Intermediari finanziari e nullità del contratto
Intermediari finanziari e nullità del contratto
CASSAZIONE CIVILE, sez. un., 19 dicembre 2007, n. 26724 - Pres. Carbone - Rel. Rordorf - P.M. Nardi (conf.) - Fin. Com. Valori s.r.l. in liquidazione (avv.ti Cavaliere, Xxxxxxx, Xxxxxxxx) c. San Paolo Imi
s.p.a. (avv.ti Ferri, Cavalli)
Contratti in genere - Invalidità - Nullità del contratto - Cause - Contrarietà a norme imperative - Presupposti - Contrarietà a norme sulla validità del contratto - Necessità - Violazione di norme concernenti il comportamento dei contraenti - Conseguenze - Nullità - Esclusione
(c. c. artt. 1218, 1325 1337 1338 1418 1453)
La violazione dei doveri d’informazione del cliente e di corretta esecuzione delle operazioni che la legge pone a carico dei soggetti autorizzati alla prestazione dei servizi d’investimento finanziario può dar luogo a responsabilità precontrattuale, con conseguente obbligo di risarcimento dei danni, ove tali violazioni avvengano nella fase precedente o coincidente con la stipulazione del contratto d’intermediazione destinato a regolare i successivi rapporti tra le parti; può invece dar luogo a re- sponsabilità contrattuale, ed eventualmente condurre alla risoluzione del predetto contratto, ove si tratti di violazioni riguardanti le operazioni d’investimento o disinvestimento compiute in esecuzio- ne del contratto d’intermediazione finanziaria in questione. In nessun caso, in difetto di previsione normativa in tal senso, la violazione dei suaccennati doveri di comportamento può però determinare la nullità del contratto d’intermediazione, o dei singoli atti negoziali conseguenti, a norma dell’art. 1418 comma 1 c.c..
Svolgimento del processo
Il 21 agosto 1995 il presidente del Tribunale di Torino, accogliendo un ricorso proposto dall’Istituto Bancario San Paolo (cui è poi succeduta la San Paolo IMI s.p.a., e che in prosieguo sarà comunque indicato solo come San Paolo), ingiunse con decreto alla Fin., Com.
Valori s.r.l. (in prosieguo Fincom) di pagare all’istituto ricorrente la somma di L. 4.371.350.619, costituente il saldo debitorio di un conto corrente al quale accedeva una linea di credito per operazioni in valuta e per ope- razioni su titoli derivati. Col medesimo decreto fu altre- sì ingiunto alla Edilcentro Immobiliare s.r.l. (in prosie- guo Edilcentro) il pagamento di L. 1.500.000.000 ed al Sig. G. L. il pagamento di L. 2.500.000.000, in forza delle garanzie da costoro a suo tempo prestate.
Gli ingiunti proposero separate opposizioni, poi riunite. Oltre a sollevare contestazioni sulla ritualità del proce- dimento monitorio, sull’addebito della commissione di massimo scoperto, sulla decorrenza e sulla misura degli interessi convenzionali applicati, essi eccepirono l’inva- lidità dei contratti stipulati, in quanto estranei all’og- getto sociale della Fincom, e negarono che ai crediti della banca derivanti dall’esecuzione di detti contratti competesse azione per il pagamento, trattandosi di ne- gozi assimilabili al gioco o alla scommessa e perciò rien- tranti nella previsione dell’art. 1933 c.c..
Sostennero poi che il passivo accumulato sul conto era frutto di operazioni finanziarie nel compimento delle quali l’istituto di credito era venuto meno ai doveri im- postigli dall’art. 6 dell’allora vigente L. n. 1 del 1991, perché aveva suggerito investimenti estremamente ri- schiosi senza adeguata informazione per il cliente ed in
eccesso rispetto alle disponibilità finanziarie del medesi- mo e perché aveva agito in conflitto d’interessi con il cliente medesimo.
La Fincom chiese perciò anche, in via riconvenzionale, la condanna in proprio favore del San Paolo al risarci- mento dei danni. La sola Edilcentro eccepì inoltre l’in- validità della concessa fideiussione, sia perché estranea al proprio oggetto sociale, sia perché rilasciata da un amministratore, il già menzionato Sig. G., che versava in conflitto d’interessi essendo al tempo stesso anche amministratore della Fincom.
In corso di causa gli opponenti eccepirono altresì la nullità dei contratti dai quali le perdite erano scaturite, per violazione delle norme imperative contenute nel ci- tato art. 6 L. n. 1, ed anche il sig. G. formulò domanda di risarcimento dei danni.
L’opposizione fu accolta dal tribunale, con conseguente revoca del decreto ingiuntivo, solo per i profili attinenti alla commissione di massimo scoperto ed alla decorren- za degli interessi. Le ulteriori ragioni addotte dagli op- ponenti non furono invece ritenute fondate ed i mede- simi opponenti furono perciò condannati al pagamento del debito capitale indicato nel ricorso monitorio, oltre agli interessi al tasso convenzionale richiesto.
I gravami proposti contro tale decisione dalla Xxx.xxx, dalla Edilcentro e dal Sig. G. furono riuniti e rigettati dalla Corte d’appello di Torino con sentenza depositata il 10 novembre 2001.
La corte piemontese ritenne infondata l’eccezione di nullità dei contratti aventi ad oggetto le operazioni fi- nanziarie in questione osservando che le violazioni de- dotte in causa riguardavano la condotta prenegoziale
dell’istituto di credito, oppure obblighi legali accessori afferenti all’adempimento dei contratti già conclusi, ma non potevano riflettersi sulla validità di detti contratti. Escluse che alle menzionate operazioni potesse appli- carsi la previsione dell’art. 1933 c.c., rientrando esse tra quelle che l’art. 23 L. n. 1 del 1991, espressamente sot- trae alla citata previsione del codice. Stimò inammissi- bili, perché generiche, le doglianze riguardanti la ritua- lità del procedimento monitorio e la misura degli inte- ressi debitori. Negò che le più volte richiamate opera- zioni finanziarie potessero dirsi estranee all’oggetto so- ciale della Fincom e considerò che, comunque, non vi era prova dell’ipotizzata mala fede dell’istituto di credito in ordine all’asserita estraneità di dette operazioni al- l’oggetto sociale. Per analoghe ragioni la corte giudicò infondata anche l’eccezione di estraneità della fideius- sione prestata della Edilcentro all’oggetto sociale di quest’ultima società, ed escluse la configurabilità della situazione di conflitto di interessi in cui l’amministrato- re si sarebbe trovato nel rilasciare fideiussione per debiti di altra società appartenente al medesimo gruppo. Quanto, infine, alle domande di risarcimento dei dan- ni, la corte d’appello dichiarò inammissibile quella pro- posta tardivamente, solo in corso di causa, dal Sig. G.; reputò invece ammissibile, nei soli limiti dell’originaria formulazione, quella proposta dalla Fincom, ma non fondata, per difetto di prova del nesso causale tra il dan- no sofferto da detta società e l’asserita situazione di con- flitto d’interessi in cui l’istituto di credito avrebbe agito e per essere rimasto indimostrato che i funzionari di detto istituto avevano istigato il cliente a compiere operazioni eccessivamente rischiose. Seguì la condanna in solido degli appellanti alle spese del grado, compren- sive di compensi professionali liquidati però non secon- do i dettami della tariffa forense, ritenuta inapplicabile alla stregua dei principi desumibili dal Trattato dell’U- nione europea, bensì sulla base dei parametri posti dal- l’art. 2233 comma 2 c.c.
Avverso tale sentenza hanno proposto ricorso per Cas- sazione, articolato in otto motivi ed illustrato con me- moria, la Fincom, la Edilcentro ed il Sig. G..
Ha resistito con controricorso e memoria il San Paolo. Con ordinanza n. 3683 del 16 febbraio 2007, la prima sezione civile di questa corte ha rilevato che, nella sen- tenza della stessa prima sezione del 29 settembre 2005,
n. 19024, èò stato escluso che l’inosservanza degli ob- blighi informativi stabiliti dall’art. 6 L. n. 1 del 1991, possa cagionare la nullità del negozio, poiché quegli ob- blighi informativi riguardano elementi utili per la valu- tazione della convenienza dell’operazione e la loro vio- lazione non da luogo a mancanza del consenso, e per- ché la nullità del contratto per contrarietà a norme im- perative postula una violazione attinente ad elementi intrinseci della fattispecie negoziale, relativi alla strut- tura o al contenuto del contratto, e non invece all’ille- gittimità della condotta tenuta nel corso delle trattative ovvero in fase di esecuzione, a meno che questa sanzio-
ne non sia espressamente prevista anche in riferimento a dette ipotesi. Nella citata ordinanza della prima sezio- ne è stato però manifestato il dubbio che il principio dianzi ricordato, quantunque corrispondente ad un tra- dizionale filone giurisprudenziale, non sia coerente con i presupposti da cui muovono molteplici altre decisioni di questa corte: la quale ha ravvisato ipotesi di nullità
c.d. virtuale del contratto in caso di mancanza di auto- rizzazione a contrarre o di mancanza di necessari requi- siti soggettivi di uno dei contraenti, in caso di contratti concepiti in modo da sottrarre una delle parti agli ob- blighi di controllo su di essa gravanti o da consentire l’aggiramento di divieti a contrarre, ed in caso di cir- convenzione d’incapace. Situazioni, queste, nelle quali è appunto la violazione di norme imperative concer- nenti la fase precontrattuale o le modalità esecutive del rapporto contrattuale a venire in evidenza.
D’altronde - ha osservato ancora l’ordinanza - il tradi- zionale principio di non interferenza delle regole di comportamento con quelle di validità del negozio, cui la citata sentenza n. 19024/05 si ispira, appare incrinato da molteplici recenti interventi del legislatore, che as- segnano rilievo al comportamento contrattuale delle parti anche ai fini della validità del contratto: tali l’art. 9 L. n. 192 del 1998, in tema di abuso di dipendenza economica nei contratti di subfornitura di attività pro- duttive, l’art. 52, comma 3, del codice del consumo (d.lgs. n. 206 del 2005), in tema di contratti stipulati telefonicamente, l’art. 34 del citato codice, in tema di clausole vessatorie, l’art. 7 d.lgs.. 231 del 2002, in tema di clausola di dilazione dei termini di pagamento, e l’art. 3 L. n. 287 del 1990, in tema di clausole imposte con abuso di posizione dominante.
Il ricorso è stato perciò rimesso alle sezioni unite, sia per dirimere il ravvisato contrasto di giurisprudenza sull’in- terferenza tra regole di comportamento e regole di vali- dità del contratto, sia comunque perché si tratta di que- stione di massima e di particolare importanza.
Motivi della decisione
1. Il primo motivo del ricorso tocca la questione di di- ritto per la cui risoluzione sono state investite le Sezioni Unite.
I ricorrenti, lamentando la violazione dell’art. 1418 c.c., e dell’art. 6 l. 2 gennaio 1991, n. 1, nonché vizi di moti- vazione dell’impugnata sentenza, criticano la corte d’appello per aver affermato che la violazione delle pre- scrizioni con cui il citato art. 6, impone determinati comportamenti agli intermediari finanziari nei riguardi dei propri clienti, incidendo tali prescrizioni sul mo- mento prenegoziale o su quello esecutivo ma non sul contenuto del contratto, non potrebbe determinarne la nullità. Altrimenti - argomentano i ricorrenti - non sa- rebbe mai possibile far discendere la nullità del contrat- to dalla violazione di norme imperative che pongono limiti alla libertà delle parti con riferimento a situazioni esterne al negozio, come ad esempio quelle concernenti
la qualità dei contraenti o i presupposti e le procedure del contrarre; ma, viceversa, vi sono molteplici casi (per esempio: mancanza di autorizzazione allo svolgi- mento dell’attività d’intermediazione mobiliare, difetto di adempimenti preliminari in materia valutaria, e simi- li) in cui la violazione di norme non attinenti al conte- nuto del negozio è stata ritenuta sufficiente a provocare la nullità.
La sentenza impugnata è poi anche censurata per avere erroneamente ritenuto che le violazioni contestate alla banca riguardassero soltanto attività prenegoziali o ese- cutive di contratti già conclusi. Quelle violazioni inve- ce - a parere dei ricorrenti - concernevano comporta- menti incidenti sulla formazione del consenso delle parti, e quindi sul contenuto dell’accordo che del con- tratto è uno degli elementi essenziali.
