Relazione di Carmen La Macchia
25 giugno 2019
Convegno promosso dalla FISAC-CGIL su
Rappresentatività sindacale e contratto applicabile. Il caso dell’appalto assicurativo
Relazione di Xxxxxx Xx Xxxxxxx
Il principio di rappresentatività nell’individuazione del contratto applicabile.
Sommario: 1.Posizione del problema. – 2. 0.Xx contratto applicabile: una breve sintesi storico giuridica - 2.1 In ricordo del valore dell’iscrizione.- 2.2. La rappresentatività presunta. - 2.3. Le forme organizzative eteronome della rappresentanza. - 2.4 La sciagurata riforma dell’art.19 st.- 2.5 La rappresentatività sindacale comparata. Dal contratto collettivo rappresentativo ai soggetti sindacali rappresentativi. - 2.6 Le norme di disciplina dell’efficacia generale. - 3. Il caos nella selezione dei soggetti sindacali rappresentativi si riflette negativamente sul contratto individuale di lavoro- - 0.Xx tutela della libertà contrattuale del lavoratore.- 5. Il legittimo interesse sindacale ignorato. – 6.Conclusioni. Una ipotesi di lavoro
1.Posizione del problema
L’individuazione del contratto collettivo applicabile dal datore di lavoro privato è operazione non facile.
L’autoproduzione normativa delle parti sociali, cioè il contratto collettivo, come libera espressione dell’autonomia collettiva non è senza limiti.
Il contratto collettivo che, come recitano i manuali di diritto sindacale agisce come fonte eteronoma sulla disciplina del contratto individuale di lavoro, è composto da molti istituti (retribuzione, orario di lavoro, condizioni di lavoro), i cui contenuti sono decisi più o meno rigidamente dalla legge.
Mentre le norme negoziali hanno efficacia tra le parti sociali stipulanti; le norme legali hanno una genetica vocazione alla universalità.
In caso di pluralità di contratti collettivi la legge, dovendo assicurare uniforme ed eguale trattamento a tutti i destinatari, non può esimersi dal dettare criteri selettivi per l’individuazione del contratto collettivo, a cui affidare i compiti di integrazione, deroga, modifica della norma legale.
La legge, difatti, attribuisce al contratto collettivo “selezionato”, la qualità di parametro di riferimento per la definizione della retribuzione imponibile per il calcolo dei contributi previdenziali
ed assistenziali o anche per la disciplina applicabile nelle materie delegate dal legislatore alla contrattazione collettiva (contratto a termine, orario di lavoro, mansioni..).
Nel corso della trattazione l’espressione “contratto applicabile” equivale a “contratto parametro” nel significato sopra descritto.
Le formule legali di selezione dei soggetti collettivi sembrano, oggi, non riuscire più a svolgere la loro funzione.
Prima di affrontare il tema occorre ricordare che nel diritto sindacale le espressioni rappresentanza e rappresentatività hanno un significato polivalente. Per esigenze di chiarezza si può affermare che la rappresentanza, in senso tecnico, spiega l’efficacia del contratto collettivo di diritto privato nei riguardi degli aderenti alle associazioni stipulanti, in virtù del rapporto rappresentativo che qualifica il vincolo di associativo che si realizza con l’iscrizione; mentre la rappresentatività è espressione di fenomeni nei quali l’organizzazione sindacale esercita, a vario titolo, una funzione di tutela di interessi, cosiddetta rappresentanza di interessi, della generalità dei lavoratori o della generalità dei dipendenti di una categoria.
Questo scritto tratta della relazione tra contratto applicabile e rappresentatività sindacale, cioè delle ipotesi in cui, l’azione di tutela dei sindacati ed il contratto collettivo, sono autorizzati dal legislatore, alle condizioni da questo dettate e a tutela di interessi pubblici, ad estendere i contenuti negoziali anche ai non iscritti alle organizzazioni sindacali stipulanti.
In caso di pluralità di contratti collettivi che insistono nel medesimo settore, l’individuazione del contratto applicabile è un’attività complessa, giacchè presuppone la selezione del contratto collettivo a cui attribuire la leadership . A questo fine il legislatore ha adottato varie formule di selezione dei soggetti sindacali, tutte condizionate dal contesto storico politico nel quale hanno avuto origine e giustificazione. Proprio la storicità delle formule è una delle cause della loro instabilità ed inidoneità a costituirsi come valido strumento nella concreta individuazione del contratto applicabile.
Ai giorni nostri le formule selettive introdotte nel corso del tempo dal legislatore, come si vedrà, si sono trasformate in fattori di iniquità sociale e di alterazione del profilo costituzionale della funzione delle organizzazioni sindacali nell’ordinamento.
0.Xx contratto applicabile: una breve sintesi storico giuridica
Per sommi capi è utile una brevissima ricostruzione dell’evoluzione storica della questione relativa alla selezione dei contratti collettivi, a cui attribuire la qualità di “rappresentativi” e che trae origine dalla mancata attuazione dell’art.39 cost.
Invero, nell’art.39 cost il contratto applicabile ha una disciplina semplice. Il principio di libertà sindacale (art.39 cost.c.1) riconosce ai soggetti collettivi libertà di forma nella tutela sindacale ed esclude l’intervento dello Stato nella dinamica delle relazioni sindacali. La contrattazione collettiva è, dunque, libera e le parti si riconoscono reciprocamente la qualità di agenti negoziali, il contratto tra loro sottoscritto è valido tra le parti stipulanti e i loro iscritti.
Se le parti sindacali desiderano estendere il contratto collettivo oltre il ristretto ambito degli iscritti e fino alla generalità dei dipendenti devono sottoporsi alla procedura prevista dal comma 4 dell’art.39 cost. Devono, quindi, registrarsi e misurarsi. L’unità di misurazione è l’iscrizione. Il tavolo negoziale per la definizione del CCNL sarà, dunque, composto da un numero di delegati per ciascuna organizzazione sindacale in proporzione degli iscritti. Solo il contratto collettivo che riuscirà ad
acquisire la maggioranza dei consensi dei delegati sindacali, potrà acquisire l’efficacia “obbligatoria per tutti gli appartenenti” alla categoria alla quale il contratto si riferisce.
Quindi nella Costituzione l’oggetto della disciplina non è il soggetto sindacale bensì il contratto collettivo “erga omnes”. Insomma, la costituzione non conosce la figura del “sindacato più rappresentativo”.
2.1 In ricordo del valore dell’iscrizione.
Meritano di essere ricordati i motivi per i quali nella Costituzione la produzione normativa voluta dagli iscritti alle organizzazioni sindacali, il contratto collettivo obbligatorio, costituisca un vincolo anche per i non iscritti (art.39 comma 4 ).
