bonifico utilizzato per il pagamento degli interventi di ristrutturazione edilizia e di risparmio energetico
Domanda
Nella circolare 43/E/2016 si dice che la detrazione spetta anche quando il bonifico usato per il pagamento dei lavori di ristrutturazione e di riqualificazione è stato “compilato in modo tale da non consentire alle banche e a Poste italiane di adempiere correttamente all’obbligo di ritenuta”. In questo caso, il beneficiario dell’accredito deve attestare in una dichiarazione sostitutiva di atto notorio “di aver ricevuto le somme e di averle incluse nella contabilità dell’impresa ai fini della loro concorrenza alla corretta determinazione del suo reddito”. È un chiarimento applicabile anche all’ipotesi in cui il contribuente effettua con un bonifico ordinario (non “parlante”) il pagamento finalizzato alle detrazioni su ristrutturazioni edilizie e risparmio energetico?
Risposta
Come evidenziato nella circolare n. 43/E del 2016 il pagamento delle spese relative ad interventi di ristrutturazione edilizia e di riqualificazione energetica di edifici
esistenti è assoggettato all’applicazione della ritenuta di cui all’articolo 25 del d.l. n.
78 del 2010, norma costituente regola generale. Nei casi di non completa compilazione del bonifico, tali da pregiudicare il rispetto dell’obbligo di operare la ritenuta, la spettanza del beneficio fiscale resta ferma laddove avvenga la ripetizione del pagamento con bonifico corretto (risoluzione n. 55/E del 2012).
Tuttavia, ove non sia possibile la ripetizione del pagamento, e il mancato assoggettamento a ritenuta dei compensi corrisposti sia dovuto a situazioni “peculiari” (quali l’errata compilazione del bonifico), la fruizione del beneficio fiscale non può escludersi qualora risulti comunque soddisfatta la finalità delle relative norme agevolative tese alla corretta tassazione del reddito nei casi di esecuzione di opere di ristrutturazione edilizia e riqualificazione energetica. La circolare n. 43 del 2016 ribadisce, dunque, che le modalità di fruizione del beneficio prevedono in via ordinaria la effettuazione del pagamento mediante bonifico specifico (cosiddetto bonifico “parlante”), e detta chiarimenti per le ipotesi in cui vi sia stata, per errore, una anomalia nella compilazione del bonifico, stabilendo che ciò non comporta la decadenza dal beneficio fiscale ma solo a condizione che l’impresa attesti con una dichiarazione sostitutiva di atto notorio che i corrispettivi accreditati in suo favore sono stati inclusi nella contabilità ai fini della loro concorrenza alla corretta determinazione del reddito d’impresa.
3.2 Conviventi di fatto Domanda
Con la risoluzione 64/E/2016 si è detto che anche i componenti di una “convivenza di fatto” possono beneficiare delle detrazioni per il recupero edilizio su un immobile di proprietà del convivente in relazione al quale non dispongano di titoli di possesso qualificato (chiarimento che deve ritenersi valido anche per le detrazioni sul
risparmio energetico e l’acquisto di mobili ed elettrodomestici). Si può ritenere che tale orientamento si applichi anche alle spese sostenute prima del 5 giugno 2016, data di entrata in vigore della legge 76/2016?
Risposta
Con la Risoluzione n. 64/E del 28 luglio 2016, questa Agenzia delle entrate, nel sottolineare che la Legge 20 maggio 2016, n. 76, estende alcuni diritti spettanti ai coniugi anche ai conviventi di fatto, ha riconosciuto la possibilità di fruire della detrazione per le spese di recupero del patrimonio edilizio sostenute dal convivente ancorché non possessore o non detentore dell’immobile sul quale vengono effettuati i lavori, alla stregua di quanto previsto per i familiari conviventi.
Considerato che con la richiamata risoluzione questa Agenzia ha preso atto di una mutata condizione giuridica intervenuta nell’ordinamento nel 2016 (emanazione della legge n. 76 del 2016 e sua entrata in vigore il 5 giugno 2016) e atteso il principio della unitarietà del periodo d’imposta, si può ritenere che l’orientamento espresso con la risoluzione n. 64/E del 2016 trovi applicazione per le spese sostenute a partire dal 1 gennaio 2016.
4 MAXI E IPER AMMORTAMENTI
4.1 Determinazione del corrispettivo ammesso alla maggiorazione del 150 per cento (iper ammortamento)
Domanda
Se un bene “industria 4.0” viene acquistato a un prezzo unitario comprensivo del software necessario per il suo funzionamento, tutto il corrispettivo può beneficiare della maggiorazione del 150% oppure bisogna operare una distinzione tra la componente materiale e quella immateriale dell’acquisto?
Risposta
Si ritiene che se il software è embedded, e quindi acquistato assieme al bene, lo stesso è da considerarsi agevolabile con l’iper ammortamento. Questa interpretazione è coerente con l’elenco dell’allegato B che include software stand alone e quindi non necessari al funzionamento del bene.
4.2 Questioni legate al periodo di vigenza del beneficio Domanda
Si chiede conferma del fatto che, ai fini dell’iper ammortamento del 150%, rilevano gli investimenti in beni materiali nuovi, inclusi nell’allegato A alla legge n. 232 del 2016, effettuati a decorrere dal 1° gennaio 2017. Come conseguenza, un bene di quel tipo consegnato nel 2016 beneficia solo della maggiorazione del 40%?
Risposta
L’articolo 1, comma 8, della legge n. 232 del 2016 (legge di stabilità 2017) proroga al 31 dicembre 2017 - ovvero al 30 giugno 2018 in presenza di determinate condizioni - la disciplina relativa al c.d. “super ammortamento” del 40% riguardante gli investimenti in beni materiali strumentali nuovi (la proroga non vale per alcune tipologie di mezzi di trasporto a motore).
Il successivo comma 9 introduce un nuovo beneficio, il c.d. “iper ammortamento”, che consiste nella possibilità di maggiorare del 150%, con esclusivo riferimento alla determinazione delle quote di ammortamento ovvero dei canoni di leasing, il costo di acquisizione di alcuni beni materiali strumentali nuovi ad alta tecnologia (elencati nell’allegato A annesso alla legge di bilancio 2017).
L’iper ammortamento si applica agli investimenti effettuati nel periodo che va dal 1° gennaio 2017, data di entrata in vigore della legge di bilancio, al 31 dicembre 2017
(ovvero al 30 giugno 2018 in presenza di determinate condizioni).
Ai fini della spettanza della maggiorazione del 150% si è dell’avviso che l'imputazione degli investimenti al periodo di vigenza dell'agevolazione, come per il super ammortamento, debba seguire le regole generali della competenza previste dall'articolo 109, commi 1 e 2, del TUIR.
Pertanto, un bene materiale strumentale nuovo, elencato nel citato allegato A e consegnato nel 2016, non può usufruire della maggiorazione del 150% in quanto l’effettuazione dell’investimento avviene al di fuori del periodo agevolato, ma può beneficiare solo di quella del 40%.
4.3 Questioni legate al periodo di vigenza del beneficio Domanda
Un bene compreso nell’allegato A alla legge di bilancio, acquistato nel 2016 ed entrato in funzione ed interconnesso nel 2017, di quale maggiorazione di costo beneficia?
Risposta
Come già rilevato nella risposta precedente, l’investimento effettuato nel 2016 può beneficiare solo del super ammortamento (e non dell’iper ammortamento). La maggiorazione del 40% può essere fruita dal 2017, periodo d’imposta di entrata in funzione del bene. L’interconnessione, ai fini del super ammortamento previsto dalla legge n. 208 del 2015, non assume alcuna rilevanza.
4.4 Applicabilità agli esercenti arti e professioni Domanda
L’iper ammortamento con maggiorazione del 150% è applicabile agli esercenti arti e professioni?
Risposta
Il tenore letterale della disposizione di cui al comma 11 (“Per la fruizione dei benefìci di cui ai commi 9 e 10, l’impresa è tenuta a produrre una dichiarazione…”), il contenuto dell’allegato A annesso alla legge di bilancio 2017 (elencazione dei “Beni funzionali alla trasformazione tecnologica e digitale delle imprese secondo il modello «Industria 4.0»”) nonché la tipologia di beni agevolabili inducono a ritenere che la maggiorazione del 150% riguardi soltanto i titolari di reddito d’impresa.
4.5 Applicazione del super ammortamento ai beni immateriali Domanda
Si può applicare il super ammortamento del 40% a un bene immateriale compreso nella tabella B allegata alla legge di bilancio, se tale bene viene acquistato nel 2017 e applicato nello stesso anno a un bene teoricamente compreso nella tabella A, ma non agevolato perché acquistato già da anni dall’impresa?
Risposta
L’articolo 1, comma 10, della legge di bilancio 2017 prevede la maggiorazione del 40% del costo di acquisizione dei beni immateriali elencati nell’allegato B della legge stessa. Tale beneficio è riconosciuto ai “soggetti” che beneficiano della maggiorazione del 150%. La norma, pertanto, mette in relazione il bene immateriale con il “soggetto” che fruisce dell’iper ammortamento e non con uno specifico bene materiale (“oggetto” agevolato). Tale relazione è confermata anche dal contenuto della relazione di accompagnamento alla legge di bilancio.
Pertanto, il software rientrante nel citato allegato B può beneficiare della maggiorazione del 40% a condizione che l’impresa usufruisca dell’iper ammortamento del 150%, indipendentemente dal fatto che il bene immateriale sia o meno specificamente riferibile al
bene materiale agevolato.
4.6 Beni “interconnessi”
Domanda
Quali caratteristiche deve avere un bene per poter essere definito “interconnesso”?
Risposta
Affinché un bene, coerentemente con quanto stabilito dall’articolo 1, comma 11, della legge di bilancio 2017, possa essere definito “interconnesso” ai fini dell'ottenimento del beneficio dell’iper ammortamento del 150%, è necessario e sufficiente che:
1. scambi informazioni con sistemi interni (es.: sistema gestionale, sistemi di pianificazione, sistemi di progettazione e sviluppo del prodotto, monitoraggio, anche in remoto, e controllo, altre macchine dello stabilimento, ecc.) e/o esterni (es.: clienti, fornitori, partner nella progettazione e sviluppo collaborativo, altri siti di produzione, supply chain, ecc.) per mezzo di un collegamento basato su specifiche documentate, disponibili pubblicamente e internazionalmente riconosciute (esempi: TCP-IP, HTTP, MQTT, ecc.);
2. sia identificato univocamente, al fine di riconoscere l’origine delle informazioni, mediante l’utilizzo di standard di indirizzamento internazionalmente riconosciuti (es.: indirizzo IP).
5 ASSEGNAZIONE AGEVOLATA
5.1 Assegnazione agevolata di beni merce
Domanda
Ipotizziamo il caso di assegnazione agevolata di un bene merce con costo storico di 100, valore catastale di 80 e valore normale di 120. Se in sede di assegnazione si sceglie di adottare il valore catastale di 80, la componente negativa fiscale di 20 sarà deducibile?
Risposta
Si ribadisce quanto evidenziato nella circolare n. 37/E del 2016, in base alla quale il differenziale negativo di reddito - rilevato in contabilità (ricavi e costi) e che deriva dall’assegnazione di beni merce - assume rilevanza ai fini della determinazione del reddito d'impresa sempre che il componente positivo sia stato determinato in misura pari al valore normale ai sensi dell'articolo 9 del TUIR (cfr. art. 85 del TUIR). Nel caso di specie, quindi, la componente negativa di 20 non è deducibile.