1.1. Prima di affrontare la questione controversa, giova premettere che, nell’ambito del giudizio di merito, è stato accertato come le operazioni finanziarie dalle qua- li trae origine il credito azionato in causa, poste in esse- re dal San Paolo su disposizione della Fincom e corre- date dalle garanzie fideiussorie della Edilcentro e del Sig. G., rientrino, per il loro oggetto e per le loro moda- lità negoziali ed attuative, tra quelle cui si applicava, al tempo dei fatti di causa, la disciplina della L. 2 gennaio 1991, n. 1 (in seguito abrogata e sostituita prima dal d.lgs. 23 luglio 1996, n. 415, e poi dal d.lgs. 24 febbraio 1998, n. 58, con successive modificazioni). Tale pre- messa, che appunto deriva essenzialmente da un accer- tamento in punto di fatto circa le caratteristiche di det- te operazioni, è ovviamente destinata a restare ferma anche nel presente giudizio di legittimità.
1.2. Ciò posto, è utile brevemente ricordare che l’art. 6 della citata l. n. 1 del 1991, detta “principi generali e regole di comportamento” cui l’intermediario deve uniformarsi nei rapporti con il cliente. La norma, dopo aver enunciato il dovere di diligenza, correttezza e pro- fessionalità nella cura degli interessi di quest’ultimo (lett. a) e dopo aver posto ai carico dell’intermediario il preliminare obbligo di pubblicare e trasmettere un do- cumento contenente informazioni circa le proprie atti- vità e la relativa regolamentazione, nonché circa il pro- prio eventuale gruppo di appartenenza (lett. b), stabili- sce che i diversi servizi alla cui prestazione l’intermedia- rio si obbliga verso il cliente debbono essere disciplinati da un contratto scritto (perciò destinato ad assolvere al- la funzione c.d. di “contratto quadro” rispetto alle sin- gole successive attività negoziali in cui l’espletamento di quei servizi si esplicherà), contratto di cui la stessa norma indica il contenuto minimo necessario ed una copia del quale deve essere trasmessa al cliente (lett. c). Segue poi una serie di regole legali, per la gran parte volte a disciplinare la prestazione dei servizi ipotizzati nel contratto: l’intermediario deve preventivamente acquisire, sulla situazione finanziaria del cliente, le informazioni rilevanti ai fini dello svolgimento dell’atti- vità (know your customer rule) (lett. d); deve tenere
costantemente informato il cliente sulla natura, sui ri- schi e sulle implicazioni delle operazioni e su qualsiasi altro fatto necessario per il compimento di scelte consa- pevoli (lett. e); non deve consigliare né effettuare ope- razioni con frequenza non necessaria o di dimensioni inadeguate alla situazione finanziaria del cliente (suita- bility rule) (lett. f); non può, salvo espressa autorizzazio- ne scritta, effettuare con il cliente o per suo conto ope- razioni nelle quali egli abbia, direttamente o indiretta- mente, un interesse conflittuale (lett. g); deve dotarsi di adeguate procedure di controllo interno (lett. h). Xxxxxx- te regole di comportamento, in esecuzione di quanto previsto dalla disposizione della lettera a) sopra citata, sono state poi ulteriormente precisate dalla Consob con proprio regolamento (reg. n. 5386 del 1991).
Dal “contratto quadro”, cui può darsi il nome di con- tratto d’intermediazione finanziaria e che per alcuni aspetti può essere accostato alla figura del mandato, de- rivano dunque obblighi e diritti reciproci dell’interme- diario e del cliente. Le successive operazioni che l’inter- mediario compie per conto del cliente, benché possano a loro volta consistere in atti di natura negoziale, costi- tuiscono pur sempre il momento attuativo del prece- dente contratto d’intermediazione. Gli obblighi di comportamento cui alludono le citate disposizioni del- l’art. 6 l. n. 1 del 1991 (non diversamente, del resto, da quelli previsti dall’art. 21 del più recente d.lgs. n. 58 del 1998), tutti in qualche modo finalizzati al rispetto della clausola generale consistente nel dovere per l’interme- diario di comportarsi con diligenza, correttezza e profes- sionalità nella cura dell’interesse del cliente, si colloca- no in parte nella fase che precede la stipulazione del contratto d’intermediazione finanziaria ed in altra parte nella fase esecutiva di esso. Attiene evidentemente alla fase prenegoziale l’obbligo di consegnare al cliente il documento informativo menzionato nella lett. b) della citata disposizione dell’art. 6, ed attiene sempre a tale fase preliminare il dovere dell’intermediario di acquisire le informazioni necessarie in ordine alla situazione fi- nanziaria del cliente, come prescritto dalla successiva lett. d), così da poter poi adeguare ad essa la successiva operatività. Ma doveri d’informazione sussistono anche dopo la stipulazione del contratto d’intermediazione, e sono finalizzati alla sua corretta esecuzione: tale è il do- vere di porre sempre il cliente in condizione di valutare appieno la natura, i rischi e le implicazioni delle singole operazioni d’investimento o di disinvestimento, non- ché di ogni altro fatto necessario a disporre con consa- pevolezza dette operazioni (art. cit., lett. e), e tale è il dovere di comunicare per iscritto l’esistenza di eventua- li situazioni di conflitto d’interesse, come condizione per poter eseguire ugualmente l’operazione se autorizza- ta (lett. g). Né può seriamente dubitarsi che anche l’ob- bligo dell’intermediario di tenersi informato sulla situa- zione del cliente, in quanto funzionale al dovere di cu- rarne diligentemente e professionalmente gli interessi, permanga attuale durante l’intera fase esecutiva del rap-
porto e si rinnovi ogni qual volta la natura o l’entità della singola operazione lo richieda, per l’ovvia conside- razione che la situazione del cliente non è statica bensì suscettibile di evolversi nel tempo. Attengono poi del pari al momento esecutivo del contratto i doveri di contenuto negativo posti a carico dell’intermediario: quelli di non consigliare e di non effettuare operazioni di frequenza o dimensione eccessive rispetto alla situa- zione finanziaria del cliente (lett. f).
1.3. I ricorrenti sostengono che, nella specie, il San Paolo ha violato alcune delle disposizioni sopra ricorda- te. L’istituto bancario, infatti, avrebbe suggerito, e poi direttamente eseguito in veste di controparte, operazio- ni nelle quali aveva un interesse conflittuale con quello della cliente Fincom (con violazione, dunque, della lett. g del citato art. 6), ed avrebbe consigliato ed ese- guito operazioni eccessivamente rischiose, se rapportate alla situazione patrimoniale della medesima Fincom (con violazione, dunque, della lett. f del medesimo arti- colo).
Su tale presupposto i ricorrenti affermano che i contrat- ti mediante i quali il San Paolo ha, di volta in volta, compiuto dette operazioni sono da ritenere nulli, in quanto contrari a norme imperative, non potendosi condividere l’assunto della corte d’appello secondo cui la violazione delle norme sopra richiamate potrebbe ge- nerare, eventualmente, una responsabilità risarcitoria o esser causa di risoluzione dei contratti in questione, ma non anche determinarne la nullità ai sensi dell’art. 1418 c.c..
È specificamente su questo punto, come già accennato, che è stato sollecitato l’intervento in chiave nomofilat- tica delle sezioni unite.
Giova però preliminarmente chiarire, a tal proposito, che nel caso in esame non si ravvisa la necessità di comporre un contrasto giurisprudenziale derivante dalla presenza di precedenti difformi decisioni delle sezioni semplici sulla questione di diritto appena riferita, per- ché le diverse decisioni menzionate nell’ordinanza di ri- messione hanno ad oggetto questioni diverse, nessuna della quali (ad eccezione di quella trattata nella senten- za del 29 settembre 2005, n. 19024, di cui si dirà) inve- ste specificamente il tema della presente causa. La cir- costanza che tutte o alcune tra tali precedenti sentenze possano, per certi aspetti, risultare più o meno coerenti con principi di diritto sottesi ad altre pronunce non è sufficiente ad identificare un contrasto di giurispruden- za in senso proprio. Essa è però certamente sintomo del fatto che ci si trova in presenza di una questione di massima e particolare importanza, appunto perché chiama in causa profili di principio: ciò che, d’altronde, è confermato anche dall’incertezza affiorata sul punto nella giurisprudenza di merito.
Nel prosieguo della presente sentenza non ci si soffer- merà perciò tanto sull’esame dei singoli precedenti di questa corte in cui l’ordinanza di rimessione ha ravvisa- to il preteso contrasto di giurisprudenza, ma si affron-
terà direttamente la questione controversa, muovendo dall’unico precedente in termini già prima ricordato. Va da sé che le conclusioni cui si perverrà, nella misura in cui risulteranno idonee a fornire chiarimenti su que- stioni di principio suscettibili altresì di riflettersi su de- cisioni aventi oggetto ed ambiti diversi, potranno gio- vare a meglio definire la giurisprudenza di questa corte in termini anche più generali.
1.4. Si deve certamente convenire - ed anche l’impu- gnata sentenza d’altronde ne conviene - sul fatto che le norme dettate dall’art. 6 della citata l. n. 1 del 1991 (al pari di quelle che le hanno poi sostituite) hanno carat- tere imperativo: nel senso che esse, essendo dettate non solo nell’interesse del singolo contraente di volta in volta implicato ma anche nell’interesse generale all’in- tegrità dei mercati finanziari (come è ora reso esplicito dalla formulazione del d.lgs n. 58 del 1998, art. 21, lett. a, ma poteva ben ricavarsi in via d’interpretazione siste- matica già nel vigore della legislazione precedente), si impongono inderogabilmente alla volontà delle parti contraenti.
Questo rilievo, tuttavìa, non è da solo sufficiente a di- mostrare che la violazione di una o più tra dette norme comporta la nullità dei contratti stipulati dall’interme- diario col cliente. È ovvio che la loro violazione non può essere, sul piano giuridico, priva di conseguenze - e se ne dirà - ma non è detto che la conseguenza sia ne- cessariamente la nullità del contratto.
Innanzitutto, è evidente che il legislatore - il quale cer- to avrebbe potuto farlo e che, nella medesima legge, non ha esitato ad altro proposito a farlo - non ha espressamente stabilito che il mancato rispetto delle ci- tate disposizioni interferisce con la fase genetica del contratto e produce l’effetto radicale della nullità invo- cata dai ricorrenti. Non si tratta quindi certamente di uno di quei casi di nullità stabiliti dalla legge ai quali al- lude l’art. 1418 comma 3 c.c.
Neppure i casi di nullità contemplati dal comma 2, dell’articolo da ultimo citato, però, sono invocabili nella situazione in esame. È vero che tra questi casi fi- gura anche quello della mancanza di uno dei requisiti indicati dall’art. 1325, e che il primo di tali requisiti è l’accordo delle parti. Ma, ove pure si voglia ammettere che nella fase prenegoziale la violazione dei doveri di comportamento dell’intermediario sopra ricordati sia- no idonei ad influire sul consenso della controparte contrattuale, inquinandolo, appare arduo sostenere che sol per questo il consenso manca del tutto; ed i vizi del consenso - se pur di essi sì possa parlare - non de- terminano la nullità del contratto, bensì solo la sua an- nullabilità, qualora ricorrano le condizioni previste dall’art. 1427 c.c. ss.
Resta però da considerare l’ipotesi che, in casi come quello di cui qui si discute, la nullità possa dipendere dall’applicazione della disposizione dettata dal comma 1 del citato art. 1418: che si possa, cioè, predicare la nul- lità (c.d. virtuale) del contratto perché contrario a nor-
me imperative, tali essendo appunto le norme dettate dall’art. 6 l. n. 1 del 1991.