La l.n.563/1926 attribuiva alle associazioni fasciste la rappresentanza legale di tutti i datori di lavoro e i lavoratori iscritti e non iscritti, prevedeva un contributo obbligatorio e consegnava solo alle associazioni fasciste il potere esclusivo di designazione dei rappresentati della categoria negli organismi pubblici. In sostanza una rappresentanza senza rappresentati. La rappresentanza, difatti, in senso tecnico, è l’espressione della volontà di un soggetto di delegare ad un altro soggetto la cura dei propri interessi. La rappresentanza delle associazione fasciste derivava la propria legittimazione dall’ordinamento corporativo non dalla libera volontà dei lavoratori manifestata nell’iscrizione.
Nell’art.39 cost. la rappresentanza è libera e volontaria in tutte le sue forme, come germinata dalla storia, è un strumento tecnico che consente ai lavoratori di procedere alla formazione della volontà collettiva e, dunque, di agire unitariamente.
I sindacati registrati ammessi al tavolo della negoziazione erga omnes non assumono la qualità di rappresentativi. E’ la produzione normativa collettiva che, esaurita la procedura descritta nel comma 4, consente al contratto collettivo di acquisire efficacia generale.
Nell’art.39 la rappresentanza è anche esperienza e perizia delle problematiche del settore (la categoria) in cui il contratto “erga omnes” si applica. Non è contemplato che una organizzazione sindacale possa passare dalla rappresentanza dei lavoratori dell’artigianato alla rappresentanza dei lavoratori delle agenzie assicurative nello spazio di un mattino, come è avvenuto.
La giustificazione di una tutela così ampia è contenuta nell’art.2 cost che è norma di protezione fondamentale dell’individuo, anche con riguardo alle “formazioni sociali ove si svolge la sua personalità” .
In questa cornice va collocato la posizione di particolare privilegio che il comma 4 accorda all’iscritto, o, più correttamente, alla volontà di una minoranza di lavoratori, gli iscritti, sulla totalità dei lavoratori appartenenti ad una categoria. Invero, solo la partecipazione, il confronto con gli altri lavoratori, la riflessione sulla propria condizione di subordinazione in una sede organizzata in strutture stabili, competenze e procedure decisionali democratiche, consente la realizzazione del processo di auto-produzione delle clausole collettive. L’art.39 cost, dunque, valorizza il coraggio, l’abnegazione, la crescita culturale di coloro, tra i lavoratori, che si organizzano per l’affermazione dei valori di solidarietà politica, economica e sociale. L’iscrizione ad una organizzazione sindacale è l’espressione di questa scelta.
2.2. La rappresentatività presunta
Come è noto l’art.39 c.4, cioè, la procedura per la definizione del contratto collettivo nazionale con efficacia obbligatoria estesa a tutti i lavoratori di una categoria, non ha trovato attuazione ed il sistema di selezione del contratto applicabile ha assunto subito complessità.
Nel diritto sindacale vigente, i contratti collettivi “liberi”1 sono disciplinati dal diritto comune, come qualsiasi contratto tra privati, e, dunque, hanno efficacia solo nei confronti dei lavoratori e dei datori di lavoro iscritti alle associazioni sindacali stipulanti.
Accantonato il comma 4 dell’art.39 cost la storia della rappresentatività sindacale, si muove lungo due esperienze parallele che, in alcuni periodi storici si incontrano, quando la congiuntura politica lo consente: la rappresentanza per l’esercizio della funzione contrattuale normativa di fatto e la rappresentanza degli interessi funzionale all’esercizio di pubbliche funzionali.
Le tre grandi confederazioni sindacali CGIL,CISL,UIL almeno fino agli anni’80, impongono una estensione del contratto collettivo di fatto generalizzata, in ragione della loro rappresentatività “presunta” e storicamente nota. L’ordinamento statuale , di contro, a tutela di interessi pubblici, introduce nella legislazione ordinaria formule di selezione delle organizzazioni sindacali. Si assiste, così, ad una codificazione di formule eterogenee e polivalenti, funzionali alla selezione dei soggetti sindacali per scopi di interesse pubblico e con finalità le più diverse.
Fino agli anni ’80, dunque, periodo che, in parte, coincide con la durata dell’esperienza unitaria2 delle Confederazioni sindacali storiche, il legislatore soddisfa i suoi bisogni di selezione della rappresentatività, utilizzando in serenità le formule : confederazioni generali più rappresentative o organizzazioni sindacali più rappresentative a livello nazionale.
Nota è la formula originaria dell’art.19 st. per la costituzione delle RSA3.
La cosiddetta rappresentatività “presunta”, come dato storicamente realizzato, costituisce un riferimento fermo e la misurazione della rappresentatività non è più avvertita come una questione a cui dare soluzione urgente.
Peraltro, in questa fase storica, l’introduzione di formule funzionali ad interessi pubblici non si riflette sulla disciplina del rapporto individuale di lavoro, non altera il rapporto tra iscritto e non iscritti e il contratto collettivo resta governato dal diritto comune dei contratti. L’attribuzione per via legislativa della qualità di sindacato rappresentativo è preordinata e limitata alla tutela di “finalità di pubblico interesse”. (Cost n.133/96)
2.3. Le forme organizzative eteronome della rappresentanza
Un primo cambiamento significativo, che sposta l’attenzione dall’esperienza storica ed introduce norme legali descrittive di forme organizzative, ai fini di selezione dei soggetti rappresentativi, interviene già verso la fine degli anni ’80. L’esempio più significativo è la disciplina del CNEL.
1 Sono definiti “liberi” i contratti collettivi che, non avendo pretese di estensione dei contenuti negoziali oltre la sfera degli iscritti, non sono tenuti ad esperire la procedura di cui all’art.39 c.4 cost
2 L’esperienza della Federazione unitaria CGIL,CISL,UIL nata nel 1972 si concluse ufficialmente nel 1984 a seguito del contrasto che oppose la CGIL alla CISL e UIL sulla materia del patto anti-inflazione del 14 febbraio 1984. Già a partire dal 1975, comunque, il dialogo tra le confederazioni era diventato difficile
3 Art.19 l.n.300/1970 testo originario “Rappresentanze sindacali aziendali possono essere costituite ad iniziativa dei lavoratori in ogni unita' produttiva, nell'ambito: a) delle associazioni aderenti alle confederazioni maggiormente rappresentative sul piano nazionale”
Nella versione originaria la legge di disciplina del CNEL, l.n.33/1957, dispone che “fino all'entrata in vigore della legge per l'attuazione dell'art. 39 della Costituzione, la designazione dei membri …..e' richiesta---alle esistenti organizzazioni sindacali in misura che tenga conto della loro importanza”. Nella legge di riforma del XXXX x. 000/ 0000, xxxxx xxxx della l.n.902/1977 sulla “Attribuzione dei patrimoni residui delle disciolte organizzazioni sindacali fasciste”, al criterio selettivo della consistenza numerica si aggiungono altri criteri di tipo organizzativo e ricognitivo dell’effettivo svolgimento dell’attività sindacale: l'ampiezza e la diffusione delle strutture organizzative; la partecipazione effettiva alla formazione e alla stipulazione dei contratti o accordi collettivi nazionali di lavoro; la composizione delle controversie individuali e collettive di lavoro.