5.2 Assegnazione agevolata di beni al valore di libro Domanda
Poniamo il caso di un bene iscritto in contabilità a 100, con valore catastale di 120 e valore normale di 200. Si chiede di confermare che sarà possibile effettuare l’assegnazione agevolata di tale bene quando le riserve presenti nell’ultimo bilancio sono pari a 100. In sostanza si ritiene che non debbano esserci riserve pari al valore normale del bene (200 nell’esempio) qualora si decida di utilizzare il valore di libro, ai fini contabili, in sede di assegnazione.
Risposta
Si ribadisce che è possibile fruire della disciplina agevolativa in esame solo se vi siano riserve disponibili di utili e/o di capitale almeno pari al valore contabile attribuito al bene in sede di assegnazione. Si ricorda, inoltre, che il comportamento contabile adottato dall'impresa deve essere coerente con i principi contabili di riferimento (cfr. circolare n. 37/E del 2016).
6 ACE
Domanda
Si chiede se la nuova sterilizzazione della base Ace introdotta dalla legge di bilancio 2017 (articolo 1, comma 6-bis, Dl 201/2011) abbia natura di disposizione antielusiva specifica e possa dunque essere disapplicata, con o senza interpello, dimostrando che le operazioni effettuate non comportano duplicazione del beneficio (ai sensi dell’articolo 1, comma 8, penultimo periodo, Dl 201/2011).
Risposta
La legge di bilancio 2017 ha introdotto alcune modifiche alla disciplina dell’Aiuto alla Crescita Economica (ACE) che riducono l’entità dell’agevolazione ed operano una razionalizzazione del sistema al fine di adeguare l’incentivo al mutato assetto delle condizioni di mercato
In particolare, per effetto del nuovo comma 6-bis dell’art. 1 del D.L. n. 201/2011, è previsto che “Per i soggetti diversi dalle banche e dalle imprese di assicurazione la variazione in aumento del capitale proprio non ha effetto fino a concorrenza dell’incremento delle consistenze dei titoli e valori mobiliari diversi dalle partecipazioni rispetto a quelli risultanti dal bilancio relativo all’esercizio in corso al 31 dicembre 2010”.
La norma, quindi, decurta la variazione in aumento del capitale proprio fino a concorrenza dell’incremento delle consistenze dei titoli e valori mobiliari, diversi dalle partecipazioni, rispetto a quelli risultanti dal bilancio relativo all’esercizio in corso al 31 dicembre 2010.
Si tratta di una previsione che interessa la generalità delle imprese (anche non aventi legami di gruppo), con la sola esclusione di banche e imprese di assicurazione; ciò poiché l’investimento mobiliare rientra tra le attività “tipiche” esercitate dalle stesse.
Si ritiene che la fattispecie dell’investimento in titoli, non ricompresa tra le disposizioni antielusive suscettibili di disapplicazione mediante interpello contenute nell’articolo 10 del decreto 14 marzo del 2012, configuri sostanzialmente una norma di sistema per la determinazione del beneficio. Ne consegue che la stessa non può costituire oggetto di interpello probatorio.
Nella relazione illustrativa alla legge di bilancio 2017, si afferma che la finalità del legislatore non è di inserire una disposizione antielusiva, ma piuttosto di favorire taluni investimenti: “per stimolare la capitalizzazione finalizzata agli investimenti produttivi o alla riduzione del debito, si è ritenuto di reintrodurre (il nuovo comma 6-bis dell’articolo 1 del D.L. 201/2011, inserito dalla lettera d) del comma 4) la disposizione già esistente nell’ambito della disciplina della cd. dual income tax (DIT), di cui l’ACE ricalca i tratti principali, sterilizzando la variazione in aumento del capitale proprio fino a concorrenza dell’incremento delle consistenze dei titoli e valori mobiliari diversi dalle partecipazioni rispetto a quelli risultanti dal bilancio relativo all’esercizio in corso al 31 dicembre 2010”.
7 IRI
7.1 Calcolo del plafond
Domanda
La nuova disciplina dell’Iri (articolo 55-bis del Tuir) prevede che il plafond, entro cui è possibile dedurre dal reddito di impresa le somme prelevate dai soci a carico dell’utile e delle riserve di utili, è calcolato al netto delle perdite residue riportabili a nuovo. Si chiede conferma del fatto che, negli esercizi successivi a quello in cui le perdite sono state utilizzate, il plafond vada invece quantificato considerando i redditi dichiarati nel periodo di validità dell’Iri, senza più ridurli delle perdite già compensate.
Esempio:
Esercizio T1: reddito 1000; prelievi 700; imponibile 300. Plafond IRI 300
Esercizio T2: reddito 100; prelievi 400; perdita 300 riportabile a nuovo. Plafond IRI zero (300-300)
Esercizio T3: reddito 500; prelievi 150; imponibile 350 meno perdite 300 = 50. Il Plafond IRI è pari a 350 (300 T1 + 50 T3) oppure a 50?
Risposta
Nell’esempio proposto il plafond IRI correttamente determinato ammonta a 350. Il cd. plafond IRI, nei limiti del quale è consentita la deduzione delle somme prelevate a carico dell'utile dell'esercizio e delle riserve di utili, è pari, a norma dell’art. 55 bis, comma 1, del TUIR, al “reddito del periodo d'imposta e dei periodi d'imposta precedenti assoggettati a tassazione separata al netto delle perdite residue computabili in diminuzione dei redditi dei periodi d'imposta successivi”. In altri termini, il plafond IRI va determinato computando in aumento i redditi assoggettati a tassazione separata con l’aliquota del 24% (sia nel periodo di imposta che nei periodo di imposta precedenti) e in diminuzione le perdite residue non ancora utilizzate. Pertanto, laddove tali perdite siano utilizzate, le stesse non dovranno più essere portate in diminuzione del plafond IRI.
7.2 Base imponibile
Domanda
La nuova disciplina dell’IRI (articolo 55-bis del Tuir) stabilisce che i prelievi dei soci a carico dell’utile e delle riserve di utili sono deducibili nei limiti del reddito assoggettato a Iri nell’esercizio e in esercizi precedenti. Il reddito assoggettato a Xxx, a sua volta, si determina al netto dei richiamati prelievi dei soci. Si chiede se, per evitare un calcolo circolare, la deduzione si possa quantificare, per quanto attiene al reddito dell’esercizio, sulla base del reddito di impresa al lordo di tali prelievi, in conformità peraltro a quanto riportato nell’esempio 2 della Relazione ministeriale al Ddl di bilancio.
Esempio:
Reddito di impresa esercizio T1: 100; prelievi in conto utili: 70, deduzione: 70, reddito imponibile IRI (100-70) = 30; plafond di deducibilità al termine dell’esercizio pari a 30.
Risposta
La base imponibile IRI, a norma dell’art. 55-bis del TUIR, è pari alla differenza tra il reddito di impresa e le somme prelevate dall’imprenditore, dai familiari o dai soci a carico dell'utile dell'esercizio e delle riserve di utili. Pertanto, è da ritenere che la determinazione della base imponibile IRI vada effettuata in due step: prima è necessario determinare il reddito d’impresa secondo le ordinarie disposizioni previste dal capo VI del titolo I del TUIR e poi portare in deduzione dal reddito così determinato le somme prelevate nei limiti, ovviamente, del plafond IRI. Quindi, nell’esempio proposto, è corretto, nel periodo di imposta T1, dedurre l’intero importo delle somme prelevate pari a 70 e la differenza pari a 30, assoggettata a IRI nel periodo di imposta T1, costituirà plafond da utilizzare dal periodo di imposta successivo.
8 REGIME PER CASSA
8.1 Deroghe
Domanda
Nel regime di cassa, i ricavi indicati all’articolo 85 del TUIR vengono assunti con il criterio di cassa. Come si fa per quei componenti in cui non c’è il pagamento, come ad esempio il valore normale dei beni assegnati ai soci o destinati a finalità estranee all’esercizio dell’impresa? E ancora, considerato che Il reddito delle imprese minori è determinato secondo il criterio di cassa ad eccezione di alcuni componenti quali le plusvalenze, minusvalenze e sopravvenienze attive e passive, è corretto dire che rimane comunque un criterio misto di cassa e competenza?
Risposta
Come chiarito dalla Relazione illustrativa al DDL di bilancio 2017, il regime riservato alle imprese minori dal nuovo art. 66 del TUIR è un regime “improntato alla cassa”; in tal senso, è da ritenere che permangano alcune deroghe al regime di cassa “puro”. Lo stesso legislatore, infatti, ha richiamato per alcuni componenti di reddito - che mal si conciliano con il criterio di cassa - la specifica disciplina prevista dal TUIR, rendendo di fatto operante per tali componenti il criterio di competenza. Quindi, le plusvalenze (o le minusvalenze) e le sopravvenienze attive (o passive) sono imponibili (o deducibili) per competenza a norma degli articoli 86, 88 e 101 del TUIR. Allo stesso modo, nel caso di assegnazione dei beni ai soci o destinazione degli stessi a finalità estranee all’esercizio dell’impresa, si ritiene che il valore normale dei beni concorrerà alla formazione del reddito nel periodo di imposta di competenza, ossia nel periodo di imposta in cui è avvenuta l’assegnazione o la destinazione a finalità estranea.
8.2 Primo periodo di applicazione e rimanenze finali
Domanda
Nel primo periodo di imposta di applicazione del regime di cassa, le rimanenze finali 2016 sono deducibili dal reddito di impresa e comprendono anche i servizi in corso di esecuzione indicati all’articolo 92 del Tuir. La deduzione si applica anche per le opere di durata ultrannuale indicate all’articolo 93 del Tuir?
Risposta
L’art. 1, comma 18, della legge di bilancio 2017, nel dettare le regole per il primo periodo di imposta di applicazione del regime delle imprese minori, disciplinato dal nuovo art. 66 del TUIR, prevede che le rimanenze finali che hanno concorso a formare il reddito dell’esercizio precedente secondo il principio della competenza siano portate interamente in deduzione del reddito del primo periodo di applicazione del regime. Pertanto, attesa la formulazione letterale della citata disposizione che fa riferimento genericamente alle “rimanenze finali”, si è del parere che le stesse comprendano sia le rimanenze di cui all’art. 92 del TUIR – e quindi tipicamente rimanenze di merci e di lavori in corso su ordinazione di durata infrannuale - che quelle dell’art. 93 dello stesso testo unico – e quindi le rimanenze di lavori in corso su ordinazione di durata ultrannuale, nonché dell’articolo 94, relativo alle rimanenze dei titoli.
8.3 Questioni di diritto transitorio Domanda
La norma a regime fissata dalla legge di bilancio 2017 (art. 1, comma 19, della legge
n. 232/2016) per evitare duplicazioni o salti di imposizione, si applica anche in via
transitoria ai contribuenti in contabilità semplificata che nel 2016 applicano il criterio di competenza e nel 2017 quello di cassa? Ad esempio, nel caso dei servizi ultimati e imputati a reddito nel 2016, ma non ancora fatturati, quando il corrispettivo sarà incassato sarà irrilevante ai fini del reddito?
Risposta
Si, in quanto il comma 19 dell’art. 1 della legge di bilancio 2016 ha inteso proprio evitare che il passaggio da un regime di competenza a un regime ispirato alla cassa potesse determinare anomalie in termini di doppia tassazione/deduzione ovvero nessuna tassazione/deduzione di alcuni componenti di reddito. Quindi, nell’esempio prospettato, il ricavo derivante dalla prestazione di servizi ultimata nel 2016 ha correttamente concorso alla determinazione del reddito di tale periodo di imposta, a norma dell’art. 109, comma 2, del TUIR, ancorché il corrispettivo non sia stato incassato. Conseguentemente, il corrispettivo di tale prestazione di servizi quando sarà incassato (ad esempio, nel 2017) non determinerà l’emersione di un ricavo imponibile.