1.5. La domanda che si è appena formulata ha ricevuto già una motivata risposta negativa nella menzionata sentenza n. 19024 del 2005, pronunciata dalla prima se- zione di questa corte, la quale, dopo aver affermato che la nullità del contratto per contrarietà a norme impera- tive postula violazioni attinenti ad elementi intrinseci della fattispecie negoziale, relativi alla struttura o al con- tenuto del contratto, ha escluso che l’illegittimità della condotta tenuta nel corso delle trattative prenegoziali ovvero nella fase dell’esecuzione del contratto stesso possa esser causa di nullità, indipendentemente dalla natura delle norme con le quali siffatta condotta contra- sti, a meno che questa sanzione non sia espressamente prevista. Donde la conclusione che né l’inosservanza de- gli obblighi informativi stabiliti dall’art. 6 l. n. 1 del 1991, né la violazione da parte dell’intermediario del di- vieto di effettuare operazioni con o per conto del cliente qualora abbia un interesse conflittuale (a meno che non abbia comunicato per iscritto la natura e l’estensione del suo interesse nell’operazione ed il cliente abbia preventi- vamente ed espressamente acconsentito per iscritto al- l’operazione) sono idonee a cagionare nullità. L’ordinanza di rimessione chiama ora le Sezioni Unite a valutare se tali affermazioni, e l’impianto argomentati- vo ad esse sotteso, debbano o meno esser tenute ferme, anche alla luce di un esame sistematico che tenga con- to di orientamenti giurisprudenziali manifestati da que- sta stessa corte in campi diversi, nonché delle tendenze legislative emerse in questo ed in altri settori, dai quali potrebbero eventualmente scaturire indicazioni di se- gno contrario a quelle espresse in subjecta materia dalla sentenza n. 19024 del 2005.
1.6. Il cardine intorno al quale ruota la sentenza da ulti- mo citata è costituito dalla riaffermazione della tradizio- nale distinzione tra norme di comportamento dei con- traenti e norme di validità del contratto: la violazione delle prime, tanto nella fase prenegoziale quanto in quella attuativa del rapporto, ove non sia altrimenti stabilito dalla legge, genera responsabilità e può esser causa di risoluzione del contratto, ove si traduca in una forma di non corretto adempimento del generale dove- re di protezione e degli specifici obblighi di prestazione gravanti sul contraente, ma non incide sulla genesi del- l’atto negoziale, quanto meno nel senso che non è ido- nea a provocarne la nullità.
Che tale distinzione, sovente ribadita anche dalla dot- trina, sia fortemente radicata nei principi del codice ci- vile è difficilmente contestabile. Per persuadersene è sufficiente considerare come dal fondamentale dovere che grava su ogni contraente di comportarsi secondo correttezza e buona fede - immanente all’intero sistema giuridico, in quanto riconducibile al dovere di solida- rietà fondato sull’art. 2 Cost., e sottostante a quasi tutti i precetti legali di comportamento delle parti di un rap- porto negoziale (ivi compresi quelli qui in esame) - il
codice civile faccia discendere conseguenze che posso- no, a determinate condizioni, anche riflettersi sulla so- pravvivenza dell’atto (come nel caso dell’annullamento per dolo o violenza, della rescissione per lesione enorme o della risoluzione per inadempimento) e che in ogni caso comportano responsabilità risarcitoria (contrattua- le o precontrattuale), ma che, per ciò stesso, non sono evidentemente mai considerate tali da determinare la nullità radicale del contratto (semmai eventualmente annullabile, rescindibile o risolubile), ancorché l’obbli- go di comportarsi con correttezza e buona fede abbia in- discutibilmente carattere imperativo. E questo anche perché il suaccennato dovere di buona fede, ed i doveri di comportamento in generale, sono troppo immanca- bilmente legati alle circostanze del caso concreto per poter assurgere, in via di principio, a requisiti di validità che la certezza dei rapporti impone di verificare secon- do regole predefinite.
L’assunto secondo il quale, nella moderna legislazione (anche per incidenza della normativa europea), la di- stinzione tra norme di validità e norme di comporta- mento starebbe tuttavia sbiadendo e sarebbe in atto un fenomeno di trascinamento del principio di buona fede sul terreno del giudizio di validità dell’atto non è suffi- ciente a dimostrare il già avvenuto sradicamento del- l’anzidetto principio nel sistema del codice civile.
È possibile che una tendenza evolutiva in tal senso sia effettivamente presente in diversi settori della legislazio- ne speciale, ma - a parte la considerazione che molte delle disposizioni invocate a sostegno di questo assunto sono posteriori ai fatti di causa, e non varrebbero quindi a dimostrare che già a quell’epoca il legislatore avesse abbandonato la tradizionale distinzione cui s’è fatto cen- no - un conto è una tendenza altro conto è un’acquisi- zione. E va pur detto che il carattere sempre più fram- mentario e sempre meno sistematico della moderna le- gislazione impone molta cautela nel dedurre da singole norme settoriali l’esistenza di nuovi principi per predi- carne il valore generale e per postularne l’applicabilità anche in settori ed in casi diversi da quelli espressamen- te contemplati da singole e ben determinate disposizio- ni. D’altronde, non si è mai dubitato che il legislatore possa isolare specifiche fattispecie comportamentali, ele- vando la relativa proibizione al rango di norma di vali- dità dell’atto, ma ciò fa ricadere quelle fattispecie nella già ricordata previsione del terzo (non già del comma 1) del citato art. 1418. Si tratta pur sempre, in altri termini, di disposizioni particolari, che, a fronte della già ricorda- ta impostazione del codice, nulla consente di elevare a principio generale e di farne applicazione in settori nei quali analoghe previsioni non figurano, tanto meno quando - come nel caso in esame - l’invocata nullità do- vrebbe rientrare nella peculiare categoria delle cosiddet- te nullità di protezione, ossia nullità di carattere relativo, che già di per sé si pongono come speciali.
1.7. Quanto appena osservato, naturalmente, non esau- risce affatto il tema, perché occorre ancora chiedersi se
una regola diversa non viga proprio nello specifico set- tore del diritto dei mercati finanziari.
Prima di rispondere a questo quesito, e restando per un momento ancora sul piano dei principi generali, giova però aggiungere che tanto l’impugnata sentenza della corte d’appello di Torino, quanto la più volte menzio- nata sentenza di questa Corte n. 19024 del 2005, sem- brano individuare le norme imperative la cui violazione determina la nullità del contratto essenzialmente in quelle che si riferiscono alla struttura o al contenuto del regolamento negoziale delineato dalle parti. Ma - si obietta - la giurisprudenza ha in passato spesse volte in- dividuato ipotesi di nullità nella violazione di norme che invece riguardano elementi estranei a quel conte- nuto o a quella struttura: per esempio, in caso di man- canza di una prescritta autorizzazione a contrarre o di clausole concepite in modo da consentire l’aggiramento di divieti a contrarre (cfr., tra le altre, Cass. 19 settem- bre 2006, n. 20261; Cass. 10 maggio 2005, n. 9767; Cass. 16 luglio 2003, n. 11131) o di mancanza di neces- sari requisiti soggettivi di uno dei contraenti (cfr., tra le altre, Cass. 3 agosto 0000, x 00000; Cass. 18 luglio
2003, n. 11247; Cass. 5 aprile 2001, n. 5052; Cass. 15
marzo 2001, n, 3753; e Cass. 7 marzo 2001, n. 3272) oppure in caso di contratti le cui clausole siano tali da sottrarre una delle parti agli obblighi di controllo su di essa gravanti (cfr. Cass. 8 luglio 1983, n. 4605), ed inol- tre in caso di circonvenzione d’incapace (cfr. Cass. 23 maggio 2006, n, 12126;; Cass. 27 gennaio 2004, n.
1427; e Cass. 29 ottobre 1994, n. 8948).
Tralasciando la circonvenzione d’incapace, con riferi- mento alla quale occorrerebbe forse rimeditare se ed entro quali limiti l’illiceità penale della condotta basti a giustificare l’ipotizzata nullità del contratto sotto il pro- filo civile, tali esempi (ed altri analoghi che si potrebbe- ro fare) stanno certamente a dimostrare che l’area delle norme inderogabili, la cui violazione può determinare la nullità del contratto in conformità al disposto del- l’art. 1418, comma 1 c.c., è in effetti più ampia di quan- to parrebbe a prima vista suggerire il riferimento al solo contenuto del contratto medesimo. Vi sono ricomprese sicuramente anche le norme che, in assoluto, oppure in presenza o in difetto di determinate condizioni oggetti- ve o soggettive, direttamente o indirettamente, vietano la stipulazione stessa del contratto: come è il caso dei contratti conclusi in assenza di una particolare autoriz- zazione al riguardo richiesta dalle legge, o in mancanza dell’iscrizione di uno dei contraenti in albi o registri cui la legge eventualmente condiziona la loro legittimazio- ne a stipulare quel genere di contratto, e simili. Se il le- gislatore vieta, in determinate circostanze, di stipulare il contratto e, nondimeno, il contratto viene stipulato, è la sua stessa esistenza a porsi in contrasto con la norma imperativa; e non par dubbio che ne discenda la nullità dell’atto per ragioni - se così può dirsi - ancor più radi- cali di quelle dipendenti dalla contrarietà a norma im- perativa del contenuto dell’atto medesimo.
Neppure in tali casi, tuttavia, si tratta di norme di com- portamento afferenti alla concreta modalità delle trat- tative prenegoziali o al modo in cui è stata data di volta in volta attuazione agli obblighi contrattuali gravanti su una delle parti, bensì del fatto che il contratto è stato stipulato in situazioni che lo avrebbero dovuto impedi- re. E conviene anche osservare che, pur quando la nul- lità sia fatta dipendere dalla presenza nel contratto di clausole che consentono o suggeriscono comportamen- ti contrari al precetto di buona fede o ad altri inderoga- bili precetti legali, non è il comportamento in concreto tenuto dalla parte a provocare la nullità del contratto stesso, bensì il tenore della clausola in esso prevista.
1.8. Tanto chiarito, sul piano generale, è tempo di tor- nare alla domanda se, nello specifico settore dell’inter- mediazione finanziaria, sia eventualmente riscontrabile un principio di segno diverso, tale cioè da derogare al criterio di distinzione sopra tracciato tra norme di com- portamento e norme di validità degli atti negoziali e da condurre ad una differente conclusione.
La risposta dev’essere negativa.
In detto settore non è dato assolutamente rinvenire in- dici univoci dell’intenzione del legislatore di trattare sempre e comunque le regole di comportamento, ivi comprese quelle concernenti i doveri d’informazione dell’altro contraente, alla stregua di regole di validità degli atti.
La difesa di parte ricorrente ha inteso trarre argomento dalla previsione di nullità dei contratti di prestazione a distanza dei servizi finanziari, contemplata dall’art. 16 comma 4 d.lgs. 19 agosto 2005, n. 190 per il caso in cui il fornitore ostacoli l’esercizio del diritto di recesso da parte del contraente ovvero non rimborsi le somme da questi eventualmente pagate, oppure violi gli obblighi informativi precontrattuali in modo da alterare signifi- cativamente la rappresentazione delle caratteristiche del servizio. Ma, oltre ad essere di molto successiva ai fatti di causa, detta previsione resta sistematicamente isolata nel nostro ordinamento e presenta evidenti ca- ratteri di specialità, che non consentono di fondare su di essa nessuna affermazione di principio.
Se si ha poi riguardo, in modo particolare, al tenore let- terale delle norme dettate per disciplinare l’attività ed i contratti delle società d’intermediazione mobiliare, si constata immediatamente come il legislatore abbia espressamente ipotizzato alcune ipotesi di nullità, affe- renti alla forma ed al contenuto pattizio dell’atto (art. 8, ult. comma, l. n. 1 del 1991, ed ora all’art. 23 commi
1, 2 e 3 ed art. 24 ult. comma del d.lgs. n. 58 del 1998), nessuna delle quali appare tuttavia riconducibile alla violazione delle regole di comportamento gravanti sul- l’intermediario in tema di informazione del cliente e di divieto di operazioni in conflitto d’interessi o inadegua- te al profilo patrimoniale del cliente medesimo. Situa- zioni, queste ultime, che il legislatore ha invece eviden- temente tenuto in considerazione per i loro eventuali risvolti in tema di responsabilità, laddove ha espressa-
mente posto a carico dell’intermediario l’onere della prova di aver agito con la necessaria diligenza (art. 13 ult. comma l. n. 1 del 1991, ora sostituito dall’art. 23 ult.comma d.lgs. n. 58 del 1998).
Né giova appellarsi alla valenza generale dell’interesse alla correttezza del comportamento degli intermediari finanziari, per i riflessi che ne possono derivare sul buon funzionamento dell’intero mercato.