La giurisprudenza in cerca di certezze sulla nozione di rappresentatività, adotta subito le nuove formule anche se sottolinea, per evitare il contrasto con l’art.39 che si tratta di criteri non finalizzati alla stipulazione di contratti collettivi obbligatori erga omnes, bensì di criteri adottati per finalità di pubblico interesse.
E’ la contrattazione nel pubblico impiego che fa da apripista a criteri di selezione delle organizzazioni sindacali orientate alla definizione del contratto collettivo applicabile con efficacia generale. Il DPR 395/1988 Norme risultanti dalla disciplina prevista dall'accordo intercompartimentale, di cui all'art. 12 della legge-quadro sul pubblico impiego 29 marzo 1983 n.93, al criterio selettivo associativo (gli iscritti), aggiunge il criterio elettivo (il numero degli eletti), la diffusione e consistenza delle strutture organizzative negli ambiti categoriali e territoriali di ciascun comparto.
I criteri selettivi sono accompagnati dalla possibilità, per l’Amministrazione di un apprezzamento discrezionale dei soggetti a cui conferire la patente di agente negoziale rappresentativo. Di questo potere discrezionale l’Amministrazione farà ampio ricorso. La lista dei sindacati rappresentativi diventerà cosi lunga che il Ministro del lavoro sarà costretto nel 1988 ad intervenire introducendo per le organizzazioni sindacali una soglia di accesso alle trattative, misurata sul numero degli iscritti.
2.4 La sciagurata riforma dell’art.19 st.
Per un breve spazio di tempo, il Protocollo del luglio ’93 sembra avviare le relazioni industriali verso percorsi di razionalità: l’istituzionalizzazione della tecnica della concertazione, il riordino del sistema contrattuale e della rappresentanza nei luoghi di lavoro. La costituzione delle RSU nei luoghi di lavoro, apre ad una rappresentanza unitaria, a doppio canale: associativo ed elettivo, finalizzata ad intercettare la più ampia partecipazione dei lavoratori.
Le regole stabilite dal Protocollo del luglio ’93 costituiscono le coordinate essenziali dell’esperienza sindacale più genuina e costruttiva e sono ancora, ad oggi, seguite con convinzione dalle organizzazioni sindacali storiche. Sul piano politico generale la concertazione del ’93 fu una breve parentesi virtuosa, subito travolta da una stagione di interventi legislativi che tracceranno una strada a senso unico verso la destrutturazione della contrattazione collettiva e della rappresentanza sindacale.
La sciagurata abrogazione della parte più significativa dell’art.19St., quella che ancorava la rappresentanza aziendale alla solidità organizzativa delle confederazioni maggiormente rappresentative sul piano nazionale, apre al processo di aziendalizzazione della rappresentanza.
Cancellato ogni riferimento alla rappresentanza storica delle “confederazioni maggiormente rappresentative sul piano nazionale”, e alle strutture sindacali di dimensione nazionale o almeno provinciale4, la rappresentanza nei luoghi di lavoro è consegnata ad un parametro, la sottoscrizione del contratto collettivo applicato in azienda, che nulla racconta in ordine ai soggetti sindacali stipulanti: quale sia il numero degli iscritti, la diffusione e consistenza delle strutture organizzative negli ambiti categoriali e territoriali, il numero dei voti raccolti in consultazioni elettorali… E’ sufficiente il gradimento datoriale manifestato nella conclusione di un qualsiasi contratto collettivo per costituire la RSA.
Lo scollamento tra il profilo costituzionale della funzione delle organizzazioni sindacale nell’ordinamento e quello disciplinato nella legislazione è dichiarato dalla Corte costituzionale (sentenza n.231/2013 contenzioso FIAT-FIOM) che invoca, con fermezza, un intervento legislativo di razionalizzazione della rappresentanza sindacale, in sintonia con i principi fissati dall’art.39 cost.
2.5 La rappresentatività sindacale comparata. Dal contratto collettivo rappresentativo ai soggetti sindacali rappresentativi.
Nei successivi anni esordisce, iscritta nell’art.2, comma 25 della l.n.549/1995, di individuazione dei minimi imponibili per il calcolo dei contributi previdenziali, una formula che avrà un successo immeritato. Dovrebbe avere una funzione strumentale per individuare il contratto leader nella comparazione tra una pluralità di contratti collettivi. Come afferma, difatti, con rigore da Maestro, Xxxxxxx X’Xxxxxx, a differenza della formula “contratti collettivi, stipulati dalle organizzazioni sindacali piu' rappresentative su base nazionale”, utilizzata, ai fini della determinazione della retribuzione imponibile dall’art.1 L.338 1989, la formula “contratti collettivi stipulati dalle organizzazioni sindacali dei lavoratori e dei datori di lavoro comparativamente più rappresentative nella categoria”, (da qui in poi rappresentatività comparativa) di cui all’art.2, comma 25 della l.n.549/1995, si aggiunge alla prima ed ha “un senso solo di fronte ad un (potenziale o attuale) concorso-conflitto tra contratti collettivi applicabili in un medesimo ambito”5.
Per vero, ancora in questa fase storica, la formula della rappresentatività comparativa non qualifica la rappresentatività dei soggetti, bensì si limita ad indicare un parametro, il contratto collettivo leader, e a dare rilevanza alla qualità del contratto collettivo, come espressione della più larga volontà degli iscritti alle organizzazioni sindacali. Tuttavia, si tratta di una formula subito contestata dalla dottrina e dalla giurisprudenza, giacché priva di una definizione legislativa ed ambigua, anche sotto il profilo dell’oggetto della comparazione: contratti collettivi o sindacati?.