8.4 Spese per prestazioni di lavoro, oneri di utilità sociale, ammortamenti e canoni di leasing
Domanda
Per i contribuenti che applicheranno il regime di cassa, le spese si deducono quando sostenute (ai sensi dell'articolo 66, comma 1, primo periodo). Tuttavia alcuni componenti negativi, come le quote di ammortamento, si deducono senza considerare il momento della regolazione finanziaria. Alla luce di ciò, si chiede di sapere se i seguenti costi siano deducibili per cassa o ancora per competenza: canoni
di leasing (ad es. prima rata di maxi canone); spese per prestazioni di lavoro; oneri di utilità sociale.
Risposta
Si ritiene che i componenti negativi elencati siano deducibili per competenza, per effetto dell’espresso rinvio operato dal legislatore (ai sensi del comma 3 del novellato articolo 66 del TUIR) all’applicazione degli articoli 95, 100 e 102 del TUIR. La specifica disciplina ivi prevista per le spese per prestazione di lavoro, per gli oneri di utilità sociale e per gli ammortamenti e canoni di leasing, rende di fatto operante per tali componenti il criterio di competenza.
Con riferimento particolare al maxi-canone di leasing, pertanto, si ritiene che lo stesso vada dedotto per competenza secondo l’ordinaria disciplina prevista dal comma 7 dell’art. 102 del TUIR, essendo in tal caso irrilevante il momento del pagamento. Come chiarito, infatti, anche dalla Relazione illustrativa al DDL di bilancio 2017, il regime riservato alle imprese minori dal nuovo art. 66 del TUIR è un regime “improntato alla cassa”.
8.5 Registrazione delle fatture Domanda
Le nuove norme (articolo 18 del DPR n. 600/73, al comma 5) introducono un regime “di registrazione” nel regime di cassa secondo i criteri previsti ai fini dell’Iva. Quindi, ad esempio, le fatture di acquisto possono essere registrate entro il termine della dichiarazione del secondo anno successivo ed è sempre in tale momento che si presumono pagate ai fini della determinazione del reddito?
Risposta
Nell’ipotesi in cui l’incasso o il pagamento non avvenga nell’anno di registrazione del documento contabile, il comma 4, secondo periodo, dell’art. 18 prevede che, in luogo delle singole annotazioni sui registri Iva, sia riportato l’importo complessivo dei mancati incassi o pagamenti, con l’indicazione delle fatture cui le operazioni si riferiscono.
In un’ottica di semplificazione, il successivo comma 5, consente al contribuente di non effettuare tali annotazioni, esercitando una specifica opzione, vincolante per almeno un triennio. Tale scelta, come espressamente specificato dalla norma in esame, implica che il ricavo si intenda incassato e il pagamento effettuato alla data di registrazione del documento contabile.
Ne consegue che laddove il contribuente registri la fattura di acquisto entro i termini previsti dall’art. 19 del DPR n. 633 del 1972 per la detrazione dell’imposta attribuitagli in rivalsa, ai fini delle imposte sul reddito tale data di registrazione coinciderà con la presunta data dell’avvenuto pagamento.
8.6 Annotazioni contabili Domanda
È corretta l’interpretazione secondo cui le annotazioni cronologiche dettagliate di pagamenti e incassi sono obbligatorie solo per i contribuenti minori esonerati dalla tenuta della contabilità Iva (ad esempio i rivenditori di giornali)? Questo perché in presenza di contabilità Iva è prevista (articolo 18, comma 4, del DPR n. 600/73) l’annotazione solo dei mancati incassi e pagamenti, che si presume debba essere fatta entro il termine di presentazione della dichiarazione dei redditi.
Risposta
L’art. 18, comma 2, del DPR n. 600 del 1973, come modificato dall’art. 1, comma 22, della legge 11 dicembre 2016 n. 232, prevede l’obbligo, a carattere generale, per le imprese minori, esonerate dalla tenuta delle scritture contabili previste dagli articoli 14 e seguenti dello stesso decreto, di annotare cronologicamente in uno apposito registro - nei termini di cui all’articolo 22, comma 1, ultimo periodo, di cui al citato Decreto (ossia non oltre sessanta giorni dall’incasso) - i ricavi percepiti indicando per ciascun incasso: il relativo importo, le generalità, l’indirizzo e il comune di residenza anagrafica del soggetto che effettua il pagamento, gli estremi della fattura o altro documento emesso. In un diverso registro i medesimi soggetti hanno l’obbligo di annotare le spese sostenute nell’esercizio.
Tuttavia, ai sensi del successivo comma 4, tali registri possono essere sostituiti dai registri Iva, laddove il contribuente indichi separatamente le operazioni non soggette a registrazione ai fini dell’imposta sul valore aggiunto ed effettui l’annotazione dell’importo complessivo dei mancati incassi e pagamenti e delle fatture cui gli stessi si riferiscono al fine di determinare il reddito di impresa in base al principio di cassa. Conseguentemente dette annotazioni devono essere eseguite entro i termini di presentazione della dichiarazione delle imposte sui redditi. Al momento dell’effettivo incasso e pagamento i ricavi ed i costi devono essere registrati separatamente ai sensi del citato art. 22, comma 1, ultimo periodo, del DPR n. 600 del 1973 [sessanta giorni dall’incasso o dal pagamento].
In conclusione, la sostituzione degli appositi registri degli incassi e dei pagamenti con i registri tenuti ai fini Iva è riconducibile ad una scelta gestionale del contribuente.
9 AGRICOLTURA
Domanda
La legge di bilancio 2017 introduce l’esclusione, ai fini Irpef, dei redditi dominicale e agrario dei terreni per gli anni 2017-2019 a favore delle persone fisiche in possesso della qualifica di coltivatore diretto o imprenditore agricolo professionale. Come opera tale esclusione per le società di persone, comprese le Snc e le Sas che hanno optato per il reddito agrario (articolo 1, comma 1093, legge 296/2006)? Si applica nel modello Redditi 2017 dei soci in possesso di tali qualifiche?
Risposta
L’articolo 1, comma 44, della legge 11 dicembre 2016, n. 232, stabilisce che “per gli anni 2017, 2018 e 2019, i redditi dominicali e agrari non concorrono alla formazione della base imponibile ai fini dell'imposta sul reddito delle persone fisiche dei coltivatori diretti e degli imprenditori agricoli professionali di cui all’articolo 1 del decreto legislativo 29 marzo 2004, n. 99, iscritti nella previdenza agricola”.
Come si evince dalla relazione illustrativa alla legge di bilancio 2017, trattasi di una norma introdotta al fine di sostenere, in un periodo di notevole crisi, gli operatori del settore agricolo, con specifico riferimento ai coltivatori diretti e agli imprenditori agricoli professionali iscritti alla previdenza agricola.
In particolare, la disposizione è volta a prevedere, transitoriamente per il triennio 2017-2019, la non concorrenza dei redditi dominicali e agrari alla formazione della base imponibile ai fini dell’imposta sul reddito delle persone fisiche (IRPEF) e delle relative addizionali dei coltivatori diretti e degli imprenditori agricoli professionali. Si evidenzia che, sulla base del tenore letterale della norma, l’agevolazione in esame è applicabile esclusivamente a favore delle persone fisiche in possesso della qualifica di coltivatore diretto o imprenditore agricolo professionale i quali producono redditi dominicali ed agrari. Non possono beneficiare, invece, dell’agevolazione in questione i soci delle società in nome collettivo e delle società in accomandita semplice che abbiano optato, ai sensi dell’articolo 1, comma 1093, della legge 27 dicembre 2006, n. 296, per la determinazione del reddito su base
catastale in quanto il reddito che viene loro attribuito mantiene la natura di reddito d’impresa così espressamente qualificato in capo alle società dal decreto ministeriale
n. 213 del 27 settembre 2007.
Resta fermo che possono beneficiare dell’agevolazione in esame anche le società semplici che attribuiscono per trasparenza ai soci persone fisiche - in possesso della qualifica di coltivatore diretto o imprenditore agricolo professionale - redditi fondiari.
10 OPZIONI
Domanda
La nuova disciplina delle opzioni per consolidato, trasparenza e tonnage tax (articolo 7-quater, Dl 193/2016) prevede che, alla scadenza, i regimi si rinnovano salvo revoca espressa. In caso di “revoche dimenticate” è applicabile in via analogica il regime della remissione in bonis (articolo 2 del Dl 16/2012)? Il contribuente può dunque comunicare la revoca, oltre il termine di legge, con la prima dichiarazione dei redditi presentata successivamente a quella in cui la revoca andava ordinariamente comunicata, pagando la sanzione ridotta?
Risposta
L’articolo 7-quater, comma 29, del DL n. 193 del 2016, prevede espressamente che, per “l’esercizio delle opzioni” che devono essere comunicate con la dichiarazione dei redditi da presentare nel corso del “primo periodo di valenza del regime opzionale”, trova applicazione l’articolo 2, comma 1, del DL n. 16 del 2012 (cd. remissione in bonis). Tuttavia, considerato che l’esercizio della revoca delle opzioni deve essere effettuata con le stesse modalità e nei termini previsti per la comunicazione dell’opzione, si ritiene che anche per il mancato esercizio della
revoca dell’opzione possa trovare applicazione l’istituto della remissione in bonis, di cui all’articolo 2, comma 1, del DL n. 16 del 2012.
11 VERSAMENTI
11.1 Nuove scadenze per imposte “dichiarative” e acconti cedolare secca
Domanda
In relazione alle nuove scadenze per il pagamento delle imposte “dichiarative” in vigore dal 2017 come definite dal decreto fiscale (articolo 7-quater, commi 19 e 20 del D.L. n. 193 del 2016) la nuova scadenza del 30 giugno riguarda anche gli acconti dovuti per il pagamento della cedolare secca?
Risposta
L’articolo 3, comma 4, del D.Lgs. 14 marzo 2011, n. 23, dispone che “4. La cedolare secca è versata entro il termine stabilito per il versamento dell’imposta sul reddito delle persone fisiche”. A sua volta, articolo 17, comma 3, lettera a), del
D.P.R. 7 dicembre 2001, n. 435, dispone che il versamento del primo acconto IRPEF è effettuato “nel termine previsto per il versamento del saldo dovuto in base alla dichiarazione relativa all’anno d’imposta precedente”.
Posto che il termine per il versamento a saldo dell’IRPEF è stato posticipato dal 16 giugno al 30 giugno dell’anno di presentazione della dichiarazione (cfr. articolo 7- quater, commi 19 e 20 del D.L. n. 193 del 2016), ne discende che anche il termine per il versamento del saldo nonché del primo acconto della cedolare secca è posticipato in uguale misura.
Deve quindi intendersi superato il termine indicato all’articolo 7, comma 2, del Provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle Entrate del 7 aprile 2011 (16 giugno), per il versamento del primo acconto della cedolare secca, termine così
stabilito perché comunque coincidente con quello di versamento del primo acconto dell’IRPEF ante modifica.
11.2 Versamenti rateali Domanda
In relazione alle nuove scadenze per il pagamento delle imposte “dichiarative” in vigore dal 2017 come definite dal decreto fiscale (articolo 7-quater, commi 19 e 20, del D.L. n. 193 del 2016) le scadenze di versamento delle rate successive alla prima per i contribuenti che optano per la rateizzazione dei versamenti restano confermate in quelle indicate dall’articolo 20 del D.Lgs. n. 241 del 1997?