Alla tutela di siffatto interesse sono preordinati il siste- ma dei controlli facenti capo all’autorità pubblica di vi- gilanza ed il regime delle sanzioni che ad esso accede, ma nulla se ne può dedurre in ordine alla pretesa nullità dei singoli contratti sul piano del diritto civile, tanto più che questa dovrebbe pur sempre logicamente esser concepita in termini di nullità di protezione, ossia di nullità relativa (come infatti indicano le citate disposi- zioni del D.Lgs. n. 58 e del D.Lgs. n. 190, con riguardo ai casi in cui la nullità è effettivamente contemplata), e già questo, in difetto di qualsiasi norma che espressa- mente lo preveda, rende problematico ogni ancoraggio alla figura generale della nullità configurata dall’art. 1418 comma 1 c.c..
È significativo, d’altronde, che al descritto quadro nor- mativo, per lo specifico profilo ora considerato, il legisla- tore non abbia mai avvertito la necessità di apportare modifiche di rilievo da quando fu emanata la l. n. 1 del 1991, nonostante le ripetute rivisitazioni di tale norma- tiva sino al recentissimo d.lgs. 17 settembre 2007, n. 164, che ha recepito la direttiva n. 2004/39/Ce e che del pari si è astenuto dall’estendere l’esplicita previsione di nullità alla violazione delle regole di comportamento contrattuale e precontrattuale di cui si sta discutendo.
1.9. Così stando le cose, la tesi secondo cui il mancato rispetto dei surriferiti doveri comportamentali dell’in- termediario nella fase prenegoziale o in quella attuativa del rapporto sarebbe idoneo a riflettersi sulla validità genetica del contratto stipulato con il cliente, priva com’è di base testuale e di supporti sistematici, potreb- be nondimeno conservare una qualche plausibilità solo ove risultasse l’unica in grado di rispondere all’esigenza
- sicuramente presente nella normativa in questione e coerente con la previsione dell’art. 47 Cost., comma 1 - di incoraggiare il risparmio e garantirne la tutela. Ma è evidente che così non è, perché non può ragionevol- mente sostenersi che la suaccennata esigenza implichi necessariamente la scelta, da parte del legislatore, del mezzo di tutela consistente proprio nel prevedere la nullità dei contratti nelle situazioni in discorso, così tra- volgendo sia il discrimine tra regole di comportamento e regole di validità sia quello tra vizi genetici e vizi fun- zionali del contratto.
Richiamando la distinzione già prima tracciata tra gli obblighi che precedono ed accompagnano la stipulazio- ne del contratto d’intermediazione e quelli che si riferi- scono alla successiva fase esecutiva, può subito rilevarsi come la violazione dei primi (ove non si traduca addirit- tura in situazioni tali da determinare l’annullabilità -
mai comunque la nullità - del contratto per vizi del con- senso) è naturalmente destinata a produrre una respon- sabilità di tipo precontrattuale, da cui ovviamente di- scende l’obbligo per l’intermediario di risarcire gli even- tuali danni. Non osta a ciò l’avvenuta stipulazione del contratto. Infatti, per le ragioni già da tempo poste in lu- ce dalla migliore dottrina e puntualmente riprese dalla citata sentenza di questa corte n. 19024 del 2005 - alla quale si intende su questo punto dare continuità - la vio- lazione dell’obbligo di comportarsi secondo buona fede nello svolgimento delle trattative e nella formazione del contratto assume rilievo non soltanto nel caso di rottura ingiustificata delle trattative, ovvero qualora sia stipula- to un contratto invalido o inefficace, ma anche se il contratto concluso sia valido e tuttavia risulti pregiudi- zievole per la parte rimasta vittima del comportamento scorretto; ed in siffatta ipotesi il risarcimento del danno deve essere commisurato al minor vantaggio, ovvero al maggior aggravio economico prodotto dal comporta- mento tenuto in violazione dell’obbligo di buona fede, salvo che sia dimostrata l’esistenza di ulteriori danni che risultino collegati a detto comportamento da un rappor- to rigorosamente consequenziale e diretto.
La violazione dei doveri dell’intermediario riguardanti invece la fase successiva alla stipulazione del contratto d’intermediazione può assumere i connotati di un vero e proprio inadempimento (o non esatto adempimento) contrattuale: giacché quei doveri, pur essendo di fonte le- gale, derivano da norme inderogabili e sono quindi desti- nati ad integrare a tutti gli effetti il regolamento negozia- le vigente tra le parti. Ne consegue che l’eventuale loro violazione, oltre a generare eventuali obblighi risarcitori in forza dei principi generali sull’inadempimento contrat- tuale, può, ove ricorrano gli estremi di gravità postulati dall’art. 1455 c.c., condurre anche alla risoluzione del contratto d’intermediazione finanziaria in corso.
Si possono ovviamente avere opinioni diverse sul grado di efficacia della tutela in tal modo assicurata dal legi- slatore al risparmio dei cittadini, che negli ultimi anni sempre più ampiamente viene affidato alle cure degli intermediari finanziari. Ma non si può negare che gli strumenti di tutela esistono anche sul piano del diritto civile, essendo poi la loro specifica conformazione giuri- dica compito del medesimo legislatore le cui scelte l’in- terprete non è autorizzato a sovvertire, sicché il ricorso allo strumento di tutela della nullità radicale del con- tratto per violazione di norme di comportamento gra- vanti sull’intermediario nella fase prenegoziale ed in quella esecutiva, in assenza di disposizioni specifiche, di principi generali o di regole sistematiche che lo preve- dano, non è giustificato.
1.10. Da ultimo, va preso in considerazione un ulteriore rilievo, su cui insistono particolarmente i ricorrenti, i quali sostengono che gli obblighi per l’intermediario di non effettuare (oltre che di non consigliare) operazioni inadeguate alla situazione patrimoniale del cliente e di non effettuare operazioni in conflitto di interessi col
cliente medesimo, rispettivamente contemplati dalle lettere f) e g) del citato art. 6, integrano veri e propri do- veri di non fare, la cui violazione si traduce nella stipula- zione di altrettanti contratti vietati da norma imperati- va: il che, per quanto sopra detto, dovrebbe colpire alla radice gli atti vietati, rendendoli illeciti e perciò nulli.
A siffatto rilievo si deve però opporre che, come già in precedenza chiarito, il compimento delle operazioni di cui si tratta, ancorché queste possano a loro volta consi- stere in atti di natura negoziale (ma è significativo che la norma le definisca col generico termine di “operazio- ni”), si pone pur sempre come momento attuativo di obblighi che l’intermediario ha assunto all’atto della sti- pulazione col cliente del “contratto quadro”. Il divieto di compiere operazioni inadeguate o in conflitto d’inte- ressi attiene, perciò, anch’esso - lo si è già notato - alla fase esecutiva di detto contratto, costituendo, al pari del dovere d’informazione, una specificazione del pri- xxxxx dovere di diligenza, correttezza e professionalità nella cura degli interessi del cliente. Il modo stesso in cui la norma è formulata e l’esplicito accostamento dei suaccennati doveri di informazione e di cu-ra dell’inte- resse del cliente, nel compimento delle singole opera- zioni, denota come il legislatore abbia qui sempre volu- to contemplare obblighi di comportamento precontrat- tuali e contrattuali, non già regole di validità del con- tratto (sia esso il contratto d’intermediazione finanzia- ria o i singoli negozi con cui a quello vien data esecuzio- ne); ed è appena il caso di osservare che, sotto tal profi-
lo, è del tutto irrilevante la circostanza che l’operazione compiuta dall’intermediario sia consistita nel procurarsi da terzi i valori o gli strumenti finanziari ordinatigli dal cliente oppure nel fornirli egli stesso, trattandosi di va- rianti esecutive che non incidono sull’obbligo di dili- genza cui l’intermediario è tenuto e che, ai fini del pre- sente discorso, lasciano intatta la natura esecutiva del- l’operazione da lui compiuta.
1.11. In conclusione, va perciò enunciato il principio per cui la violazione dei doveri d’informazione del cliente e di corretta esecuzione delle operazioni che la legge pone a carico dei soggetti autorizzati alla presta- zione dei servizi d’investimento finanziario può dar luo- go a responsabilità precontrattuale, con conseguente obbligo di risarcimento dei danni, ove tali violazioni avvengano nella fase precedente o coincidente con la stipulazione del contratto d’intermediazione destinato a regolare i successivi rapporti tra le parti; può invece dar luogo a responsabilità contrattuale, ed eventualmente condurre alla risoluzione del predetto contratto, ove si tratti di violazioni riguardanti le operazioni d’investi- mento o disinvestimento compiute in esecuzione del contratto d’intermediazione finanziaria in questione. In nessun caso, in difetto di previsione normativa in tal senso, la violazione dei suaccennati doveri di comporta- mento può però determinare la nullità del contratto d’intermediazione, o dei singoli atti negoziali conse- guenti, a norma dell’art. 1418 comma 1 c.c..
…Omissis….
L’INSEGNAMENTO DELLE SEZIONI UNITE SULLA RILEVANZA DELLA DISTINZIONE TRA NORME DI COMPORTAMENTO
E NORME DI VALIDITÀ
di Xxxxxxxx Xxxxxxxxx
Il commento analizza l’importante sentenza delle Sezioni Unite della Corte di cassazione richiaman- do quanto già argomentato dallo stesso autore nel- la nota critica alla ordinanza di rimessione pubbli- cata su questa stessa Rivista. Dopo avere chiarito che le Sezioni Unite hanno escluso l’effettiva esi- stenza del contrasto di giurisprudenza denunciato
sentenze pubblicate entrambe in data 19 dicembre 2007 (le nn. 26724 e 26725/07, identiche per la parte che ri- solve il contrasto giurisprudenziale ad esse rimesso) han- no affrontato la questione oggetto della ordinanza di ri- messione n. 3683 in data 16 febbraio 2007 (1).
Si tratta della importante e nota questione se la violazione degli obblighi gravanti sulle parti nel corso delle trattative contrattuali, ed in specie la violazione
dalla menzionata ordinanza, l’autore isola una se-
rie di passaggi argomentativi contenuti nella deci- sione e, condividendone integralmente il contenu- to, perviene alla conclusione che essa costituisce un raro esempio di rigore giuridico nella valutazione dei rapporti tra singole innovazioni legislative e i principi generali del codice civile.
1. Premessa
Le Sezioni Unite della Corte di cassazione, con due
Nota:
(1) L’ordinanza è pubblicata in questa Rivista, 2007, 5, 631 ss., con mio commento: Regole di comportamento nella trattativa e nullità dei contratti: la criticabile ordinanza di rimessione della questione alle Sezioni Unite. Al con- tenuto di questo commento farò in seguito riferimento al fine di far emergere la differente impostazione, sulla totalità delle questioni affron- tate, della ordinanza e delle attuali decisioni delle Sezioni Unite, che hanno confermato il solo precedente della Corte di Cassazione che si era occupato della problematica e cioè la nota sentenza Xxxx. 29 settem- bre 2005, n. 19024, in questa Rivista, 2006, 5, 669 ss., con commento di Genovesi (Limiti della nullità virtuale e contratti su strumenti finanziari) ed in Danno e resp. 2006, 25 ss., con commento di Roppo e Afferni .
degli specifici obblighi di informazione che la legge po- ne a carico degli intermediari finanziari nei confronti dei propri clienti, determini la nullità dei contratti per violazione di norma imperativa ai sensi dell’art. 1418, comma 1, c.c.. Il contenuto delle due decisioni delle Sezioni Unite e, ancor più, il livello delle argomenta- zioni che sorreggono le relative conclusioni, valgono a collocare le stesse su un piano estremamente elevato nell’ambito di un dibattito giuridico che non ha brillato sempre per rigore e chiarezza nella applicazione di alcu- ni tra i più importanti istituti del diritto civile (2).
Nel dedicare alcune osservazioni pienamente adesi- ve rispetto alle motivazioni che si leggono nella prima delle due decisioni, ora pubblicata, e nel riprendere il contenuto delle argomentazioni critiche svolte in relazio- ne alla ordinanza di rimessione della questione alle Sezio- ni Unite, mi pare utile isolare i più significativi passaggi della decisione, in modo da sottolinearne meglio il signi- ficato, spesso esemplare, che essi propongono.