L’inizio del caos nel significato della formula della rappresentatività comparativa è segnato dalla legge delega 30/2003 ("Delega al Governo in materia di occupazione e mercato del lavoro") , la riforma del lavoro varata dal secondo Governo Xxxxxxxxxx, che eleva l’indefinita formula “associazioni dei prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative” a filtro selettivo non più del contratto collettivo applicabile, bensì dei soggetti sindacali rappresentativi. Emblematica è la definizione degli "enti bilaterali": organismi costituiti a iniziativa di una o piu' associazioni dei datori e dei
4 Il nuovo art.19 St. modificato all’esito del referendum del 1995 prevede che le RSA possano essere costituite ad iniziativa dei lavoratori, nell'ambito “delle associazioni sindacali, che siano firmatarie di contratti collettivi di lavoro applicati nell'unita' produttiva”. E’ cancellato, dunque, anche la parte della lett.b della versione originaria dell’art.19 st. che in alternativa alla confederalià (lett.a) richiedeva, per la costituzione delle RSA almeno “associazioni sindacali firmatarie di contratti collettivi nazionali o provinciali”
5 M.D’Antona, Il quarto comma dell’art.39 della Costituzione, oggi in Giornale di diritto del lavoro e di relazioni industriali, 1998 p.410.
prestatori di lavoro comparativamente piu' rappresentative, quali sedi privilegiate per la regolazione del mercato del lavoro”.
Questa sorta di snaturamento della formula originaria ha effetti devastanti sulla dinamica sindacale e sulla disciplina dei rapporti di lavoro. Intanto agevola i contratti separati che, infatti, saranno la cifra del periodo immediatamente successivo al 2003. Significativa a questo proposito è la scelta del legislatore di utilizzare la preposizione semplice “da ( in luogo della preposizione articolata originaria dalle) associazioni dei datori di lavoro e dei prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative a livello nazionale o territoriale.
Pasticcia con la preposizione semplice “da” anche il Governo Xxxxx che, ad esempio, nel d.lgs n.81/2015, a proposito delle collaborazioni organizzate dal committente; prevede che “le collaborazioni per le quali gli accordi collettivi nazionali stipulati da associazioni sindacali comparativamente piu' rappresentative sul piano nazionale prevedono discipline specifiche riguardanti il trattamento economico e normativo, in ragione delle particolari esigenze produttive ed organizzative del relativo settore”.
Un freno a questa deriva, forse, nel Codice degli appalti (d.lgs n.50/2016) che fa chiaramente riferimento in più norme “alla contrattazione collettiva nazionale tra le organizzazioni sindacali e le organizzazioni dei datori di lavoro comparativamente piu' rappresentativi” (art.23 c.16)
La formula della rappresentanza comparativa riferita non più al contratto collettivo, bensì ai soggetti consente, in virtù anche della riforma dell’art.19 St., ad organizzazioni sindacali minoritarie, prive di radicamento esterno e spesso anche interno ai luoghi di lavoro, e dei requisiti previsti dall’art.39 cost , di dettare la disciplina del rapporto individuale del lavoro per tutti gli istituti per i quali la legge prevede un rinvio alla contrattazione collettiva.
L’intercambiabilità delle competenze tra i diversi livelli della contrattazione collettiva prevista dalla legge consente a tutti gli organismi, quale che sia la loro dimensione, di partecipare dell’azione negoziale con i medesimi poteri, con effetti importanti di destabilizzazione del sistema delle tutele riconosciute ai lavoratori subordinati.
Profetico è il pensiero di D’Xxxxxx che, già nel 1998, critica con fermezza l’applicazione del criterio selettivo della rappresentatività comparativa, riferita non a coalizioni contrattuali a confronto, bensì in ragione delle singole organizzazioni sindacali. Così applicato il criterio “porta al risultato paradossale di selezionare o solo il sindacato più grande di tutti ovvero tutti i sindacati meno il più piccolo”. “Viceversa, riferito a coalizione contrattuali a confronto, esso ha l’effetto significativo di riservare il riconoscimento legale al contratto sottoscritto dalla coalizione comparativamente più rappresentativa nella categoria e dunque presumibilmente capace di realizzare assetti degli interessi più efficienti, ampi e stabili”6
Per spiegare meglio gli effetti distorsivi della applicazione della formula della rappresentatività comparativa, riferita ai soggetti collettivi, è utile richiamare una recente pronuncia del Tribunale del lavoro di Pavia (Trib Pavia 238/2017, 26/06/2019). Dopo aver affermato che la valutazione della maggiore o minore rappresentatività sia da correlare “non al contratto collettivo ma alle XX.XX. che lo hanno stipulato”, il Tribunale sostiene che spetti “agli ispettori dimostrare la maggiore rappresentatività delle organizzazioni sindacali stipulanti il contratto collettivo, non essendo la maggiore rappresentatività un fatto notorio ex art.115 c.p.c. e trattandosi di un dato che può anche variare nel corso del tempo”. La prova che l’organizzazione sindacale (nella specie la Confsal) debba
6 M.D’Xxxxxx, cit. p.410
essere annoverata tra le organizzazioni sindacali “comparativamente più rappresentative sul piano nazionale”, ad avviso, del medesimo Tribunale, è data dal decreto del Ministero del lavoro (decreto n.14280 ter del 4 luglio 2014 ) che iscrive la Confsal nell’elenco delle organizzazioni sindacali che “risultano comparativamente più rappresentative sul piano nazionale”.
Alla dissoluzione del contratto applicabile “rappresentativo” come iscritto nell’art.39 c.4 concorrono anche leggi molto importanti per la tutela dei diritti costituzionali. Nella legge
l.n.146/90, come modificata dalla l.n.83/2000 sull’esercizio del diritto di sciopero nei servizi pubblici essenziali, ai soggetti sindacali che dettano la disciplina limitativa dello sciopero non sono imposti requisiti di rappresentatività. Non importa quali soggetti sottoscrivano le regole, purché l’accordo raggiunto riceva dalla Commissione di garanzia la valutazione d’idoneità.
Il periodo più recente manifesta una sempre più evidente aziendalizzazione della contrattazione ed una costante deregolamentazione e delegittimazione della contrattazione collettiva nazionale. La tendenza è assecondata da una parte della giurisprudenza e della dottrina che ritiene il contratto collettivo ed il contratto aziendale fonti concorrenti ed equiparate.
Il fenomeno della moltiplicazione esasperata dei contratti collettivi è certificato, tra il 2012 e il 2017, del numero dei contratti collettivi nazionali di lavoro depositati, aumentato del 60%. Solo il 33% dei contratti vigenti è firmato dalle organizzazioni sindacali Cgil, Cisl, Uil e solo solo il 14% da Confindustria (v. il Rapporto sul mercato del lavoro e contrattazione collettiva del CNEL 2017- 2018). Lo stesso fenomeno si ripete per la costituzione degli Enti bilaterali (nel 2013 una ricerca, realizzata da Italia lavoro, registra 463 enti bilaterali).