Risposta
L’articolo 20, comma 4, del D.Lgs. n. 241 del 1997, dispone che “4. I versamenti rateali sono effettuati entro il giorno sedici di ciascun mese per i soggetti titolari di partita IVA ed entro la fine di ciascun mese per gli altri contribuenti”. Pertanto, le imposte risultanti dalle dichiarazioni presentate dal 1° gennaio 2017 sono versate nel rispetto dei termini di cui alla norma citata, ossia:
per i soggetti titolari di partita IVA, entro il 30 giugno 2017, il 17 luglio 2017, il 21 agosto 2017, il 18 settembre 2017,(…) [ovvero con la maggiorazione dello 0,40 entro il 31 luglio 2017, il 21 agosto 2017, il 18 settembre 2017,(…)];
per i soggetti non titolari di partita IVA, entro il 30 giugno 2017, il 31 luglio 2017, il 31 agosto 2017, il 2 ottobre 2017, (…) [ovvero con la maggiorazione dello 0,40 entro il 31 luglio 2017 (data nella quale, in tal caso, vengono a scadere sia la prima che la seconda rata – cfr. le istruzioni per la compilazione del modello di dichiarazione dei redditi), 31 agosto 2017, 2 ottobre 2017, (…)].
12 COMUNICAZIONI IVA
12.1 Mancata tenuta del registro dei corrispettivi e opzioni ex d.lgs. n. 127/2015
Domanda
La grande maggioranza dei titolari di partita Iva opera soltanto con emissione di fatture, non avendo rapporti con il pubblico o non essendo esonerata dalla fatturazione (ad esempio, i medici). Chi non tiene il registro dei corrispettivi può pertanto assolvere l’obbligo mediante opzione in base al D.Lgs. n. 127/2015 allo scopo di conseguire i relativi benefici premiali?
Risposta
L’articolo 4 del D.L. 22 ottobre 2016, n. 193, c.d. "decreto fiscale", convertito in legge, con modificazioni, dall’articolo 1, comma 1, legge 1° dicembre 2016, n. 225, ha integralmente sostituito l’articolo 21 del D.L. n. 78 del 2010.
Il Legislatore, in particolare, con tale nuova disposizione, ha previsto un obbligo generalizzato, in capo ai soggetti passivi IVA, di trasmissione telematica all'Agenzia delle entrate dei dati di tutte le fatture emesse nel trimestre di riferimento, di quelle ricevute e registrate, ai sensi dell'articolo 25 del D.P.R. n. 633 del 1972, ivi comprese le bollette doganali, nonché le relative variazioni.
I dati, da inviare in forma analitica (cfr. il nuovo articolo 21, comma 2, del D.L. n. 78), corrispondono a quelli da inviare, su base opzionale, secondo quanto disposto dall’articolo 1, comma 3, del D.Lgs. n. 127 del 2015, cui l’Agenzia delle entrate ha dato attuazione con i provvedimenti del proprio direttore pubblicati in data 28 ottobre e 1 dicembre 2016 (si vedano, rispettivamente, i provvedimenti prot. n. 182070 e n. 212804).
Dalla normativa in essere si ricava che possono esercitare le opzioni previste dall’articolo 1, comma 3, e dall’articolo 2, comma 1, del D.Lgs. n. 127 del 2015,
tutti i soggetti passivi che emettono fatture, sia normalmente, sia in via eventuale, come avviene, ad esempio, per le operazioni di cui all’articolo 22 del D.P.R. n. 633 del 1972 dietro richiesta del cliente, a condizione che ne ricorrano i presupposti soggettivi e oggettivi previsti dalla norma, e i relativi benefici premiali possono essere conseguiti solo al verificarsi di tutti gli adempimenti richiesti nell’ambito delle opzioni esercitate ai sensi dello stesso decreto legislativo.
12.2 Operazioni non documentate da fattura Domanda
La nuova normativa si occupa unicamente della trasmissione dei dati delle fatture. Si può pertanto ritenere decaduto l’obbligo di segnalare le operazioni da 3.600 euro, Iva inclusa, per le quali non è previsto l'obbligo di emissione della fattura?
Risposta
L’articolo 21 del D.L. n. 78 del 2010, nella versione vigente prima delle modifiche recate dal c.d. “decreto fiscale”, prevedeva l’obbligo di comunicazione telematica delle operazioni solo se «di importo non inferiore ad euro 3.600, comprensivo dell'imposta sul valore aggiunto».
Il venire meno di tale previsione, implica che nessun obbligo di trasmissione è ora previsto per le operazioni attive e passive che non devono essere documentate da fattura, qualunque ne sia l’importo.
Resta, ovviamente, la possibilità, in base all’articolo 2, comma 1, del D.Lgs. n. 127 del 2015, di inviare i dati dei corrispettivi giornalieri su base opzionale (si vedano per le relative modalità i provvedimenti del direttore dell’Agenzia delle entrate prot.
n. 182017 del 28 ottobre 2016 e prot. n. 212804 dell’1 dicembre 2016).
12.3 Altri casi di esonero dalla trasmissione dei dati delle fatture
Domanda
Esistono altri possibili esoneri dalla trasmissione dei dati delle fatture, oltre a quello enunciato a proposito dei produttori agricoli minori delle zone montane? Se non ve ne fossero altri, dovranno essere trasmesse telematicamente anche le “fatturine” per il pranzo di lavoro da 10 euro, oltre a quelle già presenti nel sistema tessera sanitaria?
Risposta
In riferimento alla trasmissione dei dati delle fatture, il Legislatore, all’articolo 21, comma 1, del D.L. n. 78 del 2010, secondo la versione attualmente vigente, ha previsto un solo caso di esclusione, relativo ai produttori agricoli situati nelle zone montane.
In linea generale, quindi, deve considerarsi venuta meno, in capo ai soggetti passivi IVA, ogni altra causa di esclusione dagli obblighi di trasmissione individuata in base alla previgente formulazione della norma. Pertanto, i contribuenti saranno obbligati a trasmettere i dati di tutte le singole fatture emesse, nonché delle singole fatture ricevute e registrate (comprese le bollette doganali), indipendentemente dal loro valore.
Non può dimenticarsi, tuttavia, che l’invio dei dati in questione ha come principale fine la prevenzione di illeciti nel campo IVA ed il monitoraggio delle operazioni rilevanti ai fini dell’imposta.
In questo senso, come chiarito dalla circolare n. 1/2017, dunque, si ritiene che siano esclusi dagli obblighi dell’articolo 21 anche i soggetti in regime forfetario (ex articolo 1, commi 54-89, legge n. 190 del 2014) – nonché coloro che, sino al 2015, si sono avvalsi, secondo la previsione dell’articolo 27, commi 1 e 2 del D.L. n. 98 del 2011, del c.d. “regime dei minimi” e lo manterranno fino alla scadenza – i quali
non annotano le fatture, non addebitano l’imposta in fattura ai propri clienti, non detraggono l’IVA sugli acquisti, non la liquidano, né la versano e non sono obbligati a presentare la dichiarazione IVA.
Come specificato dal documento di prassi richiamato, anche le Amministrazioni pubbliche sono esonerate dall’obbligo di comunicazione dei dati delle fatture ricevute, per effetto della previsione, per tali enti, dell’obbligo di invio delle fatture elettroniche attraverso il Sistema di Interscambio ai sensi dell’articolo 1 della legge n. 244/2007.
Resta invece obbligatorio, anche per tali enti, l’invio dei dati delle fatture e delle relative note di variazione, emesse nei confronti di soggetti diversi dalle pubbliche amministrazioni, che non siano state trasmesse tramite il Sistema di Interscambio.
12.4 Operazioni certificate tramite scontrino. Significato di “tipologia di operazione”
Domanda
È corretto sostenere che non devono essere trasmesse con il nuovo spesometro le operazioni certificate tramite scontrino o ricevuta fiscale? Cosa si intende per “tipologia di operazione”?
Risposta
Le modifiche recate dal D.L. n. 193 del 2016 all’articolo 21 del D.L. n. 78 del 2010 hanno comportato il venir meno di qualsiasi obbligo di trasmissione per le operazioni attive e passive non documentate da fattura (come, ad esempio, tramite scontrino o ricevuta fiscale).
I dati delle stesse potranno comunque essere trasmessi – qualora il contribuente scelga di avvalersi, al fine di godere dei relativi benefici, dell’opzione di cui
all’articolo 2, comma 1, del D.Lgs. n. 127 del 2015 – secondo le modalità individuate con i provvedimenti del direttore dell’Agenzia delle entrate prot. n. 182017 del 28 ottobre 2016 e n. 21280 dell’1 dicembre 2016.
Quanto alla “tipologia dell’operazione”, che l’articolo 21, comma 2, lett. f) del D.L.
n. 78 del 2010 individua tra i dati delle fatture da inviare, essa fa riferimento - secondo quanto già precisato in merito alla trasmissione dei medesimi dati prevista dal D.Lgs. n. 127 del 2015 su base opzionale - alla natura dell’operazione, ovvero al motivo specifico per il quale il cedente/prestatore non deve indicare l’imposta in fattura (ad esempio, perché l’operazione è non imponibile, esente o esclusa dal campo di applicazione dell’IVA).
Per i dettagli tecnici, sul punto può rinviarsi al provvedimento del direttore dell’Agenzia delle entrate prot. n. 182070 del 28 ottobre 2016 ed ai relativi allegati, in specie quello rubricato “SPECIFICHE TECNICHE DATI FATTURA”, da considerarsi validi anche per l’invio obbligatorio dei dati.
13 NOTE DI VARIAZIONE IVA
13.1 Abrogazione art. 26, comma 5, secondo periodo, del d.P.R. n. 633/1972 e obblighi del curatore fallimentare
Domanda
A seguito dell’abrogazione dell’articolo 26, comma 5, secondo periodo, del DPR 633/1972, quali sono gli obblighi del curatore nel caso in cui, a seguito dell’infruttuosità della procedura concorsuale, il cedente prestatore emetta una nota di variazione in diminuzione?
Risposta
Il comma 5 dell’art. 26 prevede che laddove il cedente/prestatore si avvalga della facoltà di emettere una nota di variazione in diminuzione, il cessionario/committente, che ha già contabilizzato l’operazione nel registro Iva degli acquisti, è tenuto a registrare la corrispondente variazione in aumento, salvo il suo diritto alla restituzione di quanto pagato a titolo di rivalsa. L’art. 1, comma 567, lett. d), della legge n. 232 del 2016 ha abrogato la norma che escludeva tale obbligo in caso di procedure concorsuali.
Ne consegue che, nell’ipotesi sopra delineata, gli organi della procedura sono tenuti ad annotare nel registro Iva la corrispondente variazione in aumento; tale adempimento, tuttavia, non determina l'inclusione del relativo credito IVA vantato dall’Amministrazione nel riparto finale, ormai definitivo, ma consente di evidenziare il credito eventualmente esigibile nei confronti del fallito tornato in bonis. Per quanto sopra, non sussistendo il debito a carico della procedura, il curatore fallimentare non è tenuto ad ulteriori adempimenti (cfr. ris. n. 155 del 2001).
13.2 Modifiche all’art. 26 del decreto Iva e procedure concorsuali aperte dall’1 gennaio 2017. Emissione di nota di variazione in caso di concordato preventivo
Domanda
La legge di bilancio evita, di fatto, che diventino efficaci le modifiche all’articolo 26 del decreto Iva (D.P.R. 633/72) previste dalla legge di Stabilità per il 2016, con riferimento alle procedure concorsuali dichiarate a partire dal 1° gennaio 2017. A seguito di questa modifica, quando è possibile emettere la nota di accredito in caso di omologa del concordato preventivo?