2. L’inesistenza del contrasto giurisprudenziale denunciato dall’ordinanza di rimessione
«Nel caso in esame non si ravvisa la necessità di com- porre un contrasto giurisprudenziale derivante dalla presenza di precedenti difformi decisioni delle Sezioni semplici sulla questione di diritto appena riferita».
Trattasi della questione (3) sollecitata dal primo motivo di ricorso fatto da alcuni investitori, che aveva- no operato attraverso un istituto di credito quale inter- mediario finanziario e che lamentavano che la Corte d’Xxxxxxx avesse respinto la domanda di nullità dei contratti di investimento, proposta ai sensi dell’art. 1418, comma 1, c.c., con la motivazione che l’ipotizzata violazione delle norme contenute nell’art. 6 della L. 2 gennaio 1991 n. 1, avrebbe potuto determinare una re- sponsabilità risarcitoria o essere causa di risoluzione dei contratti ma non di nullità, ai sensi del citato art. 1418, comma 1, c.c..
Le Sezioni Unite hanno anzitutto premesso che un contrasto di giurisprudenza tra i precedenti della Corte di Cassazione è ravvisabile solo allorché il contrasto ab- bia investito la specifica questione controversa. Nella specie, come chiarito, si trattava di stabilire se la viola- zione dei doveri di informazione previsti a carico degli intermediari finanziari, potesse determinare la nullità dei contratti di investimento stipulati dai clienti trami- te l’intermediario inadempiente.
Sulla questione esisteva un solo precedente specifi- co, costituito dalla nota sentenza 29 settembre 2005, n. 19024, alla quale, e ad altre due decisioni di analogo contenuto, l’ordinanza di rimessione aveva contrappo- sto molteplici sentenze della stessa Cassazione, nessuna delle quali pertinente al tema specifico, ma tutte relati- ve a casi riconosciuti di nullità virtuale di contratti.
La menzionata ordinanza, proveniente dalla stessa Prima Sezione che aveva emesso la pronuncia n. 19024/2005, aveva, in altri termini, costruito un con-
trasto di giurisprudenza in realtà non esistente effettiva- mente, e lo aveva fatto in un modo che mi era parso estremamente criticabile e ciò dal momento che le sen- tenze contrapposte a quella n. 19024/2005, nella quasi totalità, non solo non avevano affrontato la questione specifica oggetto di quest’ultima pronuncia ma, addirit- tura, neppure si erano poste in contrasto con la premes- sa di ordine generale da cui essa era partita, costituita dalla non estensione dell’art. 1418, comma 1, c.c., a di- sciplinare il comportamento tenuto da ciascuna delle parti nel corso della trattativa contrattuale.
Mi era conseguentemente parso che l’ordinanza non avesse sollevato correttamente il contrasto, ai sensi del novellato art. 374 c.p.c., neppure a voler aver ri- guardo ad un significato più ampio di contrasto tra de- cisioni, da intendersi riferito non alla questione specifi- ca ma alla problematica generale nella quale la questio- ne specifica andava a collocarsi: se si voleva presentare correttamente il contrasto di giurisprudenza destinato ad essere risolto dalle Sezioni Unite, si doveva procede- re, a mio avviso, non alla citazione di eterogenei prece- denti in materia di nullità virtuale ma focalizzare la questione con esclusivo riferimento ai precedenti che si
Note:
(2) Poiché la letteratura formatasi sull’argomento è ormai sterminata, ritengo di limitare i riferimenti ad alcuni degli interventi più recenti, dai quali si trae una più completa informazione. In particolare, in questa Ri- vista, (2008, 1, 107 ss ) sono pubblicati il saggio di Albanese, Regole di condotta e regole di validità nell’attività di intermediazione finanziaria: quale tutela per gli investitori delusi?, che approfondisce l’argomento sia con rife- rimento ai profili inerenti al diritto dei mercati finanziari sia nella pro- spettiva della verifica del significato attuale della distinzione tra regole di validità e regole di comportamento; e di Xxxx, La giurisprudenza sulla responsabilità degli intermediari finanziari, che esamina il contenuto dei principali obblighi gravanti sugli intermediari e l’ambito del danno ri- sarcibile. Cfr. altresì il commento di Sangiovanni a Trib. Monza 12 di- cembre 2006 n. 3556, Operazione inadeguata dell’intermediario finanziario tra nullità del contratto e risarcimento del danno alla luce della direttiva Mifid, in I Contratti, 2007, 243 s.s.. Da questi interventi si trae adeguata infor- mazione sulla ampiezza del dibattito dottrinario e sui precedenti giuri- sprudenziali di merito (per i quali cfr. altresì Roppo, La tutela del rispar- miatore fra nullità e risoluzione, in Danno e Resp., 2005, 625 ss.. Cfr. altresì App. Milano 19 dicembre 2006 in Giur. it. 2007, 650 ss.).
(3) L’ordinanza di rimessione, proveniente dalla stessa Prima Sezione al- la quale si deve la sentenza 29 settembre 2005 n. 19024, propone una contrapposizione tra questa sentenza ed altre due pronunce di analogo contenuto (Xxxx. 9 gennaio 2004, n. 111 e Cass. 18 ottobre 1980, n. 5619) e una serie di pronunce della Cassazione, nessuna delle quali rela- tive al tema specifico dei comportamenti degli intermediari finanziari e neppure a quello genericamente riconducibile alla lamentata violazione di norme di comportamento; ma accomunate per il solo fatto di avere valutato l’esistenza di una nullità per contrarietà a norma imperativa con riferimento a casi nei quali l’esistenza di un divieto ovvero di pre- scrizioni relative alla necessità di provvedimenti autorizzativi o di requi- siti soggettivi di iscrizione ad appositi albi, non è accompagnata dalla espressa previsione di nullità. Proprio la eterogeneità di questi preceden- ti rispetto a quelli che hanno escluso la rilevanza invalidante della vio- lazione di norme di comportamento a carico delle parti della trattativa, giustifica la conclusione che nessun contrasto tra le pronunce della Cas- sazione, se si eccettua la chiara predisposizione dell’ordinanza di rimes- sione ad aderire all’orientamento contrario a quello delle sole pronunce in termini, si è sino ad ora verificato. E di ciò le Sezioni Unite hanno dato atto nel riportato passaggio argomentativo.
erano occupati della violazione delle regole di compor- tamento che devono essere osservate da una parte nei confronti dell’altra parte della trattativa: regole che non sono solo quelle di corretta informazione, la cui violazione dà luogo alla responsabilità precontrattuale di cui all’art. 1337 e 1338 c.c., ma sono anche quelle la cui violazione determina l’annullabilità del contratto per violenza morale o per dolo (artt. 1434 s.s., 1439 c.c.) o l’obbligazione risarcitoria conseguente al dolo in- cidente (art. 1440 c.c.) o, ancora, la rescindibilità del contratto per lesione enorme.
Sicché le sentenze che l’ordinanza avrebbe dovuto richiamare al fine di far emergere l’effettiva portata del contrasto dovevano considerarsi, a mio avviso, da un lato, Xxxx. 29 settembre 2005, n. 19024 (e le altre due che l’ordinanza citava come espressione dello stesso orientamento), Cass. 10 dicembre 1986, n. 7322 (in materia di truffa), Cass. 10 agosto 1969, n. 2355 (in
imperativo … questo rilievo, tuttavia, non è da solo suffi- ciente a dimostrare che la violazione di una o più tra dette norme comporta la nullità dei contratti stipulati dall’inter- mediario con il cliente. È ovvio che la loro violazione non può essere, sul piano giuridico, priva di conseguenze ma non è detto che la conseguenza sia necessariamente la nul- lità del contratto».
«Dal fondamentale dovere che grava su ogni contraen- te di comportarsi secondo correttezza e buona fede il codice civile fa(ccia) discendere conseguenze che possono, a deter- minate condizioni, anche riflettersi sulla sopravvivenza del- l’atto (come nel caso dell’annullamento per dolo o violenza, della rescissione per lesione enorme o della risoluzione per inadempimento) e che in ogni caso comportano responsabi- lità risarcitoria (contrattuale o precontrattuale), ma che, per ciò stesso, non sono evidentemente mai considerate tali da determinare la nullità radicale del contratto (semmai even- tualmente annullabile, rescindibile o risolubile)». (5)
materia di estorsione) e quelle tra le sentenze in mate-
xxx di rescissione, che hanno affermato la rescindibilità del contratto usurario (così, Xxxx. 26 gennaio 1980, n. 642); e, dall’altro lato, le sentenze in materia di circon- venzione di incapace, tutte orientate nel senso della nullità dei contratti con cui si è consumato il delitto, e quelle tra le sentenze in materia di contratto usurario, che ne hanno affermato la nullità e non la semplice re- scindibilità (4) (così Cass. 20 novembre 1957, n. 447).
Mi era parso in definitiva che l’ordinanza di remis- sione non avesse sottoposto in modo corretto alle Se- zioni Unite neppure il contrasto giurisprudenziale rela- tivo alle conseguenze della violazione delle regole di condotta cui il contraente è tenuto ad uniformarsi nel corso della trattativa e ciò dal momento che i molti precedenti giurisprudenziali citati in contrapposizione a Cass. n. 19024/2005 non avevano perlopiù alcuna atti- nenza con la distinzione tra norme di comportamento e norme di validità.
Le Sezioni Unite hanno confermato la fondatezza di questi rilievi critici: dopo avere escluso la necessità di comporre un contrasto giurisprudenziale sulla questione specifica, la decisione in commento puntualizza che «nel prosieguo della presente sentenza non ci si soffermerà perciò tanto sull’esame dei singoli precedenti di questa corte in cui l’ordinanza di rimessione ha ravvisato il pre- teso contrasto di giurisprudenza, ma si affronterà diretta- mente la questione controversa, muovendo dall’ultimo precedente in termini già prima ricordato». E ciò fermo restando che l’intera problematica da essa affrontata è stata ritenuta «di massima e particolare importanza, ap- punto perché chiama in causa profili di principio».
3. Le norme di comportamento fondate sulla buona fede e sulla correttezza hanno
carattere imperativo ma la relativa violazione non determina la nullità dei contratti
«Le norme dettate dal citato art. 6 della L. 1/1991 (al pari di quelle che le hanno poi sostituite) hanno carattere
Note:
(4) Con specifico riferimento alla circonvenzione di incapace, il solo fi- lone giurisprudenziale correttamente richiamato dall’ordinanza di rimes- sione alle Sezioni Unite, al fine di contrapporlo alla sentenza 19024/2005, mi è parso quello che ha affermato in varie epoche e a più riprese, la nullità del contratto con cui è stato consumato il reato. Que- sto orientamento, con specifico riguardo a Xxxx. 29 ottobre 1994, n. 8948, in questa Rivista, 1995, 2, 217 ss., è stato oggetto di una mia valu- tazione critica, coerente con quanto esposto più in generale in relazione al tema delle nullità virtuali, in Le cause di nullità, in I contratti in generale, a cura di Xxxx e Bessone, IV, Torino, 1991, 368 e ss.. Le Sezioni Unite, pur senza entrare nel merito dell’argomento, hanno però mostra- to di comprendere la necessità di isolare l’orientamento della Cassazio- ne, che «occorrerebbe forse rimeditare».
(5) Su tutta la problematica della nullità per contrarietà a norma impe- rativa, cfr., tra gli interventi più recenti, Albanese, Violazione di norme imperative e nullità del contratto, Napoli, 2003; spunti anche in Grasso, Il- liceità penale ed invalidità del contratto, Milano, 2002, e in Rabitti, Con- tratto illecito e norma penale, Milano, 2000.