Le formule selettive dei contratti collettivi sono superate dai mille modi nei quali i soggetti collettivi possono acquisire la rappresentatività. Innanzitutto, per investitura datoriale con la sottoscrizione del contratto collettivo aziendale, ma anche per decreto ministeriale o anche mediante la contrattazione collettiva nazionale libera da vincoli. La via della sindacalizzazione per accreditamento datoriale è certamente la via più semplice e vantaggiosa per organizzazioni che fanno del tesseramento un elemento trascurabile, ma può creare problemi al datore di lavoro quando la legislazione impone soglie significative di rappresentatività. Eppure, il genio italico trova la soluzione. L’organizzazione sindacale che abbia l’ambizione di competere nell’agone della rappresentatività comparata, se non riesce a dimostrare nemmeno i requisiti minimi, può sempre fare il salto della quaglia e aderire ad una organizzazione sindacale dotata di rappresentatività (acquisita anche per investitura ministeriale o del CNEL). E’ il caso della Fesica che aderisce alla Confsal. In una dinamica anomala della proprietà transitiva anche la Fesica acquisterà lo status di sindacato rappresentativo. Si può citare anche la CISAL che ha sottoscritto un contratto collettivo con validità 2017- 2019 per il settore commercio ed ancora, sempre per il medesimo settore il contratto sottoscritto dalla Fesica -Confsal 2018 -2021.
Un argine a questa deriva è fissato nell’art.51 del dgls n.81/2015 che ha indicato i requisiti di qualità dei contratti collettivi autorizzati all’esercizio di poteri di integrazione, deroga e modificazione del dettato legislativo. Si tratta dei contratti collettivi “stipulati da associazioni sindacali comparativamente piu' rappresentative sul piano nazionale e i contratti collettivi aziendali stipulati dalle loro rappresentanze sindacali aziendali ovvero dalla rappresentanza sindacale unitaria”. E, tuttavia, anche l’art.51 citato, nel confermare l’indirizzo deregolativo dei livelli di contrattazione, rende, praticamente insignificante la correzione, continuando ad alimentare il fenomeno della dispersione della negoziazione collettiva.
2.6 Le norme di disciplina dell’efficacia generale
Le confederazioni sindacali storiche hanno reagito alla dispersione della contrattazione collettiva che, nell’esperienza concreta, si traduce in contratti collettivi che riducono le tutele del lavoro subordinato. Il T.U della rappresentanza del 2014, che ha trovato una nuova conferma nel Patto della fabbrica del 9 marzo 2018, offre una risposta razionalizzante ed efficace contro la dispersione contrattuale, attribuendo efficacia generale ai contratti collettivi validati mediante una procedura che coniuga dati associativi, dati elettivi e consultazione dei lavoratori nei luoghi di lavoro. Il T.U definisce un modello di contrattazione che privilegia non il dato soggettivo dei soggetti stipulanti, bensì il dato oggettivo della sottoscrizione di contratti collettivi, sostenuti da maggioranza ampie e consensi reali.
La lentezza nella messa a regime del sistema di certificazione, tuttavia, non consente allo stato di ritenere il TU un rimedio per uscire dal labirinto della contrattazione applicabile.
Un ulteriore complicazione del sistema è sorta per iniziativa del legislatore da una norma che si propone l’obiettivo dell’efficacia generale in ambito aziendale. Si tratta della contrattazione collettiva di prossimità (art.8 n.138/2011conv. in l. n.148/2011) che legalizza l’aziendalizzazione della contrattazione collettiva. La norma, difatti, consente ai contratti collettivi sottoscritti da associazioni dei lavoratori più rappresentative sul piano nazionale (quindi non una coalizione sindacale ma anche una associazione) o dalle loro rappresentanze sindacali operanti sul territorio o in azienda, quindi anche una RSA o una struttura territoriale delle predette associazioni, di stipulare accordi, in deroga alla legge ed ai contratti collettivi, su gran parte degli istituti di disciplina del rapporto individuale di lavoro, purché gli stessi siano sottoscritti “sulla base di un criterio maggioritario”, una espressione, questa, di incerta definizione.
In sostanza l’accordo sottoscritto dalla struttura territoriale della Confsal (che è associazione comparativamente più rappresentativa su investitura ministeriale) può derogare alla legge ed al contratto collettivo nazionale, anche se in azienda non si contino iscritti alla Confsal.
3. Il caos nella selezione dei soggetti sindacali rappresentativi si riflette negativamente sul contratto individuale di lavoro
La confusione e le iniquità delle regole sulla relazione contratto applicabile-rappresentatività sindacale, sono plasticamente descritte nella vicenda della pluralità di contratti collettivi nazionali presenti nel settore delle agenzie assicurative. Un caso di scuola che la FISAC ha voluto far emergere nell’iniziativa giudiziaria promossa contro il contratto collettivo SNA.
E’, difatti, la concretezza dell’esperienza pratica che rivela, in tutta evidenza, come la mancanza di regole certe sulla rappresentatività sindacale e sulla validazione dei contratti collettivi si riflettano negativamente sulla tutela dei diritti dei lavoratori subordinati e sui diritti sindacali.
Brevemente dunque il fatto. Nel settore delle agenzie assicurative concorrono due contratti collettivi (ANAPA e SNA). Da parte datoriale le associazioni sono ambedue rappresentative; dal lato dei prestatori di lavoro uno dei contratti è sottoscritto con una organizzazione di nessuna rappresentatività nel settore (SNA). Gli ispettori del lavoro contestano alle agenzie associate a SNA l’applicazione del contratto SNA, giacché detto contratto collettivo non prevede la corresponsione di voci della retribuzione previste invece dal contratto che gli ispettori assumono come leader, il contratto collettivo ANAPA. Xxxxxx, vi dovrebbero essere pochi dubbi sulla scelta del contratto leader sul quale calcolare la retribuzione imponibile, considerato che nella comparazione dovrebbero essere pesate la misura della rappresentatività di ambedue le parti, come prevede l’art.2 c.25 l.n.549/1995).
Succede, invece, che, una dottrina autorevole ed alcune pronunce dei giudici merito aditi, sostengano la legittima scelta delle agenzie assicurative di applicare il contratto SNA, come esercizio del diritto di libertà sindacale del datore di lavoro “espressione della libertà organizzativa dell’imprenditore che si impone a tutti i lavoratori dell’azienda in virtù del rinvio operato dal contratto individuale di lavoro al contratto collettivo” (v. anche infra par.2.5 Trib.Pavia.)