Risposta
In caso di concordato preventivo, trattandosi di procedura concorsuale, la nota di variazione può essere emessa solo quando è definitivamente accertata l’infruttuosità della procedura. Al fine di individuare il momento in cui tale circostanza si verifica, tornano applicabili i chiarimenti forniti con circolare n. 77/E del 17/4/2000, secondo cui occorre fare riferimento non solo al decreto di omologazione del concordato che, ai sensi dell’art. 181 della legge fallimentare chiude il concordato, ma anche al momento in cui il debitore adempie gli obblighi assunti nel concordato stesso.
Ne consegue che laddove, in caso di mancato adempimento, ovvero in conseguenza di comportamenti dolosi, venga dichiarato il fallimento del debitore, la rettifica in diminuzione può essere eseguita, solo dopo che il piano di riparto dell'attivo sia divenuto definitivo ovvero, in assenza di un piano, dopo la scadenza del termine per il reclamo avverso il decreto di chiusura del fallimento.
14 RIMBORSI IVA
Domanda
Si chiede di chiarire a quali rimborsi si applicano le disposizioni contenute nell’articolo 7 quater, comma 32, del decreto legge n. 193 del 2016, introdotto in sede di conversione, che ha esteso da 15.000 a 30.000 euro la soglia entro cui è possibile ottenere il rimborso dell’IVA senza alcun ulteriore adempimento.
Risposta
L’articolo 7 quater, comma 32, del decreto legge del 22 ottobre 2016, n. 193, convertito, con modificazioni, dalla legge 1° dicembre 2016, n. 225, ha modificato il comma 3 dell’articolo 00-xxx xxx x.X.X. x. 000 del 1972, innalzando da 15.000 a
30.000 euro il limite al di sotto del quale il rimborso è eseguito senza prestazione di garanzia e senza altri adempimenti.
In relazione alle istanze di rimborso presentate prima dell’entrata in vigore della disposizione, la modifica si applica seguendo i medesimi criteri espressi dalla circolare n. 32/E del 30 dicembre 2014, con riguardo alle disposizioni di semplificazione di cui all’articolo 13 del decreto legislativo 21 novembre 2014, n. 175, che avevano già modificato l’articolo 38-bis del d.P.R. n. 633 del 1972.
Pertanto, l’innalzamento della soglia da 15.000 euro a 30.000 euro esplica i propri effetti anche sui rimborsi in corso di esecuzione alla data di entrata in vigore della disposizione, ossia il 3 dicembre 2016.
In particolare, successivamente all’entrata in vigore della nuova disposizione, per i rimborsi per i quali, ai sensi della previgente normativa, occorreva la garanzia, l’ufficio o l’agente della riscossione non procede a richiederla ovvero, se già richiesta, laddove il contribuente non vi abbia già provveduto, non è tenuto a presentarla. Non occorre, altresì, integrare la dichiarazione annuale IVA con il visto di conformità – laddove mancante – ovvero presentare la dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà, di cui al comma 3 del citato articolo 38-bis, per beneficiare dell’esonero dalla garanzia.
Resta fermo, tuttavia, il principio secondo cui la nuova disciplina non ha effetti sui rimborsi già erogati alla data di entrata in vigore della disposizione che ha innalzato il limite di riferimento, con la conseguenza che le garanzie prestate in corso di validità per i rimborsi già erogati non possono essere restituite.
Xxxxx, altresì, confermato il principio secondo cui nel caso in cui sia intervenuta la sospensione degli interessi a seguito di ritardo nella consegna delle garanzie, il periodo di sospensione termina e gli interessi riprendono a decorrere dalla data di entrata in vigore del nuovo testo dell’articolo 38-bis (3 dicembre 2016).
15 DICHIARAZIONI INTEGRATIVE E INFEDELTA’ DICHIARATIVE
15.1 Dichiarazione infedele e credito d’imposta. Imposte e sanzioni applicabili
Domanda
Quali imposte e sanzioni sono dovute se il contribuente commette la violazione di dichiarazione infedele e si trova a credito di imposta?
Risposta
Se nella dichiarazione è indicato ai fini delle singole imposte un reddito o un valore della produzione imponibile inferiore a quello accertato, o comunque un’imposta inferiore a quella dovuta o un credito (ai fini delle imposte dirette), ovvero un’eccedenza detraibile o rimborsabile (ai fini IVA) superiori a quelli spettanti, trova applicazione la sanzione amministrativa dal novanta al centottanta per cento della maggiore imposta dovuta o della differenza del credito utilizzato.
L’inserimento del termine “utilizzato” con riferimento al credito accertato superiore a quello spettante consente di commisurare la sanzione per l’infedeltà solo all’indebito utilizzo del credito e non al credito esposto in dichiarazione ma non utilizzato.
Per credito effettivamente utilizzato, si intende quello che è stato utilizzato in compensazione in F24 o in dichiarazione a scomputo dell’imposta dovuta ovvero rimborsato. Non si considera utilizzato il credito riportato nelle dichiarazioni successive.
In particolare, gli organi accertatori, nel determinare la sanzione per infedele dichiarazione, si riferiranno solo a quella parte di credito non spettante, effettivamente utilizzata dal contribuente. Diversamente, infatti, il contribuente, non avendo utilizzato il credito, non ha tratto alcun vantaggio (e, conseguentemente, arrecato alcun danno all’Erario). Pertanto, qualora sia esposto in dichiarazione un credito superiore a quello spettante e lo stesso (o parte di esso) non sia stato utilizzato dal contribuente, la violazione commessa è punita con la sanzione di cui
all’articolo 8, comma 1, del decreto legislativo n. 471 del 1997 (da 250 a 2.000 euro), senza recupero d’imposta. La sanzione per infedele dichiarazione nella misura dal novanta al centottanta per cento (ed il recupero dell’imposta) resta, quindi, applicabile nella sola ipotesi in cui il contribuente abbia utilizzato un credito maggiore rispetto a quello effettivamente spettante.
15.2 Dichiarazione infedele e credito d’imposta. Determinazione della sanzione Domanda
Dichiarazione infedele che ha chiuso originariamente a credito. Si supponga che il credito originario sia stato pari a 1.000 e l’Agenzia, per effetto dell’infedeltà, lo riduca a 200. Se il contribuente ha utilizzato il credito per 300, la sanzione per infedele dichiarazione viene rapportata a 300 o a 100?
Risposta
Nell’ipotesi formulata, si suppone che, nel corso di un controllo, si accerti che il credito spettante sia inferiore a quello indicato in dichiarazione.
La norma stabilisce che in tal caso si applichi una sanzione compresa tra il novanta e il centottanta per cento della maggiore imposta dovuta o della “differenza del credito utilizzato”, cioè alla differenza tra il credito fruito e il credito spettante, che nel caso di specie è uguale a 100 euro.
15.3 Dichiarazione infedele e credito d’imposta. Determinazione della sanzione Domanda
La dichiarazione Iva relativa all’anno solare 2014 chiude con un credito di 100. La dichiarazione Iva dell’anno successivo chiude con un credito di 120 (che ingloba
anche il credito di 100 dell’anno precedente). Quella del 2016 chiude con un credito di 180 (comprendente anche i 120 dell’anno precedente), che viene utilizzato (nel 2017) per 90 a scomputo dell’Iva periodica. Nel 2018 l’Agenzia accerta l’infedeltà della dichiarazione Iva del 2014, riducendo il credito di 100 a 30. Come viene determinata la sanzione?
Risposta
Nel caso di specie, il credito utilizzato in compensazione nel 2017 (pari a 90 euro) è:
a) superiore alla somma da recuperare (pari a 70 euro);
b) inferiore all’eccedenza a credito complessiva maturata ante 2017 e compensabile, pari a 110 euro (30 euro maturati nel 2014 + 20 euro maturati nel 2015 e 60 maturati nel 2016).
Trovando, quindi, il credito compensato capienza nel credito effettivamente disponibile nel 2017, non si applica la sanzione proporzionale di cui all’articolo 5, comma 4, del d.lgs. n. 471 del 1997 (dal 90 a 180 per cento del credito indebitamente utilizzato), ma quella in misura fissa di cui all’articolo 8 (da 250 a
2.000 euro).
15.4 Correzione degli errori contabili e nuovo termine per la presentazione della dichiarazione integrativa a favore
Domanda
È ancora attuale la procedura di correzione degli errori contabili prevista dalla circolare 31/E/2013? Come si concilia con la possibilità di presentare dichiarazioni integrative a favore del contribuente entro i termini di accertamento?
Risposta
La circolare n. 31 del 2013 ha fornito chiarimenti in merito alla procedura da applicare per i correggere errori contabili che, nel caso di annualità d’imposta non più emendabili, avrebbero generato un fenomeno di doppia imposizione.
Tale procedura deve intendersi superata dalla nuova disciplina recata dall’art. 2, comma 8, del DPR n. 322 del 1998, che ha equiparato il termine entro cui il contribuente può presentare una dichiarazione integrativa a favore, con quello già previsto per la dichiarazione integrativa a sfavore di cui all’art. 43 del DPR n. 600 del 1973, consentendo di “correggere errori o omissioni che abbiano determinato l'indicazione di un maggiore o di un minore imponibile o, comunque, di un maggiore o di un minore debito d'imposta ovvero di un maggiore o di un minore credito”, ivi compresi gli errori contabili.
16 ROTTAMAZIONE DELLE CARTELLE
16.1 Rinuncia al giudizio
Domanda
La rinuncia al giudizio ha effetti solo nei confronti dell’agente della riscossione o anche per le altre parti processuali? La normativa prevede in caso di definizione l’impegno a rinunciare ai giudizi aventi ad oggetto i carichi cui si riferisce la dichiarazione del debitore. Si chiede se l’atto di rinuncia debba essere presentato al giudice presso cui è pendente l’impugnazione una volta che la definizione sia stata accettata dall’agente della riscossione oppure solo dopo che la definizione si sia perfezionata (pagamento tempestivo da parte del debitore)? Se nella controversia vi siano altre controparti processuali (ad esempio, impugnazione del ruolo contro l’agenzia delle entrate), l’impegno a rinunciare al giudizio deve intendersi riferito nei riguardi di tutte le controparti?
Risposta
Il comma 2 dell’art. 6 prevede che il debitore presenti una dichiarazione di adesione alla definizione agevolata indicando, fra l’altro, la pendenza di giudizi aventi ad oggetto i carichi cui si riferisce la dichiarazione e assumendo l'impegno a rinunciare agli stessi giudizi. In proposito, in riferimento al processo tributario, si ritiene che l’impegno a rinunciare in commento non corrisponda strettamente alla rinuncia al ricorso di cui all’art. 44 del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546. Ciò che assume rilevanza sostanziale ed oggettiva è il perfezionamento della definizione agevolata mediante il tempestivo ed integrale versamento del complessivo importo dovuto. La definizione rileva negli eventuali giudizi pendenti in cui sono parti l’agente della riscossione o l’ente creditore o entrambi facendo cessare integralmente la materia del contendere qualora il carico definito riguardi l’intera pretesa oggetto di controversia.
16.2 Contenzioso favorevole al contribuente Domanda
Contenzioso favorevole al contribuente. Se il debito risulta ancora iscritto a ruolo, è possibile eseguire la rottamazione anche se l’atto è stato annullato dal giudice? In questo caso, quale è il comportamento processuale della parte pubblica? Se il contribuente ha definito pagando il tutto, fa venir meno la materia del contendere?