Sulla distinzione tra regole di validità e regole di comportamento cfr. D’Amico, Regole di validità e regole di comportamento nella formazione del contratto, Napoli, 1196; cfr. inoltre Xxxxxxx, commento ad art. 1175 c.c. in Commentario al codice civile, diretto da Xxxxxx, Torino, 1191, 15, che, ricorda testualmente che «appena entrato in vigore il codice civile del 1942, Xxxxxxxxx Xxxxxxxx scriveva: “vi sono altre norme della me- desima efficacia (ossia norme imperative anch’esse), che il codice detta in conformità anche ai principi di ordine pubblico e al buon costume e che hanno qui sempre carattere proibitivo. La violazione di esse impor- ta invalidità. Le principali fra queste norme concernono: … c) il dove- re di osservanza della buona fede (in senso oggettivo) nelle trattative, nella formazione, nell’interpretazione e nell’esecuzione del contratto (artt. 1337, 1366, 1375 e 1460 cc.)”». Il citato autore aggiunge che
«questo spunto non è stato raccolto dalla dottrina successiva e se ne possono spiegare le ragioni. La prima è nota e riguarda l’indifferenza manifestata all’epoca per le clausole generali. La seconda si collega al- l’opinione che - prendendo le mosse dalla distinzione tra regole di vali- dità e regole di comportamento (o di buona fede) - concepiva le due serie di disposizioni in posizione di reciproca e compiuta autonomia, obbedienti a scopi distinti: le prime alla certezza dei traffici, la seconda alla giustizia sostanziale. Perciò le norme di validità riguardano la fatti- specie del negozio, mentre quelle di buona fede vi apportano un tem- peramento, con la conseguenza che la loro violazione dà luogo soltanto al risarcimento del danno. I sistemi adottati nei vigenti ordinamenti per attuare certezza e giustizia possono essere i più svariati: il nostro le- gislatore ha optato per l’accoglimento dei due gruppi di regole, sicché ne consegue che la buona fede non è mai norma che dispone dell’inva- lidità del negozio, (Pietrobon, 1959, 55 ss.)».
I due passaggi argomentativi ora isolati sono stret- tamente connessi e valgono a saldare la problematica generale dei doveri fondati sulle regole della correttezza e buona fede con quella specifica degli obblighi di com- portamento gravanti sugli intermediari finanziari, in re- lazione ai quali le Sezioni Unite escludono anzitutto l’e- sistenza di espresse previsioni di nullità, non avendo il legislatore «espressamente stabilito che il mancato ri- spetto delle citate disposizioni interferisce con la fase genetica del contratto»: non vengono pertanto in con- siderazione fattispecie di nullità testuali, così dette per- ché riconducibili al disposto dell’art. 1418, comma 3,
c.c. («il contratto è altresì nullo negli altri casi stabiliti dalla legge»).
In secondo luogo, la decisione esclude che la viola- zione dei doveri di comportamento dell’intermediario possa originare una nullità riconducibile al secondo comma dell’art. 1418 c.c., che, com’è noto, costituisce il riflesso negativo dei requisiti essenziali del contratto, la cui mancanza ovvero, quanto alla causa o all’oggetto, la cui illiceità determina a sua volta la nullità del con- tratto: la sentenza prende in esame specificamente l’in- fluenza che la violazione dei doveri di comportamento dell’intermediario può avere sulla formazione del con- senso del cliente ed esclude che si possa affermare la mancanza del consenso («appare arduo sostenere che solo per questo il consenso manca del tutto»); potendo- si prospettare al più l’esistenza di vizi del consenso che però determinano non la nullità ma la annullabilità del contratto (6).
Poste queste premesse, le Sezioni Unite enunciano il problema se la nullità possa dipendere dall’applicazio- ne della disposizione dettata dal primo comma del cita- to art. 1418 c.c. e si possa quindi riscontrare una nullità virtuale, così detta non perché espressamente commi- nata dalla legge ma perché ricavabile dalla contrarietà del contratto a norma imperativa; e danno immediato rilievo alle conclusioni cui è pervenuta la sentenza n. 19024/05, e cioè il solo precedente specifico della Cas- sazione, che ha fatto leva sulla riaffermazione della tra- dizionale distinzione tra norme di comportamento dei contraenti e norme di validità del contratto al fine di escludere che l’illegittimità della condotta tenuta dal- l’intermediario possa essere causa di nullità dei contratti stipulati con i clienti, a meno che vi sia una previsione espressa in tal senso.
Le Sezioni Unite condividono senza incertezze l’o- rientamento espresso dal citato precedente e svolgono, in tale prospettiva, un duplice ordine di argomentazio- ni, legato, il primo, alla applicazione dei principi gene- rali del codice civile e diretto, il secondo, allo specifico settore del diritto dei mercati finanziari.
Sotto il primo profilo, si richiamano i principi del codice civile, dai quali emerge che il rilievo generale dei doveri fondati dalle regole della correttezza e della buona fede è costituito dalla responsabilità risarcitoria (contrattuale o precontrattuale) conseguente alla loro
eventuale violazione e, a determinate condizioni, an- che dal venir meno della «sopravvivenza dell’atto» (nei casi di annullamento, rescissione o risoluzione) ma mai
«(dal)la nullità radicale del contratto». E ciò ancorché
«l’obbligo di comportarsi con correttezza e buona fede abbia indiscutibilmente carattere imperativo». Ne deri- va che, per quanto estesa possa essere l’area delle nullità virtuali, la stessa non si presta a ricomprendere la mera violazione degli inderogabili doveri di correttezza e buo- na fede e ciò anche in ragione del fatto che gli stessi so- no tanto inerenti al caso concreto da non poter «assur- xxxx, in via di principio, a requisiti di validità, che la certezza dei rapporti impone di verificare secondo rego- le predefinite». Con questo specifico passaggio argo- mentativo, la Suprema Corte mostra di avere perfetta- mente colto il valore che deve essere attribuito alla cer- tezza dei rapporti giuridici, certezza che risulta inevita- bilmente scardinata dalla proliferazione di ipotesi di nullità dei contratti imponderabili dai terzi.
4. Con la sola eccezione dell’orientamento formatosi in materia di circonvenzione
di incapace, le nullità virtuali riconosciute dalla Cassazione non si estendono alla violazione delle norme di comportamento
«Tralasciando la circonvenzione di incapace, con riferi- mento alla quale occorrerebbe forse rimeditare se e entro a quali limiti la illiceità penale della condotta basti a giustificare l’ipotizzata nullità del contratto sotto il profilo civile … l’area delle norme inderogabili, la cui violazione può determinare la nullità del contratto in conformità al disposto dell’art 1418, comma 1, c.c., è in effetti più ampia di quanto parrebbe a prima vista suggerire il riferimento al solo contenuto del con- tratto medesimo. Vi sono ricomprese sicuramente anche le norme che, in assoluto, oppure in presenza o in difetto di de- terminate condizioni oggettive o soggettive, direttamente o indirettamente, vietano la stipulazione stessa del contratto.
Nota:
(6) Xxx Xxxx. 29 settembre 2005 n. 19024, aveva affermato che «non determina nullità del contratto per difetto di accordo, in forza del com- binato disposto degli artt. 1418 comma 2 e 1325, n. 1, c.c., la mancanza di informazioni che non riguardino direttamente la natura e l’oggetto del contratto, ma solo elementi utili per valutare la convenienza dell’o- perazione». Questa massima, così riprodotta in Danno e resp., 2006 cit., 25, è parsa giustamente criticabile a Roppo e Afferni nel citato com- mento, i quali, a pagina 32, evidenziano testualmente che «letta a con- trariis, determina nullità del contratto per difetto di accordo, in forza del combinato disposto degli artt. 1418, comma 2 e 1325, n. 1, c.c., la man- canza di informazioni che riguardino direttamente la natura e l’oggetto del contratto, e non solo elementi utili per valutare la convenienza del- l’operazione». Conclusione che porterebbe ad affermare che «elemento essenziale del contratto sarebbe non già il mero accordo tra le parti ben- sì il loro accordo informato». Giustamente gli autori, nel respingere una tale prospettiva, si chiedono «chissà, in definitiva, perché - volendo re- spingere, come era assolutamente giusto, la domanda di nullità per mancanza di accordo - la Corte non si è limitata a dire che il difetto di informazione del contraente può giocare sul terreno dell’annullabilità per errore, ma non ha nulla a che fare con la nullità per mancanza del requisito dell’accordo; anziché elucubrare la regola tradotta nella massi- ma n. 2».
Neppure in tali casi, tuttavia, si tratta di norme di compor- tamento afferenti alla concreta modalità delle trattative pre- negoziali o al modo in cui è stata data di volta in volta attua- zione agli obblighi contrattuali gravanti su una delle parti, bensì del fatto che il contratto è stato stipulato in situazioni che lo avrebbero dovuto impedire».
Il brano su riportato è evidentemente diretto a, per così dire, aggiustare il tiro, in relazione al raggio di azio- ne delle nullità virtuali, rispetto a quanto affermato dal- la sentenza n. 19024/2005 in ordine alla estensione del- le stesse nullità. Xx infatti, nel menzionato precedente, si legge che l’art. 1418, comma 1, c.c., riguarderebbe i soli casi di violazione che attengano «ad elementi “in- trinseci” della fattispecie negoziale, che riguardino, cioè, la struttura o il contenuto del contratto (art. 1418, 2 comma, c.c.)». Con questa espressione, che era stata autorevolmente criticata, al punto di scrivere che in ba- se ad essa «per la nullità virtuale dell’art. 1418, comma primo, c.c., non residua alcun margine di autonoma esi- stenza» (7), la sentenza n. 19024/2005 aveva inteso contrapporre ai c.d. elementi “intrinseci” della fattispe- cie, i comportamenti tenuti da ciascuno dei contraenti, e ciò nel senso che gli stessi «rimangono estranei alla fattispecie negoziale e si intende, allora, che la loro eventuale illegittimità, quale che sia la natura delle norme violate, non può dar luogo alla nullità del con- tratto» (8).
Saggiamente, le Sezioni Unite confermano questa conclusione della sentenza 19024/2005, anche se dan- no atto che una serie di nullità virtuali richiamate nel- la ordinanza di rimessione, conseguono alla «violazio- ne di norme che invece riguardano elementi estranei a quel contenuto o a quella struttura»: vi sono infatti i casi dei contratti conclusi in assenza delle necessarie autorizzazioni amministrative (quelle, ad esempio, ri- chieste in passato nella materia valutaria) ovvero in mancanza della iscrizione di uno dei contraenti ad ap- positi albi o registri (9). In questi casi, è la stessa esi- stenza del contratto «a porsi in contrasto con la norma imperativa; e non par dubbio - aggiunge la sentenza - che ne discenda la nullità dell’atto per ragioni - se così può dirsi - ancor più radicali di quelle dipendenti dalla contrarietà a norma imperativa del contenuto dell’atto medesimo».
E, però, le Sezioni Unite hanno cura di sottolinea- re che in nessuno di tali casi è stato dato rilievo alla violazione della norma di comportamento gravante su una delle parti, bensì al fatto «che il contratto è stato stipulato in situazioni che lo avrebbero dovuto impedi- re»; e conclude che, qualora vi siano clausole del con- tratto che autorizzino comportamenti contrari al pre- cetto di buona fede o ad altri inderogabili precetti lega- li, «non è il comportamento in concreto tenuto dalla parte a provocare la nullità del contratto stesso, bensì il tenore della clausola in esso prevista».
La puntualizzazione delle Sezioni Unite pare al tempo stesso importante ed ovvia: non v’è chi non ve-
da la differenza esistente tra il caso del semplice com- portamento tenuto da una parte in violazione della norma imperativa e il caso in cui i contraenti abbiano previsto una clausola del contratto che autorizzi uno di essi a violare la norma imperativa. In questo secondo caso non v’è dubbio che la clausola contrattuale è nulla proprio perché contrasta con la norma imperativa. Nel primo caso, invece, la norma imperativa si applica di- rettamente al comportamento del contraente, senza che vi sia l’esigenza di dichiarare la nullità del contrat- to, che non contiene alcuna previsione ad essa contra- ria. Ma ciò che conta, ai fini della rilevanza della distin- zione tra norme di comportamento e norme di validità, è che il contratto non è inficiato per il solo fatto che il
Note:
(7) Questa conclusione è stata esposta da Xxxxx e Afferni in Danno e resp. cit., 31, i quali aggiungono che, stando al giudizio enunciato nella decisione, il primo comma dell’art. 1418 sarebbe «completamente eroso o schiacciato dalle nullità dei commi due e tre, che finiscono per assor- bire da soli tutto lo spazio della nullità, rendendo il comma primo lette- ra morta». Con la conseguenza che l’interprete si troverebbe di fronte ad un «bel rompicapo»: «come ridimensionare la nullità virtuale entro confini più stretti e capaci di concentrarla su applicazioni non troppo esuberanti, senza però cancellarla del tutto? O all’inverso: come ricono- scerle uno spazio adeguato, evitando però di aprire la strada a suoi usi impropri e smodati?». Il fondo di verità insito nei menzionati interroga- tivi, non toglie, però, che l’affermazione fatta nella sentenza n. 19024/2005, con riferimento alla necessità, ai fini dell’applicazione del- l’art. 1418, comma primo, c.c., che la violazione attenga alla struttura o al contenuto del contratto, lascia comunque un ampio margine di appli- cazione residuale alle nullità virtuali, e ciò dal momento che il contenu- to del contratto è una categoria ordinante che, almeno a livello di utiliz- zazione normativa, non coincide con nessuno dei requisiti di cui all’art. 1325 c.c. e, in specie, con l’oggetto; e, quindi, l’esistenza di cause di nul- lità per contrarietà del contenuto del contratto a norma imperativa, va- le ad assegnare al primo comma dell’art. 1418 c.c., uno spazio ulteriore rispetto alla previsione delle nullità di cui ai commi successivi dello stes- so articolo. È piuttosto vero che la sentenza n. 19024/2005 non aveva alcuna esigenza di definire in positivo i confini delle nullità virtuali, es- sendo sufficiente la puntualizzazione che dal relativo ambito restano fuori, perché estranei all’area della nullità, i comportamenti individual- mente tenuti da ciascuno dei contraenti.