Questa tesi non appare sostenibile giacché trascura la valutazione di due insiemi normativi: la libertà sindacale del lavoratore costituzionalmente tutelata e le norme del codice civile in materia di contratti di diritto comune.
Nel diritto del lavoro il contratto collettivo, come fonte di integrazione del contratto individuale detta la disciplina della retribuzione e delle altre condizioni di lavoro (cosiddetti trattamenti normativi). L’individuazione del contratto applicabile è disciplinata per la parte retributiva e per la parte normativa da norme diverse.
Per la parte retributiva la l.n.549/1995 (art.2 comma 25), prevede, ai fini della determinazione di base per il calcolo dei contributi previdenziali ed assistenziali, che, in caso di pluralità di contratti collettivi intervenuti per la medesima categoria, la retribuzione da assumere come base per il calcolo dei contributi previdenziali ed assistenziali, sia quella stabilita dai contratti collettivi stipulati dalle organizzazioni sindacali dei lavoratori e dei datori di lavoro comparativamente più rappresentative nella categoria. La norma è chiara nel richiedere al contratto collettivo leader nella comparazione con il contratto collettivo concorrente, un peso rappresentativo, in relazione ad ambedue le parti collettive, superiore.
Sono gli ispettori a decidere , in caso di concorrenza tra contratti collettivi, quale sia il contratto collettivo leader su cui calcolare l’imponibile contributivo. La loro decisione, tuttavia, ovviamente non si risolve nella sostituzione del contratto applicato dal datore di lavoro con il contratto leader . Quest’ultimo ha solo la funzione di “parametro minimale comune” (Cass, n.16/2012).
Per il profilo retributivo, quindi, la indicazione, quale elemento di comparazione in caso di pluralità di contratti collettivi, alla dimensione nazionale della contrattazione collettiva fissa un parametro non suscettibile di riduzione al livello aziendale7. Restano comunque le incertezze applicative della formula sulla rappresentatività comparativa .
Tuttavia, l’accertamento della giusta retribuzione non è semplice. La busta paga, infatti, del lavoratore è composta da tante voci e su tutte ha competenza la contrattazione collettiva (minimi tabellari, aumenti di anzianità, le mensilità aggiuntive, l’indennità di mensa, le altre indennità, il premio di risultato, la previdenza complementare, l’assistenza sanitaria). Alcune voci, inoltre, possono ricevere un trattamento migliorativo a livello aziendale. Quindi la qualità rappresentativa dei soggetti che sottoscrivono il contratto aziendale può dare luogo a differenze tra le retribuzioni nel medesimo settore anche notevoli.
Più complicata è la applicazione della formula della rappresentatività comparativa per la parte normativa ( assunzione, periodo di prova, tipologia contrattuale, inquadramento, mansioni orario di lavoro, ferie, permessi, aspettative e congedi, anzianità…). La gran parte degli istituti di cui si compone la parte normativa è disciplinata dalla legge, con un rinvio quasi costante alle formule
7 L’art.2 c.25 della l.n.549/1995, invero, non fa riferimento esclusivo alla dimensione nazionale e consentirebbe agli ispettori di estendere l’accertamento dell’imponibile retributivo fino alla dimensione territoriale e, tuttavia, ciò è rimesso alla discrezionalità del personale ispettivo. Mancando, difatti, direttive Ministeriali in proposito.
“indefinite” di cui si è detto sopra, reso più problematico per effetto dalla destrutturazione dei livelli contrattuali.
E’ relativamente pacifico in dottrina e in giurisprudenza il riconoscimento dell’efficacia soggettiva generalizzata del contratto aziendale anche derogativo in peius del contratto collettivo nazionale, con la sola eccezione di quei lavoratori che “aderendo ad un’organizzazione sindacale diversa da quelle che hanno stipulato l’accordo aziendale ne condividano l’esplicito dissenso” (Cass.n.27115/2017; Cass n.6044/2012). Per l’efficacia soggettiva di clausole collettive oggetto del rinvio di legge al contratto collettivo, il diritto al dissenso può incorrere in affievolimento in relazione alla funzione dell’accordo o della clausola. In ordine ad alcune funzioni la clausola collettiva, difatti, sarebbe dotata di efficacia soggettiva generale, sostanzialmente derivata dalla legge.
Pertanto, la protezione legale riconosciuta alle clausole contrattuali integrative, derogative o modificative della norma legale, potrebbe in alcune ipotesi non consentire al lavoratore, iscritto ad una organizzazione sindacale diversa da quella che è parte del contratto collettivo applicato in azienda, di esprimere il proprio dissenso e di sottrarsi alle previsioni del detto contratto collettivo. Per gli aspetti normativi , dunque, il potere contrattuale del lavoratore, in relazione al contratto applicabile, è di grande debolezza.
Basta leggere di due contratti collettivi ANAPA e SNA per accorgersi che le differenze non riguardano solo la parte retributiva che pure sono significative, bensì riguardano anche la parte normativa. E’ sufficiente esempio la disciplina del potere del datore di lavoro di mutare le mansioni (jus variandi) nel xxxxx xxx xxxxxxxx xx xxxxxx (xxx.0000 c.c. come modificato dall’art.3 del d.lgs n.81/2015), per il quale il contratto ANAPA impone dei limiti, a salvaguardia della professionalità del lavoratore; mentre nel contratto SNA si stabilisce una disciplina a tutto vantaggio del datore di lavoro
Si spiega, dunque, perché la deregolamentazione dei requisiti di rappresentatività e il potere negoziale attribuito a qualsiasi livello della contrattazione collettiva, abbiano prodotto una diseguaglianza insopportabile nei rapporti tra datore di lavoro e lavoratore nel contratto di lavoro
In relazione alla parte normativa del contratto, difatti, il lavoratore, a cui il datore di lavoro imponga un “contratto pirata”, non può opporre alcuna resistenza, ovviamente ad eccezione dei trattamenti peggiorativi che incidano sui diritti quesiti o su modifiche del rapporto lavoro per le quali la legge richieda il consenso del lavoratore. In queste circostanze il lavoratore può solo invocare, se ci sono le condizioni, la violazione delle disposizioni legali e l’intervento delle amministrazioni preposte alla vigilanza sulla legislazione del lavoro.
L’ispettore del lavoro, peraltro, che esegue un accertamento si trova a dover decidere quale sia il contratto applicabile per la parte retributiva e a verificare il rispetto della legislazione per ogni voce di disciplina del rapporto di lavoro e non può fare altro. Xxxx decidere, dunque, districandosi tra formule legislative fumose, direttive ministeriali confuse e le clausole collettive intercambiabili dei livelli della contrattazione.