Risposta
Il comma 2 dell’art. 68 del d.lgs. n. 546 del 1992 prevede che “Se il ricorso viene accolto, il tributo corrisposto in eccedenza rispetto a quanto statuito dalla sentenza della commissione tributaria provinciale, con i relativi interessi previsti dalle leggi fiscali, deve essere rimborsato d'ufficio entro novanta giorni dalla notificazione della
sentenza”. La predetta disposizione si applica anche alle sanzioni amministrativo- tributarie per effetto del comma 1 dell’art. 19 del d.lgs. 18 dicembre 1997, n. 472.
A causa dei tempi richiesti per l’esecuzione di una sentenza provvisoriamente esecutiva può dunque accadere che l’Agente della riscossione abbia un carico già oggetto di un provvedimento di annullamento.
In proposito, considerato che la definizione agevolata riguarda i crediti che l’Agente della riscossione ha in carico, si ritiene ammessa l’adesione del debitore anche nell’ipotesi descritta nel quesito qualora ne abbia interesse, che può derivare essenzialmente dalla circostanza che si tratta di una sentenza non definitiva che potrebbe essere riformata a seguito di impugnazione. Al riguardo non va trascurato che la definizione agevolata presuppone la rinuncia del debitore ai giudizi e quindi anche agli effetti delle eventuali pronunce giurisdizionali emesse.
Nell’ipotesi di cui al quesito, il perfezionamento della definizione agevolata riguardante l’intera pretesa oggetto di lite (ad esempio, ruolo effettuato a seguito di liquidazione e controllo formale delle dichiarazioni dei redditi, ai sensi degli articoli 36-bis e 36-ter del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600) fa venire meno l’interesse della parte pubblica alla prosecuzione della controversia ovvero costituisce una causa di cessazione della materia del contendere qualora la sentenza favorevole al debitore sia stata impugnata.
La cessazione della materia del contendere, come prevede il comma 3 dell’art. 46 del d.lgs. n. 546 del 1992, comporta che “Nei casi di definizione delle pendenze tributarie previsti dalla legge, le spese del giudizio estinto restano a carico della parte che le ha anticipate”.
Più in generale, si ritiene che gli effetti della definizione agevolata, di norma, prevalgono sugli esiti degli eventuali giudizi.
16.3 Definizione parziale
Domanda
Qualora si definisca il carico affidato dei 2/3 e relative sanzioni amministrative dopo la soccombenza del ricorrente in primo grado, la rinuncia al giudizio tributario riguarda l’intera pretesa in contestazione o la controversia sull’avviso di accertamento prosegue per la parte non definibile? Qualora il contribuente intenda aderire alla definizione, la rinuncia al giudizio deve riguardare l’intero atto (e quindi dovrà corrispondere l’intera imposta e 1/3 delle sanzioni ancora non affidate) o potrà proseguire nel contenzioso per tali importi?
Risposta
Premesso che la definizione agevolata è possibile solo in presenza di un carico affidato all’Agente della riscossione e non riguarda direttamente le liti pendenti, nell’ipotesi esposta nel quesito prosegue il giudizio avente ad oggetto l’avviso di accertamento in esecuzione del quale è stata avviata a titolo provvisorio la riscossione frazionata in pendenza di impugnazione.
L’interesse delle parti alla prosecuzione e alla decisione nel merito della controversia riguarda la frazione della pretesa che non è stata definita.
Più precisamente, qualora l’esito definitivo del giudizio sia favorevole al contribuente, non vi sarà alcuna ulteriore riscossione né, al contempo, alcuna restituzione di quanto versato in sede di definizione agevolata, i cui effetti sono intangibili. Qualora invece l’esito del giudizio sia sfavorevole al contribuente, vi sarà la riscossione del residuo terzo di tributi e correlati interessi e sanzioni amministrative, atteso che il debito relativo alle sanzioni comprese nel carico dei 2/3 è stato estinto mediante definizione agevolata.
16.4 Soccombenza parziale
Domanda
Nella soccombenza parziale, la definizione e quindi la rinuncia al giudizio comporta che lo stesso prosegua solo per la parte non definita o invece occorre corrispondere anche tale parte?
Risposta
Per maggiore chiarezza della risposta è opportuno riferirla ad un esempio, che può essere rappresentato dal caso di una controversia pendente in Cassazione a seguito di impugnazione della sentenza della Commissione tributaria regionale di parziale annullamento dell’avviso di accertamento (ad esempio, riduzione decisa nella misura del 30% della maggiore imposta accertata e contestata dal contribuente), pronuncia impugnata sia dall’Agenzia delle entrate sia dal contribuente.
In questa ipotesi, ai sensi della lett. c) del comma 2 dell’art. 68 del d.lgs. n. 546 del 1992 e del comma 1 dell’art. 19 del d.lgs. n. 472 del 1997, la riscossione provvisoria dopo la pronuncia di secondo grado riguarda l’importo di tributi, sanzioni ed interessi determinati nella sentenza, pari - in riferimento a questo esempio - al 70% dei tributi e correlati accessori in contestazione.
Con riferimento a tale situazione, la risposta a questo quesito è analoga a quella al quesito precedente, nel senso che il perfezionamento della definizione agevolata produce l’effetto di estinguere integralmente il complessivo debito recato dai carichi affidati, senza possibilità di restituzione, mentre la controversia prosegue in quanto i carichi definiti sono inferiori alla pretesa in contestazione.
17 QUADRO RW. SANZIONI
Domanda
Ipotizziamo che le sanzioni sul quadro RW determinate con il cumulo materiale siano 120 e con il cumulo giuridico 90. Le sanzioni da liquidare sono un terzo di 120 o un terzo di 90? Qualora, invece, le sanzioni determinate con il cumulo materiale siano 90 e con il cumulo giuridico 120, le sanzioni da liquidare sono un terzo di 90 o un terzo di 120?
Risposta
Il quesito fa riferimento al confronto tra cumulo giuridico e cumulo materiale delle sanzioni previste dal comma 7 dell’articolo 12 del decreto legislativo n. 472 del 1997, che dispone che la sanzione unica calcolata con l’applicazione del cumulo giuridico non può essere superiore a quella risultante dal cumulo delle sanzioni previste per le singole violazioni.
Ai fini della determinazione delle sanzioni relative alle violazioni degli obblighi dichiarativi di monitoraggio fiscale oggetto della procedura di collaborazione volontaria, il nuovo articolo 5-octies del decreto legge n. 167 del 1990, introdotto dall’articolo 7 del decreto legge 193 del 2016, richiama al comma 1, lett. e), le disposizioni previste dai commi 1 e 5 dell’articolo 12 del decreto legislativo n. 472 del 1997, non rinviando anche al comma 7 del medesimo articolo.
Sebbene tale disposizione non venga esplicitamente richiamata nell’articolo 5-octies del decreto legge n. 167 del 1990, comma 1, lett. e), il rinvio alla disciplina del cumulo giuridico ivi contenuto, ai fini della “determinazione” della sanzione dovuta per la collaborazione volontaria, comporta necessariamente anche l’applicazione della regola generale prevista dal comma 7 dell’articolo 12 del decreto legislativo n. 472 del 1997.
Nel caso esposto nel quesito, quindi, la riduzione ad un terzo ai sensi dell’articolo 16, comma 3, del decreto legislativo n. 472 del 1997 dovrà essere calcolata in entrambe le ipotesi sull’importo di 90 euro, trattandosi dell’importo più vantaggioso emerso dal confronto tra cumulo materiale e cumulo giuridico.
Al riguardo si ricorda comunque che ai fini della determinazione delle sanzioni dovute risulta applicabile anche l’ulteriore criterio previsto dal citato comma 3 dell’articolo 16 del decreto legislativo n. 472 del 1997, richiamato nell’articolo 5- octies del decreto legge n. 167 del 1990, comma 1, lett. e), che dispone che la sanzione non può comunque essere inferiore ad un terzo dei minimi edittali previsti per le violazioni più gravi relative a ciascun tributo.
18 ACCERTAMENTO
Domanda
Il mancato riconoscimento delle perdite in sede di accertamento influisce sui termini di sospensione per impugnare l’atto?
L’articolo 42 del DPR n. 600/73 prevede che il contribuente possa chiedere il riconoscimento delle perdite in sede di accertamento. Tale istanza sospende i termini di impugnazione di 60 giorni. Nell’ipotesi in cui l’ufficio all’esito del controllo della spettanza negasse per qualsiasi ragione lo scomputo, ci sono ipotesi in cui tale diniego potrebbe inficiare anche la sospensione dei termini e pertanto il contribuente potrebbe trovarsi in “ritardo” per la proposizione del ricorso?
Risposta
Ai sensi dell’art. 42 del DPR n. 600 del 1973, in sede di accertamento il contribuente ha la facoltà di chiedere che le perdite pregresse siano computate in diminuzione dei maggiori imponibili e, a tal fine, deve presentare un’apposita istanza all’ufficio competente entro il termine per la proposizione del ricorso che, in tal caso, viene sospeso per un periodo di sessanta giorni.
Nel Provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle entrate dell’8 aprile 2016, con cui è stato approvato il modello per la presentazione dell’istanza (denominato Modello IPEA), è stato precisato che l’ufficio procede al riscontro dell’utilizzabilità
delle perdite pregresse richieste, ricalcola l’eventuale maggiore imposta dovuta, gli interessi e le sanzioni correlate e comunica l’esito al contribuente entro 60 giorni dalla presentazione del citato Modello IPEA.
Tenuto conto che le norme in materia non collegano la sospensione dei termini all’esito del controllo della spettanza dello scomputo delle perdite, la presentazione del Modello IPEA sospende comunque per un periodo di sessanta giorni il termine per l’impugnazione dell’atto che, in tale ipotesi, è pari a centoventi giorni (fatto salvo l’eventuale periodo di sospensione feriale previsto dalla legge 7 ottobre 1969, n. 742).
19 INDAGINI FINANZIARIE
19.1 Nuove disposizioni sui limiti quantitativi. Non retroattività
Domanda
È corretto ritenere che le nuove disposizioni sui limiti quantitativi di 1.000 euro giornalieri «e comunque di 5mila euro mensili» dei prelevamenti (32, comma 1, n. 2, del DPR n. 600/1973) non hanno effetto retroattivo, visto che riguardano l’attività istruttoria e non quella di accertamento?
Risposta
Il decreto legge 22 ottobre 2016, n. 193, convertito con la Legge 1° dicembre 2016,
n. 225, art. 7-quater, ha apportato delle modifiche all’art. 32, comma 1, n. 2, del DPR n. 600 del 1973, introducendo un limite agli importi dei prelevamenti o importi riscossi, posti come ricavi a base delle rettifiche e degli accertamenti.
La presunzione relativa ai prelevamenti, per le imprese, si applica agli importi superiori a 1.000 euro giornalieri e 5.000 euro mensili mentre è inapplicabile nei riguardi degli esercenti arti e professioni.
Pertanto, si ritiene che, a partire dal 3/12/2016 (data di entrata in vigore della Legge di conversione n. 225 del 2016), a base delle rettifiche ed accertamenti, saranno considerati ricavi i prelevamenti o gli importi riscossi nei limiti previsti dalla nuova disposizione.
19.2 Non applicabilità ai versamenti Domanda
Le modifiche intervenute all’articolo 32 del DPR n. 600/73 riguardano solo i prelevamenti o anche i versamenti, come sembrano indicare i lavori parlamentari?