(8) Che sia questo il punto che sorregge la motivazione della sentenza
n. 19024/2005 è stato perfettamente colto dalle Sezioni Unite, che, pur procedendo a integrare la categoria delle nullità virtuali, rispetto a quel- la prospettata nella menzionata sentenza, tengono ferma la conclusione già in essa esposta in ordine alla estraneità dei comportamenti delle par- ti dal giudizio di validità ex art. 1418, comma 1, c.c., e la arricchiscono degli ulteriori importanti argomenti ai quali mi riferisco nei punti suc- cessivi del commento.
(9) Peraltro, in relazione alla mancata iscrizione negli appositi albi, cfr. quanto recentemente da me puntualizzato (in questa Rivista, 2007,5, 628, a commento di Xxxx. 19 febbraio 2007 n. 3740, in ordine alla va- rietà di situazioni, conseguenti anche alle decisioni della Corte di giusti- zia della Unione Europea in materia di contratto di agenzia: «a) vi sono i casi, come quello che emerge dalla disciplina della mediazione, di nul- lità testuali dei contratti stipulati da chi non è abilitato; b) vi sono i casi, come quello che si ricava dalla disciplina degli intermediari finanziari, in cui si è affermata la nullità dei contratti per effetto del divieto ritenu- to implicito nel requisito di necessaria iscrizione per lo svolgimento del- l’attività; c) per le professioni intellettuali protette la Cassazione non si accontenta del requisito abilitante conseguente alla necessità di iscrizio- ne all’albo ma ricava il divieto dall’art. 2231 c.c.; d) infine vi è la situa- zione del tutto peculiare degli agenti, conseguente alla disapplicazione della norma interna da parte della Cassazione».
contraente sia stato inadempiente ad un obbligo legale che gli imponeva di tenere una certa condotta positiva od omissiva nella fase precedente o contestuale alla sti- pulazione (10): le Sezioni Unite confermano quindi
la netta distinzione tra le norme sulla validità, che riguardano la fattispecie del contratto e le norme di comportamento, che sono esterne a detta fattispecie e la cui violazione non è ricompresa nella previsione del- l’art. 1418, primo comma, c.c..
Resta l’anomalia dell’orientamento della Cassazio- ne in materia di circonvenzione di persone incapaci, una anomalia che non è passata inosservata nella deci- sione in commento, che, come emerge dal brano su ri- portato, è oggetto di una auspicabile riserva di rimedita- zione.
5. La tendenza emergente nella moderna legislazione non è sufficiente a sovvertire
la tradizionale distinzione tra norme di validità e norme di comportamento
«L’assunto secondo il quale, nella moderna legislazione (anche per incidenza della normativa europea), la distinzio- ne tra norme di validità e norme di comportamento starebbe tuttavia sbiadendo e sarebbe in atto un fenomeno di trasci- namento del principio di buona fede sul terreno del giudizio di validità dell’atto non è sufficiente a dimostrare il già avve- nuto sradicamento dell’anzidetto principio nel sistema del co- dice civile».
Le puntualizzazioni che seguono alla affermazione ora riportata paiono estremamente importanti e valgo- no quale monito nei confronti dei disinvolti interventi giurisprudenziali che, prendendo spunto da specifiche previsioni legislative, le considerino sufficienti a «sradi- care» principi coerenti con la nostra tradizione.
È opportuno ricordare che l’ordinanza di xxxxxxxxx aveva elencato una serie di indici normativi al fine di affermare «un tendenziale inserimento, in sede norma- tiva, del comportamento contrattuale delle parti tra i requisiti di validità del contratto». Veniva fatta, in par- ticolare, menzione della previsione dell’art. 9 della leg- ge sulla subfornitura (L. 18 giugno 1998, n. 192, che, nel vietare l’abuso di dipendenza economica, prevede testualmente che «il patto attraverso il quale si realizzi l’abuso di dipendenza economica è nullo»; b) della di- sciplina dei contratti a distanza contenuta nel d. lgs. 6 settembre 2005, n. 206, il cui art. 53, terzo comma, sta- bilisce a pena di nullità, che devono essere dichiarati all’inizio della telefonata l’identità del fornitore e lo scopo della telefonata; c) della rilevanza della trattativa specifica al fine di escludere la vessatorietà delle clauso- le inserite nei contratti dei consumatori; d) della previ- sione dell’art. 7 d. lgs. 9 ottobre 2002, n. 231; e) ed infi- ne, della fattispecie relativa all’abuso di posizione domi- nante, di cui all’art. 3 della legge 10 ottobre 1990, n. 287. (11)
Le Sezioni Unite, pur dando atto della possibilità
«che una tendenza evolutiva in tal senso sia effettiva-
mente presente in diversi settori della legislazione spe- ciale», ha cura di sottolineare la necessità di valutare ciascuna delle innovazioni legislative con «molta cau- tela», anche in considerazione del «carattere sempre più frammentario e sempre meno sistematico della mo- derna legislazione»: la cautela è tanto più necessaria al- lorché si intenda «ricavare da singole norme settoriali l’esistenza di nuovi principi per predicarne il valore ge- nerale e per postularne l’applicabilità anche in settori ed in casi diversi da quelli espressamente contemplati da singole e ben determinate disposizioni». L’esistenza di specifiche previsioni che diano rilievo a comporta- menti scorretti di una parte, elevando la relativa proibi- zione al rango di norme di validità dell’atto, vale a col- locarle non nel novero delle nullità virtuali di cui al primo comma dell’art. 1418 c.c., ma nell’ambito delle nullità testuali contemplate nel terzo comma, costi- tuenti,pur sempre, «disposizioni particolari, che, a fron- te della già ricordata impostazione del codice, nulla consente di elevare a principio generale e di farne ap- plicazione in settori nei quali analoghe previsioni non figurano, tanto meno quando - come nel caso in esame
- l’invocata nullità dovrebbe rientrare nella peculiare categoria delle così dette nullità di protezione, ossia nullità di carattere relativo, che già di per sé si pongono come speciali».
Questa parte della motivazione delle Sezioni Unite costituisce un raro ed encomiabile esempio di rigore giuridico, pur nella piena consapevolezza della comples- sità della attuale legislazione.
Nel criticare il metodo con cui l’ordinanza di ri-
Nota:
(10) Cfr., nello stesso senso, Sangiovanni, Operazione inadeguata cit., 248; e Xxxxxxx, Servizi di investimento e violazione delle regole di condotta, in Riv. soc., 2005, 1020 ss..
(11) A proposito del menzionato elenco, avevo osservato, nel commen- to alla ordinanza, che ciascuna delle fattispecie elencate avrebbe merita- to «una analisi ben più diffusa di quella che si legge nell’ordinanza, all’e- sito della quale emergerebbe con tutta probabilità, da un lato, la specifi- cità delle norme (e, per alcune di esse, addirittura la eccezionalità) e, dall’altro, la improprietà dei richiami». Le S.U. non hanno ritenuto di esaminare l’elenco contenuto nella ordinanza di remissione e, quindi, non vi è stata una verifica su quanto da me argomentato con specifico riferimento alla disciplina dei contratti dei consumatori che, come noto, esclude la vessatorietà delle clausole che siano state oggetto di trattativa individuale indipendentemente dal fatto che le parti, professionista e consumatore, che hanno svolto la trattativa, si siano comportate in mo- do corretto o non corretto. Inoltre, avevo osservato che proprio da detta disciplina emerge la chiara finalità conservativa del contratto, tant’è che la nullità relativa della clausola vessatoria non si estende all’intero contratto, la cui validità non è intaccata dalla vessatorietà della singola clausola. Con la conseguenza che, se si fosse seguito sino in fondo il per- corso argomentativo della ordinanza, si sarebbe pervenuti al paradosso che, mentre il contratto col consumatore contenente la clausola vessa- toria resterebbe valido, con la sola eccezione della clausola nulla, invece lo stesso contratto, allorché vi sia stata trattativa individuale con viola- zione delle regole comportamentali da parte del professionista, dovrebbe essere considerato nullo ai sensi dell’art. 1418, comma primo, c.c.! Sta di fatto che le S.U. hanno svolto argomenti che varrebbero anche nella eventualità che tutte le ipotesi elencate nella ordinanza dovessero essere considerate espressive della medesima «tendenza evolutiva».
xxxxxxxx aveva mescolato le disparate previsioni nor- mative riportate in precedenza, al fine di ricavarne il sovvertimento della distinzione tra norme di validità e norme di comportamento, mi era parso di dover sottoli- neare che ben difficilmente il sistema delineato dal co- dice civile avrebbe potuto reggere alla tensione cui sa- rebbe stato sottoposto qualora le S.U. avessero prestato adesione alle conclusioni auspicate nella ordinanza di rimessione.
Si sarebbe appannato il raccordo tra gli artt. 1337 e 1338 c.c., e ciò dal momento che il difetto di infor- mazioni relativo a fatti rilevanti, diversi dalla esistenza di una causa di nullità del contratto, sarebbe divenuto un difetto di informazione avente ad oggetto pur sem- pre l’omessa comunicazione di una causa di nullità (quale sarebbe stata quella conseguente alla violazione della regola comportamentale). Inoltre sarebbe stata difficilmente spiegabile l’obbligazione risarcitoria nel caso di dolo incidente, di cui all’art. 1440 c.c., e ciò dal momento che questa obbligazione presuppone che il contratto sia valido ed efficace. Addirittura la discipli- na del dolo sarebbe divenuta tanto abnorme da non poter essere valutata se non aberrante: i raggiri senza i quali l’altra parte non avrebbe contrattato, avrebbero causato la annullabilità del contratto, ai sensi dell’art. 1339 c.c. e, per contro, i raggiri non determinanti, in- tegrando quantomeno un comportamento posto in es- sere in violazione dei doveri di corretta informazione, avrebbero dato luogo a nullità ai sensi dell’art. 1418 comma primo, c.c. e ciò pur a fronte della chiara for- mula dell’art 1440 c.c. («se i raggiri non sono stati tali da determinare il consenso, il contratto è valido…»). E, peraltro, avevo espresso il timore che le S.U. potes- sero sottovalutare la portata dei richiamati istituti co- dicistici, soffermandosi esclusivamente sulle disposizio- ni normative riguardanti gli intermediari finanziari. Devo, per contro, constatare che il livello delle argo- mentazioni che si leggono nella sentenza in commen- to, ha smentito ogni pur legittima preoccupazione, tanto da collocare le stesse argomentazioni come esem- pio di metodo da seguire ogni qual volta emergano tensioni tra specifiche innovazioni legislative e princi- pi di ordine generale.
6. Nel settore dell’intermediazione finanziaria non sono riscontrabili principi diversi da quelli del codice civile
«In detto settore non è dato assolutamente rinvenire indici univoci dell’intenzione del legislatore di trattare sempre e comunque le regole di comportamento, ivi comprese quelle concernenti i doveri di informazione dell’altro contraente, al- la stregua di regole di validità degli atti».