0.Xx tutela della libertà contrattuale del lavoratore.
Una soluzione a garanzia della libertà contrattuale del lavoratore è offerta dal codice civile.
Il rapporto di lavoro, difatti, si costituisce mediante contratto individuale le cui clausole fanno rinvio ad un contratto collettivo a cui ambedue le parti, lavoratore e datore di lavoro, aderiscono all’atto dell’assunzione. Nel caso del contenzioso FISAC/SNA, per gli iscritti FISAC il rapporto si
era costituito con richiamo al CCNL sottoscritto dalle organizzazioni sindacali più rappresentative, indicato, nel contratto individuale di lavoro, al momento dell’assunzione.
Per il codice civile le clausole di un contratto individuale non possono subire modifiche unilaterali, tale è da considerarsi l’applicazione generalizzata del CCNL. La modifica unilaterale di un contratto costituisce una violazione della disciplina delle obbligazioni di cui agli artt.1321 e 1372 cc. In sostanza, per modificare il contratto individuale di lavoro è necessario il consenso delle rappresentanze aziendali o dei lavoratori, ciò è ancora più vero nell’ipotesi di contratti che prevedono condizioni peggiorative dei trattamenti retributivi. Quindi la modifica unilaterale è da considerarsi nulla nella parte sulla quale interviene detta modifica, nella specie la sostituzione del contratto collettivo di disciplina del contratto individuale di lavoro.
L’unica via d’uscita concessa ad una modifica unilaterale del contratto individuale sono le forme conciliative previste dall’art.2113 che, pertanto, prevedono sempre il consenso del lavoratore.
La tutela della libertà sindacale del lavoratore, inoltre, impedisce l’applicazione del contratto collettivo sottoscritto dal datore di lavoro nell’ipotesi in cui il dipendente abbia esercitato il diritto al dissenso in forma scritta. Con qualche margine di incertezza la medesima protezione, nelle medesime forme è accordata al dipendente anche non iscritto.
Questa ricostruzione è utile per riportare le parti individuali del contratto di lavoro in posizione di pari dignità nella gestione delle vicende modificative del contratto. L’argomento vale per tutti i lavoratori iscritti e non iscritti e impedisce che il datore di lavoro modifichi unilateralmente il contratto di lavoro, ma è ben poco soddisfacente sul piano sindacale il cui obiettivo è l’applicazione del contratto collettivo sottoscritto dalle organizzazioni più rappresentative nella sua interezza: parte normativa e parte economica.
5. Il legittimo interesse sindacale ignorato
Il principio di libertà sindacale iscritto nel comma 1 dell’art.39 ed in moltissime norme internazionale ed europee, è ospite poco gradito nelle aule di giustizia, per evidenti carenze delle nostre tecniche di tutela dei diritti e degli interessi collettivi. La giurisprudenza, difatti, nega alle organizzazioni sindacali la legittimità ad azionare, l’interesse alla corretta applicazione della formula della rappresentatività comparativa, nella individuazione del contratto collettivo ed afferma che solo i lavoratori siano legittimati ad agire per contestare l’applicabilità̀, nei propri confronti, dell’accordo aziendale, mentre la organizzazione sindacale non firmataria non ha “alcun diritto o interesse ad
agire in giudizio in relazione a validità̀ efficacia, o interpretazione di un contratto collettivo alla cui stipulazione sia rimasta estranea (Cass n.27115/2017).
Insomma, paradossalmente, il codice civile, la disciplina che regola gli interessi privati dei cittadini, restituisce pari dignità alle parti del contratto individuale di lavoro; mentre la libertà sindacale del lavoratore, diritto di rango costituzionale, trova affermazione solo in negativo, cioè nel diritto di sottrarsi alla determinazione unilaterale del datore di lavoro. E’ del tutto ovvio che la mortificazione della libertà sindacale del lavoratore sia diretta conseguenza della mancanza di regole sulla misurazione della rappresentatività sindacale, ai fini della definizione del contratto collettivo applicabile.
Questo contesto giuridico costituisce un serio limite nella effettiva tutela dei diritti sindacali ed ignora del tutto il principio di rappresentatività iscritto all’art.39 Cost comma 4, a garanzia dell’autenticità dell’esperienza sindacale. Invero, pur se inattuato, l’art.39 è parte vigente della Carta
Costituzionale e detta una procedura che affida al consenso degli iscritti, organizzati nelle associazioni sindacali, la definizione del contratto applicabile con efficacia obbligatoria . Nella evanescenza delle formule della legislazione ordinaria, l’art.39 cost esprime una indicazione certa e chiara che la giurisprudenza costituzionale, ha più volte confermato: la rappresentatività sindacale è misurata sui dati degli iscritti alle associazioni sindacali.
L’intervento espansivo di applicazione generalizzata, del contratto collettivo aziendale stipulato dal datore di lavoro, soggiace, dunque, ad un principio di rappresentatività -discendente direttamente dall’art.39 cost - che costituisce un limite alla libertà sindacale del datore di lavoro, che voglia aspirare all’efficacia generale dei contenuti negoziali, nella scelta del soggetto sindacale contraente.
L’importanza della causa “pilota” promossa dalla FISAC CGIL sta tutta nell’affermazione della rappresentatività sindacale effettiva delle organizzazioni sindacali dei lavoratori, come direttiva che si impone al datore di lavoro nel momento in cui xxxxxxxxx gli interlocutori. In altre parole, la libertà di iniziativa economica e la libertà sindacale del singolo datore di lavoro, incontrano il limite del principio di rappresentatività fissato nell’art.39 cost, comma 4.
Insomma, l’applicazione generalizzata di un contratto collettivo a livello aziendale è consentita dall’ordinamento, solo se ambedue le parti del CCNL presentino una rappresentatività̀ sindacale effettiva.
6.Conclusioni. Una ipotesi di lavoro
Le osservazioni critiche che sono state in precedenza sviluppate intorno alle disfunzioni originate da circostanze politiche, sociali e, soprattutto, da interventi legislativi improvvidi, rilevano le conseguenze assurde, alle quali hanno condotto l’applicazione di criteri, di selezione del contratto applicabile e della rappresentatività sindacale, ambigui o completamente irrispettosi della relazione diretta tra misurazione oggettiva della rappresentatività ed efficacia generale del contratto collettivo.
Appare, difatti, di indubbia evidenza che i criteri, idonei a determinare la forza rappresentatività dell’associazione sindacale, siano il criterio che fa riferimento al numero degli iscritti, prescritto dal comma 4 della Costituzione ed il criterio elettivo emerso nell’esperienza storica del movimento sindacale italiano.