Risposta
L’articolo 32 del DPR n. 600/73, come modificato dal decreto legge 193 del 2016, prevede che “sono posti a base delle rettifiche e degli accertamenti…, se il contribuente non ne indica il soggetto beneficiario e sempreché non risultino dalle scritture contabili, i prelevamenti o gli importi riscossi nell'ambito dei predetti rapporti od operazioni per importi superiori a euro 1.000 giornalieri e, comunque, a euro 5.000 mensili”. La lettera della norma interviene, quindi, solamente sui prelievi non giustificati, e non anche sui versamenti, per i quali rimane in vigore la regola che costituiscono presunzione di reddito qualora non risultassero “giustificati”.
20 VOLUNTARY DISCLOSURE
20.1 Riapertura dei termini
Domanda
Il decreto fiscale (Dl 193/2016, articolo 7) ha riaperto i termini per la voluntary disclosure a condizione che il soggetto che presenta l'istanza non
l'abbia già presentata in precedenza. Si chiede conferma che il beneficiario economico di un rapporto bancario estero possa avvalersi della riapertura della procedura anche se ha già presentato l’istanza nel 2015 esclusivamente in qualità di delegato ad operare su un conto corrente estero intestato ad un soggetto terzo.
Risposta
Ai sensi dell’articolo 5-octies del decreto legge n. 167 del 1990 possono accedere alla procedura di collaborazione volontaria, beneficiando della riapertura dei termini, solo i contribuenti che non abbiano già presentato istanza in relazione alla precedente edizione.
Si chiede pertanto di sapere se ciò comporti, per il soggetto che abbia già usufruito della passata edizione della voluntary disclosure in qualità di delegato ad operare su un conto corrente estero, l’inibizione all’accesso alla nuova edizione della procedura, nella veste di beneficiario economico di un rapporto bancario estero.
Al riguardo, preliminarmente si ricorda che l’Agenzia delle entrate, con la circolare
n. 27 del 16 luglio 2015, ha chiarito che ai delegati che non risultino essere i titolari effettivi delle attività presenti sui rapporti non può essere attribuito alcun reddito connesso con le stesse; i medesimi soggetti sono invece obbligati a far emergere le eventuali ulteriori attività della specie che detengono o hanno detenuto all’estero in un qualsiasi periodo d’imposta ancora aperto.
Con particolare riferimento al caso prospettato nella domanda appare pertanto evidente che il contribuente che vuole accedere alla nuova edizione della procedura di collaborazione volontaria in relazione ai profili internazionali risulta essere stato non collaborativo in relazione alla procedura di voluntary disclosure internazionale già esperita, avendo regolarizzato la sola relazione bancaria di cui era titolare in qualità di soggetto delegato alla firma.
Si ritiene quindi che la riapertura dei termini della procedura di collaborazione volontaria non possa essere utilizzata per sanare l’incompletezza derivante dalla omissione a suo tempo delle ulteriori attività della specie.
20.2 Versamento spontaneo Domanda
Versamento spontaneo per la voluntary disclosure. Con l’applicazione del cumulo giuridico le maggiorazioni previste dall’articolo 12, commi da 1 a 5, del D.lgs. n. 472/1997 sono applicate nella misura minima?
Risposta
Con riferimento alla determinazione delle sanzioni relative alle violazioni degli obblighi dichiarativi di monitoraggio fiscale oggetto della procedura di collaborazione volontaria, il nuovo articolo 5-octies del decreto legge n. 167 del 1990, introdotto dall’articolo 7 del decreto legge 193 del 2016, prevede al comma 1, lett. e), l’applicazione dei commi 1 e 5 dell’articolo 12 del decreto legislativo n. 472 del 1997.
Ai fini dell’applicazione di un’unica sanzione (c.d. xxxxxx xxxxxxxxx), il citato comma 1 dell’articolo 12 del decreto legislativo n. 472 del 1997 dispone che, in caso di concorso formale o materiale di violazioni, la sanzione connessa alla violazione più grave deve essere aumentata dal quarto al doppio. Il comma 5 del suddetto articolo prevede l’aumento della sanzione base dalla metà al triplo, qualora le violazioni si riferiscono a più periodi di imposta.
Mentre gli uffici dell’Agenzia delle entrate ai fini del calcolo del cumulo giuridico della sanzione da irrogare possono valutare, nell’ambito della discrezionalità loro rimessa, le percentuali di aumento della sanzione previste dall’articolo 12 del
suddetto decreto, tenendo anche conto della condotta del contribuente, della gravità delle violazioni e della frequenza con cui le stesse sono state commesse, il contribuente che ai fini della procedura di collaborazione volontaria intende provvedere spontaneamente al versamento delle sanzioni dovute per le violazioni di cui all’articolo 4, comma 1, del decreto legge n. 167 del 1990 dovrà applicare gli aumenti nelle misure minime stabilite dai commi 1 e 5 del citato articolo 12, pari rispettivamente ad un quarto ed alla metà.
21 DICHIARAZIONE PRECOMPILATA
21.1 Obblighi di comunicazione a carico degli amministratori di condominio. Spese per interventi edilizi, risparmio energetico e arredi
Domanda
Gli amministratori di condominio devono trasmettere in via telematica alle Entrate, entro il 28 febbraio, una comunicazione contenente i dati relativi alle spese sostenute nel 2016 dal condominio per gli interventi agevolati di ristrutturazione, riqualificazione energetica e acquisto di mobili ed elettrodomestici per l’arredo di parti comuni. Secondo il Dm del Mef del 1° dicembre 2016 vanno indicate le quote di spesa imputate ai singoli condomini. Nelle «specifiche tecniche di trasmissione», già disponibili sul sito delle Entrate, si chiede di indicare se il soggetto è proprietario, nudo proprietario, titolare di un diritto reale di godimento, locatario, comodatario o da inserire in «altre tipologie di soggetti». Dato che queste ultime tre categorie non sono configurabili come condòmini, vanno ugualmente inserite in comunicazione?
Risposta
L’articolo 16-bis del Tuir prevede che la detrazione Irpef per le spese di ristrutturazione edilizia e risparmio energetico su parti comuni condominiali, nonché per gli interventi relativi all’adozione di misure antisismiche, spetta a coloro che possiedono o detengono l’immobile sul quale sono stati effettuati gli interventi di recupero edilizio sulla base di un titolo idoneo. Tale titolo può consistere, quindi, nella proprietà, nella nuda proprietà, in un diritto reale di godimento o in un contratto di locazione o comodato.
Sulla base di quanto previsto dal comma 2 dell’articolo 16 del decreto legge 4 giugno 2013, n. 63, agli stessi soggetti che fruiscono delle detrazioni per interventi di ristrutturazione edilizia è riconosciuta la detrazione Irpef per le spese di acquisto di mobili e di grandi elettrodomestici per parti comuni condominiali.
Inoltre, ha diritto alle detrazioni in esame anche il familiare convivente del possessore o del detentore dell’immobile oggetto dell’intervento, purché abbia sostenuto le spese e le fatture e i bonifici siano a lui intestati (sul punto vi è un consolidato orientamento di prassi formatosi in merito alle detrazione per le spese di ristrutturazione edilizia: circolare n. 121 del 1998, n. 50 del 2002 e successive). Tale principio deve ritenersi valido anche in relazione alla detrazione per i lavori di risparmio energetico (circolare n. 36 del 2007).
Ciò premesso, l’articolo 2 del decreto del Ministro dell’Economia e delle Finanze del 1° dicembre 2016 ha previsto l’obbligo di trasmissione all’Agenzia delle entrate, da parte degli amministratori di condominio, di una comunicazione contenente i dati relativi alle spese sostenute nell’anno precedente dal condominio con riferimento agli interventi di recupero del patrimonio edilizio e di riqualificazione energetica effettuati sulle parti comuni di edifici residenziali, nonché con riferimento all’acquisto di mobili e di grandi elettrodomestici finalizzati all’arredo delle parti comuni dell’immobile oggetto di ristrutturazione. Nella comunicazione devono essere indicate le quote di spesa imputate ai singoli condòmini.
Ai sensi dell’articolo 3 di tale decreto, con provvedimento del direttore dell’Agenzia delle entrate sono disciplinate le modalità tecniche di trasmissione dei dati relativi alle spese per interventi su parti comuni degli edifici residenziali.
Le specifiche tecniche prevedono che, nella comunicazione telematica per la trasmissione delle spese attribuite ai condòmini per lavori effettuati sulle parti comuni, vada indicato il codice fiscale del soggetto al quale è attribuito l’importo della spesa. Sulla base delle informazioni contenute nel registro dell’anagrafe condominiale riguardanti le generalità dei singoli proprietari e dei titolari di diritti reali di godimento (articolo 1130 del codice civile, modificato dall’articolo 10 della legge n. 220/2012) e delle altre informazioni comunque in loro possesso, gli amministratori indicano, pertanto, per ogni unità immobiliare, la quota di spesa attribuita ai possessori o detentori dell’appartamento individuati dalla prima tipologia di soggetti (proprietario, nudo proprietario, titolare di un diritto reale di godimento, locatario o comodatario). Qualora la spesa vada attribuita a un soggetto diverso dai precedenti, ad esempio, un familiare convivente del possessore o del detentore dell’immobile, gli amministratori indicano nella comunicazione il codice residuale che individua “altre tipologie di soggetti”.
Le spese di ristrutturazione edilizia e risparmio energetico su parti comuni condominiali qualora siano imputate alla prima tipologia di soggetti (proprietario, locatario, ecc.) vengono esposte direttamente nella dichiarazione precompilata. Diversamente, qualora tali spese siano state imputate a soggetti individuati con il codice residuale (altre tipologie di soggetti), tenuto conto che la sussistenza delle condizioni soggettive di detraibilità è verificabile solo da parte del contribuente, le stesse vengono riportate esclusivamente nel foglio informativo allegato alla dichiarazione. In tale ultimo caso sarà il contribuente ad aggiungere il dato nella dichiarazione dei redditi se possiede i requisiti previsti dalla normativa vigente.
Si precisa infine che, come chiarito con il comunicato stampa del 21 febbraio 2017, l’amministratore di condominio comunica all’Agenzia delle entrate, quale soggetto a
cui è attribuita la spesa, colui che gli è stato indicato come tale dal proprietario. In assenza di comunicazione da parte del proprietario, l’amministratore indica quale soggetto a cui è attribuita la spesa il proprietario medesimo. L’amministratore di condominio, quindi, per la compilazione della comunicazione da inviare all’Agenzia delle entrate, non deve tener conto dell’intestazione del conto bancario/postale utilizzato dal proprietario o da altri per il pagamento della quota condominiale.
21.2 Obblighi di comunicazione a carico degli amministratori di condominio. Quote di spesa imputate ai singoli condòmini
Domanda
Nella comunicazione delle spese sostenute nel 2016 dal condominio, che l’amministratore deve inviare entro il 28 febbraio, vanno riportate anche le quote di spesa imputate ai singoli condòmini o che non sono state pagate per morosità?
Risposta
Nella comunicazione telematica per la trasmissione delle spese attribuite ai condòmini per lavori effettuati sulle parti comuni, gli amministratori sono tenuti a fornire l’informazione relativa all’effettivo pagamento al 31 dicembre della quota di spesa attribuita a ciascun soggetto.
In tal senso, dovrà essere compilato il campo relativo al “flag pagamento” attraverso il quale andrà evidenziato se il pagamento è stato interamente corrisposto al 31 dicembre dell’anno di riferimento ovvero se lo stesso è stato parzialmente o interamente non corrisposto entro tale data.