Non meno interessanti, rispetto alle puntualizza- zioni che le S.U. hanno riferito al sistema codicistico, paiono le specifiche argomentazioni che la sentenza de- dica al diritto dei mercati finanziari.
Viene anzitutto fatta chiarezza sulla distinzione tra
il “contratto quadro” stipulato dall’intermediario con il cliente e le successive operazioni che il primo compie nell’interesse del secondo.
Questi chiarimenti paiono quantomai opportuni sol che si consideri che gli obblighi di comportamento contemplati nell’art. 6 della L. n. 1/1991, e poi nell’art. 21 del d.lgs. n. 58/1998, si collocano in parte nella fase che precede la stipulazione del “contratto quadro” (che la sentenza definisce contratto di intermediazione fi- nanziaria e accosta alla figura del mandato) e in parte nella fase esecutiva di esso: attengono alla fase precon- trattuale l’obbligo di consegna del documento informa- tivo e l’obbligo di informarsi sulla situazione finanziaria del cliente; obbligo che persiste anche dopo la stipula- zione del contratto di intermediazione ed è finalizzato alla sua corretta esecuzione. Così come al medesimo fi- ne sono preordinati gli obblighi di porre il cliente in condizione di valutare la natura, i rischi delle singole operazioni di investimento o di disinvestimento e di fornire ogni altra informazione necessaria a rendere consapevole il cliente della portata e degli effetti delle singole operazioni, nonché quello di comunicare per iscritto l’esistenza di eventuali situazioni di conflitto di interesse.
Sempre alla fase esecutiva del “contratto quadro” attengono i doveri di contenuto negativo posti a carico dell’intermediario: in particolare quelli di non consi- gliare e di non effettuare operazioni non giustificate dalla situazione finanziaria del cliente.
Questi chiarimenti di ordine preliminare sono tan- to più utili sol che si considerino le frequenti sovrappo- sizioni che la giurisprudenza ha fatto tra i problemi che investono il contratto quadro e quelli relativi alle sin- gole operazioni, che possono avere a loro volta natura contrattuale, nei rapporti tra intermediario e cliente, o possono consistere in atti che l’intermediario compie con terzi, e dai quali il cliente resta estraneo.
La questione della rilevanza della violazione delle norme di comportamento, è stata spesso riferita in mo- do equivoco sia ai contratti quadro sia ai singoli con- tratti di investimento.
Per contro, la sentenza in esame trae spunto dalla richiamata distinzione, al fine di enunciare il principio di diritto che emerge dalla massima ufficiale: la viola- zione dei doveri di informazione del cliente e degli altri obblighi inerenti alla fase che precede e che accompa- gna la stipulazione del contratto di intermediazione, origina responsabilità precontrattuale dell’intermedia- rio; possono invece dar luogo a responsabilità contrat- tuale, ed eventualmente condurre alla risoluzione per inadempimento del menzionato contratto quadro, le violazioni riguardanti le singole operazioni di investi- mento o di disinvestimento compiute in (non corretta) esecuzione dello stesso contratto.
In nessun caso, in difetto di specifiche previsioni normative, la violazione dei menzionati doveri di com- portamento può determinare la nullità, ai sensi dell’art.
1418, comma 1, c.c., sia del contratto quadro sia dei singoli atti negoziali conseguenti.
Questo principio di diritto è stato riferito non solo agli obblighi a contenuto positivo ma anche ai doveri di astensione, ai quali i ricorrenti avevano dato partico- lare enfasi, al fine di costruirli quali veri e propri doveri di non fare, la cui violazione si sarebbe tradotta nella stipulazione di contratti vietati da norma imperativa. La constatazione che anche i divieti costituiscono at- tuazione degli obblighi che l’intermediario ha assunto all’atto della stipulazione del contratto quadro con il cliente e sono pur sempre riconducibili alla fase esecuti- va di detto contratto, conferma che il legislatore ha
«qui sempre voluto contemplare obblighi di comporta- mento precontrattuale e contrattuale, non già regole di validità del contratto» essendo del tutto irrilevante che l’operazione compiuta dall’intermediario sia consistita nel procurarsi da terzi i valori o gli strumenti finanziari ordinatigli dal cliente oppure nel fornirli egli stesso,
«trattandosi di varianti esecutive che non incidono sul- l’obbligo di diligenza cui l’intermediario è tenuto e che, ai fini del presente discorso, lasciano intatta la natura esecutiva dell’operazione da lui compiuta».
A queste conclusioni, che si uniformano ai princi- pi di ordine generale ricavabili dal codice, la sentenza perviene dopo avere evidenziato l’inesistenza, nel setto- re dei mercati finanziari, di norme idonee a far emerge- re una linea di tendenza di contenuto opposto rispetto ai menzionati principi.
Avendo la parte ricorrente dato rilievo alla previ- sione dell’art. 16, quarto comma, d.lgs. 19 agosto 2005,
n. 190, (12), le Sezioni Unite, in coerenza con l’invito ad usare «molta cautela nel dedurre da singole norme settoriali l’esistenza di nuovi principi», ritiene «sistema- ticamente isolata» e con «evidenti caratteri di specia- lità» la menzionata disposizione, inidonea pertanto ad elevare la previsione di nullità in essa contenuta in conseguenza della violazione di vari obblighi di com- portamento, a principio del settore del diritto dei mer- cati finanziari.
Ciò tanto più che nessuna delle previsioni di nul- lità contemplate espressamente nella disciplina dell’at- tività della intermediazione mobiliare, appare ricondu- cibile alla medesima ratio del citato art. 16, comma 4, d.lgs. 19 agosto 2005, n. 190 e, per contro, l’impianto complessivo della menzionata normativa di settore è nel senso di ricondurre gli inadempimenti dell’interme- diario finanziario alla duplice categoria della responsa- bilità precontrattuale e contrattuale.
Meritano di essere adeguatamente sottolineate al- tre due puntualizzazioni fatte dalle Sezioni Unite:
la loro conseguente qualificazione in termini di nullità di protezione, sono inevitabilmente legate a specifiche previsioni normative, con la conseguenza che presup- pongono l’esistenza di nullità testuali; ed è significativo, aggiunge la Cassazione, che nonostante la materia sia stata più volte rivisitata dal legislatore, sino alla recente ricezione della direttiva 2004/39/Ce ad opera del d.lgs. 17 settembre 2007, n. 164, il legislatore si è astenuto dalla introduzione di una espressa previsione di nullità in relazione alla violazione delle regole di comporta- mento contrattuale o precontrattuale. Queste argomen- tazioni impongono di escludere il rilievo dato dalla par- te ricorrente alla valenza generale che presenta l’osser- vanza dei doveri degli intermediari finanziari e ciò per i riflessi che il relativo operato ha sul buon funzionamen- to del mercato: l’ordinamento sezionale nel quale si in- serisce l’operato degli intermediari, con i controlli che fanno capo alle autorità di vigilanza e con il regime del- le sanzioni che ad esso accede, vale a dar rilievo all’in- teresse generale sicuramente connesso alla correttezza dei comportamenti degli intermediari, senza che, a tal fine, si possano configurare ipotesi di nullità, che non sarebbero coerenti con la tutela degli interessi generali, proprio perché la nullità «dovrebbe pur sempre logica- mente essere concepita in termini di nullità di protezio- ne, ossia di nullità relativa»;
b) Lo strumento di tutela assicurato dal nostro legi- slatore, sia nella dimensione codicistica sia in quella speciale del diritto dei mercati finanziari, è lo strumento della responsabilità e non quello della nullità radicale del contratto. Di fronte a questa scelta, le Sezioni Unite ribadiscono la necessità di non operare sradicamenti:
«si possono ovviamente avere opinioni diverse sul gra- do di efficacia della tutela in tal modo assicurata dal le- gislatore al risparmio dei cittadini, che negli ultimi anni sempre più ampiamente viene affidato alle cure degli intermediari finanziari. Ma non si può negare che gli strumenti di tutela esistono anche sul piano del diritto civile, essendo poi la loro specifica conformazione giuri- dica compito del medesimo legislatore la cui scelta l’in- terprete non è autorizzato a sovvertire …».
7. La conferma delle conclusioni della sentenza 19024/2005
anche con riferimento alla estensione della responsabilità precontrattuale
«La violazione dell’obbligo di comportasi secondo buo- na fede nello svolgimento delle trattative e nella formazione del contratto assume rilievo non soltanto nel caso di rottura ingiustificata delle trattative, ovvero qualora si stipulato un
a) in primo luogo la difficoltà di coniugare e coor-
dinare positivamente la disciplina delle nullità conte- nuta sia nel d.lgs. n. 58/1998 sia nel d.lgs. n. 190/2005 con la «figura generale della nullità configurata dal pri- mo comma dell’art. 1418 c.c.». Le fattispecie di nullità relativa contemplate nei menzionati testi normativi, e
Nota:
(12) «Il contratto è nullo, nel caso in cui il fornitore ostacola l’esercizio del diritto di recesso da parte del contraente ovvero non rimborsa le somme da questi eventualmente pagate, ovvero viola gli obblighi di informativa precontrattuale in modo da alterare in modo significativo la rappresentazione delle sue caratteristiche».
contratto invalido o inefficace, ma anche se il contratto con- cluso sia valido e tuttavia risulti pregiudizievole per la parte rimasta vittima del comportamento scorretto; ed in siffatta ipotesi, il risarcimento del danno deve essere commisurato al minor vantaggio, ovvero al maggior aggravio economico prodotto dal comportamento tenuto in violazione dell’obbligo
c.c. e comporta l’obbligo di risarcimento del danno da liquidarsi secondo i criteri già indicati nella sentenza n. 19024/2005, integralmente richiamati dalle Sezioni Unite (13).
di buona fede, salvo che sia dimostrata l’esistenza di ulteriori
danni che risultino collegati a detto comportamento da un rapporto rigorosamente consequenziale e diretto».
Nell’enunciare questo principio, le Sezioni Unite dichiarano espressamente di voler confermare il proprio precedente costituito dalla sentenza n. 19024/2005 «al- la quale si intende su questo punto dare continuità» e ciò «per le ragioni già da tempo poste in luce dalla mi- gliore dottrina».
Resta così definitivamente confermato che la fatti- specie del cd. recesso ingiustificato dalla trattativa non esaurisce affatto l’area della responsabilità a carico della parte della trattativa che nel corso di essa violi le regole della buona fede.
Accanto al caso in cui la violazione di dette regole sia consistita nella interruzione della trattativa, vi è an- che quello di avvenuta conclusione di un contratto va- lido ma pregiudizievole per la parte che ha sofferto il comportamento scorretto: la fattispecie di responsabi- lità precontrattuale che si verifica in tale eventualità, si salda con quella del dolo incidente di cui all’art. 1440
Nota:
(13) Sulla problematica relativa ai rapporti tra responsabilità precon- trattuale dell’intermediario e sua responsabilità per violazione degli obblighi di informazione nella fase successiva alla stipulazione del contratto quadro, cfr. Xxxxxxx, Violazione dei doveri di informazione da parte degli intermediari finanziari tra culpa in contrahendo e responsabilità professionale, in Contratto e impresa, 2007, 982 ss.. La sentenza delle Sezioni Unite, contiene una ulteriore parte volta ad esaminare i moti- vi di ricorso che hanno investito specificamente il rigetto delle do- mande risarcitorie. Questa parte non pare particolarmente rilevante se si eccettua la conferma che gli inadempimenti dell’intermediario ai propri doveri, nella fase successiva alla stipulazione del contratto qua- dro, originano responsabilità contrattuale il cui risarcimento è svinco- lato dal limite dell’interesse negativo («neppure è poi esatto, con rife- rimento alla seconda ed autonoma ratio decidendi formulata a questo riguardo dalla corte d’appello, che quel danno si identifichi con il me- ro interesse negativo da responsabilità precontrattuale (di cui non è stata fornita la prova). Non è infatti precontrattuale la responsabilità in cui incorre l’intermediario che compia operazioni in conflitto d’in- teresse, quando dovrebbe astenersene, ma si tratta invece - come già dinanzi chiarito - di una vera e propria responsabilità da non corretto adempimento di obblighi legali facenti parte integrante del rapporto contrattuale di intermediazione finanziaria in essere con il cliente: quindi di una responsabilità contrattuale, con riferimento alla quale il richiamo alla nozione di interesse negativo appare fuor di luogo».)