La fotografia storica giuridica sopra sinteticamente riassunta è impressionante.
I diritti sindacali fissati dallo Statuto dei lavoratori (assemblea, referendum, affissione, diritto di riunioni, permessi e garanzie ai dirigenti sindacali) sono funzionali alla partecipazione dei lavoratori al confronto tra associazioni diverse, al fine della decisione in ordine alla tutela di diritti, aspettative ed interessi delle persone nella loro condizione di subordinazione. Attribuire ad organizzazioni sindacali prive di effettiva pratica sindacale, esercitata nel dialogo con i lavoratori fisicamente presenti nei luoghi di lavoro, significa snaturare la funzione stessa dello statuto dei lavoratori. Il sindacato deve essere espressione spontanea di interessi collettivi non può essere strumento di politiche sindacali autoreferenziali. Nessuna credibile autenticità di esperienza può vantare un sindacato che nello statuto dell’associazione si propone la tutela dei lavoratori di uno specifico settore e che, in virtù del gradimento datoriale manifestato in un accordo, anche se limitato ad una materia, si trovi ad esercitare i diritti sindacali ed a godere dei relativi benefici in un settore completamente diverso, da quello indicato nel predetto statuto, ed in cui non ha alcun iscritto.
La libertà sindacale ,di cui la contrattazione collettiva è l’espressione più tipica, riceve tutela giacché nella carta costituzionale essa è lo strumento più idoneo a provvedere agli interessi dei lavoratori subordinati. La libertà sindacale è anche libertà di organizzazione, di articolare le competenze tra i livelli di contrattazione, nel modo più congeniale alla tutela degli interessi concretamente individuati dei lavoratori. L’iniziativa legislativa che interviene attribuendo un potere negoziale diffuso ed indifferenziato a tutte le dimensioni delle strutture sindacali, vanifica l’efficacia dell’azione sindacale e le sue finalità di solidarietà interna ed esterna alle singole categorie.
Insomma le disfunzioni osservate dimostrano come la disciplina della rappresentatività sindacale sia un’esigenza non più rinviabile a garanzia del ruolo che la Costituzione assegna alle organizzazioni sindacali, nell’attuazione dei principi di uguaglianza di cui agli artt.2 e 3 cost.
Tale esigenza è ancora più pressante in una situazione di crisi economica giacché la destrutturazione delle tutele e delle regole nel mercato del lavoro deprime lo sviluppo economico, favorendo le imprese meno competitive.
Occorre, dunque, una soluzione urgente.
La diffusione di una formula legislativa che ha perso la sua forza selettiva ed è ormai datata, indebolita dalla condizione di destrutturazione dei livelli della contrattazione collettiva e dalla aziendalizzazione, sostenuta dal legislatore, del potere negoziale dei soggetti sindacali, ha reso la misurazione della rappresentatività sindacale una emergenza ordinamentale ai fini “dell’armonica unità del sistema” (Corte cost.n.106/1962).
L’Amministrazione ha il dovere di decidere quali siano i contratti collettivi leader nel settore per “assicurare il buon andamento e l’imparzialità dell’amministrazione” (art.97 Cost). E’ compito dell’Amministrazione non lasciare che la individuazione del contratto collettivo leader sia lasciato alla discrezionalità del personale ispettivo e dei giudici del lavoro. Si tratta, peraltro, di un compito funzionale ad una sana competizione tra le imprese ed alla corretta applicazione della legislazione di tutela del lavoro subordinato.
In attesa di una legge sulla rappresentanza sindacale il Ministero del lavoro, dunque, potrebbe individuare i contratti collettivi leader funzionali alla garanzia degli interessi pubblici protetti dalla legislazione del lavoro. Il punto di riferimento, nella comparazione per l’elezione del contratto leader, difatti, non sono le sigle sindacali o le sigle sindacali ai quali il Ministero del lavoro concede la patente di rappresentatività, bensì il contratto collettivo più rappresentativo nei diversi settori.
La mancata attuazione dell’art.39 cost necessita di un intervento tempestivo e razionalizzante.
Nella storia della nostra Repubblica ciò è già accaduto.
Nel 1953 i deputati Xx Xxxxxxxx, Xxxxxxxx, Novella e Santi nel 1953 avanzarono una proposta (n.1376/1953) con la quale chiedevano, in attesa dell’attuazione dell’art.39 cost, di “attribuire efficacia obbligatoria a quei contratti collettivi stipulati dalle organizzazioni sindacali dei datori di lavoro e dei lavoratori dopo “la liberazione del Paese”. Invero, la caduta del sistema corporativo aveva travolto anche i contratti collettivi corporativi e i datori di lavoro rifiutavano di associarsi per sottrarsi all’osservanza dei contratti collettivi di lavoro e al versamento dei contributi previdenziali conseguenti. Anche oggi la storia si ripete.
L’intento prioritario della proposta fu assicurare una retribuzione nel rispetto del principi fissati nell’art.36 cost. Con questa giustificazione fu approvata la legge Vigorelli n.741/1959 che ebbe la
funzione di risolvere in via transitoria il problema dell’estensione erga omnes dei contratti collettivi, mediante la recezione in legge dei contratti collettivi post-corporativi.
La legge citata conferì efficacia generale ai contratti collettivi postcorporativi, conclusi con modalità diverse da quelle previste dal comma 4 dell’art.39 e, per questo motivo, fu portata all’esame della Corte costituzionale (n.106/1962), la quale decise sulla questione con motivazioni che meritano di essere richiamate.
La Corte Costituzionale (n.106/1962), prioritariamente richiamò il legislatore al rispetto dei limiti fissati a tutela degli interessi e delle finalità indicate nella Costituzione e all’osservanza “dell’armonica unità del sistema”. Dichiarò non fondata la questione di legittimità costituzionale sollevata per due motivi: il carattere transitorio ed eccezionale della legge e la necessità sociale di rimediare alle “conseguenze” gravi derivate dalla mancata attuazione dell’art.39 cost “nel campo dei rapporti di lavoro”.
Oggi le ragioni di un intervento transitorio ed eccezionale sono tante e gravi e meriterebbero un provvedimento di definitiva attuazione dell’art.39 Cost. Tuttavia, in attesa che il legislatore voglia finalmente dare attuazione all’art.39 Cost, è necessario che almeno il Ministero del lavoro faccia ciò che deve, rimedi ad una interpretazione della rappresentatività comparativa distorta e decida lui in modo uniforme su tutto il territorio nazionale quali siano i contratti collettivi leader sui quali il personale ispettivo deve calcolare la retribuzione imponibile.