Nelle specifiche tecniche si fa riferimento alla quota “attribuita” e non alla quota “pagata” in quanto, come previsto dalla circolare n. 122 del 1° giugno 1999, al paragrafo 4.8, “ai fini del riconoscimento del beneficio in caso di spese relative a
parti comuni condominiali la detrazione compete con riferimento all’anno di effettuazione del bonifico bancario da parte dell'amministratore e nel limite delle rispettive quote dello stesso imputate ai singoli condomini e da questi ultimi effettivamente versate al condominio al momento della presentazione della dichiarazione, anche anticipatamente o posticipatamente rispetto alla data di effettuazione del bonifico”.
Nel caso in cui il pagamento sia stato interamente corrisposto entro il 31 dicembre dell’anno di riferimento, la relativa spesa sarà esposta direttamente nella dichiarazione precompilata. In caso contrario e, quindi, nel caso in cui il pagamento non sia stato interamente corrisposto entro tale termine, la spesa sarà indicata esclusivamente nel foglio informativo e il contribuente, in presenza delle condizioni di detraibilità previste dalla normativa vigente, potrà modificare la dichiarazione aggiungendo tale onere qualora pagato entro la data di presentazione della dichiarazione.
21.3 Correzione del visto infedele Domanda
Il decreto fiscale ha previsto la possibilità per i Caf e i professionisti di correggere il visto infedele presentando una dichiarazione rettificativa anche dopo il 10 novembre dell’anno della presentazione della dichiarazione errata. In questo caso, a carico dell’intermediario che ha apposto il visto, resta dovuta la sola sanzione, riducibile in base al ravvedimento. Ma qual è la sanzione da ravvedere? Inoltre, dato che non è prevista una decorrenza specifica, in virtù del favor rei possono essere regolarizzate oltre il 10 novembre anche violazioni commesse prima dell’entrata in vigore della nuova norma?
La novità, in particolare, è contenuta nell’articolo 7-quater, comma 48, del DL 193/2016 ha modificato l’articolo 39, comma 1, lett. a), del D.lgs. n. 241/1997, ampliando sul piano temporale la possibilità per gli intermediari abilitati (Caf e professionisti) di intervenire per correggere il visto infedele.
Risposta
L’articolo 39, comma 1, lett. a), del D.lgs. n. 241/1997, prevede che in caso di apposizione di visto infedele, i Caf e i professionisti assumono una responsabilità diretta nei confronti dello Stato o del diverso ente impositore per il pagamento di una somma pari all’importo dell’imposta, della sanzione e degli interessi che dovrebbero essere richiesti al contribuente ai sensi dell’articolo 36-ter del D.P.R. n. 600 del 1973, salvo che il visto infedele non sia stato indotto dalla condotta dolosa o gravemente colposa del contribuente.
Tale responsabilità può essere, però, evitata se il Caf o il professionista trasmette una dichiarazione rettificativa del contribuente ovvero, nel caso in cui il contribuente non intenda presentare la nuova dichiarazione, una comunicazione dei dati relativi alla rettifica. In tale caso, la somma dovuta è pari all’importo della sola sanzione, peraltro ravvedibile.
L’articolo 7-quater, comma 48, del DL 193/2016 ha modificato il menzionato articolo 39, comma 1, lett. a), del D.lgs. n. 241/1997, ampliando sul piano temporale la possibilità per gli intermediari abilitati (Caf e professionisti) di intervenire per correggere il visto infedele.
Il termine per il compimento delle suddette attività rettificative, in precedenza fissato al 10 novembre dell’anno in cui la violazione è stata commessa, è ora rappresentato dalla contestazione dell’infedeltà del visto di conformità con la comunicazione di cui all’articolo 26, comma 3-ter, del decreto del Ministro delle finanze 31 maggio 1999, n. 164.
La sanzione per importi non versati è da individuarsi in quella di cui all’articolo 13 del decreto legislativo n. 471 del 1997 per “i ritardati od omessi versamenti diretti”, sanzione applicata ordinariamente in caso di controllo formale ai sensi dell’articolo 36-ter del D.P.R. n. 600 del 1973.
Trattandosi di modifica di una norma procedurale che consente ai Caf e ai professionisti di rettificare le dichiarazioni 730 contenenti errori che determinano infedeltà del visto di conformità, la stessa, per sua natura, trova applicazione anche con riferimento alle attività rettificative per le quali risulta già spirato il termine del 10 novembre dell’anno in cui la violazione è stata commessa. Di conseguenza, in tali ipotesi, il Caf o il professionista potrà trasmettere una dichiarazione rettificativa del contribuente ovvero, nel caso in cui il contribuente non intenda presentare la nuova dichiarazione, una comunicazione dei dati relativi alla rettifica, sempreché l’infedeltà del visto non sia stata contestata con la comunicazione di cui al citato articolo 26, comma 3-ter, del regolamento di cui al decreto del Ministro delle finanze n. 164 del 1999.
Per quanto riguarda le modalità di presentazione della dichiarazione rettificativa occorre tener conto della complessità dello svolgimento dell’assistenza fiscale, del numero dei soggetti coinvolti e della tempistica entro cui il procedimento deve concludersi.
Con particolare riferimento alla tempistica, si segnala che l’articolo 16, comma 2, del citato decreto n. 164 del 1999 fissa al 10 novembre il termine ultimo per trasmissione delle dichiarazioni integrative di cui all’articolo 14 del medesimo decreto che il contribuente intende presentare per correggere errori che non incidono sulla determinazione dell’imposta o che determinano a favore dello stesso un rimborso o un minor debito.
Analogamente, nella considerazione che detto termine del 10 novembre sia il termine massimo per la trasmissione delle dichiarazioni utile a consentire al sostituto d’imposta di poter effettuare il conguaglio entro la fine dell’anno, si ritiene che per
le dichiarazioni rettificative previste dall’articolo 39 del decreto legislativo 241 del 1997, trasmesse entro la predetta data, il risultato contabile viene messo a disposizione dei sostituti d’imposta, ove indicati.
Diversamente, per le dichiarazioni trasmesse successivamente alla predetta data, mutuando la procedura prevista per i 730 presentati in assenza del sostituto d’imposta gli eventuali versamenti dovranno essere eseguiti a cura dei contribuenti e gli eventuali rimborsi sono eseguiti a cura dell’Agenzia delle entrate.
Inoltre, tenuto conto che il risultato contabile fornito al sostituto d’imposta non tiene conto degli effetti della dichiarazione originaria, nei casi in cui nella dichiarazione rettificativa è riportato un sostituto d’imposta diverso da quello indicato nella dichiarazione originaria, per le trasmissioni effettuate anche prima del 10 novembre occorre seguire la procedura prevista per i 730 presentati in assenza del sostituto d’imposta.
Si segnala, che per la presentazione della dichiarazione rettificativa deve essere utilizzato il modello 730 relativo al periodo d’imposta per il quale è stata presentata la dichiarazione oggetto di rettifica.
Analogamente, nel caso in cui il Caf o il professionista presenti la comunicazione dei dati relativi alla rettifica in quanto il contribuente non intende presentare la nuova dichiarazione, dovranno essere seguite le istruzioni fornite con la circolare per la liquidazione ed il controllo del modello 730 relativo periodo d’imposta per il quale è stata presentata la dichiarazione oggetto di rettifica.
21.4 Trasmissione telematica delle certificazioni uniche Domanda
La scadenza del 7 marzo per la trasmissione telematica delle certificazioni uniche (Cu) da parte dei sostituti d’imposta che hanno erogato redditi soggetti a ritenuta nel
corso del 2016, deve intendersi come perentoria anche se la certificazione riguarda redditi esenti o che non possono essere dichiarati nel modello 730, come redditi d’impresa e di lavoro autonomo? Si chiede in buona sostanza se anche per il 2017 possano rendersi applicabili i chiarimenti varati con le circolari 6/E/2015 e 12/E/2016.
Risposta
Con le circolari n. 6/E/2015 e n. 12/E/2016, diramate in relazione ai primi anni di invio delle certificazioni, è stato chiarito che la trasmissione delle certificazioni contenenti esclusivamente redditi non dichiarabili mediante il modello 730, può avvenire anche successivamente alla data del 7 marzo prevista dall’articolo 4, comma 6-ter, del DPR n. 322 del 1998, senza applicazione di sanzioni.
Al riguardo, al fine di semplificare gli adempimenti degli operatori connessi alla trasmissione della Certificazione Unica e in aderenza ai chiarimenti forniti con le menzionate circolari, si ritiene che l’invio delle Certificazioni Uniche che non contengono dati da utilizzare per l’elaborazione della dichiarazione precompilata (come i redditi di lavoro autonomo non occasionale redditi esenti) può avvenire anche successivamente al 7 marzo senza l’applicazione di sanzioni, purché entro il termine di presentazione dei quadri riepilogativi (ST, SV, SX, SY) del modello 770.
21.5 Sostituti d’imposta che prestano assistenza ai dipendenti Domanda
Quali novità sono previste quest’anno per il sostituto d'imposta che presta assistenza fiscale ai propri dipendenti ?
I controlli preventivi di cui all’articolo 5 del decreto legislativo 21 novembre 2014,
n. 175, trovano applicazione nel caso di presentazione della dichiarazione al sostituto d'imposta che presta l'assistenza fiscale?
Risposta
L'articolo 5 del decreto legislativo 21 novembre 2014, n. 175, introdotto dall'articolo
articolo 1, comma 949, lettera f), della legge 28 dicembre 2015, n. 208, prevede che nel caso di presentazione della dichiarazione direttamente ovvero tramite il sostituto d'imposta che presta l'assistenza fiscale, con modifiche rispetto alla dichiarazione precompilata, l'Agenzia delle entrate può effettuare dei controlli preventivi, in via automatizzata o mediante verifica della documentazione giustificativa, se si rilevano degli elementi di incoerenza rispetto ai criteri pubblicati con provvedimento del direttore dell'Agenzia delle entrate ovvero determinano un rimborso di importo superiore a 4.000 euro.
L’articolo 17, comma 0, xxxxxxx x-xxx, xxx xxxxxxx 31 maggio 1999, n. 164, introdotto
dall'articolo 1, comma 951, lettera b), della legge 28 dicembre 2015, n. 208, prevede che il sostituto d’imposta che presta l’assistenza fiscale, deve comunicare all'Agenzia delle entrate in via telematica, entro il termine previsto per l’invio dei 730, anche il risultato finale delle dichiarazioni.
A tal fine, da quest’anno, ai modelli 730 trasmessi all’Agenzia delle entrate a seguito di assistenza fiscale prestata direttamente dal sostituto d’imposta deve essere allegato il risultato contabile (modello 730-4).
Conseguentemente, per procedere alle operazioni di conguaglio il sostituto d’imposta dovrà attendere che l’Agenzia delle entrate metta a sua disposizione il modello 730-4, mediante la sede telematica propria o di un intermediario - indicata con la Comunicazione per la ricezione in via telematica dei dati relativi ai modelli 730-4 (CSO) o con il quadro CT presente nella Certificazione Unica - al pari di
quanto accade per i modelli 730 presentati dal dipendente tramite CAF e intermediari abilitati ovvero direttamente avvalendosi dell’applicativo 730 WEB.
A tal fine nella circolare per la liquidazione ed il controllo del modello 730/2017 saranno fornite specifiche indicazioni relativamente alle modalità di predisposizione dei modelli 730-4.
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Le Direzioni regionali vigileranno affinché le istruzioni fornite e i principi enunciati con la presente circolare vengano puntualmente osservati dalle Direzioni provinciali e dagli Uffici dipendenti.
IL DIRETTORE DELL’AGENZIA
Xxxxxxxx Xxxxxxx (firmato digitalmente)